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La genetica di Saverio Forestiero

La storia della genetica si può dividere in due fasi: una precedente e l’altra
successiva al 1953, anno in cui viene scoperta la struttura del DNA, la molecola
della vita. Nella prima parte del secolo vengono poste le basi della genetica
classica, nella seconda parte la genetica diventa molecolare conseguendo risultati
spesso inattesi, culminati nella conoscenza anatomica del genoma della nostra
specie. Accanto ai biologi hanno partecipato e partecipano alle sue imprese
scienziati con le formazioni più diverse: donne e uomini provenienti dalla
matematica e dalla fisica, dalla chimica, dalla medicina.

Il microscopio utilizzato da Mendel Uno sviluppo a ritmi travolgenti


È conservato nel museo La parola genetica fu impiegata per la prima volta nel 1906 dal bio-
dell’abbazia di Saint Thomas a logo inglese William Bateson (1861-1926), il fondatore della geneti-
Brno, Repubblica Ceca. Nel ca moderna, in una conferenza sull’ibridazione tenuta alla Royal
giardino del convento di Brno,
dove entra come monaco
Horticultural Society di Londra per indicare la scienza “dell’eredità
agostiniano nel 1843, Mendel ha e della variazione”: dunque lo studio scientifico dei fattori respon-
l’opportunità di compiere i sabili delle somiglianze e delle differenze osservabili tra individui
primi esperimenti sulle piante di imparentati per discendenza. Con le loro prime ricerche i genetisti
pisello (Pisum sativum) che lo del Novecento riescono a stabilire che la comparsa in un individuo
portano alla formulazione delle
leggi sulla trasmissione dei dei caratteri ereditati dai genitori è controllata da unità discrete che
caratteri genetici. chiamano geni; che la manifestazione di forme differenti di un ca-
rattere sono dovute direttamente a forme alternative dei geni dette
alleli; e, ancora, che, rispetto a un certo carattere, un individuo può
essere omozigote (quando le sue cellule contengono due copie
uguali di un gene) oppure eterozigote (se le copie sono differenti).
A partire da queste e da altre semplici e tuttavia fondamentali ac-
quisizioni, la genetica si sviluppa a un ritmo travolgente, particolar-
mente nella seconda metà del secolo e svelando anche i meccanismi
dell’evoluzione biologica si è posta al centro della biologia del No-
vecento.
Per la maggior parte del tempo i genetisti si sono concentrati nell’i-
dentificazione di singoli geni e nella caratterizzazione delle loro fun-
zioni; da una ventina d’anni, però, si è andata rafforzando la con-
vinzione che sono veramente pochissimi i geni che agiscono da so-
li, e che geni e proteine (che dei geni sono il prodotto diretto) inte- re vengono semplicemente ignorati per trentaquattro anni. Si tratta
ragiscono continuamente tra loro. Il destino biologico di ogni orga- della legge della segregazione (i due alleli di ogni carattere si sepa-
nismo, dal lievito di birra alla drosofila, all’uomo, dipende infatti da rano alla formazione dei gameti e poi si uniscono a caso al momen-
complesse reti di interazioni tra molecole. La recente scoperta di to della fecondazione) e della legge dell’assortimento indipendente
questi network e la loro analisi è stata resa possibile dall’impiego di (alla formazione dei gameti, coppie di alleli differenti si separano in-
strumenti tecnici sofisticati che hanno permesso una manipolazione dipendentemente l’una dall’altra).
fine e precisa del materiale genetico. Poi, nel 1900, l’olandese Hugo de Vries (1848-1935), il tedesco Karl
Si tratta della cosiddetta tecnologia del DNA ricombinante: un Correns (1864-1933) e l’austriaco Erich von Seysenegg Tschermack
complesso di tecniche e di reazioni chimiche in cui rientrano gli en- (1871-1962), tutti e tre botanici, arrivano, ognuno per proprio con-
zimi di restrizione che tagliano il DNA in punti predefiniti, la rea- to, alle stesse conclusioni di Mendel, stavolta subito accettate: inizia
zione a catena della polimerasi (PCR) capace di isolare e amplifica- per la biologia l’era della genetica.
re un frammento di DNA a partire da una miscela di DNA, il clo- Come spesso accade nella ricerca scientifica, le varie linee di inda-
naggio genico, l’ibridazione del DNA, il suo sequenziamento con gine della genetica non procederanno ordinatamente seguendo un
cui si può conoscere l’esatto ordine di successione lineare delle ba- piano prestabilito, ma divergeranno o convergeranno secondo
si costitutive di un filamento di DNA. traiettorie erratiche che intercetteranno nei momenti più proficui le
conoscenze di citologia, di biochimica e, più tardi, di biologia mo-
Dalla “riscoperta” di Mendel alla teoria lecolare, producendo nuovi esaltanti sviluppi. Nel 1902 l’americano
cromosomica dell’eredità Walter Sutton (1877-1916) e il tedesco Theodor Boveri (1862-1915)
Gli esperimenti di Mendel sui piselli vengono pubblicati nel 1866 evidenziando con opportune colorazioni dei corpuscoli intracellu-
ma il suo lavoro e i due principi rivoluzionari che egli ne fa deriva- lari osservano che questi, chiamati poi cromosomi, si comportano in

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La genetica

Hugo de Vries
Hugo de Vries (1848-1935),
botanico olandese, fotografato
mentre esegue esperimenti di
incrocio su alcune specie di
fiori. A de Vries va riconosciuto
il merito di aver introdotto nel
1901 il concetto di mutazione,
ponendolo alla base dei
meccanismi di evoluzione
e speciazione.

accordo con gli ipotetici agenti ereditari proposti da Mendel. In molte generazioni. È il celebre principio dell’equilibrio genico di
successive ricerche riescono a dimostrare che i cromosomi sono Hardy-Weinberg derivato pochi mesi prima, all’insaputa di Hardy,
strutture individuali e differenziate, e li candidano a contenitori dei anche dal medico tedesco Wilhelm Weinberg (1862-1937); un prin-
“fattori mendeliani” dell’eredità (i futuri geni). Nello stesso anno cipio che sta alla base della genetica di popolazione. Nello stesso
l’inglese Archibald Garrod (1857-1936) individua l’esistenza di un 1908 lo svedese Herman Nilsson-Ehle dà la prova sperimentale che
rapporto tra tali fattori e attività metaboliche ipotizzando corretta- i caratteri con variazione continua sono controllati da multipli fat-
mente che l’alcaptonuria (anomalia genetica che ha come effetto ar- tori mendeliani (eredità multigenica dei caratteri quantitativi).
tropatie e colorazione scura delle urine a causa di un accumulo di Nel 1909 il danese Vilhelm Johannsen (1857-1927) riprende dagli
acido omogentisico nel sangue) dipende da un cambiamento, una scritti di De Vries, il termine gene definendolo come “la particella
mutazione, del fattore mendeliano che lo rende incapace di produr- che possiede le proprietà mendeliane di segregazione e di ricombi-
re l’enzima che controlla il metabolismo dell’acido omogentisico. Un nazione”. Johannsen conierà anche i termini di genotipo e fenotipo.
poco alla volta si va chiarendo la logica che lega i geni al funziona- L’aspetto innovativo della sua ricerca è l’elaborazione di un concet-
mento dell’organismo. Garrod parla di errori congeniti del meta- to operativo di gene: il gene è un ente teorico inventato per spiega-
bolismo: è la prima prova di eredità mendeliana nell’uomo e la po- re i risultati degli incroci; non è ancora dotato di realtà materiale.
sa della prima pietra dell’edificio della genetica medica. Quell’anno, il 1909, Bateson e Punnett fondano a Cambridge la ri-
Nel 1903 anche il francese Lucien Cuénot (1866-1951), che studia vista “Journal of Genetics”. La teoria cromosomica dell’eredità, che
l’ereditarietà della colorazione della pelliccia del topo, ipotizza che
gli effetti dei geni sulla pigmentazione fossero mediati da proteine  
enzimatiche. Quell’anno William E. Castle (1877-1944), pioniere Genotipo e fenotipo
della genetica americana, collega le frequenze alleliche a quelle ge- I due termini sono stati introdotti nel lessico
notipiche. Due anni dopo, lavorando sul coleottero della farina (Te- della genetica da Johannsen. Il genotipo indica la
nebrio molitor), la ricercatrice americana Nettie M. Stevens (1861- costituzione in geni di un individuo (o di una po-
1912) mette in evidenza l’esistenza dei cromosomi sessuali. Nello polazione), cioè il suo patrimonio di caratteri ere-
ditari, contenuti nei cromosomi; il fenotipo è l’e-
stesso anno l’inglese Reginald C. Punnett (1875-1967) pubblica il spressione visibile delle caratteristiche genetiche.
primo manuale di genetica: Mendelism. Nel 1906 a Cambridge Wil- Tra i due possono esservi differenze, dovute in par-
liam Bateson (1861-1926) e Punnett scoprono nel pisello odoroso il ticolare alla presenza nel genotipo di caratteri re-
fenomeno del linkage (associazione) tra caratteri: geni associati sul- cessivi, che cioè non sempre si manifestano visibil-
mente, e di coespressioni geniche, che modificano
lo stesso cromosoma non segregano indipendentemente ma insie- l’espressione fenotipica dei singoli geni. Inoltre il
me; dunque un’importante eccezione alla legge di Mendel dell’as- fenotipo è determinato anche dalle interazioni fra i
sortimento indipendente. Nel 1908 Punnett ricorre all’aiuto di un geni e l’ambiente, che può condizionare decisa-
mente il risultato finale. Il fenotipo, dunque, non è
collega matematico di Cambridge Godfrey H. Hardy (1877-1947) solo un indizio della costituzione genetica, ma è
per spiegare perché un carattere dominante non riesce automatica- l’espressione finale di un equilibrio dato dal patri-
mente a soppiantare quello recessivo. Hardy formula il problema monio genetico dell’individuo e dagli scambi
matematicamente, dimostrando che, date certe condizioni, le se- informativi che instaura con l’ambiente.
quenze geniche delle popolazioni naturali rimangono costanti per  

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Scienza e tecnologia  “Conosci te stesso”: l’organismo e l’ambiente, la salute e la malattia

 
Il DNA
DNA significa “acido desossiribonucleico”; si stituita da due filamenti lineari appaiati ma con
tratta di molecole estremamente lunghe, formate da orientamento opposto e avvolti attorno a uno stesso
molte migliaia di desossiribonucleotidi di quattro tipi asse. Gli immaginari pioli di questa scala sono costi-
differenti. I nucleotidi che le compongono sono unità tuiti dalle basi azotate, che sporgono da ciascun fila-
elementari che si condensano in polimeri lineari, gli mento all’interno dell’elica e uniscono le due catene
acidi nucleici, con la funzione di immagazzinare e con ponti idrogeno: la base azotata G si accoppia
trasmettere le informazioni genetiche. sempre alla base azotata C, e la base azotata A si ac-
La sequenza in cui sono legate le molecole di coppia con la base azotata T. Grazie a questa specifi-
DNA è caratteristica per ogni dato tipo di organismo: cità di accoppiamento, nel DNA le sequenze nucleo-
infatti il DNA è il substrato molecolare dell’informa- tidiche delle due catene sono complementari, e la se-
zione genetica, codificata nella sequenza lineare del- quenza delle basi su un’elica determina anche la se-
la sua molecola polimerica. Il compito di realizzare quenza sull’altra. Ciò spiega le due funzioni fonda-
la trascrizione e la traduzione in molecole proteiche mentali che il materiale genetico svolge nella cellula:
dell’informazione portata dal DNA spetta poi a un al- l’autoduplicazione e la direzione della sintesi degli
tro acido nucleico, l’RNA. altri materiali cellulari, in primo luogo delle proteine.
I nucleotidi che stanno alla base dei due acidi so- La replicazione del DNA avviene infatti secondo un
no molto simili fra loro e formati dagli stessi compo- meccanismo semiconservativo: la doppia elica del
nenti: una base eterociclica azotata, o purinica (ade- DNA si apre in punti precisi nei quali si inserisce il
nina e guanina, a cui ci si riferisce con le lettere A e complesso enzimatico della DNA polimerasi, che ca-
G) o pirimidinica (citosina e timina nel DNA, e cito- talizza la sintesi della catena complementare spo-
sina e uracile nell’RNA, indicate con le lettere C, T e standosi lungo tutta la molecola. Le due eliche origi-
U), uno zucchero a 5 atomi di carbonio (desossiribo- nali perciò fungono ciascuna da stampo per la for-
sio nel caso del DNA e ribosio nel caso dell’RNA, da mazione di due nuove sequenze complementari, co-
cui i nomi) e acido fosforico. Come è stato scoperto sì da avere un filamento nuovo e uno vecchio in ogni
nel 1953 da J. Watson e F. Crick, la molecola di DNA nuova doppia elica. Il DNA poi, con un meccanismo
è costituita da una doppia elica, simile a una scala analogo a quello della autoduplicazione, dirige an-
che si avvolge su se stessa, in cui l’impalcatura è co- che la sintesi dell’RNA.

 

 si va faticosamente delineando, riceve un forte impulso dalle ricer-


che compiute dal genetista della Columbia University di New York
smi. Nel 1928 Morgan si trasferisce da New York al Caltec di Pasa-
dena in California. Nel 1933 otterrà il premio Nobel.
Ottocento, Scienza
e tecnologia: Thomas Hunt Morgan (1866-1945) sui numerosissimi mutanti del
Charles Darwin, Il secolo moscerino della frutta e dell’aceto Drosophila melanogaster. Un pri- La genetica di popolazione e l’evoluzione
dell’evoluzione mo risultato di Morgan e della sua scuola (Alfred H. Sturtevant, L’approccio matematico ai fenomeni dell’eredità è presente partico-
Calvin B. Bridges, Hermann J. Muller) arriva nel 1909 con la sco- larmente tra i genetisti interessati all’evoluzione biologica. A partire
perta (confermata nel 1911) dell’esistenza del linkage anche nella dagli anni Venti i modelli matematici che connettono genetica ed evo-
drosofila: quando i geni coinvolti nel controllo di certi caratteri era- luzione vengono sviluppati in Inghilterra dallo statistico Ronald A.
no vicini, fisicamente associati (linked) sullo stesso cromosoma, al- Fisher (1890-1962) e dal biologo John B.S. Haldane (1892-1964), ne-
lora quei caratteri vengono trasmessi insieme. Da qui la deduzione gli Stati Uniti dal biologo Sewall Wright (1889-1988). Nel 1922 Fi-
che lungo i cromosomi i geni dovessero essere disposti in una se- sher pubblica i risultati delle sue ricerche sulle conseguenze evoluti-
quenza lineare. ve dell’eredità mendeliana, nel 1928 elabora una teoria sull’origine
Una seconda scoperta è l’eredità legata al sesso, illustrata dal fatto della dominanza; nel 1930 esce il suo The Genetical Theory of Natu-
che il carattere occhi bianchi di Drosophila melanogaster risulta col- ral Selection che segna attraverso la genetica di popolazione la rina-
legato al cromosoma X. Nel 1912 il laboratorio di Morgan propone scita della biologia evolutiva, praticamente scomparsa dal panorama
su base teorica anche la nozione di ricombinazione, il fenomeno biologico subito dopo la “riscoperta” delle leggi di Mendel. Negli an-
dello scambio di materiale genetico tra cromosomi omologhi per- ni che vanno dal 1924 al 1932 Haldane sviluppa una teoria matema-
messo alla meiosi dal meccanismo di crossing over. Viene dimostra- tica dell’evoluzione mirata a precisare gli effetti della selezione natu-
to che la probabilità di ricombinazione aumenta con l’aumentare rale (o artificiale) sulle frequenze geniche e a stimare la pressione di
della distanza fisica tra i geni sul cromosoma: nascono così le prime selezione sulla popolazione per effetto di un singolo gene. Lo scritto
mappe cromosomiche (quella della drosofila sarà terminata nel più importante di Wright viene pubblicato nel 1931; pur con metodi
1925) che consentono di individuare la posizione dei geni portatori matematici differenti, egli corroborava i modelli di Fisher senza però
delle diverse caratteristiche ereditarie sui cromosomi. Nel 1915 vie- accettarne le conclusioni. La sua idea di microevoluzione è che la se-
ne pubblicato il volume The mechanism of Mendelian heredity nel lezione sia tanto più efficace quanto più agisce su complessi di geni
quale Morgan e i suoi tre allievi interpretano il mendelismo alla lu- piuttosto che su geni singoli. Inoltre Wright giudica di grande im-
ce della teoria cromosomica dell’eredità. Nel 1916 Alfred H. Stur- portanza ai fini evolutivi la dimensione demografica delle popolazio-
tevant (1891-1970) traccia la prima mappa di associazione. Quello ni e dimostra per via matematica che le oscillazioni casuali delle fre-
stesso anno a proposito del rapporto tra mutazione e selezione nei quenze geniche (la cosiddetta deriva genica) sono più avvertibili nel-
fenomeni evolutivi, Morgan sostiene, diversamente da De Vries, che le piccole popolazioni rispetto alle grandi. Nella sua teoria c’era dun-
la mutazione è incapace di produrre nuove specie. que spazio per un’evoluzione non darwiniana delle popolazioni. So-
Nel 1925 Hermann J. Muller (1890-1967) dimostra il potere muta- no questi tre modelli, insieme a quelli proposti dai precursori Hardy
genico dei raggi X: l’esposizione ai raggi aumenta la frequenza del- e Weinberg, a fondare la genetica di popolazione. Un grande impul-
le mutazioni e delle aberrazioni cromosomiche; la mutazione è per- so agli studi genetici della microevoluzione si ha nel 1966 quando ap-
ciò assunta tra le cause dell’evoluzione delle popolazioni di organi- plicando la tecnica dell’elettroforesi a proteine umane si scopre l’esi-

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La genetica

stenza insospettata di una grande variabilità genetica nei campioni


esaminati. Analoghi studi compiuti su altre specie animali e su vege-
tali confermano nei decenni successivi l’esistenza di molti ed elevati
polimorfismi enzimatici, in alcuni casi interpretabili come adattativi e
prodotti dalla selezione naturale, ma nella maggioranza dei casi senza
alcun influenza, cioè neutrali, rispetto alla capacità di adattamento
delle popolazioni al loro ambiente. Su questa neutralità della variabi-
lità molecolare il genetista giapponese Motoo Kimura (1924-1994)
svilupperà a partire dal 1967 la sua teoria neutralista dell’evoluzione.

Gli anni Trenta e Quaranta


Dagli inizi degli anni Trenta fino al dopoguerra si realizza un pro-
cesso di maturazione della genetica e il suo consolidamento teori-
co anche attraverso la sperimentazione su organismi molto diversi
(in effetti la scoperta di Garrod sull’uomo e quella di Beadle e Ta-
tum sulle muffe – vedi oltre – erano tra loro molto collegate), con
punti di vista alternativi e spiegazioni originali a fenomeni nuovi e
insoliti. Per oltre mezzo secolo gli approcci dei genetisti furono so-
stanzialmente due soli: quello formale e quello citogenetico.
L’approccio formale conduce all’identificazione delle entità re-
sponsabili di caratteri fenotipici dotati di variazione e perciò facil-
mente apprezzabili dall’osservatore (come nel caso delle varianti di
colore, morfologiche e di certe varianti biochimiche). I modelli ciso per spiegare l’evoluzione del genotipo), ma ha prodotto la pro- Joshua Lederberg
sperimentali più importanti per l’analisi formale dovevano essere va citologica dell’esistenza dell’effetto di posizione: il cromosoma Joshua Lederberg (1925-),
organismi come drosofile, muffe, topi, batteri, protozoi, facili da non è solo un aggregato di geni ma un sistema integrato dimodo- microbiologo americano,
tenere in laboratorio e con tempi di riproduzione rapidi che ne fa- ché il valore adattativo di un gene, la sua efficacia, diventa funzio- è uno dei sostenitori della teoria
esobiologica.
vorissero gli incroci: l’uomo era da escludere. Quale fosse la natu- ne del contesto in cui esso si trova nel cromosoma.
ra materiale del gene e come funzionasse erano questioni ovvia- L’analisi della fisiologia del gene porta a una grande scoperta quan-
mente precluse all’analisi formale, ma adatte all’approccio della ge- do nel 1935 due americani, il genetista George W. Beadle (1903-
netica cellulare. La citogenetica si basava sull’osservazione al mi- 1989) e il biochimico Edward L. Tatum (1909-1975) dimostrano, im-
croscopio di struttura, proprietà biochimiche, organizzazione, fun- piegando mutanti metabolici della muffa del pane (Neurospora cras-
zionamento ed evoluzione del materiale ereditario. sa), che la sintesi delle proteine dipende dai geni, e cioè che la muta-
Tra i suoi modelli sperimentali migliori risaltano la drosofila e il zione di un gene influenza la sintesi dell’enzima corrispondente: ogni
mais. A livello citogenetico, il bandeggio dei cromosomi giganti gene codifica per una proteina. Questa teoria, conosciuta attraverso
delle ghiandole salivari delle larve di drosofila (ossia la tecnica che la formula “un gene-un enzima”, porterà loro il Nobel del 1958 per
consente di identificare in maniera univoca un determinato cro- la fisiologia e medicina. La comprensione dei processi riproduttivi
mosoma) non solo ha permesso di confermare l’esistenza della du- degli organismi ricevette un impulso nel 1946-1947 dall’inattesa sco-
plicazione genica (fornendo perciò un meccanismo potente e pre- perta, dovuta a un dottorando in genetica, Joshua Lederberg (1925-),

 
I geni
Un gene è l’unità funzionale del materiale eredi- dei due alleli (quello cosiddetto dominante) tende a
tario, che costituisce una porzione di cromosoma; a manifestare il proprio effetto, conferendo un partico-
livello molecolare, rappresenta l’intera sequenza di lare carattere (fenotipo) all’individuo e mascherando
acidi nucleici necessaria per codificare la sintesi di un l’effetto dell’altro allele, che viene detto recessivo.
polipeptide o di una sequenza di RNA. Accanto a L’azione dei geni dipende in primo luogo dalla loro
queste sequenze, i cosiddetti geni strutturali, sul cro- costituzione chimica, data dalla sequenza dei nucleoti-
mosoma sono presenti sequenze che hanno una fun- di, ma anche dalla posizione che il gene occupa sul
zione esclusivamente regolatrice, controllano cioè il cromosoma e dai suoi rapporti con gli altri geni: essa,
livello di espressione dei geni strutturali: per esempio infatti, si manifesta mediante la trascrizione dell’RNA
forniscono segnali di accensione e spegnimento della messaggero, che diventa il substrato per i ribosomi re-
trascrizione questi ultimi, in seguito a stimoli prove- sponsabili della traduzione dell’informazione genica.
nienti dall’interazione con l’ambiente. Nell’insieme, Queste grosse unità aggregate di proteine e RNA ribo-
tutti i geni presenti nel nucleo costituiscono il patri- somale leggono i nucleotidi dell’ RNA messaggero a tre
monio genetico o genotipo di un individuo, ereditato a tre, determinando la corretta sequenza aminoacidica
per metà dalla madre e per metà dal padre. Infatti, poi- delle proteine. Va però sottolineata una differenza fra i
ché le cellule di un nuovo organismo hanno origine geni procariotici e quelli eucariotici: i primi sono costi-
dalla fusione dei due gameti, uno paterno e l’altro ma- tuiti da una sequenza codificante unica e il futuro RNA
terno, conterranno tutte due copie, o alleli, di ciascun messaggero ricalca l’intera sequenza di DNA. I geni eu-
gene. Se gli alleli sono identici, l’individuo si definisce cariotici, invece, sono formati da sequenze codificanti,
omozigote per quel gene; se invece gli alleli sono dif- gli esoni, intervallati da introni, che non contengono
ferenti, l’individuo viene detto eterozigote. In genera- nessuna informazione genetica, ma sono fondamentali
le e semplificando, in un individuo eterozigote uno per l’esatta formazione dell’RNA messaggero.

 

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Scienza e tecnologia  “Conosci te stesso”: l’organismo e l’ambiente, la salute e la malattia

 
I cromosomi
I cromosomi sono corpi granulari che derivano dal- In ogni cromosoma, la sequenza del DNA lineare
la condensazione del DNA nucleare nelle cellule eu- contiene sempre tre elementi: i lunghi tratti della mo-
cariote e hanno la funzione di conservare e trasmette- lecola di DNA contenenti i geni e denominati ARS
re l’informazione genetica. In interfase, durante la nor- (dall’inglese Autonomously Replicating Sequences,
male fase di vita cellulare, l’elica di DNA contenuta sequenze replicate autonomamente); un centromero
nel cromosoma è poco condensata e si trova unita a (o cromocentro o cinetocoro) cui si connettono le fi-
proteine basiche, chiamate istoni. Questi complessi bre del fuso durante la divisione nucleare; infine i te-
prendono il nome di nucleosomi e si organizzano uno lomeri, cioè le parti terminali del cromosoma, che
dietro l’altro a formare “un filo di perle”: si tratta di una hanno la funzione di consentire la replicazione com-
prima fase di condensazione che permette all’elica di pleta del tratto di DNA lineare. Fondamentale per il ri-
DNA di passare da uno spessore di 2 nm a uno di 10 conoscimento dei singoli cromosomi è la posizione
nm, per poi riavvolgersi a spirale dando vita a cilindri del centromero (verso la parte centrale o verso quella
spessi 30 nm, che costituiscono la fibra di cromatina. apicale), che è costante per ogni cromosoma. In me-
Questo stato è fondamentale per lo svolgimento delle tafase i cromosomi appaiono fessurati longitudinal-
funzioni del metabolismo cellulare, poiché fa sì che i mente (a eccezione del loro centromero), così che
geni presenti sui filamenti di DNA siano facilmente ac- ognuno risulta formato da due parti identiche, dette
cessibili ai fattori che concorrono al processo di tra- cromatidi.
scrizione. Durante la duplicazione della cellula, la co- Il numero, la dimensione e la forma dei cromoso-
siddetta metafase, continua la condensazione: le fibre mi possono variare ampiamente negli organismi eu-
di cromatina si organizzano in ampie anse che si at- carioti appartenenti a specie diverse, ma costituiscono
taccano a un’impalcatura proteica acida. Particolari uno dei caratteri di maggior costanza per tutte le cel-
sequenze, dette SAR – scaffold attachment regions – lule degli individui appartenenti alla medesima spe-
guidano l’adesione di queste all’impalcatura. Questa cie; i cromosomi hanno le stesse forme e dimensioni
ultima struttura si avvolge su se stessa in ampie anse, e sono uguali a due a due (cromosomi omologhi). In
con diametro di 600-700 nm (per ogni singolo croma- ognuna di queste coppie, uno deriva dal padre e l’al-
tidio), dando vita alla struttura finale del cromosoma tro dalla madre; essi conservano la propria forma di
come viene visto al microscopio. Solo in questa fase generazione in generazione. In molti animali e in
infatti i cromosomi sono facilmente osservabili al mi- molte piante si osserva poi una coppia di cromosomi
croscopio ottico nella loro forma e individualità e pos- particolari, d’aspetto diverso nei maschi e nelle fem-
sono essere contati, studiati e confrontati perché inten- mine: si tratta dei cromosomi sessuali (o eterocromo-
samente colorabili con alcune sostanze. somi o allosomi), mentre gli altri sono detti autosomi.
 

 e al suo professore Tatum, che una miscela di differenti genotipi del
batterio Escherichia coli può produrre ricombinanti genetici. Si trat-
tare anche come retrovirus e integrarsi nel genoma della cellula sana.
La McClintock è insignita del Nobel per la fisiologia e la medicina
Novecento*, Scienza e
tecnologia: L’eugenica, ta della coniugazione: in pratica avevano scoperto nei Procarioti l’a- nel 1983. Nel 1952 Frederick Ranger ricostruisce la sequenza ammi-
Dall’ingegneria genetica al nalogo della sessualità degli Eucarioti. Nel 1958, a soli 33 anni, Le- noacidica dell’insulina; per questo nel 1958 guadagnerà il premio
progetto genoma umano, derberg divise il Nobel con Beadle e Tatum. Qualche anno dopo, nel Nobel per la chimica.
La biochimica, La biologia 1950, la citogenetista americana Barbara McClintock (1902-1992)
molecolare, La del Cold Spring Harbor Laboratory di New York pubblica un arti- L’evoluzione della genetica dopo il 1953
sociobiologia, Le
colo in cui dimostra l’esistenza nel mais di segmenti di cromosomi Nonostante la crescita della genetica sia stata sotto molti aspetti ri-
applicazioni mediche della
genetica, L’evoluzione capaci di spostarsi da un sito all’altro del genoma. Questa scoperta voluzionaria, i suoi progressi sono in parte avvenuti mantenendo una
dell’evoluzionismo di materiale genetico mobile (questi elementi trasponibili vengono continuità teorica con le scoperte del passato; ancora oggi, infatti, le
chiamati trasposoni), insieme all’ulteriore dimostrazione di una cer- basi della genetica classica novecentesca (la separazione tra genotipo
ta intrinseca instabilità del materiale genetico, non suscita alcun im- e fenotipo, la natura discontinua e casuale della mutazione, l’ordina-
mediato interesse tra i genetisti, nonostante metta in crisi l’assunto mento lineare del materiale ereditario) non sono state contraddette
che i geni abbiano il loro posto fisso sul cromosoma. Quando poi i dalla genetica molecolare. In parte però hanno provocato una rottu-
trasposoni vengono trovati nei batteri si intuisce il loro ruolo poten- ra del quadro teorico precedente (specialmente per quanto riguarda
ziale nel trasferire la resistenza agli antibiotici da un batterio all’altro. l’identità e la definizione di gene, e l’idea innovativa che riconosce
Altri casi vengono descritti nei batteriofagi e nei tripanosomi ove si nel materiale ereditario una struttura gerarchica). Lo sviluppo della
dimostra il loro ruolo nel sottrarre il parassita alla risposta immuno- genetica molecolare ha mostrato che acquisizioni come le leggi men-
logica dell’ospite. Questa visione dinamica del genoma era in antici- deliane o il concetto premolecolare di gene rappresentano in realtà
po sui tempi; è una grande scoperta, ma solo alla fine degli anni Set- solo casi particolari di situazioni molto più generali. Dagli anni Ses-
tanta verrà accettata dai genetisti. Molti di loro divennero interessa- santa in avanti il processo conoscitivo della genetica ha assunto una
ti a una possibile correlazione nelle cellule umane fra i trasposoni e i modalità autocatalitica accelerando a tal punto i propri sviluppi che
retrovirus, i geni virali da poco scoperti, dato che alcuni geni che le scoperte dell’ultimo ventennio del Ventesimo secolo superano di
convertono le cellule sane in tumorali (oncogeni) si possono presen- gran lunga tutte le precedenti della storia della genetica.

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S. Forestiero 1 L’erosione della biodiversità

LA SESTA ESTINZIONE
Il problema dell’erosione della biodiversità è all’ordine del giorno come dimostra la
sua costante presenza nei mass media, e tuttavia nel nostro Paese, purtroppo, ancora non
si riesce a traghettarlo da argomento di conversazione-chiacchiera-propaganda a tema su
cui confrontarsi seriamente e a cui provare a dare individualmente e collettivamente un
avvio di soluzione. Cercherò, quindi, di ragionare anche attorno a certi ostacoli retrostanti
la difficoltà di passare dalle parole ai fatti; una difficoltà che spesso si presenta
nell’affrontare problemi ecologici di rilevanza sociale. Direi che l’identificazione di
questi punti critici relativi al rapporto tra conoscenze naturalistiche e azioni di intervento
credo sia un prerequisito necessario, benché insufficiente, nell’ideare qualunque strategia
efficace (e compatibile con la democrazia) per risolvere anche solo parzialmente i
problemi ambientali.
LA BIODIVERSITÀ
La diversità biologica si riferisce alla varietà degli organismi viventi e ai sistemi
ecologici in cui essi si trovano. Gli oggetti biologici, differenti in numero e frequenza, si
trovano a diversi livelli di organizzazione: dagli ecosistemi nel loro complesso alle
strutture chimiche che costituiscono le basi molecolari dell’eredità. Pertanto il termine
comprende i differenti ecosistemi, le specie, i geni nonché le loro abbondanze relative. La
biodiversità rappresenta, dunque, l’insieme delle differenze osservabili tra gli esseri
viventi; descrivibili in rapporto ai geni, alle specie e agli ecosistemi ed esprimibili
attraverso numeri. Qualsiasi caratterizzazione della biodiversità deve rifarsi a tre
discipline: la genetica che fornisce la descrizione dello stato della variazione intra e
interspecifica; la sistematica che dà una rappresentazione organizzata delle differenze tra
tutte le specie di organismi; l’ecologia che ricerca le regole che presiedono al
funzionamento dei grandi sistemi ambientali in cui la diversità genetica e quella
tassonomica si trovano necessariamente integrate. Esistono una storia e una geografia
della biodiversità su cui ci limitiamo a dire solo che l’attuale biodiversità è il risultato di
un processo storico lunghissimo iniziato tra 3.900 e 3.400 milioni di anni fa con la
comparsa della prima cellula. Considerando il fatto che l’evoluzione biologica è un
fenomeno irreversibile ne deriva che l’attuale biodiversità è un fatto contingente,
storicamente determinato.
Quello di biodiversità è un concetto moderno, ha carattere sintetico, presenta
risvolti teoricamente interessanti per la genetica, la biosistematica, l’ecologia e la
biogeografia. Ma qui ci interessa sottolineare il suo impiego anche in ambito applicativo:
S. Forestiero 1 L’erosione della biodiversità

conservazione della natura, agricoltura, didattica e comunicazione delle Scienze naturali.


È stata la Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo tenuta a Rio de
Janeiro nel maggio 1992, a dare al tema della biodiversità una risonanza enorme. La
diversità biologica era indagata da decenni ma la parola risale solo al 1987 quando fu
coniata nell’Ufficio del Congresso degli Stati Uniti per la Valutazione della Tecnologia.
Fino ad allora il discorso sulle differenze tra i viventi era rimasto circoscritto agli addetti
ai lavori. Poi, a metà degli anni Ottanta, quando fu certo che le estinzioni di piante,
animali e la perdita di interi ecosistemi procedevano così velocemente da mettere in
pericolo anche il benessere della nostra specie (il tasso di estinzione stimato è tra 100 e
1000 volte superiore a quelli paleontologici) la biodiversità diviene tema di discussione
anche fuori dei circoli scientifici. La nozione si carica subito di connotazioni
extrascientifiche: economiche, politiche, giuridiche, etiche. A quel punto, il discorso,
ampliato fino a comprendere riflessioni sui costi economici e sociali delle violente
modificazioni antropiche dell’ambiente, si trasforma in un discorso sul “problema della
biodiversità” cioè sulla “erosione-perdita di biodiversità”.
L’EROSIONE E I SUOI EFFETTI
Le stime sull’erosione della biodiversità sono molto difficilii, per mille ragioni tra cui
spicca l’incompleto (e non si sa nemmeno di quanto) censimento delle specie (per non
dire delle varietà) di organismi viventi. Dati grezzi a parte, le ricadute della perdita di
biodiversità sugli ecosistemi e in particolare sulla nostra specie sono impressionanti. La
diversità biologica è la risorsa più preziosa a disposizione dell'Uomo anche per l'immenso
potenziale applicativo offerto da molte specie. Tra le 250.000 Angiosperme circa 30.000
sono dotate di parti commestibili, ma solo 3.000 specie rappresentano una risorsa
alimentare per l'uomo. Tra di esse, 200 sono state addomestiche e vengono coltivate; di
queste una ventina di specie è costituita dai cereali su cui si fonda l'alimentazione
dell'umanità, e tre specie in particolare (frumento, riso, mais) soddisfano da sole il 50%
del fabbisogno alimentare dell'uomo. Altro effetto dell’erosione della biodiversità è il
declino degli impollinatori, con conseguenze drammatiche per la vegetazione. Anche la
medicina dipende fortemente dalle specie selvatiche. Negli Stati Uniti il 57% dei 150
farmaci più prescritti contiene composti, o deriva da composti, di origine naturale; nei
Paesi in via di sviluppo l'80% della popolazione ricorre a rimedi derivati da piante; in
tutto il mondo oltre 120 principi attivi sono ricavati per estrazione da circa 90 specie
diverse di organismi. Alcuni di essi, come per esempio la digitossina, non sono ottenibili
per via di sintesi oppure, come nel caso della vincristina, manifestano un'efficacia
maggiore dell'analogo sintetico. Lo screening biochimico della flora mondiale è solo
agli inizi: poco più del 3% dei vegetali superiori è stato indagato per rilevare la presenza
S. Forestiero 1 L’erosione della biodiversità

di alcaloidi e, purtroppo, le scoperte in questo campo sono ancora del tutto fortuite, come
nel caso della pervinca del Madagascar una modesta piantina fonte di due alcaloidi con
spiccata attività antitumorale nel trattamento della malattia di Hodgin e della leucemia
linfocitica acuta infantile. La perdita di molecole di interesse farmaceutico sintetizzate da
microrganismi, animali e piante in via di estinzione sarebbe una danno irrimediabile. La
D-tubocurarina impiegata come miorilassante, il chinino e la chinidina, antibiotici come
l’eritromicina, la neomicina e l’anfotericina, l’aspirina originariamente estratta dal
salice, la citarabina capace di indurre remissione della leucemia mielocitica acuta sono
tutti esempi di molecole della biodiversità. Sul piano epidemiologico si vanno sommando
sempre più evidenze che i fattori di alterazione della biodiversità influenzano
l’emergenza di malattie infettive, in molti casi attraverso la rottura dei legami tra i sistemi
di controllo biologico che limitano l’emergenza e la diffusione delle specie dannose e dei
patogeni. La situazione si aggrava perché spesso le nuove malattie a loro volta sono una
minaccia per la salute di singole specie degli ecosistemi di cui innalzano il tasso di
mortalità. Il primo caso di estinzione di specie dovuto a infezione riguarda Partula
turgida, una chiocciola polinesiana la cui unica popolazione è stata infettata e uccisa dal
microsporidio del genere Steinhausia.
LA RICERCA DI UNA SOLUZIONE
Accanto alla nozione scientifica di biodiversità si è rapidamente sviluppato in
Occidente un grande dibattito socialmente costruito che, focalizzandosi sul progressivo
impoverimento delle ricchezze biologiche, ha rilanciato la riflessione sul rapporto uomo-
natura e sull’indispensabile compromesso tra necessità ambientali e necessità dello
sviluppo economico; esigenze però tradizionalmente conflittuali nella società moderna. E
il discorso è rimasto tale, senza produrre effetti retroagenti sulle cause che lo hanno
provocato. In sostanza, molte parole e nessuna azione politica.
Al momeno, l’erosione della biodiversità, fenomeno oggettivamente drammatico
sembra dunque destinato a rimanere solo un tema di conversazione. Perché questo
succede forse non è un mistero dato che la sensibilità naturalistica, per non dire delle
relative conoscenze, è praticamente inesistente nel nostro paese ed è minima in molti altri
paesi occidentali. E qui mi riferisco all’Occidente non perché ad altre longitudini sia
meglio in assoluto, ma solo perché sappiamo che il nostro stile di vita è ecologicamente
molto dispendioso. La mancanza di conoscenza della natura produce conseguenze assai
negative sulle nostre società e, oggi, grazie alla globalizzazione, anche sulle altre società
umane. Penso, sia chiaro, non tanto alla mancanza nei cittadini consumatori di elementari
conoscenze-nozioni naturalistiche quanto piuttosto alla mancanza di “competenza
naturalistica”. Competenza come qualcosa che somiglia piuttosto a una conoscenza in
S. Forestiero 1 L’erosione della biodiversità

azione, dunque qualcosa di veramente molto lontano dall’insieme inerte di nozioni, pure
utilizzabili, su animali, piante, rocce, clima ecc. che molti pensano siano le scienze
naturali. E parlando di competenza naturalistica non mi riferisco affatto alle minuzie
tecniche dei naturalisti (il nome di quella piantina, il numero di pezzi della zampa di un
insetto, la composizione petrografica di una roccia, ecc.), ma proprio alla capacità che
ogni naturalista ha, al pari di ogni indigeno illetterato di una foresta tropicale, di cogliere
il nesso tra le cose della natura nonostante le scale diverse a cui prodotti e processi si
possono manifestare e, in una certa misura, nonostante la distanza nel tempo e nello
spazio. Qualsiasi naturalista ha sperimentato-imparato l’importanza delle differenze tra
gli individui di una popolazione, tra le popolazioni di una specie, tra le specie di una
comunità ecologica e le differenze tra gli ecosistemi. C’è dunque bisogno di
un’educazione a cogliere i nessi, le relazioni tra le cose, tra i fenomeni. La conoscenza è
sempre una lotta contro gli stereotipi: il rapporto tra locale e globale non è frutto della
mondializzazione, è una cosa vecchia di molte centinaia di milioni di anni. Ben venga
allora qualunque forma di sapere che aiuti a sviluppare, nei giovani e negli adulti, la
capacità di capire l’importanza capitale delle differenze e il rapporto che c’è tra diversità
e stabilità, la capacità di rappresentarsi la biosfera come un insieme di reti interconnesse
(un nodo delle quali è la nostra specie) in cui tutto ha un senso (dunque un valore), pure
se quel senso non fosse immediatamente riconoscibile come il nostro. E c’è anche
estremo bisogno che, a un certo punto, i cittadini-consumatori siano esposti al problema,
invitati a ragionare sul problema, perché è chiaro che su questioni così importanti è
dissennato affidarsi completamente e soltanto a degli esperti. Bisogna democratizzare il
problema, mettendolo nelle mani dei cittadini e chiedendo loro di esaminarlo prima di
giudicare e decidere. Certo assistendoli, aiutandoli a capire.
In un workshop a porte chiuse, tre giorni a fine maggio del 1994 al Museo di Storia
Naturale di Parigi, sui rapporti tra diversità biologica e diversità culturale, ebbi la fortuna
di incontrare e conoscere Darrell Posey, un etnobiologo americano, all’epoca all’Istituto
di Scienze forestali di Oxford, che ha lavorato per oltre un ventennio tra i Kayapó
dell’amazzonia brasiliana. Posey, scomparso qualche anno fa, era uno studioso molto
competente con una formazione accademica completa (dalla laurea in entomologia al
PhD in etnobiologia) e si vedeva. Ma, parlando di come fronteggiare i velocissimi
fenomeni della sesta estinzione, quello che più colpiva l’interlocutore era la sua
straordinaria capacità di entrare concretamente nel problema. Afferrava il cuore della
questione e procedeva con una capacità analitica invidiabile a isolarne gli aspetti più
salienti in vista di una possibile ma comunque necessaria soluzione (e nel caso delle
contromisure all’erosione della biodiversità questi aspetti sono davvero molto eterogenei:
S. Forestiero 1 L’erosione della biodiversità

tassonomici, evolutivi, ecologici, geografici, demografici, economici, di diritto nazionale


e internazionale e naturalmente anche squisitamente politici). Nello specifico caso dei
Kayapó, una popolazione senza scrittura la cui vita dipende direttamente dalla foresta
amazzonica del bacino dello Xingu, la soluzione trovata e praticata da Posey fu di
integrare i dati di bioprospezione che gli enti di ricerca occidentali andavano
raccogliendo sulla biodiversità forestale locale con i modelli indigeni tradizionali di
gestione ambientale in maniera da elaborare nuove strategie di sfruttamento delle
ecorisorse.
A un problema concreto bisogna dare una risposta concreta. Significa sporcarsi le
mani con le incertezze del caso, la penuria di dati e di informazioni; significa mettere le
proprie conoscenze a servizio della comunità. Darrell Posey riteneva che la lotta contro
l’erosione della biodiversità fosse in verità un problema sempre e innanzitutto culturale.
Nel senso specifico che l’insieme delle azioni da compiere per tentare di frenare
l’erosione galoppante e l’estinzione irreversibile deve essere sostenuto da motivazioni
profondamente radicate dentro ciascuno di noi. Motivazioni che vanno suscitate e
alimentate tanto razionalmente quanto emotivamente. Questo è un punto della massima
importanza. Potrà forse sembrare un paradosso, ma non credo ci sia conoscenza umana
senza emozione (anche la conoscenza eminentemente razionale, che si manifesta come un
progetto della ragione, ha un cuore irrazionale). La scienza occidentale è una delle forme
più alte (ricche e complesse) di conoscenza prodotte dalla nostra specie. Ed è una
conoscenza intimamente alleata della Natura: il suo oggetto di interesse. Affinché sia
efficace ai fini che ci proponiamo, la conoscenza scientifica deve però diventare un
sapere offerto a chiunque ne sia desideroso. La conoscenza (governata da Eros), si dice
nel Simposio, è amore per quello che ci manca. Per conoscere la verità c’è bisogno di
passione; si conosce infatti solo se si ama. D’altra parte gli scienziati amano il loro
lavoro, la ricerca, e spesso ne sono completamenti assorbiti, e non pochi di loro riescono
a parlarne anche emozionandoci, trasmettendoci la loro passione.
In conclusione credo che i mutamenti di stile di vita necessari per affrontare sul
campo il problema dell’erosione della biodiversità abbiano bisogno di forme di
partecipazione alla conoscenza che accanto all’esame delle “ragioni della ragione”:
motivi utilitaristici come la funzionalità degli ecosistemi, la nostra dipendenza da
migliaia di specie diverse di organismi e dai cosiddetti servizi ecosistemici (le forniture di
ossigeno, azoto, acqua, ecc.), diano spazio anche all’espressione individuale delle
“ragioni del cuore”: dunque ai valori estetici, ricreativi ed etici della biodiversità. Ma ciò
non sorprende se, come sostiene E.O Wilson, le ragioni del cuore non sarebbero altro che
S. Forestiero 1 L’erosione della biodiversità

un prodotto della biofilia, l’amore per la natura da cui proveniamo: un tratto della nostra
specie geneticamente determinato.

i
Se ne conoscono circa 2.000.000 di specie, ma le proiezioni parlano di numeri totali anche 15 volte maggiori. Le

conoscenze sono tassonomicamente, ecologicamente e biogeograficamente a macchia di leopardo: alcuni gruppi, alcuni

ambienti, alcune aree geografiche sono meglio note di altre. È chiaro che in mancanza di una adeguata conoscenza

della fisiologia anche la descrizione della patologia sarà difettosa. L’unica certezza è che diversamente dalle precedenti

5 grandi estinzioni del passato, l’attuale è dovuta ad una sola specie, la nostra, e che procede a velocità enorme. I dati

indicano il suo inizio a circa 120.000 anni fa con l’emigrazione degli antenati di Homo sapiens dall’Africa;

l’incremento successivo si ebbe con la nascita e l’affermarsi dell’agricoltura nel Neolitico, per poi aumentare ancora

con l’esplosione demografica collegata all’industrializzazione. Le recenti facilità di spostamento e comunicazione tra i

vari continenti hanno contribuito enormemente ad accelerare il fenomeno di estinzione massiva. Campionando tra i dati

emerge per esempio che negli ultimi due millenni è scomparso il 20% delle specie di uccelli a seguito

dell’antropizzazione delle isole, mentre oggi ne è minacciato l’11%; la scomparsa di oltre il 70% dei generi di

mammiferi delle Americhe coincide con l'arrivo dell'uomo sul continente americano circa 11.000 anni fa; quasi tutti i

grandi marsupiali, i grandi rettili e circa la metà delle specie di uccelli non volatori dell’Australia si sono estinti dopo

l’arrivo dell'uomo; i coloni polinesiani delle Hawaii hanno sterminato la metà circa dell'avifauna terrestre. Il 20% dei

pesci d’acqua dolce del mondo è in via di estinzione o forse è già estinto; nei soli Stati Uniti si sono estinte

recentemente oltre l’1% di piante (più di 210 specie su 20.000), ma a livello globale si lamentano circa 250 specie

estinte e circa 4.500 in pericolo; in Austria è minacciato di estinzione il 22% di invertebrati; nelle foreste planiziali

dell’Ecuador occidentale un’area di 1 km2 contiene 1.200 specie vegetali, di cui il 25% endemico, l’8% nuove per la

scienza, 43 specie presenti in un solo biotopo, di alcune si conoscono pochi individui, talora uno solo. Limitandosi solo
a mammiferi (circa 4.500 specie note), uccelli (circa 9.700) e anfibi, se ne registrano estinti e in pericolo,

rispettivamente: 77 e 1.101, 133 e 1.213 di. Gli anfibi (circa 4.100 specie), un gruppo ovinque molto sensibile ai

mutamenti ambientali, ha perduto sinora 35 specie e ne ha 1.856 in situazione critica. Trenta anni fa le foreste tropicali

mondiali si riducevano ad un tasso dello 0,9% l’anno ; venti anni fa la velocità era raddoppiata arrivando all’1,8%. Tra

le cause dirette dell’estinzione spiccano la sottrazione e la frammentazione degli habitat (per es. per conversione di

terre all’agricoltura), l’arrivo di specie invasive estranee, il tasso di consumo delle risorse maggiore di quello di

rinnovamento, l’inquinamento, le modificazioni globali del clima. Tra le cause indirette si registrano gli eccessi

demografici e dei consumi, la struttura socioeconomica delle nazioni povere che per es. minimizzano gli incentivi alla

conservazione, la debolezza degli organi di governo, della politica e dei sistemi legislativi.
■ IL SECOLO DI ERNST M AY R ■

Uno storico compleanno


Il grande zoologo tedesco, autore di contributi fondamentali alla teoria evolutiva,
festeggia il suo centesimo anniversario. Ed è tuttora in piena attività

S AV E R I O F O R E S T I E R O

IL
GRANDE VECCHIO della biologia evolutiva, è in un certo modo riduzionista: la specie è fatta di
Ernst Mayr, professore emerito di zoologia popolazioni (al limite una sola) e l’appartenenza di
ad Harvard, compie 100 anni il 5 luglio una popolazione (che è l’oggetto biologico evolvibi-
prossimo e con quasi ottanta anni di ricerca sulle le) a una o a un’altra specie viene stabilita da una re-
spalle continua a dominare il palcoscenico degli stu- lazione di natura riproduttiva. La novità è che l’ap-
di evolutivi dell’intero Novecento. I meriti scientifi- partenenza di una popolazione ad una certa specie
ci di Mayr sono molti e anche molto significativi. A non costituisce più una proprietà essenziale, immu-
cominciare dalla circostanza per cui, insieme a stu- tabile, inerente l’ontologia dell’oggetto popolazione,
diosi come Dobzhansky, Huxley, Rensch e Simpson, ma diventa, invece, proprietà relazionale e modifica-
è stato uno dei padri fondatori della Teoria Sintetica bile nel tempo. La probabilità di successo riprodutti-
dell’Evoluzione (Tse), elaborata grosso modo negli vo varia al passare delle generazioni ed è circolar-
anni tra il 1937 e il 1946. Come è risaputo, gli arte- mente connessa al grado di parentela genetica (op-
fici della Tse riuscirono ad articolare una serie di ac- portunamento definita) tra le popolazioni.
quisizioni disciplinari locali (di genetica, biosistema- Il grande lavoro di Mayr sulla specie, pur con
tica e paleontologia) in un corpo teorico complessi- molti limiti, rappresenta un progresso sia sul versan-
vo, capace di spiegare un’enorme ed eterogenea mes- te della definizione sia su quello della spiegazione
se di osservazioni e dati sperimentali fino a quel mo- causale dei fenomeni speciativi. Avviene così che
mento teoricamente scorniciati. Mayr scriva le pagine di un libro sulla speciazione,
Prima della nascita della Tse una biologia evolu- una sua “Origine delle specie”, che, nonostante il ti-
tiva non esisteva. Qua e là spuntavano spiegazioni tolo del 1859, Darwin non ha mai trattato. Con la
darwiniane, specialmente se entrava in gioco l’adat- morte della concezione idealistica della specie e col
tamento, ma senza rilevanti conseguenze generali. trionfo del punto di vista popolazionale, Mayr rag-
La Tse e la nascita della biologia evolutiva sono un giunge una meta importante: il “concetto biologico”
tutt’uno e Mayr oltre a esserne un artefice ne è stato e il “modello di speciazione geografica” vengono ac-
il costante, instancabile promotore. Questo sin dal- cettati e si impongono rapidamente e universalmen-
l’inizio, quando nel 1946 fu tra i fondatori della So- te. Con qualche eccezione, però. Ci sono organismi
cietà per lo Studio dell’Evoluzione e divenne diret- e concrete circostanze empiriche per i quali il mo-
tore di Evolution, il periodico societario che è ancora dello allopatrico non sembra proprio applicabile.
rivista leader del settore. Perciò la sua universalità viene messa in discussione.
Il contributo di Mayr alla Tse riguarda essen- In pratica, viene avanzata l’ipotesi, risalente ai tempi
zialmente il problema della specie: statuto ontologi- di Darwin, che in casi particolari e in certi gruppi tas-
co, definizione, origine. In una serie di articoli e libri sonomici (per esempio nei fitoparassiti) vi possa es-
oramai classici Mayr ha dimostrato che le specie so- sere una speciazione non accompagnata da isola-
no entità biologiche concrete e non enti nominali, mento geografico: lo chiamano modello di specia-
che non vanno considerate in termini tipologici e zione simpatrica.
adimensionali, ma invece trattate come entità pluri- Beh, la risposta di Mayr è violenta: difende la sua
dimensionali e politipiche. Mayr ha promosso l’af- creatura contro ogni critica, non sente ragioni e nel
fermarsi del pensiero popolazionale in biosistemati- trambusto più di uno studioso ne fa le spese. Un ca-
ca, ha dimostrato l’importanza dell’isolamento geo- so per tutti. La polemica con Michael White che va
grafico ai fini della formazione di nuove specie e ha suggerendo, dati alla mano, la possibilità di mecca-
approfondito e perfezionato l’analisi dei meccanismi nismi alternativi a quelli della speciazione geografi-
di isolamento riproduttivo iniziata da Dobzhansky. ca, basati su riarrangiamenti cromosomici (tipo in-
Il suo sforzo teorico maggiore risiede nella defi- versioni e traslocazioni) capaci di spiegare assai me-
nizione di specie basata sul ben noto “concetto bio- glio del modello mayriano l’esistenza di specie ge-
logico”.Nell’elaborazione della sua definizione Mayr melle con distribuzione parapatrica in certe sue ca-

20 ■ DARWIN ■ LUGLIO/AGOSTO
■ IL SECOLO DI ERNST M AY R ■

RICK FRIEMAN / CORBIS / CONTRASTO

Mayr posa accanto al suo ritratto nella biblioteca di Harvard che porta il suo nome. Nella pagina seguente, lo studioso in una foto dello scorso anno.

vallette australiane, prende toni assai ruvidi. D’altra Caso abbastanza raro tra gli scienziati, Mayr coltiva
parte il problema della speciazione è intrinsecamen- con successo interessi epistemologici e storiografici
te complesso, la capacità argomentativa di Mayr è verso la biologia e quella stessa teoria evolutiva di cui
formidabile, la sua conoscenza della letteratura è coautore. Questo è un altro dei suoi meriti scienti-
scientifica praticamente perfetta e il suo ascendente fici. Mayr è sempre stato convinto che la biologia
sugli evoluzionisti è in crescita: non c’è scampo. darwiniana, quella che risponde alle domande sui

21 ■ DARWIN ■ LUGLIO/AGOSTO
■ IL SECOLO DI ERNST M AY R ■

perché cercandone le risposte nella storia degli or- pronta tutta tedesca, humboldtiana, della sua forma-
ganismi, abbia bisogno di scrutinare continuamente zione giovanile. Ma nonostante la cultura di prove-
i concetti di cui si serve. Concetti e teorie sono ferri nienza, il modello di Mayr rimane Charles Darwin
del mestiere altrettanto importanti dei microscopi e con cui condivide più di un punto: il giovanile esoti-
dell’altra strumentazione di laboratorio. La manuten- co viaggio iniziatico, gli arcipelaghi tropicali, una
zione concettuale e la conoscenza storica della pro- curiosità insaziabile, l’acuzie osservativa, la dedizio-
pria disciplina diventano indispensabili per il suo ne al lavoro e la prolificità intellettuale, lo sviluppo
progresso. La sua attenzione verso la storia e la filo- di un unico lungo ragionamento su come la biologia
sofia della biologia tout court non sono perciò un spieghi il mondo dei viventi e stabilisca il posto del-
vezzo senile, non hanno valore esornativo ma sono l’uomo nell’evoluzione.
funzionali alla sistemazione dei dati, sono parte in- Buon compleanno professor Mayr!
tegrante nell’elaborazione di modelli interpretativi
adeguati e, su un diverso piano, rimandano all’im- Saverio Forestiero, Università di Roma Tor Vergata
RICK FRIEMAN / CORBIS / CONTRASTO

Una vita tra navi, libri e musei


E rnst Mayr nasce il 5 luglio
del 1904 a Kempten in Ba-
viera. Seguendo la tradizione
Walter Rothschild, appassio-
nato dilettante di storia natura-
le e insuperato collezionista di
nel 1932. In quegli anni pub-
blica un centinaio di lavori spe-
cialistici di sistematica e zoo-
sorprendenti per un ultrano-
vantenne, riesce ancora una
volta ad affascinare il lettore ra-
famigliare si iscrive a medicina animali esotici. geografia degli uccelli. Dal gionando insieme a lui su fatti
ma gli interessi naturalistici e Le collezioni Rothschild 1953 è Alexander Agassiz Pro- e teorie.
una specifica curiosità per l’or- (tra cui la più grande raccolta fessor of Zoology all’Universi- Naturalmente le sue pecu-
nitologia sono così pressanti da ornitologica del mondo con tà di Harvard, qualifica che liari capacità gli hanno permes-
indurlo a seguire anche i corsi 300.000 uccelli in pelle, e oltre mantiene tuttora come emeri- so di sviluppare competenze
di scienze naturali a Berlino 2.200.000 farfalle) riempiono to. Dal 1961 al 1979, vi dirige straordinarie in molti campi di-
dove nel 1926 si addottora in le sale del Museo di Tring ap- il Museo di Zoologia compara- versi: dall’ornitologia alla zoo-
zoologia. Nel 1928 Erwin Stre- positamente fondato dal giova- ta. Il Dipartimento di Ornito- geografia, dalla sistematica ge-
semann, famoso ornitologo del ne Walter nel 1892. Mayr si re- logia dell’Amnh lo nomina cu- nerale alla biologia evolutiva
Museo Zoologico berlinese, ca in Nuova Guinea una prima ratore emerito. fino alla storia e alla filosofia
insieme a colleghi dell’Ameri- volta nel 1928, vi torna poi Con 700 articoli comparsi della biologia.
can Museum of Natural Hi- l’anno successivo per conto del sulle più prestigiose riviste Non c’è spazio per segna-
story (Amnh) di New York e Museo di Berlino. scientifiche del mondo e con lare anche solo alcuni tra i pre-
agli specialisti di Tring (vicino Nel 1930 è la volta dell’ar- una ventina di libri tra cui tito- mi prestigiosi, le onorificenze,
Londra, il museo privato del cipelago delle Salomone che li fondamentali come Systema- le decine di lauree e dottorati,
barone Rothschild) incarica il visita al seguito della Spedizio- tics and the Origin of Species le infinite associature con cui
giovane zoologo di cercare nei ne Withney ai Mari del Sud (1942), Animal Species and Evolu- università, accademie, società
territori inesplorati della Nuo- dell’Amnh. Trasferitosi negli tion (1963) e The Growth of Biolo- scientifiche e governi di tutto il
va Guinea gli uccelli del para- Stati Uniti nel 1931, lavora al gical Thought (1982) Mayr rap- mondo hanno voluto onorare
diso, i cui soli esemplari cono- museo di New York dal 1932 al presenta uno straordinario ca- l’eccellenza dei suoi studi e la
sciuti alla scienza sono all’epo- 1953, ne studia le raccolte or- so di longevità intellettuale. La dedizione di tutta una vita allo
ca quelli cacciati dai nativi. nitologiche melanesiane com- sua ultima fatica è What evolution studio dell’evoluzione biologi-
La spedizione è in gran presa la magnifica collezione is (2001), dove con una vivaci- ca, l’impresa scientifica di un
parte finanziata dal barone Rothschild venduta al Museo tà e una limpidezza di pensiero grande scienziato.

22 ■ DARWIN ■ LUGLIO/AGOSTO
412-711_Vol1_Scienza.QXD 6-06-2007 12:09 Pagina 696

La sociobiologia di Saverio Forestiero

Il comportamento cooperativo, indispensabile alla costituzione delle società


animali e umana, sembra contraddire in apparenza un punto fermo della teoria
darwiniana: la competizione tra individui (diretta e indiretta) presente nella
selezione naturale, causa dell’adattamento genetico. La sociobiologia è la teoria
integrata che spiega in termini bioevoluzionistici i meccanismi garanti della
socialità animale. La sua estensione all’uomo, insieme all’idea del suo fondatore
Edward Otis Wilson di un progetto culturale egemonico e riduzionista a scapito
della psicologia, dell’antropologia e della sociologia tradizionali, hanno sollevato
nell’ultimo quarto di secolo accese polemiche.

Ape operaia Il problema dell’altruismo e la nascita della


I caratteri morfologici delle api sociobiologia
differiscono nelle tre caste La sociobiologia, in quanto teoria generale del comportamento so-
componenti la specie: femmine
ciale degli organismi, nasce dal lavoro di sintesi compiuto su dati di
feconde o regine, femmine
sterili od operaie, maschi o etologia, genetica ed ecologia di popolazione e di biologia evoluzio-
fuchi. Le operaie costituiscono nistica da Edward Otis Wilson (1929-), con lo scopo di compren-
la massa lavoratrice e guerriera dere e spiegare i meccanismi evolutivi soggiacenti il comportamen-
che si occupa dell'allevamento e to sociale. Poiché necessita di cooperazione, infatti, il comporta-
riscaldamento delle covate, della
mento sociale solleva un grosso problema; se l’evoluzione dipende
pulizia, difesa, ventilazione e
costruzione dell'alveare, di tutti dalla competizione, non si vede in che modo la cooperazione abbia
i lavori necessari alla vita della potuto evolversi. Wilson, studioso di formiche, era particolarmente
colonia e della raccolta del interessato agli imenotteri sociali (formiche, vespe, api) caratteriz-
miele. L’esistenza di fenomeni zati dal fenomeno delle caste sterili. E molte pagine del suo libro del
altruistici tra gli imenotteri
1975, Sociobiologia, la nuova sintesi, giudicato come il manifesto
sociali costituisce uno dei primi
problemi analizzarli dalla della teoria sociobiologica, trattano di questi insetti. La sua ricerca caratteri altruistici, arrivando a concludere che semmai fossero esi-
sociobiologia. muove quindi da un problema ricorrente nella teoria dell’evoluzio- stiti geni per l’altruismo essi si sarebbero potuti diffondere solo al-
ne, e cioè, come spiegare l’esistenza delle caste sterili negli imenot- l’interno di piccoli gruppi di individui. Haldane precisa che il pic-
teri sociali e, più in generale, l’esistenza di fenomeni altruistici (si colo gruppo avrebbe dovuto essere formato da individui imparen-
definisce altruistico l’atto che non aumenta la probabilità di soprav- tati la cui probabilità di fare figli aumenta grazie alla presenza di
vivenza – o l’idoneità riproduttiva – di chi lo esegue, ma quella – o questi geni per l’altruismo in un individuo del gruppo, del quale ab-
l’idoneità riproduttiva – del beneficiario). La questione era già sta- bassano la vitalità. Il fatto interessante è che Wright e Haldane giun-
ta sollevata da Charles Darwin nel capitolo dell’Origine delle specie gono per vie completamente diverse alla stessa conclusione: geni
(1859) dedicato agli istinti e agli insetti sociali. Essendo consapevo- svantaggiosi per un individuo si possono conservare e diffondere a
le che la selezione naturale (in quanto meccanismo agente a livello patto che il gruppo di appartenenza dell’individuo sia molto picco-
di individuo) non può spiegare l’origine e l’evoluzione delle caste, lo. Negli anni Sessanta il genetista inglese John Maynard Smith
Darwin avanza l’idea che possa esistere un meccanismo, che chiama (1920-2004) trattando di selezione sopraindividuale conia l’espres-
selezione applicata alla famiglia, che avvantaggia il gruppo di paren- sione selezione di parentela (kin selection) per indicare l’affermarsi
ti di un individuo sterile (un’ape operaia, ad esempio) a discapito di caratteristiche che favoriscono la sopravvivenza dei parenti più
dell’individuo. stretti di un individuo (sia discendenti diretti come i propri figli che
In anni precedenti la Teoria sintetica dell’evoluzione il modellista discendenti indiretti). La kin selection è tanto più importante quan-
americano Sewall Wright (1889-1988) aveva impiegato l’espressio- to maggiore è il grado di parentela tra gli individui.
ne selezione tra gruppi, pensando a una selezione che fosse il risul- In un settore diverso, quello dell’ecologia, negli stessi anni, alcuni
tato di una diversa probabilità di riproduzione non tra individui ma studi popolazionistici arrivano alla conclusione che la regolazione
tra popolazioni di individui (selezione tra popolazioni, selezione in- demografica delle popolazioni di certi roditori artici si compie attra-
terdemica). Poi, negli anni Quaranta, affrontando altri problemi, verso una selezione interdemica, una selezione analoga alla selezione
Wright elabora un modello di diffusione di geni svantaggiosi per di parentela. Poi nel 1962 l’ecologo inglese Vero Copner Wynne-
l’individuo portatore. Il modello prevede che copie di questi geni Edwards (1906-1997) ipotizza che certe popolazioni animali eserci-
svantaggiosi (e quelli per l’altruismo sono svantaggiosi per la fitness tino un controllo demografico spontaneo, in funzione delle risorse
 dell’altruista) si sarebbero potuti diffondere anche solo per deriva
genica, ma a patto di essere presenti in gruppi molto piccoli di in-
alimentari disponibili, attraverso un meccanismo genetico che chia-
ma selezione di gruppo. Nel suo libro, Animal Dispersion in Relation
Ottocento, Scienza
e tecnologia: Charles dividui. Anni prima il genetista inglese John Burdon Sanderson to Social Behaviour (1960), Wynne-Edwards scrive che fenomeni co-
Darwin, Il secolo Haldane, indagando sull’altruismo, si era chiesto quale potessero me il territorialismo e le gerarchie sociali possono essere visti come
dell’evoluzione, L’eugenica essere le condizioni demografiche ideali facilitanti la diffusione di dispositivi etologici di controllo delle nascite evolutisi a vantaggio

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La sociobiologia

 
La genetica delle popolazioni
La genetica delle popolazioni si propone di ana- non è possibile osservare tutti gli individui di una
lizzare geneticamente le popolazioni naturali, cioè popolazione, il genetista ricorre al campionamento.
l’insieme di individui di una stessa specie che vivo- Esistono molte difficoltà nello stabilire le frequenze
no in una medesima area, in particolare utilizzando dei geni: per esempio i geni recessivi non sono rive-
i metodi matematici e statistici della biometria. I labili negli eterozigoti. Tali difficoltà vengono aggi-
principi mendeliani sono validi infatti anche per la rate costruendo modelli semplificati delle popola-
trasmissione dei geni all’interno di un gruppo di in- zioni e risolvendo i problemi matematicamente ri-
dividui o di una popolazione naturale; una caratte- spetto ai modelli. Una legge fondamentale nella ge-
ristica che ha interessato gli studiosi, in particolare, netica di popolazione è quella di Hardy-Weinberg,
è il vantaggio riproduttivo degli individui portatori di che la frequenza e la distribuzione analizza dei ge-
caratteri favorevoli, che, dunque, saranno più pro- ni di una popolazione; in un certo senso equivale al-
babilmente trasmessi alla discendenza. Il concetto le leggi di Mendel, che rendono conto invece di co-
fondamentale è quello di frequenza genica (la fre- me avviene la trasmissione dei geni in singoli orga-
quenza con cui determinati geni sono presenti in nismi. Secondo la legge di Hardy-Weinberg, i fatto-
una popolazione); di questa si esaminano anche va- ri principali che governano i cambiamenti evolutivi
riazioni, modalità e cause della variazione. La gene- di una popolazione sono le mutazioni, le migrazio-
tica di popolazione, infatti, richiede uno studio che ni (intese come flusso di geni tra popolazioni), la di-
tenga conto di tutte le varianti alleliche dei geni pre- mensione della popolazione, l’accoppiamento non
senti negli individui che la compongono. Poiché casuale e la selezione naturale.
 

della specie, in quanto impediscono la sovrappopolazione, Quest’i-


dea è però criticata da molti biologi, tra cui uno dei massimi teorici
Dall’altruismo del fenotipo all’egoismo del gene
I concetti di fitness complessiva e di kin selection permettono di

Novecento*, Storia:
dell’evoluzione, l’americano George Williams, che ne mette in risal- concludere allo zoologo Richard Dawkins di Oxford che l’altrui- Politiche razziali e politiche
to le debolezze teoriche. Comunque il libro stimola molta ricerca smo è un fenomeno “di superficie”, fenotipico, perché a livello ge- eugeniche
teorica e sperimentale su numerosi aspetti della socialità. Tra le di- notipico permane un sostanziale “egoismo” dei geni. Un’azione è
verse ipotesi avanzate per spiegare l’esistenza dei differenti tipi di at- solo in apparenza altruistica se l’individuo che la esegue aumenta la
ti altruistici descritti in letteratura si impone quella dell’inglese Wil- probabilità che vengano riprodotte copie identiche dei propri geni
liam Hamilton (1937-2000) basata sulla kin selection. nei consanguinei, se l’individuo incrementa cioè la propria fitness
L’idea sottostante la teoria di Hamilton è che quanti più geni in co- globale: a livello genotipico i comportamenti altruistici accrescono
mune un beneficiario ha con un donatore-altruista, tanto più il do- dunque la fitness di chi li esegue, sono quindi “egoistici” e non rap-
natore ottiene un beneficio dall’essere altruista: un altruista (am- presentano un problema per la teoria della selezione naturale.
messo che sia capace di riconoscere i propri consanguinei) tende ad In Il gene egoista, pubblicato nel 1976, Dawkins fa un passo in più
aiutare i parenti stretti più di quanto non faccia con quelli lontani. rispetto al darwinismo (secondo cui l’evoluzione per selezione è so-
Hamilton elabora un modello estremamente verosimile di come si stanzialmente riducibile a una competizione tra organismi) soste-
sia potuta affermare nel corso dell’evoluzione la socialità delle api, nendo che a competere sono i geni, le uniche entità che perdurano
fra le quali le operaie formano una casta di femmine sterili. Per ri- attraverso le generazioni: gli individui non sarebbero altro che con-
solvere il dilemma Hamilton introduce il concetto di fitness com- tenitori, veicoli al servizio dei geni. L’adesione di Dawkins alla so-
plessiva (inclusive fitness) di un individuo, da intendersi come la ciobiologia porta con sé l’idea che tutti i prodotti fenotipici dell’e-
somma della fitness diretta (cioè la normale idoneità riproduttiva in- voluzione, compresi tutti gli adattamenti osservabili, non sono nien-
dividuale, pari al numero di figli prodotti che raggiungono l’età te altro che dei dispositivi evolutisi per favorire il successo ripro-
adulta) e della fitness indiretta (cioè gli effetti benefici, prodotti dal duttivo dei geni. La sua è una teoria genecentrica che verrà tenace-
comportamento dell’individuo, a favore di altri individui imparen- mente e aspramente criticata dal paleontologo Stephen Jay Gould
tati ma non diretti discendenti). Hamilton riesce a dimostrare, per- (1942-2002). A proposito del genecentrismo, Richard Lewontin,
ciò, che anche se un individuo non si riproduce (fitness diretta pari genetista ad Harvard, ha giustamente osservato che non c’è nessun
a zero, come nel caso dell’ape operaia), la sua fitness complessiva motivo teoricamente fondato per cui si debba privilegiare nell’ana-
può essere positiva se con il suo comportamento avvantaggia altri lisi evoluzionistica i geni e non i fenotipi, suggerendo che forse que-
consanguinei non diretti discendenti; per esempio con il suo “sacri- sta preferenza possa essere condizionata dal fatto che i fenotipi so-
ficio” l’ape operaia avvantaggia la sorella regina con la quale – per no caduchi (scompaiono con la morte dell’individuo), mentre il
speciali meccanismi genetici di determinazione del sesso – condivi- DNA è imperituro e che questo colpisce noi mortali. Ma se questo
de il 75 percento dei geni; mentre la quantità di geni in comune tra fosse il motivo, si tratterebbe allora di un’opzione metafisica, infon-
i fratelli è del 50 percento: la parentela tra sorelle è maggiore di data scientificamente.
quella tra fratelli.
In una popolazione, perciò, un comportamento altruistico può La sociobiologia umana
evolvere se esso aumenta la fitness complessiva dell’individuo che lo È accertato che la cooperazione è indispensabile alla formazione
attua. La scoperta fatta da Hamilton, una tra le maggiori conquiste delle società animali. Per spiegarne l’origine e la diffusione oltre al-
conoscitive della biologia del Novecento, ha un’enorme importan- la possibilità di un reciproco vantaggio tra individui non imparen-
za teorica perché riconduce l’evoluzione dei comportamenti altrui- tati (altruismo reciproco di Robert L. Trivers), c’è l’idea di selezio-
stici all’interno della spiegazione darwiniana classica basata sulla se- ne di gruppo di Wynne-Edwards, respinta quasi subito dagli evolu-
lezione individuale. La kin selection è infatti una semplice variante zionisti, e quella della kin selection con cui Hamilton riesce final-
della selezione individuale. mente a spiegare l’apparente paradosso dell’altruismo.

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Scienza e tecnologia  “Conosci te stesso”: l’organismo e l’ambiente, la salute e la malattia

dalla biologia alla psicologia, all’area delle scienze sociali. Alcune


sono argomentate in termini scientifici: per esempio mettevano in
luce le scarsissime conoscenze circa la base genetica del comporta-
mento non solo nella nostra specie ma più in generale nei mammi-
feri e nella maggior parte dei gruppi animali; altre, sottolineando la
circostanza che i caratteri etologici sono fortemente epigenetici e
che la loro ereditabilità è quindi molto modesta, attaccano poi l’i-
dea che si possa parlare di “geni per l’altruismo”, segnalando la pe-
ricolosa ipersemplificazione collegata a questo tipo di assunto; al-
tri critici negano che si possa validamente trasferire alla nostra spe-
cie un modello costruito guardando agli insetti.
Come di solito avviene in casi simili, vi sono molti malintesi. Alle
critiche, alcune sicuramente di merito, di Richard Lewontin e
Stephen J. Gould (entrambi colleghi di Wilson ad Harvard) che de-
nunciano le posizioni di Wilson, Dawkins e altri come una forma
estrema di riduzionismo e di adattamentismo, se ne aggiungono al-
tre, mosse dalla preoccupazione degli effetti deresponsabilizzanti
collegati al brutale riduzionismo e al determinismo genetico che, a
loro giudizio, sono caratteristici dell’approccio di Wilson che pre-
tende di spiegare con l’innatismo e la determinazione genetica la
Formiche Wilson fonda la sua teoria sociobiologica su questo modello appli- posizione subalterna della donna nella società, o il formarsi delle
In ogni formicaio abitano in candolo non solo agli insetti sociali ma anche a specie di uccelli e classi e lo status sociale individuale. Nel corso degli anni, negli Sta-
media 500.000 individui e in mammiferi, per poi estenderla all’uomo. La posizione complessiva ti Uniti in particolare, Wilson e la sua teoria sono attaccati da circo-
casi eccezionali alcuni milioni. di Wilson è che la socialità e la cultura umane dipendono dal ge- li intellettuali che intravedono il possibile impiego distorto e social-
Per la maggior parte gli abitanti
appartengono alla casta delle notipo degli individui e che i comportamenti umani, così come si mente pericoloso che gruppi politici conservatori avrebbero potuto
operaie, mentre le regine sono esprimono per esempio nella scelta sessuale, nella formazione del- fare delle spiegazioni sociobiologiche.
presenti in numero variabile da la coppia e della famiglia, nell’etica e nella religione, sono darwi- Si ritiene che la sociobiologia sia politicamente schierata per il man-
alcune centinaia ad alcune nianamente finalizzati all’incremento del successo riproduttivo in- tenimento dello status quo e che i fenomeni della socialità umana va-
migliaia.
dividuale. Applicando la propria teoria alla suddivisione dei ruoli dano descritti e compresi in termini antropologici e sociologici e
tra i sessi, Wilson spiega che i maschi sono selezionati per l’aggres- non riduzionisticamente interpretati in termini genetici. E tuttavia,
sività, la caccia, la mobilità, la promiscuità sessuale e le femmine nonostante alcune inopportune o erronee semplificazioni della so-
per la raccolta del cibo, la nutrizione e la cura della prole. Natural- ciobiologia, l’idea espressa da Wilson nel libro del 1978 On human
mente l’applicazione diretta dei principi evoluzionistici alla socia- nature che sia possibile adottare principi e argomentazioni evolu-
lità umana allo scopo, esplicitamente dichiarato da Wilson, di pia- zionistiche per scrutinare l’accettabilità o meno delle teorie etiche
nificare le società future, suscita negli Stati Uniti e in Europa una generali, ci sembra un aiuto prezioso a pensare e ad agire nel mi-
vera e propria ribellione. Le proteste sono di varia provenienza: gliore dei modi possibili.

 
L’innatismo
L’innatismo è una dottrina filosofica che afferma l’e- la seconda i principi primi, sebbene definiti “immedia-
 sistenza nella mente umana non soltanto di idee acqui-
site con l’esperienza, ma anche originariamente pre-
tamente evidenti”, sono comunque visti nell’esperien-
za. È in particolare con Cartesio, Spinoza e Leibniz che
Novecento*, Scienza
e tecnologia: senti alla mente stessa. In un certo senso, si può dire che si afferma la teoria per cui le conoscenze più decisive
Dall’antropologia fisica il precursore dell’innatismo fu Platone, secondo il qua- l’uomo non le ricava dall’esperienza, ma le possiede
le la conoscenza razionale consiste nel ricordare ciò già in sé, appunto come idee innate; si tratta delle co-
all’antropologia genetica: che l’anima ha visto nel mondo delle idee prima di ve- noscenze che hanno caratteri di necessità e universa-
il dibattito sull’evoluzione nire imprigionata nel corpo. È tuttavia solo col raziona- lità, come l’idea di verità, dell’anima, di Dio.
umana, Dall’ingegneria lismo moderno che si afferma un innatismo compiuto: Da queste teorie si differenzia l’innatismo kantia-
genetica al progetto genoma non possono essere considerate tali la filosofia platoni- no, che afferma il carattere innato non di contenuti
umano, La genetica, ca né quella aristotelica: nella prima il mondo non è af- conoscitivi ma solo di un fattore della conoscenza,
L’etologia, L’evoluzione fatto conosciuto completamente dall’uomo, mentre per cioè delle forme a priori.
dell’evoluzionismo  

698
Teoria sintetica S. Forestiero

LA TEORIA SINTETICA DELL’EVOLUZIONE

1. INTRODUZIONE

Nonostante la teoria darwiniana dell'evoluzione fosse stata ampiamente accettata dalla


maggioranza dei biologi subito dopo il 1859, anno di pubblicazione dell'Origine, tuttavia a
partire da un ventennio più tardi, e per oltre mezzo secolo, le spiegazioni gradualiste e
selezioniste dell'evoluzione biologica persero terreno sotto l'incalzare delle teorie
mutazioniste dei genetisti mendeliani. Il passaggio dalla situazione tipica dei primi
decenni del Novecento, dominata dal saltazionismo dall'ortogenesi e dal neolamarckismo,
a quella odierna in cui la spiegazione darwiniana fornisce il paradigma di riferimento, fu
dovuto alla messa a punto di un modello esplicativo integrato dell'evoluzione conosciuto
da tutti come “Teoria sintetica” (Mayr e Provine, 1980).
Nel 1974, l'Accademia americana delle Arti e delle Scienze affidava a Ernst Mayr
l'organizzazione di una conferenza dedicata alla Teoria sintetica dell'evoluzione. La
conferenza, frazionata in due sessioni seminariali tenute a maggio e a ottobre di quello
stesso anno, vide la partecipazione di storici dell'evoluzionismo e di una trentina di
biologi tra cui comparivano anche alcune tra le maggiori personalità che negli anni tra il
1937 e il 1947 avevano partecipato a quell'evento storico che Julian Huxley nella seconda
edizione del libro dedicato alla sintesi moderna dell'evoluzione, Evolution, the modern
synthesis (Huxley, 1942, 1963), etichettò come teoria neo-darwiniana, sintetica o integrativa
dell'evoluzione.
Con l'aiuto di William Provine, Mayr curò poi la stampa dei contributi alla conferenza,
pubblicati qualche anno più tardi nel volume The evolutionary synthesis, "Sintesi evolutiva":
un'espressione che oggi è sinonimo di Teoria sintetica dell'evoluzione (Mayr e Provine,
1980).
I partecipanti alla conferenza furono sostanzialmente tutti d'accordo nel sostenere che la
Sintesi moderna consistette nella confluenza di una serie di acquisizioni disciplinari
provenienti dalla genetica, dalla sistematica e dalla paleontologia in una teoria unitaria
dell'evoluzione.
Tra i caratteri principali di questa teoria troviamo il gradualismo anagenetico e
cladogenetico, l'idea che la variazione è organizzata in un "fondo" o pool genetico di
proprietà della popolazione, il riconoscimento che soggetto di evoluzione è la
popolazione, la convinzione che la selezione è uno dei principali fattori di evoluzione
nonché l'unica causa dell'adattamento.

1
Teoria sintetica S. Forestiero

2. FINO AL 1937

Di solito si fa iniziare l'elaborazione della Teoria sintetica con il 1937, data di


pubblicazione di un libro di Theodosius Dobzhansky dedicato al rapporto tra genetica e
origine delle specie, in cui l'autore discute sul metodo più idoneo per riunire in un unico
quadro teorico dati informazioni e conoscenze sull'evoluzione.
Oggi le posizioni di Dobzhansky sono così indistinguibili dai principi base della teoria
evolutiva corrente da poter apparire fin troppo ovvie, ma quando furono esposte per la
prima volta esse suonarono eterodosse e in contrasto con le vedute di moltissimi
mendeliani. I genetisti sperimentali del primo Novecento, infatti, sostenevano l'idea che il
nucleo della teoria evolutiva dovesse essere rappresentato dalla variazione genetica e non
dalla selezione naturale.
Più articolata, invece, era la posizione di Thomas Hunt Morgan, che negli anni Dieci,
avendo potuto osservare su Drosophila molti esempi degli effetti delle piccole mutazioni, si
convertì al gradualismo dopo avere sostenuto per oltre un ventennio posizioni
anticontinuiste e antiselezioniste (Sturtevant, 1959; cit. in Provine, 1971).

In quegli anni il fattore ereditario, la variazione, era diventato un passe-partout esplicativo


di successo, esteso anche alle questioni sociali, e la selezione naturale, sebbene da alcuni
genetisti ammessa in linea di principio, veniva giudicata fenomeno non osservabile e
tantomeno misurabile, perciò non integrabile in una teoria evolutiva fondata sulle
osservazioni quantitative "esatte" dei genetisti (NordenskiØld, 1929).
Tutto ciò era frutto della riscoperta delle leggi di Mendel che nel 1900 avevano aperto un
nuovo inesplorato campo di ricerche. L'evoluzione biologica veniva rappresentata come
un fenomeno complessivamente discontinuo e gran parte dei biologi sperimentali degli
anni Venti e Trenta ancora vedeva, perciò, nella natura discontinua della variazione
genetica la chiave di accesso alla comprensione dei meccanismi fondamentali
dell'evoluzione.
La produzione di nuove specie e l'adattamento erano spiegate ricorrendo alle mutazioni
del patrimonio ereditario. L'idea che la mutazione fosse di per sé adattativa era un punto
qualificante della teoria evolutiva di Lamarck, e non deve stupire troppo se la
maggioranza dei genetisti sperimentali dell'epoca era lamarckiana visto il ruolo adattativo
assegnato alle mutazioni.
Furono antidarwiniani e antiselezionisti studiosi di grande prestigio, sia mendeliani
antigradualisti come William Bateson (autore che coniò il termine "gene") sia saltazionisti
puri come Hugo de Vries; era loro convinzione che le variazioni di tipo continuo fossero

2
Teoria sintetica S. Forestiero

troppo piccole per produrre pressioni selettive significative e che quindi sorgente di
variazione essenziale per l'evoluzione potessero essere solo le mutazioni di grande
portata.

Risale a quegli anni il contrasto tra mendeliani e biometrici; i secondi pur sostenendo
correttamente l'importanza della variazione continua e di piccola entità ai fini evolutivi,
credevano erroneamente che l'eredità avvenisse per mescolanza: posizione inaccettabile
dai mendeliani. Intanto, grosso modo nello stesso periodo degli anni Venti in cui Morgan
stava completando la mappe cromosomiche di Drosophila e Hermann Joseph Müller
dimostrava l'esistenza della mutagenesi, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti andava
maturando a opera di Ronald Alymer Fisher, John Burdon Sanderson Haldane e Sewall
Wright un approccio teorico all'evoluzione anche esso nato dal dibattito sull'ipotetica
continuità dell'evoluzione e l'ipotetica efficacia della selezione naturale.
Fisher era uno statistico interessato alla teoria dell'evoluzione ma privo di competenze
biologiche, Haldane era un giovane e brillante biochimico passato alla genetica e alquanto
versato in matematica, diversamente da Wright, che era anche egli un biologo ma con una
scarsa formazione iniziale in matematica.

Nell'elaborazione di una modellistica matematica della genetica di popolazione si


dovettero affrontare e risolvere tre principali categorie di problemi: 1) dare una misura
quantitativa del grado di parentela tra i membri di una popolazione panmittica; 2)
esprimere analiticamente i diversi tipi di accoppiamento; 3) rendere in forma quantitativa
i differenti fattori di evoluzione (selezione, deriva, ecc.).

I lavori di Fisher sulla dominanza, il polimorfismo bilanciato e sul rapporto tra varianza
genetica ed evoluzione, quelli di Wright sugli effetti dell'inincrocio, sull'importanza della
deriva nelle piccole popolazioni, sul coefficiente di parentela e sull'interazione tra loci
genici, e i modelli di Haldane sulla selezione a carico di geni autosomici furono alla base
della genetica matematica di popolazione, ovviamente insieme alle più antiche trattazioni
di Wilhelm Weinberg e di Godfrey Harold Hardy risalenti al 1908 e oggi note come
principio di Hardy-Weinberg.

Nel corso di tre anni consecutivi Fisher (1930), Wright (1931) e Haldane (1932)
pubblicarono i loro scritti più importanti fondando la genetica teorica di popolazione. Il
loro lavoro riuscì a superare i contrasti tra mendeliani e biometrici dimostrando l'assenza
di conflitto tra posizione mendeliana (eredità discreta), gradualismo (variazione continua)
e darwinismo (efficacia della selezione naturale). Ognuno di questi tre autori produsse un

3
Teoria sintetica S. Forestiero

proprio modello matematico che coglieva e teorizzava solo alcuni aspetti del processo
evolutivo, in qualche caso i modelli proposti potevano confliggere e tuttavia la sintesi tra
mendelismo e darwinismo era stata realizzata a livello della teoria genetica.

Affinché maturasse la possibilità di una sintesi tra teoria e prassi e affinché essa fosse più
ampia, transdisciplinare, era necessario che le previsioni dei singoli modelli venissero
provate sperimentalmente e che le acquisizioni della genetica fossero articolate con quelle
della sistematica e della paleontologia a due diverse scale si occupavano dei risultati dei
cambiamenti evolutivi.

3. ORIGINE ED EVOLUZIONE DELLA TEORIA SINTETICA (1937-1946)

Se la popolazione pensata dai genetisti teorici era un'astratta entità statistica, non così
avveniva per le popolazioni di organismi osservate sul campo dai naturalisti e in
laboratorio dai genetisti sperimentali degli anni Trenta.

Gli storici concordano nell'assegnare al libro di Dobzhansky il valore di promotore e


catalizzatore della Teoria sintetica. Singolarmente, la figura del suo autore aveva una
doppia natura: a una solida formazione di entomologo specialista di Coccinellidi, univa le
competenze di genetista acquisite nel laboratorio di T.H. Morgan. Di origine russa,
emigrato ventisettenne negli Stati Uniti, era uno dei pochi in occidente, insieme a N. W.
Timoféeff-Ressovsky, a conoscere l'importante produzione scientifica dei biologi russi
dell'epoca (Severtsov, Koltsov, Vavilov, Philipchenko, Schmalhausen, ecc. ), tra cui
spiccava un fondamentale saggio teorico di Sergei Chetverikov (1926) sui rapporti tra
eredità mendeliana e processi evolutivi (pubblicato in inglese 35 anni dopo, nel 1961).

Nel libro di Dobzhansky si trovano combinati l'approccio di Chetverikov all'evoluzione


della popolazione (basato sul meccanismo mutazione-selezione) con la citogenetica di
Morgan. Figura ponte tra due culture di ricerca, Dobzhansky dimostra che i processi
evolutivi sono analizzabili con le idee, i principi e i metodi della genetica opportunamente
associati a osservazioni a breve termine di popolazioni naturali e di laboratorio.
L'importanza delle discontinuità tra le specie e la necessità del loro studio è riconosciuta
come un fatto di primaria importanza: il primo capitolo del libro è dedicato alla
descrizione e ai metodi di analisi di quella che oggi si chiama biodiversità, mentre l'ultimo
capitolo riguarda la specie e la speciazione. In mezzo sono trattati temi quali le mutazioni
in quanto sorgente di novità genetica, la loro presenza anche nelle popolazioni naturali,
l'efficacia della selezione, la poliploidia, la natura dei meccanismi di isolamento, la sterilità

4
Teoria sintetica S. Forestiero

degli ibridi. Se l'approccio di Dobzhansky allo studio dell'adattamento fu particolarmente


felice, non altrettanto può dirsi della sua trattazione della cladogenesi. Per esempio, per
primo scrive di "meccanismi di isolamento" tra le specie ma lo fa includendovi,
erroneamente, anche l'isolamento geografico.

Il problema della specie nel suo complesso, con la dimostrazione che le specie sono entità
biologiche concrete e non enti nominali, l'introduzione del pensiero popolazionistico in
sistematica, lo studio della variazione geografica discontinua (con le Rassenkresis di
Rensch o specie politipiche di Huxley) e di quella continua (i clini di Huxley),
l'importanza della distribuzione geografica allopatrica e di quella simpatrica e finalmente
l'individuazione dei meccanismi di speciazione geografica, tutto questo insieme di
tematiche fu brillantemente affrontato nei lavori di Mayr (1942), Huxley (1942) e Rensch
(1939).
Mayr, in particolare, precisò la definizione di specie elaborando il ben noto "concetto
biologico di specie" e contribuì alla sintesi anche con le sue competenze di biogeografo .
Mayr, oltre ad essere stato uno dei grandi protagonisti della Teoria sintetica (nel 1946 fu
tra i fondatori della Società per lo Studio dell'Evoluzione e primo direttore di Evolution, la
rivista della SSE), viene universalmente riconosciuto come il biologo che più di ogni altro
si è dedicato, e con grande successo, all'aggiornamento ed alla sistematizzazione storico-
critica delle conoscenze sull'evoluzione che nei decenni post-Sintesi sono andate via via
accumulandosi (si veda per es. Mayr, 1982).

All'epoca della Sintesi , i paleontologi erano fieramente avversi al darwinismo; tra loro vi
furono studiosi neolamarckiani e studiosi antilamarckiani, saltazionisti e ortogenisti, ma
nessuno di essi accettò il gradualismo selezionista dei neontologi.

Un'interpretazione diretta della macroevoluzione in termini di analisi genetica era


impossibile, e anche il paleontologo americano George Gaylord Simpson giudicava
opportuno tenere distinta la teoria della microevoluzione da quella macroevolutiva.
Tuttavia egli abbozzò un'analisi causale della macroevoluzione dato che era interessato a
dimostrare la consistenza dell'evoluzione paleontologica con le inferenze della genetica. Il
suo libro, Tempo and mode in evolution, iniziato nel 1938 praticamente terminato nel 1942 e
stampato nel 1944, è un'opera assolutamente innovativa per molte ragioni, tra cui
l'impiego di grafici sulla stima delle velocità di evoluzione o di tabelle sulle distribuzioni
di frequenza, tutti materiali che denunciano l'interesse di un approccio quantitativo ai
problemi paleontologici. Simpson, interessato ai meccanismi dell'evoluzione, modellizza i
dati e le informazioni sui fossili ispirandosi alla demografia, alla genetica di popolazione

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Teoria sintetica S. Forestiero

(prova a trasferire i "paesaggi adattativi" di Wright all'evoluzione dei cavalli), elabora la


nozione di "zona adattativa", ipotizza l'esistenza di una "evoluzione quantica". Quello di
Simpson, dunque, non un libro pieno di prove e di nuovi dati sui fossili, ma, piuttosto, un
libro di idee, ricco di suggerimenti e di modelli, pieno di interesse per la creazione di
nuove ipotesi interpretative di dati peraltro già noti.

4. DOPO IL 1946: ESTENSIONE DELLA TEORIA SINTETICA

Anche se la Teoria sintetica si giudica praticamente conclusa con la pubblicazione del


lavoro di Rensch, tuttavia la Sintesi si estende e si complessifica per una durata di molti
anni dopo quella data. Importantissimo, per esempio, il contributo del morfologo ed
embriologo russo Ivan Ivanovic Schmalhausen (1946) che dedica un'approfondita analisi
all'evoluzione darwiniana delle popolazioni in rapporto alla variazione ambientale. Il suo
lavoro si fonda su un approccio organismico; percependo chiaramente la natura
gerarchica dei sistemi viventi, si adopera ad illustrare i rapporti tra le proprietà
dell'organismo e quelle del genoma e tra quelle organismiche e quelle della popolazione:
un approccio dialettico ripreso in anni recenti dai critici dell'adattamentismo.
Schmalhausen conduce una sofisticata analisi del rapporto tra genotipo e ambiente,
sviluppa il concetto di norma di reazione e quello di selezione stabilizzante, illustra i
possibili meccanismi sottostanti la plasticità fenotipica, individua nel rapporto tra
selezione e processi di sviluppo uno dei grandi temi futuri della teoria dell'evoluzione.

Qualche anno dopo, George Ledyard Stebbins (1950) estende la teoria sintetica alla
botanica chiarendo il peso della poliploidia e della ibridogenesi nella speciazione delle
piante. Va osservato che anche il libro di Stebbins (una rarità per l'epoca, dato lo scarso
sviluppo degli studi sulle popolazioni naturali di vegetali) viene pubblicato nella collana
Columbia Biological Series della Columbia U.P., come era già avvenuto per le opere
fondamentali di Dobzhansky, Mayr e Simpson. Negli anni seguenti Dobzhansky pubblica
due altre edizioni del suo libro, Simpson pubblica altri volumi sugli stessi argomenti, così
fanno pure Mayr e Stebbins (per una esaustiva rassegna bibliografica si vedano Mayr e
Provine, 1980 e Mayr, 1982).

Con il passare del tempo la Teoria sintetica viene modificata, ma intanto adesioni e
diffusione della teoria crescono. Un effetto non voluto ma facilitato dall'irrigidimento
della Teoria sintetica e dalla sua pervasività è stato l'adattamentismo: una forma distorta e
ipersemplificata della teoria dell'adattamento.

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Teoria sintetica S. Forestiero

Se si confrontano le grandi scoperte della biologia molecolare e della sociobiologia, o le


più recenti acquisizioni delle neuroscienze e della biologia dello sviluppo, con i risultati
della Teoria sintetica si vede che, nonostante l'enorme crescita di conoscenze dovuta agli
sviluppi post-Sintesi di queste discipline, tuttavia nessuno di questi campi disciplinari ha
elaborato una teoria sostitutiva della rappresentazione "sintetica" dell'evoluzione. Qualche
storico della biologia (Smocovitis, 1996) ha però lamentato la mancanza di consapevolezza
del principale effetto della teoria sintetica per le ricerche evoluzionistiche. Gli architetti
della Sintesi, infatti, sono stati per molti versi anche i fondatori di un intero nuovo campo
di ricerche: la biologia evolutiva, disciplina che emerge come il prodotto scientificamente
e culturalmente più originale e significativo della Teoria sintetica dell'evoluzione.

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Modificato da: S. Forestiero, Teoria sintetica;


in A. Fasolo (diretto da),
Dizionario di Biologia, 2003, UTET, Torino

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