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Le novità politiche intorno al termodinamico di San Quirico by Seb Chighini


(Ruolo delle istituzioni, una nuova governance, il ruolo della pubblica amministrazione, dentro il movimento
5 stelle…)

PRIMA PARTE ................................................................................................................................................................... 2


Ad Oristano, una struttura del potere:............................................................................................................................. 7
Su cosa decidono le istituzioni?........................................................................................................................................ 9
Dove sono finite le politiche? ......................................................................................................................................... 11
La terza opzione: il Mov 5 S ............................................................................................................................................ 13
Una critica decisiva al potere locale ............................................................................................................................... 14
Alcuna funzionalità autogestita ..................................................................................................................................... 16
PARTE SECONDA ........................................................................................................................................................... 17
Fragilità dell’innovazione politica e culturale ................................................................................................................ 17
Primo luogo..................................................................................................................................................................... 18
Secondo luogo ................................................................................................................................................................ 19
I movimenti ..................................................................................................................................................................... 20
Il Mov 5 stelle nelle culture politiche .............................................................................................................................. 20
Entriamo nel merito ........................................................................................................................................................ 21
II movimento e la sua identità ........................................................................................................................................ 24
Orizzonte temporale e i dilemmi del consenso .............................................................................................................. 25
Per dei momenti di riflessione condivisa ........................................................................................................................ 26
PARTE TERZA ................................................................................................................................................................. 27
In cammino, siamo un movimento in camino ................................................................................................................ 27
La ricerca della legittimazione........................................................................................................................................ 28
I sistemi di partecipazione europea ................................................................................................................................ 30
La creazione di effetti di aggregazione .......................................................................................................................... 31
Non tutto è lineare.......................................................................................................................................................... 33
Cambiamento istituzionale ............................................................................................................................................ 34
I criteri relativi, che divengono strategici della nostra azione ....................................................................................... 35
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PRIMA PARTE
Noi ed il termodinamico ibrido

In questi anni, diverse sollecitazioni di innovazione politica e culturale, sono state portate dal movimento 5 stelle
e dagli attivisti di Oristano. Attraverso interventi e attività legate ai progetti sulle energie rinnovabili, abbiamo
svolto azioni ed iniziative. Tutte raccontano, il modo in cui abbiamo reagito, sul nostro territorio.
Mentre numerose pretese, si calavano dall’alto su comunità ignare. Prima con il mega Parco Eolico off-shore di
S’Archittu, poi il progetto “Eleonora” ad Arborea, il Coogeneratore di Simaxis, il mega parco fotovoltaico di
Narbolia e ultimo ma temiamo non ultimo: il termodinamico ibrido di San Quirico. Il progetto che, abbiamo
seguito con maggiore trepidazione e disincanto.
A questo abbiamo associato, forse un maggiore impegno, con frenetica mobilitazione. La costante attenzione
con cui ci siamo attivati per mettere sotto gli occhi di tutti. La sicurezza: della salute, dei territori, delle vite delle
aziende e dei cittadini.
Producendo un’azione politica innovativa vivace, è maturata una crescita politica e culturale, della quale adesso
proviamo a comprenderne alcuni sviluppi. Conoscendo ormai le dinamiche relative alla nascita e alla
maturazione dell’opposizione a questi progetti, dalle forme e dai tempi diversissimi. Cerchiamo di evidenziare,
quanto può la partecipazione, e più in generale ciò che fanno tante persone capaci di attenzione critica ai soprusi.
Nel segnare inediti percorsi di innovazione politica, sviluppando assieme ad associazioni e comitati, una
presenza politica e culturale innovativa. Qui intendiamo ripercorrere questa vicenda con una riflessione diremo
obliqua. Osservare cioè come si sono dispiegate diverse dinamiche, capaci di qualificare, questo particolare
scenario amministrativo, ambientale e di programmazione socio economica.
Alla città di Oristano, ma diciamo che a tutto il territorio oristanese, è stato chiesto di difendersi. Noi oggi gli
proponiamo di alzare la testa. Con intensità ed impegno dentro le menti di tante persone che si sono mobilitate,
crediamo che possiamo portarci fuori da questi propositi continuamente rimescolati. Ci siamo visti e siamo
cresciuti cercando di innovare un distacco. Lo abbiamo messo in luce, in generale, lo abbiamo evidenziato negli
effetti prodotti da iniziative visibili, anche se solo in una piccola parte rese visibili.
Soprattutto grazie all’azione del movimento 5 stelle, però sono comparse nuove forme e azioni di
partecipazione. Mostrando a tutti, verso quali processi si può fare riferimento. Verso quali sbocchi rivolgere le
opinioni che guardano all’interesse pubblico. Verso quale futuro di cittadini siamo stati chiamati a esprimere, le
nostre volontà ed i nostri pareri. Dicendo qualcosa di più, che essere critici o rientrare nelle semplici audizioni
pur meritorie, dei procedimenti amministrativi.
Si tratta di una mobilitazione, che non è una mai stata vissuta come una organizzata nè strutturata o routinaria
mobilitazione. Per fortuna non è stata animata da progetti elettoralistici, né dalla ricerca di sostegno fine a sé
stesso, bensì da una profondissima dialettica interna.
Nei territori di tutta Italia, quasi sempre il movimento è stato presente, nel dire no, a qualcun altro che cerca di
implementare progetti di rapina, progetti di sconvolgimento di pratiche locali, di tessuti produttivi. Lo abbiamo
detto con chiarezza anche verso coloro che fingono di registrare voci critiche verso questi progetti. Rispetto ad
alcuni attori guardinghi, esitanti, camaleontici noi abbiamo preferiti stare accanto ai numerosi cittadini, che non
hanno avallato, i processi di naturalizzazione e depoliticizzazione tipici delle strategie comunicative di questi
progetti.
Mediante l’ascolto e l’iniziativa, grazie alla presenza del movimento, invece si sono divenute rilevanti, negli anni,
quelle che abbiamo implementato come critiche e rivelato quali interne novità “della politica locale” sulla
questione territoriale. Attestandoci oltre i giudizi di dominazione e di complementarietà che strutture influenti,
hanno cercato di instaurare attraverso le antiche diramazioni clientelari, da cui notoriamente derivano queste
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iniziative. Noi sempre siamo stati convinti ed abbiamo lottato contro scelte nefaste: contro l’esproprio del nostro
futuro.
Le abbiamo respinte, partecipando da protagonisti non solo con la replica sostenuta dai cittadini. Ma fin
dall’insediamento di queste iniziative. Dentro i comitati, tra le associazioni, noi abbiamo approfondito i temi
verificata la legittimazione e delegittimazione politica. Come sospesi i nostri pareri sono stati qualificati di
contenuti, in cui si possono trovare le istanze degli attori della innovazione culturale nel nostro territorio e in
fondo argomenti di tutti gli oppositori a questi progetti.
Rispetto a tutti questi interventi però oggi possiamo dire che le attività annesse al progetto di un investimento
sul termodinamico ibrido, con il movimento 5 stelle, sul piano del rapporto con i cittadini. Pur con parecchi limiti,
ha permesso il confronto e cresciuto tante motivazioni tra gli oppositori. Anzi noi rispetto al passato, ne
annunciamo di nuovi.
Attraverso la partecipazione diretta, abbiamo cercato di veicolare, la visione di una nuova coscienza critica.
Applicata non semplicemente alla conoscenza più ampia dei fenomeni globali come quelli dell’energia.
Chiedendo che si vedano, finalmente all’interno delle scelte regionali. Si colga, pure sul nostro territorio, non
solo una forte responsabilizzazione collettiva, ma con iniziative di approfondimento, dobbiamo continuare ad
animare i contesti relativi e diversificati nei quali si calano questi progetti.
Con sempre maggiore interesse, dobbiamo adoperarci verso la tutela e il rispetto delle risorse ambientali.
Riconducendo le intromissioni, ad un arretramento. Considerando le iniziative economiche e sociali, buone
quando non tentano di stravolgere le attività esistenti. Si applichino piuttosto invece ai cittadini informati,
iniziative di ascolto, a profitto di comportamenti virtuosi. Adesso con delle riflessioni verso la individuazione
degli scopi e delle ragioni che noi tutti abbiamo messo in campo. Si abbia attenzione e un decisivo rispetto per
l’uso non illimitato, di queste nostre risorse territoriali, economiche e di civiltà.
In questa vicenda, intorno a noi e dentro di noi, tante volte ci siamo dovuti relazionare con strumenti e
metodologie di partecipazione e valutazione di progetti del tutto nuovi. Non solo siamo stati costretti ad un
repentino coinvolgimento culturale. Spesso non siamo riusciti ad orientare una apertura in senso interscalare e
integrato, di questi procedimenti. Sebbene li abbiamo valutati criticamente sotto molti aspetti. Solo
successivamente abbiamo preteso e reso finalmente embrionale un nuovo atteggiamento non solo politico dei
cittadini e della pubblica amministrazione nella gestione del procedimento amministrativo.
Mentre la gran parte dei tanti uffici che ne debbono autorizzare l’installazione, si presentano ancora passivi ed
esecutivi. Ora invece sempre più, si allarma, e in alcuni nuclei di enti territoriali, si rifuggono le zone d’ombra del
passato. Si comincia finalmente a maturare, e evidenziare quanto i diversi soggetti amministrativi divengono
fautori di comportamenti razionali. Si responsabilizzano sempre più tante persone verso dinamiche di confronto
operativo, all’interno di processi burocratici di livello: prima territoriale e poi regionale.
Nella nostra area geografica, lentamente e faticosamente si affacciano, i principi di una burocrazia non più
supina verso la politica e verso l’imprenditoria. L’azione però della P. A. tra il principio di autorità e quello del
consenso si dibatte non sempre in modo trasparente. Per questo, abbiamo la necessità che si introduca sempre
più negli enti e nelle amministrazioni periferiche tutte, una consapevolezza esperta, delle competenze e
soprattutto un esercizio integro delle loro valutazioni, apprezzamenti della loro sostenibilità.
Dietro il nostro interessamento, divenendo finalmente cittadini attenti a valutare le azioni della pubblica
amministrazione, nel conquistarsi valutazioni organiche e davvero di conoscenza della programmazione di una
strategia, socio economica del territorio. Abbiamo la necessità di far svolgere in questo senso un ruolo nuovo
anche alle istituzioni. Affinché non siano più moderatori e tanto meno asettici garanti del processo decisionale.
C’è la necessità che tutti gli uffici siano protagonisti, soprattutto quando e in assenza totale di ruolo della politica.
Si facciano capaci di compiere verifiche, ponendosi oltre coloro che li volevano passivi esecutori: mummie o
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sordidi interpreti, di vuoti normativi e di profili politici opportunamente creati. Mai ispirati dai principi
Costituzionali e comunitari, sopra tutto quelli regolatori dell’attività e della discrezionalità amministrativa.
Come attivisti parlando di una relazione e di un contrasto, che ci ha visto spesso attivi e appassionati. Abbiamo
mostrato la contrarietà al termo dinamico solare ibrido, sotto una chiave analitica insolita. Evidenziando sempre
più elementi utili di comprensione, verso quanto invece in questi anni è maturato in favore delle rinnovabili.
Vorremmo ancora di più che tutti i cittadini fossero favorevoli e non lo fossero in modo acritico. Così come
l’attività amministrativa ad essa connessa, dovrebbe sempre ispirare tutti i soggetti ai diversi principi
costituzionali, primo fra tutti al principio di legalità.
Accrescendo le ragioni di contrarietà a questo progetto, tuttavia non siamo stati ciechi. Abbiamo colto nelle
opinioni di tanti, una idea determinata. Ribadita in tutti i modi possibili, con delle proposte nuove. Non siamo
affatto contro le rinnovabili, il movimento è fortemente impegnato nella loro implementazione. Non ci si
confonda con i contrari al termo dinamico in sé.
Bensì, noi siamo contro, quel che sta racchiuso nella parola che accompagna questo progetto: cioè nella parola
ibrido, che associato al termodinamico diviene quasi un aggettivo qualificativo, per noi carico di preoccupazioni.
Crediamo debba finire non solo nell’Oristanese, la legittimazione di questa morfologia di impianti predatori a
cui si aggiungono altre strutture e dispositivi, che a guardare bene le tecnologie, non si riassumono in meri o
aggiuntivi apparati coadiuvanti. Tra le tante incongruenze, neppure il tranquillizzante ammontare della potenza
di kwatt complessiva dell’impianto, pur accompagnato da rassicurazioni, non ci lascia tranquilli.
Evidenziando relazioni presenti e dense di sviluppi, in più direzioni. La nostra determinazione ha mostrato ciò
che sta in quel che attestano le numerose osservazioni fatte al progetto e soprattutto all’iter amministrativo. In
cui “il principio di legalità nel diritto amministrativo, al fine di circoscrivere la discrezionalità della P..A., impone,
in altri termini, che l’attività amministrativa debba avere non solo un fondamento normativo (legalità formale)
ma debba rispettare nel suo esercizio la prevista disciplina legislativa ed i principi costituzionali e comunitari
interagenti con la stessa (legalità sostanziale)”1.
E’ nello sviluppo insomma, della contrarietà di numerosi altri principi, che questa trasversale opposizione supera
una segmentazione autorizzativa, va oltre l’anima vera dell’iter di questo progetto. Una delle ragioni principali,
della nostra contrarietà, riassume l’evidenza speculativa, verso quanto sta nei pericoli per l’inquinamento
ambientale, nello stravolgimento territoriale, etc.. Ci siamo a lungo chiesti insieme a queste dinamiche, se non
possiamo partecipare anche noi come cittadini, alla dismissione d’uso delle fonti fossili… magari con
l’autoproduzione per far presto e bene nel maturare rapidamente gli obiettivi previsti dai piani e dai traguardi
europei.
Può dirsi che questa sia divenuta una pratica che ci ha aperto gli occhi, anche sulle numerose dinamiche interne
al movimento. A partire dalle singolarità di un procedimento, sulle iniziative che i cittadini invece fanno correre.
Perché esse si inoltrano tra le coscienze, e tra le pratiche di democrazia.
Nella fattispecie questa iniziativa economica cui “si associano molti vantaggi”, dichiara che nel fatto impegna un
coogeneratore a cippato (legno compresso) ed altre emergenze tecnologiche proprie, di queste strutture. Non
si tratta, solo di una piccola installazione, né di una ingombrante dispersione o un esteso gettito di fumi, in una
ampia area fertile del territorio. Vedere una larga fetta, di spazi agrari da dedicare a tanti altri usi, al pascolo, alle
coltivazioni delle aziende razionali, ai tanti usi agricoli fertilissimi, alberati, etc. tutte quante queste attività
rischiano subire azioni e numerose alterazioni ambientali. È l’obiettivo di un progetto che si rivela, pure di quel
che si nasconde dietro “le rinnovabili ibride”. Con il quale e adulterazioni dell’aria, dell’acqua, del suolo, delle
tante attività presenti, etc. sono solo elementi generali delle tante ragioni della nostra contrarietà.

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Sfrecola E. La nuova attività della P.A. tra autorità e consenso. giuristidiamministrazione.com
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Intendiamo parlare, provando ad entrare nel merito, non del progetto in sé, lo abbiamo fatto in un altro doc (LA
VICENDA DEL TERMODINAMICO IBRIDO DI SAN QUIRICO VISTO DAGLI ATTIVISTI 5 STELLE), ma nelle
dinamiche che questa esperienza ha attivato presso il m5S Or.

La forza e la fragilità di questa battaglia che il M5S Oristano sta conducendo, si è indirizzata non solo sulle
numerose criticità.
Oggi le vediamo evidenziate anche grazie alle innovazioni politiche e culturali, che siamo stati capaci di
sviluppare. Il movimento però, a guardare bene, pur scoperte da tempo. Per il modo in cui sono articolate, esse
nascono intorno a molte necessità politiche. Le cui implicanze sono assicurate da un mutato quadro, che ora
contrasta con una procedura amministrativa modificata. Grazie sopra tutto all’attenzione e alla partecipazione
dei cittadini, racconta come si può aprire un ulteriore dibattito sulle norme, riflette sulle innovazioni culturali e
politiche necessarie per ridare ai cittadini, un bandolo del proprio destino.
Quale movimento, ricordiamolo fatto di cittadini, testimoni dei valori, dei criteri di giustizia e, in definitiva, dei
principi di una cultura politica nuova. Proviamo e da anni cerchiamo di influire complessivamente, sui programmi
non solo su quelli rilanciati da questi progetti.
E’ tempo che questa attenzione ormai generalizzata nelle realtà cittadine si cominci a vederle entro un quadro
complessivo di impegno e di attenzione alle risorse. Facendole rientrare in un progetto di rigenerazione urbana.
Proviamo cioè a esprimerci su progetti culturali che guardano alla vita più largamente intesa degli oristanesi
tutti.
Diciamo che abbiamo sviluppato una ricerca, sul procedimento. Dato che esso contiene in sé molte ombre ed
ambiguità, che sembrerebbero già sul piano istituzionale, legittimare sempre più una sovrapposizione delle
competenze regionali, rispetto a quelle locali. L’esproprio in atto rispetto alla vita amministrativa in cui si
svolgono le attività dei cittadini. Lo era in parte nelle sollecitazioni e nelle risposte passive, rilanciate dalle sedi
locali degli uffici regionali.
Con maggiore chiarezza intendiamo ribadire, che c’è di fatto, una sottrazione, di poteri e competenze. Essa
emerge per altro quando ci si accontenta di valutazioni formali e di indifferenziate distrazioni di numerosi uffici
che invece in questi anni sono resi estranei dal focus territoriale. Non potendo compiere delle valutazioni
sostanziali, essi si limitano a pretendere qualcosa spesso “banale”. Assecondando formali prescrizioni di legge,
come se i loro doveri stiano nella raccomandazione esecutiva, di ordini comportamentali da realizzare, di scelte
opinabili, da affidare ai sempre candidi fautori dei progetti.
Lo abbiamo visto fare agli uffici dei beni culturali e ambientali, lo hanno fatto coloro che debbono sorvegliare le
infrastrutture idriche, lo fanno coloro i quali si vedono ricevere i cavidotti e soprattutto gli espropri lungo linea di
questa corrente prodotta, lo fanno coloro i quali non contestualizzano gli effetti sanitari, sul territorio e sulle
persone. Lo hanno fatto tutti quelli che debbono valutare l’occupazione lavorativa, che si distrugge rispetto ai
pochi posti di lavoro per “manutenzioni” che si creano… Credevamo che le sfide e le difficoltà qui divenissero più
vive, se tanti avessero guardato ai tentativi ed ai temi presenti all’interno di queste iniziative.
Il movimento con i suoi attivisti locali, si è mosso non solo per avere un impatto istituzionale, ma per creare una
discontinuità di sistema regionale sull’energia, leggendo le scelte generali si comprendono anche meglio i dati
locali. Soprattutto abbiamo espresso la necessita si mettano a regime modalità più democratiche di governance
territoriale, ambientale, amministrativa. Per dare certezza ai procedimenti di programmazione, che cadono
dall’alto spesso senza alcun contatto, con i luoghi di edificazione e di trasformazione reale.
In generale serbiamo per questi comportamenti un approccio critico, perché intendiamo batterci per ridefinire
con una revisione i processi amministrativi, anch’essi necessari ad una tipica rigenerazione urbana.
Intesa come noi pensiamo essa sia: quale azione integrata e provista di una visione di azioni diverse che ci
porteranno ad una risoluzione dei problemi urbani. Noi abbiamo in mente il miglioramento decisivo delle
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condizioni fisiche, sociali, economiche e ambientali di una area popolata da circa 170 mila abitanti. Soggetta per
molti versi ad abbandono. In cui oltre al resto, crediamo pure vi sia da compiersi uno sviluppo sostenibile ed un
utilizzo ragionato delle risorse naturali, economiche e umane.
In questo ambito già la legge n. 56 del 2014 (disposizioni sulle città metropolitane, sulle province sulle Unioni e
fusioni di comuni) comunemente nota come legge Del Rio, nel tempo ha creato un vuoto, che neppure dall’altra
parte: la legge, quella regionale sarda sulle autonomie locali non ha colmato. Qui, soppresse le province, anche
se il voto sul Referendum riforma <<Boschi, Renzi Verdini>>, del 4 di dicembre 2016, non consente la presenza
di un solo ente regionale nell’area vasta.
Ce ne dovrebbe essere uno capace di dare una programmazione al territorio in accordo con i chi in questi territori
vive. In questo vuoto si inseriscono però allegramente progetti di questo tipo. Senza Province ed in completa
assenza di enti di programmazione: le funzioni fondamentali che l’ordinamento degli enti locali affidava ai
comuni, sortiscono percorsi che poi sottraggono la partecipazione. Consolidando delle scelte come per una
riforma, ma che non indica un ente di riferimento.
La Regione Sarda nel dimensionamento delle politiche pubbliche nelle competenze, come lo sviluppo del
territorio, pianificazione territoriale, crescita economica, i problemi dell’energia, del trasporto pubblico della
viabilità, la politica scolastica, la logistica e i trasporti non si comprende come possa avocare a sé, tutte queste
materie. Facendo divenire queste discipline, oggetti non identificati. Trasformando l’atto unico in variante
urbanistica, letteralmente impone agli enti locali, un risultato che si dimentica della distribuzione dei poteri
veicolata dalla riforma del Titolo V del 2001.
Sviluppando argomentazioni critiche, come queste dell’assetto organizzativo e gestionale dei poteri, abbiamo
sottolineato quel che accade nell’area “vasta” quando ricadono competenze di più livelli di governo. Crediamo
che per settori o campi specifici anche nelle stesse materie, occorre ridare chiarezza. Ridare lucidità ad azioni e
funzioni del governo locale. Mentre al contrario, qui stentano ad essere qualificate le aree ove localizzare questi
impianti, mancano precise disposizioni o attribuzioni, di una nuova funzione. Ma che neppure le istituite città
metropolitane paiono possedere. Pur tuttavia, non sottovalutiamole, si attardano ad assumere nel loro carattere
conservativo e simil provinciale, decisioni omogenee.
Così con questo percorso lungo e sfaccettato, invece noi abbiamo pensato e crediamo che si debba fare strada
anche una programmazione territoriale diversa, con una dimensione amministrativa europea anche per
Oristano, che non può decidersi né definirsi in altre sedi. Ci serve un assetto dei poteri e una migliore gestione
degli interessi distribuiti sul territorio, su di un’area aggredita con continuità da questi progetti. Inutile negarlo
hanno creato ormai sul piano locale, uno snodo cruciale per la gestione dei servizi e beni pubblici. Vorremo si
facesse avanti, dopo tante battaglie, finalmente una gestione condivisa e consapevole, secondo i principi della
leale collaborazione tra diversi livelli di governo.

In queste riflessioni noi chiediamo ai portavoce del movimento, oggi numerosi in parlamento, che già per
le rinnovabili non debbono più pensarsi interne a speculazioni. Che non siano più organiche soltanto ai lauti
guadagni di alcuni Prenditori, in danno dei contributi pagati dai cittadini nelle bollette. Soprattutto non
siano dirompenti con modifiche che alterano destinazioni d’uso dei suoli. Non compromettono il mondo
vitalissimo dei luoghi, che stanno attorno alla loro ubicazione e che possono compromettersi con
installazione di queste strutture. Vorremmo fossero organiche a processi controllati e verificati
costantemente per i risparmi e per i rendimenti, per gli stravolgimenti.
Noi in questi anni le abbiamo viste spacciarsi come indiscutibili, presso in aree abitate, in terreni
economicamente in crescita, sempre lontane dai luoghi idonei per questi impianti. Non crediamo possano
ancora sottrarre o perseverare in una contestuale preclusione ai numerosi progetti e possibilità di sviluppo.
Magari di quelli appena predisposti e pure in corso etc.
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Noi le istituzioni non le possiamo considerare più ignare, da pratiche produttive, appartenenti ad economie
molto diverse rispetto a quelle dei nostri territori. Facciamo in modo si accompagni a questo genere di pratiche
una analisi curricolare delle imprese che vanno girando la Sardegna con progetti identici buoni solo per
catturare gli incentivi. Che spesso si annettono soltanto ai bisogni strumentali delle imprese.
Qui in questo testo abbiamo provato a chiederci e chiediamo alla società oristanese tutta, se queste azioni
rientrano nella politica o in delle politiche? Se coinvolgono azioni di carattere generale, tipo investimenti o
spendita degli incentivi, o se invece possono farsi rientrare nelle scelte territoriali, che comunità intere decidono.
Simili del tutto simili, alle realtà culturali di altre città europee.

A ben guardare la città di Oristano, ad oggi si vede invece sempre più dentro logiche forse applicate in altri
luoghi, ma sempre più distanti da quelle tipiche europee. Se poi invece si scoprono altri casi identici ad una
tipologia estrema di iniziative, come queste, le condizioni di altre città si rendono facilmente comparabili con la
nostra.
Fino ad ora questi impianti rispetto a ciò che per noi significano, dovremmo considerarli invece per quel che
rappresentano, rispetto a quanto attiene alla struttura del potere, rispetto a quel che oggi li caratterizza nei più
diversi tessuti urbani. Speriamo siano diversi dall’insistenza prodottasi, in quest’area della Sardegna, come noi
avessimo una calamita per questo genere di progetti.
Noi non disponiamo di comparazioni possibili. Tuttavia, proviamo a identificare i principali segni di
coinvolgimento di cui il nostro tessuto urbano, così strutturato, dovrebbe cominciare ad interrogarsi sul perché
siamo attrattivi per simili iniziative. Insistiamo nel chiedere, in Europa quante sono le città che si fregiano, di un
numero di proposte simili? Tutte in un lasso di tempo così ristretto, tutte affatto coerenti con le loro vocazioni?
Quali connessioni, si colgono con gli altri centri del continente, o di altri stati. Ci portano alla domanda
successiva, ma questo genere di iniziative in che modo si sposano con i differenti modelli urbani. Ci
interroghiamo e per questo abbiamo studiato, se non si debbano conoscere prima, le ragioni. Quanto cioè i
cittadini tutti, possano esprimersi ancora prima di cominciare l’iter burocratico, riuscendo ad interrogarsi verso
quali destini urbani sono rivolti?
Noi crediamo che esse si possano configurare esclusivamente, per mezzo di prassi relazionali tutte urbane.
Proviamo a fareconfronti, cercando di individuare le modalità e le procedure, e i diversi elementi attribuibili alla
sfera delle azioni locali. In cui sono divenuti chiari i ruoli dei diversi soggetti: l’attenzione dei cittadini, la
mobilitazione del territorio, il ruolo dei sostenitori occulti… Lasciandoli sullo sfondo, non possiamo dimenticarci
sopra tutto i compiti del movimento 5 stelle.

Ad Oristano, una struttura del potere:


Intanto diciamo, che grazie ai cittadini, ed al movimento in questi anni, un potere, è stato messo in campo. Dai
compiti svolti, dalle iniziative portate avanti, sappiamo sia un potere contrattualizzato, cioè immaginato per la
capacità di generare, una influenza decisiva verso un quadro di relazioni, affatto scontate.
Tuttavia, comportamenti, scivolamenti, silenzi, omissioni, grazie alle nostre osservazioni hanno evidenziato
quanto esse non siano identificabili come tali. Quale numero di complici abbiano, nelle nostre realtà, lo abbiamo
colto. Come si rendano iniziative operanti e protagoniste di poteri che non si esprimono, che non prendono
posizione, che persistono in intrecci oscuri.
Qui noi vogliamo considerare i contenuti reattivi alla loro presenza, meritevole di una conoscibilità necessaria.
Dobbiamo inserirli e dotarli di visibilità, applicare loro elementi di analisi, che ci permettano di farli e renderli
riconoscibili nella struttura del potere urbano. Del tutto simili alle città americane, pur duramente criticate, fin
dalla fine, degli anni sessanta. Queste realtà, ce le ritroviamo sempre nelle scelte, messe in relazione ad iniziative
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considerate avulse. Con decisioni spesso in totale contrasto rispetto alle tante reazioni, si fanno ancor più
estranee. Mostrano gli esiti di comportamenti che i cittadini, concordano nel vedere, avulse. Quanto queste
scelte siano dotate di contraccolpi capaci di fornire aspetti interpretativi, per adesso non verificabili in altre città
europee.
Troppo ristrette e troppo differenziate sono le variabili principali, con cui dobbiamo prendere in considerazione
gli studi americani: dai quali però proviene sempre più, ciò che l’influenza dei movimenti e dei cittadini informati
vanno producendo sulle dinamiche urbane. Quelle che negli insediamenti di questo tipo, anche in Europa vanno
pesando ancora di più.
Lo sono qui, per quel che riescono a procurare, per la cultura che riflettono. Per la loro capacità di aggregazione
della domanda di partecipazione, per le mete e gli obiettivi comuni che i cittadini sortiscono in reazione. Nel
continente sono divenute i contesti di mobilitazioni diffuse, si configurano in ripulsa alle tante decisioni prese o
non prese da amministrazioni e da enti.
Nel nostro tessuto urbano evidenziano, invece quanto viene messo in luce dall’azione del M5S. C’è un segnale
che il potere a livello locale, che racchiude in un contesto, delle culture politiche, molto differenti. Tante altre
ancora non si sentono coinvolte per prestare attenzione alla partecipazione
Quanto alle forme condivise, di fronte all’interazione prodottasi, in questi anni, constatiamo alcune situazioni
che ci permettono di rivelare e comprendere meglio. Qualificandole come un passo avanti, solo se noi
individuiamo il modo con cui si instradano, se osserviamo i veri embrioni di risposta.
Inizialmente la comprensione di molte dinamiche, ha comportato delle difficoltà per il ruolo, molto forte dei
partiti. Quando esplicavano infatti, una funzione che non riusciva a contenere le voci. Quando al loro interno,
permettevano ancora si svolgesse una sorta di mediazione dei conflitti fra più livelli. Fra centro e periferia, tra
livello locale e regionale, tra cittadini e istituzioni. Custodendo o rendendo quasi impossibili, non solo l’apertura
di finestre strettissime. Di fatto fino a che erano operanti, impedendo, sempre più, opportunità politiche di
rinnovamento. Passavano in questo modo, e da tempo azioni e atteggiamenti lassisti, contradditori, incoerenti,
fino a quando arriva il Movimento 5 stelle.
Su tutto ciò, fino a quando spalancando, ad un largo pubblico, una finestra. La presenza degli attivisti, con il peso
dei cittadini che si mobilitano. Animando i comitati, accrescendo la massa critica, fatta di iniziative, commenti,
pareri, mobilitazioni permanenti… ecco che si vedono finalmente nascere le molte censure verso questi progetti.
Segnando il tempo del rinnovamento, che non hanno lasciato più senso alcuno in quelle altre organizzazioni.
Nonostante le polarizzazioni sociali e l’asimmetria diffusa del potere. Ora vacillano come in altre realtà. Le
procedure, questo grazie a diverse ragioni.
Rendendo palesi i tentativi spesso tardivi, sono stati gli atteggiamenti dei partiti e degli enti a gettare luce, sulle
opacità interne alle formazioni politiche. Illuminando il buio delle vecchie forme striscianti del potere.
Praticamente nel contesto, si vanno cumulando i dati che la letteratura sociologica europea ci segnala. Quali
ultimi baluardi contro un cambiamento inarrestabile. Esse affidano finalmente un peso ed un ruolo alle
organizzazioni locali escluse dal potere e più in generale, da formazioni, pronte a legittimare gli effetti generativi
di un nuovo potere. Quelli presenti nelle mobilitazioni che fanno venir meno, l’azione di minoranze esclusive, di
canalizzate liturgie senza officianti. Quelle che infatti si limitavano ad affermare: “Non abbiamo mandato. Non
è compito nostro. La legge non lo prevede, ormai è tardi, si sarebbe potuto aggiustare ma ora non è possibile
etc. etc. tanto più con queste affermazioni si estraniavano dalla realtà.
Queste sirene del potere, accendono, ed hanno acceso una precisa serie di azioni collettive, organizzate contro
dei cittadini, siano essi imprenditori, operatori economici, enti ed istituzioni e i molti altri attori coinvolti.
Non si lasciano più indistinte le situazioni. Da quel momento, cioè da quando si innesca una presenza diversa, è
il movimento, a non farsi più ignorare. Emergono subito, le numerose questioni apparentemente collaterali
perseguite da quelle altre formazioni.
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Sollevando problemi nei contesti locali e rendendoli pubblici, ora i cittadini interagiscono con autorità politiche.
Li perseguono con uno e più obiettivi condivisi, per i quali assistiamo tuttavia al cedimento identitario che, invece
assetti storici e ideologici parevano aver dato per scontato, dando per consolidate scelte remote o sovralocali.

Mentre in Europa, si tende già a vedere e riconoscere una struttura del potere locale diffusa, distribuita. Ritenuta
quasi necessaria ad un dinamismo, progettuale e di prospettiva della rinascita urbana. Qui accade che invece di
vedere queste forme del potere locale, assumere l’esclusiva spinta, contro quelle agite dal basso su di uno
specifico territorio. Non si coglie più per tempo, ciò che il potere su scala locale opportunamente, non solo non
è stato capace di leggere, essendo isolato da un contesto politico ed economico. Si vedono invece sempre più
ove siano finite quelle mediazioni, ormai incapaci di vederle attive ed operanti sul piano culturale, i ruoli nei
partiti.
Queste mobilitazioni quando vengono scoperte, vengono investite da una presenza costante dei cittadini.
Mentre continuano ad apparire inevitabilmente inadeguate alle reazioni generatrici di un quadro nuovo di
influenze.
Questo è accaduto, da quando il movimento ha cominciato a rilanciare. Domandando cosa contenessero questi
progetti. Il modo in cui vengono pensati, veicolati e infine calati sul territorio. Ha rilevato come possa essere
ampio e articolate e su più livelli, gli appetiti che si fanno garantiti da una disfunzione informativa. Distanti dalle
consapevolezze critica dal basso.
Quel che le istituzioni lentamente, come in una ridefinizione innovativa dovrebbero considerare e prenderne
atto. Qui si affaccia invece un punto zero. Quello dove i cittadini hanno cominciato a rendere visibile il bisogno
di rivendicare un ruolo. E’ allora che è cominciata ciò che noi chiamiamo: transizione ‘europea’. Racchiusa in un
passaggio affatto semplice ma che dovremmo cominciare a praticare passando dal Government alla
Governance.

Su cosa decidono le istituzioni?


Nell’assoluta eterogeneità dei casi, così come nelle distanze dovute, la nostra città, crediamo non si distacchi
dalle tendenze simili, sparse per il mondo. Non ci facciamo vittime. Noi abbiamo in parte identificato e non
identifichiamo ancora, un processo che ci vede protagonisti, cioè dentro le trasformazioni in atto, che si
evidenziano qui più che altrove. Quel che rientra in queste modalità nuove, con cui il potere locale non riesce più
a concretizzare le azioni dirigiste, secondo i vecchi scenari. Necessariamente invece ci permette, dato che si
affacciano alla nostra portata esercizi decisionali. Quelli che costretti al confronto, con movimenti, comitati,
cittadini. Si notano nuovi, proprio per quel che accomunano, e per quel che evidenziano dentro le politiche
territoriali delle città europee. Quanto essi segnano è il tragitto nuovo in questi decisivi passi.
In primo luogo, aldilà dell’orientamento politico, ed in maniera non diversa a seconda degli schieramenti del
governo cittadino. Molte città europee nei cicli rigenerativi urbani fin dagli anni 80, hanno intrapreso politiche di
raccolta di investimenti. Hanno finalizzato queste azioni, nel creare un ambiente sociale favorevole a mantenere
ancorato e accogliente il territorio alle attività imprenditoriali. Lo hanno fatto spesso accentuando i codici
simbolici del potere delle grandi corporation: respingendo gli obiettivi richiesti di assoluta flessibilità, la difesa
dell’autonomia, le esigenze di sicurezza. Rilanciando un quadro necessario e comprensibile di innovazioni
urbane. Sono state loro a guardare per tempo, alla competizione tra sistemi cittadini, ai vantaggi comparati. A
tutto quel che in maniera differenziata rispetto alle città americane si sono comunque in Europa avviate.
Hanno dato inizio, distinguendosi tra loro, per le dimensioni cittadine, a nuove condivisioni locali. Le istituzioni
se qui non le abbiamo viste nei tentativi di ridurre le tasse o cercare di procacciare investimenti privati e pubblici.
Hanno affidato alla competizione territoriale, molto evocata nella retorica ideologica di un tempo. Delle
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politiche pubbliche, almeno nei propositi dichiarati, provviste di una capacità di assicurare addentellati in seno
ai tessuti produttivi e culturali urbani, ridisegnando e aggiornando la struttura organizzativa urbana.
Le città europee non sono state mute, di fronte a simili progetti: hanno preferito attivarsi fino ad essere descritte,
come comunità e non delle semplici società locali. Ma come società, ancor più estese, ancor più ricche di identità.
Hanno dato vita e trovato il modo di vedere questa nuove configurazioni del potere, all’interno di una visione
coesa di un destino locale condiviso.
Fin dai suoi primi vagiti, ciò che ha evidenziando, Il movimento 5 stelle, facendo emergere alcune necessità con
cui possono ritenersi coinvolte le città. E’ andato infatti via via individuando nelle comunità politiche e culturali
in transizione, gli elementi che riescono a rendere finalmente Oristano città europea.
Grazie al movimento 5 stelle, e alle sue mobilitazioni si è intravisto il trasformarsi la tipologia del potere di un
singolo attore. Superato cioè il cosiddetto potere positivo delle competenze. Annuncia al contrario il ruolo ed il
protagonismo di un attore collettivo, in cui diversi cittadini con accenti e interessi politici e sociali si propongono.
Richiamando le sfide della competizione delle città, dei sistemi urbani che le caratterizzano, cooperando cioè
riescono a favorire il coordinamento e la coesione interna al tessuto urbano.
Perlomeno dalla fine del 2012, essi cercano il consolidamento di una apertura decisiva di idee ancora informali
di una nuova Governance. Aprono ad una pluralità di protagonismi con un crescente potere di influenza, ben
radicati e capaci di esercitare forme di azione diretta (comitati, movimenti urbani, iniziative di innovazione
sociale, gruppi di interesse talvolta anche poco organizzati). Sono questi che hanno cominciato a qualificare la
una proposta alternativa a questi progetti, come quello di San Quirico – Tiria, ma anche la ivi petrolifera di
Torregrande.
A Oristano, dietro questi intendimenti, gruppi di cittadini, sempre più attenti, sono divenuti consapevoli di aver
messo in campo una capacità di azione ed una visione depoliticizzata delle strategie, in nome di un bene comune
finora predefinito e deciso soltanto da una ristretta oligarchia.
Sottolineiamo che sta proprio in questa novità enorme, emersa nella mobilitazione per il termodinamico ibrido,
che c’è stato un salto. Hanno fatto capolino, grazie al movimento in particolare, alcune novità che in questi anni
si nutrono di queste mobilitazioni. Siamo riusciti a far rientrare le esigenze di un contesto nuovo, anch’esso molto
cambiato, quelle di un percorso apparentemente avversativo.
Rivelando che a fronte di tentativi, iniziative potenti (referendum costituzionale, elezioni politiche, meno quelle
amministrative) sempre più e per ampi gradi di efficacia (accordi e convenzioni, ma anche distrazioni quasi
opportuniste), da parte delle élite locali. Si è reso evidente quanto rapidamente si consumino, i risultati elettorali,
cominciando a far venir meno le responsabilità pubbliche (e private) che comprimono e veicolano ogni
strumento urbano.
E se facciamo attenzione al tentativo di tenere bloccate quelle forze tipiche delle città europee. Ecco che si libera
nella nostra e in quelle città, ben aldilà del government (intese quali ristrette decisioni prese sulla base delle
competenze amministrative), il contesto per un'altra forza.
Se ne vede una nuova che va confluendo su di sistema di potere che guarda alla collegialità in cui sono stati
assicurati, per mezzo dei movimenti e dei cittadini, spazi di iniziativa pubblica inediti. Restando non solo attivi,
ma capaci di allungare intervalli di pluralismo e di progettualità. Con la difesa dei beni comuni, si generano
opportunamente tanti contributi per l’allargamento di una partecipazione diffusa.
Garantita da associazioni, movimenti sociali, esperienze cooperative, azioni mutualistiche, servizi e agenzie
pubbliche che, coalizzate o meno. Non interferiscono e basta. Semmai decisamente, denunciano, criticano,
fanno pressione, disturbano. Propongono il percorso di una ragione del potere non soltanto imprenditoriale o
neo liberista.
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Si fa strada, lentamente con i germi citati, di un nuovo impianto, ciò che non ha più la chiave del profitto, ma una
priorità lineare nuova. Nascono forme nuove, per nobilitare un rilancio di logiche più complesse: integrate e
sistemiche di partecipazione e di democrazia.
Quando ci riferiamo ai comitati, che nel frattempo si organizzano, pur formalizzati in gruppi, non stiamo
parlando degli unici attori antagonisti. Anzi completamene autonomi e indipendenti rispetto alla struttura del
potere locale ve ne sono molti altri. Noi i comitati li sappiamo come dei soggetti vitalissimi, che pur essendo
soggetti plurali, e con gradi diversi di dipendenza e talvolta anche con rapporti collaterali con i partiti, sono
comunque capaci di azioni innovative. Noi non ci affidiamo ciecamente a queste, semmai al loro interno con
grande lealtà abbiamo partecipato e contribuito a definire delle vere e proprie policy. Assieme ne vogliamo
reiterare continuamente ogni criticità.
Quel che ci interessa, ora è riflettere sul ruolo del movimento 5 stelle, e costruire con loro nuove iniziative, in
continuità della relazione, di franchezza. In queste collaborazioni. A mettere in luce molti punti oscuri, c’è stato
il movimento che ha sottolineato, che pur trattandosi di iniziative mature. In alcune occasioni occorre essere
capaci di opporsi, resistere e in parte complessificare, le forze presenti nei rapporti con il potere locale. Il
movimento ha affiancato i comitati, e li ha sostenuti non solo per il carattere e la determinazione che esprimono.
Grazie soprattutto alla gestione di istanze di competenza, all’organizzazione di mobilitazioni, alla ricerca di
politiche nuove. Possiamo dire oggi, ci si incontri, dentro queste dialettiche rigeneratrici. Riconoscendo che c’è
ed è consapevole, una presenza critica matura nei cittadini e dell’opinione pubblica.
Nei comitati ci siamo stati e sempre più ci stiamo, in essi abbiamo qualificato un bisogno diffuso, assieme alla
capacità di uscire dal “frame” liberista dominante e alla necessità di pluralizzare i criteri di giustizia nei territori.
Abbiamo analizzato e verificato queste novità che ci hanno fatto crescere. Noi M5S, oggi allarghiamo l’iniziativa
fino a proporre con motivazioni nuove, la discussione e la valutazione di nuove scelte di politica urbana. Fino a
riconsiderare gli scenari evolutivi di aree intere del perimetro urbano. Ripensando tutto, cioè rivedendo tutto
nella gran parte del sistema vasto, della sua organizzazione consolidata. Decidendo assieme ai cittadini, di
superare vincoli e obiettivi prefissati. Quelli programmati e quelli dettati da progetti di sviluppo, decisi altrove.
Contrassegnando come vere e proprie vessazioni, gli sconvolgimenti territoriali come il termodinamico ibrido.
Con loro e con noi stessi, dobbiamo divenire sempre più consapevoli del modo in cui stiamo procedendo, ormai
proiettati nel riconfigurare una decisiva rigenerazione cittadina.

Dove sono finite le politiche?


Le politiche pubbliche a livello locale, come abbiamo visto sempre più, contemplano un quadro spesso confuso
e indistinto, tra processi decisionali di matrice neocorporativa e tentativi resi quasi partecipativi e deliberativi,
da consegnare a singoli imprenditori, o ad associazioni imprenditoriali in nome di rinnovate demagogie. Sotto
forma di caratteri partecipativi limitati, emergono procedure poco trasparenti di ascolto e di organizzazione
delle pressioni, come degli interessi. Spesso aperte da esiti di legittimazione o cooptazione di nuovi attori, anche
di quelle dotate di minori risorse economiche e di minore notorietà.
Grazie al movimento 5 stelle, questi coinvolgimenti, si diradano. Dato che esse amplificano e rendono pubbliche,
qualificandole come delle limitatezze, le adesioni separate con cui si cerca di inglobare, gruppi e singoli.
Riconoscendole come una procedura seria che permetta di far accedere al potere: i cittadini. Non possono
acconsentire neanche a limitati coinvolgimenti, ingabbiati in progetti mascherati. Che spesso prendono l’onda
di particolari episodi presenti nel campo delle politiche, di quelle che propongono la lotta all’esclusione e alla
promozione della coesione sociale. Tal altra distanti da una cooprogettazione diffusa. Declinando ogni
coinvolgimento, gli sfugge proprio come rinvigorire un processo ben più ampio che il movimento invece intende
legittimare.
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Per l’importanza di queste, ma soprattutto per non aver considerato le altre tendenze, ai nostri propositi
analitici: diventa rilevante, capire alcune cose. Non ci si meravigli, se a fronte dell’aumento della povertà urbana,
nonché all’estendersi dei problemi di segregazione sociale quanto territoriale, siano cresciuti invece in risposta
a queste iniziative tutti i meccanismi partecipativi.
Ruolo e funzione dei cittadini, ignorati persino dalla contemporanea ristrutturazione dei sistemi nazionali di
welfare in tutta Europa. Gli Stati dell’Europa del sud, invece da tempo hanno optato per significativi processi di
decentralizzazione e gestione dei servizi socio relazionali. Molti in questi territori, si sono accorti che liberando
una tendenza al rescaling2 oggi presente in tutti i regimi di welfare, hanno di fatto aperto all’intervento urbano.
Integrando le spinte apparentemente deboli dei cittadini, delle associazioni cittadine e dei comitati. Invece
considerate in Europa e soprattutto riqualificate sul piano nazionale, in queste apertura assurgono a
protagonismi che fanno riflettere.
Il rescaling e le sue dinamiche, comincia a cogliersi come innovativo grazie al M5S, quando in reazione ad esso
sa prevedere una riorganizzazione complessiva dei gradi di incidenza del potere dal basso. Non è il solo esempio
con cui effettuare, ad intensità differenti a seconda dei paesi, la reazione ad una presenza critica e ad una
partecipazione, comunque all’insegna della territorializzazione.
E’ la forza, la spinta di un nuovo impegno che incontra il movimento 5 stelle. Capace com’è stato di raccogliere
quanto in questi ultimi 20 anni, è cresciuto sul piano della partecipazione. Sviluppando azioni che hanno seguito,
un criterio, quello della sussidiarietà.
Promosso da diversi protagonisti... c’è stato sempre più, ed è stato espresso un principio con il quale si apre a
forme di integrazione, di concentrazione, a forme di coinvolgimento. Finalizzate a migliorare il coordinamento
fra le politiche di settore e a individuare giacimenti di risorse potenziali nei singoli e nei territori.
Traducendo quel che invece ignorano i partiti, quanto a fianco ad essi si sono aggiunti e si sono moltiplicati nelle
periferie: i tanti disagi. Ma anche le azioni, in cui un ruolo dei cittadini informati, invece che dare il via libera alla
valorizzazione ed alla programmazione delle risorse già riconosciute, hanno qualificato con protagonismo
nuovo, iniziative dirette l’uso degli spazi diversi di mobilitazione.
In questa innovazione sulla quale abbiamo investito, ed alla quale abbiamo assistito, rappresentando la fatica
che ci ha visto, impegnati in questi anni. Al cospetto di due transizioni operanti, una, quella di una
territorializzazione e integrazione, non del tutto nuova. L’altra, rinforzata da diverse pressioni e programmi
eterogenei proventi dal livello nazionale ed europeo. A partire dalla seconda metà degli anni novanta, si sono
accompagnati i cittadini e noi con loro verso un riconoscimento dell’importanza di forme di contrattualizzazione,
e di espressione della volontà di decidere. Affidano a loro gli interventi con cui non vogliono più assumere
soltanto assetti pattizi e negoziali ma chiedendo un coinvolgimento diretto, intendono legittimarsi quali attori
presenti nei processi locali.

2
Brenner definisce il Rescaling come mutamento delle gerarchie fra le scale spaziali del potere politico. Secondo una tesi ampiamente
diffusa la globalizzazione avrebbe eroso e fatto declinare la sovranità statuale e la capacità del sistema delle relazioni internazionali di
governare i processi sociali ed economici periferici. Secondo una tesi opposta gli stati nazionali sono ancora più potenti e starebbero
cambiando ma non scomparendo.
La teoria del political rescaling propone una interpretazione in cui gli stati nazione sono uno dei principali attori ad aver prodotto
strategie e azioni di riconfigurazione delle cornici scalari della vita sociale non solo assecondandola ma anche progettandola e
decidendola. Gli stati sarebbero protagonisti dei processi di formazione di nuove spazialità denazionalizzate. Sovranità e territorialità
rimangono elementi distintivi del sistema nazionale e inter-nazionale ma ricostruiti e in parte trasferiti in altri ambiti istituzionali, al di
fuori dello stato e dei territori nazionalizzati.
La nuova organizzazione della statualità viene vista come il risultato di una ri-territorializzazione delle istituzioni statali alle diverse scale
spaziali: upscaling e downscaling fanno crescere in reazione a questi poteri di livello locale, regionale e trans-nazionale.
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La terza opzione: il Mov 5 S


Il movimento 5 stelle anche ad Oristano, ha messo l’attenzione analitica su tutto ciò, sui mutamenti epocali che
hanno investito la riflessione e il dibattito sull’energia e sulle rinnovabili, oltre che sugli studi e sulle analisi dei
processi partecipativi, sui fenomeni di programmazione delle politiche socio-territoriali promosse in questi anni.
Insieme ai comitati, ai cittadini, abbiamo messo l’accento sempre più sull’emergere nella gestione e soprattutto
abbiamo chiesto di verificare i pronunciamenti e le opinioni dei poteri e delle loro legittimazioni. Andando a
cercare, dove si annida il nucleo sostanziale del potere locale, con il contrasto espresso dai bisogni di
coinvolgimento nelle aree vaste e metropolitane. Investigando in quali ambiti economici, divengono dominanti
nella società globalizzata, individuando i luoghi, dove si racchiude il vero potere decisionale. Abbiamo
sottolineato che il livello esecutivo locale deve essere in grado di sostituire le decisioni o comunque di essere
compreso in questo scenario. Quello assegnatoci dal confronto nazionale/regionale. Che in dieci anni di crisi ha
nella sua attuale visibilità, nelle rappresentazioni a cui abbiamo assistito, tutto quel che è stato travolto.
Accrescendo l’attenzione verso i processi che tentano di rinvigorire il legame esistente tra il protagonismo di
queste nuove entità e le dinamiche ed i pericoli contenuti nel disvelare il percorso verso le forme nuove di
rigenerazione urbana. Abbiamo visto che non si debbono sminuire le iniziative politiche e culturali che il
movimento 5 stelle Oristano, ha permesso di svilupparle sempre più.
Nascono in questi contesti, all’interno di associazioni urbane, dei cittadini, dei movimenti etc. grazie a queste
nuove esperienze capaci. La sfida alla struttura del potere, nel criticarla e denunciarne aspetti di iniquità, di
estraneità. Segnalando gli influssi che anche in realtà apparentemente remote, si annidano i dettati dalla
globalità.
Riprendendo molte delle iniziative, nelle quali ci siamo espressi e che si caratterizzano non solo per la capacità
di nomina dei problemi, ma per la denuncia delle inerzie, delle decisioni e delle non decisioni, che li alimentano
e li mantengono tali. Abbiamo inteso e intendiamo evidenziare pure le strumentalizzazioni.
È cresciuta e tanto, dobbiamo riconoscerlo, in noi la capacità critica che il movimento ha avanzato, dentro le
iniziative di mobilitazione. Ci hanno visto e di fatto hanno reso sempre più riconoscibile la struttura e le
incongruenze del potere locale. Incapace di cogliere una progettualità di livello europeo che ormai fuoriesce da
tutte le infrastrutture mancanti, sulla circonvallazione, No Ivi petrolifera, foce e letto fluviale, la viabilità, i
trasporti, i beni culturali etc...
Abbiamo colto e non riteniamo affatto un esito scontato e tantomeno raro, per contesti politici post-ideologici,
i limiti segnati spesso da partiti cartello. Ovverossia ciò che non si può tacere, che persistono parititi trasversali,
cioè quel che organizzano i partiti tradizionali ed i loro rapporti collusivi. Per il modo in cui curano tra loro gli
interessi di pochi. Specie quando prendono di mira delle risorse pubbliche.
Il movimento 5 stelle, adesso non intende essere solo civismo o semplice qualità del discorso pubblico. Abbiamo
testimoniato e abbiamo creduto curando, qualificando le culture e le identità politiche nuove. Abbiamo
dimostrato che ci sono continuità sommerse, in quelle totalmente rimosse dal Pd e dai partiti tradizionali.
Personalità e opinioni che nei comitati e nei movimenti si sono rinsavite, qualificando sempre più numerose
istanze di una nuova governance.
Praticare gli obiettivi che ci si prefigge, sostenere scelte, qualificare soluzioni, per far crescere lo schieramento
con cui formulare azioni non soltanto simboliche. Rendere discutibile, traversale la critica, denudando la
struttura del potere locale. Dimostrare quanto siamo capaci di sviluppare iniziative che hanno un effetto
importante in termini anche di identità collettive di lungo periodo, (partecipazione, azione critica, elaborazione
culturale, cooprogettazione, innovazione politica).
Queste cose non qualificano solo il ruolo del movimento, si tratta di fenomeni propri, nei quali esso si trova
immerso. C’è e si fa avanti un protagonismo nuovo di fronte allo svuotamento delle esperienze partitiche. Era
già in atto da tempo. Ma con la fine della base di iscritti, la crisi della funzione identificante dei partiti di massa.
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Svanisce la loro capacità di produrre identità collettive di lungo periodo, fino a non riuscire più a formalizzare più
alcuna presenza.
L’innovazione sociale e politica che abbiamo messo in campo noi, ha prodotto un nuovo humus partecipativo,
in cui vanno prendendo vita, molti elementi di una nuova identità collettiva che oggi ci accompagneranno alla
definizione di un nuovo progetto urbano, che deve farsi sempre più strada.
La novità sta nel fatto che i cittadini producono e fanno circolare dirompenti risorse simboliche e critiche.
Legittimando temi, includono e devono accogliere soggetti marginali finora considerati fonti di disturbo sociale.
Son loro a sperimentare e mostrare spazi e possibilità di impegno civile, in grado di mettere in discussione la
distribuzione del potere. Avvicinandoci agli esclusi, non solo dagli scenari socio economici.

Una critica decisiva


Abbiamo evidenziato che l’innovazione sociale e culturale nella mobilitazione, prorompe tendenzialmente
all’interno di fasce ampie di delusi. Grazie a movimenti urbani, però si sono qualificate spinte e forze politiche
capaci di sfidare ciò che stabilizza una condizione apparente. Quanto si racchiude nella struttura del potere,
spesso sta proprio nella stagnante stabilità, di cui si fa garante. Per criticarla e denunciarne aspetti e disparità.
Elevando proposte che si caratterizzano proprio per la capacità critica innovativa che stanno in queste prese di
posizione. Si evidenziano con grande contrasto. Questo era un esito non scontato e che ovviamente sta nelle
nostre mani, si annuncia (almeno speriamo) nel chiudersi della vicenda del termo dinamico ibrido.
La crisi della funzione identificante dei partiti di massa, è leggibile. Decisamente in contrasto con queste nostre
innovazioni, si evidenzia sempre di più quando non hanno più la capacità di produrre identità di lungo periodo.
Se nei contesti post ideologici, cominciano a fare breccia, nuovi impulsi. Rivelando la morfologia di questo
potere, non ci stupisce se si rendono indistinti persino anni e anni di competizioni dei sistemi ideologici.
Considero questo punto, come evidenza non solo dei termini della qualità del discorso pubblico ma anche in
termini di culture e identità politiche. Spero ci si renda conto, c’è una pratica di obiettivi concreti, che ha sempre
più indicato ciò che è il M5 stelle. Restano tra le macerie spiazzate non solo date, dall’uso delle nuove tecnologie
e dei suoi rivolti più popolari come i social, ma rispetto alla gran parte della innovazione politica e sociale, delle
istanze mosse dai cittadini.
I partiti, non sono più in grado di produrre discorsi pubblici. Non riescono più a far circolare risorse simboliche,
né a legittimare temi. Figuriamoci se riescono ad includere ed in questo senso a spianare la soglia della
partecipazione. Ancora rigidi officiano qualche parola d’ordine.
Mentre è il movimento che ha sperimentato come questi spazi, siano buoni per l’impegno civile. Quando
divengano veri e propri baluardi a difesa delle capacità dei territori più fragili. Al tempo stesso qualificano il
cambiamento, quale necessità delle condizioni strutturali di società, economia e ambiente locale.
Non siamo solo testimoni della funzione partecipativa, di un discoro pubblico nuovo.
In questo non crediamo di essere gli unici. Sono diverse le iniziative, in grado di riconoscere delle finestre di
opportunità nella struttura del potere locale. Non per fare delle alleanze e neppure per accedere a fondi, non lo
saremmo per poggiare esclusivamente la nostra capacità di azione prima sui media e poi su una base
istituzionale.
Noi vediamo al contrario un dato importante, operato da fenomeni tipici non più provenienti da collateralismo
o da accordi di scambio da parte dell’élite politica.
Quella interessata in passato ad ancorare il proprio consenso a qualche lista civica mascherata. No, solo in alcuni
casi, queste iniziative di innovazione sociale sono state in grado di favorire dei veri e propri processi. La
redistribuzione del potere, mai viene ritenuta in grado di rianimare una scena democratica.
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L’approvazione di questo provvedimento, che riguarda il termo dinamico ibrido di San Quirico, per ora appena
scongiurata invece potrebbe lasciarci tutti sbigottiti, intanto per la VIA (valutazione di impatto ambientale)
ottenuta e poi ridiscussa per l’autorizzazione unica. Così incredibilmente concedibile, potrebbe pure rivelarsi
solo in parte bloccata e solo temporaneamente rinviata.
Siamo sicuri invece che con essa si negherebbe e si invertirebbe di fatto, una redistribuzioned ele numerose
novità, di ciò che sta avvenendo in questo processo partecipativo. Negando il potere verso le associazioni e i
comitati, ma soprattutto contro il Movimento 5 Stelle, in questa come in altre singole azioni delle regeneration
budget3. Denuncia tutto quel che costituiscono le azioni di contrattualizzazione per le opere pubbliche, nel
ridefinire i bisogni urgenti di una città.
Noi crediamo occorra ora farsi avanti senza mascheramenti. Procedendo verso un allargamento delle possibilità
di partecipazione. Accrescendo le fila, far divenire un progetto nuovo, tutti i significati del nostro no a questo
impianto. Mediante una opposizione propositiva, potremo recuperare di fatto, il potere da affidare ai cittadini.
Costruire ex novo, una programmazione del nostro territorio, rappresentarlo nei termini degli output
amministrativi da realizzare.
Questo non è un risultato soltanto dei nostri sforzi. Ciò che noi tutti possiamo vedere quando si è coinvolti, in un
percorso nuovo, dove arriva la forza di un discorso non ancora scritto.
Con i cittadini, quando si evidenziano i bisogni di una gestione e di una rigenerazione urbana. Ci inoltriamo verso
uno scenario inedito. Che parte dal fatto, che non potremmo subire passivamente una nuova progettazione
strategica. Ne può apparirci innovativa una semplice “reingegnerizzazione” di fronte ai numerosi programmi
invece sotto sotto praticati. Noi siamo per i miglioramenti ambientale e infrastrutturali ma anche ad assicurare
spazi per il lavoro, per i giovani, per liberare energie. Dare sostegno a decisioni economiche che riguardano gli
investimenti alla piccola impresa locale, per lo sviluppo dei programmi di sostegno educativo, per il rilancio di
pratiche sociali che impegnino sport, musica, arte.
Nella crisi dei partiti di massa e nei limiti della capacità di selezione, della programmazione, noi vediamo una
riduzione e una semplificazione delle scelte politiche di minoranze. Noi invece vogliamo riformulare,
trasformare e non omettere le domande ritenute informi che urgono dal basso. Siamo consapevoli di avere
davanti a noi queste opzioni. Con esse, il modo in cui si propongono per sciogliere schematismi e interessati
schieramenti.
Vogliamo promuovere iniziative capaci di aprire spazi non solo all’interno dei luoghi decisionali. Intendiamo
favorire processi di elevazione della domanda sociale, che non trova ascolto nelle decisioni di oligarchie urbane.
Qualificando forme nuove di rappresentanza. Vogliamo si sappia apprezzare il valore di una pianificazione
concertata con i cittadini. Considerando una mancanza diffusa, proprio l’assenza del coinvolgimento. Molti
centri di potere locale (dentro differenti tradizioni e pure in regimi diversa ispirazione) nell’affrontare i problemi
della povertà e della esclusione non solo sociale, crediamo non si debba più diffondere, il senso di impotenza.
Abbiamo cioè davanti a noi delle iniziative che non sono, solo in grado di promuovere semplicemente il conflitto.
Bensì aprendo spazi nuovi di un discorso pubblico. Affidano visibilità a temi ed esigenze sociali, che decideranno
le nuove leadership. Quelle capaci di conseguire le rigenerazioni cittadine, attivando e organizzando le
mobilitazioni innovative.
La nostra prudenza per il riconoscimento dell’impegno non viene meno. Non lo sottovalutiamo affatto, noi non
preferiamo ruoli e figure rispetto invece ad idee e processi. Al contrario. Noi abbiamo avuto sempre rispetto dei
comitati, tuttavia non ci siamo sottratti neppure alle dialettiche interne alla mobilitazione.

3
Garsia di Leonardo Abitare la rigenerazione urbana(…) per Regeneration budget si intendono quei progetti e programmi e relative
coperture finanziarie che influenzano le prospettive sociali ed economiche delle comunità e richiedono una azione coordinata. Ovvero
se noi dovessimo come in Gran Bretagna evidenziare sul piano dei vantaggi sociali la funzione del settore sanitario, diviene evidente
quali interconnessioni esse hanno con gli aspetti economici, sociali e di sostenibilità generale. Pag. 30
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Alcuna funzionalità autogestita


La presenza continua del movimento, che con sollecitudine critica è stato dentro questa iniziativa, e dentro le
altre per il contrasto a questi diversi progetti, in questi anni ha cercato assieme di animare i dibattiti sulle
operazioni immobiliari, sugli stravolgimenti dei luoghi, sulla riqualificazione delle periferie. Producendo
iniziative che non hanno ancora realizzato un impatto nella ridefinizione degli investimenti. Né abbiamo creduto
ad allargamenti posticci delle cabine di regia dei fondi pubblici.
Tanto meno potremmo vedere o permettere più, che dei leader di questi conflitti, ci si accontenti di una
conquista di quel sufficiente consenso in cui potrebbero essere coinvolti in forme o in itineranti tipici o di nuovi
prototipi politici. Se non cogliamo questi abbrivi, se non siamo in grado di riconoscerli, quando si presentano
come indipendenti. Quando tentano la proliferazione, di scorciatoie verso le istituzioni, dobbiamo essere
opportunamente riflessivi.
Evidenziare piuttosto che concertare con i cittadini, essi sottraggono al circuito istituzionale della
rappresentanza democratica, molte bontà di questi processi partecipativi. Siamo sicuri non debbano più, ne
crediamo possano modificare il repertorio aperto delle azioni dei movimenti, associazioni etc., né tanto meno
facilitare o favorire un processo di istituzionalizzazione degli stessi.
L’accesso di simili iniziative all’arena della rappresentanza, non può dipendere esclusivamente da fattori
congiunturali, e neppure possono ritenersi legati a colori politici. Più in generale dobbiamo essere capaci di
attivare queste strutture per le opportunità politiche che possono generare. Produrre in favore del
coinvolgimento dei cittadini il merito. Anche quando per quelli che sono lontani, persino per quelli che fino a
poco prima hanno istituzionalmente canalizzato o ostacolato l’azione collettiva.
Sono queste le ragioni di fondo che il movimento dovrebbe evidenziare, cominciando a contare soprattutto su
alcune dimensioni irrinunciabili, del governo locale e in particolare:

a) affidandosi alla capacità dei rappresentanti eletti di accedere e influenzare i diversi livelli di governo.
b) verificando lo status politico e le loro legittimità, con i cittadini;
c) chiarendo le sfere di competenza e le funzioni presenti e diffuse presso enti e uffici.

Insomma superare i rischi di questa configurazione istituzionale, per raggiungerne una nuova.
Proviene dai contributi e dai livelli di presenza in città di autorità di livelli amministrativi diversi. In un contesto
istituzionale multisfaccetato e con una pluralità di interlocutori, che pure possono darsi. Solo se noi assumiamo
la consapevolezza per le soluzioni diverse, che stanno in una molteplicità di centri di potere indipendenti, ed
interni ai territori. Senza renderci impazienti di fronte al nascere di nuovi protagonismi. Solo allora si potranno
affacciare, delle opportunità politiche. Per praticare una responsabilità verso i luoghi in cui il contesto
istituzionale polarizza i rapporti. Oltrepassando questi termini di una competizione e di un totale abbandono
dell’opinione pubblica. Noi invece crediamo possa in essa, insediarsi la visione di funzioni nuove, svolte dalla
pubblica amministrazione, quale esito dei solleciti che sapranno produrre i cittadini.
Pur custodendo e con grande serietà, assecondando le canalizzazioni critiche di cui sono capaci i comitati, per la
formazione dell’opinione pubblica, per il disvelamento dell’azione dei poteri locali, per le evidenze globali che
possono giungere, con loro occorre costruire dialettiche, non campi separati.
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PARTE SECONDA

Fragilità dell’innovazione politica e culturale


Diciamo queste cose, sapendo che pur inseriti in reticoli di relazioni di potere, a noi non favorevoli. Abbiamo
visto come le iniziative di innovazione culturale dentro le vicende in cui la popolazione ha una attenzione debole
e spesso una partecipazione marginale. È stato il movimento impegnato a sostenere la capacità di azione e
rivendicazione: rispetto alla soddisfazione di alcuni bisogni primari.
Con i cittadini in ascolto, a sottolineare quanto le nostre iniziative siano in grado di fornire delle strategie urbane.
Senza percepire, né apprendere o usare i margini di incertezza e di disordine di cui è capace la struttura di potere.
Quella infastidita e non quella preoccupata all’opposto in via di configurazione. Dietro delle azioni in cui si
confrontano i comitati, le associazioni, i movimenti, non abbiamo mai pensato di scompaginare il campo. Anzi
abbiamo dato un apporto per generare nuovi beni collettivi: come la coo-progettazione. Irrobustendo le
iniziative di reazione politica, come stiamo facendo.
La chiusura e la durezza dei rapporti spesso consociativi, di queste esperienze, è quanto abbiamo riscontrato
frequentando alcuni comitati. Se non speculativi, mostrano comunque margini di crescita, oscillanti di
cooptazione. Essi crediamo potrebbero ancor più rivelarsi diversi e in contrasto con certi fautori di isolamenti, di
primazie. Non trovandoli più liberatori e né generativi di possibilità, siamo stati in ascolto.
Senza di noi, neppure i comitati potrebbero dire ciò che sta invece in queste iniziative. Non sarebbero in grado
di raccontare quel che abbiamo sviluppato. Come stia in una capacità sottile di riconoscere gli interstizi e le
scorciatoie. Si tratta di azioni sempre presenti, che debbono essere concepite ed inserite in un contesto, del
quale non abbiamo poca stima anzi.
Siamo dentro e da tempo con i cittadini, non temiamo di essere tacciati di affiliazioni indebite, né di ricevere
delle critiche riguardo l’animazione interna ai comitati. Caratterizza un clima del cambiamento istituzionale e
delle trasformazioni dei modi dell’azione collettiva. All’interno di queste interazioni, noi ci siamo sempre stati.
Crediamo di aver trovato molti degli attori noti ed interni a queste mobilitazioni. Solo se gli sbocchi, non possono
dirsi lineari ovvero omogenei ad alcuno, noi continueremo ad esserci.
Rivendichiamo però il fatto che gli esiti debbono tenersi sempre aperti e incerti, diffendibili proprio dalla
illusorietà. Ma anche generativi di alleanze e di una forte azione di condivisione. Consapevoli che in un dato
momento possono rivelarsi fallimentari, eppure subito dopo essere vincenti. Crediamo al contrario che in questi
dati di incertezza, stia una grande virtù. Quella indomita delle dinamiche di interazione, che non sono solo
contestuali, ma anche molto contingenti nei loro gesti. Si tratta di luoghi dove si formano le iniziative di
innovazione politica e sociale, che richiedono dialettiche rispettose. Pur facendo molta fatica in questi contesti,
spesso infatti, esse scongiurano la stabilizzazione di piccole conquiste. Impediscono che si consolidino rendite
di posizione. Per questo è bene credere di mantenere viva e criticamente avvertita, al loro interno la
partecipazione.
Un caso emblematico di questa fragilità è rappresentato da una condizione che stiamo vivendo in citta ad
Oristano e nei territori. Domandarci cosa rende capace di attirare l’attenzione di queste imprese, che si fiondano
sulla frammentazione e sulla debolezza politica sociale ed economica della città. Domandandoci perché accade
ormai dall’inizio degli anni novanta tutto ciò forse troviamo risposta anche a queste esperienze cresciute nel
frattempo.
Come elevare i segni positivi, di quel che stiamo trattando e che grandemente maturano nelle risposte, che
spingono per interventi partecipativi nei quartieri più svantaggiati, nei territori impegnati da attività agro-
zootecniche, nei quartieri che attendono le infrastrutture urbane. Si tratta di esperienze che sono riuscite ad
ottenere molto nel riconoscimento istituzionale, ma anche nel riconoscersi e legittimarsi.
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Hanno permesso alle associazioni, ai comitati ma soprattutto al movimento parecchia visibilità, rifuggendo le
abbreviazioni civiche o pseudo partitiche.
Ora finalmente si può andare oltre. Se siamo in grado di cogliere tutte le nuove caratteristiche di fondo dei
cambiamenti in atto, che si vanno affermando: e che ritroveremo con l’accrescersi della democrazia urbana.
Intendiamo dire che si tratta di esperienze che potrebbero accomunarsi, per il cattivo gusto con cui si fa uso di
denaro pubblico, per il pessimo itinerario di condivisione delle politiche urbane, per nuove e vecchie
rappresentazioni partitiche. Per spiegare i fallimenti di certa classe dirigente etc. Anche se non basta. Anche se
avessero un unico fattore causale e dovrebbero spingere tanti, al cambiamento della maggioranza di governo di
una città. Rendendosi sempre meno sensibili, alle richieste pubbliche dei grandi immobiliaristi, o magari
invischiarsi in riformulazioni liberistiche e settoriali delle politiche di rinnovamento urbano, vanno svolgendo un
ruolo attivo e aperto.
Perlomeno a parole, sappiamo che ci si può dare degli obiettivi oltre quelli che da tempo, sottotraccia
ricompaiono. Vediamo quanta sia la fatica dei partiti, per spiegare come sia stato possibile disperdere
rapidamente e molto, quel patrimonio di pratiche e di reputazione cumulato. Anche quello rimediato
recentemente nelle elezioni amministrative avvenute appena un anno fa.
In quindici anni invece si è reso volubile, un sostegno che se privo di risposte, non trova più le energie e meno
ancora fattori credibili, con cui vari rassemblement hanno invece di fatto lasciato la citta nelle condizioni in cui
l’hanno trovata.
Oggi non si può nascondere invece che l’avvento della complessità economica della città e delle strategie
necessarie per individuare le fonti di trasformazione, di finanziamento di una programmazione finalemnte
europea. Richiede una capacità di imparare, quel che accresce i motivi di attrazione dei finanziamenti e degli
imprenditori capaci di finanziare gli investimenti. C’è ed è forte, pure una perdita di capacità di influenza culturale
e simbolica nel discorso pubblico locale e regionale nel quale Oristano è ora più che mai marginale. Non possono
esserci narrazioni conservatrici e anti egualitarie, neppure quando esse cercano di prendere il sopravvento, verso
un nuovo corso urbano.
Questo invece dovrebbe esser chiaro a tutti i cittadini, quale dimostrazione dell’importanza di analizzare anche
nelle traiettorie discendenti, i fallimenti di percorsi politici, che possono ancora rendersi praticabili. In cui le
variabili di contesto più rilevanti agiscono per influenzare non soltanto un esito e non un altro.
Occorre convincersi che il percorso del movimento 5 stelle, che stiamo producendo invece deve essere in grado
di rivelare tutto l’impegno che occorre compiere per individuare variabili dal forte potere esplicativo. Ciascuna
esperienza è radicata in contesti, le cui dinamiche sono intricate, da rendere difficile la comparazione
sistematica. Ciò nonostante ci sembra di poter ammettere almeno due tipi di fattori che qui ad Oristano città
europea assumono una certa rilevanza.

Primo luogo
In un primo luogo, mi pare che le azioni del movimento oggi intersecano nella comunicazione prioritariamente
le attività poste in essere dalle istituzioni. Non voglio dire che siano esse a legittimarle, voglio rimarcare che
possono non avere un successo duraturo, rispetto a quelle iniziative, che sono capaci di creare modalità forti di
coordinamento dal basso. Numerose pratiche del cambiamento, non si può negare che possono essere ora
garantite anche dall’alto sul piano rappresentativo, politico, finanziario e dei diritti.
Più previdenti, senza esagerare lo sono, nel considerare il peso dei fattori esogeni alle azioni di sistema,
possiamo affermare che possano divenire un fattore di successo, se si crede nel loro potere diffuso. Nella loro
capacità di influenza, che non è dato soltanto dato dalla competenza o dal farsi garantire presso i mass media.
Ma che sta nel saper esercitare un peso con cui negoziare un grado di protezione e promozione. Nonché
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interpretare strategicamente le norme contabili, le tecniche tributarie e le norme giuridiche e le azioni delle
strutture amministrative di settore che pure vincolano il campo di azione ma che possono liberare spazi per
agire.

Secondo luogo
In secondo luogo, è strettamente legato al primo punto, riuscire nel maggior successo di quelle iniziative che
sono capaci di giocare continuamente sulla scala dell’azione pubblica ma sempre in grado di risalire la scala.
Portando con sé la rete di iniziative dal basso, verso la comprensione territoriale a cui sono collegate le azioni dei
cittadini. In altri termini non sono le organizzazioni che hanno una strategia di coinvolgimento e di
partecipazione tutta collocata a livello micro, o per contro, riconducibili solo al livello macro. Sono due livelli se
messi in comunicazione. Possono muoversi contemporaneamente ai vari piani dell’azione pubblica, cambiando
risorse e opportunità, rintracciabili nelle scelte praticate ai diversi piani.
Questa capacità di dare dinamismo culturale su più livelli. Non deve darsi per scontata. Sembra particolarmente
importante anche al fine di acquisire larghezza di alleanze, con i cittadini. Ma anche per la maturazione di
contenuti e di comunicazione mediatica corretta. Quando esse si articolano, per influenzare la quotidianità
politica delle amministrazioni, quando si proiettano per condizionare l’agenda con cui mobilitare nuove risorse
su performance conflittuali. Allora possiamo cogliere le forme degli equilibri di potere che mutano.

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Aldilà di quanto già detto, la domanda continua a tornare incessantemente, come facciamo? ed osservare le
vicende che stiamo vivendo di queste iniziative così creative. Certamente possiamo affermare che queste
iniziative non hanno mai risposte automatiche in contesti di deprivazione relativa.
Speriamo sia chiaro, ciò che facciamo, lo facciamo per costruire delle politiche, non lo facciamo perché non si
potrebbe fare altro. Non lo facciamo perché non c’è altro, non esistiamo come movimento, soltanto, perché non
c’è altro.
Sottovalutiamo spesso e ci dimentichiamo altrettanto che noi abbiamo messo in campo un agire intenzionale,
orientato da principi e criteri di giustizia, verso forme nuove di attenzione ai beni comuni, alle relazioni condivise.
Con le reazioni automatiche e prevedibili a trasformazioni strutturali avulse, come queste del termodinamico
ibrido. Numerose azioni sono state canalizzate, da iniziative istituzionali che rivelano un senso, che ci hanno
visto protagonisti sul territorio, è questa la forza del movimento 5 stelle. La nostra forza sta’ nella presenza di
più discorsi, che caratterizzano ogni forma di mobilitazione, in cui rientrano tante ragioni processuali di vari livelli
partecipativi.
Possiamo accontentarci di richiamare i fattori che abbiamo messo in luce finora? Ovvero quelli di una leadership
condivisa ed una capacità di apprendimento organizzativo, che continua a procedere verso scelte davvero
consapevoli?
Possiamo sviluppare una sola riflessione su di una competenza all’agire in rete, che porta a stringere alleanze di
qualità e a curare i processi relazionali e non solo per le riscossioni tipiche, delle vecchie politiche, ma per crescere
orientamenti generali, legittimazioni condivise.
In esse si aveva subito, tempestivamente una spendita strumentale dei prodotti della mobilitazione. Noi
crediamo ci si possa rivolgere ad una capacità inventiva e simbolica, e nello stesso tempo a preferire il rispetto
verso le capacita critiche dei cittadini.
Non si tratta allora di avere un piede nelle istituzioni e uno nei movimenti, né di dare una spinta dall’alto e una
dal basso. Semmai sta in quest’arte dinamica che dobbiamo continuare ad avere, nel creare massa critica
condivisa, per stare con la mobilitazione delle persone e salvaguardia delle risorse. Mediante intelligenze e
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pratiche, conquistando sempre più azioni capaci di vedere il conflitto in atto. Ma anche nel mediare, senza creare
consenso speculare, su soluzioni compromissorie. Sembra resti questo il quesito più ampio, più indefinito, che
attiene alle condizioni di successo e agli esiti di queste iniziative. Il ruolo del movimento 5 stelle Oristano può
giocare, da protagonista, con i cittadini informati, gli attivisti e tutti quanti si riconoscono in processualità nuove,
ma che ruolo si deve avere?

I movimenti
L’osservazione dei movimenti urbani lo diciamo, finora dimostra tutta una pluralità complessa di esperienza
consolidate e continuative che lavorano per invertire le condizioni di degrado della città, degli abitanti della
periferia, del sempre più diffuso dissesto sociale dei territori. Grazie al coordinamento di investimenti pubblici
in favore dei beni comuni, si possono fornire servizi e supporto al sostegno culturale e politico quotidiano delle
persone.
Le iniziative a cui abbiamo dato sostegno, le abbiamo animate, le abbiamo partecipate, facendo sempre più
sotto traccia Oristano città Europea. Ora e lo diciamo a tutti e ce lo diciamo tra noi. Essa devono divenire
emblematiche di una capacità più ampia, in cui abbiamo definito innovazioni politiche e culturali. Il punto non è
relativo solo a ciò che facciamo, o a come lo facciamo, o con chi lo facciamo. Bensì l’impressione più forte che si
ricava analizzando queste intraprese collettive a cui abbiamo partecipato, è il dato di una cultura politica
singolare e in controtendenza rispetto a molte altre, pur nobili, come iniziative solidali del terzo settore.
Approfondendo metodologie, proponendoci nei comitati, nei movimenti, nelle iniziative pubbliche, le abbiamo
viste accomunate, da una specifica cultura critica che va aldilà dell’orientamento ideologico in senso stretto,
aldilà di una parte pur ricca di esperienze, che sono in cerca. Noi riconosciamo che stiamo definendo percorsi e
scelte che non contemplano solo le energie rinnovabili.

Il Mov 5 stelle nelle culture politiche


Quelle a cui siamo stati vicine in questi anni in cui ci siamo confrontati con iniziative, con comportamenti e
dibattiti di vario genere. Per la composizione di attivisti, per le culture e i temi che abbiamo accluso, in generale
le abbiamo fornite di contributi e azioni in quanto atti provvisti di fertilità e di creatività. Lungamente trascurate
non solo dalle scienze sociali, ma anche dalla pubblicistica più comune. Noi invece ne abbiamo colto, nelle nostre
elaborazioni, molti elementi che ne fanno un programma di ricerca. Se in passato forse si erano strutturati
secondo metodologie quantitative, ovvio ci mancano misure di analisi comparative. Dentro i movimenti e i
comitati, risultavano sconnesse molte continuità, ora invece basandoci sulla considerazione dei valori,
sentimenti e credenze al fine di spiegare un comportamento politico e culturale corretto, paiono rappresentare
un plafond dal quale continuamente ripartire.
Noi sottolineiamo l’importanza di cogliere non solo le componenti cognitive relative a conoscenze e credenze
che si riflettono sulle realtà politiche anche locali. Noi e lo ricordo ai più critici, le abbiamo praticate
aggiungendovi una componente non secondaria, davvero nuova: quella affettiva. Per i luoghi e per le persone, a
cui abbiamo dimostrato l’attaccamento affettivo. Tra noi sono cresciuti dei sentimenti. Nei confronti dei cittadini
colpiti, abbiamo mostrato vicinanza, che la politica e neppure quella valutativa l’ha considerato. Quella legata ai
valori e ai criteri di giudizio scientifico, spesso non è riuscita a porsi oltre l’ipocrisia.
Ci siamo addentrati provvisti di una responsabilità nuova, in una ricerca nella quale si privilegiano definizioni
processuali. In cui l’espressione cultura politica, l’abbiamo vista divenire uno strumento analitico e affettivo.
Dietro un contegno sempre attivo, buono a cogliere un insieme di simboli e di significati ed un dibattito sugli stili
di azione, abbiamo consolidato una presenza.
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Abbiamo cioè creduto in una politica, che il movimento ha dimostrato di saper riconoscere attraverso gli
individui e i gruppi che organizzano la formazione delle opinioni e delle domande politiche. Cercando di
analizzarle democraticamente non solo sulla base delle coscienze solitarie dei luoghi. Ma per essere colte in
azione o in relazione alle capacità performativa dal basso, fino nelle intenzioni come nelle aspirazioni.
Il movimento non è in grado di vincolare, supportare e indirizzare le azioni degli attori individuali e collettivi. Al
contrario ha tenuto aperte le strutture formative personali e di formazione degli attivisti. Questo dimostra
davanti a tutti i termini relativi e rispetto ad altre passioni, da cui ci distinguono e ci separano i contenuti.
Noi abbiamo testimoniato, quanto corre quando siamo stati assieme ai comitati, ai cittadini. Per noi mai stati,
semplici aggregati, cataloghi o sommatorie di valori e opzioni politiche e morali.
Bensì abbiamo visto crescere assieme, delle strutture autonome di pensiero, in quanto articolazioni coerenti di
visioni del mondo e dell’azione finalizzata a una riduzione della complessità e dell’intrinseca contraddittorietà
dell’azione istituzionale, spesso soggetta soltanto all’ascolto degli interessi.
I nostri codici comunicativi intersoggettivi permettono di avvicinarci, capirci e di comprenderci. Quanto
scardinato e finora ottenuto con le nostre iniziative contro le aggregazioni interessate. Le abbiamo rese possibili,
ripartendo dalla Costituzione, chi non se ne accorge non fa un servizio al rinnovamento e alla rigenerazione
democratica della città europea: come Oristano deve essere.

Entriamo nel merito


In questi mesi, le nostre riflessioni, sui comitati e sull’opposizione al termo dinamico ibrido, ci hanno
letteralmente portato a vedere una cultura politica che tarda a cogliersi in quanto è sottesa alle iniziative di
innovazione sociale come questa, che qui vi proponiamo. Ad una lettura vaga, non si riesce a cogliere cosa si
racchiuda, in queste vicende. Con quali tratti caratteristici prende ad esprimersi, quel che noi invece abbiamo
scandagliato.
Tra i tanti c’è un aspetto che abbiamo evidenziato tante volte, in negativo e per differenza. Rispetto alle
grammatiche politiche del passato, abbiamo contribuito a sfatare ciò che nel progetto si perorava per i cittadini.
Un ruolo passivo che avrebbe permesso il dispiegarsi dell’azione imprenditoriali speculativa a San Quirico Tiria,
en plein air e senza opposizione.
L’altro aspetto, in positivo in termini di forza e di ricerca di valori comunitari della cittadinanza, si rapporta sulla
scena pubblica, per gli altri cittadini come noi. Abbiamo superato tutto ciò, con una proposta, sul campo, i cui
contenuti di queste due realtà, sono tendenzialmente accomunati, non più desueti.
Ora invece presso l’opinione pubblica ed i cittadini sono vivi, e sta venendo il tempo di definire un progetto:
aperto alla cittadinanza, in cui si delinea il percorso vero di una rigenerazione urbana.
Dunque oltre i no, siamo capaci di condurre la riflessione nei territori del cambiamento. Noi per questo ci
opponiamo al termodinamico ibrido, non semplicemente per opposizione e differenza rispetto sia ai parametri
degli orizzonti del pensiero liberale (attento solo ai diritti individuali e alle libertà personali di imprenditori in
preda a prepotenze nei territori) e ci opponiamo al tardo pensiero comunitarista (che pure implica che gli
individui stiano tutti dentro identità sociali forti, stabili e spesso fondate su fattori ascrittivi, unificabili soltanto
dagli interessi, zitti zitti rispetto al volere dei vertici delle segreterie).
No!!! Siamo per la tutela del territorio, dei progetti e gestioni di rinnovamento urbano che promanano dal basso.
In cui i cittadini non debbano più riprogrammare continuamente la propria vita per responsabilità di estranei.
Serve che si liberino sistemi di governance ormai maturi per un progetto urbano.
Non è molto, lo sappiamo, la nostra non è una esperienza strutturata e definita. Se non per contenuti in positivo
contro gli utili immediati. Non è nemmeno poco, se si legge la fase in cui queste grammatiche tendono a
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strutturare un agire politico e a decidere spesso come in passato, gli obiettivi buoni per schiacciare gruppi e
organizzazioni, contro i cittadini che vogliono intervenire.

Abbiamo visto e corriamo più di un rischio, se ci fermassimo a contemplare il particolare, senza cogliere, e senza
fornire al territorio elementi di crescita politica. Rischiamo se non ci sbrighiamo diversamente di esserne travolti.
Quando queste innovazioni mostrano un tratto di dialettica negativa, che alimenta le capacità riflessive degli
attori: che restano i cittadini. Abbiamo testimoniato di non volere cadere nelle trappole e nelle seduzioni di
grammatiche strutturate e vincolanti.
I Cittadini, più che prendere elementi e riferimenti normativi da questo o quest’altra corrente di pensiero,
quotidianamente, si esercitano con una postura critica distante, sanno vedere i limiti di certe pratiche
indifferenziate.
Non possiamo giocare a fare i filosofi, semmai occorre impostare una filosofia urbana, di rinnovamento. Cercare
di vigilare su ciò che va da sé e su ciò che viene dato per scontato, sottraendolo ai modi abituali la riflessione sul
politico, quanto sta nelle nostre responsabilità verso la collettività.
Tutte le organizzazioni da noi animate si ispirano ad obiettivi e non solo, sono elencati e configurate seguendo
le ortodossie di un pensiero pre-strutturato, ma verso i cittadini. Noi abbiamo messo in campo la ridefinizione
ed i germi di una democrazia diretta, interrogandoci su cosa si deve basare la cooprogettazione, una
progettazione partecipata, ora interroghiamoti verso quale rigenerazione urbana? Cioè come orientare l’azione
di visioni capaci di prevedere ridefinizioni del pensiero critico urbano.
A caratterizzarci spesso è stato un comune orientamento alla giustizia sociale anche con sforzi notevoli e faticosi
per il superamento delle appartenenze e provenienze politiche differenti, lo sviluppo di linguaggi, di comunità,
oltre ad altro, molto altro. Abbiamo alimentato la discussione su cosa si debba intendere per giustizia sociale,
per noi salutare e sostanziale, per una valutazione della solidarietà, capace di rientrare in una proposta di
rigenerazione socio economica territoriale.
Anzi abbiamo fatto di tutto per collocare e spingere il movimento 5 stelle fra le tante esperienza nobili,
maggiormente legate alla lotta all’esclusione sociale e al sostegno alle capacità delle persone più svantaggiate.
Abbiamo aperto tantissimi fronti, cui giungono pure delle critiche. Superando ipocrisie ed equivoci della storia,
sul fatto che le fasce basse delle stratificazioni sociali debbano concepirsi, e descriversi come vittime, in una
dimensione continua e immutabile, in cui non è chiaro chi sia il carnefice.

Noi invece mediante una azione innovativa sociale e politica, che non proponiamo freddamente, come
movimento 5 stelle, parlando di reddito di cittadinanza e di pensioni di dignità. Abbiamo evidenziato che il suo
intervento sta nella capacità critica di uscita dal vittimismo.

La prima l’idea che il movimento va rilanciando, in generale ed in particolare non è una difesa degli ultimi. Ma
che “la vittima”, abbia cioè sempre e comunque una sua dignità e una capacità d’azione. Anche nelle situazioni
di massimo degrado. La seconda l’idea che la vittima abbia sempre e comunque diritto ad una libertà di scelta.
Che il suo agire sia perciò ambivalente, e non giusta di per sé, ma tuttavia crediamo sia indispensabile avvenga
in condizioni garantite.
Vogliamo superare questi due principi, dove l’esigenza di etica pubblica, deve essere garantita, l’adozione di una
scelta che è buona quando è buona e non quando è di destra o di sinistra. Andando oltre, non più verso luoghi
da cui proviene il buon senso liberale. Se da un lato non può essere condiviso dall’insieme delle organizzazioni
sociali, perché rimandano ad una antropologia morale e universalista, ritenerlo non più sostenibile. Noi vogliamo
superare le capacità critiche di quelle organizzazioni stesse, perché non si può spingere ancora a costruire delle
equivalenze diversissime, cioè non ricerchiamo egualitarismi freddi. Fra le condizioni delle vittime che
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accentuano una descrizione in termini di debolezza, sappiamo anche quando esse non mostrano quanto la
condizione comune, possa divenire invece fattore di forza.
In questa funzione, sta la proposta del reddito di cittadinanza: costituisce la rappresentazione di una misura
liberatoria di energie.
In questo superamento del paradosso della vittimizzazione. Ci schieriamo dalla parte delle vittime. Proprio
perché le si definisce sulla base delle loro debolezze e non sulla base di ciò che apportano nei processi sociali. Il
movimento non elabora una postura solidale per sottrazione, sarebbe incapace di riconoscere il potere in atto.
Si schiera invece nel rinforzare quello che in potenza, vuole farsi cittadino avvertito e critico. Consolidando la
capacità di uscire dalla dipendenza, farlo con la dignità intatta. Con una coscienza matura.
Riconosciamo allora che dentro questa iniziativa di innovazione sociale che il movimento deve cercare e che qui
noi abbiamo messo in campo. In opposizione e per differenza rispetto alle retoriche, consolidate di aiuto degli
ultimi in questi decenni condotte dai partiti, mai si è visto tutto questo.
Il movimento si è reso del tutto estraneo soprattutto al master frame della vittimizzazione (dell’assistenzialismo)
così diffuso oggi in Italia e in Sardegna. Guardando alla propria azione e alle persone con cui si è in relazione e
che inevitabilmente rappresentano, in termini di forza quale necessaria espressione della dignità. Dimostrando
quanto si possono sostenere i dati utili, diremo necessari del loro contributo alla riproduzione sociale della
società locale. Ecco perché continuiamo a guardare alla capacità delle persone di attivarsi.

Noi abbiamo inteso mettere, con la nostra presenza su questo territorio, un meccanismo di produzione della
dignità e della identità collettiva tipico di molti movimenti sociali ad orientamento dal basso. Non senza sottrarre
le persone all’interesse verso la diversità e la dignità della difesa dei propri diritti, abbiamo cercato di dare qualità
al processo democratico, che si eleva se ha una schiera di sentinelle che spingono la politica.
Lo abbiamo colto durante il referendum in difesa della Costituzione e ribadito con le elezioni politiche del 2018:
l’organizzazione e le pratiche dei movimenti sono proprio ciò che fa sì che i membri non si sentano singolarmente
stranieri rispetto alla cultura dominante. A noi quel voto ci ha permesso di non vederci più espressione di
minoritarismo e di marginalità impotente. In quel voto abbiamo compreso quanto si possa valorizzare
collettivamente la propria estraneità rispetto alle cornici del passato. Per difenderci e per modificare soprattutto
la cultura neoliberista esistente. Sostenendoci reciprocamente, lo abbiamo fatto, anche senza uscire
lateralmente dalla responsabilità richiesta in difesa della Costituzione.
Creando equivalenze cioè mettendo in un contenitore nuovo, queste istanze, l’abbiamo fatto compiendo un
passo verso una processualità del cambiamento, ove gli individui capaci e di condizioni diverse possono avanzare
con dignità proposte nuove.
Prendendo infatti ad esistere abbiamo sviluppato iniziative, soprattutto per accentuare gli aspetti comuni delle
nostre condizioni e delle forme di azione differenziate. Non abbiamo fatto più leva su deprivazione, sciagure,
sofferenze, ma sulla nostra forza di farci e di sentirci comunità, intorno a questo dovremmo e vorremmo lavorare
ancora.
Quando noi parliamo di governance, noi facciamo riferimento ad una comunità locale. La quale se vista da vicino,
è una forza notevole per la produzione di elementi simbolici identitari che accrescono l’autostima dei
partecipanti. Non tanto e non solo in termini individuali e psicologici, ma pragmatici. In quanto impegnati non
solo nelle istituzioni, ma in comitati e nel movimento, nella società noi abbiamo messo in campo delle azioni,
che divengono morfologie nuove, delle competenze ad agire, rivolte verso forme nuove di governance.
Per le tante azioni da anteporre ad un senso di possibilità e per riconoscere margini di legittimità per le proprie
rivendicazioni, dovremmo esserne consapevoli. Forse qualcuno non si è accorto ma lo abbiamo fatto costruendo
congiuntamente spazi, per rischiare e per attivare nel tempo le reti di protezione per assicurarci dagli errori, ma
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anche per definire l’orizzonte di una nuova rigenerazione urbana, che sempre più, cittadini avvertiti sapranno
consolidare.

II movimento e la sua identità


Lo specifico di questa produzione identitaria, che il movimento 5 stelle qui ad Oristano, sta cercando di mettere
in campo ha un quadro capace di innovazione politica e culturale; esso sta in questo dibattito che faccia
decollare, una interazione di mondi abitualmente separati.
Diversificando questa realtà, prorompe poi per afasia disciplinare e supera le ristrette comunità di policy (con le
loro sicurezze, i loro linguaggi esperti e codici pertinenti). Lamentiamo quando tendono continuamente a
ripiegarsi su sé stesse e ad essere frequentati da popolazioni circoscritte e ristrette. Cose che noi non abbiamo
considerato, le quali invece essendo molto stabili. Prive di ambizione interdisciplinare, sempre più omogenee e
tendenzialmente isomorfe, sulla scena invece rischiano di dimostrarsi innovativamente sterili. Mentre
arrangiandosi e compromettendosi non solo fra attori, ma sopra tutto collettivamente, fra diversi principi di
regolazione (basati sulla condivisione delle alterità, sulla concorrenza, il vincolo di solidarietà, la negoziazione),
persino il conflitto interiore. Il movimento può rivolgersi con intelligenza alle tante menti impegnate degli
attivisti.
Irrompere su di una realtà, che nelle tante diatribe, invece ha affinato vere e proprie abilità politiche
conservative. Ovvero una combinata e articolata forma di regolazione: che sta in un dato che il movimento
contribuisce a decrittare, ciò che invece si va annunciando.
Noi la intravediamo già, in una pubblica amministrazione in grado di compiere valutazioni organiche sui progetti
di stravolgimento ambientale. Come ha fatto valorosamente il Corpo di vigilanza ambientale della regione
Sardegna che in questa procedura, ha preteso dalla Solar Power, risposte organiche. Non certo formali, al
funzionamento di un impianto. Ovvero che debba dimostrare da dove si approvvigiona del legname necessario.
Fino a come si può tenere in funzione il coogeneratore. Reiterando la domanda, con quale piano si rende
sostenibile il funzionamento di questo impianto?
In questo senso crediamo che questa capacità critica, in questa nuova responsabilità, possa divenire viatico di
una pubblica amministrazione fortemente integrata sui territori che contribuisce ad amministrare. Confidiamo
che essa creda e pretenda che si aprano spazi nuovi di partecipazione e elaborazione critica, in cui una
rigenerazione urbana e territoriale, stia tutta dentro la società oristanese. Una pubblica amministrazione che
vive, che opera e nel tempo stabilisce impliciti legami con istituzioni educative e culturali, dei territori.
Oggi di gran lunga, la nostra capacità di interessare e implicare nella rete cittadini debolmente esposti, i poco
strutturati intellettuali, gli imprenditori innovativi e gli artigiani laboratoriali, che attraverso iniziative
sperimentali e di accorto coinvolgimento vanno finalmente dimostrando interesse alla nostra esperienza.
Combinando come abbiamo fatto, la difesa e la tutela di patrimoni ambientali, storico artistici (caratterizzati da
beni unici non riproducibili) e sociali (ricchi di professioni di cura e di servizio). Il movimento ad Oristano potrebbe
un giorno rendersi conto che ha tra le mani, uno spazio in grado di moltiplicare, i luoghi e i tempi della socialità,
i luoghi e i tempi di rappresentazioni ambientali e turistiche, i luoghi di una ricchezza nuova che proviene dal
territorio e dalle sue risorse umane.
Le attività, le opportunità di scelta e in definitiva il senso di forza delle iniziative culturali stesse. Dopo le elezioni
politiche, assumono e divengono una componente comune a queste iniziative. Serve per questo una seria
valutazione, un rilancio, della capacita di combinare risorse, reperirle su diverse scale, e farle provenire da
contesti eterogenei. Attivano connessioni, scambi, contaminazioni, sinergie e interdipendenza fra dissimili. Non
più le costanti segmentazioni fra pari. Il movimento è unito, proprio grazie a tutto ciò, crediamo lo sia verso il
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quale abbiamo dato contributi consistenti. Se si ravviva il driver che abbiamo fatto nostro, per valorizzare la
portata generale delle rivendicazioni urbane e territoriali, non credo che il futuro faccia paura.

Orizzonte temporale e i dilemmi del consenso


Quello che ci appare ora che il termodinamico ibrido di San Quirico, entra nel dato di una situazione nuova,
mentre la strategia di innovazione politica del movimento, la possiamo cominciare a vivere come una dinamica
di integrazione, di valori e di principi necessari ad una realtà urbana e territoriale, essa si scontra con un fattore
che diviene sempre più cruciale, il fattore tempo. Nel senso di una impossibilità del rinvio, della raffigurazione
pur comprensiva di un orizzonte lontano di conseguimento di alcuni risultati.
Fattore determinante, per il lavoro degli attivisti, per i conseguenti obiettivi dei portavoce, penso e propongo
sia perseguito il suo superamento attraverso tre obiettivi:
1) la prima sta nella promozione e nel sostengono al potere delle idee (empowerment4) attraverso il
cambiamento delle relazioni fra individui e fra gruppi nei quartieri e nei territori più ampi, in cui questi
contenuti sono embedded5;
2) la seconda ragione per interessare altri molti altri, consiste nella soddisfazione di bisogni che non trovano
risposte o che non possono essere alienate ad altri, ogni progettualità deve leggersi e soprattutto calarsi
nei dati locali di una massa critica più estesa;
3) la terza decisiva trasformazione delle modalità, indicano che i dati, procurano una governance finora non
messa in campo, impicciandoci di intese e di scelte interdisciplinari che riguardano tutto il territorio che
ora si possono trovare nell’orizzonte temporale delle scadenze, avendo chiari quali obbiettivi concreti.

Nata in modalità simili ad esperienze critiche delle città europee, ovvero con i cittadini e nei comitati. Il
movimento 5 stelle ad Oristano può combinare e articolare questi tre obiettivi in cui risiedono delle tensioni
positive che spingono i cittadini tutti a tenere aperto il BANCO di una cultura politica. Espressa in termini di forza
e occasioni certamente più responsabili. Rispetto alle strettoie delle altre grammatiche politiche, comprese
quelle indipendentiste e dell’autodeterminazione, più di facciata che vissuta direttamente.
Vogliamo accentuare un aspetto rilevante che deriva dallo sforzo di integrare una attenzione critica nuova. Che
nell’agire quotidiano, non dimentica questi tre obiettivi. Semmai coniuga quel che tenendo d’occhio in un
orizzonte temporale, può dare campo alle iniziative sempre più qualificate.
Meglio sarebbe dire: che l’orizzonte temporale ci concede il tempo delle iniziative che sapremo rendere possibili,
perché e vero che sono i tempi a permetterci di maturare obiettivi e risultati, ma siamo noi a decidere come
impiegarli.
Il movimento non può sospendere la creatività, né alterare il suo l’orizzonte temporale tipico delle organizzazioni
creative sul piano sociale. Semmai deve riuscire in questo impatto forte a mettersi in gioco esso stesso,
rivolgendosi verso obiettivi, provando a costruire intorno alla propria azione, una partecipazione nuova, una
crescita diversa.
Non occorre catalogare o scandire, né programmare un orizzonte temporale, stabilito. Anzi discuteremo
insieme, quel che dobbiamo pensare, quanto ad esso dobbiamo fare riferimento. Dobbiamo sapere dove i
cittadini riversano l’impegno dell’innovazione, per esserci quando alzano lo sguardo rispetto alla loro attività
quotidiana e mettersi a riflettere sia sui fini e sui significati delle comuni pratiche ordinarie (l’orizzonte) il loro

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Presa di coscienza
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Incorporati
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divenire storico e temporale che comincia a dirsi davvero innovativo (quando possiede il senso del tempo
necessario).

Per dei momenti di riflessione condivisa


Si tratta di trovare, quando nei momenti che succedono ad una crisi, (come questo passaggio elettorale) non
semplicemente perché dato dalle tensioni a cui si è assistito, nei cicli di caduta. Partiamo ad esempio, da una
frase, “Noi non vogliamo fare progetti a trent’anni”, per immaginare ciò che ci accomuna insieme ai diversi
aspetti della vita delle persone, all’essere contestuali rispetto all’abitare, al lavorare, all’avere delle relazioni
ricche e plurali, è evidente che occorre guardare al lungo come al breve periodo.
Ribadire che le cose le facciamo sapendo che daranno frutti buoni, benché gli imprevisti, proveranno ad
impedirci di realizzarle o protrarle. Fra un sacco di tempo, potrebbe essere la risposta che indebolisce la radicalità
oggi non sufficientemente declinata.
Mentre molte volte, frasi simili, sono state ripetute in molte esperienze europee. Noi abbiamo bisogno di un
orizzonte critico verso i tempi delle attività presenti, in cui l’orizzonte temporale di lungo periodo si pone sempre
per i cittadini, in termini scettici rispetto all’esistente.
Sarà invece la strenua volontà di tenere insieme i tre obiettivi costitutivi di cui sopra. Che ci deve portare ad avere
un’intenzionalità molto esigente sui tempi dei programmi, sui tempi di coinvolgimento delle persone.

Tenere viva al tempo stesso la critica temporale. Ovvero contrastare duramente l’orizzonte distante, quello
abitualmente asfittico dei progetti cosiddetti di riforma di settori produttivi o di funzionalità gestionali. Al
contesto urbano siamo certi non aiuterebbe di certo.
I progetti portano in sé un vizio di fondo, a detta dei cittadini: essi devono intendersi con i termini che debbono
rientrare nell’orizzonte di tempo, che si prefiggono. Debbono cioè attuarsi. E non bisogna permettere che essi
si possano affrontare incoerentemente con i problemi indicati.
Le nostre azioni sui termini, non permettono di costruire iniziative, servizi, forme di relazione etc. Esse sono
destinate a sparire con il dilatarsi dei tempi e molto prima della fine del progetto. Non sono sostenibili nel lungo
periodo. Anzi hanno precisi vincoli di rendicontazione che si basano sull’effettività che rischia di non pensarsi
nemmeno nella loro sostenibilità, se questi si vedono lontani.
La contingenza obbligata dei tempi, dei progetti spiazza gli investimenti di medio e lungo periodo, in particolare
accade per il riuso di spazi pubblici, per le decisioni strategiche, per le politiche di cambiamento, che necessitano
di interventi strutturali onerosi, ma anche per gli investimenti in tecnologia, che richiedono anch’essi tempi di
attuazione.
La rilevanza di quest’ultimo punto relativo alla riflessività di un orizzonte temporale avvertibile. È non solo
necessario. Occorre individuare il tempo scelto quale spazio di realizzazione delle iniziative. Esso può essere
colto meglio se richiamiamo gli elementi del contesto regolativo. Il tempo è l’oggetto più frequentemente
soggetto alla critica da parte degli avversari all’innovazione sociale.
È finita, l’epoca trionfale dei progetti, in cui la formula era vista come un’opportunità plastico organizzativa,
considerata positiva in sé.
Per rompere le inerzie delle organizzazioni burocratiche, occorre sapere valutare la variabile temporale che
invece diviene strategica. Potrebbe apparirci quindi buona per pensare forme sperimentali, esplorative e
personalizzate di innovazione sociale per gli individui e per i territori insieme. Potrebbe far tramontare o
quantomeno sospendere la tipica retorica e le lamentele delle organizzazioni sociali.
Agli effetti perversi del progetto e al dilatarsi dei tempi da esso trattenuti, noi dobbiamo opporre la critica
sempre più diffusa, che si fa avanti anche nella letteratura ambigua verso questi impianti.
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Non di meno non si può nascondere il fatto che i quadri temporali di breve periodo, siano già state introdotti
dalle organizzazioni del terzo settore che in questo esse hanno molti elementi di fragilità.
Controprova di tutto ciò è il fatto che sono pochissime le organizzazioni di base, che hanno itinerari di temporali
al proprio interno. Continuano a macinare lavori, anche quando hanno assunto una forma societaria pienamente
aziendale, seppure senza scopo di lucro. Anche quando crescono e si allargano. Serve allora far risiedere sul
luogo e nel ruolo del portavoce, stà una priorità. Come attivare una valutazione costante del tempo, come farlo
divenire una incombenza cruciale e riconosciuta di ostacolo, verso gli obiettivi ?
Cogliere la strettoia temporale, non solo per il Mov 5 stelle Oristano, significa affrontare la difficolta di pensarsi
e di pensare sul lungo periodo. Per dire ciò che pesa ovviamente anche sulle iniziative di innovazione politica e
culturale. È una delle principali sfide, una delle principali fonti di precarietà, una delle principali spinte che rende
fragili: gli apprendimenti. Che rende fragili le performance, e allarga il contrasto tra le scelte e le risorse,
inficiandone se non ci accorgiamo le potenzialità, invalidando non semplicemente compromettendo il risultato
sperato.

PARTE TERZA

In cammino, siamo un movimento in camino


Nonostante le parole e le lamentele, siamo consapevoli del fatto che nessuna organizzazione ha trovato una
formula magica, per i passaggi critici. Per garantire la propria permanenza sulla scena della innovazione sociale
e culturale, il fattore tempo diviene strategico.
Noi dobbiamo provare a ricorrere anche a delle analisi empiriche. Quel che sono i comitati, il movimento 5 stelle,
e le altre iniziative se lo devono porsi, costantemente al loro interno: deve qualificarsi il problema dell’orizzonte
temporale: diversamente lo subiscono.
Per questo la radicalità e le altre estraneità vissute con i propri interlocutori, alleati o controparti che siano, ha
spesso mostrato aspetti di decisa rinuncia. Sarà solo una azione di elaborazione significativa, se provvista di
valutazioni temporali, che potrà poi incontrare una eventuale preferenza dei cittadini. Non si potrà permettere
un ragionamento di alleanze se non quello della propria elaborazione. Non guardiamo, né mai dobbiamo
guardare all’avvenire con una logica delle alleanze. Non dover fare accordi per il movimento, nella sua azione
politica, nell’orizzonte temporale, l’ha costretto ad elaborare processualità. Solo se questa prende a girare,
riuscirà a tenerci uniti.
Non fare accordi ed anche prevedere tempi più lunghi. Ci rende disponibili a essere anche positivamente
verificabili più frequentemente, e paradossalmente ci potrà permettere, anche numerosi atti e dinamiche nuove
con i cittadini.
Per questo anticipare con più precisione, le certezze sui tempi dell’azione finanziata, le certezze sui momenti di
revisione di costi o di attestazioni degli avanzamenti dei lavori, le certezze sugli obiettivi, sapendo prevedere gli
standard di processo, e tutti i rischi di altrettante incognite, sarà il nostro vantaggio.
Lo sottolineiamo quando cambiamo di scala o scoviamo nuovi partner, anche inediti stakeholders, se coerenti
con le nostre attività e con la nostra comunità politica. Allora noi abbiamo riconosciuto, come molti altri, quanto
produce e causa la fragilità per la nostra organizzazione e diviene motivo di forte tensione.

La defezione: da questa intelligenza organizzativa e la consapevolezza di alcune buone regole meglio


individuabili nel cogliere i segnali anche deboli, di fragilità contenuta nei tempi. Può divenire una ipotesi che
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assume la razionalità strategica e adattiva che il movimento può scegliere nella dialettica con i comitati, con i
cittadini oltre che per gli attivisti del movimento.
Sta in un’altra interpretazione possibile, non alternativa a tutto ciò, che invece fa da complemento a quelle
precedenti, quando conferisce un valore preciso allo specifico di queste iniziative.
Il fatto stesso di dovere combinare i tre obiettivi più volte richiamati (soddisfazione dei bisogni, empowerment6,
trasformazioni delle modalità di governance democratica) ci impedisce di guardare un solo orizzonte immediato
e presentista, fortemente illusorio.
Se il problema dell’orizzonte temporale c’è. In queste iniziative, il movimento deve articolare obiettivi diversi,
allocando le risorse non tanto per ripartire l’impegno sui settori di attività. Ma facendo in modo che la stessa
azione persegua i tre obiettivi, combinando le logiche differenti.
I tempi delle persone non coincidono mai con i tempi delle organizzazioni, né con i tempi delle politiche e questo
se si esaspera, diventa fonte di tensione (e non di riflessione). Laddove le persone in questione sono
particolarmente fragili. Non si possono contenere o accudire, ma si devono promuovere con tutta l’autonomia
possibile.

La ricerca della legittimazione


Così per i comitati l’esigenza di alimentare forme di legittimazione e di sostegno partecipato rappresenta lo
scoglio maggiore. Soprattutto quando la logica di funzionamento delle iniziative entra in contatto con una logica
diffusa. La sovralocale costruzione del consenso, basata su principi di immediatezza e di visibilità di un orizzonte
temporale schiacciato sul presente. Noi l’abbiamo inverata con lo studio, mettendo in luce dei modi pragmatici,
mai costruiti, neppure letteralmente manifestati in frettolose situazioni, anche in quelle nate per affrontare
questa contraddizioni.
Queste organizzazioni che fanno del compromesso, un obbiettivo al di sopra di ogni attore del territorio. Se da
un lato si nutrono di spinte che agiscono motivati dalla prospettiva di guadagnare ruolo. Dalle tensioni che
attraversano i territori, dalla visibilità che assumono alcune figure, non cercando di prevalere con orizzonti di
medio e lungo periodo. Costrette a guardare positivamente a logiche binarie e presentiste per ottenere
consenso. Inventano iniziative ad hoc, finalizzate a mostrare l’effettività, ovvero quella efficacia contingente
particolarmente rilevante, sempre vista in relazione ai loro obiettivi in scadenza.
Sono organizzazioni purtroppo che mettono in relazione tramite eventi propri, le strutture di convincimento
considerate macchine passive. Investono molto nella visibilità di cose efficaci in sé, buone in sé. Non
costruiscono momenti di aggregazione, anche se lavorano per iniziative di aggregazione del consenso. Non
vedono mai condivisioni collettive. Essi studiano indicatori per misurare l’outcome7 (di alcune loro realizzazioni)
le quali restano le cose più importanti. Sanno che possono essere valutate solo a partire da follow-up8 successivi
magari che richiedono anni, per poter stabilire i risultati e l’efficacia degli strumenti. Si preoccupano di investire
in cultura e in simboli, anche immateriali, per palesare e oggettivare dei processi che, in quanto poco visibili sono
affatto reversibili. Non sono tolleranti verso comportamenti ambivalenti che non riescono a guadagnare
consenso. Sia pure per lasciare traccia, che per loro sarebbe pure un punto interessante.
Anche in termini teorici, pensiamo alla categoria più abituale della riflessione di un attore politico, i compromessi
fra logiche diverse che inventano pragmaticamente delle iniziative, sono simmetriche rispetto a ciò che
abitualmente si chiama demagogia. È infatti la sociologia politica a definirla con grande precisione.
Possiamo parlare di demagogia di un attore politico, laddove questi:
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Presa di coscienza
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Il risultato
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Verifiche
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a) al fine di guadagnare consenso e potere si mobilitano per supportare un tema o una questione per cui i cittadini
non hanno mostrato un’attenzione spontanea nelle dinamiche dell’opinione pubblica.
b) laddove l’evidenza (con una prova di realtà) mostri (o, ancora meglio, dimostri) che il principale elemento
proposto dall’attore politico è falso, verso ciò che la maggior parte dei cittadini non sarebbe a favore di quella
posizione nel caso in cui fosse meglio informata.

Se ci poniamo degli obiettivi, con cui verificare solo la prima condizione, ci troviamo davanti una situazione che
ci induce a parlare dell’attore politico come di un imprenditore morale. Se entrambe sono verificate possiamo
parlare propriamente dell’attore politico come di un demagogo.

Nel caso delle iniziative di innovazione sociale, invece, osserviamo che un attore collettivo deve invece:
A) al fine di guadagnare consenso e potere, mobilitarsi per supportare un tema o una questione per cui i cittadini
e gli abitanti di un quartiere non hanno mostrato un’attenzione spontanea nelle dinamiche locali;
B) per farlo essa costruisce forme di oggettività (una prova di realtà) che mostri (o ancor meglio, dimostri e diano
prova) con l’evidenza della propria azione, di informare sui criteri di efficacia ed effettività coerenti con le proprie
principali logiche.

Noi dobbiamo costruire oltre queste iniziative strumentali, numerose azioni positive, sebbene che riescano a
trovare strumenti comunicativi adeguati, ma che in fieri macinino sottotraccia il prodotto principale delle
iniziative, che riducono la complessità e rendono discreti i propri criteri di effettività ed efficacia.
In queste dinamiche sono i contenuti quelli che dimostrano, la provenienza del carattere composito di queste
mobilitazioni nei comitati e dei cittadini. Azioni differenziate che forniscono alla società, gli danno l’ennesimo
segnale del carattere composito di questi progetti o di iniziative simili al termodinamico ibrido. Quanto vivano
aumentando la loro efficacia sulla base di compromessi capaci di combinare le spinte differenti che le
attraversano.
Questa arte del comporre e del combinare, anche a livello di costruzione del consenso, è un altro insegnamento
prezioso che queste iniziative ci consegnano. Le elaborano fino a farle divenire processi e meccanismi di
cambiamento istituzionale che fanno le amministrazioni pubbliche, lo fanno nei loro finanziamenti e nelle loro
ripartizioni di poteri dato che sono estremamente esposte, verso un insieme di incentivi, regole, coordinamento
interessi.
Al contrario di ciò che il movimento persegue, nelle amministrazioni, si evidenziano è vero conflitti, dibattiti
interni, lotte sulla rappresentanza e rappresentazioni, dispute sui fini, scontri sulla politicità degli strumenti
dell’azione pubblica.
Esse non possono produrre fiducia fra gli attori, sui vantaggi della cooperazione rispetto alla competizione.
Oppure al contrario possono lavorare per esasperare gli scambi fra gli attori e produrre polarizzazioni che
finiscono per ridurre l’intensità dell’azione di iniziative comunitarie, lasciandole anche per lunghi periodi in fasi
di latenza, in tensione.
Spesso questo è l’esito di stili di governo nient’affatto integrativi ma tutti distributivi, giocati esclusivamente
sulla spartizione delle risorse, attraverso trattative bilaterali in assenza di obiettivi comuni di medio e lungo
periodo.
Gli esiti possono essere diversi come la specializzazione dei network, o il decremento delle relazioni, la
separazione di attori mai coalizzati in una prospettiva di innovazione sociale. L’esclusione in primo luogo delle
organizzazioni più piccole e più giovani, l’emergere strisciante ma rapido di logiche di cooptazione.
Tutto ciò rende efficacemente ciò che è accaduto a molte sperimentazioni nel campo della rigenerazione urbana,
rappresenta qui tutte le difficolta di ogni innovazione sociale.
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Noi invece al contrario, vediamo come queste iniziative non riescono a produrre dei cambiamenti
sufficientemente stabili: pensiamo alle diverse esperienze locali dell’agenda 21. Molte sono esperienze limitate
e localizzate, con cui molte situazioni di programmazione negoziata in cui gli attori più forti si accordano per
escludere gli attori più conflittuali ed innovativi.
Mutuando molti limiti di queste esperienze, la riforma della governance deve essere invece inclusiva di molte
associazioni di volontariato e di gruppi ambientalisti di base, dato che hanno portato innanzi tutto a preservare
una vasta area partecipativa, affidandogli la capacità di coinvolgimento. Costruendo un ampio consenso con
iniziative di animazione e di aggregazione, a partire dall’immediata realizzazione di attività, onde favorire la
funzione dello spazio innovativo e culturale, dobbiamo perseguire un allargamento del nostro ascolto.

I sistemi di partecipazione europea


Non che la programmazione territoriale abbia segnato, dati di fatto fondamentali, nella infrastrutturazione
urbana, tuttavia lo poteva fare ancora di più. Qui ad Oristano ha un deficit che si continua a non vedere, la vicenda
circonvallazione la dimostra tutta. Non lo ha fatto l’amministrazione comunale, e venuta meno dall’assumere la
forma di un’associazione, piuttosto che lavorare in maniera partecipata sul miglioramento delle condizioni di
vita locali.
In questo caso si vede come l’articolazione di spinte dall’alto e di spinte dal basso non si sia affatto consolidata
in nuove forme di coordinamento fra gli attori e l’amministrazione che partecipata, non vuole esserlo.
Conducendo la città verso un cambiamento degli standard e dei funzionamenti istituzionali. Ma aldilà dei singoli
casi possiamo dire qualcosa sulla forma di questi processi? Sono frutto solo di pressioni e di maggiore consenso?
La nostra analisi invece intende considerare un processo di influenze più complesso, che va esplorato
analiticamente, scomponendolo.
Prima di discutere in positivo come questo avviene, vogliamo precisare perché non riteniamo rilevante stabilire
un nesso lineare e diretto fra pressioni e cambiamento. Perché manca la costante del quadro progettuale, che
non bypassa il deficit ormai strutturale, non della selezione delle classi dirigenti locali, ma dei contenuti di
innovazione che si dovrebbero dispiegare.

La costruzione di un discorso pubblico sulla qualità della rigenerazione urbana, dovrà avvenire ancora
attraverso il conflitto, come attraverso attività di caratteri culturale, che non è in sé una condizione automatica
ma di innovazione delle modalità dell’azione amministrativa nel suo complesso.
Abbiamo tentato, ma non siamo stati in grado di uscire da letture semplicistiche che circolano sempre più nella
letteratura sulle trasformazioni urbane, lo abbiamo cercato ostinatamente, esso articolava fra loro dimensioni
di politics, di policy e non ultimo di polity cioè di forme degenerate di intese.
Negli ultimi anni l’analisi sistematica dei processi di governance urbana e territoriale tende, caso mai a eclissare
la dimensione conflittuale dei processi di rinnovamento urbano.
Nel caso del termodinamico ibrido da noi considerato, tendenzialmente dimostra come il conflitto viene
banalizzato soprattutto in contesti come il nostro territorio. Derubricato da questione politica a semplice
controversia, da affrontare sul piano tecnico, ci si dibatte per massimizzare il consenso su misure già decise e da
implementare nel minor tempo possibile.
La letteratura non racconta alcunché sulle dinamiche politiche della pianificazione urbana, mentre invece
dovrebbe rilevare principalmente quanto agiscano le virtù presenti nelle controversie sulle scelte pubbliche. Esse
permetterebbero di rendere visibili dei problemi irrisolti della vita urbana, far accedere al discorso pubblico la
31

partecipazione dei cittadini che abitualmente non entrano come parte attiva nella vita politica della città.
Nonché gli riesce di tematizzare in modo nuovo issues9 fin troppo trascurate.
Al fondo della nostra impostazione ecco che vi è l’idea che la maggiore partecipazione dei cittadini alla
discussione dei problemi pubblici sia, in sé sia condizione necessaria e sufficiente di innovazione istituzionale.
La pluralizzazione dei punti di vista che si confrontano con un problema, a partire da concezioni differenti sulle
modalità di affrontarlo, permetta attraverso meccanismi spontanei, gradi di apprendimento e innovazione
istituzionale, di sentirsi finalmente interni ad un progetto collettivo.
Mentre l’innovazione va cercata. Anche quando i casi di innovazione così chiamati smentiscono empiricamente
l’idea di automatismi nel rapporto fra sperimentazioni, consenso, e pressioni.
I tentativi di passare dalla testimonianza e dalla realizzazione pratica di sperimentazioni lo abbiamo visto, anche
recentemente nel caso della programmazione europea. Non ci permettono di definire l’innovazione in senso più
preciso, cioè come esito di un processo che non ci dà certezza di introdurre delle discontinuità di sistema.
Modificando anche solo incrementalmente, le precedenti modalità di governance in uno o più settori, non ci
rassicurano.
Questa concezione dell’innovazione è politicamente esigente, noi come movimento 5 stelle dobbiamo
rilanciarla, perché non ci si può limitare a considerare solo la soddisfazione di alcuni bisogni o il sostegno e la
promozione delle capacità di persone e gruppi. Essa dovrebbe guardare anche agli impatti istituzionali che
questo genere di esperienze producono.
Per poter parlare di innovazione sociale non basta quindi che un’iniziativa o un’organizzazione siano creative sul
piano sociale, occorre essere capaci di sperimentare nuovi servizi, veicolando una concezione più equa del
rapporto politica società e magari un’idea partecipativa della regolazione.
Ci serve un movimento per delle istituzioni nuove, che promuova un cambiamento dei rapporti di forza e un
mutamento nei modi della governance e nei processi di accountability10.
La precisione cioè della definizione normativa di innovazione politica e culturale che abbiamo detto molte volte,
ci ha vincolato ad osservare l’impatto delle iniziative sulla sfera politica, quella fatta di funzionamenti
organizzativi della pubblica amministrazione di assetti situazionali e della ripartizione dei poteri pubblici o di
mezzi operativi è ancora da venire. Per noi invece è questa che intende l’attivazione invece di dispositivi concreti
e strumenti dell’azione pubblica, di rottura, fra diverse forme di regolazione e che ci conduca verso modalità di
governance mai viste finora.
Questo ci deve dare una maggiore determinazione. Riassumendo così che le azioni dei comitati e dei movimenti,
hanno avuto un impatto sulla sfera politica e istituzionale laddove hanno reso trattabile dall’amministrazione un
tema e hanno costruito consenso e modificato i rapporti di potere, in modo da formare delle alleanze o influenze
tali da far accertare le innovazioni proposte.

La creazione di effetti di aggregazione


Proviamo in conclusione ricorrendo a termini più analitici, di provare a scomporre la costruzione di consenso ai
fini di cambiamento istituzionale con dei passaggi, o più precisamente dei processi, non sequenziali, di cui è
possibile metter in evidenza i relativi meccanismi che si attivano.
Le iniziative finora condotte combinano risorse eterogenee. Queste, finalizzate ad aprire spazi comunicativi che
permettono ad attori assai differenti di relazionarsi, di interessarsi l’uno all’altro, e ciascuno a un tema comune.

9
Scaturigini
10
Valutazione dell’operato
32

Il definirsi reciprocamente dei ruoli e le persone per poi mettersi in rete, coalizzarsi e, eventualmente assumere
un repertorio di azione ed alcuni elementi identitari condivisi, può costituire un obbiettivo.
L’azione coordinata. Invece vorremmo emerga con mutua segnalazione e attivazione parallela di rivendicazioni
sullo stesso oggetto, da parte di due o più attori. Per cui sono centrali i meccanismi di mediazione attraverso cui
non solo si creano connessioni tra organizzazione e gruppi precedentemente non connessi o connessi
debolmente.
Piuttosto si riconoscano e quindi si mobilitino semmai nuove risorse per le rivendicazioni collettive. Molto conta
dimostrare l’importanza assunta dalla fallacia dei meccanismi di emulazione e ripetizione deliberata in un certo
ambito o di una performance osservata in tutt’altro contesto.
Occorre rifuggire l’opera dei meccanismi di attivazione o disattivazione di confini tra diverse componenti, i quali
possano per l’incremento o decremento dell’importanza della distinzione il noi e il loro. Questa invece separa
abitualmente attori diversi, mentre noi dobbiamo far divenire cruciali la diversificazione delle alleanze e
moltiplicazioni degli scambi, l’allargamento della partecipazione.
La produzione di una forma di rappresentazione, le iniziative di nomina e di definizione di un tema e la posta in
gioco della rigenerazione, producono invece un effetto cognitivo diretto basato su convenzioni, in cui le
distinzioni non sono divisioni.
In tal modo esse forniscono però una griglia di categorizzazione: che abbiamo riscontrato e sono pensate e
nominate in modo da autorappresentarsi. Individuandosi secondo le stesse iniziative di innovazione sociale.
Come attori rilevanti che avvertono per grandezza, unità, numeri e impegno esse riescono, perciò a rendere unici
coloro i quali si intendono capaci di rappresentare il tema e la sua posta in gioco. Organizzando manifestazioni
ed occasioni di socialità rivolti all’intera città metropolitana noi riusciremo a rompere l’isolamento e rendere
visibili i problemi dei territori. In cui i protagonisti possono essere i cittadini, gli imprenditori, le persone
interessate o penalizzate dal termodinamico ibrido, o da progetti simili che estendono le proprie relazioni ben
oltre la ristretta policy della comunità territoriale.
Sapendo che queste sono consolidate, allora potremmo mostrare l’importanza dei meccanismi di attribuzione
di somiglianza e di creazione di equivalenza, che permettono di accomunare gli attori, riconoscendo una comune
appartenenza categoriale.
In molti casi questo è avvenuto grazie a meccanismi di diffusione delle informazioni. Cioè con l’estensione di una
performance, di una tematica o di una visione interpretativa o comparativa dell’altro.
Ma in questo modo si sono prodotte e costruite alleanze anche con i decisori pubblici. Tanti trovavano soluzioni
affidando all’importanza della disponibilità di alleati influenti o di sostenitori che infoltiscono gli schieramenti
contro gli sfidanti. Non possiamo credere che siano azioni meramente strutturali che pesano sugli attori in
maniera determinante e deterministica.
Come abbiamo visto le iniziative messe in evidenza per agire pur sviluppando una competenza a farsi garantire
dall’alto, se non tiene conto del grado in cui il governo locale esprime o agevola le rivendicazioni collettive, quelle
non riescono a divenire fondamentali.
Lo si fa invece se si è capaci di risalire la scala portando con sé la rete di iniziative dal basso con cui si è collegati,
diversamente non abbiamo speranza. Per questo dobbiamo essere convinti che qui non si giocano i meccanismi
di certificazione collegate. Qui si giocano i meccanismi di segnalazione da parte di una autorità esterna della
disponibilità a riconoscere e sostenere l’esistenza e le rivendicazioni degli attori dell’innovazione politica e
culturale su di un’area territoriale fortemente caratterizzata.
È la mobilitazione di un gruppo di abitanti aggregati nei territori che porterà al reperimento di luoghi di
investimento per lo sviluppo culturale, artistico e sociale dei quartieri. Alla cui governance debbono partecipare
con un potere decisionale equamente ripartito, non i grandi interessi, ma le associazioni e i piccoli gruppi anche
cittadini debolmente strutturati.
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Sono queste esperienze che possono dar vita a un’agenzia di sviluppo stabile a un comitato consultivo di
indirizzo dello sviluppo della frazione o del quartiere. In questo caso si riconosce un vero e proprio processo di
appropriazione dei programmi e dei modi di fare proposti da parte dei decisori politici.
Di questi processi il movimento deve dare conto, sapendo che questi processi spesso si affiancano a meccanismi
di desertificazione in cui un’autorità pubblica, si segnala per la cessazione del proprio riconoscimento e (di parte
del suo) supporto a un altro attore numeroso che sono i cittadini.

Non tutto è lineare


Emergono, li abbiamo visti in attività, meccanismi vari, anche di cooptazione (di incorporazione) e di defezione
dell’azione coordinata di alcuni membri dell’attore rete che sostiene l’innovazione. Le attenzioni più rilevanti
che in questi anni abbiamo registrato vanno nella direzione del disincanto e del declino dell’impegno di singoli
individui o organizzazioni separate. Allo stesso modo abbiamo osservato gli esiti finali di polarizzazione e
dell’aumento delle coalizioni rispetto alla distanza ideologica.
Subiscono gli effetti forti di queste escalation, ovvero di sostituzione di obiettivi e tattiche moderate, con
obiettivi e tattiche più estreme. In parte di radicalizzazione, cioè di orientamento verso una maggiore
aggressività tendenzialmente espressa anche con mezzi non violenti.

L’induzione di una forma di traduzione accettabile di azioni nuove dalla pubblica amministrazione, è la novità
invece che dobbiamo giocare. Il tema posto dalle iniziative di innovazione politica e culturale allora viene
definito se c’è da parte dei cittadini, della pubblica amministrazione un modo responsabile di trattarle.
Problematizzandolo e riducendolo all’interno di un vocabolario riconoscibile dai codici politici, tecnici e
amministrativi preesistenti. Spesso riposizionando la gerarchia implicita delle questioni e creando delle
equivalenze: con i temi e i problemi più trattati.
L’esperienza di organizzazione degli operatori presenti deve invece essere in grado, a partire dalla propria
attività non finanziata dalla municipalità, di stabilire delle connessioni istituzionali fra gli operatori e la città ma
non solo per favorire percorsi di dimostrazione individuale.
Far riconoscere e successivamente istituzionalizzare, senza soffocare, le forme di coordinamento, attivazione e
partecipazione dei residenti e delle loro associazioni oltre che di moltiplicare i progetti sostenuti. Induce un
nuovo genere di istituzionalizzazione che attraverso meccanismi innovativi danno piena centralità ai processi di
traduzione e di traslazione di confini ideologici e culturali, che producono variazioni nelle persone o identità
collegate da un lato o dall’altro di un confine esistente.
Sono processi di framing, ovvero di adozione e di trasmissione di una definizione condivisa e di una questione e
di una modalità di azione. Si tratta cioè di processi che verificano spesso anche un ambientamento del livello di
governo pertinente, i quali per implementare l’innovazione, vedono oltre l’azione di un mutamento della scala,
legata all’azione amministrativa.
Solo gli esiti principali di una integrazione interna, che rivelano nell’aumentare della unità dell’amministrazione,
quel che viene fatto sul campo di diverse competenze e discipline. Considerando la conseguenza che queste non
tendono a rapportarsi meno, a partire da una dispersione e da una compartimentazione delle competenze in
diversi settori e a diversi livelli.
Cioè esse tendono a modificare i criteri di responsabilità professionale e istituzionale. Cioè modificano i criteri di
pertinenza, appropriatezza e oggettività (evidence), con cui monitorare e valutare l’azione pubblica.
Dunque, non è una migliore accountability istituzionale quella verso la quale dobbiamo tendere, ma quella che
ancora si crede abbia effetto feedback sull’empowerment e sulla capacità di azione politica dei cittadini, anche
dei più svantaggiati.
34

Si evidenzia cioè come sia necessario che si rifletta su dove e come si devono produrre nuove procedure che
hanno permesso un effetto democratizzazione, cioè che hanno indotto uno spostamento verso una
consultazione vincolante, relativamente ampia e paritaria. Non farsi assediare da una linea protetta nelle
persone soggette ad un governo, pronta a mobilitarsi relativamente a questioni come le risorse, il personale e le
politiche del governo stesso.
Congiuntamente ai livelli amministrativi, noi invece crediamo debbono emergere effetti di specializzazione delle
reti di innovazione, che non tendono a professionalizzarsi semmai guardano a non perdere elementi di
effervescenza e creatività collettiva. Ma che per gli effetti a volte temperati, queste iniziative non debbono
avvolgersi o investire tutto solo sulla istituzionalizzazione della loro proposta, ma dobbiamo invece cercare di
mantenere in tensione una dimensione costante, esplorativa e sperimentale di cittadini, comitati e movimenti.

Cambiamento istituzionale
L’analisi delle problematiche politiche che le iniziative di innovazione sociale come quelle che il movimento 5
stelle Oristano ha provato a fronteggiare o a perseguire. Qui lo abbiamo assunto come parametro dell’impatto
in termini di cambiamento interno, non ce ne vogliate per la complessità del linguaggio.
Noi possiamo interpretare l’innovazione politica e culturale dei comitati e dei movimenti in relazione alle attività
svolte, e al beneficio e alle contraddizioni prodotte, al grado di mobilitazione e al numero delle persone
direttamente coinvolte, non più in base alle figure carismatiche.
Capire cioè se, e come, queste stiano nei contesti, in quelli capaci di produrre un cambiamento stabile nella
società, nel tessuto urbano, nelle istituzioni, nel loro modo di funzionare e produrre beni e servizi collettivi.
Può essere per questo assunto quale punto di vista, proprio della sociologia politica dell’azione pubblica. In
questo testo e ce ne assumiamo tutte le responsabilità, li abbiamo voluti approfondire con l’obiettivo di
concentrarci sul rapporto fra le performance socialmente creative e i centri di potere implicati su diversa scala.
Questo in conclusione ci permette di spingerci a guardare a due aspetti, che abbiamo selezionato come
particolarmente rilevanti per le organizzazioni dei cittadini.
In primo luogo, la loro cultura politica, intesa come una grammatica dell’azione, che spinge riflessivamente a
prendere una distanza dalle strettoie del liberalismo e del comunitarismo e a far assumere alla loro attività e al
contesto in cui sono inserite, la maturazione di punti di forza e non di debolezza.
Grazie all’analisi delle tensioni attraverso gli scambi fra gli attori dell’innovazione e i contesti istituzionali con cui
sono in relazione, si accentua come abbiamo visto, l’analisi dei problemi della temporalità.
Così se, da un lato, queste iniziative cercano di darsi un orizzonte e una visione di medio lungo periodo, dall’altro
non debbono essere costrette a ripiegare su tattiche e azioni simboliche di breve e brevissimo periodo, solo ai
fini speculativi, di ottenimento del consenso o per rendere più visibile la propria azione.
Questa esperienza del termo dinamico ibrido, invece quale case history oggetto delle nostre considerazioni, ci
permette invece di sintetizzare la comparazione delle situazioni, individuando alcuni fattori che condizionano in
maniera non lineare e sempre contestuale, le diverse capacità in uso, che hanno i cittadini e i movimenti per
produrre innovazione politica e culturale.

Il tentativo che qui abbiamo svolto, mette bene in luce l’importanza del contesto istituzionale di cui sono immersi
tutti i protagonisti. Non ci sono formule magiche o ricette, che possano essere trasmesse da un contesto all’altro.
Abbiamo un caso di innovazione politica, intuita nella fase in cui le città europee sono state toccate tutte. Seppur
con modalità differenti nei diversi paesi da processualità connesse alla riforma degli apparati di stato, e in
particolare dal decentramento di molte funzioni significative specie in tema di politiche sociali di coesione e di
inclusione.
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Il grado che queste azioni hanno: certamente proviene dall’accrescersi congiunturale dell’impegno pubblico
diretto dei cittadini e di molte forme organizzate, sia nell’erogazione di servizi e trasferimenti verso i territori.
C’è però una forte crisi di legittimità delle politiche di empowerment (presa di coscienza), a fronte di una crescita
significativa di rivendicazioni politiche in termini di origine pubblica e repressione e rimozione delle iniziative.
Esse trovano decisamente allargata la voglia di incidere e di partecipare dei cittadini.
In un contesto come il nostro non solo di riduzione della spesa sociale ma anche di instabilità e incertezza
amministrativa e regolativa, gli attori più innovativi, non sono riusciti ad essere pienamente strategici. Le regole
del gioco non sono abbastanza chiare, ed i gradi di consapevolezza non sono sufficienti per poter calcolare le
conseguenze della propria azione e stimare la probabilità delle reazioni collettive.
I comitati e il M5S con le loro competenze riflessive, mettendo continuamente in discussione le proprie forme di
azione, di comunicazione e di alleanza. Sempre tentate o meglio ricattate dal piccolo cabotaggio di pochi, o ai
diversi tentativi di rinchiudersi in piccole sperimentazioni autonome, se non producono discontinuità di sistema
nelle politiche locali continueranno a farsi estranee. Se queste organizzazioni non riescono a rivendicare
l’importanza di chiarificare il più possibile il quadro di una governance urbana. Cioè liberare iniziative in grado di
potenziare i legami fra attori eterogenei per garantirsi delle leve del cambiamento urbano.
Finiranno per accrescere tutti i fattori, che hanno influito sull’esito negativo di numerose altre intraprese, tutte
relativi ad azioni (e alla loro qualità) e non ad oggetti o condizioni (nonostante le condizioni strutturali siano
certamente cruciali).

I criteri relativi, della nostra azione che divengono strategici


Chiudendo qui questo scritto sottolineiamo ancora che c’è bisogno che alcuni criteri riflessivi divengano
necessari:

a) per la creazione di effetti di aggregazione, laddove il loro radicamento sociale di partenza non è abbastanza
sufficiente;
b) per attivarci nella produzione di una forma di rappresentazione chiara, divulgabile e afferrabile ma capace di
costruire consenso sulle proprie forme di azione concreta;
c) cercare il superamento della tessitura delle alleanze date, da chi produce influenze pubbliche, a più livelli per
evitare di cadere nelle trappole del collateralismo, della dipendenza anche semplicemente nell’agenda, da un
solo centro di potere, dalla cooptazione che riduce non solo i margini di sperimentazione;
d) per sottrarci all’induzione di una forma di traduzione evidenziata presso la pubblica amministrazione, laddove
un’innovazione per essere tale deve essere prima di tutto riconosciuta e resa discutibile nei codici
dell’amministrazione (delle amministrazioni) che hanno il potere di metterla all’ordine del giorno.

Per tutto questo, serve produrre una necessaria transizione verso la rigenerazione urbana dei cittadini, serve
l’azione critica e attenta che non solo il Mov 5 stelle sta conducendo, chi pensa però che si possa mettere nel
freezer questo processo perde tempo.
By Seb

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