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La storia della genetica si può dividere in due fasi: una precedente e l’altra
successiva al 1953, anno in cui viene scoperta la struttura del DNA, la molecola
della vita. Nella prima parte del secolo vengono poste le basi della genetica
classica, nella seconda parte la genetica diventa molecolare conseguendo risultati
spesso inattesi, culminati nella conoscenza anatomica del genoma della nostra
specie. Accanto ai biologi hanno partecipato e partecipano alle sue imprese
scienziati con le formazioni più diverse: donne e uomini provenienti dalla
matematica e dalla fisica, dalla chimica, dalla medicina.
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La genetica
Hugo de Vries
Hugo de Vries (1848-1935),
botanico olandese, fotografato
mentre esegue esperimenti di
incrocio su alcune specie di
fiori. A de Vries va riconosciuto
il merito di aver introdotto nel
1901 il concetto di mutazione,
ponendolo alla base dei
meccanismi di evoluzione
e speciazione.
accordo con gli ipotetici agenti ereditari proposti da Mendel. In molte generazioni. È il celebre principio dell’equilibrio genico di
successive ricerche riescono a dimostrare che i cromosomi sono Hardy-Weinberg derivato pochi mesi prima, all’insaputa di Hardy,
strutture individuali e differenziate, e li candidano a contenitori dei anche dal medico tedesco Wilhelm Weinberg (1862-1937); un prin-
“fattori mendeliani” dell’eredità (i futuri geni). Nello stesso anno cipio che sta alla base della genetica di popolazione. Nello stesso
l’inglese Archibald Garrod (1857-1936) individua l’esistenza di un 1908 lo svedese Herman Nilsson-Ehle dà la prova sperimentale che
rapporto tra tali fattori e attività metaboliche ipotizzando corretta- i caratteri con variazione continua sono controllati da multipli fat-
mente che l’alcaptonuria (anomalia genetica che ha come effetto ar- tori mendeliani (eredità multigenica dei caratteri quantitativi).
tropatie e colorazione scura delle urine a causa di un accumulo di Nel 1909 il danese Vilhelm Johannsen (1857-1927) riprende dagli
acido omogentisico nel sangue) dipende da un cambiamento, una scritti di De Vries, il termine gene definendolo come “la particella
mutazione, del fattore mendeliano che lo rende incapace di produr- che possiede le proprietà mendeliane di segregazione e di ricombi-
re l’enzima che controlla il metabolismo dell’acido omogentisico. Un nazione”. Johannsen conierà anche i termini di genotipo e fenotipo.
poco alla volta si va chiarendo la logica che lega i geni al funziona- L’aspetto innovativo della sua ricerca è l’elaborazione di un concet-
mento dell’organismo. Garrod parla di errori congeniti del meta- to operativo di gene: il gene è un ente teorico inventato per spiega-
bolismo: è la prima prova di eredità mendeliana nell’uomo e la po- re i risultati degli incroci; non è ancora dotato di realtà materiale.
sa della prima pietra dell’edificio della genetica medica. Quell’anno, il 1909, Bateson e Punnett fondano a Cambridge la ri-
Nel 1903 anche il francese Lucien Cuénot (1866-1951), che studia vista “Journal of Genetics”. La teoria cromosomica dell’eredità, che
l’ereditarietà della colorazione della pelliccia del topo, ipotizza che
gli effetti dei geni sulla pigmentazione fossero mediati da proteine
enzimatiche. Quell’anno William E. Castle (1877-1944), pioniere Genotipo e fenotipo
della genetica americana, collega le frequenze alleliche a quelle ge- I due termini sono stati introdotti nel lessico
notipiche. Due anni dopo, lavorando sul coleottero della farina (Te- della genetica da Johannsen. Il genotipo indica la
nebrio molitor), la ricercatrice americana Nettie M. Stevens (1861- costituzione in geni di un individuo (o di una po-
1912) mette in evidenza l’esistenza dei cromosomi sessuali. Nello polazione), cioè il suo patrimonio di caratteri ere-
ditari, contenuti nei cromosomi; il fenotipo è l’e-
stesso anno l’inglese Reginald C. Punnett (1875-1967) pubblica il spressione visibile delle caratteristiche genetiche.
primo manuale di genetica: Mendelism. Nel 1906 a Cambridge Wil- Tra i due possono esservi differenze, dovute in par-
liam Bateson (1861-1926) e Punnett scoprono nel pisello odoroso il ticolare alla presenza nel genotipo di caratteri re-
fenomeno del linkage (associazione) tra caratteri: geni associati sul- cessivi, che cioè non sempre si manifestano visibil-
mente, e di coespressioni geniche, che modificano
lo stesso cromosoma non segregano indipendentemente ma insie- l’espressione fenotipica dei singoli geni. Inoltre il
me; dunque un’importante eccezione alla legge di Mendel dell’as- fenotipo è determinato anche dalle interazioni fra i
sortimento indipendente. Nel 1908 Punnett ricorre all’aiuto di un geni e l’ambiente, che può condizionare decisa-
mente il risultato finale. Il fenotipo, dunque, non è
collega matematico di Cambridge Godfrey H. Hardy (1877-1947) solo un indizio della costituzione genetica, ma è
per spiegare perché un carattere dominante non riesce automatica- l’espressione finale di un equilibrio dato dal patri-
mente a soppiantare quello recessivo. Hardy formula il problema monio genetico dell’individuo e dagli scambi
matematicamente, dimostrando che, date certe condizioni, le se- informativi che instaura con l’ambiente.
quenze geniche delle popolazioni naturali rimangono costanti per
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Il DNA
DNA significa “acido desossiribonucleico”; si stituita da due filamenti lineari appaiati ma con
tratta di molecole estremamente lunghe, formate da orientamento opposto e avvolti attorno a uno stesso
molte migliaia di desossiribonucleotidi di quattro tipi asse. Gli immaginari pioli di questa scala sono costi-
differenti. I nucleotidi che le compongono sono unità tuiti dalle basi azotate, che sporgono da ciascun fila-
elementari che si condensano in polimeri lineari, gli mento all’interno dell’elica e uniscono le due catene
acidi nucleici, con la funzione di immagazzinare e con ponti idrogeno: la base azotata G si accoppia
trasmettere le informazioni genetiche. sempre alla base azotata C, e la base azotata A si ac-
La sequenza in cui sono legate le molecole di coppia con la base azotata T. Grazie a questa specifi-
DNA è caratteristica per ogni dato tipo di organismo: cità di accoppiamento, nel DNA le sequenze nucleo-
infatti il DNA è il substrato molecolare dell’informa- tidiche delle due catene sono complementari, e la se-
zione genetica, codificata nella sequenza lineare del- quenza delle basi su un’elica determina anche la se-
la sua molecola polimerica. Il compito di realizzare quenza sull’altra. Ciò spiega le due funzioni fonda-
la trascrizione e la traduzione in molecole proteiche mentali che il materiale genetico svolge nella cellula:
dell’informazione portata dal DNA spetta poi a un al- l’autoduplicazione e la direzione della sintesi degli
tro acido nucleico, l’RNA. altri materiali cellulari, in primo luogo delle proteine.
I nucleotidi che stanno alla base dei due acidi so- La replicazione del DNA avviene infatti secondo un
no molto simili fra loro e formati dagli stessi compo- meccanismo semiconservativo: la doppia elica del
nenti: una base eterociclica azotata, o purinica (ade- DNA si apre in punti precisi nei quali si inserisce il
nina e guanina, a cui ci si riferisce con le lettere A e complesso enzimatico della DNA polimerasi, che ca-
G) o pirimidinica (citosina e timina nel DNA, e cito- talizza la sintesi della catena complementare spo-
sina e uracile nell’RNA, indicate con le lettere C, T e standosi lungo tutta la molecola. Le due eliche origi-
U), uno zucchero a 5 atomi di carbonio (desossiribo- nali perciò fungono ciascuna da stampo per la for-
sio nel caso del DNA e ribosio nel caso dell’RNA, da mazione di due nuove sequenze complementari, co-
cui i nomi) e acido fosforico. Come è stato scoperto sì da avere un filamento nuovo e uno vecchio in ogni
nel 1953 da J. Watson e F. Crick, la molecola di DNA nuova doppia elica. Il DNA poi, con un meccanismo
è costituita da una doppia elica, simile a una scala analogo a quello della autoduplicazione, dirige an-
che si avvolge su se stessa, in cui l’impalcatura è co- che la sintesi dell’RNA.
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La genetica
I geni
Un gene è l’unità funzionale del materiale eredi- dei due alleli (quello cosiddetto dominante) tende a
tario, che costituisce una porzione di cromosoma; a manifestare il proprio effetto, conferendo un partico-
livello molecolare, rappresenta l’intera sequenza di lare carattere (fenotipo) all’individuo e mascherando
acidi nucleici necessaria per codificare la sintesi di un l’effetto dell’altro allele, che viene detto recessivo.
polipeptide o di una sequenza di RNA. Accanto a L’azione dei geni dipende in primo luogo dalla loro
queste sequenze, i cosiddetti geni strutturali, sul cro- costituzione chimica, data dalla sequenza dei nucleoti-
mosoma sono presenti sequenze che hanno una fun- di, ma anche dalla posizione che il gene occupa sul
zione esclusivamente regolatrice, controllano cioè il cromosoma e dai suoi rapporti con gli altri geni: essa,
livello di espressione dei geni strutturali: per esempio infatti, si manifesta mediante la trascrizione dell’RNA
forniscono segnali di accensione e spegnimento della messaggero, che diventa il substrato per i ribosomi re-
trascrizione questi ultimi, in seguito a stimoli prove- sponsabili della traduzione dell’informazione genica.
nienti dall’interazione con l’ambiente. Nell’insieme, Queste grosse unità aggregate di proteine e RNA ribo-
tutti i geni presenti nel nucleo costituiscono il patri- somale leggono i nucleotidi dell’ RNA messaggero a tre
monio genetico o genotipo di un individuo, ereditato a tre, determinando la corretta sequenza aminoacidica
per metà dalla madre e per metà dal padre. Infatti, poi- delle proteine. Va però sottolineata una differenza fra i
ché le cellule di un nuovo organismo hanno origine geni procariotici e quelli eucariotici: i primi sono costi-
dalla fusione dei due gameti, uno paterno e l’altro ma- tuiti da una sequenza codificante unica e il futuro RNA
terno, conterranno tutte due copie, o alleli, di ciascun messaggero ricalca l’intera sequenza di DNA. I geni eu-
gene. Se gli alleli sono identici, l’individuo si definisce cariotici, invece, sono formati da sequenze codificanti,
omozigote per quel gene; se invece gli alleli sono dif- gli esoni, intervallati da introni, che non contengono
ferenti, l’individuo viene detto eterozigote. In genera- nessuna informazione genetica, ma sono fondamentali
le e semplificando, in un individuo eterozigote uno per l’esatta formazione dell’RNA messaggero.
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I cromosomi
I cromosomi sono corpi granulari che derivano dal- In ogni cromosoma, la sequenza del DNA lineare
la condensazione del DNA nucleare nelle cellule eu- contiene sempre tre elementi: i lunghi tratti della mo-
cariote e hanno la funzione di conservare e trasmette- lecola di DNA contenenti i geni e denominati ARS
re l’informazione genetica. In interfase, durante la nor- (dall’inglese Autonomously Replicating Sequences,
male fase di vita cellulare, l’elica di DNA contenuta sequenze replicate autonomamente); un centromero
nel cromosoma è poco condensata e si trova unita a (o cromocentro o cinetocoro) cui si connettono le fi-
proteine basiche, chiamate istoni. Questi complessi bre del fuso durante la divisione nucleare; infine i te-
prendono il nome di nucleosomi e si organizzano uno lomeri, cioè le parti terminali del cromosoma, che
dietro l’altro a formare “un filo di perle”: si tratta di una hanno la funzione di consentire la replicazione com-
prima fase di condensazione che permette all’elica di pleta del tratto di DNA lineare. Fondamentale per il ri-
DNA di passare da uno spessore di 2 nm a uno di 10 conoscimento dei singoli cromosomi è la posizione
nm, per poi riavvolgersi a spirale dando vita a cilindri del centromero (verso la parte centrale o verso quella
spessi 30 nm, che costituiscono la fibra di cromatina. apicale), che è costante per ogni cromosoma. In me-
Questo stato è fondamentale per lo svolgimento delle tafase i cromosomi appaiono fessurati longitudinal-
funzioni del metabolismo cellulare, poiché fa sì che i mente (a eccezione del loro centromero), così che
geni presenti sui filamenti di DNA siano facilmente ac- ognuno risulta formato da due parti identiche, dette
cessibili ai fattori che concorrono al processo di tra- cromatidi.
scrizione. Durante la duplicazione della cellula, la co- Il numero, la dimensione e la forma dei cromoso-
siddetta metafase, continua la condensazione: le fibre mi possono variare ampiamente negli organismi eu-
di cromatina si organizzano in ampie anse che si at- carioti appartenenti a specie diverse, ma costituiscono
taccano a un’impalcatura proteica acida. Particolari uno dei caratteri di maggior costanza per tutte le cel-
sequenze, dette SAR – scaffold attachment regions – lule degli individui appartenenti alla medesima spe-
guidano l’adesione di queste all’impalcatura. Questa cie; i cromosomi hanno le stesse forme e dimensioni
ultima struttura si avvolge su se stessa in ampie anse, e sono uguali a due a due (cromosomi omologhi). In
con diametro di 600-700 nm (per ogni singolo croma- ognuna di queste coppie, uno deriva dal padre e l’al-
tidio), dando vita alla struttura finale del cromosoma tro dalla madre; essi conservano la propria forma di
come viene visto al microscopio. Solo in questa fase generazione in generazione. In molti animali e in
infatti i cromosomi sono facilmente osservabili al mi- molte piante si osserva poi una coppia di cromosomi
croscopio ottico nella loro forma e individualità e pos- particolari, d’aspetto diverso nei maschi e nelle fem-
sono essere contati, studiati e confrontati perché inten- mine: si tratta dei cromosomi sessuali (o eterocromo-
samente colorabili con alcune sostanze. somi o allosomi), mentre gli altri sono detti autosomi.
e al suo professore Tatum, che una miscela di differenti genotipi del
batterio Escherichia coli può produrre ricombinanti genetici. Si trat-
tare anche come retrovirus e integrarsi nel genoma della cellula sana.
La McClintock è insignita del Nobel per la fisiologia e la medicina
Novecento*, Scienza e
tecnologia: L’eugenica, ta della coniugazione: in pratica avevano scoperto nei Procarioti l’a- nel 1983. Nel 1952 Frederick Ranger ricostruisce la sequenza ammi-
Dall’ingegneria genetica al nalogo della sessualità degli Eucarioti. Nel 1958, a soli 33 anni, Le- noacidica dell’insulina; per questo nel 1958 guadagnerà il premio
progetto genoma umano, derberg divise il Nobel con Beadle e Tatum. Qualche anno dopo, nel Nobel per la chimica.
La biochimica, La biologia 1950, la citogenetista americana Barbara McClintock (1902-1992)
molecolare, La del Cold Spring Harbor Laboratory di New York pubblica un arti- L’evoluzione della genetica dopo il 1953
sociobiologia, Le
colo in cui dimostra l’esistenza nel mais di segmenti di cromosomi Nonostante la crescita della genetica sia stata sotto molti aspetti ri-
applicazioni mediche della
genetica, L’evoluzione capaci di spostarsi da un sito all’altro del genoma. Questa scoperta voluzionaria, i suoi progressi sono in parte avvenuti mantenendo una
dell’evoluzionismo di materiale genetico mobile (questi elementi trasponibili vengono continuità teorica con le scoperte del passato; ancora oggi, infatti, le
chiamati trasposoni), insieme all’ulteriore dimostrazione di una cer- basi della genetica classica novecentesca (la separazione tra genotipo
ta intrinseca instabilità del materiale genetico, non suscita alcun im- e fenotipo, la natura discontinua e casuale della mutazione, l’ordina-
mediato interesse tra i genetisti, nonostante metta in crisi l’assunto mento lineare del materiale ereditario) non sono state contraddette
che i geni abbiano il loro posto fisso sul cromosoma. Quando poi i dalla genetica molecolare. In parte però hanno provocato una rottu-
trasposoni vengono trovati nei batteri si intuisce il loro ruolo poten- ra del quadro teorico precedente (specialmente per quanto riguarda
ziale nel trasferire la resistenza agli antibiotici da un batterio all’altro. l’identità e la definizione di gene, e l’idea innovativa che riconosce
Altri casi vengono descritti nei batteriofagi e nei tripanosomi ove si nel materiale ereditario una struttura gerarchica). Lo sviluppo della
dimostra il loro ruolo nel sottrarre il parassita alla risposta immuno- genetica molecolare ha mostrato che acquisizioni come le leggi men-
logica dell’ospite. Questa visione dinamica del genoma era in antici- deliane o il concetto premolecolare di gene rappresentano in realtà
po sui tempi; è una grande scoperta, ma solo alla fine degli anni Set- solo casi particolari di situazioni molto più generali. Dagli anni Ses-
tanta verrà accettata dai genetisti. Molti di loro divennero interessa- santa in avanti il processo conoscitivo della genetica ha assunto una
ti a una possibile correlazione nelle cellule umane fra i trasposoni e i modalità autocatalitica accelerando a tal punto i propri sviluppi che
retrovirus, i geni virali da poco scoperti, dato che alcuni geni che le scoperte dell’ultimo ventennio del Ventesimo secolo superano di
convertono le cellule sane in tumorali (oncogeni) si possono presen- gran lunga tutte le precedenti della storia della genetica.
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S. Forestiero 1 L’erosione della biodiversità
LA SESTA ESTINZIONE
Il problema dell’erosione della biodiversità è all’ordine del giorno come dimostra la
sua costante presenza nei mass media, e tuttavia nel nostro Paese, purtroppo, ancora non
si riesce a traghettarlo da argomento di conversazione-chiacchiera-propaganda a tema su
cui confrontarsi seriamente e a cui provare a dare individualmente e collettivamente un
avvio di soluzione. Cercherò, quindi, di ragionare anche attorno a certi ostacoli retrostanti
la difficoltà di passare dalle parole ai fatti; una difficoltà che spesso si presenta
nell’affrontare problemi ecologici di rilevanza sociale. Direi che l’identificazione di
questi punti critici relativi al rapporto tra conoscenze naturalistiche e azioni di intervento
credo sia un prerequisito necessario, benché insufficiente, nell’ideare qualunque strategia
efficace (e compatibile con la democrazia) per risolvere anche solo parzialmente i
problemi ambientali.
LA BIODIVERSITÀ
La diversità biologica si riferisce alla varietà degli organismi viventi e ai sistemi
ecologici in cui essi si trovano. Gli oggetti biologici, differenti in numero e frequenza, si
trovano a diversi livelli di organizzazione: dagli ecosistemi nel loro complesso alle
strutture chimiche che costituiscono le basi molecolari dell’eredità. Pertanto il termine
comprende i differenti ecosistemi, le specie, i geni nonché le loro abbondanze relative. La
biodiversità rappresenta, dunque, l’insieme delle differenze osservabili tra gli esseri
viventi; descrivibili in rapporto ai geni, alle specie e agli ecosistemi ed esprimibili
attraverso numeri. Qualsiasi caratterizzazione della biodiversità deve rifarsi a tre
discipline: la genetica che fornisce la descrizione dello stato della variazione intra e
interspecifica; la sistematica che dà una rappresentazione organizzata delle differenze tra
tutte le specie di organismi; l’ecologia che ricerca le regole che presiedono al
funzionamento dei grandi sistemi ambientali in cui la diversità genetica e quella
tassonomica si trovano necessariamente integrate. Esistono una storia e una geografia
della biodiversità su cui ci limitiamo a dire solo che l’attuale biodiversità è il risultato di
un processo storico lunghissimo iniziato tra 3.900 e 3.400 milioni di anni fa con la
comparsa della prima cellula. Considerando il fatto che l’evoluzione biologica è un
fenomeno irreversibile ne deriva che l’attuale biodiversità è un fatto contingente,
storicamente determinato.
Quello di biodiversità è un concetto moderno, ha carattere sintetico, presenta
risvolti teoricamente interessanti per la genetica, la biosistematica, l’ecologia e la
biogeografia. Ma qui ci interessa sottolineare il suo impiego anche in ambito applicativo:
S. Forestiero 1 L’erosione della biodiversità
di alcaloidi e, purtroppo, le scoperte in questo campo sono ancora del tutto fortuite, come
nel caso della pervinca del Madagascar una modesta piantina fonte di due alcaloidi con
spiccata attività antitumorale nel trattamento della malattia di Hodgin e della leucemia
linfocitica acuta infantile. La perdita di molecole di interesse farmaceutico sintetizzate da
microrganismi, animali e piante in via di estinzione sarebbe una danno irrimediabile. La
D-tubocurarina impiegata come miorilassante, il chinino e la chinidina, antibiotici come
l’eritromicina, la neomicina e l’anfotericina, l’aspirina originariamente estratta dal
salice, la citarabina capace di indurre remissione della leucemia mielocitica acuta sono
tutti esempi di molecole della biodiversità. Sul piano epidemiologico si vanno sommando
sempre più evidenze che i fattori di alterazione della biodiversità influenzano
l’emergenza di malattie infettive, in molti casi attraverso la rottura dei legami tra i sistemi
di controllo biologico che limitano l’emergenza e la diffusione delle specie dannose e dei
patogeni. La situazione si aggrava perché spesso le nuove malattie a loro volta sono una
minaccia per la salute di singole specie degli ecosistemi di cui innalzano il tasso di
mortalità. Il primo caso di estinzione di specie dovuto a infezione riguarda Partula
turgida, una chiocciola polinesiana la cui unica popolazione è stata infettata e uccisa dal
microsporidio del genere Steinhausia.
LA RICERCA DI UNA SOLUZIONE
Accanto alla nozione scientifica di biodiversità si è rapidamente sviluppato in
Occidente un grande dibattito socialmente costruito che, focalizzandosi sul progressivo
impoverimento delle ricchezze biologiche, ha rilanciato la riflessione sul rapporto uomo-
natura e sull’indispensabile compromesso tra necessità ambientali e necessità dello
sviluppo economico; esigenze però tradizionalmente conflittuali nella società moderna. E
il discorso è rimasto tale, senza produrre effetti retroagenti sulle cause che lo hanno
provocato. In sostanza, molte parole e nessuna azione politica.
Al momeno, l’erosione della biodiversità, fenomeno oggettivamente drammatico
sembra dunque destinato a rimanere solo un tema di conversazione. Perché questo
succede forse non è un mistero dato che la sensibilità naturalistica, per non dire delle
relative conoscenze, è praticamente inesistente nel nostro paese ed è minima in molti altri
paesi occidentali. E qui mi riferisco all’Occidente non perché ad altre longitudini sia
meglio in assoluto, ma solo perché sappiamo che il nostro stile di vita è ecologicamente
molto dispendioso. La mancanza di conoscenza della natura produce conseguenze assai
negative sulle nostre società e, oggi, grazie alla globalizzazione, anche sulle altre società
umane. Penso, sia chiaro, non tanto alla mancanza nei cittadini consumatori di elementari
conoscenze-nozioni naturalistiche quanto piuttosto alla mancanza di “competenza
naturalistica”. Competenza come qualcosa che somiglia piuttosto a una conoscenza in
S. Forestiero 1 L’erosione della biodiversità
azione, dunque qualcosa di veramente molto lontano dall’insieme inerte di nozioni, pure
utilizzabili, su animali, piante, rocce, clima ecc. che molti pensano siano le scienze
naturali. E parlando di competenza naturalistica non mi riferisco affatto alle minuzie
tecniche dei naturalisti (il nome di quella piantina, il numero di pezzi della zampa di un
insetto, la composizione petrografica di una roccia, ecc.), ma proprio alla capacità che
ogni naturalista ha, al pari di ogni indigeno illetterato di una foresta tropicale, di cogliere
il nesso tra le cose della natura nonostante le scale diverse a cui prodotti e processi si
possono manifestare e, in una certa misura, nonostante la distanza nel tempo e nello
spazio. Qualsiasi naturalista ha sperimentato-imparato l’importanza delle differenze tra
gli individui di una popolazione, tra le popolazioni di una specie, tra le specie di una
comunità ecologica e le differenze tra gli ecosistemi. C’è dunque bisogno di
un’educazione a cogliere i nessi, le relazioni tra le cose, tra i fenomeni. La conoscenza è
sempre una lotta contro gli stereotipi: il rapporto tra locale e globale non è frutto della
mondializzazione, è una cosa vecchia di molte centinaia di milioni di anni. Ben venga
allora qualunque forma di sapere che aiuti a sviluppare, nei giovani e negli adulti, la
capacità di capire l’importanza capitale delle differenze e il rapporto che c’è tra diversità
e stabilità, la capacità di rappresentarsi la biosfera come un insieme di reti interconnesse
(un nodo delle quali è la nostra specie) in cui tutto ha un senso (dunque un valore), pure
se quel senso non fosse immediatamente riconoscibile come il nostro. E c’è anche
estremo bisogno che, a un certo punto, i cittadini-consumatori siano esposti al problema,
invitati a ragionare sul problema, perché è chiaro che su questioni così importanti è
dissennato affidarsi completamente e soltanto a degli esperti. Bisogna democratizzare il
problema, mettendolo nelle mani dei cittadini e chiedendo loro di esaminarlo prima di
giudicare e decidere. Certo assistendoli, aiutandoli a capire.
In un workshop a porte chiuse, tre giorni a fine maggio del 1994 al Museo di Storia
Naturale di Parigi, sui rapporti tra diversità biologica e diversità culturale, ebbi la fortuna
di incontrare e conoscere Darrell Posey, un etnobiologo americano, all’epoca all’Istituto
di Scienze forestali di Oxford, che ha lavorato per oltre un ventennio tra i Kayapó
dell’amazzonia brasiliana. Posey, scomparso qualche anno fa, era uno studioso molto
competente con una formazione accademica completa (dalla laurea in entomologia al
PhD in etnobiologia) e si vedeva. Ma, parlando di come fronteggiare i velocissimi
fenomeni della sesta estinzione, quello che più colpiva l’interlocutore era la sua
straordinaria capacità di entrare concretamente nel problema. Afferrava il cuore della
questione e procedeva con una capacità analitica invidiabile a isolarne gli aspetti più
salienti in vista di una possibile ma comunque necessaria soluzione (e nel caso delle
contromisure all’erosione della biodiversità questi aspetti sono davvero molto eterogenei:
S. Forestiero 1 L’erosione della biodiversità
un prodotto della biofilia, l’amore per la natura da cui proveniamo: un tratto della nostra
specie geneticamente determinato.
i
Se ne conoscono circa 2.000.000 di specie, ma le proiezioni parlano di numeri totali anche 15 volte maggiori. Le
conoscenze sono tassonomicamente, ecologicamente e biogeograficamente a macchia di leopardo: alcuni gruppi, alcuni
ambienti, alcune aree geografiche sono meglio note di altre. È chiaro che in mancanza di una adeguata conoscenza
della fisiologia anche la descrizione della patologia sarà difettosa. L’unica certezza è che diversamente dalle precedenti
5 grandi estinzioni del passato, l’attuale è dovuta ad una sola specie, la nostra, e che procede a velocità enorme. I dati
indicano il suo inizio a circa 120.000 anni fa con l’emigrazione degli antenati di Homo sapiens dall’Africa;
l’incremento successivo si ebbe con la nascita e l’affermarsi dell’agricoltura nel Neolitico, per poi aumentare ancora
con l’esplosione demografica collegata all’industrializzazione. Le recenti facilità di spostamento e comunicazione tra i
vari continenti hanno contribuito enormemente ad accelerare il fenomeno di estinzione massiva. Campionando tra i dati
emerge per esempio che negli ultimi due millenni è scomparso il 20% delle specie di uccelli a seguito
dell’antropizzazione delle isole, mentre oggi ne è minacciato l’11%; la scomparsa di oltre il 70% dei generi di
mammiferi delle Americhe coincide con l'arrivo dell'uomo sul continente americano circa 11.000 anni fa; quasi tutti i
grandi marsupiali, i grandi rettili e circa la metà delle specie di uccelli non volatori dell’Australia si sono estinti dopo
l’arrivo dell'uomo; i coloni polinesiani delle Hawaii hanno sterminato la metà circa dell'avifauna terrestre. Il 20% dei
pesci d’acqua dolce del mondo è in via di estinzione o forse è già estinto; nei soli Stati Uniti si sono estinte
recentemente oltre l’1% di piante (più di 210 specie su 20.000), ma a livello globale si lamentano circa 250 specie
estinte e circa 4.500 in pericolo; in Austria è minacciato di estinzione il 22% di invertebrati; nelle foreste planiziali
dell’Ecuador occidentale un’area di 1 km2 contiene 1.200 specie vegetali, di cui il 25% endemico, l’8% nuove per la
scienza, 43 specie presenti in un solo biotopo, di alcune si conoscono pochi individui, talora uno solo. Limitandosi solo
a mammiferi (circa 4.500 specie note), uccelli (circa 9.700) e anfibi, se ne registrano estinti e in pericolo,
rispettivamente: 77 e 1.101, 133 e 1.213 di. Gli anfibi (circa 4.100 specie), un gruppo ovinque molto sensibile ai
mutamenti ambientali, ha perduto sinora 35 specie e ne ha 1.856 in situazione critica. Trenta anni fa le foreste tropicali
mondiali si riducevano ad un tasso dello 0,9% l’anno ; venti anni fa la velocità era raddoppiata arrivando all’1,8%. Tra
le cause dirette dell’estinzione spiccano la sottrazione e la frammentazione degli habitat (per es. per conversione di
terre all’agricoltura), l’arrivo di specie invasive estranee, il tasso di consumo delle risorse maggiore di quello di
rinnovamento, l’inquinamento, le modificazioni globali del clima. Tra le cause indirette si registrano gli eccessi
demografici e dei consumi, la struttura socioeconomica delle nazioni povere che per es. minimizzano gli incentivi alla
conservazione, la debolezza degli organi di governo, della politica e dei sistemi legislativi.
■ IL SECOLO DI ERNST M AY R ■
S AV E R I O F O R E S T I E R O
IL
GRANDE VECCHIO della biologia evolutiva, è in un certo modo riduzionista: la specie è fatta di
Ernst Mayr, professore emerito di zoologia popolazioni (al limite una sola) e l’appartenenza di
ad Harvard, compie 100 anni il 5 luglio una popolazione (che è l’oggetto biologico evolvibi-
prossimo e con quasi ottanta anni di ricerca sulle le) a una o a un’altra specie viene stabilita da una re-
spalle continua a dominare il palcoscenico degli stu- lazione di natura riproduttiva. La novità è che l’ap-
di evolutivi dell’intero Novecento. I meriti scientifi- partenenza di una popolazione ad una certa specie
ci di Mayr sono molti e anche molto significativi. A non costituisce più una proprietà essenziale, immu-
cominciare dalla circostanza per cui, insieme a stu- tabile, inerente l’ontologia dell’oggetto popolazione,
diosi come Dobzhansky, Huxley, Rensch e Simpson, ma diventa, invece, proprietà relazionale e modifica-
è stato uno dei padri fondatori della Teoria Sintetica bile nel tempo. La probabilità di successo riprodutti-
dell’Evoluzione (Tse), elaborata grosso modo negli vo varia al passare delle generazioni ed è circolar-
anni tra il 1937 e il 1946. Come è risaputo, gli arte- mente connessa al grado di parentela genetica (op-
fici della Tse riuscirono ad articolare una serie di ac- portunamento definita) tra le popolazioni.
quisizioni disciplinari locali (di genetica, biosistema- Il grande lavoro di Mayr sulla specie, pur con
tica e paleontologia) in un corpo teorico complessi- molti limiti, rappresenta un progresso sia sul versan-
vo, capace di spiegare un’enorme ed eterogenea mes- te della definizione sia su quello della spiegazione
se di osservazioni e dati sperimentali fino a quel mo- causale dei fenomeni speciativi. Avviene così che
mento teoricamente scorniciati. Mayr scriva le pagine di un libro sulla speciazione,
Prima della nascita della Tse una biologia evolu- una sua “Origine delle specie”, che, nonostante il ti-
tiva non esisteva. Qua e là spuntavano spiegazioni tolo del 1859, Darwin non ha mai trattato. Con la
darwiniane, specialmente se entrava in gioco l’adat- morte della concezione idealistica della specie e col
tamento, ma senza rilevanti conseguenze generali. trionfo del punto di vista popolazionale, Mayr rag-
La Tse e la nascita della biologia evolutiva sono un giunge una meta importante: il “concetto biologico”
tutt’uno e Mayr oltre a esserne un artefice ne è stato e il “modello di speciazione geografica” vengono ac-
il costante, instancabile promotore. Questo sin dal- cettati e si impongono rapidamente e universalmen-
l’inizio, quando nel 1946 fu tra i fondatori della So- te. Con qualche eccezione, però. Ci sono organismi
cietà per lo Studio dell’Evoluzione e divenne diret- e concrete circostanze empiriche per i quali il mo-
tore di Evolution, il periodico societario che è ancora dello allopatrico non sembra proprio applicabile.
rivista leader del settore. Perciò la sua universalità viene messa in discussione.
Il contributo di Mayr alla Tse riguarda essen- In pratica, viene avanzata l’ipotesi, risalente ai tempi
zialmente il problema della specie: statuto ontologi- di Darwin, che in casi particolari e in certi gruppi tas-
co, definizione, origine. In una serie di articoli e libri sonomici (per esempio nei fitoparassiti) vi possa es-
oramai classici Mayr ha dimostrato che le specie so- sere una speciazione non accompagnata da isola-
no entità biologiche concrete e non enti nominali, mento geografico: lo chiamano modello di specia-
che non vanno considerate in termini tipologici e zione simpatrica.
adimensionali, ma invece trattate come entità pluri- Beh, la risposta di Mayr è violenta: difende la sua
dimensionali e politipiche. Mayr ha promosso l’af- creatura contro ogni critica, non sente ragioni e nel
fermarsi del pensiero popolazionale in biosistemati- trambusto più di uno studioso ne fa le spese. Un ca-
ca, ha dimostrato l’importanza dell’isolamento geo- so per tutti. La polemica con Michael White che va
grafico ai fini della formazione di nuove specie e ha suggerendo, dati alla mano, la possibilità di mecca-
approfondito e perfezionato l’analisi dei meccanismi nismi alternativi a quelli della speciazione geografi-
di isolamento riproduttivo iniziata da Dobzhansky. ca, basati su riarrangiamenti cromosomici (tipo in-
Il suo sforzo teorico maggiore risiede nella defi- versioni e traslocazioni) capaci di spiegare assai me-
nizione di specie basata sul ben noto “concetto bio- glio del modello mayriano l’esistenza di specie ge-
logico”.Nell’elaborazione della sua definizione Mayr melle con distribuzione parapatrica in certe sue ca-
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Mayr posa accanto al suo ritratto nella biblioteca di Harvard che porta il suo nome. Nella pagina seguente, lo studioso in una foto dello scorso anno.
vallette australiane, prende toni assai ruvidi. D’altra Caso abbastanza raro tra gli scienziati, Mayr coltiva
parte il problema della speciazione è intrinsecamen- con successo interessi epistemologici e storiografici
te complesso, la capacità argomentativa di Mayr è verso la biologia e quella stessa teoria evolutiva di cui
formidabile, la sua conoscenza della letteratura è coautore. Questo è un altro dei suoi meriti scienti-
scientifica praticamente perfetta e il suo ascendente fici. Mayr è sempre stato convinto che la biologia
sugli evoluzionisti è in crescita: non c’è scampo. darwiniana, quella che risponde alle domande sui
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perché cercandone le risposte nella storia degli or- pronta tutta tedesca, humboldtiana, della sua forma-
ganismi, abbia bisogno di scrutinare continuamente zione giovanile. Ma nonostante la cultura di prove-
i concetti di cui si serve. Concetti e teorie sono ferri nienza, il modello di Mayr rimane Charles Darwin
del mestiere altrettanto importanti dei microscopi e con cui condivide più di un punto: il giovanile esoti-
dell’altra strumentazione di laboratorio. La manuten- co viaggio iniziatico, gli arcipelaghi tropicali, una
zione concettuale e la conoscenza storica della pro- curiosità insaziabile, l’acuzie osservativa, la dedizio-
pria disciplina diventano indispensabili per il suo ne al lavoro e la prolificità intellettuale, lo sviluppo
progresso. La sua attenzione verso la storia e la filo- di un unico lungo ragionamento su come la biologia
sofia della biologia tout court non sono perciò un spieghi il mondo dei viventi e stabilisca il posto del-
vezzo senile, non hanno valore esornativo ma sono l’uomo nell’evoluzione.
funzionali alla sistemazione dei dati, sono parte in- Buon compleanno professor Mayr!
tegrante nell’elaborazione di modelli interpretativi
adeguati e, su un diverso piano, rimandano all’im- Saverio Forestiero, Università di Roma Tor Vergata
RICK FRIEMAN / CORBIS / CONTRASTO
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La sociobiologia
La genetica delle popolazioni
La genetica delle popolazioni si propone di ana- non è possibile osservare tutti gli individui di una
lizzare geneticamente le popolazioni naturali, cioè popolazione, il genetista ricorre al campionamento.
l’insieme di individui di una stessa specie che vivo- Esistono molte difficoltà nello stabilire le frequenze
no in una medesima area, in particolare utilizzando dei geni: per esempio i geni recessivi non sono rive-
i metodi matematici e statistici della biometria. I labili negli eterozigoti. Tali difficoltà vengono aggi-
principi mendeliani sono validi infatti anche per la rate costruendo modelli semplificati delle popola-
trasmissione dei geni all’interno di un gruppo di in- zioni e risolvendo i problemi matematicamente ri-
dividui o di una popolazione naturale; una caratte- spetto ai modelli. Una legge fondamentale nella ge-
ristica che ha interessato gli studiosi, in particolare, netica di popolazione è quella di Hardy-Weinberg,
è il vantaggio riproduttivo degli individui portatori di che la frequenza e la distribuzione analizza dei ge-
caratteri favorevoli, che, dunque, saranno più pro- ni di una popolazione; in un certo senso equivale al-
babilmente trasmessi alla discendenza. Il concetto le leggi di Mendel, che rendono conto invece di co-
fondamentale è quello di frequenza genica (la fre- me avviene la trasmissione dei geni in singoli orga-
quenza con cui determinati geni sono presenti in nismi. Secondo la legge di Hardy-Weinberg, i fatto-
una popolazione); di questa si esaminano anche va- ri principali che governano i cambiamenti evolutivi
riazioni, modalità e cause della variazione. La gene- di una popolazione sono le mutazioni, le migrazio-
tica di popolazione, infatti, richiede uno studio che ni (intese come flusso di geni tra popolazioni), la di-
tenga conto di tutte le varianti alleliche dei geni pre- mensione della popolazione, l’accoppiamento non
senti negli individui che la compongono. Poiché casuale e la selezione naturale.
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L’innatismo
L’innatismo è una dottrina filosofica che afferma l’e- la seconda i principi primi, sebbene definiti “immedia-
sistenza nella mente umana non soltanto di idee acqui-
site con l’esperienza, ma anche originariamente pre-
tamente evidenti”, sono comunque visti nell’esperien-
za. È in particolare con Cartesio, Spinoza e Leibniz che
Novecento*, Scienza
e tecnologia: senti alla mente stessa. In un certo senso, si può dire che si afferma la teoria per cui le conoscenze più decisive
Dall’antropologia fisica il precursore dell’innatismo fu Platone, secondo il qua- l’uomo non le ricava dall’esperienza, ma le possiede
le la conoscenza razionale consiste nel ricordare ciò già in sé, appunto come idee innate; si tratta delle co-
all’antropologia genetica: che l’anima ha visto nel mondo delle idee prima di ve- noscenze che hanno caratteri di necessità e universa-
il dibattito sull’evoluzione nire imprigionata nel corpo. È tuttavia solo col raziona- lità, come l’idea di verità, dell’anima, di Dio.
umana, Dall’ingegneria lismo moderno che si afferma un innatismo compiuto: Da queste teorie si differenzia l’innatismo kantia-
genetica al progetto genoma non possono essere considerate tali la filosofia platoni- no, che afferma il carattere innato non di contenuti
umano, La genetica, ca né quella aristotelica: nella prima il mondo non è af- conoscitivi ma solo di un fattore della conoscenza,
L’etologia, L’evoluzione fatto conosciuto completamente dall’uomo, mentre per cioè delle forme a priori.
dell’evoluzionismo
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Teoria sintetica S. Forestiero
1. INTRODUZIONE
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Teoria sintetica S. Forestiero
2. FINO AL 1937
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troppo piccole per produrre pressioni selettive significative e che quindi sorgente di
variazione essenziale per l'evoluzione potessero essere solo le mutazioni di grande
portata.
Risale a quegli anni il contrasto tra mendeliani e biometrici; i secondi pur sostenendo
correttamente l'importanza della variazione continua e di piccola entità ai fini evolutivi,
credevano erroneamente che l'eredità avvenisse per mescolanza: posizione inaccettabile
dai mendeliani. Intanto, grosso modo nello stesso periodo degli anni Venti in cui Morgan
stava completando la mappe cromosomiche di Drosophila e Hermann Joseph Müller
dimostrava l'esistenza della mutagenesi, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti andava
maturando a opera di Ronald Alymer Fisher, John Burdon Sanderson Haldane e Sewall
Wright un approccio teorico all'evoluzione anche esso nato dal dibattito sull'ipotetica
continuità dell'evoluzione e l'ipotetica efficacia della selezione naturale.
Fisher era uno statistico interessato alla teoria dell'evoluzione ma privo di competenze
biologiche, Haldane era un giovane e brillante biochimico passato alla genetica e alquanto
versato in matematica, diversamente da Wright, che era anche egli un biologo ma con una
scarsa formazione iniziale in matematica.
I lavori di Fisher sulla dominanza, il polimorfismo bilanciato e sul rapporto tra varianza
genetica ed evoluzione, quelli di Wright sugli effetti dell'inincrocio, sull'importanza della
deriva nelle piccole popolazioni, sul coefficiente di parentela e sull'interazione tra loci
genici, e i modelli di Haldane sulla selezione a carico di geni autosomici furono alla base
della genetica matematica di popolazione, ovviamente insieme alle più antiche trattazioni
di Wilhelm Weinberg e di Godfrey Harold Hardy risalenti al 1908 e oggi note come
principio di Hardy-Weinberg.
Nel corso di tre anni consecutivi Fisher (1930), Wright (1931) e Haldane (1932)
pubblicarono i loro scritti più importanti fondando la genetica teorica di popolazione. Il
loro lavoro riuscì a superare i contrasti tra mendeliani e biometrici dimostrando l'assenza
di conflitto tra posizione mendeliana (eredità discreta), gradualismo (variazione continua)
e darwinismo (efficacia della selezione naturale). Ognuno di questi tre autori produsse un
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proprio modello matematico che coglieva e teorizzava solo alcuni aspetti del processo
evolutivo, in qualche caso i modelli proposti potevano confliggere e tuttavia la sintesi tra
mendelismo e darwinismo era stata realizzata a livello della teoria genetica.
Affinché maturasse la possibilità di una sintesi tra teoria e prassi e affinché essa fosse più
ampia, transdisciplinare, era necessario che le previsioni dei singoli modelli venissero
provate sperimentalmente e che le acquisizioni della genetica fossero articolate con quelle
della sistematica e della paleontologia a due diverse scale si occupavano dei risultati dei
cambiamenti evolutivi.
Se la popolazione pensata dai genetisti teorici era un'astratta entità statistica, non così
avveniva per le popolazioni di organismi osservate sul campo dai naturalisti e in
laboratorio dai genetisti sperimentali degli anni Trenta.
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Teoria sintetica S. Forestiero
Il problema della specie nel suo complesso, con la dimostrazione che le specie sono entità
biologiche concrete e non enti nominali, l'introduzione del pensiero popolazionistico in
sistematica, lo studio della variazione geografica discontinua (con le Rassenkresis di
Rensch o specie politipiche di Huxley) e di quella continua (i clini di Huxley),
l'importanza della distribuzione geografica allopatrica e di quella simpatrica e finalmente
l'individuazione dei meccanismi di speciazione geografica, tutto questo insieme di
tematiche fu brillantemente affrontato nei lavori di Mayr (1942), Huxley (1942) e Rensch
(1939).
Mayr, in particolare, precisò la definizione di specie elaborando il ben noto "concetto
biologico di specie" e contribuì alla sintesi anche con le sue competenze di biogeografo .
Mayr, oltre ad essere stato uno dei grandi protagonisti della Teoria sintetica (nel 1946 fu
tra i fondatori della Società per lo Studio dell'Evoluzione e primo direttore di Evolution, la
rivista della SSE), viene universalmente riconosciuto come il biologo che più di ogni altro
si è dedicato, e con grande successo, all'aggiornamento ed alla sistematizzazione storico-
critica delle conoscenze sull'evoluzione che nei decenni post-Sintesi sono andate via via
accumulandosi (si veda per es. Mayr, 1982).
All'epoca della Sintesi , i paleontologi erano fieramente avversi al darwinismo; tra loro vi
furono studiosi neolamarckiani e studiosi antilamarckiani, saltazionisti e ortogenisti, ma
nessuno di essi accettò il gradualismo selezionista dei neontologi.
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Qualche anno dopo, George Ledyard Stebbins (1950) estende la teoria sintetica alla
botanica chiarendo il peso della poliploidia e della ibridogenesi nella speciazione delle
piante. Va osservato che anche il libro di Stebbins (una rarità per l'epoca, dato lo scarso
sviluppo degli studi sulle popolazioni naturali di vegetali) viene pubblicato nella collana
Columbia Biological Series della Columbia U.P., come era già avvenuto per le opere
fondamentali di Dobzhansky, Mayr e Simpson. Negli anni seguenti Dobzhansky pubblica
due altre edizioni del suo libro, Simpson pubblica altri volumi sugli stessi argomenti, così
fanno pure Mayr e Stebbins (per una esaustiva rassegna bibliografica si vedano Mayr e
Provine, 1980 e Mayr, 1982).
Con il passare del tempo la Teoria sintetica viene modificata, ma intanto adesioni e
diffusione della teoria crescono. Un effetto non voluto ma facilitato dall'irrigidimento
della Teoria sintetica e dalla sua pervasività è stato l'adattamentismo: una forma distorta e
ipersemplificata della teoria dell'adattamento.
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BIBLIOGRAFIA
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