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TRIVIUM

Il Grido

É nata la morte
é arrivata con un grido
nutre la mia ombra,
beve la mia vita.
C'era una bolla umida e insanguinata,
quei camici bianchi,
senza uno sguardo,
l'hanno gettata.
É nata la morte
é arrivata con un grido
travolge la forte corrente
acceca il bianco bagliore
C'era una stella alpina,
spuntava soffice e calda
dalla pietraia,
l'hanno raccolta.
É nato un piccolo bimbo,
l'hanno aggredito
i fantasmi del nuovo mondo.
Odo ancora il suo pianto
in questa lunga notte.
Il Giorno e la notte

Anche tra me e te
dopo il giorno viene la notte.
I miei passi seguono
un cammino di ombre.
Dove mi portano?
Ogni passo è lo stesso mio passo
ogni momento è un unico lasso
i luoghi hanno identico spazio.
Non ci sono mete: Senza passato,
il futuro ha uno sguardo accecato.
Due immagini s'incontrano quando
sorge l'alba di un giorno nuovo. Due
realtà si dividono
quando scende la notte.
Oscurità divina dal volto caprino!
Disperazione equivoca,
cortigiana che danzi
con cadenza immutabile
di natura e di spirito.
Alle porte d'amore! Pedino
il cammino del sole,
così il giorno lascia sempre la notte
e la notte lascia sempre il giorno,
ma nella separazione, essi perpetuano
la loro unione. Entriamo
nell'istante per vivere questo
tragico abbandono. Eppure:
Inesorabile fedeltà! Non c'è
giorno senza la notte
e notte senza il giorno.
La Vertigine del nulla

La mia vicinanza
la tua lontananza,
ti rincorro e ti amo,
amo vederti fuggire,
perché amo la vita di un
fiore quando sboccia e
poi appassisce.
Raccoglierò come un dono
l'esser solo natura.
Io sono la terra, nel miracolo
dello spazio e del tempo.
La luna e il sole si rincorrono,
dalle tenebre alla luce,
nel flusso inarrestabile del divenire.
Io sono l'arcobaleno, dipinto
tra follia e perfezione.
Il volo radente dei gabbiani,
il tuo fascio radioso nei loro occhi.
Io sono la creazione,
cangiante come cristallino
cielo terso.
Una vertigine di altitudine
trascina negli abissi,
poi il nulla
Gli Amanti

Un cielo uggioso sembrava correre


verso due nubi leggiadre
con meraviglia di cuore.
Gli sguardi allacciati nel vento
si allontanavano dalla mia vita
come fili di luce e candele verginali.
Sfregamento bianco e mani che si tendono
come perle tutt'intorno, quando la saliva
si fa quarzo nel fango di gravità sottomarina.
Per me padre e madre,
fratelli e amanti, salivano
un'angelica ascensione
Sprofondava il pavimento nella stanza
immersa di infero vapore
e la sete dei letti inceneriva tra le braci.
Anime rosse, di animalesco sapore
taglienti come bisturi sul tappeto
selvatico di pelle scorticata.
Grissini grondanti di briciole
sul formicaio e sciami dispersi
in rivoli di sangue.
Armonia e distruzione
linfa che scorre inarrestabile.
Dolce e terribile
seguire le onde fin nel maremoto.
La coscienza

Sul sentiero sassoso,


nel punto in cui la giovinezza
incontra l'orizzonte, un fiore solitario
stava a guardia dell'infinito
L'ho raccolto e mi ha trascinato
attraverso il tempo
verso il limite delle emozioni.
Alle spalle scorgevo la statua triforme
nella residenza di Ècate,
spensi la fiaccola e passai:
Nell'oltre della previsione, la sfinge dei sensi ,
nell'oltre della passione, sibilo di serpente,
nell'oltre della bellezza, odalisca felice.
La coscienza pluviale,
fluida, di torrenti gettati sul mondo,
si aggrappa ai confini di me stessa,
senza nome, senza volto,
galleggia nell'universo
dove tutto è perduto.
É tempo di fare ritorno,
sul mio taccuino celeste
ho iniziato questa poesia.

Tamburi di morte

Dall'anima mia scivolava


lenta,
un'eco di passi piangenti.
Pesante
sfilata di feretri neri

lasciava ferita, voragini


sulla terra rimasta.
Pellegrina funesta
raggiungeva, stanca,
nuova dimora.
Tamburi di morte negli orecchi
sussultando.
Alle Origini

Lontano,
tra gli alberi e i nidi degli uccelli
migrano anime solitarie.
Orme di rovinose macerie
scavano fosse sul terreno asciutto.
Lacrime e ricordi spunteranno
a primavera come gigli e giacinti,
ma nessuno di loro farà ritorno.

Arlecchino

Un arlecchino sventurato
arrotola torcendo,
membra urla e voci,
gonfia la sua nausea.
Raccoglie,
rami secchi e frasche attorcigliate
per tessere la sua maschera
di fanciullo.
Un libro di pagine frantumate,
sempre più rade parole
di bianca,
velata e inerte presenza. Magro e
scarno tra assurdi tremori
il verde riposo
sugli occhi si posa.
Arlecchino silenzioso,
ti guardo e ti aspetto
nell'alveo di un ultimo sonno.
Fiori di ciliegio ù

Nascono fiori di ciliegio


sulla terra che trema.
Tra le mura di un monastero
si vestono di abiti sdruciti.

Medioevale silenzio,
al riparo da barbare battaglie
e corpi contaminati.
Il rigore dell'alba nella meditazione,
veli accartocciati,
voci bianche e regole impietose.
Crescono fiori di ciliegio,
si allontanano nell'ombra
per non bruciare sui roghi dell'eresia.
La Città

Pure tu avevi un cuore


che batteva impazzito.
Improvviso come il lampo d'estate
raggrumavi ogni incontro
tra spiriti allegri.
Cammino ancora,
tra scale e portici di pietra.
Ritorno sola,
per cercarvi margherite.
Al centro, nella piazza antica
alzo lo sguardo dove segna il tempo,
l'ultimo raggio si piega.
Chiudi le braccia
e nascondimi fragile
piccola ombra.

Questa malinconia

Questa malinconia,
il sapore del caffè fumante
in una tazzina sottile,
piccoli sorsi per sentire
il pianto alla gola
sciogliersi in una pioggia
di lacrime zuccherate.
Questa malinconia,
fragile come una porcellana antica,
colata di lava incandescente
che precipita, tremando
tra strisce filanti di cenere
e scuri fondi di caffè.

Questa malinconia,
che indossa un cappotto rosso,
bussa alla porta di una stanza buia.
Ospite solitaria,
avvolge ogni sfiorito abbraccio
danzando fra i gesti
roteanti dell'amore
.

Maternità

Sei giovane e bella,


figlia di un sogno,
hai lunghe gambe sottili
di gazzella che si posano sul terreno
ma non lo toccano.
Così sospesa,
le emozioni ti fanno piangere
e battere il cuore rapiscono
brutalmente il tuo corpo
e lo stendono su di un letto umido e caldo.
Il tuo sguardo assente
è cullato dalla frescura autunnale
mentre le foglie cadono ingiallite.
La tua stessa carne
è composta di una polpa rossastra
dal gusto di pomodoro
e da un succo aspro e piccante
che assomiglia al limone.
Sei solo femmina,
hai la leggerezza e l'eternità
di un'immagine, donna dolcissima.
Gli uomini per secoli
hanno dipinto il tuo volto
e scolpito il tuo corpo.
Molti di loro ti hanno chiamato
"Madonna".
Ricordare Vivaldi

Ho gli occhi socchiusi


su di una stanza umida e senza sole.
Era una mattina
che pareva un furto di possibilità.
Finestrelle piccole e basse, una
soffitta di surreale memoria,
gelida come una vecchia Parigi.
Una cuffia nera,
riscaldava le mie orecchie per
far nascere un incantesimo. Nel
barattolo stipato della mente era
il mese di Aprile,
una miscela composta di quattro stagioni.
Prigioniera nelle nuvole
per ricordare Vivaldi, in
un giaciglio
di violenti ritmi trapuntato.
La musica è finita, quando il
tempio fatto di carne diventa
un eremo torbido
che non conosce più incontri
Vagabondo della mente

Ricordo i campi arati della pianura


e giocattoli di bambino sparsi qua e là.
Straniero e solo sei partito,
alla ricerca di una casa e di un perché.
Questa vita così dura com'è stata,
così strana com'è.
Una sosta inaspettata,
al crocevia della contrada
per abitare una sontuosa dimora
con pochi amici,
arbusti incolti e senza cura.
Vagabondo della mente,
senza patria e senza lumi.
Un'automobile senza ruote, un
corridore diventato podista.
Una città di negozi chiusi,
uno stadio dopo la partita.

Sepolto nel passato, dagherrotipo


di un futuro riverniciato.
Cittadino di un salotto vuoto,
di un libro aperto,
di un computer acceso.
Chi sei?
Un triangolo
senza inversione di marcia,
con poltrone scomode
agli angoli della contemplazione.
Il Naufragio

Si è spenta ogni luce


quando l'acqua ha raggiunto le stive,
Ecco il terrore bagnato di oscurità.
La nave del secolo:
Il Titanic,
ancora narra l'eternità di un mito.
Bambino Gesù
anche tu sei nato da quel sogno umano,
ricco di ornamenti
come un naufrago in quel mare glaciale.
Pietre affilate,
di lastroni acuminati
hanno distrutto
quella possente grandiosità
Solo tu sei sopravvissuto
a quel tragico evento
sulla croce di un antico dolore.
E' rimasta laggiù,
in quel mare trafitto, un'orda
di salvagenti congelati come
tante statue
flottanti nella storia.
A migliaia sono morti,
salvati dal naufragio,
senza la pena di un rinnovato dolore.
Cavaliere dell'anima

Seppellisci il carnevale
coraggioso cavaliere dell'anima
io temo l'assalto dei ricordi e
lingue di fuoco svolazzanti sopra
il mio desiderio concentrato.
Rivelami la tua novella fiaba
extraterrestre mascherato da uomo
io vivo tra i devoti personaggi
di una videoteca al femminile.
Soffio di vento, anelante celesti
note di Orfeo canuto, rapiscimi nel
vortice della memoria ch'io giunga
inosservata
sulle sabbie della luna.

Non c'è patto segnato


tra gli dei di turno per colmare
la distanza secolare che ci separa:
quando il riccio trattiene la testa
nei solchi pettinati di un campo spinato
e la talpa si ritira addormentata nella tana.
Il Canto del treno

La finestra aperta si tende,


è tutto un gomitolo lanoso
di tendini e becchi
arrampicarsi sul nido.
Le corde metalliche stridono,
corre il bruco sulle rotaie
infedele compagno di ore bambine.
Strizza gli occhi
con amichevole cortesia,
ma fugge, rampante,
ogni languido sguardo.
La pentola scoppia di bolle,
in cucina un vulcano in eruzione,
neppure mi accorgo di un topo affogato
e del gatto di casa in lenta agonia.
Si rovesciano petardi di lenticchie
e un cielo verde di brodo appiccicoso
sulla mia inerte sonnolenza.
Il canto del treno echeggia
insidiose e voraci sirene,
il passeggero tristo si risveglia
attorno né uomo, né donna
solo pigro salto di formica.
Il folletto rimpiazza la scopa,
omino di latta, confidente
e ingoia ciarpame.
Cuore nemico

Peccato,
di ogni mattino che viene,
come una bocca di sorgente
su parole adoranti un orizzonte chiuso.
Vizio,
di ogni estate che arriva,
come un sole che sorge
sopra un corpo già morto.
Lacrime,
della notte remota che dorme,

come un sonno lamentoso


che cerca nei sogni un riparo.

Stanchezza,
di un amico che aspetto,
ignuda,
nel freddo dei soliti gesti.
Rituale standardizzato
per gente di teatro,
avvezza ad usare i sentimenti
per mestiere.
Ufficio sotterrato per
promesse e ritrovi
uno scompartimento di seconda classe
per questo cuore nemico.
Il lago stregato

Quando il picchio
sulle ciglia si annida
e ho gli occhi di asfalto bagnato,
divento una betulla percossa
nei giorni grigi della potatura.
Trattengo i singhiozzi
in fondo alla rupe dentata e
le memorie si insinuano
come monelli imbizzarriti
sul campo di fieno tagliato.
Le narici gonfie marmitte
per scacciare gli starnuti
di un ostile parassita.
Motocicletta in corsa
sul litorale che assedia la casa.
Chiavi, bulloni, trivelle e testine
un caos di arnesi sconosciuti
sintagmi annodati
per un mercante di parole
con pruriti di rena rossa.
Quando il pesce si tuffa
sul lago stregato, torna la solitudine
al mio orecchio scordato,
contrappunto incrinato
da questa tromba senza fiato.
Sbuffa, la caffettiera
in singolare tenzone,
abbatte il silenzio,
raccatta insulti, sassi e dinamite
in canzone di atavici rintocchi.
La commedia digitale
Avvio,
La mattina scintilla di sereno
Maga Magò in vestaglia
tra alchimici testi,
vapori di alambicchi e provette
inscena una commedia digitale.
Trasforma,
ha tracciato un cordone attorno
al profilo di Arianna, per sentire il rumore
della pelle e il sussurro dell'aria
che riveste i colori.
Le grasse botteghe, giù nel vicolo cieco,
attendono la stagione urlante dei papaveri.
Seleziona e taglia,
istante di gioia, incollata
in un angolo di Hide Park
tra un vecchio spazzacamino
e un novello freelance ammalato
di varicella.
Strumenti,
Il drago chiazzato diletta i fanciulli
e i dinosauri in cerca di avventura, rinati
dietro le tenebre dell'usura, ripercorrono i
sette giorni della creazione. Cancella,
Un Piccolo Principe ha sfiorato la terra,
ha percorso il deserto, non si è
gettato nel branco. Nella
regione degli asteroidi non ci
sono maestri ed allievi, un
ubriacone ha la sua cattedra
e i tramonti una confortevole compagnia.
Salva con nome,
Iddii hanno piantato l'inferno
tra ferraglia di schede, cavi e cassoni.
Il cantico delle creature
ha smarrito l'autore
e l'umano diffida
dietro maschere e videogiochi.
Uscita,
La scuola è finita,
l'ultima porta si è chiusa.
Non più fiera della vanità
e uccello di stormo
che vola distratto.
Tuberi di solitudine
Colture di papavero, riscaldate
artificialmente in serra,

attendono il tempo della fioritura.


Piccole radici abbracciano il terreno,
l'inconscio moto del corpo respira.
Tuberi di solitudine
nel buio silenzio dell'anima
aspettano che passi il dolore.
I germogli del mio destino
offrono uno spettacolo indignitoso.
Torvi steli dal capo ricurvo, fusti
disossati senza spina dorsale
cadono sulla terra arida. Giorni di
festa e cassa integrazione
per il giardiniere che semina speranze,
innesti per parti gemelli.

Sfumature di rosa piumato


gonfiano i boccioli di primavera
e sui volti legnosi delle madri
anche la tristezza ha il suo
portamento.
L'Isola

Sinuoso colle ove s'incrociano


inebriati i sensi molli
degli isolani.
S'infrangono accigliate le vele -
bare trasalite di consuetudine.
Gabbiani reali
pescano i frutti lunari,
donne gravide come grotte celate
dalla vegetazione policroma,
planano lungo il crinale
per anfratti rocciosi
da Dioniso all'Ade.
Orfeo pennuto
che mi attraversi col canto,
hai gettato la rete, legato i lamenti
in questo rito insondabile
di sacra annunciazione.
Promontorio nel vento
seduto su flotte di lucciole.
Zoomata di fotoni natanti,
pistilli schiumosi
nello specchio del mare.
Golfo stella, firmamento
lussureggiante nella
macchia mediterranea.
Bagnanti riarsi lungo siepi
di oleandri fioriti. Onde
di brezza effimera, di
parole per te,

sussurrano in chiese e musei


tra i flutti rimasti nella città.
Fiaccole tremolanti
accendono e spengono
il tuo battito rovente di lucertola -
una contrazione affamata
che morde i miei fianchi. E'
tuo, è mio questo affanno
che scava nella sabbia,
nel silenzio dell'incertezza,
nell'oscurità arrendevole
dell'alba
.

Il Giardino delle Delizie


Il cielo grigio elettrico
di tentacoli urticanti,
soldati in marcia
lungo l'Elba boschiva,
sogni rubati
nel giardino delle delizie.
Sciame di alberi marittimi,
vibranti, verdi meduse
abbandonate alla salsa
corrente del cuore.
Scenografia della notte, un
cabaret esotico
di palme ballerine,
avvenenti piume di struzzo
che cingono strette
imberbi ulivi raggianti.
Riflessi aranciazzurri
di una pura età dell'oro
dove l'esiliato imperatore
dimentico di guerre e strategie
ha dipinto colombe con nodi d'amore.
Spicchio di monte depilato
giacché il mercante impudico,
l'ascia sotto il ventre vulcanico
ha scavato minerale dolciastro.
Disposte come i gironi danteschi
le vigne superstiti
del giovanile inganno
esibiscono la loro eterna essenza
in cerchi concentrici di estrosità.
Hanno toccato le carni,
bruciato i suoi semi
sulla sassaia rugosa
forgiata di fiamma. Occhio
vermiglio di selvaggina in
picchiata da nido di avvoltoio,
truce s'inerpica in mete ambiziose:

Il castello del Volterraio,


roso da inespugnabile scontrosità.
La Tempesta

L'ora volgeva al 2000,


il fuso matematico
filava il destino del giorno,
tesseva le vesti al futuro.
Oceano e Mnemosine
hanno spruzzato le idee sul mondo
e dei fratelli Titani
la spuma è rimasta in dischetti.
Gocce di sperma
colsero ardite
l'aurora dipinta
sugli occhi stellanti.
Stretto il tremito al petto
tra incanto e lusinghe
di quel Giorgio fiorito a Venezia,
l'opera sua contemplavo.
Metamorfosi pensante,
La tempesta brillò
Baluginante di colori
Sotto una grandine di bit.
La folgore di Zeus
Schiantò arterie e vene.
Fui e divenni,
Sola materia! Alfabeto
cifrato in tastiera, Un
automa innocente,
Cervello savio con elettroniche
Sanguigne membra.
Memoria magnetica
Io nacqui !
Dalla virtuale unione
Tra l'amor sacro e l'amor profano.
Aenigma est!

Uno scoglio errante sul mare


Ospitò tua madre peregrina
Per nove giorni prima della tua venuta.
Allora la roccia che ti fece da culla
Si fissò sul fondo marino
Con possenti colonne e divenne un'isola!
Per sempre lontano e
distaccato dalla terra:

Sei diventato medico, forse profeta, Perché


solo nel giusto ha luogo il tuo sapere. Ora
per celia invertiamo la sorte
E ascolta le mie parole:
"Fatti edera -
Per stringermi forte,
Cespuglio di rovi -
Per ferirmi quando ti allungo la mano!

Fatti boomerang -
Per scagliarti lontano da me senza perderti,
Anello dorato -
Per dormire ogni notte tra le mie dita!
Fatti lingua -
Per forzare di baci uno scrigno sigillato,
Ruscello -
Per bagnare una fonte disseccata!
Fatti mistero -
Per filosofare con me
Nei recessi di ogni iniziazione.
Tizzone del firmamento -
Per accecarmi quando ti guardo!"
Kore..Kore!
Dalla buca galassia, gonfia
di piccoli astri atterrati
si muove un gorgoglio di voci piovane;
Flebili rintocchi lirici, umidi
come l'aria d'autunno: "What
thou lovest well remains, The
rest is dross
What thou lovest well shall not be reft from thee."
Bisbigli di Pound poeta,
Finestre dipinte sui muri,
Prospettive che gettano l'occhio in errore.
Epico Dante d'America non l'hai vista
Nel tuo vagolare la signora delle messi
che urla sconsolata quando le acque
ricoprono il mondo?
Fra tutti gli dei è lei
che ama di più la terra,
ma da quando erra cercando
la figlia perduta, è diventata
fredda come il marmo,
livida come il regno dei morti.
La maschera triplice mostra la tragedia,
non vuole più nutrire le zolle.
Gli dei e gli uomini ha abbandonato!
Gli alberi scheletriti non hanno più foglie!
Le acque gelano nei fiumi e nei torrenti!
Gli animali muoiono!
Kore..Kore!
Nel mio cuore ci sei solo tu,
l'intero universo grida il mio pianto,
l'amore non può durare, l'addio il
nostro destino.
Non possiamo sfuggire alle Moire!
Commossa da tanto strazio,
la possente Rea , grande madre,
madre idea disse: "Tua figlia...tornerà!"
E ritorneranno i figli dei figli, anche gli
avi dei figli,
Sulle ali di Erebo,
lungo i laghi della Memoria
e della Dimenticanza.
Così l'arcano segreto è svelato,
Placando l'ira funesta,
Tutta la terra ha ripreso a fiorire;
La spiga stringe il papavero
Per nuovi incontri e altre separazioni.
Mutui gesti d'affetto sciolgono
Il nero peplo fra gli dei immortali.
Scherzi di piuma

Donna! Ora inventati un nome.


Una matrioska dilettante,
Infila porte, corridoi e ante:
Pupazzi di ciccia uno dentro l'altro;
Un gioco a dir poco intrigante!
Stendono insegne nella città:
C'è una regina da allevare
In scatole cinesi di spazi avare.
Scroscio di proteste :"Attenti!
Attenti! sono le api dell'alveare."
Maestra d'estetica in teatri culinari,
Raffinata restauratrice di alimentari
Surgelati o sughi ad alta tensione:
Penne all'arrabbiata -
Semolino di ocra gialla -
Quagliette allo zenzero -
Banana salmistrata -
Budino di cartapesta.
Donna di periferia:
Sferruzza, taglia, cuce fori
Veli di damasco
Per voti e ostensori.
Mia Danaide!
Le dita puzzano odori ribelli,

Cipolle sonore e selvaggina;


Canaglia ammaestrata,
Lesto il fabbro a buon mercato
Se la cinge in castità.
La storia è di antica famiglia:
Una reggia incipriata,
Acquari color verdealga e
Conchiglie marine, inferiate alle finestre.
Ladri di polli! La miccia è pronta,
Un dono per i sabotatori dell'argenteria.

Mio Acciarino! Accendi il sorriso Il


sole è nero e l'inverno fiacco,
Piovono sordi questi scherzi di piuma
Candidi e tardi come fiocchi;
Strofina in rima questi arabeschi
Mostra il regno anche agli sciocchi.
Terra sfiorita

Sotto la terra sfiorita, Riflessa sul


mio paesaggio nebbioso Aprivo
esitante, puri slanci brinosi
E coperta di crespose gelate Come il
villucchio germogliavo tutta. Così
riscaldata dai tuoi occhi franchi,
Ramificavo esili fusti
Tra i folti peli argentei
Di una virile sordità.
Io ti portavo le opere del cuore,
Quale abisso senza fede,
Per te che mi abbracciavi di tradimenti.
Prostrata tra i tuoi peduncoli odorosi
Stendevo su di noi
Un liquido di sortilegio
Che dissolveva il corpo dal dolore.
Tra i dentriti dell'amnesia
De-cimavo le mie setose pupille
E da me dipartivo,
I vestiti sfogliati sul divano in
umanoidi grucce appese al sacrificio.
All'apice di un virgulto,
Mi sfioravano gli aliti di questa vita vegetativa.
Dalle impalcature branchiali rugginose,
Le canne pomacee fruttificavano Sulle
sorti di una stagione.
       

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