è un genere letterario che si sviluppa a cavallo fra i secoli 500-600, ovvero in
un'epoca di grandissima fioritura culturale. L'archetipo è il
“Lazarillo de Tormes” del 1554. Regni del periodo picaresco: Carlo V d'Asburgo, Filippo II e Filippo III. È un'epoca di espansione della classe sociale borghese e di grandi scoperte che però la Spagna non sfrutta come commercio ma solo per ornarsi. Ancora è un'epoca di riforme protestanti e la Spagna si fa portavoce del Cristianesimo tanto da diventare all'epoca leader cattolico e voleva mantenersi al sicuro da altre religioni, spesso le persone dovevano convertirsi (i conversos che però erano comunque cristiani nuovi disprezzati perché in privato professavano la loro fede) o lasciare il paese ma sarà proprio con l'emigrazione dei musulmani e la conseguente mancanza di aiuti economici che coinciderà il declino spagnolo. Hidalgo= <i>hijo de algo</i>, figlio di qualcosa cioè del sangue non contaminato dagli stranieri Hidalgia aristocratica= concetto chiave dell'epoca, a chi era cristiano e ricco venivano dati certificati di sangue nobile per dimostrare la limpieza de sangre. </p><p>Agli inizi del 500 si stabilizza la lingua spagnola → Dialogo de la lengua (Juan de Valdes): la lingua deve essere naturale e il più simile possibile alla lingua parlata in modo che possa essere letta da un pubblico il più ampio possibile, lo stile è dunque molto semplice in quanto, iniziando a dar spazio a personaggi bassi, si utilizza un linguaggio consono allo strato sociale cui appartengono. Si accenna all'unica novela di stampo realista, quella Picaresca dove si parla di una persona che appartiene alla classe sociale bassa, un picaro, una figura miserabile che si deve arrangiare e non fa parte del <i>pueblo llano</i> perché il popolo lavora mentre il picaro non è utile alla società. </p><p>Il Lazarillo non si può definire e tanto meno si può dire che è un romanzo, in quanto all'epoca la narrativa era data dai romanzi cavallereschi. In quest'epoca si stabilizza il genere narrativo • <i>Novelas de caballerias</i>: il protagonista è un cavaliere che ama una fanciulla, la narrazione è in versi, l'ambientazione è esotica, fantastica, lo stile è elevato e ricercato • <i>Novelas sentimentales</i>: è la storia della relazione di un cavaliere e una donna e del loro amore platonico e ideale, l'ambientazione è cortigiana, non vi sono avventure • <i>Novelas pastoriles</i>: si parla dell'amore fra due pastori, due nobili vestiti da contadini che parlano con parole difficili del genere classico e si rivolgono ad un pubblico aristocratico • <i>Novelas moriscas</i>: è una prosa di una vicenda amorosa tra un moro e una cristiana dunque si parla di un amore impossibile • <i>Novelas bizantinas o griegas</i>: è una prosa di avventure di innamorati che si devono separare e si ritrovano poi alla fine • Novelas picarescas: il protagonista è un frustrato, l'ambientazione è reale, finale antieroico, le ambizioni di ascesa sociale non si concretizzano, si rompe dunque una tradizione, fa scandalo e arriva al successo. Un primo tentativo si ha con la Celestina di Fernando de Rojas dove per la prima volta vi sono anche personaggi del popolo il cui linguaggio rispecchia la loro provenienza. </p><p>Picaro deriva dal greco <i>“picar”</i>, che significa speluccare (=mangiare un po' di tutto, non fare quindi un pasto completo). È difatti la fame il motore che smuove questo personaggio, un popolano molto furbo che grazie alla sua scaltrezza riesce a sopravvivere. Il Buscón è colui che cerca ma viene tradotto come imbroglione; è come il picaro di origine umile e incerta, è al servizio prima di un padrone poi di un altro, e tutti lo maltrattano negandogli cibo e soldi. È anche caratteristico del picaro l'afan<i> de medro</i>, ovvero la smania e l'ambizione di risalire la classe sociale, cosa che non avverrà mai in quanto la società spagnola è determinista/immobilista, impedisce a qualsiasi persona di basso rango di ascendere socialmente.</p></div></div><div><div><p><b>REQUISI TI LETTERARI/CARATTERISTICHE DEL ROMANZO PICARESCO </b>1) FALSA AUTOBIOGRAFIA/PSEUDO AUTOBIOGRAFIA/AUTOBIOGRAFIA FITTIZIA: una persona narra in prima persona della propria vita come se fosse una confessione, il picaro ci offre il suo punto di vista personale del mondo, ma questa narrazione fatta dal personaggio non coincide con quella dell'autore. Autobiografia fittizia in quanto l'autore fa finta di essere un'altra persona, autore e narratore/protagonista dunque si sovrappongono: il primo è una persona colta, erudita che finge di scrivere in uno stile semplice . Falsa autobiografia in quanto in un'autobiografia il narratore il lettore e il protagonista sono la stessa persona ma nel romanzo picaresco non è cosi. Un'altra caratteristica è dialogo e dialettica: il racconto è spesso accompagnato dalla dialettica con un “tu”secondo interlocutore, spesso concreto come può essere nel caso del Lazarillo Vuestra Merced, e in altri casi vi è una specie di dialogo in cui il protagonista racconta la sua vita ad un altro personaggio. 2) BASSA GENEALOGIA: tutti sono accumunati da un'appartenenza sociale bassa e da una situazione familiare appartenente alla malavita. Vediamo che il padre di Lazaro è un mugnaio e la madre si prostituisce; nel Guzman il padre è un usuraio e la madre una persona molto furba che inizialmente si accompagna con un vecchio molto ricco ed attribuirà il figlio a un altro; nel Buscon il padre è un barbiere, la madre una fattucchiera e il fratello verrà addirittura ucciso perché rubava dalle tasche del padre; la Picara Justina è invece figlia di giocolieri truffatori. Un'altra caratteristica è quella della cronologia, secondo cui si narra dalla nascita fino alla narrazione presente del racconto. 3) CRONOTOPO (cronos=tempo, logos=luogo): il servizio prestato a diversi padroni porta a continui spostamenti in luoghi diversi e geograficamente esistenti. Passare da un padrone all'altro (scudieri, preti, ciechi, cavalieri) è legato al fatto che trova sempre situazioni avverse, difficoltà, malvagità a suoi danni e soprusi che lo portano ad abbandonare continuamente un padrone per cercarne un altro. Critica e denuncia di queste classi sociali. 4) FAME E BISOGNI PRIMARI: fra i bisogni primari c'è quello della fame, molto evidente in Lazaro che poco si preoccupa delle malelingue e pensa piuttosto ad avere la pancia piena; fra gli altri bisogni ci sono poi quelli escatologici. 5) NARRAZIONE RETROSPETTIVA: chi narra arriva ad un certo punto, e ricostruisce la sua vita guardando indietro=narrazione a ritroso 6) PROTAGONISTA ANTIEROICO: il protagonista deve essere un antieroe di origini misere che imbroglia e segue principi malvagi 7) EPILOGO NEGATIVO E DISGRAZIATO: rappresenta la conferma del determinismo sociale che domina la Spagna in questo periodo, la situazione finale è sempre negativa, il protagonista non riesce a manifestare la sua purezza di sangue, è quindi un disonorato infelice 8) CARATTERE REALISTA DELLA NARRAZIONE: non vi sono ambientazioni fantastiche ed esotiche, ma solo luoghi conosciuti, anche il tempo ha riferimenti precisi. C'è fedeltà rispetto al modo di vivere del tempo, anche rispetto al modo di parlare e di esprimersi del tempo 9) REALISMO TEMPORALE, SPAZIALE, SOCIALE E LINGUISTICO 10) EVOLUZIONE TEMPORALE/PROSPETTIVA TEMPORALE E CRONOLOGICA: ci sono due visioni, quella del picaro adulto che racconta la sua storia e quella del picaro giovane che ha compiuto tutti i furti e la marachelle; vi è anche una duplice prospettiva temporale, quella di chi narra nel presente i tempi passati e quella del presente che guarda al futuro 11) NARRAZIONE CIRCOLARE E CHIUSA: la narrazione si conclude nel momento presente, ma la vita del picaro non è finita, è ancora vivo (contraddizione), questa vita inconclusa comporta una seconda parte 12) NARRATIVE MINORI: insieme alla trama principale vi sono cellule narrative minori che ornano la narrazione</p></div></div><div><div><p>principale e che servono per spiegare determinati comportamenti del protagonista o per dare lezioni morali (novelle ridotte, favole di animali). </p><p><b>PERCH È LA NOVELLA PICARESCA NASCE IN SPAGNA? </b>Questioni sociali/storiche favorevoli 1) ACCATTONAGGIO. Folta schiera di poveri e mendicanti che elemosinavano per vizio o per bisogno; questo non è però un motivo sufficiente in quanto non è un problema esclusivamente spagnolo 2) MOTIVO STORICO-LETTERARIO. La picaresca è una reazione letteraria contraria alle novelas de caballeria che sta perdendo il suo rigore ed è anche un proposta alternativa al romanzo pastorale greco e bizantino. Il cavaliere è in contrapposizione al picaro, il primo è valoroso, il secondo un codardo che pensa solo a se stesso, un antieroe, un anticavaliere. C'è anche il tentativo di opporre ad un mondi idilliaco un mondo amaro in cui vivere non è facile come per un cavaliere. 3) MOTIVO ERASMISTA. Erasmo da Rotterdam condannava i romanzi avventurosi, pastorali che portavano il lettore ad evadere dalla realtà, per promuovere una letteratura come quella picaresca la cui chiave era il quotidiano attraverso cui si ricavavano lezioni di vita. 4) QUESTIONE SPAGNOLA. Gli autori conversos, ovvero i cristiani nuovi ricorrono alla narrativa picaresca per denunciare le discriminazioni da parte di coloro che invece hanno la limpieza di sangre e dalla chiesa cattolica (anticlericalismo). La società spagnola aristocratica infatti si affannava a dimostrare la propria ricchezza ovviamente attraverso il denaro, quanto più riusciva ad ostentare più aumentava il suo onore (honra: reputazione che si voleva avere, honor: la purezza di sangue intima di una persona). Il picaresco è in questo senso lo specchio del desiderio di riscatto e di libertà da questa concezione/discriminazione da parte degli autori. 5) PROLETARIATO. La novela picaresca è una sorta di genere letterario che va a difendere la classe sociale più disagiata, ovvero il proletariato. Ma questo rimane comunque non dimostrabile, sicuramente gli autori volevano criticare l'immobilismo della società. Questa è una problematica sociale che riguarda appunto la Spagna, è la Spagna che si pone la questione della reputazione dell'onore. </p><p><b>TEORIE SU I MOTIVI PER CUI UN GENERE É RICONOSCIUTO COME PICARESCO </b>1) Alberto del Monte è uno studioso italiano che opera una distinzione tra opere del genere picaresco e opere che hanno il gusto picaresco, che si ispirano alle prime ma che non possono essere ritenute tali. Le prime hanno dei requisiti molto rigidi sia semantici sia strutturali per cui considera come primo romanzo picaresco il Guzman, escludendo quindi il Lazarillo. 2) Alexander Parker compie un errore analogo e ritene il Guzman il primo romanzo picaresco 3) Per Valbuena Prati il genere picaresco può comprendere di tutto, la sua è un'altra posizione estrema che al contrario apre troppo il raggio. 4) La visione più lucida è quella di Fernando Lazaro Carreter che dice che la picaresca è un genere sia in formazione sia in trasformazione, dunque non un genere statico bensì dinamico che vive diverse trasformazioni nell'arco del tempo in cui rimane in voga Gli scrittori successivi portano le opere verso destinazioni diverse perché ognuno le interpreta in modo diverso aggiungendo elementi innovativi. Vediamo ad esempio come Espinel trasforma il protagonista da picaro a scudiero, come Barbadillo prenderà in considerazione il racconto autobiografico in 3° persona. Nonostante il Lazarillo sia l'archetipo del genere picaresco, nel romanzo il termine picaro non compare mai e compare per la prima volta solo nel Guzman, per questo è importante parlare di entrambi: il primo ha aperto la strada e il secondo ha continuato l'evoluzione e consolidato il genere e si può quindi dire che sono interdipendenti per la fondazione del genere Per divulgare le opere e le idee si utilizzavano le cronacas o relaciones de sucesos: documenti che testimoniano il successo delle opere → Il Lazarillo esce nel 1554 e riescono nel solito anno ben 3 edizioni per poi non essere ripubblicato fino al 1573 e registrare entro la fine del secolo solo altre 5 edizioni che facevano pensare ad un calo editoriale e quindi all'impossibilità di un seguito per il genere picaresco, così non fu in quanto nel 1599 uscì la prima parte del</p></div></div><div><div><p>Guzman che riscuote successo e rilancia anche il Lazarillo, fino a registrare 10 riedizioni del primo e ben 26 del secondo. Gli autori che seguiranno questa scia, lo faranno esclusivamente per gloria personale e motivazioni artistiche. Problema veridicità personaggio picaro= Il picaro era un personaggio reale della società spagnola o era frutto dell'immaginazione? Il termine è un sostantivo quanto un aggettivo, ma non essendoci nella società un personaggio denominato picaro, si utilizzava più come aggettivo qualitativo. Chiunque avesse un comportamento fuori dagli schemi, di minima criminalità o malvivenza, poteva essere picaro. </p><p><b>REQUISITI DEL PICARO </b> Personaggio privo di onore, è l'incarnazione del disonore e deve essere un elemento </p><p>scomodo alla società, passa la vita cercando di procurarsi l'onore in una società che fonda l'onore sull'apparenza, ma allo stesso tempo ambisce anche alla libertà e all'indipendenza (contraddizione), i tentativi saranno però sempre frustranti in quanto falliranno sempre e lui rimarrà tale dall'inizio alla fine dell'opera (impossibilità di ascesa sociale). </p><p> Afan de medro, il picaro ha questa brama di risalire la sfera sociale, di migliorarsi socialmente ed abbandonare le origini meschine. Per attuare questo desiderio di riscatto e arrivare all'apice del benessere, il picaro fa di tutto, arriva a passare da un padrone all'altro, a comprare titoli nobiliari, a frequentare donne dell'alta aristocrazia . </p><p> Legge della fame/povertà, il picaro non ha soldi e cibo e mette quindi in gioco la sua astuzia per raggiungere questo obiettivo e riempirsi lo stomaco </p><p> Genealogia vile e meschile, il picaro ha origini povere e disonorevoli, la sua genealogia è impura infatti all'interno dell'albero genealogico vi sono tracce di sangue contaminato da unioni con ebrei e musulmani </p><p> Accattonaggio, il picaro deve essere un accattone e chiedere l'elemosina, non è un requisito indispensabile ma sicuramente concerne il picaro in una fase della sua esperienza </p><p> Delinquenza, criminalità, malvivenza Scontro con il mondo ostile, nemico e malvagio, il picaro ha continuamente incontri </p><p>sbagliati, subisce furti e violenze, e per evitare di soccombore o morire è obbligato ad aguzzare l'ingegno (passaggio dall'innocenza alla malizia). </p><p> Cattive compagnie con cui si incontra e scontra che gli offrono cattivi esempi Figura solitaria, è proprio questa solitudine che lo porta a vedere un mondo di ostilità che </p><p>usa come giustificazione per i suoi gesti, non può fidarsi di nessuno, è uno e uno solo </p><p><b>CARATTERISTICHE DONNE PICARE </b>(La Picara Justina, la Hija de Celestina, Teresa de Manzanares e La garduña de Sevilla) Picara ≠ Picaro: le picare non soffrono la fame e non si muovono per cercare cibo, non sono sole e condividono le disavventure con amiche o complici, ottiene posizioni di riscatto momentanee, sfrutta il proprio fascino, crimini più gravi </p><p><b>AUTORI PICARESCHI </b>Vi sono in particolare tre gruppi di autori: quello dei cristiani nuovi, dei conversos (Aleman, Lopez de Ubeda, Anonimo) che vogliono attirare l'attenzione sulla loro emarginazione, quello dei nobili aristocratici (De Quevedo, Espinel, Salas de Barbadillo) che vogliono difendere la loro posizione nobile e la loro purezza di sangue e quello degli autori esiliati che pubblicano in altri paesi europei (Juan de Luna) e che vogliono far sentire la loro voce dall'esterno. Alcuni di questi non sono veri e propri autori, ma si sono piuttosto cimentati nel genere picaresco per sperimentare, alcuni solo una volta. Non era difficile, in quanto la picaresca presentava canoni precisi e questo rendeva sicuramente più semplice la scrittura. Alcuni erano spinti anche dal bisogno e dalla volontà di criticare la società o esprimere la propria preoccupazione celandosi dietro la figura del picaro e scaricando cosi le colpe sulla sua figura, e sicuramente contribuiva il fatto che l'utilizzo di un linguaggio semplificato costituiva una scusante ai problemi della censura.</p></div></div><div><div><p><i>Problema datazione</i> → Nel 1554 sono uscite contemporaneamente 3 edizioni del <b>LAZARILLO DE TORMES</b>, una da Burgos, una da Alcalà e una da Amberes in Belgio. Per stabilire la composizione bisogna basarsi su alcuni riferimenti ed eventi storici menzionati all'interno dell'opera. Ci sono in particolare due elementi che possono aiutarci a stabilire il periodo ipotetico entro il quale può essere stato composto il testo. 1) Quando Lazarillo parla della morte del madre, cita “en la de Gelves” e si riferisce ad una spedizione militare che Fernando I fece nelle coste del Nord Africa nel 1510; nel momento della spedizione ha 8 anni pertanto nel presente sembra averne 24-25. 2) Alla fine della sua traiettoria Lazaro dice “el mismo ano que nuestro victorioso emperador en esta insigne ciudad de Toledo entrò y tuvo en ella Cortes y se hicieron grandes regocijos”, parliamo del momento in cui l'imperatore Carlo V entrò nella città di Toledo e vi pose le Corti dopo una vittoria, per quanto riguarda la convocazione delle corti risaliamo al 1525 o al 1538/39, ma siccome si parla del victorioso imperador e quindi della battaglia di Pavia, si considera il 1525. La vita di Lazaro è quindi delimitata da queste date. Una terza informazione utile per la datazione è data dall'allusione alla proibizione dell'elemosina e dell'accattonaggio: “como el ano en esta tierra fuese esteril de pan, acordaron el ayuntamiento que todos los pobres extranjeros se fuesen de la ciudad con pregon que el que de allì en adelante topasen fuese prendido” → si capisce che era stato emanato qualcosa affinché gli stranieri accattoni lasciassero la città, attribuiamo il riferimento al 1530, anno della prima legge dell'accantonaggio. <i>Ipotesi autore </i>1) Fray Juan de Ortega, secondo lo studioso Marcel Bataillon costui era il possibile autore del Lazarillo in quanto nell'opera “Historia de la orden de San Geronimo” del 1605 si dice che nella cella del frate, dopo la sua morte, fu trovata la brutta copia del Lazarillo. Questa ipotesi è accettabile perché Juan de Ortega aveva una certa erudizione e capacità di scrivere compatibili con la stesura dell'opera, vi erano poi giochi di parole con riferimento ai testi evangelici e religiosi, e infine punti decisamente anticlericali che spiegherebbero l'anonimato. 2) Un certo Valerio Andres Taxandro attribuì il Lazarillo nel 1607 a Don Diego Hurta de Mendoza, quest'attribuzione riscosse successo fino alla seconda metà del 900. 3) Un possibile autore sembrerebbe essere Sebastian de Orozco, la cui paternità si basa su coincidenze, tematiche, contenuti di ricorsi stilistici del Lazarillo e di altre opere sue. 4) Lo studioso, José Manuel Asensio, ritenne la teoria appena descritta inaccettabile in quanto sosteneva che fra il Lazarillo e le opere di Orozco ci fosse una discrepanza linguistica e proponeva come possibile autore Juan de Valdes in quanto sembrava secondo lui che questo avesse prima teorizzato i criteri nel Dialogo de la lengua per poi metterli in pratica nel Lazarillo. 5) Iope de Rueda, 6) Pedro de Rhua, 7) Hernan Nuñez, 8) Alfonso de Valdes Non vi sono però prove oggettive per riconoscere come autore del Lazarillo un autore piuttosto che un altro e l'opera rimane in anonimato. In che misura il Lazarillo si mantiene nell'anonimato e attinge dalla tradizione per la composizione dell'opera? → Il Testo di fonda sul parlato, sul linguaggio spontaneo e racconti tradizionali, fonti popolari e folkloriche che portano all'apertura verso un pubblico più ampio. C'è la critica contro la società ma anche la volontà di dare un insegnamento morale. Il nome del picaro ha un valore semantico, veniva associato tradizionalmente a una categoria sociale umile in cui i poveri si chiamavano Lazaro (“eres mas pobre que un Lazaro”); la scelta del nome non è casuale ma proviene dal mendicante rinvivito da Gesù. <i>Autobiografia</i>→ Il Lazarillo si colloca nella tendenza cinquecentesca della smerimentazione della narrazione in prima persona, dove il narratore diventa il protagonista delle proprie avventure, episodi concatenati che si susseguono uno dopo l'altro. Nel Lazarillo c'è però una novità, ovvero che questa pseudoautobiografia è anche una una lettera che si rivolge ad un detsinatario illustre cui si rivolge con atteggiamento di ossequio (vuestra merced). Possiamo definire l'opera come un'epistola pseudoautobiografica la cui caratteristica è che risponde alla richiesta del destinatario e deve spiegare una situazione: ricorre al racconto della propria vita (situazione classica della confessione) per soddisfare la richiesta di vuestra</p></div></div><div><div><p>merced. </p><p>08/10/14 In questa epistola pseudoautobiografica c'è il protagonista- narratore Lazaro adulto che narra in prima persona ad un personaggio illustre di Toledo, chiamandolo Vuestra Merced, la sua storia partendo dalle origini arrivando al presente. Il racconto risponde alla richiesta di questo signore di parlare della sua situazione presente ovvero della situazione matrimoniale presente offuscata da dicerie → questo è il CASO. Vuestra Merced per capire se le dicerie sono vere, chiede la giustificazione a Lazaro (caso=situazione di Lazaro, pretesto=richiesta di V.M) Gli spazi in cui si ambienta la narrazione sono diversi da quelli usati fino ora (luoghi idilliaci, frutto della fantasia dell'autore che non corrispondono a spazi reali), e sono dunque luoghi reali (Salamanca, Almorox, Escalona, Maqueda, Toledo) che Lazaro descrive in modo oggettivo tanto da poter riscontrare una rispondenza concreta. Altra novità è la scansione temporale: il fatto che Lazaro racconti una vicenda esistenziale da adulto, fa sì che ci sia una doppia prospettiva reale tra Lazaro adulto e Lazaro bambino=visione dal presente al passato e dal passato sul passato stesso. Per l'organizzazione del libro questo è suddiviso in 7 trattati: i primi 3 sono più estesi e corrispondono all'infanzia ed è per questo che l'autore si è divulgato maggiormente, si parla del confronto che Lazaro ha col mondo ostile e coi primi 3 padroni che lo picchiano e che fanno nascere in lui l'astuzia; gli ultimi 4 sono invece più brevi e gli altri 4 padroni sono meno malevoli, addirittura lo aiutano nel tentativo della salita della china sociale, nel suo progetto ambizioso. Per la sua ottica, crederà di aver risalito la china sociale in quanto è divenuto predonero (pubblicizza dei prodotti, in particolare il vino) e ha una moglie (che sembra essere l'amante dell'arciprete), in realtà la sua condizione secondo la società rimane meschina, poco dignitosa. Stile. L'autore del Lazarillo offre un'immagine per niente eroica della Spagna imperiale, critica infatti le fondamenta della società stessa, la classe nobiliare (hidalgos) e i mattoni su cui di fonda l'intera società ovvero il concetto di onore. La prosa si basa su 3 elementi fondamentali: chiarezza, semplicità e precisione stilistica (richiamo al parlato e al colloquiale). Contraddizione del romanzo→ a livello di contenuti Lazaro non si identifica con la società che lo origina bensì in una posizione di contrasto, mentre dal punto di vista dell'espressione linguistica si identifica in pieno nell'espressione verbale dell'epoca Il Lazarillo si mantiene fedele alla lingua chiara, semplice arricchita da racconti e proverbi popolari mentre si rifuggono metafore e giochi d'ingegno appartenenti alla letteratura alta. È un romanzo originale per le ambientazioni reali e soprattutto per la sua modernità che deriva dalla coesione interna perché c'è una costruzione coesa e coerente. Il Guzman si allontana invece da questo schema e si rifa al Don Chisciotte, vi sono raccontini poco compatti a causa delle digressioni moraleggianti; nel Buscon invece si ha il susseguirsi di situazioni una dopo l'altra, per quanto riguarda la struttura si perde il filo del romanzo mentre il personaggio è coeso e compatto. La modernità sta in questa organicità, omogeneità, coesione e coerenza; poi ci sono elementi secondari come appunto l'ambientazione. Elemento innovativo è la figura del protagonista, che non è una maschera e perché vi è una crescita fisiologica e caratteriale dall'infanzia all'età matura, quindi dall'innocenza all'astuzia. Originale anche per la conclusione del romanzo rimane ambiguo perché Lazaro giustifica il caso, ma non lo definisce e lo lascia aperto, cosa che per l'epoca era inconcepibile. Confronto con i romanzi precedenti→ Per la prima volta l'autore mette in scena un essere umano emarginato che trae dal mondo reale e che costituisce un antieroe Il fatto che vada contro la Chiesa, causa presto una condanna e il testo viene proibito e pubblicato nel catalogo dei libri proibiti dall'Inquisizione anche se secondo alcune testimonianze dicono che il manoscritto ha continuato a circolare sotto banco. Questa circolazione ha causato per un periodo di tempo forti manipolazioni del testo, ma poi questo sarà riabilitato dopo una forte depurazione che eliminò i contenuti troppo compromettenti. Con l'uscita del Guzman e del Lazarillo i lettori notano un nucleo comune di ingredienti: una viene sviluppata in modo più contenuto e coeso, l'altra più estesa e dispersiva. Il protagonista non ha una definizione unica, nel Lazarillo viene chiamato bellaco (furfante,</p></div></div><div><div><p>briccone) o gallofero (mendicante), mentre viene definito nel Guzman come picaro, di bassa società, figlio di vagabondi e miserabili, costretto a furti e imbrogli per sopravvivere. Una figura decisamente contrastante con la società 500/600, tormentata dal fantasma dell'onore, della purezza di sangue. Questa figura trova corrispondenza anche con i personaggi del teatro che nel 500 sono figure umili riconducibili appunto al picaro, sono dunque due fenomeni contemporanei. Il <b>GUZMAN</b> è invece un'opera diversa, divisa in due parti: la prima esce nel 1559 e si diffuse talmente tanto che in pochi mesi venne ripubblicato a Barcellona, a Zaragoza e a Madrid e addirittura in Belgio, a Parigi e Lisbona. Nel 1606 ci fu la prima traduzione da parte di Barezzo Barezzi. Nel prologo l'autore lancia un'aspettativa del pubblico circa una seconda parte, di questo approfitterà un autore, Juan Marti, scrivendo una seconda parte non autentica nel 1602. Inorridito da questa edizione abusiva, Mateo de Alfarache si mette all'opera e scrive la seconda parte nominando proprio costui, vendicandosi e attribuendogli tutti i vizi possibili. Questo accadeva spesso, anche il Don Chisciotte è suddiviso in due parti, una del 1605 e una del 1615, esce poi nel 1610 una seconda edizione apocrifa che Cervantes riscrive vendicandosi allo stesso modo di Alfarache. Mateo Aleman promette anche una terza parte che però non verrà mai composta, da nessuno (esiste solo una terza parte apocrifa del 1650). Aleman è un sevillano che nasce nel 1547 e conduce una vita movimentata caratterizzata da disavventure a livello sentimentale e ristrettezze economiche che lo condurranno addirittura in prigione, è quindi un picaro anche lui. Una buona parte del romanzo è ambientata in Italia come parte della vita dell'autore: notiamo quindi elementi in comune tra autore e protagonista ma questo non significa che ci sia uno specchiarsi dell'autore con il protagonista dell'opera. La novità del Guzman è che l'autore non si nasconde dietro l'anonimato e che non c'è un attaccamento morboso al realismo, non si è più interessati ad offrire al lettore questo spaccato di vita bensì a trasmettergli un insegnamento morale privilegiando così l'aspetto didattico probabilmente per non incorrere alla censura. In comune col Lazarillo c'è invece una particolare attenzione al lato umano ci questo furfante, personaggio emarginato, picaro che evolve e cresce. </p><p>09/10/14 </p><p><b>LA SITUAZIONE DELLA NARRATIVA IN SPAGNA </b>Sopravvivono il romanzo cavalleresco, che si legge ancora anche se gli autori seicenteschi si iniziano a cimentare in altri generi, il romanzo prete (novela cortesana) di ambientazione urbana, e il romanzo picaresco. Nei secoli 500-600, dunque nei siglos de plata, le lettere in Spagna raggiungono il massimo splendore: se nel 500 si cercava la sobrietà dello stile, nel 600 si ha più struttura e non ci si sofferma più sulla trama ma c'è più interesse nel modo in cui si racconta quindi verso gli artifici. Gli scrittori barocchi si dividono in due categorie: i concettisti, (Quevedo) che privilegiano il concetto e il significato delle parole e i cultisti/culteranisti, interessati ai giochi di parole estetici quindi latinismi ecc. Il <b>BUSCON</b> nasce nel contesto invece barocco, e viene pubblicato nel 1626 senza sapere quando però sia stato realmente composto visto che all'interno non vi sono riferimenti. Non c'è più la scelta dell'anonimato anche perché non ci è alcuna corrispondenza tra ciò che è scritto e ciò che è la vita di Quevedo. Anche il Buscon inizia con una lettera in forma epistolare dove c'è il riferimento a vossignoria che si perde però dopo poco nella sperimentazione linguistica. L'esordio rispetta dunque il Lazarillo, ma invece di essere diviso in trattati, è diviso in 3 libri per un totale di 23 capitoli. Una differenza importante si vede nel personaggio, in Pablos non si registra quella crescita, quell'evoluzione psicologica che c'è invece nel Lazarillo. L'intento di Quevedo non è quello di difendere gli emarginati ma piuttosto salvare la sua categoria dell'aristocrazia. Il dominio della lingua non è dato dalla ricchezza del vocabolario, nonostante il lessico vario ma dai dai vari giochi di parole. L'opera viene infatti considerata un mosaico di elementi sconnessi e l'unico elemento unificante è il personaggio che non evolve e rimane quindi</p></div></div><div><div><p>sempre fedele a se stesso. </p><p>14/10/14 </p><p><b>LAZARILLO DE TORMES <i>Prologo:</i></b><i></i> introduce i contenuti interessanti del testo con lo scopo di attirare l'attenzione del pubblico parlando di cose mai sentite e vedute prima. Questo aspetto di sottolineare l'importanza dei contenuti risponde a determinati dettami della retorica, l'autore inserisce questa retorica erudita nel libro per distinguersi dal personaggio. A sottolineare questa</p></div></div><div><div><p>ostentazione di erudizione corrisponde la citazione di Plinio che ha come intento anche quello di conquistarsi il favore del lettore mostrando un atteggiamento di umiltà. Importante è anche il fatto che cominci con “yo”, introducendo subito il contatto diretto del lettore con l'autore e facendo credere al lettore in una coincidenza tra lettore, protagonista e autore. L'autore che spiega il caso sarà dunque protagonista del caso=autobiografia fittizia→ l'yo che scrive il prologo è lo stesso che scrive la vida del Lazarillo e dovrebbe essere la stessa persona che da vita al testo, ma non è così. A negare questa coincidenza è il fatto che colui che scrive il prologo è una persona erudita che conosce Plinio, fa riferimenti a Cicerone e impiega latinismi e non può dunque essere un picaro. “noticia”→ etimologia latina, valore di conoscenza e non di notizia, cronaca “unos”→ valore etimologico latino di unicità, non uguale agli altri, in spagnolo significa alcuni L'importanza del prologo è tale che gli studiosi pensano debba esser letto come epilogo in quanto risulta più illuminante in fondo alla lettura. Ci accingiamo a leggere la storia di una persona che dopo una serie di disavventure riesce a raggiungere una condizione tranquilla, un puerto seguro, che poi crolla in realtà e si capisce l'ironia il sarcasmo che lo contraddistinguono. Il bello della narrazione è proprio l'ironia con cui viene presentata la storia all'insaputa del lettore. Nelle prime 4 righe si allude alla necessità di non lasciare questi fenomeni nell'oblio, questo uso del condizionale potrebbe indicare un atteggiamento di umiltà da parte del narratore perché non è sicuro che tutti trovino interessante la lettura e non si pretende nemmeno che piaccia a tutti ma può essere possibile che qualcuno trovi anche un insegnamento. C'è dunque una doppia lettura: una di intrattenimento e una di insegnamenti morale. L'autore presenta questo testo anche come strumento di profitto collettivo che sia per un motivo o per l'altro. Il pubblico è quindi vasto e lo possiamo capire anche dall'uso di ricorsi retorici ed eruditi che si accattivano la parte del pubblico più elevata senza allontanare le sfere sociali meno abituate alla narrativa. Profitto/Beneficio=Frutto→ si può riferire al beneficiario che il lettore può trarre dalla lettura, secondo una prima interpretazione sono i lettori a trarre beneficio dalle opere che leggono, secondo una seconda interpretazione è l'autore a trarre beneficio dalla divulgazione dei testi perché se così non fosse… Unico destinatario→ modo per corroborare il fine di un reale destinatario, vuestra merced La honra significa la gloria che alleva e crescere le arti; se un autore non conosce la gloria e non viene elogiato, difficilmente continua a scrivere, quindi come giusta ricompensa gli autori devono essere letti ed elogiati dal pubblico, la lode è infatti il massimo scopo per l'autore nell'arte. Questo concetto di necessità di essere elogiati allude alla figura del soldato. Chi pensa che questo che si trova sempre in prima linea, pronto a dare l'assalto, lo faccia perché disprezza la vita si sbaglia, è infatti il desiderio di elogio, lo stesso dell'artista che lo induce a esporsi al pericolo. → topos della letteratura classica Presentado→ giovane teologo che ha terminato gli studi e che aspetta una mansione, nel momento in cui verrà elogiato dimostrerà come tutti quanti che anche l'uomo di chiesa prova piacere nell'elogio. Un altro esempio ce lo da con il signor don Fulano che ha giostrato (torneo medievale) pessimamente e ha regalato la sua giubba da combattimento al giullare di corte perché l'aveva lodato/elogiato per aver combattuto bene (ironico=spesso i giullari si prendevano gioco delle persone): la voglia di essere elogiati è dunque comune a diverse categorie e persone. Precisazione del modo in cui si scrive molto interessante, lo definisce grosero=volgare, sempliciotto che quindi non corrisponde al canone letterario del momento. Vean→ verbo con un valore notevole, modo per dare peso alla componente realistica della narrazione, conferisce oggettività al narrato. Viene poi infine introdotto il destinatario, che non ha un'identità specifica ma un appellativo di rispetto: Vuestra Merced. Questa è la parte più importante e si ricollega all'inizio del libro che esprime la causa diretta della scrittura del libro ovvero la richiesta di vuestra merced espressa in una lettera di spiegare il caso (scambio epistolare fittizio), cosicchè il lettore pensa che si tratti di un testo scritto commissionato da qualcuno. Questo è anche un modo dell'autore per</p></div></div><div><div><p>ripararsi dalle accuse. </p><p>15/10/14 <b><i>Primero tratado:</i></b><i></i> origini di Lazaro Comincia con “pues”, si ha pertanto la continuazione del ragionamento fatto nel prologo, che abbiamo visto molto importante perché permette di focalizzare l'attenzione del lettore sul nucleo semantico che è il caso. Il romanzo si compone di 3 segmenti: prologo, racconto della vita ed epilogo, e la narrazione vera e propria si trova collocata proprio in mezzo. Questo primo trattato è diviso in 2 parti: <b>preistoria</b> dalla nascita fino all'incontro con il cieco avvenuto all'età di 8 anni (passaggio non casuale=a 8 anni si ricordi) e la <b>storia</b> vera e propria del protagonista. Lazaro inizia a narrare le sue origini, simulando l'autobiografia e cercando di essere il più realistico e dettagliato possibile con lo scopo di rafforzare quanto più possibile la verosomiglianza, viene messa davanti a tutto la presentazione che fa dubitare del suo vero nome in quanto non dice me llamo ma “a mi me llaman”; il nome rimanda al personaggio biblico di Lazaro di Gesu che viene resuscitato esattamente come riscusciterà Lazaro da una vita misera ad un bono porto. Quando si allude alla nascita del fiume si riprende o meglio si parodia il romanzo cavalleresco in cui il famoso cavaliere Amadis de Gaula era nato vicino ad un fiume e lì era stato abbandonato in una cesta, in modo da creare un collegamento fra il Lazaro antieroe e l'Amadis cavaliere. Nasce da una famiglia umile (nomi comuni, cognomi non doppi) dove il padre era mugnaio (“que dios perdone”→ si suppone che il padre abbia commesso qualche fatto negativo) e la madre rimasta vedova, con l'obiettivo di appoggiarsi a persone per bene, troverà invece l'opposto e intraprenderà una relazione con un moro dal quale avrà un figlio di colore che macchierà ancora di più la famiglia di Lazaro nei termini della purezza di sangue → blocco dell'ascesa di Lazaro che rimane rilegato nella classe sociale bassa La narrazione gioca su due livelli: narrazione fittizia da quando è bambino fino agli 8 anni e narrazione realistica. “sangría”→ salassi praticati per attenuare il dolore, tagli per far uscire il sangue - parodia del Vangelo di San Giovanni - allusione alla spedizione di Gelves nella quale perderà la vita il padre che abbiamo visto permette di datare il romanzo “Zaide”→ in arabo significa signore e questa scelta di un nome importante per un moro miserabile non che criminale crea ironia. È in questa situazione che la vita di Lazaro comincia a incamminarsi verso quella china. Incontro con il ciego→ è il punto di svolta del romanzo perché con questo incontro si chiude la fase preistorica dell'innocenza e si passa a quella maliziosa dell'adolescenza e quindi alla storia vera e propria. Lazaro entra difatti a contatto con il mondo ostile e si ingegna per sopravvivere e combattere la fame “adestralle” → destron= quelli che stanno alla destra dei ciechi per guidarli </p><p>16/10/14 Al prologo e anche al primo trattato si collega il <b><i>Setimo tratado</i></b><i></i>, incentrato sulla situazione esplicativa del caso e sull'ultimo servizio prestato all'arciprete. “Despedido”→ congedo “..todos mis trabajos y fatigas”→ disavventure, affanni, beghe “medrar”→ migliorare la condizione sociale Lazaro ha un duplice lavoro, ha il compito di bandire i vini, di diffondere la notizia di oggetti smarriti e gridare a piena voce per la città i delitti dei compagni → mestiere deplorato dalla</p></div></div><div><div><p>Spagna mentre per il protagonista è la massimo aspirazione (=contrapposizione tra Lazaro e e la visione della Spagna) Pag. 130: nucleo centrale, chiarimento del caso centrale del matrimonio con una criada, un matrimonio di convenienza sia per Lazaro sia per l'arciprete: il primo capì di poterne ricavare solo profitti (buona donna di casa, protezione e riparo dall'arciprete) mentre il secondo doveva discolparsi dalla relazione avuta precedentemente con la donna. I due vanno ad abitare vicino la casa dell'arciprete, tutto sembra andare bene ma (=mas) ci sono le malelingue cui lui non crede (protegge la moglie). A questo proposito l'arciprete gli suggerisce di non indagare oltre a questa situazione, ma di badare agli affari suoi e a ciò che gli conviene. Ricompaiono i termini “medrar”, “honra”, “provecho” Notiamo il timore di Lazaro nei confronti della moglie che ci fa capire che la donna è veramente adultera, teme che i giuramenti della moglie lo facciano sprofondare con la casa da quanto sono falsi. Vi sono diversi riferimenti a Dio in un romanzo che definiamo anticlericale, risulta per questo paradossale il fatto che Lazaro sfoderi tutto questo fervore e amore per Dio (=ironia). Paradossale anche il fatto di giurare sull'ostia consacrata. In tutto ciò Lazaro si impegna a perseguire il proprio obiettivo per salvaguardare la posizione sociale acquisita e nascondere tutto ciò che altrimenti dissolverebbe tutto quello che ha costruito, e lo fa difendendo la moglie e dicendo di poter dare anche la vita per lei. Pace di Lazaro→ parola chiave, ambizione di Lazaro=tranquillità di una sola famiglia Uno dei due riferimenti storici si ha proprio alla fine di questo trattato con l'ingresso trionfale di Carlo V nella città di Toledo e la raccolta delle Corti di Spagna (1525). Nonostante si tratti di un testo cinquecentesco, non è difficile anche se la sintassi in alcuni casi è contorta: lo stile tende ad imitare la naturalezza e la spontaneità del parlato ed è questo che fa in modo che la sintassi non subisco grosse contorsioni (modello di Juan de Valdes). Il romanzo è il prodotto di cause-effetto, gira attorno alla situazione familiare (anomala) in cui Lazaro vive che secondo lui gli consente di avere comodità mentre la morale è poco importante rispetto al bisogno di possedere beni materiali. Come già detto il settimo trattato si ricollega al prologo in quanto contiene il nucleo su cui si dirama il resto dell'opera, ovvero il CASO, ebbene cosa è? È un fatto d'onore nell'ottica della Spagna dell'epoca, che coinvolge Lazaro e la moglie. Caso di apparenza che nasconde l'autentica realtà disonorevole dell'adulterio. Il settimo trattato contiene anche lo scioglimento dell'intreccio, del caso annunciato nel prologo perché è qui che Lazaro chiarisce il caso o meglio la natura del caso che ha portato alla narrazione del protagonista (è basato sull'onore ma non si sa se sia risolto o no). Nella situazione prospettata da Lazaro in questo ultimo trattato, i lettori lo vedono dibattersi tra due situazioni: una positiva che sarà quella che prevalerà, che ci presenta il caso come profitto (la situazione gli permette di non patire la fame) e una negativa che ci presenta il compromesso implicito che Lazaro ha dovuto accettare per possedere i beni. Arciprete: il picaro adulto alla ricerca di una pace definitiva, trova la pace/il suo buen porto in questa figura → ostentazione della fede di Lazaro 3 elementi fondamentali della struttura del romanzo= la voce narrante che racconta la sua vita in ordine cronologico in prima persona sempre mantenendo la posizione fissa presente del Lazaro scrittore, il dialogo con vuestra merced, riferimento esplicito al caso. Rottura col panorama dell'epoca: protagonista emarginato, forte realismo, stile e linguaggio inediti </p><p>21/10/14 Lazarillo de Tormes (Anonimo)→ <b>1559, 1604 </b>Guzman de Alfarache (Mateo Aleman)→ <b>1559, 1604 </b>La picara Justina (Francisco Lopez de Ubeda)→ <b>1605 </b>El buscon (Quevedo)→ <b>1626 </b>Marcos de Obregon (Espinel)→ <b>1628 </b>Vida y hechos de Estebanillo Gonzalez (Anonimo)→ <b>1646 </b></p><p>Termine “Picaro”:</p></div></div><div><div><p>1) da picar (prendere un assaggino, spiluccare dalla cucina) 2) dalla picca delle zone militari 3) Piccardia=zona particolare della Francia </p><p>22/10/14 <b><i>Segundo tratado:</i></b><i></i> da qui si inizia l'elenco dei rappresentanti della Chiesa, il secondo padrone è il clerigo (Clero regolare=esercita l'attività all'interno della chiesa/Clerigo=fa parte del clero secolare) Di questo viene condannata l'avarizia e l'avidità e questo è in contrasto con la caratteristiche che di solito accumuna i rappresentanti della religione cattolica, ovvero quella di aiutare il prossimo. → es. faceva morire di fame Lazaro(Non pena il cibo arrivava nelle mani del clerigo sparisce, Lazaro non mangia e oltretutto non riesce quindi a consolarsi nemmeno con la vista del cibo, si prendeva le offerte fatte all'offertorio, sperava addirittura che le persone morissero per sfruttare il cibo servito alle veglie non appena il cibo arrivava nelle mani del clerigo sparisce, Lazaro non mangia e oltretutto non riesce quindi a consolarsi nemmeno con la vista del cibo Nonostante che il cieco fosse l'avarizia in persona, il clerigo era ancora peggio Legame 1°-2° trattato: continuo paragone tra il ciego e il clerigo (la blanca che Lazaro riusciva a prendere al ciego e non al clerigo, il vino amato dal primo e odiato dal secondo) Dopo 3 settimane di permanenza, Lazaro non riesce nemmeno a stare in piedi, è deperito ed arriva a desiderare addirittura la morte, ma non riesce a ingannarlo in quanto questo si accorge di tutto (mica come il ciego), Re di Francia Francesco 1→ non si capisce cosa volesse dire l'autore, forse semplicemente voleva indicare una persona preoccupata </p><p>23/10/14 <b><i>Tercero tratado:</i></b><i></i> al servizio dell'Escudero, a sua volta servitore di un hidalgo Caratteristica principale: apparenza→ portamento, modo di vestire, prototipo vuota onorabilità Sarà in realtà Lazaro a proteggerlo in quanto si preoccupa di proteggere il suo onore ma non ha niente, ha lasciato il suo paese in quanto non gli si rivolgevano in modo adeguato (visto che era di sangue nobile) e togliendosi il cappello → rappresentazione caduta della nobiltà </p><p>29/10/14 Climax di illusione seguita dalla delusione di Lazaro che si rende conto che il momento tanto aspettato di mangiare, non arriverà mai. Lazaro arriva come gallofero (gallofa=pane elemosinato ai pellegrini) a Toledo e qui trova come padrone un escudero. Con la fine della Reconquista, l'hidalgo si impoverisce e l'escudero non ha più il suo ruolo e qui si entra nel vivo della società del tempo. Questo terzo trattato è lo specchio della Spagna in quanto emerge il tratto folkloristico del racconto nel racconto. La prima giornata finisce senza che Lazaro riesca a mettere qualcosa in bocca in un maledetto (negro) letto con la promessa che il giorno dopo si sarebbero accomodati in qualche modo. Ironia→ il giorno dopo prima di andare a messa, l'escudero raccomanda a Lazaro di guardare la casa in realtà dentro però non c'è nulla Pag.83→ richiamo biblico che ci fa pensare che l'autore è una persona colta Riflessione sulla honra→ è una specie di religione, il cristiano finge di aver mangiato e riesce a sopportare una serie di cose che non riuscirebbe a rispettare per la religione vera a propria Lazaro comincia così a chiedere l'elemosina alle porte più grandi, e prima che l'orologio segnasse le 4 aveva già diversi pani → tempo scandito dall'orologio Il critico Claudio Guillen individò nel Lazarillo 3 tipi di tempo: cronologico, quello abbastanza lento visto fin'ora, e quello narrativo e psicologico che abbiamo dal terzo trattato in poi che coincidono. Rapporto di compassione tra servo-padrone→ (pag.92) Lazaro rimediava sempre qualcosa da mangiare da qualche locanda mentre lo scudiero non aveva niente, è qui che notiamo la</p></div></div><div><div><p>compassione che Lazaro prova verso l'unico padrone che lo sta trattando come uomo ma che dice di preferire più umile. In questo rapporto ad avere la meglio è il padrone in quanto il servo è troppo ingenuo. Svolta: viene emanata la decisione di far lasciare la città di Toledo a tutti gli “stranieri” che se non lo avrebbero fatto sarebbero stati presi a frustate. Lazaro smise così di chiedere l'elemosina ritornando così alla situazione di fame iniziale fino a che, venuto l'escudero in possesso di un reale, manda Lazaro a cercare da bere. Per la strada trova un gruppo di persone con un morto vicino al quale c'era la moglie e altre donne che piangendo dicevano che avrebbero portato il porto alla casa lugubre dove non si mangia e beve mai, Lazaro pensando si trattasse della sua, si precipita a casa per bloccare la porta. Lo scudiero ovviamente più sveglio, si farà delle grandi risate. Arrivano i creditori (pag.106), un uomo che chiede l'affitto della casa e una vecchia che chiede l'affitto del letto e con loro l'alguacil, il poliziotto e lo scribano, che essendo stati chiamati da questi ora vogliono essere pagati. A loro volta i creditori non avendo riscosso, cercano un accordo tramite gli oggetti della casa, il materasso pagò per tutti. Abbiamo qui il primo esempio di padrone che lascia il servo. Con la fine di questo terzo trattato si chiude la fase del Lazaro ragazzino, ingenuo, che prova compassione per il padrone e vi stabilisce un rapporto </p><p><b><i>Cuarto tratado: </i></b><i></i>al servizio di un frate della merced che stette con lui poco tempo. Andò da lui su consiglio delle vicine che lo avevano ospitato. La figura del frate viene designata come parente=amante È la prima persona che gli da le scarpe→ significato erotico→ gli regala le scarpe fisicamente e lo avvia alla vita sessuale (sembravano addirittura avere rapporti, è per queste dicerie che poi Lazaro se ne va da lui) Trattato pieno di allusioni che viene infatti tolto in varie edizioni </p><p><b><i>Quinto tratado:</i></b><i></i> al servizio per 4 mesi di un buldero=venditore di bolle/indulgenze Siamo nel vivo di una problematica religiosa→ culmine della Controriforma, inizio riforma Luterana. È qui che Lazaro apre definitivamente gli occhi, in quanto assiste agli imbrogli del padrone per vendere le bolle→ faceva leva sulla credulità popolare, se ne approfittava e usava la religione per fare soldi (tema antico, già trattato nelle novelle italiane). </p><p>30/10/14 Quando infatti non riusciva a vendere le bolle, le vendeva con gli imbrogli. Lazaro è dapprima spettatore, non capisce poi vede l'inganno → messa in scena di una chiesa per far capire alla gente che stavano dicendo la verità e per farli così acquistare le bolle </p><p>4/11/14 </p><p><b>GUZMAN DE ALFARACHE </b>È il secondo romanzo picaresco in ordine cronologico (prima parte 1599; seconda parte 1604) ed il primo in cui viene usato il termine “picaro”. A differenza del Lazarillo, c'è un autore, Mateo Aleman che entra nell'autobiografia fittizia, caratteristica fondamentale per definirsi romanzo picaresco. Il picaro parla della sua vita e delle sue esperienze che riflettono la vita dell'autore e dietro alle sue considerazioni si pone l'ombra del personaggio. Importante ricordare che vi sono molte analogie con il Don Quijote (prima parte 1605; seconda parte 1615). Cosa accomuna questi due personaggi? La vita ad esempio, il padre di Aleman era medico e il padre di Cervantes era un cerusico che eseguiva piccoli interventi; inoltre</p></div></div><div><div><p>entrambi sembrano essere conversos (ebreo convertito); entrambi sono stati in carcere per motivi di denaro, ad esempio le imposte che entrambi riscuotevano per l'approvvigionamento dell'invincibile armata; stesse disavventure editoriali, per entrambi ci sarà una continuazione apocrifa Guzman→ tema del denaro, tasse, finanza e commercio Lazarillo→ fame Mateo Aleman: studiò medicina e legge, diventò contador real di Filippo II (esattore tasse del regno), carica che lo portò ad avere diversi dissidi con gli altri autori. Viene poi mandato a sorvegliare una miniera di mercurio nell'alta Castiglia, proprietà dei furer tedeschi, che era in realtà un luogo di sfruttamento dei galeotti che lavoravano in condizioni disumane. Con la denuncia di questa situazione, si dimise dal suo ruolo. Attraversando così un periodo buio, di crisi e di amarezza compone il Guzman già nel 1597 come riflesso della su crisi interna, in cui il protagonista è un picaro che viene anche chiamato Atalaya (sentinella) della vita umana. Nella prima pubblicazione dell'opera è inserito nel frontespizio un ritratto/incisione in rame dell'autore, rappresentato con la mano sinistra poggiata su un libro su cui è scritto Corta=Cornelio Tacito→ riferimento alla prosa densa che costui comandava nei confronti della tirannia del tempo, e con l'indice rivolto verso un'impresa o emblema (un serpente su cui sopra c'è un ragno che scende con una scritta “ab insidis non est prudentia”=con l'insidia non eisste la prudenza→ il serpente rappresenta la prudenza mentre il ragno che senza farsi scoprire cala il suo veleno sulla testa del serpente avvelenandolo, rappresenta l'astuzia). L'emblema nasce nel 500 con il “Liber emblematum” di Andrea Alciato, una letteratura mista tra immagine a parole. Non c'è prudenza che tenga contro l'insidia, visione pessimistica del mondo che percorre l'intero Guzman. </p><p>Il romanzo è diviso in due parti, ciascuna parte in tre libri a sua volta divisi in capitoli Spiegazione emblema <i>1° Citazione:</i> il ragno, infinitamente più piccolo, scende con un filo, afferra il serpente per il capo e lo stringe fino a che non la uccide con il suo veleno <i>2° Citazione:</i> la rete del ragno è sottilissima, impercettibile e artificiosa tanto che nemmeno un pensiero altrettanto sottile può scoprirla, nonostante ciò nessuno la rompe e conseguentemente qualche preda rimane per forza intrappolata <i>3° Citazione:</i> tutti per i propri fini usano l'inganno→ non c'è una prudenza contro l'inganno, che regga l'inganno; è sciocco pensare che il prudente possa prevenire colui che l'ha spiato </p><p><b>Differenze con il Lazarillo</b>: 1) <i>autobiografia:</i> si inizia con una bassa genealogia che nel Lazarillo si limita alla povertà mentre nel Guzman a questa si aggiunge l'infamia 2) <i>spazio:</i> il Lazarillo si svolge camminando e non esce da Castiglia, Salamanca e Toledo, mentre nel Guzman la geografia si allarga enormemente, si parte da Alfarache, si parla dell'Italia, si torna in Spagna ad Alcalà, a Madrid e a Siviglia 3) <i>stessa visione retrospettiva:</i> si convertono e rinnegano le truffe fatte nel passato 4) <i>struttura simile, enunciazione diversa</i>: soliita struttura perché in entrambi i romanzi l'autore scrive in seguito a un evento che l'ha smosso; in Lazaro la narrazione è limpida, lineare, semplice, senza digressioni mentre nel Guzman è interrotta da continue digressioni morali e storie narrate da altrimenti; enunciazione dunque frammentaria con una struttura introspettiva (spinto da una crisi interna di Aleman tra bene o male) che lo porta spesso a rivolgersi a se stesso o al lettore per convertirlo o giustificarsi. 5) In Lazaro si è parlato di bisogni primari come la fame mentre nel Guzman c'è più il bisogno scatologico (moglie del cocinero che dopo un grande spavento se la fa) 6) aspetto nuovo→introduzioni di inserti narrativi </p><p>5/11/14 Il Guzman si legge in 3 passi. <b>1° PASSO</b>→ Si parla della bassa genealogia, notiamo già nel concepimento di Guzman</p></div></div><div><div><p>l'origine fraudolenta: la madre imbrogliò difatti l'uomo con cui stava dandosi appuntamento in campagna con altro dove finse di sentirsi male ed ebbe un rapporto sessuale. Una volta morto il finto padre, si sposerà con il vero padre, anche questo tutt'altro che una persona onesta. La stessa nonna Marcela imbrogliò una dozzina di uomini facendo credere a tutti di essere il padre della figlia (somiglianza di occhi, nei, ecc), addirittura li teneva tutti insieme e riusciva a non farli beccare fra loro. Quando erano presenti più “padri” chiamava la figlia per nome, altrimenti per cognome. La nonna fingeva di essere nobile e pensava di essere figlia di un cavaliere o dei duchi di Medina Sedonia (i grandi di Spagna), si inventava delle casate fra cui quella dei Guzman, considerata molto antica e ricca, discendente dai Goti e forse dalla contrazione “good man”. Il matrimonio era un tema importante nella picaresca ed è strettamente intrecciato al tema del denaro, non veniva infatti celebrato per amore: il padre di Guzman si sposa con la madre in quanto questa aveva ereditato dal primo marito un ingente somma di denaro, così lo stesso Guzman si sposerà due volte sempre per denaro <b>2° PASSO</b>→ Nel momento in cui la madre si impoverì, Guzman decise di abbandonarla per andare a cercare fortuna sotto il cognome di Alfarache (luogo in cui era stato concepito) per non essere riconosciuto. Guzmanillo si converte ora in Guzman grande. Si imbatte in un'osteria dove una vecchia, vedendolo affamato e soprattutto ingenuo, gli prepara una frittata con le uova marce (tema del mangiare diverso dal lazarillo=aspetto scatologico come vomito) che a Siviglia andavano male velocemente a causa del caldo (tema donna vecchia e brutta molto frequente nel secolo d'oro) . Guzman dice però di avere colpa, in quanto è lui ad aver mangiato la prima cosa che gli è capitata sotto gli occhi. Proseguì così, col pensiero di ciò che aveva mangiato, il cammino finché non vomitò. Iniziò poi a riflettere sulla sua partenza mal progettata. <b>3° PASSO</b>→ Incontra un mulattiere che dopo aver sentito la sua storia si mette a ridere, perché era capitata la solita cosa a lui con una frittata di cenere. Si ferma poi ad una locanda dove incontra un mesonero cui farà da ragazzo, e così via altri personaggi finché non arriva a Madrid e diventa aiutante di un cuoco. Questo episodio lo mette in contatto con la moglie del cuoco: una notte, sentendo un miagolio di gatti e pensando che potevano essersi buttati sulla carne che il cuoco/padrone aveva raccomandato di sorvegliare, si precipita giù; la stessa cosa viene fatta dalla moglie del cocinera che ubriaca e nuda si ritrova davanti all'uomo, che identifica col fantasma di un vecchio cocinero che non era stato pagato. Di fronte a questa scena, la moglie si fa i bisogni addosso e sarà Guzman a ripulirla. Rimasta imbarazzata, la donna lo fa cacciare. </p><p>6/11/14 </p><p><b>LA PICARA JUSTINA </b>Appare nel 1605 a Medina un altro romanzo picaresco, “La picara Justina” di Ubeda. Il romanzo porta grandi novità, lo scrive un uomo probabilmente sulla base del grande successo ottenuto dal Guzman ma per la prima volta il protagonista è una donna. Secondo alcuni (come Rico) non è da considerarsi un vero e proprio romanzo picaresco ma piuttosto una parodia, in quanto non ha né un pretesto per essere narrato né Justina è la moza de muchos amos. L'obiettivo dell'autore non è denunciare una società corrotto come nel Lazarillo, o riflettere sulla propria vita come nel Guzman, bensì sembra che l'autore abbia scritto un libro buffonesco per la corte per divertire, dedicato infatti a Don Rodrigo Calderon.</p></div></div><div><div><p>Il romanzo ha una struttura particolare, certamente non picaresca. Ogni numero ha un'introduzione in versi diversa e in tutti c'è un'esibizione metrica. Alla fine di ogni numero c'è invece una morale. Continue interruzioni con decrizioni. Personaggio senza sostanza, non credibile, grottesco, burlesco. No realismo. Opera divisa in due parti, ciascuna parte divisa in libri i cui titoli corrispondono alle stagioni della picara Justina, a loro volta divisi in paragrafi/muneras: 1°= picara muntañosa 2°= picara romera, pellegrina 3°= picara pleista, litigiosa 4°= picara novia </p><p>11/11/14 Nel primo libro si ha la scena grottesca della morte della madre e la descrizione della sua genealogia ridicola. Era figlia di due mesoneros, locandieri che danno consigli alle figlie per imbrogliare. Il padre è morto per metà razione di orzo a cui aveva mescolato della paglia, un cavaliere se ne accorse e lo uccise con un pacco mentre la madre (con cui aveva un rapporto decisamente freddo) si strozzerà con delle salsicce. -Oggetti e cibo personificati Nel secondo libro Justina inizia ad andare in giro per il mondo truffando tutti gli uomini senza però mai andare a letto con loro→ esaltazione della castità (anche se non era vergine) Nel quarto libro si sposa ed avrà ben tre mariti di cui l'ultimo è il Guzman de Alfarache. *riassunto vedi fotocopie saggi </p><p><b>EL BUSC ÓN </b>Buscar= cercare, imbroglione/furfante No riferimenti al posto da cui proviene e nemmeno al nome Viene pubblicato nel 1626 a Saragozza ma la stesura sembra essere avvenuta sull'onda della grande popolarità della picaresca quindi dopo la pubblicazione nel 1599 del Guzman. Non può però essere stata scritta prima del 1603 in quanto nel testo ci sono riferimenti all'Assedio dei Paesi Bassi di Ostenda e perché nel 1603-1064 viene scritta un'opera citata nel testo. </p><p>12/11/14 Quevedo (1580-1645) è un poeta satirico e autore di trattati politici, morali e filosofici che riflettono il passaggio della situazione ispanica dal momento di grande splendore con Filippo II e Filippo III al periodo della decadenza della monarchia e della grande depressione economica con Filippo IV. Quevedo è l'interprete di questo sentimento del disinganno, del disincanto. Stile Siamo di fronte ad un opera con prosa particolare, geniale, concettista e figurata che si basa su una grande quantità di giochi di parole con doppi significati che portano difficoltà nella traduzione→ es. Naval/Navonal= battaglia col cavolo e battaglia navale Apparentemente siamo di fronte ad un'autobiografia ma lo stile con cui parla Pablos è quello dell'autore e l'autore si scopre. Il tempo è sempre uguale, il Buscon non termina e non ci sono avventure che portano ad un miglioramento, ad una progressione o a situazioni di picco. Non viene definito romanzo picaresco, ma romanzo con personaggi picareschi </p><p>Il Buscon si articola di 3 libri corrispondenti alle tre età dell.uomo: infanzia, prima adolescenza e giovinezza <b>Primo libro </b>Il PRIMO CAPITOLO è caratterizzato dalla descrizione dei genitori e di quella che è la bassa genealogia: la madre, Aldonza di San Pedro (cognome tipico dei conversos ma in realtà era una cristiana vecchia) era una strega/fattucchiera (riflesso del tempo=processi contro le streghe) che alcuni ritenevano ruffiana e altri invece molto capace ed eccezionale, mentre il</p></div></div><div><div><p>padre era un barbiere che mentre faceva la testa ai clienti, faceva mettere le mani al figlio di soli 7 anni (mortò poi di frustate in carcere) nelle tasche dei clienti per derubarli. Fra i due vi era un contrasto di opinioni a proposito di chi Pablos dovesse imitare nella sua attività, ma lui aveva sempre avuto progetti da gentiluomo e proprio per questo chiese di essere mandato a scuola (eccezione picaro che studia) Il SECONO CAPITOLO si incentra invece sui suoi trascorsi a scuola, dove, avendo come obiettivo quello di ascendere nella società ed essere un gentiluomo, si mette vicino alle persone più importanti, in particolare a Don Diego Coronel. Essendo il preferito, aveva suscitato le invidie dei compagni che erano soliti attribuirli soprannomi riguardanti il mestiere del padre (Don Rasoio, Don Coppetta), in particolare si parlerà di due burle subite da questi: passa un uomo di nome Ponce de Aguir e Don Diego gli dice di chiamarlo Ponzio Pilato, attribuendogli quindi una possibile origine ebraica, questo sguainerà il coltello così che Pablos si rifugierà dal maestro che lo frusterà raccomandandosi di non dire più quel nome. Ebbe così paura che quando andrà in chiesa a dire il credo invece di dire “sotto il nome di Pilato” dirà “sotto il nome di Aguir”. Ancora a Carnevale,come di abitudine, veniva eletto un bimbo che sarebbe montato in groppa ad un cavallo e avrebbe tagliato la testa ad un gallo (opportunità di essere re di Gallos), quel giorno toccò a Pablos ma il cavallo, striminzito e zoppo, finì per terra e Pablos in una latrina. Dall'episodio, Don Diego ne uscì con la testa sfasciata e i genitori decisero di non mandarlo più a scuola, così Pablos per non abbandonarlo si mise al suo servizio e lasciò con lui la scuola. </p><p>13/11/14 Nel TERZO CAPITOLO Don Diego e Pablos arrivano ad un collegio in cui ad occuparsi dell'educazione dei figli dei signori c'era il dottor Cabra il quale non dà da mangiare ai suoi studenti che infatti patiscono la fame e la narrazione si concentra sulla descrizione della fame tanto da farci dimenticare i personaggi. “Fortunatamente” un compagno si sentì male e il medico disse che la fame era giunta ad ammazzarlo, con la diffusione di questa notizia il padre di Don Diego si convinse a tirarli fuori dal collegio. Nel Lazarillo non abbiamo ritratti mentre nel Buscon la persona viene descritta sulla base della scomposizione anatomica e della dissezione del corpo. Un'altra tecnica è la Cosificazione cioè il corpo paragonato a un oggetto, in modo da svuotare l'aspetto umano del personaggio e da ridurlo a pupazzo Nel QUARTO CAPITOLO si ha la riabilitazione, i due piano piano cominciano a riprendersi e a recuperare le forze. Siamo nell'assurdo= il dottore ordina di non parlare a voce alta perchè gli stomaci da quanto sono vuoti producano l'eco Dopo circa 3 mesi il padre li mandò ad Alcalà affinché terminassero gli studi di grammatica. Il QUINTO CAPITOLO si apre con l'arrivo dei due alla casa che avevano preso in affitto con altri tre inquilini studenti come loro. All'Università Don Diego frequentava le aule dei padrini degli studenti che conosceva suo padre mentre Pablos era sempre solo→abusi verso la matricola (nonnismo)= viene riempito di sputi, gli mettono le mani addosso e mettono degli escrementi nel suo letto </p><p>18/11/14-20/11/14 Nel SESTO CAPITOLO finalmente Pablos si ingegna, e decide di essere il peggior mascalzone fra i mascalzoni: un giorno infilzò con la spada due porcelli solo perché entrando in casa sua erano stati molto maleducati. Nel SETTIMO CAPITOLO Pablos riceve una lettera dello zio il quale informa il nipote circa la morte del padre squartato dallo stesso, l'arresto della madre da parte del Tribunale dell'Inquisizione perché dissotterava i morti, restaurava le vergini e contraffaceva le donzelle, e circa la somma di denaro che gli spetteva in eredità. Allo stesso tempo Don Diego scrisse al figlio per ordinargli di tornare a casa visto che era stato informato delle bricconate di Pablos. Entrambi si mettono così in cammino verso le rispettive case.</p></div></div><div><div><p><b>Secondo libro</b>→ libro delle peregrinazioni da Alcalà a Segovia e poi da Segovia a Madrid, durante le quali incontra diversi personaggi tipici della società, figure satireggiate che erano per lo più intorno alla corte, ambiente che Quevedo conosceva bene in quanto la sua famiglia aveva dei legami con questa. Triangolazione: rapporto tra Pablos e don Diego che si interrompe alla partenza e che viene sostituito dal rapporto con don Toribio, figura che rappresenta l'opposto di don Diego ovvero la nobiltà decaduta. PRIMO CAPITOLO. Vendendo le poche cose che aveva e ricorrendo a qualche imbroglio, riuscì a pagarsi il viaggio. Si imbatte in un'arbitrista che faceva progetti su come conquistare la Terra Santa e su come prendere Algeri; fermatosi questo a Torrejon per andare a trovare un parente, incontra uno spadaccino impegnato nell'esercitare una finta per la quarta parte di circonferenza della stoccata più ampia in modo da bloccare la spada dell'avversario e ucciderlo, che lo accompagnerà fino a Rejas dove soggiorneranno in una locanda. SECONDO CAPITOLO. Incontra un vecchissimo prete su una mula diretto come lui a Madrid che compone poesie ridicole su qualunque sciocchezza tanto che Pablos non può nominare niente senza che egli vi avesse scritto qualcosa. In queste invece di adorare Dio adora la propria donna. Pablos, nel tentativo di farlo tacere, inventa un'ordinanza, un editto in cui i poeti erano stati dichiarati pazzi (si pensa fosse già presente in un opuscolo e che poi sia stato inserito nel romanzo) TERZO CAPITOLO. Viene esplicato questo falso editto, secondo cui durante la Settimana Santa i poeti avrebbero ricevuto prediche davanti alla Croce, secondo cui i loro versi dovevano essere bruciati o tirati nei gabinetti e assolutamente non trasportati, la loro occupazione doveva essere abbandonata. Giunta l'ora di ripartire i due si congedarono e Pablos si imbatte in un soldato che cominciò a mostrargli i molteplici tagli che portava sulla faccia e sul corpo come segni delle numerose imprese cui aveva partecipato. Mentre chiacchierano entrambi si imbattono in un eremita su un asinello. Arrivati a Cercedilla, entrano in una locanda e iniziano a giocare a carte, a sette e mezzo, e l'eremita li pelerà completamente. Una volta ripartiti, i due incontrano un genovese (uno di quegli anticristi del denaro in Spagna) che parlava solo di quattrini e del fallimento di un banco di cambio. Giunge alla mura della città di Segovia e va alla ricerca dello zio boia (personaggio grottesco e losco) che trovò in una processione di ignudi. Da questo doveva prendere l'eredità dei genitori e subentra così il <i>tema del denaro</i> che sarà d'ora in poi predominante nel romanzo, e che è pero legato alla giustizia: la giustizia si può guidare tramite il denaro infatti il lavoro dello zio poteva essere attenuato se i condannati gli davano dei soldi. QUARTO CAPITOLO. La narrazione gira attorno alla descrizione della cena (orgia, tutti ammassati ma senza rapporti sessuali) con lo zio e con alcuni suoi amici ambigui e loschi che si scoprirà essere dei giustiziati risparmiati = parodia dell'ultima cena del Vangelo, invece del pane ci sono però delle salsicce (idea dissacratoria che comincia proprio nel momento in cui il cibo viene messo in tavola). Per la cena vengono serviti pasticci di carne che Pablos non vorrà mangiare in quanto sa che spesso viene usata la carne delle persone giustiziate/squartate (il padre era appena stato giustiziato, diviso in 4 parti e seppellito per strada) → <i>tema macabro, elemento antropofagico </i>(uomo che mangia altro uomo) Aspetto onomastico→ i commensali della cena hanno nomi caratteristici della mala vita Sentimento di Pablos→ si vergogna di avere uno zio boia, vuole i soldi e andarsene subito Nonostante sia una cena per piangere il defunto, l'unico elemento che richiama questo evento è l'incenso che i personaggi scambiano per salsicce. Riscossi i suoi averi, una mattina, dopo aver lasciato una lettera allo zio nella quale spiegava i motivi della sua partenza e la volontà di non rivolerlo vedere, decise di ripartire per la capitale, che si trova nel momento della sua massima espansione tanto da rappresentare la Spagna intera. Elementi che rimandano all'impiccagione: corda del cestino che fa tornare su il cibo=corda impicati, lo zio vive in un mattatoio=allusione alla forca e all'oscurità QUINTO CAPITOLO. Partì così con un grande desiderio di non incontrare più nessuno,</p></div></div><div><div><p>quando in lontananza vide arrivare un gentiluomo dal passo frettoloso, Don Toribio, che in realtà si rileverà ancora più povero di Pablos e ancor più sventurato. Per passare il tempo lungo il cammino, Pablos lo pregò di raccontargli come, con chi e in quale modo vivessero nella capitale quelli che non avevano mezzi come lui. La chiave principale è l'adulazione che in posti del genere conquista ogni benevolenza. SESTO CAPITOLO. Prosegue il viaggio con il gentiluomo che continua a parlargli della sua vita e delle sue usanze. Quelli come lui sanno l'arte dell'arrangiarsi, soffrono la fame, conoscono a memoria tutti i negozi di abiti vecchi e non vi è nel loro corpo qualcosa che non sia stata un'altra cosa, sono soliti dire menzogne. Con questi discorsi convinse Pablos ad avviarsi alla carriera di imbroglione. </p><p>25/11/14-27/11/14 <b>Terzo libro </b>PRIMO CAPITOLO. Giunti a Madrid, si recano in una specie di confraternita di straccioni amici di Don Toribio, dove imparerà alcune strategie SECONDO CAPITOLO. Di mattina si prepararono e a ciascuno venne assegnata una zona per cercarsi da vivere. I due andarono verso San Luis quando videro un tale col quale Don Toribio aveva dei debiti in sospeso, subito si trasformò per non essere riconosciuto insegnando così a Pablos un trucco per non pagare mai i debiti. Incontrò poi il dottor Flechilla, un suo amico, che lo conduce poi Userà diversi nomi falsi (don Ramiro Guzman, don Felipe Tristan) e quando cercherà di sposarsi con dona Ana, verrà scoperto dal suo vecchio padrone don Diego e finirà per essere bastonato. A questo punto la decisione di tornare a Toledo dove nessuno lo conosce e dove inizia a far parte di una compagnia di comici per poi abbandonare tutto e diventare galante di monache. Passa poi a Siviglia dove continua a guadagnarsi da vivere con i suoi giochi da imbroglione TERZO CAPITOLO. Continua questa pratica dell'accattonaggio e si parlerà di un'eremita, penitente che faceva finta di essere uno che flagellava di carne e in realtà aveva una frusta con del sangue che gli era colato dal naso. QUARTO CAPITOLO. </p><p>“<b></b>IL ROMANZO PICAR ESCO E IL PUNTO DI VISTA” di Francisco Rico I. LAZARILLO DE TORMES, O LA POLISEMIA Nel 1554 le stampe danno alla voce “La vida de Lazarillo de Tormes, y de sus fortunas y adversidades”, dove compare la storia di questo ragazzo non figlio di nobili ma di un mugnaio e una lavandaia che era stato servo di un cieco, di un prete e di uno scudiero, e che frequentava sempre infime locande; pertanto un personaggio umile il cui apice della fortuna coincide con un posto di banditore e il matrimono con la concubina del prete ≠ romanzo cavalleresco → non vi sono infatti scene eccitanti, scenari abbaglianti, nè veniva data attenzione a personaggi miseri in quanto appunto la convenzione letteraria non ci andava daccordo. Esisteva infatti una forma letteraria adatta a conciliare la tradizione retorica e la modesta storicità: la lettera, su cui si basa il Lazarillo. La lettera è la metà di un colloquio e il racconto è dato da continui appelli al destinatario, inoltre, dato che la prassi antica aprescriveva l'indicazione del luogo e della data alla fine, l'opera termina con <questo</p></div></div><div><div><p>accade lo stesso anno> e <questa insigne città di Toledo>. Kristeller, uno studioso, ha scoperto nell'individualismo, caratteristica tipica rinascimentale, uno dei fattori di successo della letteratua epistolare di questo periodo: si è sempre prestata alla confidenza e alla confessione, incentrata quindi sull'autobiografia. Angelo Poliziano a proposito distingue due tipi di lettera: la “gravis et severa”, spesso usata per giustificare un determinato fatto, e la “otiosa, giocosa”, più divertente con diversi proverbi e stile molto scorrevole. Quest'ultima tendeva a concentrarsi su un solo episodio in cui l'oggetto di burla o di riso era l'autore stesso della lettera e si prediligeva il pettegolezzo, l'ironia e l'allusione piccante, a questa tradizione si riallaccia il Lazarillo de Tormes. Vediamo ora come Lazaro racconta ciò che solo lui può sapere e come ciò che appunto racconta è in buona parte la ragione per la quale racconta qualcosa. IL CASO → La struttura epistolare non poteva essere adottata senza una scusa. A chi sarebbe parso credibile che un tipo da 4 soldi si preoccupasse di mettere per iscritto sus fortunas y adversidades? Bisogna quindi chiedersi quale sia il caso che ha suscitato la curiosità di Vossignoria e quindi indotto Lazaro ad abbozzare un'autobiografia: il protagonista esercita un mestiere reale, è sotto la protezione dell'arciprete di San Salvador e ha il compito di gridare pubblicamente i vini da lui messi in vendita. Il giorno stesso in cui a Toledo vengono chiamate le corti da Carlo V per la vittoria della battaglia di Parma, Vossignoria aveva chiesto che si scrivesse del caso proprio nel momento in cui Lazaro conosce l'arciprete, si sistema definitivamente a Toledo, ottiene un posto di banditore e si sposa una domestica del prete con il quale sembra avere una tresca. Per questo non mancavano le malelingue, questo non è altro che il caso che Vossignoria chiede a Lazaro che le si scriva per esteso, e che Lazaro spiegherà dal principio per rivendicare l'onore della moglie. Capiamo ora come l'autobuografia dipende dal caso e nello stesso tempo lo giustifica. IL CIECO E VOSSIGNORIA → Il nucleo del Lazarillo si trova nella sua conclusione e quindi al caso, al quale si sono poi andati aggregando altre cellule narrative, come ad esempio le disavventure di Lazaro al servizio del cieco che si ordinano intorno a 5 motivi fonfamentali: la gran calabazada (grande zuccata) contro il toro di pietra, le astuzie per bere il vino del suo padrone, la burla dell'uva, il furto del salame con consueguente bastonatura e l'urto del cieco contro un pilastro. L'1 e il 5 sono testa e croce di un unica moneta: il cieco dice al ragazzo che avvicinando l'orecchio al toro di pietra situato all'entrata del ponte romano di Salamanca, avrebbe potuto sentire un grande rumore al suo interno. Eseguendolo, Lazaro riceve una capocciata e questo momento coincide con la presa di coscienza della sua solitudine e di quella sua condizione addormentata che lo portano a vendicarsi con uno stratagemma parallelo. Il narratore si compiace di raccontare a Vossignoria queste bambinate per mostrare la grandezza della virtù di quelle persone che dal basso riescono a risalire in alto, questi appelli a Vossignoria svolgono una tripla funzione: precisano il carattere epistolare del racconto, proiettano sul protagonista ritagli della sua vita passata e rafforzano l'illusione di storicità e la verosomiglianza globale del romanzo. Possiamo ancora individuare come elemento unificatore delle due scene il motivo del vino il quale compare per la prima volta nel momento in cui Lazaro diventa un banditore e poi compare nelle due scene come cura. Ancora vediamo come la 2 e la 4 si rafforzino mutuamente: il cieco scopre Lazaro mentre gli frega il vino sotto il naso e lo punisce spaccandogli il muso con un boccale per poi lavargli la ferita con lo stesso corpo del delitto, ancora quando il ragazzo gli ruba un salame e riceve una smazzolata, viene pulito con lo stesso rudimentale disinfettante. Nella 3 invece padrone e servo concordano di mangiare un grappolo d'uva spizzicando un solo acino alla volta, entrambi barano, il cieco, molto astuto, il quale ne mangiava a due a due immaginò, che il servo stesse mangiandone a tre a tre proprio perche aveva taciuto nel vedere che lo stesso stava barando. PER LA POETICA DEL LAZARILLO → Lazaro si presenta in 3° persona e si mostra orgoglioso del suo nome. Tutto si costruisce intorno a contrasti, ripetizioni e parallelismi fra le pagine iniziali e quelle finali che sono appunto risorse che caratterizzano l'opera d'arte letteraria: il padre, Tomé Gonzales, ruba il grano dai sacchi che vengono trasportati al mulino e subisce delle persecuzioni; il figlio, Lazaro, proclama i delitti di quanti subiscono queste persecuzioni e ottiene una soma di grano; la madre, Antona Perez, priva di risorse, cerca fortuna e finisce concubina di Zaide il qual provvede alle sue necessità con furtarelli; Lazaro anche sposa una concubina che sembra sempre indaffarata nel rifare il letto e da mangiare all'arciprete, il quale li favorisce con i soldi malguadagnati attraverso l'abuso di ministero. Scoperti i furti di Zaide, Lazaro bambino rivelò tutto ciò che sapeva mentre invece di fronte alle malelingue sulla moglie non svuotò il sacco. Nel Lazarillo le analogie fra il primo e l'ultimo capitolo precisano, nell'esistenza del protagonista, i termini della materia romanzabile e mettono in rilievo la connessione tra tutte le sue componenti. Un altro mezzo per ricalcare l'integrità e l'indipendenza di un oggetto letterario è quello di creare un'aspettativa da soddisfare poi alla fine del tragitto, possiamo dire che la costruzione del Lazarillo risponde a un archetipo estremamente affine: le varie tappe della preistoria del banditore funzionano come frasi condizionali orientate verso un futuro che deve colmarle di significato, ciascuna tappa accumula nuovi elementi che</p></div></div><div><div><p>precisano la personalità del protagonista. Ingredienti del caso → Lazaro bimbo sotto la protezione della madre ha vissuto 12 rapidi anni risolti in pochi paragrafi di ignoranza del mondo, nella simplez durante i quali era un nino dormido; alla permanenza presso il cieco vengono dedicate un buon numero di pagine; un intero capitolo ai 6 mesi trascorsi dal prete,; abbiamo poi i 2 mesi presso lo scudiero che gli insegnani l'inutilità dell'onore, cosa a cui invece vedremo poi dare molta importanza=vedi moglie; ancora 3 mesi al servizio dello spacciatore di bolle che gli insegna a restare in silenzio quando conviene. IL TROMPE L'OEIL → L'artista medievale arriva alla realtà attraverso la tradizione la quale fornisce gli schemi per rappresentare qualcosa, fra questi l'osservazione diretta personale. Al contrario il Rinascimento (Panofsky) afferma la bona speranza come radice dell'attività artistica secondo cui l'opera d'arte non è più il risultato dell'obbedienza ad un codice tradizionale de è intesa come un frammento dell'universo così come è visto da una data persona da un dato punto di vista e da un dato momento. Questa definizione si adatta perfettamente al Lazarillo il quale rifiuta i pregiudizi tradizionali e concepisce la realtà, versatile in funzione di un punto di vista, quello del Lazaro adulto, protagonista del caso. Verso la metà del XVI secolo, nel dominio della letteratura d'immahinazione, la grande impresa degli Umanisti consisteva nel forgiare una realtà 'finta' (Torres Naharro) che avesse però colore di verità pur non essendolo, la grande meta fu così fissata nella verosomiglianza e senza dubbio l'autore del Lazarillo partecipava di tale ideale tanto che il mondo trovava accoglienza nelle su eoagine proprio attraversi i sensi di Lazaro e Lazarillo, grazie quindi al carattere interamente fedele all'illusione autobiografica. Lo evidenzia particolarmente il secondo capitolo in cui Lazaro dorme con la chiave dell'arca in bocca e il prete sentendo che emetteva un fischio e pensando che fosse una biscia, spacca la testa al poveretto con una bastonata da lasciarlo privo di sensi. Ma se Lazaro dormiva dove tira fuori questi dati?? Lo ha sentito dire dal padrone che andava ripetendo per esteso a tutti i visitatori che venivano a casa e poi Lazaro autore evoca ciò che viene percepito da Lazaro protagonista, a questo proposito vediamo come nel terzo capitolo il lettore viva con Lazaro l'espisodio quasi minuto per minuto: il ragazzo è stato appena comprato dallo scudiero e non sa nulla del suo signore anche se l'abito e il portamento sembrano riflettere una buona posizione. Di ritorno da una passeggiata mattutina il ragazzo immagino il desinare che ormai doveva essere pronto ma nel momento in cui il padrone gli chiede se ha mangiato, e dopo una risposta negativa aggiunge di arrangiarsi, capisce che questo padrone è indigente quanto i ptimi due per l'appetito del servo e che deve quindi continuare a digiunare. Il lettora ha qui accompagnato il protagonista nell'innocenza dello sguardo, si è lasciato ingannare come lui dall'apparenza. È l'io che da al mondo vera realtà, le cose e i gesti non valgono nulla. Lazaro bambino non lascia testimonianza d'altro se non di ciò che vede e sente, ecco perché non ammette la veridicità delle malelingue sulla moglie, la verità non sta nelle chiacchiere ma nello stesso Lazaro. Questa che chiamiamo “presentazione illusionistica”, mediante il quale il lettore ripete le esperienze del personaggio provando gli stessi sentimenti, si intensifica nella seconda parte del romanzo. Nel quinto capitolo Lazaro serve uno spacciatore di bolle e riferisce il miracolo (finto) a cui il padrone ricorre per accreditare a vedere le bolle; inizialmente non mette in dubbio nemmeno per un istante la realtà di ciò a cui assiste, solo dopo si rende conto del tutto e possiamo notare la frammentazione di due tempi: uno ti percezione pura e uno in cui il protagonista assume un fattore addizionale e attribuisce alla scena una divera specie di realtà reinterpretando ciò che aveva inizialmente percepito ingenuamente. LA SCATOLA CINESE → Lazaro ci mette continuamente in guardia: il mondo non è univoco, non esistono valori se non in quanto riferiti alla persona. Il linguaggio del libro capta con deliziosa malizia la polisemia della vita ricorrendo a formule comparative di interpretazione quanto il punto di vista al quale sono vincolate. Nel romanzo c'è una tesi esplicita ed è quella di mostrare quanto sia grande la virtù di quegli uomini che dal basso riescono a salire in alto e quanto ancora sia grande il biasimo di chi dall'alto si lascia andare in basso. Lazaro lo dice chiaramente, ha scritto il caso per darci notizie di se stesso, per coloro che, ereditati nobili casati, considerino poco ciò e per coloro che invece avendo la fortuna contraria con forza e destrezza riuscirono a buon porto. L'idea suonerebbe scandalosa a una mentalità tradizionale, infatto durante il Medioevo la dottrina era decisamente diversa, le classi sociali erano immutabili e inamovibili, pretendere di cambiere ceto de ascendere nella scala gerarchica significava ribellarsi contro la legge naturale e la provvidenza divina, è pertanto necessario piegarsi al destino che fissa a ciascuno un posto e dei limiti. Ma ai tempi del Lazarillo, nel 1554, non tutti se la bevevano. L'Umanesimo affermava invece che in qualunque condizione nasca l'uomo, ha licenza di sforzarsi di essere molto grande e consociuto purché segua il suo cammino. Ci sono quindi speranze per tutti, è cosi che la pensa anche Lazaro. In realtà nessuno all'epoca, apparte lui stesso, pensava che era un'ascesa passare da essere figlio del mugnaio ad essere vanditore e marito di un'adultera. Il lettore sa che egli non è salito nella gerarchia sociale in quanto non ha esercitato bene la virtud la quale innalza gli uomini, perché il sangue cattivo si eredita o perché la pretesa di cambiare stato è peccaminosa. Si potrebbe anche, in alternativa, pensare che</p></div></div><div><div><p>Lazaro sia realmente salito, e che per un poveretto come lui, abbandonare la fame della strada per la modestra prosperità raggiunta, sia davvero un progresso. E se è cosi innovatori e tradizionalisti hanno ugualmente torto e ragione: torto, perché si può salire contro la virtud e contro il sangue, e ragione perché è possibile salire unicamente all'altezza di Lazaro. Siamo dunque tornati al punto di partenza: la persona è l'unica criterio efficace di verità, non ci sono valori ma vite e quello che serve per una magari è inutile per l'altra, è questa la lezione che abbiamo con Lazaro. Lazarillo è costruito su un unico punto di vista che seleziona la mteria, fissa la struttura generale, decide la tecnica narrativa, presiede lo stile e a sua volta materia, struttura, tecnica e stile spiegano tale punto di vista. Come in una di quelle scatole cinesi che contengono al loro interno molte altre scatole sempre più piccole, così gli elementi del Lazarillo sono solidali fra loro e appaiono gli uni come figure degli altri. Possiamo chiederci se l'intento dell'autore non fosse quello di esibire un campione di splendido artigianato umoristico, prescinendo da ogni implicazione più o meno didattica, quindi dare ironia piuttosto che insegnamenti. Il Lazarillo è difatti un libro divertente dove conta solo l'ingegno, la sorpresa, la successione di eventi comici nel quale sono sospesi gli imperativi etici e le convenzioni sociali. Difatti quando Lazarillo fa fuori il cieco, noi ridiamo invece di indignarci. La perfetta coerenza di tutte le parti del romanzo è troppo ben costruita per supporla mera invenzione artificiosa: non tutto può essere posticcio del relativismo di Lazaro, l'autore doveva certamente condividerlo. L'io è l'unica guida disponibile nella selva confusa del mondo, ma guida parziale e occasionale da cui non è possibile estrarre conclusioni stabili. L'autore si fa carico delle ragioni del personaggio, comprende la sua verità essenziale e mette allos coperto il vuoto di senso dei giudizi del mondo. Da qui emerge la ricca e sfumata caratterizzazione del protagonista, ingenuo e scaltro, caritatevole e crudele. </p><p>II. VITA E CONSIGLI DI GUZMÁN DE ALFARACHE INTENZIONE E COSTRUZIONE → La narrazione dei casi nel Guzmán de Alfarache non è fluifo e sena rotture, ma è inframezzata ad ogni passo da prediche, moralités, meditazioni teoriche e discorsi. La critica si interessa solo al contenuto fattuale trascurando il resto come digressioni ipocrite. Quest'incapacità di elevarsi a una considerazione completa dell'opera dipende da un'applicazione povera del concetto di romanzo. La vida de Guzmán è senz'altro un romanzo ma solo in parte risponde all'archetipo volgarizzato di tale genere che vede il romanzo come pura tabulazione e descrizione, ben ripulita da elucubrazioni, ammonimenti e ornamenti didattici. Se Mateo Alaman scrisse un libro e non due ciò si deve al fatto che giudicava ben integrati gli elementi costitutivi e che la missione del critico non è salvare gli uni e decretare gli altri, bensì mettere in rilievo il legame integratore. Enrique Moreno Báez fu il primo che si dedicò a tale compito. L'autore afferma di aver scritto con animo di giovare quindi pensando solamente al bene comune e che l'opera è frutto di un semplice proposito di finzione che nasce da un un più ampio intento didattico. La chiave fondamentale è la forma di autobiografia con cui l'opera è stata scritta che si trasforma in asse centrale dell'intera narrazione dove l'autore si sforza di fare in modo che la visione del mondo emergente nel libro corrispondesse in tutto al temperamento del suo eroe. Come l'illustre tradizione ammetteva che si potesse in una parte del libro elogiare l'uomo e nell'altra porre le sue inettidudini, ugualmente Mateo Alaman tessa in un luogo un fiorito elogio di raziocinio e dei sensi, nell'altro accumula ingiurie contro di essi. UN PERSONAGGIO IN CERCA DI AUTORE→ Guzmán scrive la propria vita dalla galera in cui si trova: orfano di numerosi padri, a 12 anni decide di cercare fortuna lontano da Seviglia raccomandandosi a delle brave persone che poi non si rilevarono tali, Guzmanillo si avvezza difatti alla malavita. Grazie a un colpo di fortuna va in Italia al seguito di una compagnia di soldati, a Genova cerca la protezione di alcuni parenti dai quali ottiene solo disprezzo e botte. Mendicante e falso storpio a Roma, viene accolto da un cardinale il quale gli offrì tutte le opportunità al fine di rigenerarsii, ma invece di approfittarne si allontana per diventare segretario, ruffiano e buffone dell'ambasciatore di Francia. L'orgoglio lo porta poi via da Roma per mettere la testa a posto, ma essendo senza risorse, riprende le vecchie abitudini e con un'astutissima truffa e vincite disoneste al gioco riesce a riottenere la stima dei parenti e a sottrarre addirittura loro un patrimonio consistente. Installato nella Corte di Spagna, si sposa e entra in affari poco puliti ma ben presto rimarrà vedovo. Decide ora di laurearsi in teologia ma a un mese dal conseguimento del suo obiettivo incontra l'amore e sposa Grazie, figlia di locandieri. La coppia si reca a Alcalá, Madrid e infine Siviglia, da dove la donna scappa con un capitano. Solo e povero torna a rubare, fin quando viene arrestato e condannata all'ergastolo. Notiamo ora due fasi: un primo tempo di azione con un versatile Gusmanillo come protagonista e un secondo tempo di narrazione in cui lo stesso da testimonianza delle sue trascorse diavolerie aiutandosi con riflessioni morali. Lo stesso autore distingue nel romanzo il</p></div></div><div><div><p>dominio della conseja (il racconto biografico) e quello del consejo (la dottrina sviluppata in forma esplicita), le quali porterebbero alla figura di Guzmán ma con questa unione il Guzman scrittore non avrebbe niente a che vedere con il Guzman personaggio. Sono certamente maggiori i seromoni /(prediche) imputabili al Guzamn maturo ma non en mancano altri nel vacillante Guzmanillo. Nella prima parte si torvano 3 interi capitoli consacrati contra las vanidades de la honra, dalla quale ha dovuto prescindere Guzman fino a rimanere in calze e camicia. Presso la Corte ha abbracciato il lavoro da facchino, occupazione caratterisca del picaro, per sfuggire al castigo destinato ai vagabondi e in esso ha scoperto la possibilità di farsi santo portando onestamente i suoi cargos senza badare a ciò che grava il pesodell'onore. E da qui scaturisce il suo monologo contro las hornas, monologo in cui emerge la presa di coscienza di Guzman, ciò che prima gli era stato imposto ora egli se lo sceglie. Le circostanze lo hanno indotto a prescindere dalla honra; l'osservazione e la convinzione lo hanno aiutato a razionalizzare la rinuncia . Le considerazioni del Guzman picaro interferiscono con i commenti del Guzman galeote. I giudizi di ora e di allora fluiscono separati ma complementari, con fisionomie distinte ma convergenti. Le maldicenze del narrayore contro il fanstasma della honra sono in perfetta aromonia con quelle del protagonista. Con esso penetriamo al nodo del problema: le denunce del Guzmanillo contro la horna spiegano il fatto che un giorno Guzman converso, ne pronunci di simili e buona parte delle avventure del Guzman ragazzino rende verosimile che egli finiscia per diventare scrittore. Il tratto più evidente nella rappresentazione del passaggio da attore ad autore si trova nella cura con cui sono puntalizzati gli studi e le disposizione intellettuali del personaggio, che ha comunque ricevuto un'eccellente istruzione dal cardinale e seguito i corsi all'università di teologia, ed è proprio a questi che si riallaccia la sua conversione e nel denunciare la <i>Segunda parte della vida del picaro, il punto sul quale Mateo si sofferma maggiormente è l'inadeguatezza </i>dei discursos che il suo imitatore aveva prestato a Guzman, E il primo e più serio rimprovero che gli muove, a proposito della caratterizazione del personaggio, è quello di averlo tirato fuori da Alcalá come un sommistra distratto e cattivo. FRA PAURE E SPERANZE → Guzman è giù in Guzmanillo e è esatto dire che la conversione li separa in un certo numero di aspetti e in altri li unisce. Di più, il passaggio dal Guzman attore al Guzman narratore costiruisce il vero nodo argomentale dell'opera, e in essa i vari nuclei episodici sono subordinati a una linea costruttiva principale: alla storia di una conversione e all'analisi di una coscienza. Aleman non ridusse però il romanzo allo scandaglio introspettivo del personaggio, sapeva troppo bene che i peccatori non leggono libri noiosi e che utilizzare l'autobiografia e trasformare in finzione tutto il contenuto del libro era un passo decisivo per stimolare l'interesse del lettore anche se non poteva bastare al pubblico meno coltivato; non esitò per questo a includere capitoli o passaggi relativi alla peripezia esterna di Guzman ricostruendo ogni singola circostanza e dettaglio in modo da imprigionare il lettore anche se si trattava di momenti che potevano aggiungere poco alla creazione del personaggio e ancor meno all'evoluzione spirituale del protagonista. Aleman era capace di combinare un aneddoto estremamente divertente con uno studio profondo dell'eroe. È importante rendersi conto che il processo di conversione del picaro si identifica con il lento e progressivo consolidamento del punto di vista che presiede il romanzo, limitiamoci a qualche osservazione. Da poco fuggito di casa Guzman si ferma a meditare sui giardini di un eremo per farsi un esame di coscienza e volgere gli occhi al suo passato, e quetso è anche il finale del suo pellegrinaggio per il mondo: fare confesión general , scrivere cioè la propria autobiografia, Guzman autore è in organica continuità con Guzman attore. Guardiamo ora il ocntenuto dell'introspezione del giovane fuggitivo, il quale non sa che fare e si ritrova fra paure e speranze, e fra i cammini possibili prese quello che gli sembrò più bello senza importarsi di dove portasse. L'inizio delle avventure del picaro è chiaramente simbolico in quanto sceglie il sentiero più piano e le conseguenze non si fanno aspettare: questo è sintomo di un tratto essenziale del protagonista il quale soffre l'impossibilità di servire due padroni. Ogni grande tappa si apre con la necessità di una scelta dolorosa, debe scegliere continuamente e poiché la ragione e la fede vogliono una cosa, la volontà e l'istinto un'altra, procede con sbandamenti, in perpetua guerra interiore. Ricordiamo ora il Guzman a Roma, il quale falso paralitico riceve l'elemosino al posto dei poveri veri, ottiene la fiducia di un frate e riesce addirittura a renderlo complice inncoente delle sue malefatte. Spesso però Gusman si rendeva conto della sua sanità e semplicità in confronto alla sua malizia e cattiveria, e non riusciva a trattenere le lacrime. Questa lacerazione è il tema principale del racconto. Questa rottura intima del protagonista dà origine a monologhi che risultano effettivamente dialoghi in cui il Guzmanillo parla con l'altro io sel suo essere scisso, domanda e quando può consiglia, accusa, sprona. La seconda persona nell'oepra spesso designa il Guzman personaggio o il lettore, suggerendo la tensione tra imperativi etici e condotta disordinata fra gioventù peccatrice e maturità virtuosa. Nelle meditazioni del Guzmanillo l'uso del tu è plasmare la scissione di una coscienza tormentata dakka becessità di scegliere fra i richiami dell'istinto e le istanze della grazia. Coerentemente viene svolto in seconda persona</p></div></div><div><div><p>il travaglio della conversione. Per l'autore il conflitto di Guzmanillo era augurio e prova della sua salvezza finale. Gli sbandamenti, le cadute e i pentimenti del personaggio mirano a insegnarci la lezione de libero arbitrio: l'uomo è padrone di scegliere il suo destino ed è proprio questa una delle tesi del romanzo il cui scioglimento è irrisolto: Guzman può infatti inclinarsi verso il bene e verso il male, perseverare e desistere. La lacerazione del peccatore coincideva con l'inizio di un finale felice. Una formulazione di tale idea ci viene data da fra' Pedro Malón de Chaide, il quale sostiene che ci sono dei peccatori che nella loro cattiva condotta hanno qualcosa che li predestina alla gloria dei figli di Dio, in quanto hanno rispetto per la virtù e sono peccatori timorosi, quelli che commettono errori e ne sono concapevoli; e degli altri peccatori che peccano con una tale noncuranza come se fosse una condizione che li appartiene per natura, inghiottono peccati con facilità senza masticarli. Guzmanillo appartiene alla prima categoria. Abbiamo prima identificato una costante del protagonista, la lacerazione interiore che possiamo seguire su tre piani che convergono nella congiuntura decisiva della conversione: come elemento definitorio di una disposzione personale, in una formulazione linguistia e come portatore di una determinata dottrina. Tutti e tre coincidono egualmente nello spiegare l'esistenza e il carattere del libro . Sul piano umano questa lacerazione è frutto di una coscienza vigile, di un ripiegarsi su se stesso per un'intima resa dei conti; sul piano stilistico la seconda paersona (che riflette lo sdoppiamento del Guzmanillo) riappare nella bocca del Guzman autore, il convertito attraverso il dialogo riflette sulle fortune del picaro come l'io del picaro rifletteva sull'altro io; e sul piano dottrinale la lacerazione annuncia il pentimento finale, con la risoluzione del suo dilemma e la coneguente inclinazione verso il bene. Nel Guzman le diverse peripezie del protagonista appaiono orientate verso la conversione finale la quale obbligava ad assumere un unico punto di vista, ad installarsi in un unico dogma, fede con soluzioni universali. Questi sono anteriori a Guzmanillo ma il personaggio riesce a raggiungerli solo come conclusione e corollario di tutta la sua vita. Il Concilio di Trento aveva insegnati che la fede senza le opere non è sufficiente per la remissione dei peccati e che Dio aiuterà con la sua grazia coloro che associano le une all'altra. Guzman questo lo sa; mentre prima cade continuamente nel male, poi, quando all'intenzione di riforma unisce le opere, resce a comprar la gracia salvatrice. In tal modo l'esperienza di Guzman ha confermato il dogma trientino: l'autore fittizio lo ha incorporato a se stesso, non è piu una credenza ma una certezza empirica. Nel comporre l'autobiografia quindi Guzman può andar esponendo questa verità che ha diretto il corso della vita. Esistono due modi essenziali di discorso moraleggiante, modello caratteristico di questo processo di andata e ritorno del punto di vista: da una parte contano i sermoni offerti come aggiunta teorica a un evento o dato e che ricostruiscono il cammino che ha portato Guzman alla sua dogmatica altezza di hombre perfecto; dall'altra parte esistono un buon numero di moralités adotte come presupposto teorico di un avvenimento e notizia in modo tale che una trama di ragionamenti si proietta sul concreto accadere del personaggio. La forma autobiagrafica del romanzo risponde sicuramente a diversi stimoli, ad esempio quello delle Confessioni di Sant'Agostino che si propongono di edificare il lettore attraverso l'esibizione dei propri errori e nello stesso tempo si propone di interpretarli come tappe di una conversione. Nel 1593 il nostro autore passò due mesi ascoltando e regsitrando le deposizioni autobiografiche dei frozati che scontavano lì la condanna, in virtù di un decreto di Filippo II che permetteva di sostituire al remo del galeotto gli arnesi di minatore. Questo è senza dubbio uno dei fattori che lo spinse a scrivere un'autobiografia. La dottrina esplicita in 3° persona sarebbe apparsa troppo sovrapposta al racconto e lo avrebbe indebolito minacciando la verosomiglianza e l'autonomia di Guzman distanziandolo sempre più dal vero autore e rendendo così l'impressione che il protagonista non era che una semplice figura d'accatto, un fantoccio privo di consistenza e solo al servizio di tesi altrui. In prima persona invece la dottrina esplicita veniva fusa con la finzione e si dava così l'illusione di scaturire da fatti e stati d'animo, verificando la coerenza di Guzamn da personaggio a scrittore e verificandosi in lui come materia didattica, quale poteva essere dunque la forma migliore se non l'autobiografia? Mateo Alemán la maneggia con sagacia, mantiene cure squisite al fine di mantenere le apparenze dell'autenticità, consegna sempre la fonte d'informazione per le scene alle quali non assiste, distingue inoltre sempre ciò che ha assistito da ciò che sospetta. La necessità di erigere l'io come misura di tutte le cose obbliga il narratore ad approfondirlo dandogli maggiore consistenza e plasmandolo in modo più intero. Vediamo un esempio: Guzman torna da Genova lasciandosi alle spalle i parenti che presto scopriranno la beffa di cui sono stati oggetto, gli si offre allo scrittore l'opportunità di precisare il ritratto del protagonista seguendo il volo della sua immaginazione e presentando quindi al lettore non solo i risultati ma anche lo sviluppo stesso dell'operazione mentale. È questo il motivo per cui l'azione si diluisce spesso in sentimenti, emozioni che Guzman esprime con una sorta di monologo interiore, e il lettore deve ricostruirla proprio a partire dall'interiorità del personaggio. Quest'intensità affettiva che carattterizza lo stile di Guzman è sintomo valido del prinicpio configuratore</p></div></div><div><div><p>dell'opera: la presentazione di tutti gli elementi in funzione di un io intero. La prosa appassionata di Guzman porta ad un sostanziale realismo psicologico. L'implicazione affettiva dell'autore sorge con particolare frequenza dal contrasto di uomini e situazioni con i valori della credenza religiosa: Guzman attore è coinvolto emozionalmente da una scena e Guzman autore raccoglie la testimonianza e la confronta con le esigenze della morale cristiana. Il fatto che Guzman si compiaccia nello scandaglio della psiche è indissociabile dalla sua carica religiosa. La fede è interiorità, dunque dare come nucleo dell'argomento un dilemma religioso rendeva necessario lo scavo nell'anima del personaggio. La vita e la letteratura religiose favorivano tale obiettivo: infatti l'esame di coscienza e la meditazione spirituale erano partiche comuni e il cristianesimo disponeva di una tipologia ben fissata per la comprensione degli stati psichici. Allo stesso tempo lo scandaglio dell'intimità religiosa di Guzman induceva ad approfondire anche gli altri aspetti della sua anima e a completare così il ritratto compiuto del personaggio. La sostanza religiosa del nucleo argomentale e dottrinale spiega il fatto che Guzman venga presentato con serietà assoluta e sia dotato di un'individualità piena e inconfondibile, pertanto anziché essere confinato nel tratto di un villano tipico della letteratura dell'epoca che era un po' un personaggio comico, gli viene infuso dall'autore la complessità della vita reale. </p><p>III. IL ROMANZO PICARESCO E IL PUNTO DI VISTA UNA QUESTIONE DIBATTUTA: LA FAMA DEL LAZARILLO→ Il Lazarillo de Tormes fu un libro popolare nella Spagna di Filippo II tanto che si contarono una mezza dozzina di edizioni; le stoccate irrispettose e lo scetticismo lo condussero però nel Catalogo dei Libri Proibiti dell'inquisitore Fernando de Valdés. Di due edizioni rimase infatti solo una piccola testimonianza, la proibizione non trasse infatti con sé l'oblio. Nel 1573 con un nuovo inquisitore e maggiore flessibilità in materia di censura, il Consiglio Reale autorizzò la riedizione del Lazarillo anche se potato dei capitoli 4 e 5 e di alcuni passi ritenuti troppo critici e irrilevanti. Il nuovo inquisitore, Juan Lopez de Velasco, giustificò l'autorizzazione ricordando che il libro, molto gradito, si leggeva e si stampava anche se proibito fuori da questi regni, il pubblico spagnolo voleva divetirsi con i casi e le disgrazie di Lazaro tanto che nel 1587 l'opera venne consacrata con l'incorporazione nel refranero (raccolta di proverbi). Nel 1563 un aristocratico intellettuale di nome Zurita, paragonò il libro a volgari pettegolezzi, ancora Pedro Simon Abril esemplificò una legge fisica con un episodio dell'infanzia del banditore. Un moralista frate Juan de Pineda, verso il 1589, si divertiva citando continuamente episodi con una tale leggerezza che pareva conoscere dettagliatemente contenuto e stile. Sebastián de Horozco per esempio lo mise in scena e ancora Luis de Góngora lo evocò in un sonetto. Non sempre libro e personaggio ebbero tanta fortuna: una delle continuazioni anonime trasformò Lazaro in un pupazzo; un'altra di Juan de Timoneda si soffermò sull'acutezza del protagonista e sulla serie di padroni; Padre Buendia e Gongora fanno riferimento uno allo scudiero alla sua vana ostentazione e l'altro alla honra: Eugenio de Salanzar dipingeva invece la facilità di un ragazzo che si adatta alla spregevole vita paesana. Mancava qualcuno che indovinasse nel Lazarillo un fenomeno letterario peculiare, qualcosa sembrava sospettare Timoneda che nel “Paso de dos ciegos y un mozo” metteva sulla scena Palillos, individuo di bassa condizione sociale che narra in 1° persona, alla ricerca di un nuovo padrone, e gli faceva raccontare le peripezie che aveva vissuto al servizio di un cieco che lo faceva morire di fame. Questa opera, l'unica che può competere con il Lazarillo, è l apiù antica incarnazione dell'archetipo del romanzo picaresco. DALLA PITTURA ALLA VITA→ Il termine picaro sempre essersi divulgato nell'ultimo terzo del XVI secolo per designare un soggetto, generalmente bimbo o ragazzo, vile, di umili condzioni, che va mal vestito apparendo così un uomo di poco onore (Diego de Gaudix). Il picaro non ha uno status definitico, lo distingue la mancanza di legami infatti niente lo vincola a un luogo, un signore o un ufficio. Forse figlio di vagabondi o fuggito dalla severa tutela di un padre o signore, è cresciuto sulla strada ed è qui che ha imparato a tirare avanti a forza di astuzie e canagliate. A volte cerca anche un lavoro come sguattero o garzone, pertanto un lavoro che non richieda eccessive applicazioni e legami troppo stabili; mezzo secolo dopo, nel 1600, l'occupazione favorita del picaro è quella di facchino. Il picaro nei momenti di ozio sta in gruppetti a giocare di notte e di giorno, in assoluta libertà assaporando quella che è la dolcezza della vita picaresca. I picari sono in realtà schiavi della comunità, quindi di tutti coloro che vogliono affittarli e occuparli in mansioni vili che spesso li portano alla delinquenza. Solo in alcuni casi il picaro può essere virtuoso, pulito, ben educato e soprattutto assennato. Quindi la valutazione e la figura del picaro oscillava in diverse possibilità: si vede traformato in tutto ciò che è dannoso e spregievole, altre si vede idealizzato come specchio di filosofi e altre ancora diventa viva incarnazione dell'ingegno e della sagacità. La figura del picaro esprimeva aspirazione che la Spagna degli Asburgo osava confessare solo a patto di mascherarle con ironie e burle. Vediamo come Guzman applica a se stesso il titolo di picaro quando fa il facchino e il Altro sunto
SUNTI DI LETTERATURA SPAGNOLA I</h2><p>Università
di Pisa - Professore esame: Giulia Poggi</p><p>LIBRO: IL ROMANZO PICARESCO E IL PUNTO DI VISTA di Francisco Rico</p><p>1. Lazarillo de Tormes, o la polisemia</p><p>E’ intorno al 1554 che le stampe danno alla luce La vida de Lazarillo de Tormes, il cui</p><p>protagonista ha di certo una vita notevole, ma lontana da quelle narrate nei libri di cavalleria.</p><p>L’apice della fortuna è un matrimonio mediocre, un posto come banditore, e le imprese che</p><p>popolano la vicenda non abbagliano il lettore. La prosa letteraria non offriva precedenti prossimi di</p><p>un’attenzione così sostenuta ed esclusiva a una personaggio della miserabile qualità di Lazaro</p><p>Pèrez. Da sempre, però, esisteva una forma letteraria adatta a conciliare la tradizione retorica e la</p><p>modesta storicità: la lettera. Il Lazarillo, più che un racconto puro, è una “relazione” o rapporto</p><p>fatto da un uomo intorno a se stesso, il prologo lo indica proprio nella conclusione: “Vossignoria</p><p>scrive che le si scriva e racconti il caso molto per esteso”. Vossignoria si è rivolta a Lazaro con</p><p>una lettera per ottenere notizie intorno a un argomento ancora imprecisato, e il protagonista</p><p>risponde a sua volta, non dimenticando mai a chi si rivolge, per cui il racconto è punteggiato di</p><p>appelli al destinatario. La lettera si è sempre prestata alla confidenza e alla confessione, ed era</p><p>inoltre ben ritagliata sull’autobiografia. Si possono distinguere due tipologie di lettere: una “gravis</p><p>et severa” spesso scritta per giustificare un determinato atteggiamento o situazione osservandoli</p><p>nella prospettiva di una vita intera; l’altra “otiosa” che tendeva a concentrarsi su un solo episodio</p><p>in cui l’oggetto di burla era l’autore stesso, prediligendo le costruzioni proverbiali, il pettegolezzo,</p><p>l’allusione. E’ proprio a questa tradizione che si appoggia il Lazarillo de Tormes per identificarsi</p><p>come entità letteraria. Come lettera autobiografica, non solo soddisfaceva quella esigenza di</p><p>storicità che caratterizzava la finzione, ma la potenziava con una decisiva iniezione di realismo. La</p><p>lettera di Lazaro aspira a spiegare proprio il perché gli abbiano chiesto di scrivere.</p><p>Era chiara la necessità di un pretesto per la scrittura della lettera: il caso che ha suscitato la</p><p>curiosità di Vossignoria. Proprio questa figura fa capolino nella narrazione nell’ultimo capitolo,</p><p>come “signore e amico del signor Arciprete di San Salvador”, e l’arciprete non è che l’unico punto</p><p>di contatto fra il protagonista e il destinatario della lettera, per cui la richiesta della lettera era</p><p>dovuta succedere nel periodo di vita di Lazaro in cui il picaro e il signore arrivarono a conoscersi. Il</p><p>caso è presto svelato: gira la voce che la domestica dell’arciprete, che il protagonista ha sposato,</p><p>entri ed esca dalla casa dello stesso più volte durante la giornata, e che questa abbia partorito tre</p><p>volte prima di sposarsi. Il caso è alimentato dalle dicerie che corrono per la città sull’equivoco</p><p>terzetto, voci che Lazaro ripudia e che accetta di discutere solo nella sua relazione epistolare,</p><p>rivendicando l’onore di sua moglie. L’autobiografia dipende dal caso, e nello stesso tempo lo</p><p>giustifica, il protagonista assume il suo passato in funzione del suo presente e decide di affrontarlo</p><p>partendo dal principio, organizzando la lettera nella convergenza dei diversi episodi verso il caso</p><p>del capitolo finale.</p><p>Il cieco</p><p>Naturalmente non ogni informazione sulla preistoria di Lazaro si lascia intendere direttamente in</p><p>rapporto al proprio sgradevole presente: a questo, però, sono subordinate tutte le cellule narrative</p><p>che fissano la struttura dell’insieme. Le disavventure al servizio del cieco si ordinano intorno a</p><p>cinque motivi fondamentali: la zuccata contro il toro di pietra, le astuzie per bere il vino, la burla</p><p>dell’uva, il furto del salame e l’urto del cieco contro il pilastro. Il primo e l’ultimo sono le due facce</p><p>della stessa medaglia, mentre il secondo e il penultimo ripetono uno stesso schema. Entrambe le</p><p>coppie acquistano rilevanza nell’intelaiatura in quanto riferite al caso finale. Il nucleo del primo</p><p>motivo è noto e contiene il primo fondamentale insegnamento al protagonista, che è obbligato</p><p>a prendere coscienza dell’ostilità del mondo e da forma al suo atteggiamento di fronte alla vita. A</p><p>questo proposito il narratore aggiunge: “Mi compiaccio di raccontare a Vossignoria queste</p><p>bambinate per mostrare quanto sia grande la virtù di quegli uomini che, dal basso, riescono a</p><p>salire in alto”, stabilendo un collegamento col caso finale. Così, gli appelli al destinatario</p><p>svolgono una triplice funzione: precisano il carattere epistolare, proiettano i ritagli della vita sul</p><p>caso del protagonista e rafforzano l’illusione di storicità e verosimiglianza. L’altra coppia di vicende</p><p>assicurano il vincolo fra la prima e l’ultima (beffa e vendetta), e si unificano per l’esistenza del</p><p>motivo del vino, il quale si pone al principio del caso: il protagonista trova lavoro al servizio</p><p>dell’arciprete come banditore di vini. Nella vicenda di mezzo niente sembra avere una missione</p><p>strutturale definita, ma allora perché fra tante burle raccontare proprio quella del grappolo? Per fini</p><p>esemplificativi a Lazaro basta raccontare un caso, uno che ben dimostri la sottigliezza e la</p><p>scaltrezza del cieco, senza proseguire oltre, poiché esso si riferisce al padrone piuttosto che al</p><p>ragazzo, ma non di lui a Vossignoria interessa sapere.</p><p>Per la poetica del Lazarillo</p><p>Il parallelismo fra le pagine iniziali e quelle finali è fissato attraverso determinati procedimenti. Suo</p><p>padre rubava il grano e subì persecuzioni per mano della giustizia, e adesso suo figlio proclama i</p><p>delitti di coloro che subiscono le persecuzioni della giustizia e ottiene che gli mettano in casa “circa</p><p>una somma di grano”. La madre decide di mettersi “sotto il patrocinio dei buoni”, affittando una</p><p>casuccia, lavando la biancheria, fino a finire concubina del “moreno” Zaide, così il figlio sposa una</p><p>concubina, che si occupa di “fare pulizie e da mangiare”, e ottiene una piccola casa a Toledo. Così</p><p>anche Zaide, che provvede alla famiglia con i propri furti, è il corrispettivo dell’arciprete, che</p><p>favorisce Lazaro con i soldi malguadagnati con l’abuso del suo ministero. La ripetizione, il</p><p>parallelismo e il contrasto sono alcune delle risorse più universali per potenziare il carattere</p><p>dell’opera letteraria. Come la rima induce a ricordare elementi che sono rimasti indietro, ponendoli</p><p>in mutuo rapporto, così fanno simmetrie e opposizioni in un romanzo: le analogia fra il primo e</p><p>l’ultimo capitolo mettono in rilievo la connessione di tutte le componenti del romanzo. Un altro</p><p>mezzo per delimitare l’oggetto letterario, ribadendo la sua indipendenza, consiste nel creare</p><p>un’aspettativa sostenuta e soddisfarla con imprevista compiutezza, in modo che il punto finale</p><p>si faccia sentire con maggiore evidenza. Questa caratteristica appartiene a molti sonetti, ma è</p><p>presente anche nel Lazarillo: le varie tappe funzionano come una sorta di frasi condizionali</p><p>orientate verso un futuro che deve colmarle di significato; ognuna delle tappe accumula nuovi</p><p>elementi che precisano la personalità del protagonista. Tutto il romanzo mette in evidenza la</p><p>stessa unità di tendenza: tutti i tratti dei dodici anni di bambino addormentato (la persecuzione,</p><p>l’appoggiarsi ai buoni, le entrate e le uscite di Zaide) riappaiono come ingredienti del caso; le</p><p>pagnotte che il terzo padrone negava al bambino sono le stesse evocate in rapporto all’arciprete; i</p><p>due mesi con lo scudiero insegnano al ragazzo quanto sia inutile la mania dell’onore, ma alle</p><p>prese con il caso lui sacrificherà il buon nome sull’altare delle necessità, in beneficio della vita</p><p>facile; il servizio offerto allo spacciatore di bolle rafforza la lezione del trarre profitto dal proprio</p><p>silenzio, e così non fa più motto della faccenda a sua moglie. Lazaro de Tormes raccoglie e</p><p>applica al caso tutti gli insegnamenti ricevuti, e lo spazio del romanzo resta definitivamente</p><p>chiuso e unificato.</p><p>Il trompe l’oeil</p><p>Se nel medioevo l’artista arriva alla realtà attraverso la tradizione, che gli fornisce gli schemi</p><p>fondamentali per rappresentare qualcosa, nel rinascimento è l’esperienza a prevalere, l’opera</p><p>d’arte non è più mera obbedienza a un codice tradizionale, ma come un frammento dell’universo</p><p>così com’è visto da una persone, da un punto di vista, in un dato momento. Anche nel Lazarillo la</p><p>realtà verosimile è subordinata al punto di vista del protagonista. Proprio il problema della</p><p>verosimiglianza caratterizzava la letteratura d’immaginazione degli umanisti, la cui sfida era</p><p>rappresentare una realtà che avesse colore di verità pur non essendolo. Il realismo e</p><p>l’autobiografia si implicano nelle pagine dell’opera, e ogni osservazione del mondo trova</p><p>accoglienza solo attraverso i sensi di Lazaro e Lazarillo. La coerenza quindi si impone per</p><p>mantenere la finzione, e negli episodi in cui i fatti accaduti non sono certi (il protagonista perde i</p><p>sensi), il narratore li presenta vuoi come ipotesi ben fondate, vuoi come riferiti a lui da altri, o come</p><p>combinazione di fiuto proprio e informazioni altrui; ciò che è certo viene sempre ben separato da</p><p>ciò che è dubbio.</p><p>Ogni vicenda è filtrata attraverso la percezione del protagonista, la realtà non vale nulla se il</p><p>soggetto non la incorpora: Lazaro bambino non lascia testimonianza d’altro che di ciò che vede e</p><p>sente, a cui conferisce realtà e senso solo in quanto lo riguarda. Questa presentazione di eventi</p><p>permette che il lettore sia burlato e confuso così come il protagonista, come si vede</p><p>chiaramente nell’episodio dello spacciatore di bolle: l’intero episodio è frammentato in due tempi,</p><p>uno di percezione pura in cui le vicende vengono raccontate come uno qualunque dei personaggi</p><p>raggirati, e uno in cui il protagonista assume un fattore addizionale, l’inganno, che altera il senso</p><p>della scena. Questa tecnica domina tutto il romanzo: Lazaro propone dati che interessano in se</p><p>stessi, e nell’ultimo capitolo introduce un nuovo elemento, il caso, che dà un’altra significazione</p><p>ai materiali allegati fino a quel momento.</p><p>La scatola cinese</p><p>Nel romanzo la prospettiva è una delle componenti della realtà, il mondo non è univoco ma</p><p>esiste in quanto riferito alla persona, e così è lo stile linguistico, che capta con malizia la polisemia</p><p>della vita, con formule comparative di interpretazione mutevole. Così ambigui e relativi sono anche</p><p>i giudizi morali in voga: qual è la lezione che il protagonista vuole insegnarci? Se una tesi esplicita</p><p>c’è, allora è sicuramente mostrare quanto sia grande la virtù di quegli uomini che dal basso</p><p>riescono a salire. L’idea suonerebbe scandalosa a una mentalità tradizionale legata all’idea</p><p>medievale di immutabilità di classi sociali, rigide come la gerarchia del cosmo. Tuttavia</p><p>nell’umanesimo veniva affermato che in qualunque condizione nasca l’uomo, questo ha la</p><p>possibilità di sforzarsi di essere molto grande, purché segua il cammino della virtù. Il lettore è ben</p><p>consapevole che Lazaro, alla fine della vicenda, non è affatto salito nella gerarchia sociale,</p><p>semplicemente perchè, al contrario delle sue asserzioni, non ha realmente praticato la virtù. Una</p><p>mentalità conservatrice affermerebbe che la pretesa di cambiare stato è di per sè peccaminosa e il</p><p>sangue cattivo è ereditario. Da un altro punto di vista, però si potrebbe affermare che Lazaro sia in</p><p>realtà salito, che abbandonare la strada e la fame sia davvero un progresso che apre anche ad</p><p>altre possibilità di ascesa. Pretendere altra norma che quella soggettiva è uno sforzo inutile:</p><p>nessuno schema teorico può render conto della varietà e complessità degli uomini. Non ci</p><p>sono valori statici, ci sono vite, e quello che serve per una magari è inutile per un’altra: questa</p><p>sembra essere la lezione di Lazaro. Però, se siamo coerenti con essa, non possiamo accettarla:</p><p>siamo davanti al paradosso, secondo cui frasi come “Noi cretesi mentiamo sempre” (Epimenide)</p><p>hanno insieme verità e finzione, esattamente come l’affermazione “Non esistono valori che non</p><p>siano riferiti alla persona”. Quindi l’affermazione dovrà essere applicata solo al nostro banditore,</p><p>dal momento che è lui a sostenere ciò? E’ lecito pensare, quindi, che il succo del romanzo sia</p><p>semplicemente mostrare a quali deformazioni può arrivare un’intelligenza perversa. Come in</p><p>una di quelle scatole cinesi, tutti gli elementi del Lazarillo sono solidali fra loro e gli uni appaiono</p><p>come figure degli altri, e in ultima istanza come figure del caso. E’ necessario considerare anche</p><p>se l’unico proposito dell’autore non fosse esibire un campione di splendido artigianato umoristico,</p><p>prescindendo da ogni implicazione didattica: il Lazarillo è anche un libro molto divertente, capace</p><p>di creare un universo autonomo nel quale contano solo l’ingegno, la sorpresa, la successione di</p><p>avvenimenti comici, e nel quale sono sospesi gli imperativi etici.</p><p>Ci troviamo quindi di fronte a varie ipotesi: nessuno dei grandi ideali che la società promuove vale</p><p>al di fuori della persona, ma qual è la tesi velata? 1. Proviene da una perversione del giudizio, 2.</p><p>è un semplice sberleffo umoristico, o 3. risponde a una realtà polisemica risolta in punti di</p><p>vista? Si propende verso la terza ipotesi. La scatola cinese del romanzo, nella perfetta coerenza</p><p>delle sue componenti, è troppo ben costruita per essere mera invenzione artificiosa. L’ambiguità e</p><p>l’ironia sono i canali di un vasto scetticismo intorno alle possibilità di conoscere la realtà. L’io è</p><p>l’unica guida al mondo, una guida cangiante e parziale, da cui non è possibile estrarre</p><p>conclusioni stabili. La terza ipotesi non toglie granché alla seconda, e contiene la pietra angolare</p><p>della prima: l’umorismo è sempre stato amico degli scettici, e non viene mai negato che il</p><p>protagonista possa essere un brutto tipo. L’autore si fa carico delle ragioni del protagonista e mette</p><p>allo scoperto il vuoto di senso dei giudizi del mondo; da qui nasce anche la caratterizzazione di</p><p>Lazarillo, ingenuo e scaltro, caritatevole e crudele, tutto chiaroscuri.</p><p>2. Vita e consigli di Guzmàn de Alfarache</p><p>La vicenda, posta in bocca allo stesso protagonista, non procede fluida, ma è intramezzata da</p><p>prediche e meditazioni teoriche. La critica dei manuali conferisce al Guzmàn il titolo di opera</p><p>perfetta, ma consegnando questo dato lo fraintende, interessandosi più al contenuto fattuale</p><p>(accadimenti, aneddoti, ecc.) L’incapacità di elevarsi a una considerazione completa dell’opera</p><p>dipende da un’applicazione povera del concetto di romanzo: il Guzmàn è sì un romanzo, ma non</p><p>risponde totalmente all’archetipo del genere, pura tabulazione e descrizione, ripulita da</p><p>ammonimenti e ornamenti didattici. Se Mateo Alemàn scrisse un libro, e non due, si deve al fatto</p><p>che giudicava ben integrati gli elementi costitutivi (narrazione e digressione): il compito del critico è</p><p>quindi quello di mettere in rilievo il legame integratore. L’autore afferma in più occasioni il</p><p>proposito didattico dell’opera, e da il via a uno straordinario spiegamento di procedimenti artistici</p><p>che rivelano la propria essenza proprio alla luce del proposito didascalico. Ancora una volta la</p><p>chiave di lettura sta nell’autobiografia, nel punto di vista del narratore e del personaggio fittizio, e</p><p>la visione del mondo manifesta nel libro corrisponde al temperamento del suo eroe.</p><p>Un personaggio in cerca d’autore</p><p>Guzmàn scrive le proprie memorie dalla galera, dove si trova per crimini che non commise. La</p><p>vicenda si articola in due fasi: un primo tempo di azione, con Guzmanillo come protagonista, e un</p><p>secondo tempo di narrazione, in cui il protagonista da testimonianza delle sue vicende,</p><p>infarcendole di riflessioni morali. L’autore stesso distingueva nel romanzo il dominio della conseja</p><p>(la biografia) e il dominio del consejo (la dottrina), ma l’impulso nella lettura è quello di unire le due</p><p>parti nella figura di Guzmàn adulto; se così fosse, il Guzmàn scrittore non avrebbe niente a che</p><p>vedere con il Guzmàn personaggio e il pentimento finale non sarebbe che una grave violenza al</p><p>carattere del picaro, alla ricerca di un pretesto per giustificare la redazione in prima persona.</p><p>Sarebbe stato più facile per Alemàn assumere direttamente i ruoli di narratore e moralista, ma</p><p>c’erano vari motivi per non farlo. Sono la maggioranza i sermoni imputabili al Guzmàn maturo, ma</p><p>non ne mancano altri sulle labbra del giovane Guzmanillo. Nella prima parte del secondo libro si</p><p>trovano tre capitoli consacrati a un’invettiva contro la vacuità dell’onore, e il monologo si</p><p>confonde con la trama: esso è la presa di coscienza del Guzmàn adulto, le cui circostanze lo</p><p>hanno indotto a prescindere dalla honra. Negli stessi capitoli interferiscono anche le considerazioni</p><p>del Guzmàn picaro, e i due giudizi fluiscono separati, ma complementari: le denunce di</p><p>Guzmanillo contro la honra, pienamente congruenti alle situazioni in cui si trova il picaro, spiegano</p><p>il fatto che un giorno il Guzmàn converso ne pronunci di simili, e allo stesso tempo buona parte</p><p>delle avventure del protagonista ragazzino rende verosimile che egli finisca per diventare scrittore.</p><p>Il passaggio da attore ad autore si trova evidenziato nella cura con cui sono puntualizzati gli</p><p>studi e le disposizioni intellettuali del personaggio (eccellente istruzione, ingegnoso e acuto,</p><p>amante della lettura, ecc.); non sorprende, infatti, che il momento stesso della sua conversione si</p><p>riallacci esplicitamente al ricordo di ciò che imparò nelle aule.</p><p>Fra paure e speranze</p><p>Ora sappiamo che Guzmàn è già in Guzmanillo: la conversione li separa in un certo numero di</p><p>aspetti, ma in altrettanti li unisce. Il passaggio da Guzmàn attore a Guzmàn autore costituisce il</p><p>vero nodo argomentale dell’opera, i vari episodi sono subordinati alla linea costruttiva principale: la</p><p>storia di una conversione e l’analisi della coscienza. Alemàn non ridusse il romanzo allo</p><p>scandaglio introspettivo del personaggio, ma utilizzò l’autobiografia perché la predica generale</p><p>fosse al servizio dell’individualizzazione del protagonista, e incluse capitoli relativi alle peripezie</p><p>esterne di Guzmàn, in modo da divertire anche un pubblico meno coltivato. In questo l’autore è</p><p>stato abile: ha combinato aneddoti divertenti con studi profondi dell’eroe, mentre in altri</p><p>episodi la narrazione punta a imprigionare il lettore limitandosi all’azione e alla seduzione della</p><p>trama; quest’ultimo tipo di episodi non aggiunge quasi niente alla creazione del personaggio, ed è</p><p>per questo che Alemàn avrebbe potuto tranquillamente alternare il loro ordine, non svolgendo</p><p>questi una funzione strutturale definita.</p><p>Il lungo e lento processo della conversione del picaro si identifica con il progressivo</p><p>consolidamento del punto di vista che presiede il romanzo. Ciò si avverte sin dalle prime</p><p>pagine, quando Guzmanillo, da poco fuggito di casa, si ferma a riflettere sul proprio passato:</p><p>questo è anche il finale del suo pellegrinaggio, la riflessione finale sul proprio passato dalla quale</p><p>nasce l’autobiografia. Il protagonista non sa dove andare e che cammino scegliere, i suoi giorni</p><p>corrono fra paure e speranze, fino a che non decide di prendere “il cammino più bello, non</p><p>importava dove portasse”. E’è il vecchio motivo di Ercole al bivio, collegato all’emblema della Y</p><p>pitagorica: la linea dritta è la prima età, senza scelta, mentre i due tratti (uno ampio di sinistra e</p><p>uno angusto a destra) annunciano ciò che è predicato nel Vangelo di Matteo, ovvero che “stretto è</p><p>il cammino per godere della vita eterna, e ampio quello che ci conduce fra i piaceri alla perdizione”.</p><p>Guzmàn sceglie il sentiero più piano, e le conseguenze non si fanno aspettare. Il protagonista</p><p>non abbandona le pratiche religiose neanche nelle epoche di maggiore degradazione: l’intima</p><p>lacerazione è la costante della sua vita anteriore alla conversione, ogni tappa è costantemente</p><p>avviata da una decisione dolorosa che vede schierarsi da una parte fede e ragione, dall’altra la</p><p>volontà e l’istinto. Tale lacerazione è indubbiamente il tema principale del racconto. Questa rottura</p><p>intima ha un adeguato riflesso stilistico, e soffermandoci su alcuni monologhi del Guzmàn attore,</p><p>diventa ben chiaro come questi siano in realtà dialoghi con un altro io, con l’altra parte del suo</p><p>essere scisso, che quando può risponde, consiglia, accusa, sprona. L’utilizzo della seconda</p><p>persona singolare consente di plasmare la scissione di una coscienza tormentata dalla</p><p>necessità di una scelta. Alcuni sostengono che questa stessa intima lacerazione rende poco</p><p>probabile che il protagonista si converta alla santità, ma per l’autore, il conflitto non era altro che un</p><p>augurio e la prova della sua salvezza finale. Gli sbandamenti e le cadute mirano a insegnarci la</p><p>lezione del libero arbitrio, l’ago della bilancia può inclinarsi verso il bene o verso il male, ma la</p><p>lacerazione del peccatore non impedisce che questo superi il dilemma proseguendo felicemente</p><p>verso un finale felice. Guzmanillo appartiene alla categoria dei peccatori coscienti, perseguitati</p><p>dal disgusto del peccato stesso.</p><p>Abbiamo quindi seguito la pista della lacerazione interiore su tre piani: come elemento definitorio di</p><p>una disposizione personale, in una formulazione linguistica e in quanto portatore di una</p><p>determinata dottrina. Ciascuno dei piani è diretto al medesimo obbiettivo: i tre piani convergono</p><p>nella congiuntura della conversione. Infine, tutti e tre coincidono nello spiegare l’esistenza e il</p><p>carattere del libro. La lacerazione è frutto di una coscienza vigile, di un ripiegarsi su se stesso per</p><p>un’intima resa dei conti, e l’autobiografia è quindi un atto di introspezione. Sul piano stilistico la</p><p>seconda persona riappare nella bocca del Guzmàn adulto, che riflette sulle fortune del picaro. Sul</p><p>piano dottrinale, la lacerazione annuncia il pentimento, e ci aiuta a determinare definitivamente che</p><p>le prediche tanto prodigate provengono da un Guzmàn che ha risolto il suo dilemma</p><p>inclinandosi verso il bene, e proprio per questo non esita a raffigurarsi come malvagio.</p><p>Atalaya de la vida</p><p>Nel Lazarillo il racconto veniva strutturato dalla confluenza delle cellule narrative sul caso</p><p>dell’ultimo capitolo. In modo simile, le peripezie del protagonista del Guzmàn, riducibili al</p><p>predominio di una delle due tendenze che lo lacerano, appaiono orientate verso la conversione</p><p>finale. La conversione significava ovviamente installarsi in un dogma e obbligava ad assumere un</p><p>punto di vista unico: il Concilio di Trento aveva insegnato che la fede senza le opere non è</p><p>sufficiente per la remissione dei peccati; Guzmàn ne è al corrente, la sua intenzione di diventare</p><p>“uomo dabbene” è presente fin dai primi momenti, ma solo quando all’intenzione di riforma unisce</p><p>le opere di bene entra in possesso di ciò che gli permette di raggiungere la grazia. Guzmàn ha</p><p>confermato il dogma, lo ha incorporato e inserito in una visione del mondo personale. Così,</p><p>questa dottrina caratterizza il racconto come punto di vista del protagonista, il consejo si allaccia in</p><p>forme diverse alla conseja.
Altro sunto
Il Lazarillo de Tormes</p><p>Si tratta del più
importante racconto apparso sulla scena letteraria alla fine del regno di</p><p>Carlo V; vi sono tre edizioni del 1554, ma l’opera fu ristampata appena sei volte, subendo revisioni</p><p>in seguito all’inserimento nell’Indice del 1559. Se in patria non ebbe successo, è accertato che</p><p>godette di ampia diffusione all’estero; in Spagna s’impose all’attenzione di pochi ma qualificati</p><p>lettori, come Miguel de Cervantes, grazie ai quali fu assunta come centro propulsore dell’attività</p><p>narrativa e divenne il prototipo di ogni forma di narrazione moderna, oltre che archetipo del</p><p>genere picaresco. Inizialmente, gli ingredienti sembrano gli stessi riscontrabili nella prosa</p><p>“alternativa” di questo periodo: ci si imbatte in un prologo-dedica indirizzato a un destinatario vago,</p><p>e se ne evince che l’autore intende raccontare in termini autobiografici, celandosi dietro</p><p>l’anonimato. Il prologo, però, nasconde la chiave dell’intera interpretazione dell’opera, la cui</p><p>tecnica narrativa è rivoluzionaria ed organizzata secondo un sistema di “scatole cinesi”. L’autore</p><p>ha nel prologo ostentato l’abito del letterato dotto e conformista, citazioni di Plinio e Cicerone</p><p>comprese, mentre subito dopo procede a una brusca inversione di marcia: un personaggio</p><p>autorevole gli ha commissionato non un’opera in virtù della stima verso le sue doti da letterato, ma</p><p>un rendiconto di un grave caso occorsogli. Nonostante il caso sembri per un attimo un pretesto</p><p>per l’esibizione di una delle tante biografie esemplari, subito dopo l’autore svela l’identità del</p><p>protagonista: è la storia di un accattone e delle sue umili origini, tiranneggiata dalla fame e da</p><p>squallidi padroni. La prima sezione del prologo ha voluto catturare l’attenzione del pubblico per</p><p>sbattergli in faccia una realtà crudele, invitandolo a godere della lettura; anche questo invito</p><p>nasconde un secondo significato, perché è chiaro che, chi abbia trovato divertente il racconto, si è</p><p>fermato alla sua ridanciana superficie, mentre per tutti gli altri non resta che meditare. Si tratta di</p><p>una provocazione che colpisce tutti alla cieca e con determinazione, contro il perbenismo ipocrita,</p><p>e le acque stagnanti del qualunquismo. L’identificazione dell’autore col protagonista è totale al</p><p>punto che la finzione dell’ “io” narrante (Làzaro che racconta) investe appieno anche quello che</p><p>dovrebbe essere l’ “io” reale (lo scrittore che enuncia il proposito nel prologo), per cui da chi</p><p>proviene la provocazione? La sfida al pubblico sembra provenire dall’autore-Lazarillo, il picaro</p><p>affamato e straccione che ha le carte in regola per dissacrare e scandalizzare, mentre si sa che a</p><p>parlare è l’autore-Làzaro, che ha frapposto un’enorme distanza comportamentale e psicologica fra</p><p>i due stadi della sua vita. Lazaro adulto difende la propria posizione di integrato fra i ranghi, ma</p><p>proprio per questo non c’è coerenza nel fatto che questo attacchi coloro che adesso considera</p><p>suoi simili. Nel settimo e ultimo tratado viene delineata la condizione sociale di Làzaro, un</p><p>banditore di vini che si sente realizzato del “buon porto” a cui è arrivato, in barba ai principi morali</p><p>e alla figura di “cornuto-contento”. Si tratta di un antieroe che ha devastato ogni valore tradizionale</p><p>e per questo si esalta come eroe autentico; ma è veramente esaltazione e compiacimento? O</p><p>semplicemente drammatica consapevolezza del limite oltre il quale non gli sarà mai consentito</p><p>andare? Lazaro, per difendere quel poco che ha raggiunto, maschera le accuse con una cinica e</p><p>spavalda caricatura di se stesso e sottopone all’inquisitore il racconto- giustificazione di tutta la</p><p>sua vita. Il prologo, quindi, è l’ultimo vero capitolo che suggella la traiettoria da Lazarillo a Làzaro.</p><p>Dissipata la relazione fra committente illustre e letterato, subentra il binomio accusatore-accusato,</p><p>in un processo fasullo che ha il solo scopo di ingigantire la menzogna.</p><p>Uno dei tratti distintivi del racconto consiste nell’aver convogliato un complesso disegno in una</p><p>trama esigua e spedita, il cui approccio a prima vista non richiederebbe più impegno di una</p><p>semplice lettura infantile. La vicenda inizia con una sorta di scheda anagrafica del protagonista,</p><p>sino ad arrivare alla parte viva della storia: il padre, sorpreso a rubare, viene arrestato ed esiliato, e</p><p>alla sua morte in una spedizione contro i mori, la madre diviene amante di uno stalliere nero al</p><p>quale il bambino si affezione in quanto unica fonte di cibo e legna. Subendo lo stalliere una sorte</p><p>peggiore di quella del padre, Lazarillo si improvvisa garzone di vari osti, fino a che un giorno la</p><p>madre lo affida a un cieco che lo porta via per sempre dal suo paese. Pur alludendo a situazioni</p><p>dolorose, non vi è alcun abbandono affettivo, mentre si assiste al sovvertimento di ogni canone</p><p>letterario cui quel repertorio di registri tradizionali è sempre stato sottoposto. La realtà irrompe</p><p>brutalmente nella narrazione, non c’è spazio per l’allegoria, per l’esotismo, e la stessa realtà è</p><p>enfatizzata da una paradossale ironia: Lazarillo è l’antieroe per eccellenza, una figura che smitizza</p><p>i tratti riservati ai veri eroi della grande epopea, e la smitizzazione inizia già nella primimissima</p><p>parte della storia, dalla nascita nel fiume alla morte del padre, come parafrasi ironica della</p><p>Passione di Cristo. Si assiste ad un ribaltamento nella narrazione dei fatti, che stando al prologo</p><p>dovrebbe essere funzionale ad una carta responsiva che dopo una carrellata sui precedenti</p><p>giovanili dovrebbe focalizzare sul caso (o l’avventura, l’impresa, a seconda dell’ambito narrativo).</p><p>Qui le origini occupano l’intero percorso dell’opera, rendendo possibile un progressivo</p><p>sviluppo di un mosaico sociale in cui la crisi si incontra a vari livelli, mentre quando la vicenda</p><p>viene ricondotta a un immobile presente, l’immagine di Làzaro è appiattita nel sistema. Anche il</p><p>motivo della famiglia, che sembra accantonato all’inizio del racconto, viene richiamato dalle</p><p>affinità che legano la condizione del protagonista da adulto a quelle del nucleo familiare di</p><p>partenza. L’idea della madre di un sognato traguardo di benessere che esclude il concetto di</p><p>onestà è la stessa del figlio, ma quest’ultimo si oppone al fallimento secondo l’idea che, se la</p><p>giustizia che ha punito il padre e il patrigno, non punisce i ricchi per gli stessi reati, sarà a questa</p><p>categoria che occorrerà allinearsi.</p><p>La vita del ragazzo prosegue all’insegna di una doppia progressione: al bagaglio di esperienze si</p><p>affianca la crescita della fame, e il processo incentrato sull’iniziazione di Lazarillo alla scoperta</p><p>delle proprie risorse di astuzia e di autonomia è una sorta di itinerario “educativo” che prepara</p><p>l’anima al disonore. Le prime tre tappe, il cieco, il prete e lo scudiero, sono determinanti al punto</p><p>da esaurire la finalità e la sostanza, e sono i più dettagliati, mentre i rimanenti quattro si</p><p>avvicendano frettolosamente mentre il ragazzo comincia a far fruttare la mentalità affaristica che si</p><p>sostituisce alla lotta per la sopravvivenza; anche la modalità narrativa cambia in un sistema</p><p>aridamente elencativo degli episodi. Molte sono le ipotesi riguardanti il motivo di questo</p><p>cambiamento: alcuni hanno parlato di opera non finita, immaginando i tratados più corti come</p><p>bozze da rielaborare, altri hanno ipotizzato tagli censori dell’Inquisizione, ma indagini più accurate</p><p>hanno giustificato l’irregolarità compositiva e dato vita a numerose ipotesi. Una delle proposte</p><p>avanzate specifica che, una volta completatasi la caratterizzazione del protagonista alla fine</p><p>del terzo tratado, con la precisa definizione del suo profilo psicologico e comportamentale, gli</p><p>stadi successivi sono stati intesi solo come veloce raccordo cronologico sino al presente. Il</p><p>comune denominatore della prima parte è individuabile nel sistematico confronto di Lazarillo con</p><p>categorie distorte e deformate della vita, dal quale dovrà sortire la figura ideale del picaro,</p><p>antitetica rispetto alle immagini ideali proposte dallo standard letterario rinascimentale.</p><p>La figura del cieco assomma il maggior numero di codici degradanti: mendicante privo di ogni</p><p>compassione, portatore di una dimensione delle cose riduttiva a causa della propria infermità,</p><p>abilità di raggiro a metà strada fra la negromanzia e la delinquenza. Da questa figura prende</p><p>l’avvio l’istruzione del ragazzo, e precisamente il loro rapporto inizia con uno scherzo che</p><p>provoca dolore alla testa di Lazarillo, facendola sbattere contro la statua di una testa di toro, pur</p><p>sottolineando il valore iniziatico del gesto maligno, che “desta” il ragazzo dall’ingenuità in cui</p><p>aveva dormito fino ad allora. E’ stata trasmessa a Lazarillo una nozione di mondo ostile contro i</p><p>cui agguati occorre stare sempre all’erta, e anzi occorre muoversi costantemente dentro un preciso</p><p>piano d’attacco fatto di imbrogli, raggiri, furti. Il cieco, in ogni caso, non distinguendo i confini fra</p><p>didattica e crudeltà gratuita, infierisce sul bambino con castighi e privazioni. E’ per questo che</p><p>il ragazzo utilizza lo stesso approccio aggressivo e trasgressivo alla vita, elaborando contro il</p><p>padrone le stesse strategie che aveva da lui appreso. Tutto si conclude quando un giorno, Lazarillo</p><p>manda il cieco a sbattere contro un pilastro e fugge via, lasciandolo mezzo morto. La vendetta</p><p>ricalca la burla della testa di toro, ma con una ferocia più cinica e distruttiva, che dimostra come</p><p>l’apprendistato sia giunto a buon esito e come il ragazzo possa adesso applicare</p><p>autonomamente le norme furfantesche apprese. Dal primo padrone è insorta un’etica rabbiosa</p><p>del possesso e dell’accaparramento, soprattutto legata al motivo della fame, le quali rimarranno</p><p>nella formazione del ragazzo assieme al rancore e a una sorta di oscura gratitudine.</p><p>Il chierico di Maqueda, sottopone il bambino a una sottrazione di nutrimento tanto più malvagia</p><p>quanto più immotivata. L’odio del ragazzo è assoluto, non vi è alcun motivo pedagogico, e non</p><p>rimane altra scelta che combattere l’avversario con le armi che conosce: alla strategia del digiuno</p><p>si contrappone la studiata strategia del furto. L’anticlericalismo è una delle coordinate più</p><p>vistose dell’opera: cinque dei padroni di Lazarillo appartengono alla classe clericale, e tutti</p><p>vengono trattati con ironico disprezzo riguardo ai vizi che li contraddistinguono, ricorrendo a</p><p>stoccate irriverenti, imprecazioni, parafrasi caricaturali, ecc. Una volta fallito il tentativo, il servo</p><p>viene cacciato e in lui si fanno spazio diverse idee: da un lato si rafforza la convinzione che le</p><p>proprie risorse truffaldine, se gestite con astuzia e accortezza, prima o poi gli frutteranno un utile,</p><p>dall’altro si consolida la constatazione dell’incolmabilità delle distanze di classe, intuendo che</p><p>l’unico tipo di profitto auspicabile per i diseredati sia da ricercare in approssimativi escamotages di</p><p>compromissione con i ricchi.</p><p>L’approccio con la sfera “aristocratica” avviene grazie all’incontro con uno scudiero a Toledo,</p><p>incontro che sembra schiudere rosee prospettive al ragazzo, ma la delusione inaspettata è stavolta</p><p>sconvolgente. Un fanatico attaccamento al decoro e all’onore riduce lo scudiero a una pietosa</p><p>farsa di se stesso. Eppure proprio da questo personaggio surreale giunge a Lazarillo l’unico segno</p><p>di rispetto, l’unica concessione al dialogo e alla tolleranza, che provoca in lui una confusa</p><p>compassione che gli impedisce di ribellarsi; il ragazzo non pensa mai di abbandonarlo, ma viene</p><p>abbandonato da quello, costretto a fuggire per sottrarsi ai creditori.</p><p>Con questa figura può considerarsi conclusa la carrellata di istituti sociali degenerati: la famiglia</p><p>scompagnata, il piccolo laicato precario, il clero corrotto, la nobiltà-fantasma. Tutti hanno radicato</p><p>nel ragazzo il concetto di opposizione fra sé e un fronte esterno di ostilità, e sono responsabili della</p><p>sua idea di disonore come la sola approvata e giustificante. La società ha defraudato Làzaro di</p><p>quell’insieme di valori che nel linguaggio benpensante si chiama “coscienza morale”.</p><p>La narrativa</p><p>Il romanzo all’epoca di Filippo II si sviluppa seguendo il tracciato dell’avventura sentimentale,</p><p>mentre declina la fortuna delle narrazioni cavalleresche. In un secondo momento acquistano</p><p>popolarità gli effetti a sorpresa degli intrecci bizantini. La narrativa sembra orientata verso</p><p>raffigurazioni che non hanno legame diretto con la realtà quotidiana, come il romanzo pastorale,</p><p>che sfrutta questa piena disponibilità all’evasione accogliendo la tradizione classica mediante</p><p>recuperi del codice virgiliano, e la moda bucolica si estende alla prosa manieristica costruita in</p><p>funzione dei gusti dei destinatari (una società cortigiana definitivamente urbanizzata). Se l’eroismo</p><p>cavalleresco ha affievolito la sua capacità di attrazione sul pubblico, rimane comunque vero che la</p><p>produzione editoriale dei libros de caballerìas è ancora imponente da un punto di vista</p><p>quantitativo. Là dove va attenuandosi l’ansia di sublimazione eroica, non viene meno il desiderio</p><p>di trasfigurare la monotonia quotidiana, mediante l’invenzione di una serenità agreste con</p><p>scenari irreali e immaginari, ma riconoscibili attraverso allusioni a specifici particolari della</p><p>geografia reale.</p><p>Il romanzo pastorale: Jorge de Montemayor</p><p>La pubblicazione de Los siete libro de la Diana nel 1559 rappresenta una tappa fondamentale</p><p>per il genere, e godette di un successo strepitoso, dando origine a una serie di imitazioni. La</p><p>finzione bucolica non impedisce lo sviluppo di un sottile dibattito sulla natura dell’amore, che</p><p>turba, allontana o richiama i personaggi nella narrazione delle malinconiche vicende sentimentali,</p><p>facendo tesoro della trattatistica rinascimentale. Le vicende si sviluppano secondo percorsi lenti e</p><p>rettilinei che conducono i protagonisti verso un tempio dove un’acqua miracolosa permetterà a</p><p>tutti di raggiungere la felicità. Le pause dell’itinerario sono arricchite da lunghe riflessioni dei</p><p>protagonisti, grazie alle quali numerose altre storie si innestano in quella principale. La prosa</p><p>viene impreziosita dall’inserimento di testi poetici: l’opera era destinata al pubblico della corte. I</p><p>turbamenti suscitati dalla passione vengono proiettati in uno scenario bucolico fatto di prati,</p><p>ruscelli, fontane, ecc., e la realtà esterna si trova smaterializzata, costruita solo come contorno dei</p><p>sentimenti dominanti. Ogni particolare del paesaggio viene colto per sottolineare le vibrazioni</p><p>intime che riesce a stabilire. Le azioni dei personaggi non sono mai condizionate dalle circostanze</p><p>spaziali, perché al centro dell’interesse si pone sempre un universo interiore: solo un</p><p>intervento soprannaturale (l’acqua miracolosa) consente di mutare le rigorose leggi del loro</p><p>destino, ed è l’unico espediente narrativo per permettere uno sviluppo dinamico nei rigidi schemi</p><p>dell’introspezione psicologica.</p><p>La conclusione aperta della Diana ha portato a diversi tentativi di sviluppare la vicenda da parte</p><p>di altri autori. Per primo Alonso Perez pubblicò una seconda parte della Diana nel 1563, e</p><p>nonostante la mediocrità della stesura, conobbe un importante successo. Egli contrappose</p><p>all’interpretazione del sentimento amoroso una rigida prospettiva razionalistica, cercando di</p><p>garantire da un lato il decoro formale e dall’altro la serietà dell’indagine psicologica. Già nella parte</p><p>preliminare dell’opera rivela l’atteggiamento critico verso la concezione bucolica dell’amore, poiché</p><p>ritiene che la natura del sentimento si rivela nell’appetito sensuale, in una passione capace di</p><p>sconvolgere in modo catastrofico le qualità dello spirito. In quest’opera l’autore fa sfoggio delle</p><p>proprie conoscenze classiche attraverso l’introduzione di elementi aggiuntivi che si incastrano nel</p><p>racconto, come la Fàbula de Dafne y Apolo.</p><p>Un’altra versione, la Diana Enamorada, viene pubblicata nel 1564 da Gaspar Gil Polo, e la</p><p>finalità moralistica dell’opera è esposta con chiarezza nella parte preliminare dell’opera: l’intento</p><p>è dimostrare quando il sentimento amoroso può condizionare l’animo e indurre gli innamorati a</p><p>sopportare sofferenze, da cui si ricava l’importanza di preservare l’anima da una così dannosa</p><p>infermità. Venne accolta con consenso dai contemporanei grazie alle sue qualità artistiche.</p><p>Nonostante un atteggiamento polemico, l’autore mantiene gli schemi e la disposizione della</p><p>Diana originale: le vicende sentimentali delle coppie di pastori sono intramezzate da episodi</p><p>secondari dominati dall’insoddisfazione dei personaggi. Il centro del romanzo è la soluzione dei</p><p>conflitti, per i quali l’autore rifiuta l’intervento delle arti magiche a favore di una giustificazione</p><p>psicologica dell’evoluzione dei sentimenti. Per facilitare lo scioglimento dell’intreccio non esita ad</p><p>eliminare il personaggio più scomodo: Delio, marito dell’insoddisfatta Diana, muore in seguito</p><p>ad una follia amorosa. La celebrazione finale è poi accompagnata da una lunga disquisizione</p><p>sulla natura irrazionale dell’amore, con echi precisi degli Asolani di Bembo e della Galatea di</p><p>Cervantes. Gil Polo introdusse nell’opera anche liriche descrittive di fattura bucolica,</p><p>sperimentando una vasta gamma di forme metriche per evocare immagini di brillante vivacità.</p><p>Al margine della produzione pastorale si colloca l’opera di Antonio Lofrasso, autore dei dieci libri</p><p>della Fortuna de Amor nel 1573, nei quali gli elementi biografici si sovrappongono alle trame</p><p>bucoliche, il tutto sospinto da una volontà di adattare il mito utopico dell’Arcadia a una topica</p><p>personale. Nello stesso senso si mosse Luis Gàlvez de Montalvo: il suo Pastor de Fìlida del 1582</p><p>sfrutta il travestimento del genere bucolico per illustrare le vicende personali che l’autore stesso</p><p>finge di condividere con un gruppo di aristocratici a lui familiari; la tradizione pastorale diventa uno</p><p>strumento che permette di rievocare romanzescamente episodi di una realtà intima per</p><p>proiettarli in uno scenario idealizzato. La finzione arcadica non fu accantonata, ma continuò ad</p><p>affascinare gli scrittori della generazione successiva come la Cervantes e Lope de Vega.</p><p>Il romanzo moresco</p><p>Mentre l’intolleranza ideologica rendeva della realtà quotidiana sempre più conflittuali i rapporti e</p><p>gli scontri fra cristiani e civiltà moresca, la volontà di una trasfigurazione idealistica delle relazioni</p><p>fra vincitori e vinti si manifestò in un nuovo filone narrativo, e la morofilia divenne una moda</p><p>letteraria che si impose in diverse forme creative. Il romanzo si costituì saldando insieme strutture</p><p>narrative del romanzo cavalleresco e del romanzo sentimentale, con il trasferimento di attributi</p><p>considerati peculiari della nobiltà castigliana alla figura del moro aristocratico. Capolavoro del</p><p>genere è la Storia dell’Abencerraje e della bella Jarifa, che si svolge su doppio piano narrativo,</p><p>alternando conflitti fra arabi e cristiani ad episodi idillici. Si assiste a una stilizzazione idealistica</p><p>dei personaggi secondo il canone cortese e a uno sforzo rendere credibile il sogno di pacifica</p><p>convivenza fra arabi e cristiani. Più realistica è la Historia de los bando de los Zegrìes y</p><p>Abencerajes, caballeros moros de Granada di Ginès Pèrez de Hita, pubblicata nel 1595 e</p><p>completata in seguito con una seconda parte. La prima parte ricostruisce i conflitti fra le famiglie</p><p>dell’aristocrazia araba che si contendevano il potere prima della riconquista cristiana,</p><p>intramezzando la cronaca con testi poetici e descrizioni di feste, tornei e episodi di vita cortese di</p><p>un’epoca perduta. La seconda parte privilegia il resoconto dei fatti riguardanti la rivolta moresca</p><p>delle Alpujarras.</p><p>Il romanzo bizantino</p><p>Questo genere incontrò vasta diffusione in molte letterature europee, ispirato dalla traduzione di</p><p>testi classici fra cui l’Asino d’oro di Apuleio. I moduli efficaci del romanzo cavalleresco</p><p>sentimentale e pastorale si incontrano con il fascino dell’avventura esotica, dando vita</p><p>scenografie spettacolari e strutture aperte. L’orizzonte degli itinerari degli eroi è ampliato e</p><p>proiettato in vasti spazi, con viaggi sempre più movimentati e burrascosi. I protagonisti sono</p><p>solitamente una coppia di innamorati separati, coscienti di perseguire un loro alto ideale, pronti a</p><p>piegare gli impulsi passionali alle norme etiche e religiose. La Historia de los amores de Clareo y</p><p>Florisela di Alonso Nunez de Reinoso presenta una spiccata predilezione per le trame bucoliche,</p><p>con innesti di altri generi narrativi: i due protagonisti innamorati percorrono un lungo viaggio</p><p>attraverso continue peripezie e purificano il loro affetto traendo energia dalle avversità, lasciando</p><p>trapelare la lezione etica che si poteva ricavare dall’opera. Nella Selva de Aventuras, invece,</p><p>Jerònimo de Contreras narra la storia del protagonista che, respinto dalla amata, va in cerca di</p><p>oblio e rassegnazione vagando per il Mediterraneo, facendo tesoro dell’esperienza con</p><p>atteggiamento stoico e accettazione cristiana, per poi ritirarsi come eremita. Il vagare del</p><p>protagonista simboleggia la condizione dell’umanità e si conclude con un proposito esemplare di</p><p>redenzione che si uniforma agli orientamenti ideologici più accreditati in quell’epoca.</p><p>Il romanzo picaresco: Mateo Alemàn</p><p>Sul finire del secolo viene pubblicato il Guzmàn de Alfarache, capolavoro della narrativa</p><p>picaresca. Alemàn visse una vita tormentata, fatta di studi non conclusi, debiti e affari non efficaci,</p><p>nonché da un matrimonio infelice. Tutte queste esperienze si riflettono nelle amare pagine del suo</p><p>capolavoro. La redazione del Guzmàn risale agli anni del suo ultimo soggiorno madrileno, nel</p><p>1597, e godette di un notevole successo in varie città. Alla fama conquistata, però non corrispose</p><p>un adeguato vantaggio economico, poiché non riuscendo a tutelare i propri diritti la maggior</p><p>parte delle edizioni risultò fraudolenta. La prima parte dell’opera si interrompeva in modo brusco, e</p><p>dell’aspettativa che si venne a creare approfittò uno spregiudicato imitatore, Juan Martì, che</p><p>pubblicò la seconda parte ricevendo un’accoglienza straordinaria nel 1602. Alemàn si affrettò a</p><p>pubblicare l’autentica seconda parte dell’opera nel 1604, vendicandosi con ironia grazie</p><p>all’introduzione di un personaggio equivoco e infido, destinato a morire in un naufragio. L’opera</p><p>riprende la finzione autobiografica del Lazarillo, e come essa traccia un cammino di perfezione</p><p>alla rovescia, da una fanciullezza miserabile a una maturità fatta di esperienze truffaldine,</p><p>passando attraverso episodi distinti ma concatenati, che sono le tappe di un apprendistato</p><p>disonorante e offrono l’occasione di un’aspra satira sociale. La novità sta nell’inserimento di</p><p>commenti moraleggianti che intendono trarre una lezione anche dagli episodi più ignobili.</p><p>L’opera si presenta in corrispondenza con la sensibilità della Controriforma: la fragilità della</p><p>natura umana, indebolita dal peccato originale, può redimersi attraverso il pentimento e la fiducia</p><p>nella misericordia divina. Forse proprio questa prospettiva ideologica fece sì che l’opera avesse</p><p>immenso successo in tutti i paesi europei.</p><p>Guzmàn nasce a Siviglia, figlio di un avventuriero, e a dodici anni lascia la famiglia in cerca di</p><p>avventure: dopo una serie di avvenimenti che lo lasciano truffato e burlato, si mette alla ricerca di</p><p>alcuni parenti del padre, che però lo disconoscono. Solo uno zio lo ospita, con il fine di giocargli un</p><p>tiro mancino. Recatosi a Roma viene accudito da un cardinale che lo fa curare da medici</p><p>imbroglioni e lo assume al proprio servizio, ma non sopportando le sue burle e i suoi furti lo caccia.</p><p>Nella seconda parte il protagonista è al servizio dell’ambasciatore di Francia, ma la vendetta di</p><p>una dama gli fa perdere ogni protezione. Dopo varie peripezie fra Siena e Bologna, scontata una</p><p>pena per diffamazione, bara al gioco e vince una grossa somma, così si trasferisce a Milano</p><p>dove compie un’estorsione ai danni di un commerciante. Ormai ricco si trasferisce a Genova,</p><p>accolto dai parenti con finte manifestazioni di affetto, ma decide di vendicarsi derubandoli e</p><p>imbarcandosi per giungere a Barcellona e Saragozza dove viene beffato ancora da una donna.</p><p>Infine a Madrid sposa una ricca ereditiera e una volta diventato vedovo decide di studiare</p><p>teologia a Alcalà, ma prima di finire gli studi lascia l’università per sposare la figlia di un oste,</p><p>avviandola alla prostituzione. Tornato a Siviglia, le proprie malefatte lo portano all’arresto, e il</p><p>tentativo di fuga gli costa l’ergastolo. La sua esistenza crudele lo spinge meditare e a redimersi,</p><p>e una volta scoperto e denunciato un ammutinamento, ottiene la liberazione.</p><p>Si è a lungo discusso del significato da attribuire alle riflessioni moralistiche, prima apprezzate</p><p>per la finalità didattica, poi considerate come nocive per l’economia del racconto, tanto che furono</p><p>eliminate in alcune edizioni. Tuttavia non si può negarne la pertinenza, essendo l’opera concepita</p><p>come il racconto di un galeotto pentito che si articola secondo un progetto che trova il suo punto di</p><p>forza nel riscatto morale: il protagonista medita sul passato con distacco e autoironia,</p><p>insistendo sul proprio turbamento e disagio psicologico nella seconda parte, senza mai far</p><p>trapelare dell’astio o dell’asprezza. L’opera contribuì a consolidare un genere narrativo destinato</p><p>ad acquistare ancor maggior vigore nell’epoca barocca, con la sua struttura dinamica che</p><p>ammetteva una serie ininterrotta di eventi e la relazione conflittuale fra protagonista e realtà</p><p>circostante. La continua lotta per la sopravvivenza si protrae attraverso episodi che portano</p><p>all’affermazione di una realtà carente di valori etici. Proprio questo è il prototipo del picaro, privo</p><p>di aspirazioni e slanci eroici, che ordisce e subisce gli inganni. A sottolineare la funzione di</p><p>riflessione etica dei commenti moralistici è l’autore, che nel prologo si rivolge al lettore</p><p>esortandolo a “non ridere del racconto ma approfittare del consiglio”.</p><p>Le esperienze esistenziali dell’autore confluiscono nell’opera insieme a una posizione di</p><p>rassegnato stoicismo, e tutte le riflessioni sono dominate da un convinto sentimento religioso.</p><p>L’episodio della conversione del suo personaggio rappresenta il momento risolutivo del dramma</p><p>esistenziale, che permette a Guzmàn di rievocare le proprie vicende assumendo criticamente le</p><p>distanze e imponendosi come un narratore-giudice delle vicissitudini di sè stesso da giovane.</p><p>L’intera storia si presenta come il lento maturare della coscienza del personaggio narrante, dalla</p><p>quale il lettore può trarre una lezione proficua.</p><p>Il Guzmàn evidenzia alcune caratteristiche specifiche del romanzo picaresco: la prospettiva</p><p>autobiografica e la narrazione in prima persona, la figura del picaro emarginato, costretto a vivere</p><p>di espedienti, come protagonista e antitesi delle nobili figure idealizzate dalla letteratura</p><p>contemporanea. Anche il distacco dal nucleo familiare è significativo, e determina l’inizio di una vita</p><p>di emarginazione che giustifica ogni espediente. L’opera di Alemàn offre un’ingannevole</p><p>impressione di struttura aperta, con l’accavallarsi delle vicende che si rinnovano continuamente,</p><p>ma presenta in realtà una struttura chiusa.</p><p>La narrativa minore</p><p>Meritano un cenno i due filoni che risalgono da un lato alla tradizione arabo-ispanica, dall’altro</p><p>alla tradizione italiana tardo- medievale e rinascimentale. Un esempio è il Jardìn de flores</p><p>curiosa del 1570, scritto da Antonio de Torquemada secondo il presupposto che gli aspetti più</p><p>sorprendenti della natura riflettono la potenza del Creatore, focalizzando su scenari meravigliosi, in</p><p>parte immaginari, come fontane magiche e incantesimi.</p><p>Parte seconda: IL SEICENTO</p><p>Francisco de Quevedo Villegas</p><p>La vita di questo autore è stata intensa e movimenta, caratterizzata da vicende di cui i biografi</p><p>devono distinguere il vero dal falso. Figlio di funzionari di palazzo, non termina gli studi di teologia</p><p>e dal 1600 inizia a farsi conoscere a corte grazie alle proprie composizioni; nella stessa corte</p><p>risiede Luis de Gòngora, suo rivale nella scrittura. L’autore opera nella capitale fino al 1613,</p><p>dedicandosi ad un’attività letteraria vivace, aggressiva, che lo porta a partecipare a feste,</p><p>accademie letterarie, intessendo amicizie e guadagnandosi inimicizie. La sua vena satirica trova</p><p>sfogo nella redazione dei Sueños, iniziati nel 1605 e terminati poi nel 1622. Nonostante l’intensa</p><p>attività, Quevedo non pubblica niente, nonostante fallimentari tentativi di pubblicare i Sueños,</p><p>che circoleranno solamente grazie al manoscritto. L’autore riesce a campare grazie a varie rendite</p><p>che aveva ereditato. Nel 1613 inizia il suo periodo italiano in Sicilia al seguito del duca di</p><p>Osuna, e il soggiorno si rifletterà in opere di ispirazione storica e stoica. Nel frattempo si dedica a</p><p>una serie di vicende politiche, dall’incontro con il re e con il papa a una cospirazione contro</p><p>Venezia, sino ad arrivare al 1619, anno in cui lascia la penisola. Dopo l’incoronazione di Filippo IV</p><p>viene allontanato da Madrid solo la nomina di primo ministro al duca di Olivares, e costretto a</p><p>vivere in alla Torre di Juan Abad viene colpito da una grave malattia; tenta poi di recuperare il</p><p>favore del duca inviandogli la Polìtica de Dios, un denso trattato politico-morale. Dal 1623 lo</p><p>ritroviamo a corte e dal 1626 inizia una serie di pubblicazioni fra cui la Polìtica stessa e il Buscòn,</p><p>più una serie di opere burlesche. Da un lato opere di impegno, dall’altro operette satiriche. Nel</p><p>1632 ottiene il titolo onorifico di segretario del re, ma i segni della crisi esistenziale si fanno più</p><p>evidenti e si riflettono nelle sue opere, dense di secentismo e senso di vanità della vita. Le</p><p>seguenti vicende personali non sono più felici, da un infelice matrimonio di convenienza sino</p><p>all’arresto nel 1639 per sopporto spionaggio a favore dei francesi. Per i primi due anni di prigionia</p><p>Quevedo non può scrivere, solo per i restanti due porte dedicarsi di nuovo alla composizione</p><p>letteraria. Dal 1643 si avvia il percorso fatto di malattia che lo porterà alla morte nel ’45: le ultime</p><p>lettere riflettono tutta la consapevolezza per la fugacità della vita e l’inutilità della politica.</p><p>Alla morte dell’autore, gran parte della sua produzione era inedita: sarà il nipote a pubblicare</p><p>tutte quelle poesie che Quevedo aveva riunito prima della propria morte, più di ottocento</p><p>componimenti. Resta il problema della datazione: una corretta sequenza cronologica</p><p>permetterebbe un ordinamento in rapporto alle preferenze di generi dell’autore nei diversi momenti</p><p>della sua vita, ma in assenza di date sicure, si è soliti raggruppare per generi (poesie amorose,</p><p>metafisiche, morali, ecc.)</p><p>La poesia amorosa</p><p>L’abbondante poesia amorosa di Quevedo si inscrive nel Ciò che mi toglie in fuoco mi dà in neve</p><p>petrarchismo, in particolare per l’utilizzo della tinta del la mano con cui gli occhi mi sottrai;</p><p>ma non cessa la morte che mi dai,</p><p>“desengaño” e del contrasto. Un buon esempio è il né meno fiamme la bianchezza smuove.</p><p>sonetto A Aminta, que se cubriò los ojos con la mano. La vista freschi quegli incendi beve</p><p>La contraddizione di base è evidente: la mano bianca che poi spande, vulcano, per le vene.</p><p>come la neve e le fiamme d’amore trasmesse dagli occhi. Tratta con diffidenza quella neve</p><p>Anche la mano diventa temibile, poiché origina fuochi il petto amante, che la sa malfida.</p><p>Se il tirannico ardore dei tuoi occhi</p><p>d’amore, creando un collegamento con gli occhi del tu con la mano celi per placarlo,</p><p>poeta. E’ un’opera di misericordia temperare l’ardore dimostri gran pietà del cuore umano:</p><p>degli occhi coprendoli con la mano, che viene messa ma non di te, che può, nell’occultarlo,</p><p>rischio, a meno che il candore della neve non riesca a essendo neve, scioglier la tua mano,</p><p>gelare il fuoco dello sguardo. La costruzione si basa su se non è questa che vorrà gelarlo.</p><p>una serie di opposizioni su versi contigui (fuego-</p><p>nieve, frescos-incendios, ecc.) la cui chiave è il binomio</p><p>ojos-manos, che si incontra all’inizio delle quartine e delle terzine. La sensazione di simmetria è</p><p>accentuata dalla dislocazione grammaticale che prevede il sostantivo o il pronome in inizio di</p><p>verso, con il verbo in chiusura. La sequenza di opposizioni è inserita in una serie di figure di</p><p>ripetizione come l’anafora e il chiasmo. Quevedo dialoga con particolari anatomici: occhi, mano,</p><p>bocca, che portano alla dissoluzione dell’interlocutore. Si può leggere in questi componimenti una</p><p>sorte di fuga da una figura di donna disturbante: la donna brutta, in sfacelo, alla ricerca di denaro,</p><p>in un vampirismo da cui l’uomo cerca di difendersi.</p><p>La questione dei problemi psicologici dell’autore si rivela utile nella decifrazione della sua opera,</p><p>soprattutto per il problema della classificazione di una produzione così vasta e variegata, che fa sì</p><p>che parte della poesia amatoria possa essere inserita agevolmente in quella burlesca, a causa di</p><p>un atteggiamento impietoso verso la deformità. La beltà, per concludere i suoi lumi</p><p>E’ il caso del sonetto A una dama orba e molto bella. Il solo in un occhio della vostra faccia,</p><p>piano concettuale è basato sul contrasto luce- oscurità, e al esempio insigne e di bellezza rara</p><p>paragone col sole viene affidato il compito di riassumere e ebbe nel sol, che a un fuoco si riduce.</p><p>concentrare in sè tutta la bellezza, come l’unico occhio Imitate perciò l’architettura</p><p>della dama. Anche il secondo paragone è peculiare: la della volta del cielo, bella e chiara,</p><p>che molti occhi, ma di luce avara,</p><p>stella dell’occhio rimanente si può manifestare solo solo la notti li esibisce oscura.</p><p>nell’oscurità dell’altro sole (l’occhio mancante). Questi Se un occhio che in voi è giorno,</p><p>sopra elencati sono paragoni topici, abusati in poesia, a chi lo guarda dà morte e prigione,</p><p>che l’autore riesce, però, a risemantizzare e rinnovare. all’altro mancherebbero domini.</p><p>Nonostante tali argomentazioni, a prevalere è il senso di Per i suoi raggi non bastano i cuori,</p><p>vittorie per il suo valore ardente,</p><p>difetto e di mancanza, che si denota fra le altre cose con la e nazioni al trionfo dei suoi lumi.</p><p>ripetizione del verbo faltar.</p><p>Scrittura di evasione</p><p>Laddove la deformità e il feticismo operano con tutta la loro carica, il linguaggio assume</p><p>caratteristiche di rottura e eversione, apparendo lacerato come il corpo che descrive. Mentre</p><p>quando il corpo viene reso inoffensivo, il linguaggio si placa nell’accettazione di processi e</p><p>immagini topici. Il poeta è ossessionato dalla possibilità di neutralizzazione della donna, della</p><p>sua riduzione ad oggetto, ed ecco come nella sua lirica si incontrino schiere di prostitute e mogli</p><p>compiacenti; alcuni tic appaiono rivelatori, come l’uso di metafore mercantilistiche.</p><p>Oppure ancora il corpo che diventa cibo in</p><p>O carnesecca, corpo di telaccia, decomposizione, come nel sonetto 549: l’aggressione</p><p>quando dirai alla tua voglia “basta”, adotta come arma il discorso diretto e l’interrogazione</p><p>se quando il Parce mihi ti dà scacco retorica, e grazie ad una serie di sostantivi e apposizioni il</p><p>cominci a darti un mucchio di daffare?</p><p>Tu unisci sulla fronte e nella zucca movimento aggressivo risulta esaltato. L’allusione alla</p><p>crocchia e sudario sul senno demente, morte è chiara e sottolineata con la ripetizione di avverbi</p><p>se, diventata stramberia vivente, temporali. L’uso di definizioni repellenti e agghiaccianti</p><p>ti ungi il teschio in salsa di belletto. culmina in una situazione di odore nauseabondo, e il corpo</p><p>Vecchia rognosa, vai al tuo funerale, odiato non diventa altro che una buccia, un oggetto dietro</p><p>non rivestire il verme di confetto, al quale ci si può nascondere.</p><p>giacchè sei ormai stecca di mortaretto.</p><p>E poiché odori di carbone e zolfo,</p><p>il putrido ti serve da profumo,</p><p>gioca con la pellaccia a nascondino. Perché ci dai ad intender che sei bimba? </p><p>Analogo è il sonetto 569, ricco di interrogazioni retoriche e E vorresti morire di vaiolo? </p><p>violente su una “vecchia tornata ad essere bimba”. In Certo l’assenza di denti e molari</p><p>entrambi si incontra questa apostrofe diretta con l’uso del ti fa in vecchiaia boccuccia da “babbino”</p><p>“tu”, che va incontro alla dissoluzione fisica finale. Un E andando con l’età ti incaponisci,</p><p>che stan per nascer, mimmina, ci dici;</p><p>percorso ascendente conduce all’uso di sostantivi gorgheggi con bisavole gengive</p><p>sempre più sgradevole, che svela però l’ossessione per e chiami pannicelli la sottana.</p><p>macabra per l’oralità e per la bocca sdentata. Nell’ultima La bocca che fu taglio, ed ora imbuto,</p><p>terzina si assiste invece a una formulazione moralistica, dissimula degli anni il rancidume,</p><p>più pacificata anche a livello di discorso. e ci vende per bave i suoi liquami.</p><p>Bamboccia (vedi come ci convinci),</p><p>che tu abbia pochi anni te lo credo,</p><p>se son quelli da vivere i pochi anni.
Testi per parte di letteratura : - Storia della letteratura Spagnola Einaudi