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Il Picaresco

è un
genere
letterario
che si
sviluppa a
cavallo fra
i secoli
500-600,
ovvero in

un'epoca di grandissima fioritura culturale. L'archetipo è il


“Lazarillo de Tormes” del 1554.
Regni del periodo picaresco: Carlo V d'Asburgo, Filippo II e
Filippo III.
È un'epoca di espansione della classe sociale borghese e di
grandi scoperte che però la
Spagna non sfrutta come commercio ma solo per ornarsi.
Ancora è un'epoca di riforme
protestanti e la Spagna si fa portavoce del Cristianesimo
tanto da diventare all'epoca leader
cattolico e voleva mantenersi al sicuro da altre religioni,
spesso le persone dovevano
convertirsi (i conversos che però erano comunque cristiani
nuovi disprezzati perché in privato
professavano la loro fede) o lasciare il paese ma sarà proprio
con l'emigrazione dei musulmani
e la conseguente mancanza di aiuti economici che coinciderà
il declino spagnolo.
Hidalgo= <i>hijo de algo</i>, figlio di qualcosa cioè del
sangue non contaminato dagli stranieri
Hidalgia aristocratica= concetto chiave dell'epoca, a chi era
cristiano e ricco venivano dati
certificati di sangue nobile per dimostrare la limpieza de
sangre.
</p><p>Agli inizi del 500 si stabilizza la lingua spagnola →
Dialogo de la lengua (Juan de Valdes): la
lingua deve essere naturale e il più simile possibile alla lingua
parlata in modo che possa
essere letta da un pubblico il più ampio possibile, lo stile è
dunque molto semplice in quanto,
iniziando a dar spazio a personaggi bassi, si utilizza un
linguaggio consono allo strato sociale
cui appartengono. Si accenna all'unica novela di stampo
realista, quella Picaresca dove si
parla di una persona che appartiene alla classe sociale bassa,
un picaro, una figura miserabile
che si deve arrangiare e non fa parte del <i>pueblo llano</i>
perché il popolo lavora mentre il picaro
non è utile alla società.
</p><p>Il Lazarillo non si può definire e tanto meno si può
dire che è un romanzo, in quanto all'epoca
la narrativa era data dai romanzi cavallereschi.
In quest'epoca si stabilizza il genere narrativo
• <i>Novelas de caballerias</i>: il protagonista è un
cavaliere che ama una fanciulla, la narrazione è
in versi, l'ambientazione è esotica, fantastica, lo stile è
elevato e ricercato
• <i>Novelas sentimentales</i>: è la storia della relazione di
un cavaliere e una donna e del loro
amore platonico e ideale, l'ambientazione è cortigiana, non vi
sono avventure
• <i>Novelas pastoriles</i>: si parla dell'amore fra due
pastori, due nobili vestiti da contadini che
parlano con parole difficili del genere classico e si rivolgono
ad un pubblico aristocratico
• <i>Novelas moriscas</i>: è una prosa di una vicenda
amorosa tra un moro e una cristiana dunque
si parla di un amore impossibile
• <i>Novelas bizantinas o griegas</i>: è una prosa di
avventure di innamorati che si devono separare
e si ritrovano poi alla fine
• Novelas picarescas: il protagonista è un frustrato,
l'ambientazione è reale, finale antieroico,
le ambizioni di ascesa sociale non si concretizzano, si rompe
dunque una tradizione, fa
scandalo e arriva al successo. Un primo tentativo si ha con la
Celestina di Fernando de Rojas
dove per la prima volta vi sono anche personaggi del popolo
il cui linguaggio rispecchia la loro
provenienza.
</p><p>Picaro deriva dal greco <i>“picar”</i>, che
significa speluccare (=mangiare un po' di tutto, non fare
quindi un pasto completo). È difatti la fame il motore che
smuove questo personaggio, un
popolano molto furbo che grazie alla sua scaltrezza riesce a
sopravvivere.
Il Buscón è colui che cerca ma viene tradotto come
imbroglione; è come il picaro di origine
umile e incerta, è al servizio prima di un padrone poi di un
altro, e tutti lo maltrattano
negandogli cibo e soldi.
È anche caratteristico del picaro l'afan<i> de medro</i>,
ovvero la smania e l'ambizione di risalire la
classe sociale, cosa che non avverrà mai in quanto la società
spagnola è
determinista/immobilista, impedisce a qualsiasi persona di
basso rango di ascendere
socialmente.</p></div></div><div><div><p><b>REQUISI
TI LETTERARI/CARATTERISTICHE DEL ROMANZO PICARESCO
</b>1) FALSA AUTOBIOGRAFIA/PSEUDO
AUTOBIOGRAFIA/AUTOBIOGRAFIA FITTIZIA:
una persona narra in prima persona della propria vita come
se fosse una confessione, il picaro
ci offre il suo punto di vista personale del mondo, ma questa
narrazione fatta dal personaggio
non coincide con quella dell'autore. Autobiografia fittizia in
quanto l'autore fa finta di essere
un'altra persona, autore e narratore/protagonista dunque si
sovrappongono: il primo è una
persona colta, erudita che finge di scrivere in uno stile
semplice . Falsa autobiografia in quanto
in un'autobiografia il narratore il lettore e il protagonista sono
la stessa persona ma nel
romanzo picaresco non è cosi. Un'altra caratteristica è
dialogo e dialettica: il racconto è
spesso accompagnato dalla dialettica con un “tu”secondo
interlocutore, spesso concreto come
può essere nel caso del Lazarillo Vuestra Merced, e in altri
casi vi è una specie di dialogo in
cui il protagonista racconta la sua vita ad un altro
personaggio.
2) BASSA GENEALOGIA:
tutti sono accumunati da un'appartenenza sociale bassa e da
una situazione familiare
appartenente alla malavita. Vediamo che il padre di Lazaro è
un mugnaio e la madre si
prostituisce; nel Guzman il padre è un usuraio e la madre una
persona molto furba che
inizialmente si accompagna con un vecchio molto ricco ed
attribuirà il figlio a un altro; nel
Buscon il padre è un barbiere, la madre una fattucchiera e il
fratello verrà addirittura ucciso
perché rubava dalle tasche del padre; la Picara Justina è
invece figlia di giocolieri truffatori.
Un'altra caratteristica è quella della cronologia, secondo cui si
narra dalla nascita fino alla
narrazione presente del racconto.
3) CRONOTOPO (cronos=tempo, logos=luogo):
il servizio prestato a diversi padroni porta a continui
spostamenti in luoghi diversi e
geograficamente esistenti. Passare da un padrone all'altro
(scudieri, preti, ciechi, cavalieri) è
legato al fatto che trova sempre situazioni avverse, difficoltà,
malvagità a suoi danni e soprusi
che lo portano ad abbandonare continuamente un padrone
per cercarne un altro. Critica e
denuncia di queste classi sociali.
4) FAME E BISOGNI PRIMARI:
fra i bisogni primari c'è quello della fame, molto evidente in
Lazaro che poco si preoccupa
delle malelingue e pensa piuttosto ad avere la pancia piena;
fra gli altri bisogni ci sono poi
quelli escatologici.
5) NARRAZIONE RETROSPETTIVA:
chi narra arriva ad un certo punto, e ricostruisce la sua vita
guardando indietro=narrazione a
ritroso
6) PROTAGONISTA ANTIEROICO:
il protagonista deve essere un antieroe di origini misere che
imbroglia e segue principi malvagi
7) EPILOGO NEGATIVO E DISGRAZIATO:
rappresenta la conferma del determinismo sociale che
domina la Spagna in questo periodo, la
situazione finale è sempre negativa, il protagonista non riesce
a manifestare la sua purezza di
sangue, è quindi un disonorato infelice
8) CARATTERE REALISTA DELLA NARRAZIONE:
non vi sono ambientazioni fantastiche ed esotiche, ma solo
luoghi conosciuti, anche il tempo
ha riferimenti precisi. C'è fedeltà rispetto al modo di vivere
del tempo, anche rispetto al modo
di parlare e di esprimersi del tempo
9) REALISMO TEMPORALE, SPAZIALE, SOCIALE E LINGUISTICO
10) EVOLUZIONE TEMPORALE/PROSPETTIVA TEMPORALE E
CRONOLOGICA:
ci sono due visioni, quella del picaro adulto che racconta la
sua storia e quella del picaro
giovane che ha compiuto tutti i furti e la marachelle; vi è
anche una duplice prospettiva
temporale, quella di chi narra nel presente i tempi passati e
quella del presente che guarda al
futuro
11) NARRAZIONE CIRCOLARE E CHIUSA:
la narrazione si conclude nel momento presente, ma la vita
del picaro non è finita, è ancora
vivo (contraddizione), questa vita inconclusa comporta una
seconda parte
12) NARRATIVE MINORI:
insieme alla trama principale vi sono cellule narrative minori
che ornano la
narrazione</p></div></div><div><div><p>principale e
che servono per spiegare determinati comportamenti del
protagonista o per dare
lezioni morali (novelle ridotte, favole di animali).
</p><p><b>PERCH È LA NOVELLA PICARESCA NASCE IN
SPAGNA?
</b>Questioni sociali/storiche favorevoli
1) ACCATTONAGGIO. Folta schiera di poveri e mendicanti che
elemosinavano per vizio o per
bisogno; questo non è però un motivo sufficiente in quanto
non è un problema esclusivamente
spagnolo
2) MOTIVO STORICO-LETTERARIO. La picaresca è una
reazione letteraria contraria alle
novelas de caballeria che sta perdendo il suo rigore ed è
anche un proposta alternativa al
romanzo pastorale greco e bizantino. Il cavaliere è in
contrapposizione al picaro, il primo è
valoroso, il secondo un codardo che pensa solo a se stesso,
un antieroe, un anticavaliere. C'è
anche il tentativo di opporre ad un mondi idilliaco un mondo
amaro in cui vivere non è facile
come per un cavaliere.
3) MOTIVO ERASMISTA. Erasmo da Rotterdam condannava i
romanzi avventurosi, pastorali
che portavano il lettore ad evadere dalla realtà, per
promuovere una letteratura come quella
picaresca la cui chiave era il quotidiano attraverso cui si
ricavavano lezioni di vita.
4) QUESTIONE SPAGNOLA. Gli autori conversos, ovvero i
cristiani nuovi ricorrono alla
narrativa picaresca per denunciare le discriminazioni da parte
di coloro che invece hanno la
limpieza di sangre e dalla chiesa cattolica (anticlericalismo).
La società spagnola aristocratica
infatti si affannava a dimostrare la propria ricchezza
ovviamente attraverso il denaro, quanto
più riusciva ad ostentare più aumentava il suo onore (honra:
reputazione che si voleva avere,
honor: la purezza di sangue intima di una persona). Il
picaresco è in questo senso lo specchio
del desiderio di riscatto e di libertà da questa
concezione/discriminazione da parte degli autori.
5) PROLETARIATO. La novela picaresca è una sorta di genere
letterario che va a difendere la
classe sociale più disagiata, ovvero il proletariato. Ma questo
rimane comunque non
dimostrabile, sicuramente gli autori volevano criticare
l'immobilismo della società. Questa è
una problematica sociale che riguarda appunto la Spagna, è
la Spagna che si pone la
questione della reputazione dell'onore.
</p><p><b>TEORIE SU I MOTIVI PER CUI UN GENERE É
RICONOSCIUTO COME PICARESCO
</b>1) Alberto del Monte è uno studioso italiano che opera
una distinzione tra opere del genere
picaresco e opere che hanno il gusto picaresco, che si
ispirano alle prime ma che non
possono essere ritenute tali. Le prime hanno dei requisiti
molto rigidi sia semantici sia
strutturali per cui considera come primo romanzo picaresco il
Guzman, escludendo quindi il
Lazarillo.
2) Alexander Parker compie un errore analogo e ritene il
Guzman il primo romanzo picaresco
3) Per Valbuena Prati il genere picaresco può comprendere di
tutto, la sua è un'altra posizione
estrema che al contrario apre troppo il raggio.
4) La visione più lucida è quella di Fernando Lazaro Carreter
che dice che la picaresca è un
genere sia in formazione sia in trasformazione, dunque non
un genere statico bensì dinamico
che vive diverse trasformazioni nell'arco del tempo in cui
rimane in voga
Gli scrittori successivi portano le opere verso destinazioni
diverse perché ognuno le interpreta
in modo diverso aggiungendo elementi innovativi. Vediamo
ad esempio come Espinel
trasforma il protagonista da picaro a scudiero, come
Barbadillo prenderà in considerazione il
racconto autobiografico in 3° persona.
Nonostante il Lazarillo sia l'archetipo del genere picaresco,
nel romanzo il termine picaro non
compare mai e compare per la prima volta solo nel Guzman,
per questo è importante parlare
di entrambi: il primo ha aperto la strada e il secondo ha
continuato l'evoluzione e consolidato il
genere e si può quindi dire che sono interdipendenti per la
fondazione del genere
Per divulgare le opere e le idee si utilizzavano le cronacas o
relaciones de sucesos: documenti
che testimoniano il successo delle opere → Il Lazarillo esce
nel 1554 e riescono nel solito
anno ben 3 edizioni per poi non essere ripubblicato fino al
1573 e registrare entro la fine del
secolo solo altre 5 edizioni che facevano pensare ad un calo
editoriale e quindi all'impossibilità
di un seguito per il genere picaresco, così non fu in quanto
nel 1599 uscì la prima parte
del</p></div></div><div><div><p>Guzman che riscuote
successo e rilancia anche il Lazarillo, fino a registrare 10
riedizioni del
primo e ben 26 del secondo.
Gli autori che seguiranno questa scia, lo faranno
esclusivamente per gloria personale e
motivazioni artistiche.
Problema veridicità personaggio picaro= Il picaro era un
personaggio reale della società
spagnola o era frutto dell'immaginazione? Il termine è un
sostantivo quanto un aggettivo, ma
non essendoci nella società un personaggio denominato
picaro, si utilizzava più come
aggettivo qualitativo. Chiunque avesse un comportamento
fuori dagli schemi, di minima
criminalità o malvivenza, poteva essere picaro.
</p><p><b>REQUISITI DEL PICARO
</b> Personaggio privo di onore, è l'incarnazione del
disonore e deve essere un elemento
</p><p>scomodo alla società, passa la vita cercando di
procurarsi l'onore in una società che fonda
l'onore sull'apparenza, ma allo stesso tempo ambisce anche
alla libertà e all'indipendenza
(contraddizione), i tentativi saranno però sempre frustranti in
quanto falliranno sempre e lui
rimarrà tale dall'inizio alla fine dell'opera (impossibilità di
ascesa sociale).
</p><p> Afan de medro, il picaro ha questa brama di risalire
la sfera sociale, di migliorarsi
socialmente ed abbandonare le origini meschine. Per attuare
questo desiderio di riscatto e
arrivare all'apice del benessere, il picaro fa di tutto, arriva a
passare da un padrone all'altro, a
comprare titoli nobiliari, a frequentare donne dell'alta
aristocrazia .
</p><p> Legge della fame/povertà, il picaro non ha soldi e
cibo e mette quindi in gioco la sua astuzia
per raggiungere questo obiettivo e riempirsi lo stomaco
</p><p> Genealogia vile e meschile, il picaro ha origini
povere e disonorevoli, la sua genealogia è
impura infatti all'interno dell'albero genealogico vi sono
tracce di sangue contaminato da
unioni con ebrei e musulmani
</p><p> Accattonaggio, il picaro deve essere un accattone e
chiedere l'elemosina, non è un
requisito indispensabile ma sicuramente concerne il picaro in
una fase della sua esperienza
</p><p> Delinquenza, criminalità, malvivenza
Scontro con il mondo ostile, nemico e malvagio, il picaro ha
continuamente incontri
</p><p>sbagliati, subisce furti e violenze, e per evitare di
soccombore o morire è obbligato ad
aguzzare l'ingegno (passaggio dall'innocenza alla malizia).
</p><p> Cattive compagnie con cui si incontra e scontra
che gli offrono cattivi esempi
Figura solitaria, è proprio questa solitudine che lo porta a
vedere un mondo di ostilità che
</p><p>usa come giustificazione per i suoi gesti, non può
fidarsi di nessuno, è uno e uno solo
</p><p><b>CARATTERISTICHE DONNE PICARE
</b>(La Picara Justina, la Hija de Celestina, Teresa de
Manzanares e La garduña de Sevilla)
Picara ≠ Picaro: le picare non soffrono la fame e non si
muovono per cercare cibo, non sono
sole e condividono le disavventure con amiche o complici,
ottiene posizioni di riscatto
momentanee, sfrutta il proprio fascino, crimini più gravi
</p><p><b>AUTORI PICARESCHI
</b>Vi sono in particolare tre gruppi di autori: quello dei
cristiani nuovi, dei conversos (Aleman,
Lopez de Ubeda, Anonimo) che vogliono attirare l'attenzione
sulla loro emarginazione, quello
dei nobili aristocratici (De Quevedo, Espinel, Salas de
Barbadillo) che vogliono difendere la
loro posizione nobile e la loro purezza di sangue e quello degli
autori esiliati che pubblicano in
altri paesi europei (Juan de Luna) e che vogliono far sentire la
loro voce dall'esterno.
Alcuni di questi non sono veri e propri autori, ma si sono
piuttosto cimentati nel genere
picaresco per sperimentare, alcuni solo una volta. Non era
difficile, in quanto la picaresca
presentava canoni precisi e questo rendeva sicuramente più
semplice la scrittura. Alcuni erano
spinti anche dal bisogno e dalla volontà di criticare la società
o esprimere la propria
preoccupazione celandosi dietro la figura del picaro e
scaricando cosi le colpe sulla sua figura,
e sicuramente contribuiva il fatto che l'utilizzo di un
linguaggio semplificato costituiva una
scusante ai problemi della
censura.</p></div></div><div><div><p><i>Problema
datazione</i> → Nel 1554 sono uscite contemporaneamente
3 edizioni del <b>LAZARILLO
DE TORMES</b>, una da Burgos, una da Alcalà e una da
Amberes in Belgio. Per stabilire la
composizione bisogna basarsi su alcuni riferimenti ed eventi
storici menzionati all'interno
dell'opera. Ci sono in particolare due elementi che possono
aiutarci a stabilire il periodo
ipotetico entro il quale può essere stato composto il testo.
1) Quando Lazarillo parla della morte del madre, cita “en la
de Gelves” e si riferisce ad una
spedizione militare che Fernando I fece nelle coste del Nord
Africa nel 1510; nel momento
della spedizione ha 8 anni pertanto nel presente sembra
averne 24-25.
2) Alla fine della sua traiettoria Lazaro dice “el mismo ano
que nuestro victorioso emperador
en esta insigne ciudad de Toledo entrò y tuvo en ella Cortes y
se hicieron grandes regocijos”,
parliamo del momento in cui l'imperatore Carlo V entrò nella
città di Toledo e vi pose le Corti
dopo una vittoria, per quanto riguarda la convocazione delle
corti risaliamo al 1525 o al
1538/39, ma siccome si parla del victorioso imperador e
quindi della battaglia di Pavia, si
considera il 1525. La vita di Lazaro è quindi delimitata da
queste date.
Una terza informazione utile per la datazione è data
dall'allusione alla proibizione
dell'elemosina e dell'accattonaggio: “como el ano en esta
tierra fuese esteril de pan, acordaron
el ayuntamiento que todos los pobres extranjeros se fuesen
de la ciudad con pregon que el
que de allì en adelante topasen fuese prendido” → si capisce
che era stato emanato qualcosa
affinché gli stranieri accattoni lasciassero la città, attribuiamo
il riferimento al 1530, anno della
prima legge dell'accantonaggio.
<i>Ipotesi autore
</i>1) Fray Juan de Ortega, secondo lo studioso Marcel
Bataillon costui era il possibile autore del
Lazarillo in quanto nell'opera “Historia de la orden de San
Geronimo” del 1605 si dice che
nella cella del frate, dopo la sua morte, fu trovata la brutta
copia del Lazarillo.
Questa ipotesi è accettabile perché Juan de Ortega aveva una
certa erudizione e capacità di
scrivere compatibili con la stesura dell'opera, vi erano poi
giochi di parole con riferimento ai
testi evangelici e religiosi, e infine punti decisamente
anticlericali che spiegherebbero
l'anonimato.
2) Un certo Valerio Andres Taxandro attribuì il Lazarillo nel
1607 a Don Diego Hurta de
Mendoza, quest'attribuzione riscosse successo fino alla
seconda metà del 900.
3) Un possibile autore sembrerebbe essere Sebastian de
Orozco, la cui paternità si basa su
coincidenze, tematiche, contenuti di ricorsi stilistici del
Lazarillo e di altre opere sue.
4) Lo studioso, José Manuel Asensio, ritenne la teoria appena
descritta inaccettabile in quanto
sosteneva che fra il Lazarillo e le opere di Orozco ci fosse una
discrepanza linguistica e
proponeva come possibile autore Juan de Valdes in quanto
sembrava secondo lui che questo
avesse prima teorizzato i criteri nel Dialogo de la lengua per
poi metterli in pratica nel Lazarillo.
5) Iope de Rueda, 6) Pedro de Rhua, 7) Hernan Nuñez, 8)
Alfonso de Valdes
Non vi sono però prove oggettive per riconoscere come
autore del Lazarillo un autore piuttosto
che un altro e l'opera rimane in anonimato.
In che misura il Lazarillo si mantiene nell'anonimato e attinge
dalla tradizione per la
composizione dell'opera? → Il Testo di fonda sul parlato, sul
linguaggio spontaneo e racconti
tradizionali, fonti popolari e folkloriche che portano
all'apertura verso un pubblico più ampio.
C'è la critica contro la società ma anche la volontà di dare un
insegnamento morale.
Il nome del picaro ha un valore semantico, veniva associato
tradizionalmente a una categoria
sociale umile in cui i poveri si chiamavano Lazaro (“eres mas
pobre que un Lazaro”); la scelta
del nome non è casuale ma proviene dal mendicante rinvivito
da Gesù.
<i>Autobiografia</i>→ Il Lazarillo si colloca nella tendenza
cinquecentesca della smerimentazione
della narrazione in prima persona, dove il narratore diventa il
protagonista delle proprie
avventure, episodi concatenati che si susseguono uno dopo
l'altro. Nel Lazarillo c'è però una
novità, ovvero che questa pseudoautobiografia è anche una
una lettera che si rivolge ad un
detsinatario illustre cui si rivolge con atteggiamento di
ossequio (vuestra merced).
Possiamo definire l'opera come un'epistola
pseudoautobiografica la cui caratteristica è che
risponde alla richiesta del destinatario e deve spiegare una
situazione: ricorre al racconto della
propria vita (situazione classica della confessione) per
soddisfare la richiesta di
vuestra</p></div></div><div><div><p>merced.
</p><p>08/10/14
In questa epistola pseudoautobiografica c'è il protagonista-
narratore Lazaro adulto che narra
in prima persona ad un personaggio illustre di Toledo,
chiamandolo Vuestra Merced, la sua
storia partendo dalle origini arrivando al presente. Il racconto
risponde alla richiesta di questo
signore di parlare della sua situazione presente ovvero della
situazione matrimoniale presente
offuscata da dicerie → questo è il CASO. Vuestra Merced per
capire se le dicerie sono vere,
chiede la giustificazione a Lazaro (caso=situazione di Lazaro,
pretesto=richiesta di V.M)
Gli spazi in cui si ambienta la narrazione sono diversi da quelli
usati fino ora (luoghi idilliaci,
frutto della fantasia dell'autore che non corrispondono a spazi
reali), e sono dunque luoghi
reali (Salamanca, Almorox, Escalona, Maqueda, Toledo) che
Lazaro descrive in modo
oggettivo tanto da poter riscontrare una rispondenza
concreta.
Altra novità è la scansione temporale: il fatto che Lazaro
racconti una vicenda esistenziale da
adulto, fa sì che ci sia una doppia prospettiva reale tra Lazaro
adulto e Lazaro
bambino=visione dal presente al passato e dal passato sul
passato stesso.
Per l'organizzazione del libro questo è suddiviso in 7 trattati: i
primi 3 sono più estesi e
corrispondono all'infanzia ed è per questo che l'autore si è
divulgato maggiormente, si parla
del confronto che Lazaro ha col mondo ostile e coi primi 3
padroni che lo picchiano e che
fanno nascere in lui l'astuzia; gli ultimi 4 sono invece più brevi
e gli altri 4 padroni sono meno
malevoli, addirittura lo aiutano nel tentativo della salita della
china sociale, nel suo progetto
ambizioso. Per la sua ottica, crederà di aver risalito la china
sociale in quanto è divenuto
predonero (pubblicizza dei prodotti, in particolare il vino) e ha
una moglie (che sembra essere
l'amante dell'arciprete), in realtà la sua condizione secondo la
società rimane meschina, poco
dignitosa.
Stile. L'autore del Lazarillo offre un'immagine per niente
eroica della Spagna imperiale, critica
infatti le fondamenta della società stessa, la classe nobiliare
(hidalgos) e i mattoni su cui di
fonda l'intera società ovvero il concetto di onore. La prosa si
basa su 3 elementi fondamentali:
chiarezza, semplicità e precisione stilistica (richiamo al
parlato e al colloquiale).
Contraddizione del romanzo→ a livello di contenuti Lazaro non
si identifica con la società che
lo origina bensì in una posizione di contrasto, mentre dal
punto di vista dell'espressione
linguistica si identifica in pieno nell'espressione verbale
dell'epoca
Il Lazarillo si mantiene fedele alla lingua chiara, semplice
arricchita da racconti e proverbi
popolari mentre si rifuggono metafore e giochi d'ingegno
appartenenti alla letteratura alta.
È un romanzo originale per le ambientazioni reali e
soprattutto per la sua modernità che deriva
dalla coesione interna perché c'è una costruzione coesa e
coerente. Il Guzman si allontana
invece da questo schema e si rifa al Don Chisciotte, vi sono
raccontini poco compatti a causa
delle digressioni moraleggianti; nel Buscon invece si ha il
susseguirsi di situazioni una dopo
l'altra, per quanto riguarda la struttura si perde il filo del
romanzo mentre il personaggio è
coeso e compatto. La modernità sta in questa organicità,
omogeneità, coesione e coerenza;
poi ci sono elementi secondari come appunto
l'ambientazione.
Elemento innovativo è la figura del protagonista, che non è
una maschera e perché vi è una
crescita fisiologica e caratteriale dall'infanzia all'età matura,
quindi dall'innocenza all'astuzia.
Originale anche per la conclusione del romanzo rimane
ambiguo perché Lazaro giustifica il
caso, ma non lo definisce e lo lascia aperto, cosa che per
l'epoca era inconcepibile.
Confronto con i romanzi precedenti→ Per la prima volta
l'autore mette in scena un essere
umano emarginato che trae dal mondo reale e che costituisce
un antieroe
Il fatto che vada contro la Chiesa, causa presto una condanna
e il testo viene proibito e
pubblicato nel catalogo dei libri proibiti dall'Inquisizione
anche se secondo alcune
testimonianze dicono che il manoscritto ha continuato a
circolare sotto banco. Questa
circolazione ha causato per un periodo di tempo forti
manipolazioni del testo, ma poi questo
sarà riabilitato dopo una forte depurazione che eliminò i
contenuti troppo compromettenti.
Con l'uscita del Guzman e del Lazarillo i lettori notano un
nucleo comune di ingredienti: una
viene sviluppata in modo più contenuto e coeso, l'altra più
estesa e dispersiva.
Il protagonista non ha una definizione unica, nel Lazarillo
viene chiamato bellaco
(furfante,</p></div></div><div><div><p>briccone) o
gallofero (mendicante), mentre viene definito nel Guzman
come picaro, di bassa
società, figlio di vagabondi e miserabili, costretto a furti e
imbrogli per sopravvivere. Una figura
decisamente contrastante con la società 500/600, tormentata
dal fantasma dell'onore, della
purezza di sangue. Questa figura trova corrispondenza anche
con i personaggi del teatro che
nel 500 sono figure umili riconducibili appunto al picaro, sono
dunque due fenomeni
contemporanei.
Il <b>GUZMAN</b> è invece un'opera diversa, divisa in due
parti: la prima esce nel 1559 e si diffuse
talmente tanto che in pochi mesi venne ripubblicato a
Barcellona, a Zaragoza e a Madrid e
addirittura in Belgio, a Parigi e Lisbona. Nel 1606 ci fu la
prima traduzione da parte di Barezzo
Barezzi. Nel prologo l'autore lancia un'aspettativa del
pubblico circa una seconda parte, di
questo approfitterà un autore, Juan Marti, scrivendo una
seconda parte non autentica nel
1602. Inorridito da questa edizione abusiva, Mateo de
Alfarache si mette all'opera e scrive la
seconda parte nominando proprio costui, vendicandosi e
attribuendogli tutti i vizi possibili.
Questo accadeva spesso, anche il Don Chisciotte è suddiviso
in due parti, una del 1605 e una
del 1615, esce poi nel 1610 una seconda edizione apocrifa
che Cervantes riscrive
vendicandosi allo stesso modo di Alfarache.
Mateo Aleman promette anche una terza parte che però non
verrà mai composta, da nessuno
(esiste solo una terza parte apocrifa del 1650).
Aleman è un sevillano che nasce nel 1547 e conduce una vita
movimentata caratterizzata da
disavventure a livello sentimentale e ristrettezze economiche
che lo condurranno addirittura in
prigione, è quindi un picaro anche lui. Una buona parte del
romanzo è ambientata in Italia
come parte della vita dell'autore: notiamo quindi elementi in
comune tra autore e protagonista
ma questo non significa che ci sia uno specchiarsi dell'autore
con il protagonista dell'opera.
La novità del Guzman è che l'autore non si nasconde dietro
l'anonimato e che non c'è un
attaccamento morboso al realismo, non si è più interessati ad
offrire al lettore questo spaccato
di vita bensì a trasmettergli un insegnamento morale
privilegiando così l'aspetto didattico
probabilmente per non incorrere alla censura. In comune col
Lazarillo c'è invece una
particolare attenzione al lato umano ci questo furfante,
personaggio emarginato, picaro che
evolve e cresce.
</p><p>09/10/14
</p><p><b>LA SITUAZIONE DELLA NARRATIVA IN SPAGNA
</b>Sopravvivono il romanzo cavalleresco, che si legge
ancora anche se gli autori seicenteschi si
iniziano a cimentare in altri generi, il romanzo prete (novela
cortesana) di ambientazione
urbana, e il romanzo picaresco.
Nei secoli 500-600, dunque nei siglos de plata, le lettere in
Spagna raggiungono il massimo
splendore: se nel 500 si cercava la sobrietà dello stile, nel
600 si ha più struttura e non ci si
sofferma più sulla trama ma c'è più interesse nel modo in cui
si racconta quindi verso gli
artifici. Gli scrittori barocchi si dividono in due categorie: i
concettisti, (Quevedo) che
privilegiano il concetto e il significato delle parole e i
cultisti/culteranisti, interessati ai giochi di
parole estetici quindi latinismi ecc.
Il <b>BUSCON</b> nasce nel contesto invece barocco, e
viene pubblicato nel 1626 senza sapere
quando però sia stato realmente composto visto che
all'interno non vi sono riferimenti.
Non c'è più la scelta dell'anonimato anche perché non ci è
alcuna corrispondenza tra ciò che è
scritto e ciò che è la vita di Quevedo. Anche il Buscon inizia
con una lettera in forma epistolare
dove c'è il riferimento a vossignoria che si perde però dopo
poco nella sperimentazione
linguistica. L'esordio rispetta dunque il Lazarillo, ma invece di
essere diviso in trattati, è diviso
in 3 libri per un totale di 23 capitoli.
Una differenza importante si vede nel personaggio, in Pablos
non si registra quella crescita,
quell'evoluzione psicologica che c'è invece nel Lazarillo.
L'intento di Quevedo non è quello di
difendere gli emarginati ma piuttosto salvare la sua categoria
dell'aristocrazia.
Il dominio della lingua non è dato dalla ricchezza del
vocabolario, nonostante il lessico vario
ma dai dai vari giochi di parole. L'opera viene infatti
considerata un mosaico di elementi
sconnessi e l'unico elemento unificante è il personaggio che
non evolve e rimane
quindi</p></div></div><div><div><p>sempre fedele a se
stesso.
</p><p>14/10/14
</p><p><b>LAZARILLO DE TORMES
<i>Prologo:</i></b><i></i> introduce i contenuti
interessanti del testo con lo scopo di attirare l'attenzione del
pubblico parlando di cose mai sentite e vedute prima. Questo
aspetto di sottolineare
l'importanza dei contenuti risponde a determinati dettami
della retorica, l'autore inserisce
questa retorica erudita nel libro per distinguersi dal
personaggio. A sottolineare
questa</p></div></div><div><div><p>ostentazione di
erudizione corrisponde la citazione di Plinio che ha come
intento anche quello
di conquistarsi il favore del lettore mostrando un
atteggiamento di umiltà.
Importante è anche il fatto che cominci con “yo”,
introducendo subito il contatto diretto del
lettore con l'autore e facendo credere al lettore in una
coincidenza tra lettore, protagonista e
autore.
L'autore che spiega il caso sarà dunque protagonista del
caso=autobiografia fittizia→ l'yo che
scrive il prologo è lo stesso che scrive la vida del Lazarillo e
dovrebbe essere la stessa
persona che da vita al testo, ma non è così. A negare questa
coincidenza è il fatto che colui
che scrive il prologo è una persona erudita che conosce
Plinio, fa riferimenti a Cicerone e
impiega latinismi e non può dunque essere un picaro.
“noticia”→ etimologia latina, valore di conoscenza e non di
notizia, cronaca
“unos”→ valore etimologico latino di unicità, non uguale agli
altri, in spagnolo significa alcuni
L'importanza del prologo è tale che gli studiosi pensano
debba esser letto come epilogo in
quanto risulta più illuminante in fondo alla lettura. Ci
accingiamo a leggere la storia di una
persona che dopo una serie di disavventure riesce a
raggiungere una condizione tranquilla, un
puerto seguro, che poi crolla in realtà e si capisce l'ironia il
sarcasmo che lo
contraddistinguono. Il bello della narrazione è proprio l'ironia
con cui viene presentata la storia
all'insaputa del lettore.
Nelle prime 4 righe si allude alla necessità di non lasciare
questi fenomeni nell'oblio, questo
uso del condizionale potrebbe indicare un atteggiamento di
umiltà da parte del narratore
perché non è sicuro che tutti trovino interessante la lettura e
non si pretende nemmeno che
piaccia a tutti ma può essere possibile che qualcuno trovi
anche un insegnamento. C'è
dunque una doppia lettura: una di intrattenimento e una di
insegnamenti morale. L'autore
presenta questo testo anche come strumento di profitto
collettivo che sia per un motivo o per
l'altro. Il pubblico è quindi vasto e lo possiamo capire anche
dall'uso di ricorsi retorici ed eruditi
che si accattivano la parte del pubblico più elevata senza
allontanare le sfere sociali meno
abituate alla narrativa.
Profitto/Beneficio=Frutto→ si può riferire al beneficiario che il
lettore può trarre dalla lettura,
secondo una prima interpretazione sono i lettori a trarre
beneficio dalle opere che leggono,
secondo una seconda interpretazione è l'autore a trarre
beneficio dalla divulgazione dei testi
perché se così non fosse…
Unico destinatario→ modo per corroborare il fine di un reale
destinatario, vuestra merced
La honra significa la gloria che alleva e crescere le arti; se un
autore non conosce la gloria e
non viene elogiato, difficilmente continua a scrivere, quindi
come giusta ricompensa gli autori
devono essere letti ed elogiati dal pubblico, la lode è infatti il
massimo scopo per l'autore
nell'arte. Questo concetto di necessità di essere elogiati
allude alla figura del soldato. Chi
pensa che questo che si trova sempre in prima linea, pronto a
dare l'assalto, lo faccia perché
disprezza la vita si sbaglia, è infatti il desiderio di elogio, lo
stesso dell'artista che lo induce a
esporsi al pericolo. → topos della letteratura classica
Presentado→ giovane teologo che ha terminato gli studi e che
aspetta una mansione, nel
momento in cui verrà elogiato dimostrerà come tutti quanti
che anche l'uomo di chiesa prova
piacere nell'elogio.
Un altro esempio ce lo da con il signor don Fulano che ha
giostrato (torneo medievale)
pessimamente e ha regalato la sua giubba da combattimento
al giullare di corte perché l'aveva
lodato/elogiato per aver combattuto bene (ironico=spesso i
giullari si prendevano gioco delle
persone): la voglia di essere elogiati è dunque comune a
diverse categorie e persone.
Precisazione del modo in cui si scrive molto interessante, lo
definisce grosero=volgare,
sempliciotto che quindi non corrisponde al canone letterario
del momento.
Vean→ verbo con un valore notevole, modo per dare peso alla
componente realistica della
narrazione, conferisce oggettività al narrato.
Viene poi infine introdotto il destinatario, che non ha
un'identità specifica ma un appellativo di
rispetto: Vuestra Merced. Questa è la parte più importante e
si ricollega all'inizio del libro che
esprime la causa diretta della scrittura del libro ovvero la
richiesta di vuestra merced espressa
in una lettera di spiegare il caso (scambio epistolare fittizio),
cosicchè il lettore pensa che si
tratti di un testo scritto commissionato da qualcuno. Questo è
anche un modo dell'autore
per</p></div></div><div><div><p>ripararsi dalle accuse.
</p><p>15/10/14
<b><i>Primero tratado:</i></b><i></i> origini di Lazaro
Comincia con “pues”, si ha pertanto la continuazione del
ragionamento fatto nel prologo, che
abbiamo visto molto importante perché permette di
focalizzare l'attenzione del lettore sul
nucleo semantico che è il caso. Il romanzo si compone di 3
segmenti: prologo, racconto della
vita ed epilogo, e la narrazione vera e propria si trova
collocata proprio in mezzo. Questo
primo trattato è diviso in 2 parti: <b>preistoria</b> dalla
nascita fino all'incontro con il cieco avvenuto
all'età di 8 anni (passaggio non casuale=a 8 anni si ricordi) e
la <b>storia</b> vera e propria del
protagonista.
Lazaro inizia a narrare le sue origini, simulando
l'autobiografia e cercando di essere il più
realistico e dettagliato possibile con lo scopo di rafforzare
quanto più possibile la
verosomiglianza, viene messa davanti a tutto la
presentazione che fa dubitare del suo vero
nome in quanto non dice me llamo ma “a mi me llaman”; il
nome rimanda al personaggio
biblico di Lazaro di Gesu che viene resuscitato esattamente
come riscusciterà Lazaro da una
vita misera ad un bono porto.
Quando si allude alla nascita del fiume si riprende o meglio si
parodia il romanzo cavalleresco
in cui il famoso cavaliere Amadis de Gaula era nato vicino ad
un fiume e lì era stato
abbandonato in una cesta, in modo da creare un
collegamento fra il Lazaro antieroe e
l'Amadis cavaliere. Nasce da una famiglia umile (nomi
comuni, cognomi non doppi) dove il
padre era mugnaio (“que dios perdone”→ si suppone che il
padre abbia commesso qualche
fatto negativo) e la madre rimasta vedova, con l'obiettivo di
appoggiarsi a persone per bene,
troverà invece l'opposto e intraprenderà una relazione con un
moro dal quale avrà un figlio di
colore che macchierà ancora di più la famiglia di Lazaro nei
termini della purezza di sangue →
blocco dell'ascesa di Lazaro che rimane rilegato nella classe
sociale bassa
La narrazione gioca su due livelli: narrazione fittizia da
quando è bambino fino agli 8 anni e
narrazione realistica.
“sangría”→ salassi praticati per attenuare il dolore, tagli per
far uscire il sangue
- parodia del Vangelo di San Giovanni
- allusione alla spedizione di Gelves nella quale perderà la
vita il padre che abbiamo visto
permette di datare il romanzo
“Zaide”→ in arabo significa signore e questa scelta di un
nome importante per un moro
miserabile non che criminale crea ironia. È in questa
situazione che la vita di Lazaro comincia
a incamminarsi verso quella china.
Incontro con il ciego→ è il punto di svolta del romanzo perché
con questo incontro si chiude la
fase preistorica dell'innocenza e si passa a quella maliziosa
dell'adolescenza e quindi alla
storia vera e propria. Lazaro entra difatti a contatto con il
mondo ostile e si ingegna per
sopravvivere e combattere la fame
“adestralle” → destron= quelli che stanno alla destra dei
ciechi per guidarli
</p><p>16/10/14
Al prologo e anche al primo trattato si collega il
<b><i>Setimo tratado</i></b><i></i>, incentrato sulla
situazione
esplicativa del caso e sull'ultimo servizio prestato
all'arciprete.
“Despedido”→ congedo
“..todos mis trabajos y fatigas”→ disavventure, affanni, beghe
“medrar”→ migliorare la condizione sociale
Lazaro ha un duplice lavoro, ha il compito di bandire i vini, di
diffondere la notizia di oggetti
smarriti e gridare a piena voce per la città i delitti dei
compagni → mestiere deplorato
dalla</p></div></div><div><div><p>Spagna mentre per
il protagonista è la massimo aspirazione (=contrapposizione
tra Lazaro e e
la visione della Spagna)
Pag. 130: nucleo centrale, chiarimento del caso centrale del
matrimonio con una criada, un
matrimonio di convenienza sia per Lazaro sia per l'arciprete:
il primo capì di poterne ricavare
solo profitti (buona donna di casa, protezione e riparo
dall'arciprete) mentre il secondo doveva
discolparsi dalla relazione avuta precedentemente con la
donna. I due vanno ad abitare
vicino la casa dell'arciprete, tutto sembra andare bene ma
(=mas) ci sono le malelingue cui lui
non crede (protegge la moglie). A questo proposito l'arciprete
gli suggerisce di non indagare
oltre a questa situazione, ma di badare agli affari suoi e a ciò
che gli conviene.
Ricompaiono i termini “medrar”, “honra”, “provecho”
Notiamo il timore di Lazaro nei confronti della moglie che ci fa
capire che la donna è
veramente adultera, teme che i giuramenti della moglie lo
facciano sprofondare con la casa da
quanto sono falsi.
Vi sono diversi riferimenti a Dio in un romanzo che definiamo
anticlericale, risulta per questo
paradossale il fatto che Lazaro sfoderi tutto questo fervore e
amore per Dio (=ironia).
Paradossale anche il fatto di giurare sull'ostia consacrata.
In tutto ciò Lazaro si impegna a perseguire il proprio obiettivo
per salvaguardare la posizione
sociale acquisita e nascondere tutto ciò che altrimenti
dissolverebbe tutto quello che ha
costruito, e lo fa difendendo la moglie e dicendo di poter dare
anche la vita per lei.
Pace di Lazaro→ parola chiave, ambizione di
Lazaro=tranquillità di una sola famiglia
Uno dei due riferimenti storici si ha proprio alla fine di questo
trattato con l'ingresso trionfale di
Carlo V nella città di Toledo e la raccolta delle Corti di Spagna
(1525).
Nonostante si tratti di un testo cinquecentesco, non è difficile
anche se la sintassi in alcuni casi
è contorta: lo stile tende ad imitare la naturalezza e la
spontaneità del parlato ed è questo che
fa in modo che la sintassi non subisco grosse contorsioni
(modello di Juan de Valdes).
Il romanzo è il prodotto di cause-effetto, gira attorno alla
situazione familiare (anomala) in cui
Lazaro vive che secondo lui gli consente di avere comodità
mentre la morale è poco
importante rispetto al bisogno di possedere beni materiali.
Come già detto il settimo trattato si ricollega al prologo in
quanto contiene il nucleo su cui si
dirama il resto dell'opera, ovvero il CASO, ebbene cosa è? È
un fatto d'onore nell'ottica della
Spagna dell'epoca, che coinvolge Lazaro e la moglie. Caso di
apparenza che nasconde
l'autentica realtà disonorevole dell'adulterio.
Il settimo trattato contiene anche lo scioglimento
dell'intreccio, del caso annunciato nel prologo
perché è qui che Lazaro chiarisce il caso o meglio la natura
del caso che ha portato alla
narrazione del protagonista (è basato sull'onore ma non si sa
se sia risolto o no).
Nella situazione prospettata da Lazaro in questo ultimo
trattato, i lettori lo vedono dibattersi tra
due situazioni: una positiva che sarà quella che prevalerà,
che ci presenta il caso come profitto
(la situazione gli permette di non patire la fame) e una
negativa che ci presenta il
compromesso implicito che Lazaro ha dovuto accettare per
possedere i beni.
Arciprete: il picaro adulto alla ricerca di una pace definitiva,
trova la pace/il suo buen porto in
questa figura → ostentazione della fede di Lazaro
3 elementi fondamentali della struttura del romanzo= la voce
narrante che racconta la sua vita
in ordine cronologico in prima persona sempre mantenendo
la posizione fissa presente del
Lazaro scrittore, il dialogo con vuestra merced, riferimento
esplicito al caso.
Rottura col panorama dell'epoca: protagonista emarginato,
forte realismo, stile e linguaggio
inediti
</p><p>21/10/14
Lazarillo de Tormes (Anonimo)→ <b>1559, 1604
</b>Guzman de Alfarache (Mateo Aleman)→ <b>1559, 1604
</b>La picara Justina (Francisco Lopez de Ubeda)→ <b>1605
</b>El buscon (Quevedo)→ <b>1626
</b>Marcos de Obregon (Espinel)→ <b>1628
</b>Vida y hechos de Estebanillo Gonzalez (Anonimo)→
<b>1646
</b></p><p>Termine
“Picaro”:</p></div></div><div><div><p>1) da picar
(prendere un assaggino, spiluccare dalla cucina)
2) dalla picca delle zone militari
3) Piccardia=zona particolare della Francia
</p><p>22/10/14
<b><i>Segundo tratado:</i></b><i></i> da qui si inizia
l'elenco dei rappresentanti della Chiesa, il secondo padrone
è il clerigo (Clero regolare=esercita l'attività all'interno della
chiesa/Clerigo=fa parte del clero
secolare)
Di questo viene condannata l'avarizia e l'avidità e questo è in
contrasto con la caratteristiche
che di solito accumuna i rappresentanti della religione
cattolica, ovvero quella di aiutare il
prossimo. → es. faceva morire di fame Lazaro(Non pena il cibo
arrivava nelle mani del clerigo
sparisce, Lazaro non
mangia e oltretutto non riesce quindi a consolarsi nemmeno
con la vista del
cibo, si prendeva le offerte fatte all'offertorio, sperava
addirittura che le persone morissero per
sfruttare il cibo servito alle veglie
non appena il cibo arrivava nelle mani del clerigo sparisce,
Lazaro non
mangia e oltretutto non riesce quindi a consolarsi nemmeno
con la vista del cibo
Nonostante che il cieco fosse l'avarizia in persona, il clerigo
era ancora peggio
Legame 1°-2° trattato: continuo paragone tra il ciego e il
clerigo (la blanca che Lazaro riusciva
a prendere al ciego e non al clerigo, il vino amato dal primo e
odiato dal secondo)
Dopo 3 settimane di permanenza, Lazaro non riesce
nemmeno a stare in piedi, è deperito ed
arriva a desiderare addirittura la morte, ma non riesce a
ingannarlo in quanto questo si
accorge di tutto (mica come il ciego),
Re di Francia Francesco 1→ non si capisce cosa volesse dire
l'autore, forse semplicemente
voleva indicare una persona preoccupata
</p><p>23/10/14
<b><i>Tercero tratado:</i></b><i></i> al servizio
dell'Escudero, a sua volta servitore di un hidalgo
Caratteristica principale: apparenza→ portamento, modo di
vestire, prototipo vuota onorabilità
Sarà in realtà Lazaro a proteggerlo in quanto si preoccupa di
proteggere il suo onore ma non
ha niente, ha lasciato il suo paese in quanto non gli si
rivolgevano in modo adeguato (visto che
era di sangue nobile) e togliendosi il cappello →
rappresentazione caduta della nobiltà
</p><p>29/10/14
Climax di illusione seguita dalla delusione di Lazaro che si
rende conto che il momento tanto
aspettato di mangiare, non arriverà mai.
Lazaro arriva come gallofero (gallofa=pane elemosinato ai
pellegrini) a Toledo e qui trova
come padrone un escudero. Con la fine della Reconquista,
l'hidalgo si impoverisce e
l'escudero non ha più il suo ruolo e qui si entra nel vivo della
società del tempo.
Questo terzo trattato è lo specchio della Spagna in quanto
emerge il tratto folkloristico del
racconto nel racconto.
La prima giornata finisce senza che Lazaro riesca a mettere
qualcosa in bocca in un maledetto
(negro) letto con la promessa che il giorno dopo si sarebbero
accomodati in qualche modo.
Ironia→ il giorno dopo prima di andare a messa, l'escudero
raccomanda a Lazaro di guardare
la casa in realtà dentro però non c'è nulla
Pag.83→ richiamo biblico che ci fa pensare che l'autore è una
persona colta
Riflessione sulla honra→ è una specie di religione, il cristiano
finge di aver mangiato e riesce a
sopportare una serie di cose che non riuscirebbe a rispettare
per la religione vera a propria
Lazaro comincia così a chiedere l'elemosina alle porte più
grandi, e prima che l'orologio
segnasse le 4 aveva già diversi pani → tempo scandito
dall'orologio
Il critico Claudio Guillen individò nel Lazarillo 3 tipi di tempo:
cronologico, quello abbastanza
lento visto fin'ora, e quello narrativo e psicologico che
abbiamo dal terzo trattato in poi che
coincidono.
Rapporto di compassione tra servo-padrone→ (pag.92) Lazaro
rimediava sempre qualcosa da
mangiare da qualche locanda mentre lo scudiero non aveva
niente, è qui che notiamo
la</p></div></div><div><div><p>compassione che
Lazaro prova verso l'unico padrone che lo sta trattando come
uomo ma che
dice di preferire più umile. In questo rapporto ad avere la
meglio è il padrone in quanto il servo
è troppo ingenuo.
Svolta: viene emanata la decisione di far lasciare la città di
Toledo a tutti gli “stranieri” che se
non lo avrebbero fatto sarebbero stati presi a frustate. Lazaro
smise così di chiedere
l'elemosina ritornando così alla situazione di fame iniziale fino
a che, venuto l'escudero in
possesso di un reale, manda Lazaro a cercare da bere. Per la
strada trova un gruppo di
persone con un morto vicino al quale c'era la moglie e altre
donne che piangendo dicevano
che avrebbero portato il porto alla casa lugubre dove non si
mangia e beve mai, Lazaro
pensando si trattasse della sua, si precipita a casa per
bloccare la porta. Lo scudiero
ovviamente più sveglio, si farà delle grandi risate.
Arrivano i creditori (pag.106), un uomo che chiede l'affitto
della casa e una vecchia che chiede
l'affitto del letto e con loro l'alguacil, il poliziotto e lo scribano,
che essendo stati chiamati da
questi ora vogliono essere pagati. A loro volta i creditori non
avendo riscosso, cercano un
accordo tramite gli oggetti della casa, il materasso pagò per
tutti.
Abbiamo qui il primo esempio di padrone che lascia il servo.
Con la fine di questo terzo trattato si chiude la fase del Lazaro
ragazzino, ingenuo, che prova
compassione per il padrone e vi stabilisce un rapporto
</p><p><b><i>Cuarto tratado: </i></b><i></i>al
servizio di un frate della merced che stette con lui poco
tempo. Andò da lui
su consiglio delle vicine che lo avevano ospitato. La figura del
frate viene designata come
parente=amante
È la prima persona che gli da le scarpe→ significato erotico→
gli regala le scarpe fisicamente
e lo avvia alla vita sessuale (sembravano addirittura avere
rapporti, è per queste dicerie che
poi Lazaro se ne va da lui)
Trattato pieno di allusioni che viene infatti tolto in varie
edizioni
</p><p><b><i>Quinto tratado:</i></b><i></i> al
servizio per 4 mesi di un buldero=venditore di
bolle/indulgenze
Siamo nel vivo di una problematica religiosa→ culmine della
Controriforma, inizio riforma
Luterana.
È qui che Lazaro apre definitivamente gli occhi, in quanto
assiste agli imbrogli del padrone per
vendere le bolle→ faceva leva sulla credulità popolare, se ne
approfittava e usava la religione
per fare soldi (tema antico, già trattato nelle novelle italiane).
</p><p>30/10/14
Quando infatti non riusciva a vendere le bolle, le vendeva con
gli imbrogli. Lazaro è dapprima
spettatore, non capisce poi vede l'inganno → messa in scena
di una chiesa per far capire alla
gente che stavano dicendo la verità e per farli così acquistare
le bolle
</p><p>4/11/14
</p><p><b>GUZMAN DE ALFARACHE
</b>È il secondo romanzo picaresco in ordine cronologico
(prima parte 1599; seconda parte 1604)
ed il primo in cui viene usato il termine “picaro”. A differenza
del Lazarillo, c'è un autore, Mateo
Aleman che entra nell'autobiografia fittizia, caratteristica
fondamentale per definirsi romanzo
picaresco. Il picaro parla della sua vita e delle sue esperienze
che riflettono la vita dell'autore e
dietro alle sue considerazioni si pone l'ombra del
personaggio.
Importante ricordare che vi sono molte analogie con il Don
Quijote (prima parte 1605; seconda
parte 1615). Cosa accomuna questi due personaggi? La vita
ad esempio, il padre di Aleman
era medico e il padre di Cervantes era un cerusico che
eseguiva piccoli interventi;
inoltre</p></div></div><div><div><p>entrambi
sembrano essere conversos (ebreo convertito); entrambi
sono stati in carcere per
motivi di denaro, ad esempio le imposte che entrambi
riscuotevano per l'approvvigionamento
dell'invincibile armata; stesse disavventure editoriali, per
entrambi ci sarà una continuazione
apocrifa
Guzman→ tema del denaro, tasse, finanza e commercio
Lazarillo→ fame
Mateo Aleman: studiò medicina e legge, diventò contador
real di Filippo II (esattore tasse del
regno), carica che lo portò ad avere diversi dissidi con gli altri
autori. Viene poi mandato a
sorvegliare una miniera di mercurio nell'alta Castiglia,
proprietà dei furer tedeschi, che era in
realtà un luogo di sfruttamento dei galeotti che lavoravano in
condizioni disumane. Con la
denuncia di questa situazione, si dimise dal suo ruolo.
Attraversando così un periodo buio, di
crisi e di amarezza compone il Guzman già nel 1597 come
riflesso della su crisi interna, in cui
il protagonista è un picaro che viene anche chiamato Atalaya
(sentinella) della vita umana.
Nella prima pubblicazione dell'opera è inserito nel
frontespizio un ritratto/incisione in rame
dell'autore, rappresentato con la mano sinistra poggiata su
un libro su cui è scritto
Corta=Cornelio Tacito→ riferimento alla prosa densa che
costui comandava nei confronti della
tirannia del tempo, e con l'indice rivolto verso un'impresa o
emblema (un serpente su cui sopra
c'è un ragno che scende con una scritta “ab insidis non est
prudentia”=con l'insidia non eisste
la prudenza→ il serpente rappresenta la prudenza mentre il
ragno che senza farsi scoprire
cala il suo veleno sulla testa del serpente avvelenandolo,
rappresenta l'astuzia). L'emblema
nasce nel 500 con il “Liber emblematum” di Andrea Alciato,
una letteratura mista tra immagine
a parole.
Non c'è prudenza che tenga contro l'insidia, visione
pessimistica del mondo che percorre
l'intero Guzman.
</p><p>Il romanzo è diviso in due parti, ciascuna parte in
tre libri a sua volta divisi in capitoli
Spiegazione emblema
<i>1° Citazione:</i> il ragno, infinitamente più piccolo,
scende con un filo, afferra il serpente per il
capo e lo stringe fino a che non la uccide con il suo veleno
<i>2° Citazione:</i> la rete del ragno è sottilissima,
impercettibile e artificiosa tanto che nemmeno un
pensiero altrettanto sottile può scoprirla, nonostante ciò
nessuno la rompe e
conseguentemente qualche preda rimane per forza
intrappolata
<i>3° Citazione:</i> tutti per i propri fini usano l'inganno→
non c'è una prudenza contro l'inganno, che
regga l'inganno; è sciocco pensare che il prudente possa
prevenire colui che l'ha spiato
</p><p><b>Differenze con il Lazarillo</b>:
1) <i>autobiografia:</i> si inizia con una bassa genealogia
che nel Lazarillo si limita alla povertà
mentre nel Guzman a questa si aggiunge l'infamia
2) <i>spazio:</i> il Lazarillo si svolge camminando e non
esce da Castiglia, Salamanca e Toledo,
mentre nel Guzman la geografia si allarga enormemente, si
parte da Alfarache, si parla
dell'Italia, si torna in Spagna ad Alcalà, a Madrid e a Siviglia
3) <i>stessa visione retrospettiva:</i> si convertono e
rinnegano le truffe fatte nel passato
4) <i>struttura simile, enunciazione diversa</i>: soliita
struttura perché in entrambi i romanzi l'autore
scrive in seguito a un evento che l'ha smosso; in Lazaro la
narrazione è limpida, lineare,
semplice, senza digressioni mentre nel Guzman è interrotta
da continue digressioni morali e
storie narrate da altrimenti; enunciazione dunque
frammentaria con una struttura introspettiva
(spinto da una crisi interna di Aleman tra bene o male) che lo
porta spesso a rivolgersi a se
stesso o al lettore per convertirlo o giustificarsi.
5) In Lazaro si è parlato di bisogni primari come la fame
mentre nel Guzman c'è più il bisogno
scatologico (moglie del cocinero che dopo un grande
spavento se la fa)
6) aspetto nuovo→introduzioni di inserti narrativi
</p><p>5/11/14
Il Guzman si legge in 3 passi.
<b>1° PASSO</b>→ Si parla della bassa genealogia, notiamo
già nel concepimento di
Guzman</p></div></div><div><div><p>l'origine
fraudolenta: la madre imbrogliò difatti l'uomo con cui stava
dandosi appuntamento in
campagna con altro dove finse di sentirsi male ed ebbe un
rapporto sessuale. Una volta morto
il finto padre, si sposerà con il vero padre, anche questo
tutt'altro che una persona onesta.
La stessa nonna Marcela imbrogliò una dozzina di uomini
facendo credere a tutti di essere il
padre della figlia (somiglianza di occhi, nei, ecc), addirittura li
teneva tutti insieme e riusciva a
non farli beccare fra loro. Quando erano presenti più “padri”
chiamava la figlia per nome,
altrimenti per cognome. La nonna fingeva di essere nobile e
pensava di essere figlia di un
cavaliere o dei duchi di Medina Sedonia (i grandi di Spagna),
si inventava delle casate fra cui
quella dei Guzman, considerata molto antica e ricca,
discendente dai Goti e forse dalla
contrazione “good man”.
Il matrimonio era un tema importante nella picaresca ed è
strettamente intrecciato al tema del
denaro, non veniva infatti celebrato per amore: il padre di
Guzman si sposa con la madre in
quanto questa aveva ereditato dal primo marito un ingente
somma di denaro, così lo stesso
Guzman si sposerà due volte sempre per denaro
<b>2° PASSO</b>→ Nel momento in cui la madre si
impoverì, Guzman decise di abbandonarla per
andare a cercare fortuna sotto il cognome di Alfarache (luogo
in cui era stato concepito) per
non essere riconosciuto. Guzmanillo si converte ora in
Guzman grande.
Si imbatte in un'osteria dove una vecchia, vedendolo
affamato e soprattutto ingenuo, gli
prepara una frittata con le uova marce (tema del mangiare
diverso dal lazarillo=aspetto
scatologico come vomito) che a Siviglia andavano male
velocemente a causa del caldo (tema
donna vecchia e brutta molto frequente nel secolo d'oro) .
Guzman dice però di avere colpa, in
quanto è lui ad aver mangiato la prima cosa che gli è capitata
sotto gli occhi. Proseguì così,
col pensiero di ciò che aveva mangiato, il cammino finché
non vomitò. Iniziò poi a riflettere
sulla sua partenza mal progettata.
<b>3° PASSO</b>→ Incontra un mulattiere che dopo aver
sentito la sua storia si mette a ridere,
perché era capitata la solita cosa a lui con una frittata di
cenere. Si ferma poi ad una locanda
dove incontra un mesonero cui farà da ragazzo, e così via
altri personaggi finché non arriva a
Madrid e diventa aiutante di un cuoco. Questo episodio lo
mette in contatto con la moglie del
cuoco: una notte, sentendo un miagolio di gatti e pensando
che potevano essersi buttati sulla
carne che il cuoco/padrone aveva raccomandato di
sorvegliare, si precipita giù; la stessa cosa
viene fatta dalla moglie del cocinera che ubriaca e nuda si
ritrova davanti all'uomo, che
identifica col fantasma di un vecchio cocinero che non era
stato pagato. Di fronte a questa
scena, la moglie si fa i bisogni addosso e sarà Guzman a
ripulirla. Rimasta imbarazzata, la
donna lo fa cacciare.
</p><p>6/11/14
</p><p><b>LA PICARA JUSTINA
</b>Appare nel 1605 a Medina un altro romanzo picaresco,
“La picara Justina” di Ubeda.
Il romanzo porta grandi novità, lo scrive un uomo
probabilmente sulla base del grande
successo ottenuto dal Guzman ma per la prima volta il
protagonista è una donna.
Secondo alcuni (come Rico) non è da considerarsi un vero e
proprio romanzo picaresco ma
piuttosto una parodia, in quanto non ha né un pretesto per
essere narrato né Justina è la moza
de muchos amos.
L'obiettivo dell'autore non è denunciare una società corrotto
come nel Lazarillo, o riflettere
sulla propria vita come nel Guzman, bensì sembra che
l'autore abbia scritto un libro
buffonesco per la corte per divertire, dedicato infatti a Don
Rodrigo Calderon.</p></div></div><div><div><p>Il
romanzo ha una struttura particolare, certamente non
picaresca. Ogni numero ha
un'introduzione in versi diversa e in tutti c'è un'esibizione
metrica. Alla fine di ogni numero c'è
invece una morale. Continue interruzioni con decrizioni.
Personaggio senza sostanza, non
credibile, grottesco, burlesco. No realismo.
Opera divisa in due parti, ciascuna parte divisa in libri i cui
titoli corrispondono alle stagioni
della picara Justina, a loro volta divisi in paragrafi/muneras:
1°= picara muntañosa
2°= picara romera, pellegrina
3°= picara pleista, litigiosa
4°= picara novia
</p><p>11/11/14
Nel primo libro si ha la scena grottesca della morte della
madre e la descrizione della sua
genealogia ridicola. Era figlia di due mesoneros, locandieri
che danno consigli alle figlie per
imbrogliare. Il padre è morto per metà razione di orzo a cui
aveva mescolato della paglia, un
cavaliere se ne accorse e lo uccise con un pacco mentre la
madre (con cui aveva un rapporto
decisamente freddo) si strozzerà con delle salsicce.
-Oggetti e cibo personificati
Nel secondo libro Justina inizia ad andare in giro per il mondo
truffando tutti gli uomini senza
però mai andare a letto con loro→ esaltazione della castità
(anche se non era vergine)
Nel quarto libro si sposa ed avrà ben tre mariti di cui l'ultimo
è il Guzman de Alfarache.
*riassunto vedi fotocopie saggi
</p><p><b>EL BUSC ÓN
</b>Buscar= cercare, imbroglione/furfante
No riferimenti al posto da cui proviene e nemmeno al nome
Viene pubblicato nel 1626 a Saragozza ma la stesura sembra
essere avvenuta sull'onda della
grande popolarità della picaresca quindi dopo la
pubblicazione nel 1599 del Guzman.
Non può però essere stata scritta prima del 1603 in quanto
nel testo ci sono riferimenti
all'Assedio dei Paesi Bassi di Ostenda e perché nel 1603-1064
viene scritta un'opera citata nel
testo.
</p><p>12/11/14
Quevedo (1580-1645) è un poeta satirico e autore di trattati
politici, morali e filosofici che
riflettono il passaggio della situazione ispanica dal momento
di grande splendore con Filippo II
e Filippo III al periodo della decadenza della monarchia e della
grande depressione economica
con Filippo IV. Quevedo è l'interprete di questo sentimento del
disinganno, del disincanto.
Stile
Siamo di fronte ad un opera con prosa particolare, geniale,
concettista e figurata che si basa
su una grande quantità di giochi di parole con doppi
significati che portano difficoltà nella
traduzione→ es. Naval/Navonal= battaglia col cavolo e
battaglia navale
Apparentemente siamo di fronte ad un'autobiografia ma lo
stile con cui parla Pablos è quello
dell'autore e l'autore si scopre.
Il tempo è sempre uguale, il Buscon non termina e non ci
sono avventure che portano ad un
miglioramento, ad una progressione o a situazioni di picco.
Non viene definito romanzo picaresco, ma romanzo con
personaggi picareschi
</p><p>Il Buscon si articola di 3 libri corrispondenti alle tre
età dell.uomo: infanzia, prima adolescenza
e giovinezza
<b>Primo libro
</b>Il PRIMO CAPITOLO è caratterizzato dalla descrizione dei
genitori e di quella che è la bassa
genealogia: la madre, Aldonza di San Pedro (cognome tipico
dei conversos ma in realtà era
una cristiana vecchia) era una strega/fattucchiera (riflesso del
tempo=processi contro le
streghe) che alcuni ritenevano ruffiana e altri invece molto
capace ed eccezionale, mentre
il</p></div></div><div><div><p>padre era un barbiere
che mentre faceva la testa ai clienti, faceva mettere le mani
al figlio di
soli 7 anni (mortò poi di frustate in carcere) nelle tasche dei
clienti per derubarli. Fra i due vi
era un contrasto di opinioni a proposito di chi Pablos dovesse
imitare nella sua attività, ma lui
aveva sempre avuto progetti da gentiluomo e proprio per
questo chiese di essere mandato a
scuola (eccezione picaro che studia)
Il SECONO CAPITOLO si incentra invece sui suoi trascorsi a
scuola, dove, avendo come
obiettivo quello di ascendere nella società ed essere un
gentiluomo, si mette vicino alle
persone più importanti, in particolare a Don Diego Coronel.
Essendo il preferito, aveva suscitato le invidie dei compagni
che erano soliti attribuirli
soprannomi riguardanti il mestiere del padre (Don Rasoio,
Don Coppetta), in particolare si
parlerà di due burle subite da questi: passa un uomo di nome
Ponce de Aguir e Don Diego gli
dice di chiamarlo Ponzio Pilato, attribuendogli quindi una
possibile origine ebraica, questo
sguainerà il coltello così che Pablos si rifugierà dal maestro
che lo frusterà raccomandandosi
di non dire più quel nome. Ebbe così paura che quando andrà
in chiesa a dire il credo invece
di dire “sotto il nome di Pilato” dirà “sotto il nome di Aguir”.
Ancora a Carnevale,come di abitudine, veniva eletto un
bimbo che sarebbe montato in groppa
ad un cavallo e avrebbe tagliato la testa ad un gallo
(opportunità di essere re di Gallos), quel
giorno toccò a Pablos ma il cavallo, striminzito e zoppo, finì
per terra e Pablos in una latrina.
Dall'episodio, Don Diego ne uscì con la testa sfasciata e i
genitori decisero di non mandarlo
più a scuola, così Pablos per non abbandonarlo si mise al suo
servizio e lasciò con lui la
scuola.
</p><p>13/11/14
Nel TERZO CAPITOLO Don Diego e Pablos arrivano ad un
collegio in cui ad occuparsi
dell'educazione dei figli dei signori c'era il dottor Cabra il
quale non dà da mangiare ai suoi
studenti che infatti patiscono la fame e la narrazione si
concentra sulla descrizione della fame
tanto da farci dimenticare i personaggi. “Fortunatamente” un
compagno si sentì male e il
medico disse che la fame era giunta ad ammazzarlo, con la
diffusione di questa notizia il
padre di Don Diego si convinse a tirarli fuori dal collegio.
Nel Lazarillo non abbiamo ritratti mentre nel Buscon la
persona viene descritta sulla base della
scomposizione anatomica e della dissezione del corpo.
Un'altra tecnica è la Cosificazione cioè il corpo paragonato a
un oggetto, in modo da svuotare
l'aspetto umano del personaggio e da ridurlo a pupazzo
Nel QUARTO CAPITOLO si ha la riabilitazione, i due piano
piano cominciano a riprendersi e a
recuperare le forze.
Siamo nell'assurdo= il dottore ordina di non parlare a voce
alta perchè gli stomaci da quanto
sono vuoti producano l'eco
Dopo circa 3 mesi il padre li mandò ad Alcalà affinché
terminassero gli studi di grammatica.
Il QUINTO CAPITOLO si apre con l'arrivo dei due alla casa che
avevano preso in affitto con
altri tre inquilini studenti come loro. All'Università Don Diego
frequentava le aule dei padrini
degli studenti che conosceva suo padre mentre Pablos era
sempre solo→abusi verso la
matricola (nonnismo)= viene riempito di sputi, gli mettono le
mani addosso e mettono degli
escrementi nel suo letto
</p><p>18/11/14-20/11/14
Nel SESTO CAPITOLO finalmente Pablos si ingegna, e decide
di essere il peggior
mascalzone fra i mascalzoni: un giorno infilzò con la spada
due porcelli solo perché entrando
in casa sua erano stati molto maleducati.
Nel SETTIMO CAPITOLO Pablos riceve una lettera dello zio il
quale informa il nipote circa la
morte del padre squartato dallo stesso, l'arresto della madre
da parte del Tribunale
dell'Inquisizione perché dissotterava i morti, restaurava le
vergini e contraffaceva le donzelle, e
circa la somma di denaro che gli spetteva in eredità. Allo
stesso tempo Don Diego scrisse al
figlio per ordinargli di tornare a casa visto che era stato
informato delle bricconate di Pablos.
Entrambi si mettono così in cammino verso le rispettive
case.</p></div></div><div><div><p><b>Secondo
libro</b>→ libro delle peregrinazioni da Alcalà a Segovia e
poi da Segovia a Madrid,
durante le quali incontra diversi personaggi tipici della
società, figure satireggiate che erano
per lo più intorno alla corte, ambiente che Quevedo
conosceva bene in quanto la sua famiglia
aveva dei legami con questa.
Triangolazione: rapporto tra Pablos e don Diego che si
interrompe alla partenza e che viene
sostituito dal rapporto con don Toribio, figura che rappresenta
l'opposto di don Diego ovvero la
nobiltà decaduta.
PRIMO CAPITOLO. Vendendo le poche cose che aveva e
ricorrendo a qualche imbroglio,
riuscì a pagarsi il viaggio. Si imbatte in un'arbitrista che
faceva progetti su come conquistare
la Terra Santa e su come prendere Algeri; fermatosi questo a
Torrejon per andare a trovare un
parente, incontra uno spadaccino impegnato nell'esercitare
una finta per la quarta parte di
circonferenza della stoccata più ampia in modo da bloccare la
spada dell'avversario e
ucciderlo, che lo accompagnerà fino a Rejas dove
soggiorneranno in una locanda.
SECONDO CAPITOLO. Incontra un vecchissimo prete su una
mula diretto come lui a Madrid
che compone poesie ridicole su qualunque sciocchezza tanto
che Pablos non può nominare
niente senza che egli vi avesse scritto qualcosa. In queste
invece di adorare Dio adora la
propria donna. Pablos, nel tentativo di farlo tacere, inventa
un'ordinanza, un editto in cui i poeti
erano stati dichiarati pazzi (si pensa fosse già presente in un
opuscolo e che poi sia stato
inserito nel romanzo)
TERZO CAPITOLO. Viene esplicato questo falso editto,
secondo cui durante la Settimana
Santa i poeti avrebbero ricevuto prediche davanti alla Croce,
secondo cui i loro versi dovevano
essere bruciati o tirati nei gabinetti e assolutamente non
trasportati, la loro occupazione
doveva essere abbandonata.
Giunta l'ora di ripartire i due si congedarono e Pablos si
imbatte in un soldato che cominciò a
mostrargli i molteplici tagli che portava sulla faccia e sul
corpo come segni delle numerose
imprese cui aveva partecipato. Mentre chiacchierano
entrambi si imbattono in un eremita su
un asinello. Arrivati a Cercedilla, entrano in una locanda e
iniziano a giocare a carte, a sette e
mezzo, e l'eremita li pelerà completamente. Una volta
ripartiti, i due incontrano un genovese
(uno di quegli anticristi del denaro in Spagna) che parlava
solo di quattrini e del fallimento di
un banco di cambio.
Giunge alla mura della città di Segovia e va alla ricerca dello
zio boia (personaggio grottesco e
losco) che trovò in una processione di ignudi. Da questo
doveva prendere l'eredità dei genitori
e subentra così il <i>tema del denaro</i> che sarà d'ora in
poi predominante nel romanzo, e che è
pero legato alla giustizia: la giustizia si può guidare tramite il
denaro infatti il lavoro dello zio
poteva essere attenuato se i condannati gli davano dei soldi.
QUARTO CAPITOLO. La narrazione gira attorno alla
descrizione della cena (orgia, tutti
ammassati ma senza rapporti sessuali) con lo zio e con alcuni
suoi amici ambigui e loschi che
si scoprirà essere dei giustiziati risparmiati = parodia
dell'ultima cena del Vangelo, invece del
pane ci sono però delle salsicce (idea dissacratoria che
comincia proprio nel momento in cui il
cibo viene messo in tavola). Per la cena vengono serviti
pasticci di carne che Pablos non vorrà
mangiare in quanto sa che spesso viene usata la carne delle
persone giustiziate/squartate (il
padre era appena stato giustiziato, diviso in 4 parti e
seppellito per strada) → <i>tema macabro,
elemento antropofagico </i>(uomo che mangia altro uomo)
Aspetto onomastico→ i commensali della cena hanno nomi
caratteristici della mala vita
Sentimento di Pablos→ si vergogna di avere uno zio boia,
vuole i soldi e andarsene subito
Nonostante sia una cena per piangere il defunto, l'unico
elemento che richiama questo evento
è l'incenso che i personaggi scambiano per salsicce.
Riscossi i suoi averi, una mattina, dopo aver lasciato una
lettera allo zio nella quale spiegava i
motivi della sua partenza e la volontà di non rivolerlo vedere,
decise di ripartire per la capitale,
che si trova nel momento della sua massima espansione
tanto da rappresentare la Spagna
intera.
Elementi che rimandano all'impiccagione: corda del cestino
che fa tornare su il cibo=corda
impicati, lo zio vive in un mattatoio=allusione alla forca e
all'oscurità
QUINTO CAPITOLO. Partì così con un grande desiderio di non
incontrare più
nessuno,</p></div></div><div><div><p>quando in
lontananza vide arrivare un gentiluomo dal passo frettoloso,
Don Toribio, che in
realtà si rileverà ancora più povero di Pablos e ancor più
sventurato. Per passare il tempo
lungo il cammino, Pablos lo pregò di raccontargli come, con
chi e in quale modo vivessero
nella capitale quelli che non avevano mezzi come lui. La
chiave principale è l'adulazione che
in posti del genere conquista ogni benevolenza.
SESTO CAPITOLO. Prosegue il viaggio con il gentiluomo che
continua a parlargli della sua
vita e delle sue usanze. Quelli come lui sanno l'arte
dell'arrangiarsi, soffrono la fame,
conoscono a memoria tutti i negozi di abiti vecchi e non vi è
nel loro corpo qualcosa che non
sia stata un'altra cosa, sono soliti dire menzogne. Con questi
discorsi convinse Pablos ad
avviarsi alla carriera di imbroglione.
</p><p>25/11/14-27/11/14
<b>Terzo libro
</b>PRIMO CAPITOLO. Giunti a Madrid, si recano in una
specie di confraternita di straccioni amici
di Don Toribio, dove imparerà alcune strategie
SECONDO CAPITOLO. Di mattina si prepararono e a ciascuno
venne assegnata una zona
per cercarsi da vivere. I due andarono verso San Luis quando
videro un tale col quale Don
Toribio aveva dei debiti in sospeso, subito si trasformò per
non essere riconosciuto
insegnando così a Pablos un trucco per non pagare mai i
debiti.
Incontrò poi il dottor Flechilla, un suo amico, che lo conduce
poi
Userà diversi nomi falsi (don Ramiro Guzman, don Felipe
Tristan) e quando cercherà di
sposarsi con dona Ana, verrà scoperto dal suo vecchio
padrone don Diego e finirà per essere
bastonato. A questo punto la decisione di tornare a Toledo
dove nessuno lo conosce e dove
inizia a far parte di una compagnia di comici per poi
abbandonare tutto e diventare galante di
monache. Passa poi a Siviglia dove continua a guadagnarsi
da vivere con i suoi giochi da
imbroglione
TERZO CAPITOLO. Continua questa pratica dell'accattonaggio
e si parlerà di un'eremita,
penitente che faceva finta di essere uno che flagellava di
carne e in realtà aveva una frusta
con del sangue che gli era colato dal naso.
QUARTO CAPITOLO.
</p><p>“<b></b>IL ROMANZO PICAR ESCO E IL PUNTO DI
VISTA” di Francisco Rico
I. LAZARILLO DE TORMES, O LA POLISEMIA
Nel 1554 le stampe danno alla voce “La vida de Lazarillo de
Tormes, y de sus fortunas y adversidades”,
dove compare la storia di questo ragazzo non figlio di nobili
ma di un mugnaio e una lavandaia che era
stato servo di un cieco, di un prete e di uno scudiero, e che
frequentava sempre infime locande; pertanto
un personaggio umile il cui apice della fortuna coincide con
un posto di banditore e il matrimono con la
concubina del prete ≠ romanzo cavalleresco → non vi sono
infatti scene eccitanti, scenari abbaglianti, nè
veniva data attenzione a personaggi miseri in quanto
appunto la convenzione letteraria non ci andava
daccordo.
Esisteva infatti una forma letteraria adatta a conciliare la
tradizione retorica e la modesta storicità: la
lettera, su cui si basa il Lazarillo.
La lettera è la metà di un colloquio e il racconto è dato da
continui appelli al destinatario, inoltre, dato che
la prassi antica aprescriveva l'indicazione del luogo e della
data alla fine, l'opera termina con
&lt;questo</p></div></div><div><div><p>accade lo
stesso anno&gt; e &lt;questa insigne città di Toledo&gt;.
Kristeller, uno studioso, ha scoperto nell'individualismo,
caratteristica tipica rinascimentale, uno dei fattori
di successo della letteratua epistolare di questo periodo: si è
sempre prestata alla confidenza e alla
confessione, incentrata quindi sull'autobiografia.
Angelo Poliziano a proposito distingue due tipi di lettera: la
“gravis et severa”, spesso usata per giustificare
un determinato fatto, e la “otiosa, giocosa”, più divertente
con diversi proverbi e stile molto scorrevole.
Quest'ultima tendeva a concentrarsi su un solo episodio in cui
l'oggetto di burla o di riso era l'autore stesso
della lettera e si prediligeva il pettegolezzo, l'ironia e
l'allusione piccante, a questa tradizione si riallaccia il
Lazarillo de Tormes. Vediamo ora come Lazaro racconta ciò
che solo lui può sapere e come ciò che appunto
racconta è in buona parte la ragione per la quale racconta
qualcosa.
IL CASO → La struttura epistolare non poteva essere adottata
senza una scusa. A chi sarebbe parso
credibile che un tipo da 4 soldi si preoccupasse di mettere per
iscritto sus fortunas y adversidades? Bisogna
quindi chiedersi quale sia il caso che ha suscitato la curiosità
di Vossignoria e quindi indotto Lazaro ad
abbozzare un'autobiografia: il protagonista esercita un
mestiere reale, è sotto la protezione dell'arciprete di
San Salvador e ha il compito di gridare pubblicamente i vini
da lui messi in vendita. Il giorno stesso in cui
a Toledo vengono chiamate le corti da Carlo V per la vittoria
della battaglia di Parma, Vossignoria aveva
chiesto che si scrivesse del caso proprio nel momento in cui
Lazaro conosce l'arciprete, si sistema
definitivamente a Toledo, ottiene un posto di banditore e si
sposa una domestica del prete con il quale
sembra avere una tresca. Per questo non mancavano le
malelingue, questo non è altro che il caso che
Vossignoria chiede a Lazaro che le si scriva per esteso, e che
Lazaro spiegherà dal principio per rivendicare
l'onore della moglie. Capiamo ora come l'autobuografia
dipende dal caso e nello stesso tempo lo giustifica.
IL CIECO E VOSSIGNORIA → Il nucleo del Lazarillo si trova
nella sua conclusione e quindi al caso, al
quale si sono poi andati aggregando altre cellule narrative,
come ad esempio le disavventure di Lazaro al
servizio del cieco che si ordinano intorno a 5 motivi
fonfamentali: la gran calabazada (grande zuccata)
contro il toro di pietra, le astuzie per bere il vino del suo
padrone, la burla dell'uva, il furto del salame con
consueguente bastonatura e l'urto del cieco contro un
pilastro. L'1 e il 5 sono testa e croce di un unica
moneta: il cieco dice al ragazzo che avvicinando l'orecchio al
toro di pietra situato all'entrata del ponte
romano di Salamanca, avrebbe potuto sentire un grande
rumore al suo interno. Eseguendolo, Lazaro riceve
una capocciata e questo momento coincide con la presa di
coscienza della sua solitudine e di quella sua
condizione addormentata che lo portano a vendicarsi con uno
stratagemma parallelo. Il narratore si
compiace di raccontare a Vossignoria queste bambinate per
mostrare la grandezza della virtù di quelle
persone che dal basso riescono a risalire in alto, questi appelli
a Vossignoria svolgono una tripla funzione:
precisano il carattere epistolare del racconto, proiettano sul
protagonista ritagli della sua vita passata e
rafforzano l'illusione di storicità e la verosomiglianza globale
del romanzo. Possiamo ancora individuare
come elemento unificatore delle due scene il motivo del vino
il quale compare per la prima volta nel
momento in cui Lazaro diventa un banditore e poi compare
nelle due scene come cura. Ancora vediamo
come la 2 e la 4 si rafforzino mutuamente: il cieco scopre
Lazaro mentre gli frega il vino sotto il naso e lo
punisce spaccandogli il muso con un boccale per poi lavargli
la ferita con lo stesso corpo del delitto, ancora
quando il ragazzo gli ruba un salame e riceve una
smazzolata, viene pulito con lo stesso rudimentale
disinfettante. Nella 3 invece padrone e servo concordano di
mangiare un grappolo d'uva spizzicando un
solo acino alla volta, entrambi barano, il cieco, molto astuto,
il quale ne mangiava a due a due immaginò,
che il servo stesse mangiandone a tre a tre proprio perche
aveva taciuto nel vedere che lo stesso stava
barando.
PER LA POETICA DEL LAZARILLO → Lazaro si presenta in 3°
persona e si mostra orgoglioso del suo
nome. Tutto si costruisce intorno a contrasti, ripetizioni e
parallelismi fra le pagine iniziali e quelle finali
che sono appunto risorse che caratterizzano l'opera d'arte
letteraria: il padre, Tomé Gonzales, ruba il grano
dai sacchi che vengono trasportati al mulino e subisce delle
persecuzioni; il figlio, Lazaro, proclama i delitti
di quanti subiscono queste persecuzioni e ottiene una soma
di grano; la madre, Antona Perez, priva di
risorse, cerca fortuna e finisce concubina di Zaide il qual
provvede alle sue necessità con furtarelli; Lazaro
anche sposa una concubina che sembra sempre indaffarata
nel rifare il letto e da mangiare all'arciprete, il
quale li favorisce con i soldi malguadagnati attraverso l'abuso
di ministero. Scoperti i furti di Zaide, Lazaro
bambino rivelò tutto ciò che sapeva mentre invece di fronte
alle malelingue sulla moglie non svuotò il
sacco. Nel Lazarillo le analogie fra il primo e l'ultimo capitolo
precisano, nell'esistenza del protagonista, i
termini della materia romanzabile e mettono in rilievo la
connessione tra tutte le sue componenti. Un altro
mezzo per ricalcare l'integrità e l'indipendenza di un oggetto
letterario è quello di creare un'aspettativa da
soddisfare poi alla fine del tragitto, possiamo dire che la
costruzione del Lazarillo risponde a un archetipo
estremamente affine: le varie tappe della preistoria del
banditore funzionano come frasi condizionali
orientate verso un futuro che deve colmarle di significato,
ciascuna tappa accumula nuovi elementi
che</p></div></div><div><div><p>precisano la
personalità del protagonista.
Ingredienti del caso → Lazaro bimbo sotto la protezione della
madre ha vissuto 12 rapidi anni risolti in
pochi paragrafi di ignoranza del mondo, nella simplez durante
i quali era un nino dormido; alla
permanenza presso il cieco vengono dedicate un buon
numero di pagine; un intero capitolo ai 6 mesi
trascorsi dal prete,; abbiamo poi i 2 mesi presso lo scudiero
che gli insegnani l'inutilità dell'onore, cosa a
cui invece vedremo poi dare molta importanza=vedi moglie;
ancora 3 mesi al servizio dello spacciatore di
bolle che gli insegna a restare in silenzio quando conviene.
IL TROMPE L'OEIL → L'artista medievale arriva alla realtà
attraverso la tradizione la quale fornisce gli
schemi per rappresentare qualcosa, fra questi l'osservazione
diretta personale. Al contrario il Rinascimento
(Panofsky) afferma la bona speranza come radice dell'attività
artistica secondo cui l'opera d'arte non è più
il risultato dell'obbedienza ad un codice tradizionale de è
intesa come un frammento dell'universo così
come è visto da una data persona da un dato punto di vista e
da un dato momento. Questa definizione si
adatta perfettamente al Lazarillo il quale rifiuta i pregiudizi
tradizionali e concepisce la realtà, versatile in
funzione di un punto di vista, quello del Lazaro adulto,
protagonista del caso.
Verso la metà del XVI secolo, nel dominio della letteratura
d'immahinazione, la grande impresa degli
Umanisti consisteva nel forgiare una realtà 'finta' (Torres
Naharro) che avesse però colore di verità pur non
essendolo, la grande meta fu così fissata nella
verosomiglianza e senza dubbio l'autore del Lazarillo
partecipava di tale ideale tanto che il mondo trovava
accoglienza nelle su eoagine proprio attraversi i sensi
di Lazaro e Lazarillo, grazie quindi al carattere interamente
fedele all'illusione autobiografica. Lo evidenzia
particolarmente il secondo capitolo in cui Lazaro dorme con la
chiave dell'arca in bocca e il prete sentendo
che emetteva un fischio e pensando che fosse una biscia,
spacca la testa al poveretto con una bastonata da
lasciarlo privo di sensi. Ma se Lazaro dormiva dove tira fuori
questi dati?? Lo ha sentito dire dal padrone
che andava ripetendo per esteso a tutti i visitatori che
venivano a casa e poi Lazaro autore evoca ciò che
viene percepito da Lazaro protagonista, a questo proposito
vediamo come nel terzo capitolo il lettore viva
con Lazaro l'espisodio quasi minuto per minuto: il ragazzo è
stato appena comprato dallo scudiero e non
sa nulla del suo signore anche se l'abito e il portamento
sembrano riflettere una buona posizione. Di
ritorno da una passeggiata mattutina il ragazzo immagino il
desinare che ormai doveva essere pronto ma
nel momento in cui il padrone gli chiede se ha mangiato, e
dopo una risposta negativa aggiunge di
arrangiarsi, capisce che questo padrone è indigente quanto i
ptimi due per l'appetito del servo e che deve
quindi continuare a digiunare. Il lettora ha qui accompagnato
il protagonista nell'innocenza dello sguardo,
si è lasciato ingannare come lui dall'apparenza. È l'io che da
al mondo vera realtà, le cose e i gesti non
valgono nulla. Lazaro bambino non lascia testimonianza
d'altro se non di ciò che vede e sente, ecco perché
non ammette la veridicità delle malelingue sulla moglie, la
verità non sta nelle chiacchiere ma nello stesso
Lazaro. Questa che chiamiamo “presentazione illusionistica”,
mediante il quale il lettore ripete le
esperienze del personaggio provando gli stessi sentimenti, si
intensifica nella seconda parte del romanzo.
Nel quinto capitolo Lazaro serve uno spacciatore di bolle e
riferisce il miracolo (finto) a cui il padrone
ricorre per accreditare a vedere le bolle; inizialmente non
mette in dubbio nemmeno per un istante la
realtà di ciò a cui assiste, solo dopo si rende conto del tutto e
possiamo notare la frammentazione di due
tempi: uno ti percezione pura e uno in cui il protagonista
assume un fattore addizionale e attribuisce alla
scena una divera specie di realtà reinterpretando ciò che
aveva inizialmente percepito ingenuamente.
LA SCATOLA CINESE → Lazaro ci mette continuamente in
guardia: il mondo non è univoco, non
esistono valori se non in quanto riferiti alla persona. Il
linguaggio del libro capta con deliziosa malizia la
polisemia della vita ricorrendo a formule comparative di
interpretazione quanto il punto di vista al quale
sono vincolate. Nel romanzo c'è una tesi esplicita ed è quella
di mostrare quanto sia grande la virtù di
quegli uomini che dal basso riescono a salire in alto e quanto
ancora sia grande il biasimo di chi dall'alto si
lascia andare in basso. Lazaro lo dice chiaramente, ha scritto
il caso per darci notizie di se stesso, per
coloro che, ereditati nobili casati, considerino poco ciò e per
coloro che invece avendo la fortuna contraria
con forza e destrezza riuscirono a buon porto. L'idea
suonerebbe scandalosa a una mentalità tradizionale,
infatto durante il Medioevo la dottrina era decisamente
diversa, le classi sociali erano immutabili e
inamovibili, pretendere di cambiere ceto de ascendere nella
scala gerarchica significava ribellarsi contro la
legge naturale e la provvidenza divina, è pertanto necessario
piegarsi al destino che fissa a ciascuno un
posto e dei limiti. Ma ai tempi del Lazarillo, nel 1554, non tutti
se la bevevano. L'Umanesimo affermava
invece che in qualunque condizione nasca l'uomo, ha licenza
di sforzarsi di essere molto grande e
consociuto purché segua il suo cammino. Ci sono quindi
speranze per tutti, è cosi che la pensa anche
Lazaro. In realtà nessuno all'epoca, apparte lui stesso,
pensava che era un'ascesa passare da essere figlio
del mugnaio ad essere vanditore e marito di un'adultera. Il
lettore sa che egli non è salito nella gerarchia
sociale in quanto non ha esercitato bene la virtud la quale
innalza gli uomini, perché il sangue cattivo si
eredita o perché la pretesa di cambiare stato è peccaminosa.
Si potrebbe anche, in alternativa, pensare
che</p></div></div><div><div><p>Lazaro sia realmente
salito, e che per un poveretto come lui, abbandonare la fame
della strada per la
modestra prosperità raggiunta, sia davvero un progresso. E
se è cosi innovatori e tradizionalisti hanno
ugualmente torto e ragione: torto, perché si può salire contro
la virtud e contro il sangue, e ragione perché
è possibile salire unicamente all'altezza di Lazaro. Siamo
dunque tornati al punto di partenza: la persona è
l'unica criterio efficace di verità, non ci sono valori ma vite e
quello che serve per una magari è inutile per
l'altra, è questa la lezione che abbiamo con Lazaro. Lazarillo è
costruito su un unico punto di vista che
seleziona la mteria, fissa la struttura generale, decide la
tecnica narrativa, presiede lo stile e a sua volta
materia, struttura, tecnica e stile spiegano tale punto di vista.
Come in una di quelle scatole cinesi che
contengono al loro interno molte altre scatole sempre più
piccole, così gli elementi del Lazarillo sono
solidali fra loro e appaiono gli uni come figure degli altri.
Possiamo chiederci se l'intento dell'autore non fosse quello di
esibire un campione di splendido artigianato
umoristico, prescinendo da ogni implicazione più o meno
didattica, quindi dare ironia piuttosto che
insegnamenti. Il Lazarillo è difatti un libro divertente dove
conta solo l'ingegno, la sorpresa, la successione
di eventi comici nel quale sono sospesi gli imperativi etici e le
convenzioni sociali. Difatti quando Lazarillo
fa fuori il cieco, noi ridiamo invece di indignarci.
La perfetta coerenza di tutte le parti del romanzo è troppo
ben costruita per supporla mera invenzione
artificiosa: non tutto può essere posticcio del relativismo di
Lazaro, l'autore doveva certamente
condividerlo. L'io è l'unica guida disponibile nella selva
confusa del mondo, ma guida parziale e
occasionale da cui non è possibile estrarre conclusioni stabili.
L'autore si fa carico delle ragioni del
personaggio, comprende la sua verità essenziale e mette
allos coperto il vuoto di senso dei giudizi del
mondo. Da qui emerge la ricca e sfumata caratterizzazione
del protagonista, ingenuo e scaltro, caritatevole
e crudele.
</p><p>II. VITA E CONSIGLI DI GUZMÁN DE ALFARACHE
INTENZIONE E COSTRUZIONE → La narrazione dei casi nel
Guzmán de Alfarache non è fluifo e sena
rotture, ma è inframezzata ad ogni passo da prediche,
moralités, meditazioni teoriche e discorsi. La critica
si interessa solo al contenuto fattuale trascurando il resto
come digressioni ipocrite. Quest'incapacità di
elevarsi a una considerazione completa dell'opera dipende da
un'applicazione povera del concetto di
romanzo. La vida de Guzmán è senz'altro un romanzo ma
solo in parte risponde all'archetipo volgarizzato
di tale genere che vede il romanzo come pura tabulazione e
descrizione, ben ripulita da elucubrazioni,
ammonimenti e ornamenti didattici. Se Mateo Alaman scrisse
un libro e non due ciò si deve al fatto che
giudicava ben integrati gli elementi costitutivi e che la
missione del critico non è salvare gli uni e decretare
gli altri, bensì mettere in rilievo il legame integratore. Enrique
Moreno Báez fu il primo che si dedicò a tale
compito. L'autore afferma di aver scritto con animo di giovare
quindi pensando solamente al bene comune
e che l'opera è frutto di un semplice proposito di finzione che
nasce da un un più ampio intento didattico.
La chiave fondamentale è la forma di autobiografia con cui
l'opera è stata scritta che si trasforma in asse
centrale dell'intera narrazione dove l'autore si sforza di fare in
modo che la visione del mondo emergente
nel libro corrispondesse in tutto al temperamento del suo
eroe. Come l'illustre tradizione ammetteva che si
potesse in una parte del libro elogiare l'uomo e nell'altra
porre le sue inettidudini, ugualmente Mateo
Alaman tessa in un luogo un fiorito elogio di raziocinio e dei
sensi, nell'altro accumula ingiurie contro di
essi.
UN PERSONAGGIO IN CERCA DI AUTORE→ Guzmán scrive la
propria vita dalla galera in cui si
trova: orfano di numerosi padri, a 12 anni decide di cercare
fortuna lontano da Seviglia raccomandandosi a
delle brave persone che poi non si rilevarono tali, Guzmanillo
si avvezza difatti alla malavita. Grazie a un
colpo di fortuna va in Italia al seguito di una compagnia di
soldati, a Genova cerca la protezione di alcuni
parenti dai quali ottiene solo disprezzo e botte. Mendicante e
falso storpio a Roma, viene accolto da un
cardinale il quale gli offrì tutte le opportunità al fine di
rigenerarsii, ma invece di approfittarne si allontana
per diventare segretario, ruffiano e buffone dell'ambasciatore
di Francia. L'orgoglio lo porta poi via da
Roma per mettere la testa a posto, ma essendo senza risorse,
riprende le vecchie abitudini e con
un'astutissima truffa e vincite disoneste al gioco riesce a
riottenere la stima dei parenti e a sottrarre
addirittura loro un patrimonio consistente. Installato nella
Corte di Spagna, si sposa e entra in affari poco
puliti ma ben presto rimarrà vedovo. Decide ora di laurearsi
in teologia ma a un mese dal conseguimento
del suo obiettivo incontra l'amore e sposa Grazie, figlia di
locandieri. La coppia si reca a Alcalá, Madrid e
infine Siviglia, da dove la donna scappa con un capitano. Solo
e povero torna a rubare, fin quando viene
arrestato e condannata all'ergastolo. Notiamo ora due fasi: un
primo tempo di azione con un versatile
Gusmanillo come protagonista e un secondo tempo di
narrazione in cui lo stesso da testimonianza delle
sue trascorse diavolerie aiutandosi con riflessioni morali. Lo
stesso autore distingue nel romanzo
il</p></div></div><div><div><p>dominio della conseja (il
racconto biografico) e quello del consejo (la dottrina
sviluppata in forma
esplicita), le quali porterebbero alla figura di Guzmán ma con
questa unione il Guzman scrittore non
avrebbe niente a che vedere con il Guzman personaggio.
Sono certamente maggiori i seromoni /(prediche)
imputabili al Guzamn maturo ma non en mancano altri nel
vacillante Guzmanillo. Nella prima parte si
torvano 3 interi capitoli consacrati contra las vanidades de la
honra, dalla quale ha dovuto prescindere
Guzman fino a rimanere in calze e camicia. Presso la Corte ha
abbracciato il lavoro da facchino,
occupazione caratterisca del picaro, per sfuggire al castigo
destinato ai vagabondi e in esso ha scoperto la
possibilità di farsi santo portando onestamente i suoi cargos
senza badare a ciò che grava il pesodell'onore.
E da qui scaturisce il suo monologo contro las hornas,
monologo in cui emerge la presa di coscienza di
Guzman, ciò che prima gli era stato imposto ora egli se lo
sceglie. Le circostanze lo hanno indotto a
prescindere dalla honra; l'osservazione e la convinzione lo
hanno aiutato a razionalizzare la rinuncia . Le
considerazioni del Guzman picaro interferiscono con i
commenti del Guzman galeote. I giudizi di ora e di
allora fluiscono separati ma complementari, con fisionomie
distinte ma convergenti. Le maldicenze del
narrayore contro il fanstasma della honra sono in perfetta
aromonia con quelle del protagonista. Con esso
penetriamo al nodo del problema: le denunce del Guzmanillo
contro la horna spiegano il fatto che un
giorno Guzman converso, ne pronunci di simili e buona parte
delle avventure del Guzman ragazzino rende
verosimile che egli finiscia per diventare scrittore. Il tratto più
evidente nella rappresentazione del
passaggio da attore ad autore si trova nella cura con cui sono
puntalizzati gli studi e le disposizione
intellettuali del personaggio, che ha comunque ricevuto
un'eccellente istruzione dal cardinale e seguito i
corsi all'università di teologia, ed è proprio a questi che si
riallaccia la sua conversione e nel denunciare la
<i>Segunda parte della vida del picaro, il punto sul quale
Mateo si sofferma maggiormente è l'inadeguatezza
</i>dei discursos che il suo imitatore aveva prestato a
Guzman, E il primo e più serio rimprovero che gli
muove, a proposito della caratterizazione del personaggio, è
quello di averlo tirato fuori da Alcalá come un
sommistra distratto e cattivo.
FRA PAURE E SPERANZE → Guzman è giù in Guzmanillo e è
esatto dire che la conversione li separa in
un certo numero di aspetti e in altri li unisce. Di più, il
passaggio dal Guzman attore al Guzman narratore
costiruisce il vero nodo argomentale dell'opera, e in essa i
vari nuclei episodici sono subordinati a una
linea costruttiva principale: alla storia di una conversione e
all'analisi di una coscienza.
Aleman non ridusse però il romanzo allo scandaglio
introspettivo del personaggio, sapeva troppo bene che
i peccatori non leggono libri noiosi e che utilizzare
l'autobiografia e trasformare in finzione tutto il
contenuto del libro era un passo decisivo per stimolare
l'interesse del lettore anche se non poteva bastare
al pubblico meno coltivato; non esitò per questo a includere
capitoli o passaggi relativi alla peripezia
esterna di Guzman ricostruendo ogni singola circostanza e
dettaglio in modo da imprigionare il lettore
anche se si trattava di momenti che potevano aggiungere
poco alla creazione del personaggio e ancor
meno all'evoluzione spirituale del protagonista. Aleman era
capace di combinare un aneddoto
estremamente divertente con uno studio profondo dell'eroe.
È importante rendersi conto che il processo di
conversione del picaro si identifica con il lento e progressivo
consolidamento del punto di vista che
presiede il romanzo, limitiamoci a qualche osservazione. Da
poco fuggito di casa Guzman si ferma a
meditare sui giardini di un eremo per farsi un esame di
coscienza e volgere gli occhi al suo passato, e
quetso è anche il finale del suo pellegrinaggio per il mondo:
fare confesión general , scrivere cioè la propria
autobiografia, Guzman autore è in organica continuità con
Guzman attore. Guardiamo ora il ocntenuto
dell'introspezione del giovane fuggitivo, il quale non sa che
fare e si ritrova fra paure e speranze, e fra i
cammini possibili prese quello che gli sembrò più bello senza
importarsi di dove portasse. L'inizio delle
avventure del picaro è chiaramente simbolico in quanto
sceglie il sentiero più piano e le conseguenze non
si fanno aspettare: questo è sintomo di un tratto essenziale
del protagonista il quale soffre l'impossibilità di
servire due padroni. Ogni grande tappa si apre con la
necessità di una scelta dolorosa, debe scegliere
continuamente e poiché la ragione e la fede vogliono una
cosa, la volontà e l'istinto un'altra, procede con
sbandamenti, in perpetua guerra interiore.
Ricordiamo ora il Guzman a Roma, il quale falso paralitico
riceve l'elemosino al posto dei poveri veri,
ottiene la fiducia di un frate e riesce addirittura a renderlo
complice inncoente delle sue malefatte. Spesso
però Gusman si rendeva conto della sua sanità e semplicità in
confronto alla sua malizia e cattiveria, e non
riusciva a trattenere le lacrime. Questa lacerazione è il tema
principale del racconto. Questa rottura intima
del protagonista dà origine a monologhi che risultano
effettivamente dialoghi in cui il Guzmanillo parla
con l'altro io sel suo essere scisso, domanda e quando può
consiglia, accusa, sprona.
La seconda persona nell'oepra spesso designa il Guzman
personaggio o il lettore, suggerendo la tensione
tra imperativi etici e condotta disordinata fra gioventù
peccatrice e maturità virtuosa. Nelle meditazioni
del Guzmanillo l'uso del tu è plasmare la scissione di una
coscienza tormentata dakka becessità di
scegliere fra i richiami dell'istinto e le istanze della grazia.
Coerentemente viene svolto in seconda
persona</p></div></div><div><div><p>il travaglio della
conversione. Per l'autore il conflitto di Guzmanillo era augurio
e prova della sua salvezza
finale.
Gli sbandamenti, le cadute e i pentimenti del personaggio
mirano a insegnarci la lezione de libero arbitrio:
l'uomo è padrone di scegliere il suo destino ed è proprio
questa una delle tesi del romanzo il cui
scioglimento è irrisolto: Guzman può infatti inclinarsi verso il
bene e verso il male, perseverare e desistere.
La lacerazione del peccatore coincideva con l'inizio di un
finale felice. Una formulazione di tale idea ci
viene data da fra' Pedro Malón de Chaide, il quale sostiene
che ci sono dei peccatori che nella loro cattiva
condotta hanno qualcosa che li predestina alla gloria dei figli
di Dio, in quanto hanno rispetto per la virtù e
sono peccatori timorosi, quelli che commettono errori e ne
sono concapevoli; e degli altri peccatori che
peccano con una tale noncuranza come se fosse una
condizione che li appartiene per natura, inghiottono
peccati con facilità senza masticarli. Guzmanillo appartiene
alla prima categoria.
Abbiamo prima identificato una costante del protagonista, la
lacerazione interiore che possiamo seguire su
tre piani che convergono nella congiuntura decisiva della
conversione: come elemento definitorio di una
disposzione personale, in una formulazione linguistia e come
portatore di una determinata dottrina. Tutti e
tre coincidono egualmente nello spiegare l'esistenza e il
carattere del libro . Sul piano umano questa
lacerazione è frutto di una coscienza vigile, di un ripiegarsi su
se stesso per un'intima resa dei conti; sul
piano stilistico la seconda paersona (che riflette lo
sdoppiamento del Guzmanillo) riappare nella bocca del
Guzman autore, il convertito attraverso il dialogo riflette sulle
fortune del picaro come l'io del picaro
rifletteva sull'altro io; e sul piano dottrinale la lacerazione
annuncia il pentimento finale, con la risoluzione
del suo dilemma e la coneguente inclinazione verso il bene.
Nel Guzman le diverse peripezie del
protagonista appaiono orientate verso la conversione finale la
quale obbligava ad assumere un unico
punto di vista, ad installarsi in un unico dogma, fede con
soluzioni universali. Questi sono anteriori a
Guzmanillo ma il personaggio riesce a raggiungerli solo come
conclusione e corollario di tutta la sua vita.
Il Concilio di Trento aveva insegnati che la fede senza le
opere non è sufficiente per la remissione dei
peccati e che Dio aiuterà con la sua grazia coloro che
associano le une all'altra. Guzman questo lo sa;
mentre prima cade continuamente nel male, poi, quando
all'intenzione di riforma unisce le opere, resce a
comprar la gracia salvatrice. In tal modo l'esperienza di
Guzman ha confermato il dogma trientino: l'autore
fittizio lo ha incorporato a se stesso, non è piu una credenza
ma una certezza empirica. Nel comporre
l'autobiografia quindi Guzman può andar esponendo questa
verità che ha diretto il corso della vita.
Esistono due modi essenziali di discorso moraleggiante,
modello caratteristico di questo processo di
andata e ritorno del punto di vista: da una parte contano i
sermoni offerti come aggiunta teorica a un
evento o dato e che ricostruiscono il cammino che ha portato
Guzman alla sua dogmatica altezza di
hombre perfecto; dall'altra parte esistono un buon numero di
moralités adotte come presupposto teorico
di un avvenimento e notizia in modo tale che una trama di
ragionamenti si proietta sul concreto accadere
del personaggio.
La forma autobiagrafica del romanzo risponde sicuramente a
diversi stimoli, ad esempio quello delle
Confessioni di Sant'Agostino che si propongono di edificare il
lettore attraverso l'esibizione dei propri
errori e nello stesso tempo si propone di interpretarli come
tappe di una conversione. Nel 1593 il nostro
autore passò due mesi ascoltando e regsitrando le
deposizioni autobiografiche dei frozati che scontavano lì
la condanna, in virtù di un decreto di Filippo II che permetteva
di sostituire al remo del galeotto gli arnesi
di minatore. Questo è senza dubbio uno dei fattori che lo
spinse a scrivere un'autobiografia. La dottrina
esplicita in 3° persona sarebbe apparsa troppo sovrapposta al
racconto e lo avrebbe indebolito
minacciando la verosomiglianza e l'autonomia di Guzman
distanziandolo sempre più dal vero autore e
rendendo così l'impressione che il protagonista non era che
una semplice figura d'accatto, un fantoccio
privo di consistenza e solo al servizio di tesi altrui. In prima
persona invece la dottrina esplicita veniva fusa
con la finzione e si dava così l'illusione di scaturire da fatti e
stati d'animo, verificando la coerenza di
Guzamn da personaggio a scrittore e verificandosi in lui come
materia didattica, quale poteva essere
dunque la forma migliore se non l'autobiografia? Mateo
Alemán la maneggia con sagacia, mantiene cure
squisite al fine di mantenere le apparenze dell'autenticità,
consegna sempre la fonte d'informazione per le
scene alle quali non assiste, distingue inoltre sempre ciò che
ha assistito da ciò che sospetta.
La necessità di erigere l'io come misura di tutte le cose
obbliga il narratore ad approfondirlo dandogli
maggiore consistenza e plasmandolo in modo più intero.
Vediamo un esempio: Guzman torna da Genova
lasciandosi alle spalle i parenti che presto scopriranno la
beffa di cui sono stati oggetto, gli si offre allo
scrittore l'opportunità di precisare il ritratto del protagonista
seguendo il volo della sua immaginazione e
presentando quindi al lettore non solo i risultati ma anche lo
sviluppo stesso dell'operazione mentale. È
questo il motivo per cui l'azione si diluisce spesso in
sentimenti, emozioni che Guzman esprime con una
sorta di monologo interiore, e il lettore deve ricostruirla
proprio a partire dall'interiorità del personaggio.
Quest'intensità affettiva che carattterizza lo stile di Guzman è
sintomo valido del prinicpio
configuratore</p></div></div><div><div><p>dell'opera:
la presentazione di tutti gli elementi in funzione di un io
intero. La prosa appassionata di
Guzman porta ad un sostanziale realismo psicologico.
L'implicazione affettiva dell'autore sorge con particolare
frequenza dal contrasto di uomini e situazioni con
i valori della credenza religiosa: Guzman attore è coinvolto
emozionalmente da una scena e Guzman
autore raccoglie la testimonianza e la confronta con le
esigenze della morale cristiana. Il fatto che Guzman
si compiaccia nello scandaglio della psiche è indissociabile
dalla sua carica religiosa. La fede è interiorità,
dunque dare come nucleo dell'argomento un dilemma
religioso rendeva necessario lo scavo nell'anima del
personaggio. La vita e la letteratura religiose favorivano tale
obiettivo: infatti l'esame di coscienza e la
meditazione spirituale erano partiche comuni e il
cristianesimo disponeva di una tipologia ben fissata per
la comprensione degli stati psichici. Allo stesso tempo lo
scandaglio dell'intimità religiosa di Guzman
induceva ad approfondire anche gli altri aspetti della sua
anima e a completare così il ritratto compiuto del
personaggio. La sostanza religiosa del nucleo argomentale e
dottrinale spiega il fatto che Guzman venga
presentato con serietà assoluta e sia dotato di
un'individualità piena e inconfondibile, pertanto anziché
essere confinato nel tratto di un villano tipico della letteratura
dell'epoca che era un po' un personaggio
comico, gli viene infuso dall'autore la complessità della vita
reale.
</p><p>III. IL ROMANZO PICARESCO E IL PUNTO DI VISTA
UNA QUESTIONE DIBATTUTA: LA FAMA DEL LAZARILLO→ Il
Lazarillo de Tormes fu un libro
popolare nella Spagna di Filippo II tanto che si contarono una
mezza dozzina di edizioni; le stoccate
irrispettose e lo scetticismo lo condussero però nel Catalogo
dei Libri Proibiti dell'inquisitore Fernando de
Valdés. Di due edizioni rimase infatti solo una piccola
testimonianza, la proibizione non trasse infatti con
sé l'oblio. Nel 1573 con un nuovo inquisitore e maggiore
flessibilità in materia di censura, il Consiglio Reale
autorizzò la riedizione del Lazarillo anche se potato dei
capitoli 4 e 5 e di alcuni passi ritenuti troppo critici
e irrilevanti. Il nuovo inquisitore, Juan Lopez de Velasco,
giustificò l'autorizzazione ricordando che il libro,
molto gradito, si leggeva e si stampava anche se proibito
fuori da questi regni, il pubblico spagnolo voleva
divetirsi con i casi e le disgrazie di Lazaro tanto che nel 1587
l'opera venne consacrata con l'incorporazione
nel refranero (raccolta di proverbi). Nel 1563 un aristocratico
intellettuale di nome Zurita, paragonò il libro
a volgari pettegolezzi, ancora Pedro Simon Abril esemplificò
una legge fisica con un episodio dell'infanzia
del banditore. Un moralista frate Juan de Pineda, verso il
1589, si divertiva citando continuamente episodi
con una tale leggerezza che pareva conoscere
dettagliatemente contenuto e stile. Sebastián de Horozco per
esempio lo mise in scena e ancora Luis de Góngora lo evocò
in un sonetto.
Non sempre libro e personaggio ebbero tanta fortuna: una
delle continuazioni anonime trasformò Lazaro
in un pupazzo; un'altra di Juan de Timoneda si soffermò
sull'acutezza del protagonista e sulla serie di
padroni; Padre Buendia e Gongora fanno riferimento uno allo
scudiero alla sua vana ostentazione e l'altro
alla honra: Eugenio de Salanzar dipingeva invece la facilità di
un ragazzo che si adatta alla spregevole vita
paesana. Mancava qualcuno che indovinasse nel Lazarillo un
fenomeno letterario peculiare, qualcosa
sembrava sospettare Timoneda che nel “Paso de dos ciegos y
un mozo” metteva sulla scena Palillos,
individuo di bassa condizione sociale che narra in 1° persona,
alla ricerca di un nuovo padrone, e gli faceva
raccontare le peripezie che aveva vissuto al servizio di un
cieco che lo faceva morire di fame. Questa opera,
l'unica che può competere con il Lazarillo, è l apiù antica
incarnazione dell'archetipo del romanzo
picaresco.
DALLA PITTURA ALLA VITA→ Il termine picaro sempre essersi
divulgato nell'ultimo terzo del XVI
secolo per designare un soggetto, generalmente bimbo o
ragazzo, vile, di umili condzioni, che va mal
vestito apparendo così un uomo di poco onore (Diego de
Gaudix). Il picaro non ha uno status definitico, lo
distingue la mancanza di legami infatti niente lo vincola a un
luogo, un signore o un ufficio. Forse figlio di
vagabondi o fuggito dalla severa tutela di un padre o signore,
è cresciuto sulla strada ed è qui che ha
imparato a tirare avanti a forza di astuzie e canagliate. A
volte cerca anche un lavoro come sguattero o
garzone, pertanto un lavoro che non richieda eccessive
applicazioni e legami troppo stabili; mezzo secolo
dopo, nel 1600, l'occupazione favorita del picaro è quella di
facchino. Il picaro nei momenti di ozio sta in
gruppetti a giocare di notte e di giorno, in assoluta libertà
assaporando quella che è la dolcezza della vita
picaresca. I picari sono in realtà schiavi della comunità, quindi
di tutti coloro che vogliono affittarli e
occuparli in mansioni vili che spesso li portano alla
delinquenza. Solo in alcuni casi il picaro può essere
virtuoso, pulito, ben educato e soprattutto assennato. Quindi
la valutazione e la figura del picaro oscillava
in diverse possibilità: si vede traformato in tutto ciò che è
dannoso e spregievole, altre si vede idealizzato
come specchio di filosofi e altre ancora diventa viva
incarnazione dell'ingegno e della sagacità. La figura
del picaro esprimeva aspirazione che la Spagna degli Asburgo
osava confessare solo a patto di mascherarle
con ironie e burle. Vediamo come Guzman applica a se stesso
il titolo di picaro quando fa il facchino e il
Altro sunto

SUNTI DI LETTERATURA SPAGNOLA I</h2><p>Universit&agrave;


di Pisa - Professore esame: Giulia Poggi</p><p>LIBRO: IL
ROMANZO PICARESCO E IL PUNTO DI VISTA di Francisco
Rico</p><p>1. Lazarillo de Tormes, o la
polisemia</p><p>E&rsquo; intorno al 1554 che le stampe
danno alla luce La vida de Lazarillo de Tormes, il
cui</p><p>protagonista ha di certo una vita notevole, ma
lontana da quelle narrate nei libri di
cavalleria.</p><p>L&rsquo;apice della fortuna &egrave; un
matrimonio mediocre, un posto come banditore, e le
imprese che</p><p>popolano la vicenda non abbagliano il
lettore. La prosa letteraria non offriva precedenti
prossimi di</p><p>un&rsquo;attenzione cos&igrave;
sostenuta ed esclusiva a una personaggio della miserabile
qualit&agrave; di Lazaro</p><p>P&egrave;rez. Da sempre,
per&ograve;, esisteva una forma letteraria adatta a
conciliare la tradizione retorica e la</p><p>modesta
storicit&agrave;: la lettera. Il Lazarillo, pi&ugrave;
che un racconto puro, &egrave; una
&ldquo;relazione&rdquo; o rapporto</p><p>fatto da un uomo
intorno a se stesso, il prologo lo indica proprio nella
conclusione: &ldquo;Vossignoria</p><p>scrive che le si
scriva e racconti il caso molto per esteso&rdquo;.
Vossignoria si &egrave; rivolta a Lazaro con</p><p>una
lettera per ottenere notizie intorno a un argomento
ancora imprecisato, e il protagonista</p><p>risponde a
sua volta, non dimenticando mai a chi si rivolge, per cui
il racconto &egrave; punteggiato di</p><p>appelli al
destinatario. La lettera si &egrave; sempre prestata alla
confidenza e alla confessione, ed era</p><p>inoltre ben
ritagliata sull&rsquo;autobiografia. Si possono
distinguere due tipologie di lettere: una
&ldquo;gravis</p><p>et severa&rdquo; spesso scritta per
giustificare un determinato atteggiamento o situazione
osservandoli</p><p>nella prospettiva di una vita intera;
l&rsquo;altra &ldquo;otiosa&rdquo; che tendeva a
concentrarsi su un solo episodio</p><p>in cui
l&rsquo;oggetto di burla era l&rsquo;autore stesso,
prediligendo le costruzioni proverbiali, il
pettegolezzo,</p><p>l&rsquo;allusione. E&rsquo; proprio a
questa tradizione che si appoggia il Lazarillo de Tormes
per identificarsi</p><p>come entit&agrave; letteraria.
Come lettera autobiografica, non solo soddisfaceva quella
esigenza di</p><p>storicit&agrave; che caratterizzava la
finzione, ma la potenziava con una decisiva iniezione di
realismo. La</p><p>lettera di Lazaro aspira a spiegare
proprio il perch&eacute; gli abbiano chiesto di
scrivere.</p><p>Era chiara la necessit&agrave; di un
pretesto per la scrittura della lettera: il caso che ha
suscitato la</p><p>curiosit&agrave; di Vossignoria.
Proprio questa figura fa capolino nella narrazione
nell&rsquo;ultimo capitolo,</p><p>come &ldquo;signore e
amico del signor Arciprete di San Salvador&rdquo;, e
l&rsquo;arciprete non &egrave; che l&rsquo;unico
punto</p><p>di contatto fra il protagonista e il
destinatario della lettera, per cui la richiesta della
lettera era</p><p>dovuta succedere nel periodo di vita di
Lazaro in cui il picaro e il signore arrivarono a
conoscersi. Il</p><p>caso &egrave; presto svelato: gira
la voce che la domestica dell&rsquo;arciprete, che il
protagonista ha sposato,</p><p>entri ed esca dalla casa
dello stesso pi&ugrave; volte durante la giornata, e che
questa abbia partorito tre</p><p>volte prima di sposarsi.
Il caso &egrave; alimentato dalle dicerie che corrono per
la citt&agrave; sull&rsquo;equivoco</p><p>terzetto, voci
che Lazaro ripudia e che accetta di discutere solo nella
sua relazione epistolare,</p><p>rivendicando
l&rsquo;onore di sua moglie. L&rsquo;autobiografia
dipende dal caso, e nello stesso tempo
lo</p><p>giustifica, il protagonista assume il suo
passato in funzione del suo presente e decide di
affrontarlo</p><p>partendo dal principio, organizzando la
lettera nella convergenza dei diversi episodi verso il
caso</p><p>del capitolo finale.</p><p>Il
cieco</p><p>Naturalmente non ogni informazione sulla
preistoria di Lazaro si lascia intendere direttamente
in</p><p>rapporto al proprio sgradevole presente: a
questo, per&ograve;, sono subordinate tutte le cellule
narrative</p><p>che fissano la struttura
dell&rsquo;insieme. Le disavventure al servizio del cieco
si ordinano intorno a</p><p>cinque motivi fondamentali:
la zuccata contro il toro di pietra, le astuzie per bere
il vino, la burla</p><p>dell&rsquo;uva, il furto del
salame e l&rsquo;urto del cieco contro il pilastro. Il
primo e l&rsquo;ultimo sono le due facce</p><p>della
stessa medaglia, mentre il secondo e il penultimo
ripetono uno stesso schema. Entrambe le</p><p>coppie
acquistano rilevanza nell&rsquo;intelaiatura in quanto
riferite al caso finale. Il nucleo del primo</p><p>motivo
&egrave; noto e contiene il primo fondamentale
insegnamento al protagonista, che &egrave;
obbligato</p><p>a prendere coscienza
dell&rsquo;ostilit&agrave; del mondo e da forma al suo
atteggiamento di fronte alla vita. A</p><p>questo
proposito il narratore aggiunge: &ldquo;Mi compiaccio di
raccontare a Vossignoria queste</p><p>bambinate per
mostrare quanto sia grande la virt&ugrave; di quegli
uomini che, dal basso, riescono a</p><p>salire in
alto&rdquo;, stabilendo un collegamento col caso finale.
Cos&igrave;, gli appelli al destinatario</p><p>svolgono
una triplice funzione: precisano il carattere epistolare,
proiettano i ritagli della vita sul</p><p>caso del
protagonista e rafforzano l&rsquo;illusione di
storicit&agrave; e verosimiglianza. L&rsquo;altra coppia
di vicende</p><p>assicurano il vincolo fra la prima e
l&rsquo;ultima (beffa e vendetta), e si unificano per
l&rsquo;esistenza del</p><p>motivo del vino, il quale si
pone al principio del caso: il protagonista trova lavoro
al servizio</p><p>dell&rsquo;arciprete come banditore di
vini. Nella vicenda di mezzo niente sembra avere una
missione</p><p>strutturale definita, ma allora
perch&eacute; fra tante burle raccontare proprio quella
del grappolo? Per fini</p><p>esemplificativi a Lazaro
basta raccontare un caso, uno che ben dimostri la
sottigliezza e la</p><p>scaltrezza del cieco, senza
proseguire oltre, poich&eacute; esso si riferisce al
padrone piuttosto che al</p><p>ragazzo, ma non di lui a
Vossignoria interessa sapere.</p><p>Per la poetica del
Lazarillo</p><p>Il parallelismo fra le pagine iniziali e
quelle finali &egrave; fissato attraverso determinati
procedimenti. Suo</p><p>padre rubava il grano e
sub&igrave; persecuzioni per mano della giustizia, e
adesso suo figlio proclama i</p><p>delitti di coloro che
subiscono le persecuzioni della giustizia e ottiene che
gli mettano in casa &ldquo;circa</p><p>una somma di
grano&rdquo;. La madre decide di mettersi &ldquo;sotto il
patrocinio dei buoni&rdquo;, affittando
una</p><p>casuccia, lavando la biancheria, fino a finire
concubina del &ldquo;moreno&rdquo; Zaide, cos&igrave; il
figlio sposa una</p><p>concubina, che si occupa di
&ldquo;fare pulizie e da mangiare&rdquo;, e ottiene una
piccola casa a Toledo. Cos&igrave;</p><p>anche Zaide, che
provvede alla famiglia con i propri furti, &egrave; il
corrispettivo dell&rsquo;arciprete, che</p><p>favorisce
Lazaro con i soldi malguadagnati con l&rsquo;abuso del
suo ministero. La ripetizione, il</p><p>parallelismo e il
contrasto sono alcune delle risorse pi&ugrave; universali
per potenziare il carattere</p><p>dell&rsquo;opera
letteraria. Come la rima induce a ricordare elementi che
sono rimasti indietro, ponendoli</p><p>in mutuo rapporto,
cos&igrave; fanno simmetrie e opposizioni in un romanzo:
le analogia fra il primo e</p><p>l&rsquo;ultimo capitolo
mettono in rilievo la connessione di tutte le componenti
del romanzo. Un altro</p><p>mezzo per delimitare
l&rsquo;oggetto letterario, ribadendo la sua
indipendenza, consiste nel
creare</p><p>un&rsquo;aspettativa sostenuta e soddisfarla
con imprevista compiutezza, in modo che il punto
finale</p><p>si faccia sentire con maggiore evidenza.
Questa caratteristica appartiene a molti sonetti, ma
&egrave;</p><p>presente anche nel Lazarillo: le varie
tappe funzionano come una sorta di frasi
condizionali</p><p>orientate verso un futuro che deve
colmarle di significato; ognuna delle tappe accumula
nuovi</p><p>elementi che precisano la personalit&agrave;
del protagonista. Tutto il romanzo mette in evidenza
la</p><p>stessa unit&agrave; di tendenza: tutti i tratti
dei dodici anni di bambino addormentato (la
persecuzione,</p><p>l&rsquo;appoggiarsi ai buoni, le
entrate e le uscite di Zaide) riappaiono come ingredienti
del caso; le</p><p>pagnotte che il terzo padrone negava
al bambino sono le stesse evocate in rapporto
all&rsquo;arciprete; i</p><p>due mesi con lo scudiero
insegnano al ragazzo quanto sia inutile la mania
dell&rsquo;onore, ma alle</p><p>prese con il caso lui
sacrificher&agrave; il buon nome sull&rsquo;altare delle
necessit&agrave;, in beneficio della vita</p><p>facile;
il servizio offerto allo spacciatore di bolle rafforza la
lezione del trarre profitto dal proprio</p><p>silenzio, e
cos&igrave; non fa pi&ugrave; motto della faccenda a sua
moglie. Lazaro de Tormes raccoglie e</p><p>applica al
caso tutti gli insegnamenti ricevuti, e lo spazio del
romanzo resta definitivamente</p><p>chiuso e
unificato.</p><p>Il trompe l&rsquo;oeil</p><p>Se nel
medioevo l&rsquo;artista arriva alla realt&agrave;
attraverso la tradizione, che gli fornisce gli
schemi</p><p>fondamentali per rappresentare qualcosa, nel
rinascimento &egrave; l&rsquo;esperienza a prevalere,
l&rsquo;opera</p><p>d&rsquo;arte non &egrave; pi&ugrave;
mera obbedienza a un codice tradizionale, ma come un
frammento dell&rsquo;universo</p><p>cos&igrave;
com&rsquo;&egrave; visto da una persone, da un punto di
vista, in un dato momento. Anche nel Lazarillo
la</p><p>realt&agrave; verosimile &egrave; subordinata al
punto di vista del protagonista. Proprio il problema
della</p><p>verosimiglianza caratterizzava la letteratura
d&rsquo;immaginazione degli umanisti, la cui sfida
era</p><p>rappresentare una realt&agrave; che avesse
colore di verit&agrave; pur non essendolo. Il realismo
e</p><p>l&rsquo;autobiografia si implicano nelle pagine
dell&rsquo;opera, e ogni osservazione del mondo
trova</p><p>accoglienza solo attraverso i sensi di Lazaro
e Lazarillo. La coerenza quindi si impone
per</p><p>mantenere la finzione, e negli episodi in cui i
fatti accaduti non sono certi (il protagonista perde
i</p><p>sensi), il narratore li presenta vuoi come
ipotesi ben fondate, vuoi come riferiti a lui da altri, o
come</p><p>combinazione di fiuto proprio e informazioni
altrui; ci&ograve; che &egrave; certo viene sempre ben
separato da</p><p>ci&ograve; che &egrave;
dubbio.</p><p>Ogni vicenda &egrave; filtrata attraverso
la percezione del protagonista, la realt&agrave; non vale
nulla se il</p><p>soggetto non la incorpora: Lazaro
bambino non lascia testimonianza d&rsquo;altro che di
ci&ograve; che vede e</p><p>sente, a cui conferisce
realt&agrave; e senso solo in quanto lo riguarda. Questa
presentazione di eventi</p><p>permette che il lettore sia
burlato e confuso cos&igrave; come il protagonista, come
si vede</p><p>chiaramente nell&rsquo;episodio dello
spacciatore di bolle: l&rsquo;intero episodio &egrave;
frammentato in due tempi,</p><p>uno di percezione pura in
cui le vicende vengono raccontate come uno qualunque dei
personaggi</p><p>raggirati, e uno in cui il protagonista
assume un fattore addizionale, l&rsquo;inganno, che
altera il senso</p><p>della scena. Questa tecnica domina
tutto il romanzo: Lazaro propone dati che interessano in
se</p><p>stessi, e nell&rsquo;ultimo capitolo introduce
un nuovo elemento, il caso, che d&agrave; un&rsquo;altra
significazione</p><p>ai materiali allegati fino a quel
momento.</p><p>La scatola cinese</p><p>Nel romanzo la
prospettiva &egrave; una delle componenti della
realt&agrave;, il mondo non &egrave; univoco
ma</p><p>esiste in quanto riferito alla persona, e
cos&igrave; &egrave; lo stile linguistico, che capta con
malizia la polisemia</p><p>della vita, con formule
comparative di interpretazione mutevole. Cos&igrave;
ambigui e relativi sono anche</p><p>i giudizi morali in
voga: qual &egrave; la lezione che il protagonista vuole
insegnarci? Se una tesi esplicita</p><p>c&rsquo;&egrave;,
allora &egrave; sicuramente mostrare quanto sia grande la
virt&ugrave; di quegli uomini che dal
basso</p><p>riescono a salire. L&rsquo;idea suonerebbe
scandalosa a una mentalit&agrave; tradizionale legata
all&rsquo;idea</p><p>medievale di immutabilit&agrave; di
classi sociali, rigide come la gerarchia del cosmo.
Tuttavia</p><p>nell&rsquo;umanesimo veniva affermato che
in qualunque condizione nasca l&rsquo;uomo, questo ha
la</p><p>possibilit&agrave; di sforzarsi di essere molto
grande, purch&eacute; segua il cammino della
virt&ugrave;. Il lettore &egrave; ben</p><p>consapevole
che Lazaro, alla fine della vicenda, non &egrave; affatto
salito nella gerarchia sociale,</p><p>semplicemente
perch&egrave;, al contrario delle sue asserzioni, non ha
realmente praticato la virt&ugrave;.
Una</p><p>mentalit&agrave; conservatrice affermerebbe che
la pretesa di cambiare stato &egrave; di per s&egrave;
peccaminosa e il</p><p>sangue cattivo &egrave;
ereditario. Da un altro punto di vista, per&ograve; si
potrebbe affermare che Lazaro sia in</p><p>realt&agrave;
salito, che abbandonare la strada e la fame sia davvero
un progresso che apre anche ad</p><p>altre
possibilit&agrave; di ascesa. Pretendere altra norma che
quella soggettiva &egrave; uno sforzo
inutile:</p><p>nessuno schema teorico pu&ograve; render
conto della variet&agrave; e complessit&agrave; degli
uomini. Non ci</p><p>sono valori statici, ci sono vite, e
quello che serve per una magari &egrave; inutile per
un&rsquo;altra: questa</p><p>sembra essere la lezione di
Lazaro. Per&ograve;, se siamo coerenti con essa, non
possiamo accettarla:</p><p>siamo davanti al paradosso,
secondo cui frasi come &ldquo;Noi cretesi mentiamo
sempre&rdquo; (Epimenide)</p><p>hanno insieme
verit&agrave; e finzione, esattamente come
l&rsquo;affermazione &ldquo;Non esistono valori che
non</p><p>siano riferiti alla persona&rdquo;. Quindi
l&rsquo;affermazione dovr&agrave; essere applicata solo
al nostro banditore,</p><p>dal momento che &egrave; lui a
sostenere ci&ograve;? E&rsquo; lecito pensare, quindi,
che il succo del romanzo sia</p><p>semplicemente mostrare
a quali deformazioni pu&ograve; arrivare
un&rsquo;intelligenza perversa. Come in</p><p>una di
quelle scatole cinesi, tutti gli elementi del Lazarillo
sono solidali fra loro e gli uni appaiono</p><p>come
figure degli altri, e in ultima istanza come figure del
caso. E&rsquo; necessario considerare anche</p><p>se
l&rsquo;unico proposito dell&rsquo;autore non fosse
esibire un campione di splendido artigianato
umoristico,</p><p>prescindendo da ogni implicazione
didattica: il Lazarillo &egrave; anche un libro molto
divertente, capace</p><p>di creare un universo autonomo
nel quale contano solo l&rsquo;ingegno, la sorpresa, la
successione di</p><p>avvenimenti comici, e nel quale sono
sospesi gli imperativi etici.</p><p>Ci troviamo quindi di
fronte a varie ipotesi: nessuno dei grandi ideali che la
societ&agrave; promuove vale</p><p>al di fuori della
persona, ma qual &egrave; la tesi velata? 1. Proviene da
una perversione del giudizio, 2.</p><p>&egrave; un
semplice sberleffo umoristico, o 3. risponde a una
realt&agrave; polisemica risolta in punti di</p><p>vista?
Si propende verso la terza ipotesi. La scatola cinese del
romanzo, nella perfetta coerenza</p><p>delle sue
componenti, &egrave; troppo ben costruita per essere mera
invenzione artificiosa. L&rsquo;ambiguit&agrave;
e</p><p>l&rsquo;ironia sono i canali di un vasto
scetticismo intorno alle possibilit&agrave; di conoscere
la realt&agrave;. L&rsquo;io &egrave;</p><p>l&rsquo;unica
guida al mondo, una guida cangiante e parziale, da cui
non &egrave; possibile estrarre</p><p>conclusioni
stabili. La terza ipotesi non toglie granch&eacute; alla
seconda, e contiene la pietra angolare</p><p>della prima:
l&rsquo;umorismo &egrave; sempre stato amico degli
scettici, e non viene mai negato che
il</p><p>protagonista possa essere un brutto tipo.
L&rsquo;autore si fa carico delle ragioni del
protagonista e mette</p><p>allo scoperto il vuoto di
senso dei giudizi del mondo; da qui nasce anche la
caratterizzazione di</p><p>Lazarillo, ingenuo e scaltro,
caritatevole e crudele, tutto chiaroscuri.</p><p>2. Vita
e consigli di Guzm&agrave;n de Alfarache</p><p>La
vicenda, posta in bocca allo stesso protagonista, non
procede fluida, ma &egrave; intramezzata
da</p><p>prediche e meditazioni teoriche. La critica dei
manuali conferisce al Guzm&agrave;n il titolo di
opera</p><p>perfetta, ma consegnando questo dato lo
fraintende, interessandosi pi&ugrave; al contenuto
fattuale</p><p>(accadimenti, aneddoti, ecc.)
L&rsquo;incapacit&agrave; di elevarsi a una
considerazione completa dell&rsquo;opera</p><p>dipende da
un&rsquo;applicazione povera del concetto di romanzo: il
Guzm&agrave;n &egrave; s&igrave; un romanzo, ma
non</p><p>risponde totalmente all&rsquo;archetipo del
genere, pura tabulazione e descrizione, ripulita
da</p><p>ammonimenti e ornamenti didattici. Se Mateo
Alem&agrave;n scrisse un libro, e non due, si deve al
fatto</p><p>che giudicava ben integrati gli elementi
costitutivi (narrazione e digressione): il compito del
critico &egrave;</p><p>quindi quello di mettere in
rilievo il legame integratore. L&rsquo;autore afferma in
pi&ugrave; occasioni il</p><p>proposito didattico
dell&rsquo;opera, e da il via a uno straordinario
spiegamento di procedimenti artistici</p><p>che rivelano
la propria essenza proprio alla luce del proposito
didascalico. Ancora una volta la</p><p>chiave di lettura
sta nell&rsquo;autobiografia, nel punto di vista del
narratore e del personaggio fittizio, e</p><p>la visione
del mondo manifesta nel libro corrisponde al temperamento
del suo eroe.</p><p>Un personaggio in cerca
d&rsquo;autore</p><p>Guzm&agrave;n scrive le proprie
memorie dalla galera, dove si trova per crimini che non
commise. La</p><p>vicenda si articola in due fasi: un
primo tempo di azione, con Guzmanillo come protagonista,
e un</p><p>secondo tempo di narrazione, in cui il
protagonista da testimonianza delle sue
vicende,</p><p>infarcendole di riflessioni morali.
L&rsquo;autore stesso distingueva nel romanzo il dominio
della conseja</p><p>(la biografia) e il dominio del
consejo (la dottrina), ma l&rsquo;impulso nella lettura
&egrave; quello di unire le due</p><p>parti nella figura
di Guzm&agrave;n adulto; se cos&igrave; fosse, il
Guzm&agrave;n scrittore non avrebbe niente a
che</p><p>vedere con il Guzm&agrave;n personaggio e il
pentimento finale non sarebbe che una grave violenza
al</p><p>carattere del picaro, alla ricerca di un
pretesto per giustificare la redazione in prima
persona.</p><p>Sarebbe stato pi&ugrave; facile per
Alem&agrave;n assumere direttamente i ruoli di narratore
e moralista, ma</p><p>c&rsquo;erano vari motivi per non
farlo. Sono la maggioranza i sermoni imputabili al
Guzm&agrave;n maturo, ma</p><p>non ne mancano altri sulle
labbra del giovane Guzmanillo. Nella prima parte del
secondo libro si</p><p>trovano tre capitoli consacrati a
un&rsquo;invettiva contro la vacuit&agrave;
dell&rsquo;onore, e il monologo si</p><p>confonde con la
trama: esso &egrave; la presa di coscienza del
Guzm&agrave;n adulto, le cui circostanze lo</p><p>hanno
indotto a prescindere dalla honra. Negli stessi capitoli
interferiscono anche le considerazioni</p><p>del
Guzm&agrave;n picaro, e i due giudizi fluiscono separati,
ma complementari: le denunce di</p><p>Guzmanillo contro
la honra, pienamente congruenti alle situazioni in cui si
trova il picaro, spiegano</p><p>il fatto che un giorno il
Guzm&agrave;n converso ne pronunci di simili, e allo
stesso tempo buona parte</p><p>delle avventure del
protagonista ragazzino rende verosimile che egli finisca
per diventare scrittore.</p><p>Il passaggio da attore ad
autore si trova evidenziato nella cura con cui sono
puntualizzati gli</p><p>studi e le disposizioni
intellettuali del personaggio (eccellente istruzione,
ingegnoso e acuto,</p><p>amante della lettura, ecc.); non
sorprende, infatti, che il momento stesso della sua
conversione si</p><p>riallacci esplicitamente al ricordo
di ci&ograve; che impar&ograve; nelle aule.</p><p>Fra
paure e speranze</p><p>Ora sappiamo che Guzm&agrave;n
&egrave; gi&agrave; in Guzmanillo: la conversione li
separa in un certo numero di</p><p>aspetti, ma in
altrettanti li unisce. Il passaggio da Guzm&agrave;n
attore a Guzm&agrave;n autore costituisce il</p><p>vero
nodo argomentale dell&rsquo;opera, i vari episodi sono
subordinati alla linea costruttiva principale:
la</p><p>storia di una conversione e l&rsquo;analisi
della coscienza. Alem&agrave;n non ridusse il romanzo
allo</p><p>scandaglio introspettivo del personaggio, ma
utilizz&ograve; l&rsquo;autobiografia perch&eacute; la
predica generale</p><p>fosse al servizio
dell&rsquo;individualizzazione del protagonista, e
incluse capitoli relativi alle peripezie</p><p>esterne di
Guzm&agrave;n, in modo da divertire anche un pubblico
meno coltivato. In questo l&rsquo;autore
&egrave;</p><p>stato abile: ha combinato aneddoti
divertenti con studi profondi dell&rsquo;eroe, mentre in
altri</p><p>episodi la narrazione punta a imprigionare il
lettore limitandosi all&rsquo;azione e alla seduzione
della</p><p>trama; quest&rsquo;ultimo tipo di episodi non
aggiunge quasi niente alla creazione del personaggio, ed
&egrave;</p><p>per questo che Alem&agrave;n avrebbe
potuto tranquillamente alternare il loro ordine, non
svolgendo</p><p>questi una funzione strutturale
definita.</p><p>Il lungo e lento processo della
conversione del picaro si identifica con il
progressivo</p><p>consolidamento del punto di vista che
presiede il romanzo. Ci&ograve; si avverte sin dalle
prime</p><p>pagine, quando Guzmanillo, da poco fuggito di
casa, si ferma a riflettere sul proprio
passato:</p><p>questo &egrave; anche il finale del suo
pellegrinaggio, la riflessione finale sul proprio passato
dalla quale</p><p>nasce l&rsquo;autobiografia. Il
protagonista non sa dove andare e che cammino scegliere,
i suoi giorni</p><p>corrono fra paure e speranze, fino a
che non decide di prendere &ldquo;il cammino pi&ugrave;
bello, non</p><p>importava dove portasse&rdquo;.
E&rsquo;&egrave; il vecchio motivo di Ercole al bivio,
collegato all&rsquo;emblema della Y</p><p>pitagorica: la
linea dritta &egrave; la prima et&agrave;, senza scelta,
mentre i due tratti (uno ampio di sinistra e</p><p>uno
angusto a destra) annunciano ci&ograve; che &egrave;
predicato nel Vangelo di Matteo, ovvero che
&ldquo;stretto &egrave;</p><p>il cammino per godere della
vita eterna, e ampio quello che ci conduce fra i piaceri
alla perdizione&rdquo;.</p><p>Guzm&agrave;n sceglie il
sentiero pi&ugrave; piano, e le conseguenze non si fanno
aspettare. Il protagonista</p><p>non abbandona le
pratiche religiose neanche nelle epoche di maggiore
degradazione: l&rsquo;intima</p><p>lacerazione &egrave;
la costante della sua vita anteriore alla conversione,
ogni tappa &egrave; costantemente</p><p>avviata da una
decisione dolorosa che vede schierarsi da una parte fede
e ragione, dall&rsquo;altra la</p><p>volont&agrave; e
l&rsquo;istinto. Tale lacerazione &egrave; indubbiamente
il tema principale del racconto. Questa
rottura</p><p>intima ha un adeguato riflesso stilistico,
e soffermandoci su alcuni monologhi del Guzm&agrave;n
attore,</p><p>diventa ben chiaro come questi siano in
realt&agrave; dialoghi con un altro io, con l&rsquo;altra
parte del suo</p><p>essere scisso, che quando pu&ograve;
risponde, consiglia, accusa, sprona. L&rsquo;utilizzo
della seconda</p><p>persona singolare consente di
plasmare la scissione di una coscienza tormentata
dalla</p><p>necessit&agrave; di una scelta. Alcuni
sostengono che questa stessa intima lacerazione rende
poco</p><p>probabile che il protagonista si converta alla
santit&agrave;, ma per l&rsquo;autore, il conflitto non
era altro che un</p><p>augurio e la prova della sua
salvezza finale. Gli sbandamenti e le cadute mirano a
insegnarci la</p><p>lezione del libero arbitrio,
l&rsquo;ago della bilancia pu&ograve; inclinarsi verso il
bene o verso il male, ma la</p><p>lacerazione del
peccatore non impedisce che questo superi il dilemma
proseguendo felicemente</p><p>verso un finale felice.
Guzmanillo appartiene alla categoria dei peccatori
coscienti, perseguitati</p><p>dal disgusto del peccato
stesso.</p><p>Abbiamo quindi seguito la pista della
lacerazione interiore su tre piani: come elemento
definitorio di</p><p>una disposizione personale, in una
formulazione linguistica e in quanto portatore di
una</p><p>determinata dottrina. Ciascuno dei piani
&egrave; diretto al medesimo obbiettivo: i tre piani
convergono</p><p>nella congiuntura della conversione.
Infine, tutti e tre coincidono nello spiegare
l&rsquo;esistenza e il</p><p>carattere del libro. La
lacerazione &egrave; frutto di una coscienza vigile, di
un ripiegarsi su se stesso per</p><p>un&rsquo;intima resa
dei conti, e l&rsquo;autobiografia &egrave; quindi un
atto di introspezione. Sul piano stilistico
la</p><p>seconda persona riappare nella bocca del
Guzm&agrave;n adulto, che riflette sulle fortune del
picaro. Sul</p><p>piano dottrinale, la lacerazione
annuncia il pentimento, e ci aiuta a determinare
definitivamente che</p><p>le prediche tanto prodigate
provengono da un Guzm&agrave;n che ha risolto il suo
dilemma</p><p>inclinandosi verso il bene, e proprio per
questo non esita a raffigurarsi come
malvagio.</p><p>Atalaya de la vida</p><p>Nel Lazarillo il
racconto veniva strutturato dalla confluenza delle
cellule narrative sul caso</p><p>dell&rsquo;ultimo
capitolo. In modo simile, le peripezie del protagonista
del Guzm&agrave;n, riducibili al</p><p>predominio di una
delle due tendenze che lo lacerano, appaiono orientate
verso la conversione</p><p>finale. La conversione
significava ovviamente installarsi in un dogma e
obbligava ad assumere un</p><p>punto di vista unico: il
Concilio di Trento aveva insegnato che la fede senza le
opere non &egrave;</p><p>sufficiente per la remissione
dei peccati; Guzm&agrave;n ne &egrave; al corrente, la
sua intenzione di diventare</p><p>&ldquo;uomo
dabbene&rdquo; &egrave; presente fin dai primi momenti,
ma solo quando all&rsquo;intenzione di riforma
unisce</p><p>le opere di bene entra in possesso di
ci&ograve; che gli permette di raggiungere la grazia.
Guzm&agrave;n ha</p><p>confermato il dogma, lo ha
incorporato e inserito in una visione del mondo
personale. Cos&igrave;,</p><p>questa dottrina
caratterizza il racconto come punto di vista del
protagonista, il consejo si allaccia in</p><p>forme
diverse alla conseja.

Altro sunto

Il Lazarillo de Tormes</p><p>Si tratta del pi&ugrave;


importante racconto apparso sulla scena letteraria alla
fine del regno di</p><p>Carlo V; vi sono tre edizioni del
1554, ma l&rsquo;opera fu ristampata appena sei volte,
subendo revisioni</p><p>in seguito all&rsquo;inserimento
nell&rsquo;Indice del 1559. Se in patria non ebbe
successo, &egrave; accertato che</p><p>godette di ampia
diffusione all&rsquo;estero; in Spagna s&rsquo;impose
all&rsquo;attenzione di pochi ma
qualificati</p><p>lettori, come Miguel de Cervantes,
grazie ai quali fu assunta come centro propulsore
dell&rsquo;attivit&agrave;</p><p>narrativa e divenne il
prototipo di ogni forma di narrazione moderna, oltre che
archetipo del</p><p>genere picaresco. Inizialmente, gli
ingredienti sembrano gli stessi riscontrabili nella
prosa</p><p>&ldquo;alternativa&rdquo; di questo periodo:
ci si imbatte in un prologo-dedica indirizzato a un
destinatario vago,</p><p>e se ne evince che
l&rsquo;autore intende raccontare in termini
autobiografici, celandosi dietro</p><p>l&rsquo;anonimato.
Il prologo, per&ograve;, nasconde la chiave
dell&rsquo;intera interpretazione dell&rsquo;opera, la
cui</p><p>tecnica narrativa &egrave; rivoluzionaria ed
organizzata secondo un sistema di &ldquo;scatole
cinesi&rdquo;. L&rsquo;autore</p><p>ha nel prologo
ostentato l&rsquo;abito del letterato dotto e
conformista, citazioni di Plinio e
Cicerone</p><p>comprese, mentre subito dopo procede a una
brusca inversione di marcia: un
personaggio</p><p>autorevole gli ha commissionato non
un&rsquo;opera in virt&ugrave; della stima verso le sue
doti da letterato, ma</p><p>un rendiconto di un grave
caso occorsogli. Nonostante il caso sembri per un attimo
un pretesto</p><p>per l&rsquo;esibizione di una delle
tante biografie esemplari, subito dopo l&rsquo;autore
svela l&rsquo;identit&agrave; del</p><p>protagonista:
&egrave; la storia di un accattone e delle sue umili
origini, tiranneggiata dalla fame e da</p><p>squallidi
padroni. La prima sezione del prologo ha voluto catturare
l&rsquo;attenzione del pubblico per</p><p>sbattergli in
faccia una realt&agrave; crudele, invitandolo a godere
della lettura; anche questo invito</p><p>nasconde un
secondo significato, perch&eacute; &egrave; chiaro che,
chi abbia trovato divertente il racconto, si
&egrave;</p><p>fermato alla sua ridanciana superficie,
mentre per tutti gli altri non resta che meditare. Si
tratta di</p><p>una provocazione che colpisce tutti alla
cieca e con determinazione, contro il perbenismo
ipocrita,</p><p>e le acque stagnanti del qualunquismo.
L&rsquo;identificazione dell&rsquo;autore col
protagonista &egrave; totale al</p><p>punto che la
finzione dell&rsquo; &ldquo;io&rdquo; narrante
(L&agrave;zaro che racconta) investe appieno anche quello
che</p><p>dovrebbe essere l&rsquo; &ldquo;io&rdquo; reale
(lo scrittore che enuncia il proposito nel prologo), per
cui da chi</p><p>proviene la provocazione? La sfida al
pubblico sembra provenire dall&rsquo;autore-Lazarillo, il
picaro</p><p>affamato e straccione che ha le carte in
regola per dissacrare e scandalizzare, mentre si sa che
a</p><p>parlare &egrave; l&rsquo;autore-L&agrave;zaro,
che ha frapposto un&rsquo;enorme distanza comportamentale
e psicologica fra</p><p>i due stadi della sua vita.
Lazaro adulto difende la propria posizione di integrato
fra i ranghi, ma</p><p>proprio per questo non
c&rsquo;&egrave; coerenza nel fatto che questo attacchi
coloro che adesso considera</p><p>suoi simili. Nel
settimo e ultimo tratado viene delineata la condizione
sociale di L&agrave;zaro, un</p><p>banditore di vini che
si sente realizzato del &ldquo;buon porto&rdquo; a cui
&egrave; arrivato, in barba ai principi morali</p><p>e
alla figura di &ldquo;cornuto-contento&rdquo;. Si tratta
di un antieroe che ha devastato ogni valore
tradizionale</p><p>e per questo si esalta come eroe
autentico; ma &egrave; veramente esaltazione e
compiacimento? O</p><p>semplicemente drammatica
consapevolezza del limite oltre il quale non gli
sar&agrave; mai consentito</p><p>andare? Lazaro, per
difendere quel poco che ha raggiunto, maschera le accuse
con una cinica e</p><p>spavalda caricatura di se stesso e
sottopone all&rsquo;inquisitore il racconto-
giustificazione di tutta la</p><p>sua vita. Il prologo,
quindi, &egrave; l&rsquo;ultimo vero capitolo che
suggella la traiettoria da Lazarillo a
L&agrave;zaro.</p><p>Dissipata la relazione fra
committente illustre e letterato, subentra il binomio
accusatore-accusato,</p><p>in un processo fasullo che ha
il solo scopo di ingigantire la menzogna.</p><p>Uno dei
tratti distintivi del racconto consiste nell&rsquo;aver
convogliato un complesso disegno in una</p><p>trama
esigua e spedita, il cui approccio a prima vista non
richiederebbe pi&ugrave; impegno di una</p><p>semplice
lettura infantile. La vicenda inizia con una sorta di
scheda anagrafica del protagonista,</p><p>sino ad
arrivare alla parte viva della storia: il padre, sorpreso
a rubare, viene arrestato ed esiliato, e</p><p>alla sua
morte in una spedizione contro i mori, la madre diviene
amante di uno stalliere nero al</p><p>quale il bambino si
affezione in quanto unica fonte di cibo e legna. Subendo
lo stalliere una sorte</p><p>peggiore di quella del
padre, Lazarillo si improvvisa garzone di vari osti, fino
a che un giorno la</p><p>madre lo affida a un cieco che
lo porta via per sempre dal suo paese. Pur alludendo a
situazioni</p><p>dolorose, non vi &egrave; alcun
abbandono affettivo, mentre si assiste al sovvertimento
di ogni canone</p><p>letterario cui quel repertorio di
registri tradizionali &egrave; sempre stato sottoposto.
La realt&agrave; irrompe</p><p>brutalmente nella
narrazione, non c&rsquo;&egrave; spazio per
l&rsquo;allegoria, per l&rsquo;esotismo, e la stessa
realt&agrave; &egrave;</p><p>enfatizzata da una
paradossale ironia: Lazarillo &egrave; l&rsquo;antieroe
per eccellenza, una figura che smitizza</p><p>i tratti
riservati ai veri eroi della grande epopea, e la
smitizzazione inizia gi&agrave; nella
primimissima</p><p>parte della storia, dalla nascita nel
fiume alla morte del padre, come parafrasi ironica
della</p><p>Passione di Cristo. Si assiste ad un
ribaltamento nella narrazione dei fatti, che stando al
prologo</p><p>dovrebbe essere funzionale ad una carta
responsiva che dopo una carrellata sui
precedenti</p><p>giovanili dovrebbe focalizzare sul caso
(o l&rsquo;avventura, l&rsquo;impresa, a seconda
dell&rsquo;ambito narrativo).</p><p>Qui le origini
occupano l&rsquo;intero percorso dell&rsquo;opera,
rendendo possibile un progressivo</p><p>sviluppo di un
mosaico sociale in cui la crisi si incontra a vari
livelli, mentre quando la vicenda</p><p>viene ricondotta
a un immobile presente, l&rsquo;immagine di L&agrave;zaro
&egrave; appiattita nel sistema. Anche il</p><p>motivo
della famiglia, che sembra accantonato all&rsquo;inizio
del racconto, viene richiamato
dalle</p><p>affinit&agrave; che legano la condizione del
protagonista da adulto a quelle del nucleo familiare
di</p><p>partenza. L&rsquo;idea della madre di un sognato
traguardo di benessere che esclude il concetto
di</p><p>onest&agrave; &egrave; la stessa del figlio, ma
quest&rsquo;ultimo si oppone al fallimento secondo
l&rsquo;idea che, se la</p><p>giustizia che ha punito il
padre e il patrigno, non punisce i ricchi per gli stessi
reati, sar&agrave; a questa</p><p>categoria che
occorrer&agrave; allinearsi.</p><p>La vita del ragazzo
prosegue all&rsquo;insegna di una doppia progressione: al
bagaglio di esperienze si</p><p>affianca la crescita
della fame, e il processo incentrato
sull&rsquo;iniziazione di Lazarillo alla
scoperta</p><p>delle proprie risorse di astuzia e di
autonomia &egrave; una sorta di itinerario
&ldquo;educativo&rdquo; che prepara</p><p>l&rsquo;anima
al disonore. Le prime tre tappe, il cieco, il prete e lo
scudiero, sono determinanti al punto</p><p>da esaurire la
finalit&agrave; e la sostanza, e sono i pi&ugrave;
dettagliati, mentre i rimanenti quattro
si</p><p>avvicendano frettolosamente mentre il ragazzo
comincia a far fruttare la mentalit&agrave; affaristica
che si</p><p>sostituisce alla lotta per la sopravvivenza;
anche la modalit&agrave; narrativa cambia in un
sistema</p><p>aridamente elencativo degli episodi. Molte
sono le ipotesi riguardanti il motivo di
questo</p><p>cambiamento: alcuni hanno parlato di opera
non finita, immaginando i tratados pi&ugrave; corti
come</p><p>bozze da rielaborare, altri hanno ipotizzato
tagli censori dell&rsquo;Inquisizione, ma indagini
pi&ugrave; accurate</p><p>hanno giustificato
l&rsquo;irregolarit&agrave; compositiva e dato vita a
numerose ipotesi. Una delle proposte</p><p>avanzate
specifica che, una volta completatasi la
caratterizzazione del protagonista alla fine</p><p>del
terzo tratado, con la precisa definizione del suo profilo
psicologico e comportamentale, gli</p><p>stadi successivi
sono stati intesi solo come veloce raccordo cronologico
sino al presente. Il</p><p>comune denominatore della
prima parte &egrave; individuabile nel sistematico
confronto di Lazarillo con</p><p>categorie distorte e
deformate della vita, dal quale dovr&agrave; sortire la
figura ideale del picaro,</p><p>antitetica rispetto alle
immagini ideali proposte dallo standard letterario
rinascimentale.</p><p>La figura del cieco assomma il
maggior numero di codici degradanti: mendicante privo di
ogni</p><p>compassione, portatore di una dimensione delle
cose riduttiva a causa della propria
infermit&agrave;,</p><p>abilit&agrave; di raggiro a
met&agrave; strada fra la negromanzia e la delinquenza.
Da questa figura prende</p><p>l&rsquo;avvio
l&rsquo;istruzione del ragazzo, e precisamente il loro
rapporto inizia con uno scherzo che</p><p>provoca dolore
alla testa di Lazarillo, facendola sbattere contro la
statua di una testa di toro, pur</p><p>sottolineando il
valore iniziatico del gesto maligno, che
&ldquo;desta&rdquo; il ragazzo
dall&rsquo;ingenuit&agrave; in cui</p><p>aveva dormito
fino ad allora. E&rsquo; stata trasmessa a Lazarillo una
nozione di mondo ostile contro i</p><p>cui agguati
occorre stare sempre all&rsquo;erta, e anzi occorre
muoversi costantemente dentro un preciso</p><p>piano
d&rsquo;attacco fatto di imbrogli, raggiri, furti. Il
cieco, in ogni caso, non distinguendo i confini
fra</p><p>didattica e crudelt&agrave; gratuita,
infierisce sul bambino con castighi e privazioni.
E&rsquo; per questo che</p><p>il ragazzo utilizza lo
stesso approccio aggressivo e trasgressivo alla vita,
elaborando contro il</p><p>padrone le stesse strategie
che aveva da lui appreso. Tutto si conclude quando un
giorno, Lazarillo</p><p>manda il cieco a sbattere contro
un pilastro e fugge via, lasciandolo mezzo morto. La
vendetta</p><p>ricalca la burla della testa di toro, ma
con una ferocia pi&ugrave; cinica e distruttiva, che
dimostra come</p><p>l&rsquo;apprendistato sia giunto a
buon esito e come il ragazzo possa adesso
applicare</p><p>autonomamente le norme furfantesche
apprese. Dal primo padrone &egrave; insorta
un&rsquo;etica rabbiosa</p><p>del possesso e
dell&rsquo;accaparramento, soprattutto legata al motivo
della fame, le quali rimarranno</p><p>nella formazione
del ragazzo assieme al rancore e a una sorta di oscura
gratitudine.</p><p>Il chierico di Maqueda, sottopone il
bambino a una sottrazione di nutrimento tanto pi&ugrave;
malvagia</p><p>quanto pi&ugrave; immotivata. L&rsquo;odio
del ragazzo &egrave; assoluto, non vi &egrave; alcun
motivo pedagogico, e non</p><p>rimane altra scelta che
combattere l&rsquo;avversario con le armi che conosce:
alla strategia del digiuno</p><p>si contrappone la
studiata strategia del furto. L&rsquo;anticlericalismo
&egrave; una delle coordinate pi&ugrave;</p><p>vistose
dell&rsquo;opera: cinque dei padroni di Lazarillo
appartengono alla classe clericale, e tutti</p><p>vengono
trattati con ironico disprezzo riguardo ai vizi che li
contraddistinguono, ricorrendo a</p><p>stoccate
irriverenti, imprecazioni, parafrasi caricaturali, ecc.
Una volta fallito il tentativo, il servo</p><p>viene
cacciato e in lui si fanno spazio diverse idee: da un
lato si rafforza la convinzione che le</p><p>proprie
risorse truffaldine, se gestite con astuzia e accortezza,
prima o poi gli frutteranno un
utile,</p><p>dall&rsquo;altro si consolida la
constatazione dell&rsquo;incolmabilit&agrave; delle
distanze di classe, intuendo che</p><p>l&rsquo;unico tipo
di profitto auspicabile per i diseredati sia da ricercare
in approssimativi escamotages di</p><p>compromissione con
i ricchi.</p><p>L&rsquo;approccio con la sfera
&ldquo;aristocratica&rdquo; avviene grazie
all&rsquo;incontro con uno scudiero a
Toledo,</p><p>incontro che sembra schiudere rosee
prospettive al ragazzo, ma la delusione inaspettata
&egrave; stavolta</p><p>sconvolgente. Un fanatico
attaccamento al decoro e all&rsquo;onore riduce lo
scudiero a una pietosa</p><p>farsa di se stesso. Eppure
proprio da questo personaggio surreale giunge a Lazarillo
l&rsquo;unico segno</p><p>di rispetto, l&rsquo;unica
concessione al dialogo e alla tolleranza, che provoca in
lui una confusa</p><p>compassione che gli impedisce di
ribellarsi; il ragazzo non pensa mai di abbandonarlo, ma
viene</p><p>abbandonato da quello, costretto a fuggire
per sottrarsi ai creditori.</p><p>Con questa figura
pu&ograve; considerarsi conclusa la carrellata di
istituti sociali degenerati: la
famiglia</p><p>scompagnata, il piccolo laicato precario,
il clero corrotto, la nobilt&agrave;-fantasma. Tutti
hanno radicato</p><p>nel ragazzo il concetto di
opposizione fra s&eacute; e un fronte esterno di
ostilit&agrave;, e sono responsabili della</p><p>sua idea
di disonore come la sola approvata e giustificante. La
societ&agrave; ha defraudato L&agrave;zaro
di</p><p>quell&rsquo;insieme di valori che nel linguaggio
benpensante si chiama &ldquo;coscienza
morale&rdquo;.</p><p>La narrativa</p><p>Il romanzo
all&rsquo;epoca di Filippo II si sviluppa seguendo il
tracciato dell&rsquo;avventura sentimentale,</p><p>mentre
declina la fortuna delle narrazioni cavalleresche. In un
secondo momento acquistano</p><p>popolarit&agrave; gli
effetti a sorpresa degli intrecci bizantini. La narrativa
sembra orientata verso</p><p>raffigurazioni che non hanno
legame diretto con la realt&agrave; quotidiana, come il
romanzo pastorale,</p><p>che sfrutta questa piena
disponibilit&agrave; all&rsquo;evasione accogliendo la
tradizione classica mediante</p><p>recuperi del codice
virgiliano, e la moda bucolica si estende alla prosa
manieristica costruita in</p><p>funzione dei gusti dei
destinatari (una societ&agrave; cortigiana
definitivamente urbanizzata). Se
l&rsquo;eroismo</p><p>cavalleresco ha affievolito la sua
capacit&agrave; di attrazione sul pubblico, rimane
comunque vero che la</p><p>produzione editoriale dei
libros de caballer&igrave;as &egrave; ancora imponente da
un punto di vista</p><p>quantitativo. L&agrave; dove va
attenuandosi l&rsquo;ansia di sublimazione eroica, non
viene meno il desiderio</p><p>di trasfigurare la
monotonia quotidiana, mediante l&rsquo;invenzione di una
serenit&agrave; agreste con</p><p>scenari irreali e
immaginari, ma riconoscibili attraverso allusioni a
specifici particolari della</p><p>geografia
reale.</p><p>Il romanzo pastorale: Jorge de
Montemayor</p><p>La pubblicazione de Los siete libro de
la Diana nel 1559 rappresenta una tappa
fondamentale</p><p>per il genere, e godette di un
successo strepitoso, dando origine a una serie di
imitazioni. La</p><p>finzione bucolica non impedisce lo
sviluppo di un sottile dibattito sulla natura
dell&rsquo;amore, che</p><p>turba, allontana o richiama i
personaggi nella narrazione delle malinconiche vicende
sentimentali,</p><p>facendo tesoro della trattatistica
rinascimentale. Le vicende si sviluppano secondo percorsi
lenti e</p><p>rettilinei che conducono i protagonisti
verso un tempio dove un&rsquo;acqua miracolosa
permetter&agrave; a</p><p>tutti di raggiungere la
felicit&agrave;. Le pause dell&rsquo;itinerario sono
arricchite da lunghe riflessioni dei</p><p>protagonisti,
grazie alle quali numerose altre storie si innestano in
quella principale. La prosa</p><p>viene impreziosita
dall&rsquo;inserimento di testi poetici: l&rsquo;opera
era destinata al pubblico della corte. I</p><p>turbamenti
suscitati dalla passione vengono proiettati in uno
scenario bucolico fatto di prati,</p><p>ruscelli,
fontane, ecc., e la realt&agrave; esterna si trova
smaterializzata, costruita solo come contorno
dei</p><p>sentimenti dominanti. Ogni particolare del
paesaggio viene colto per sottolineare le
vibrazioni</p><p>intime che riesce a stabilire. Le azioni
dei personaggi non sono mai condizionate dalle
circostanze</p><p>spaziali, perch&eacute; al centro
dell&rsquo;interesse si pone sempre un universo
interiore: solo un</p><p>intervento soprannaturale
(l&rsquo;acqua miracolosa) consente di mutare le rigorose
leggi del loro</p><p>destino, ed &egrave; l&rsquo;unico
espediente narrativo per permettere uno sviluppo dinamico
nei rigidi schemi</p><p>dell&rsquo;introspezione
psicologica.</p><p>La conclusione aperta della Diana ha
portato a diversi tentativi di sviluppare la vicenda da
parte</p><p>di altri autori. Per primo Alonso Perez
pubblic&ograve; una seconda parte della Diana nel 1563,
e</p><p>nonostante la mediocrit&agrave; della stesura,
conobbe un importante successo. Egli
contrappose</p><p>all&rsquo;interpretazione del
sentimento amoroso una rigida prospettiva razionalistica,
cercando di</p><p>garantire da un lato il decoro formale
e dall&rsquo;altro la seriet&agrave; dell&rsquo;indagine
psicologica. Gi&agrave; nella parte</p><p>preliminare
dell&rsquo;opera rivela l&rsquo;atteggiamento critico
verso la concezione bucolica dell&rsquo;amore,
poich&eacute;</p><p>ritiene che la natura del sentimento
si rivela nell&rsquo;appetito sensuale, in una passione
capace di</p><p>sconvolgere in modo catastrofico le
qualit&agrave; dello spirito. In quest&rsquo;opera
l&rsquo;autore fa sfoggio delle</p><p>proprie conoscenze
classiche attraverso l&rsquo;introduzione di elementi
aggiuntivi che si incastrano nel</p><p>racconto, come la
F&agrave;bula de Dafne y Apolo.</p><p>Un&rsquo;altra
versione, la Diana Enamorada, viene pubblicata nel 1564
da Gaspar Gil Polo, e la</p><p>finalit&agrave;
moralistica dell&rsquo;opera &egrave; esposta con
chiarezza nella parte preliminare dell&rsquo;opera:
l&rsquo;intento</p><p>&egrave; dimostrare quando il
sentimento amoroso pu&ograve; condizionare l&rsquo;animo
e indurre gli innamorati a</p><p>sopportare sofferenze,
da cui si ricava l&rsquo;importanza di preservare
l&rsquo;anima da una cos&igrave;
dannosa</p><p>infermit&agrave;. Venne accolta con
consenso dai contemporanei grazie alle sue qualit&agrave;
artistiche.</p><p>Nonostante un atteggiamento polemico,
l&rsquo;autore mantiene gli schemi e la disposizione
della</p><p>Diana originale: le vicende sentimentali
delle coppie di pastori sono intramezzate da
episodi</p><p>secondari dominati
dall&rsquo;insoddisfazione dei personaggi. Il centro del
romanzo &egrave; la soluzione dei</p><p>conflitti, per i
quali l&rsquo;autore rifiuta l&rsquo;intervento delle
arti magiche a favore di una
giustificazione</p><p>psicologica dell&rsquo;evoluzione
dei sentimenti. Per facilitare lo scioglimento
dell&rsquo;intreccio non esita ad</p><p>eliminare il
personaggio pi&ugrave; scomodo: Delio, marito
dell&rsquo;insoddisfatta Diana, muore in seguito</p><p>ad
una follia amorosa. La celebrazione finale &egrave; poi
accompagnata da una lunga disquisizione</p><p>sulla
natura irrazionale dell&rsquo;amore, con echi precisi
degli Asolani di Bembo e della Galatea
di</p><p>Cervantes. Gil Polo introdusse nell&rsquo;opera
anche liriche descrittive di fattura
bucolica,</p><p>sperimentando una vasta gamma di forme
metriche per evocare immagini di brillante
vivacit&agrave;.</p><p>Al margine della produzione
pastorale si colloca l&rsquo;opera di Antonio Lofrasso,
autore dei dieci libri</p><p>della Fortuna de Amor nel
1573, nei quali gli elementi biografici si sovrappongono
alle trame</p><p>bucoliche, il tutto sospinto da una
volont&agrave; di adattare il mito utopico
dell&rsquo;Arcadia a una topica</p><p>personale. Nello
stesso senso si mosse Luis G&agrave;lvez de Montalvo: il
suo Pastor de F&igrave;lida del 1582</p><p>sfrutta il
travestimento del genere bucolico per illustrare le
vicende personali che l&rsquo;autore stesso</p><p>finge
di condividere con un gruppo di aristocratici a lui
familiari; la tradizione pastorale diventa
uno</p><p>strumento che permette di rievocare
romanzescamente episodi di una realt&agrave; intima
per</p><p>proiettarli in uno scenario idealizzato. La
finzione arcadica non fu accantonata, ma continu&ograve;
ad</p><p>affascinare gli scrittori della generazione
successiva come la Cervantes e Lope de Vega.</p><p>Il
romanzo moresco</p><p>Mentre l&rsquo;intolleranza
ideologica rendeva della realt&agrave; quotidiana sempre
pi&ugrave; conflittuali i rapporti e</p><p>gli scontri
fra cristiani e civilt&agrave; moresca, la volont&agrave;
di una trasfigurazione idealistica delle
relazioni</p><p>fra vincitori e vinti si manifest&ograve;
in un nuovo filone narrativo, e la morofilia divenne una
moda</p><p>letteraria che si impose in diverse forme
creative. Il romanzo si costitu&igrave; saldando insieme
strutture</p><p>narrative del romanzo cavalleresco e del
romanzo sentimentale, con il trasferimento di
attributi</p><p>considerati peculiari della
nobilt&agrave; castigliana alla figura del moro
aristocratico. Capolavoro del</p><p>genere &egrave; la
Storia dell&rsquo;Abencerraje e della bella Jarifa, che
si svolge su doppio piano narrativo,</p><p>alternando
conflitti fra arabi e cristiani ad episodi idillici. Si
assiste a una stilizzazione idealistica</p><p>dei
personaggi secondo il canone cortese e a uno sforzo
rendere credibile il sogno di pacifica</p><p>convivenza
fra arabi e cristiani. Pi&ugrave; realistica &egrave; la
Historia de los bando de los Zegr&igrave;es
y</p><p>Abencerajes, caballeros moros de Granada di
Gin&egrave;s P&egrave;rez de Hita, pubblicata nel 1595
e</p><p>completata in seguito con una seconda parte. La
prima parte ricostruisce i conflitti fra le
famiglie</p><p>dell&rsquo;aristocrazia araba che si
contendevano il potere prima della riconquista
cristiana,</p><p>intramezzando la cronaca con testi
poetici e descrizioni di feste, tornei e episodi di vita
cortese di</p><p>un&rsquo;epoca perduta. La seconda parte
privilegia il resoconto dei fatti riguardanti la rivolta
moresca</p><p>delle Alpujarras.</p><p>Il romanzo
bizantino</p><p>Questo genere incontr&ograve; vasta
diffusione in molte letterature europee, ispirato dalla
traduzione di</p><p>testi classici fra cui l&rsquo;Asino
d&rsquo;oro di Apuleio. I moduli efficaci del romanzo
cavalleresco</p><p>sentimentale e pastorale si incontrano
con il fascino dell&rsquo;avventura esotica, dando
vita</p><p>scenografie spettacolari e strutture aperte.
L&rsquo;orizzonte degli itinerari degli eroi &egrave;
ampliato e</p><p>proiettato in vasti spazi, con viaggi
sempre pi&ugrave; movimentati e burrascosi. I
protagonisti sono</p><p>solitamente una coppia di
innamorati separati, coscienti di perseguire un loro alto
ideale, pronti a</p><p>piegare gli impulsi passionali
alle norme etiche e religiose. La Historia de los amores
de Clareo y</p><p>Florisela di Alonso Nunez de Reinoso
presenta una spiccata predilezione per le trame
bucoliche,</p><p>con innesti di altri generi narrativi: i
due protagonisti innamorati percorrono un lungo
viaggio</p><p>attraverso continue peripezie e purificano
il loro affetto traendo energia dalle avversit&agrave;,
lasciando</p><p>trapelare la lezione etica che si poteva
ricavare dall&rsquo;opera. Nella Selva de Aventuras,
invece,</p><p>Jer&ograve;nimo de Contreras narra la
storia del protagonista che, respinto dalla amata, va in
cerca di</p><p>oblio e rassegnazione vagando per il
Mediterraneo, facendo tesoro dell&rsquo;esperienza
con</p><p>atteggiamento stoico e accettazione cristiana,
per poi ritirarsi come eremita. Il vagare
del</p><p>protagonista simboleggia la condizione
dell&rsquo;umanit&agrave; e si conclude con un proposito
esemplare di</p><p>redenzione che si uniforma agli
orientamenti ideologici pi&ugrave; accreditati in
quell&rsquo;epoca.</p><p>Il romanzo picaresco: Mateo
Alem&agrave;n</p><p>Sul finire del secolo viene
pubblicato il Guzm&agrave;n de Alfarache, capolavoro
della narrativa</p><p>picaresca. Alem&agrave;n visse una
vita tormentata, fatta di studi non conclusi, debiti e
affari non efficaci,</p><p>nonch&eacute; da un matrimonio
infelice. Tutte queste esperienze si riflettono nelle
amare pagine del suo</p><p>capolavoro. La redazione del
Guzm&agrave;n risale agli anni del suo ultimo soggiorno
madrileno, nel</p><p>1597, e godette di un notevole
successo in varie citt&agrave;. Alla fama conquistata,
per&ograve; non corrispose</p><p>un adeguato vantaggio
economico, poich&eacute; non riuscendo a tutelare i
propri diritti la maggior</p><p>parte delle edizioni
risult&ograve; fraudolenta. La prima parte
dell&rsquo;opera si interrompeva in modo brusco,
e</p><p>dell&rsquo;aspettativa che si venne a creare
approfitt&ograve; uno spregiudicato imitatore, Juan
Mart&igrave;, che</p><p>pubblic&ograve; la seconda parte
ricevendo un&rsquo;accoglienza straordinaria nel 1602.
Alem&agrave;n si affrett&ograve; a</p><p>pubblicare
l&rsquo;autentica seconda parte dell&rsquo;opera nel
1604, vendicandosi con ironia
grazie</p><p>all&rsquo;introduzione di un personaggio
equivoco e infido, destinato a morire in un naufragio.
L&rsquo;opera</p><p>riprende la finzione autobiografica
del Lazarillo, e come essa traccia un cammino di
perfezione</p><p>alla rovescia, da una fanciullezza
miserabile a una maturit&agrave; fatta di esperienze
truffaldine,</p><p>passando attraverso episodi distinti
ma concatenati, che sono le tappe di un
apprendistato</p><p>disonorante e offrono
l&rsquo;occasione di un&rsquo;aspra satira sociale. La
novit&agrave; sta nell&rsquo;inserimento
di</p><p>commenti moraleggianti che intendono trarre una
lezione anche dagli episodi pi&ugrave;
ignobili.</p><p>L&rsquo;opera si presenta in
corrispondenza con la sensibilit&agrave; della
Controriforma: la fragilit&agrave; della</p><p>natura
umana, indebolita dal peccato originale, pu&ograve;
redimersi attraverso il pentimento e la
fiducia</p><p>nella misericordia divina. Forse proprio
questa prospettiva ideologica fece s&igrave; che
l&rsquo;opera avesse</p><p>immenso successo in tutti i
paesi europei.</p><p>Guzm&agrave;n nasce a Siviglia,
figlio di un avventuriero, e a dodici anni lascia la
famiglia in cerca di</p><p>avventure: dopo una serie di
avvenimenti che lo lasciano truffato e burlato, si mette
alla ricerca di</p><p>alcuni parenti del padre, che
per&ograve; lo disconoscono. Solo uno zio lo ospita, con
il fine di giocargli un</p><p>tiro mancino. Recatosi a
Roma viene accudito da un cardinale che lo fa curare da
medici</p><p>imbroglioni e lo assume al proprio servizio,
ma non sopportando le sue burle e i suoi furti lo
caccia.</p><p>Nella seconda parte il protagonista
&egrave; al servizio dell&rsquo;ambasciatore di Francia,
ma la vendetta di</p><p>una dama gli fa perdere ogni
protezione. Dopo varie peripezie fra Siena e Bologna,
scontata una</p><p>pena per diffamazione, bara al gioco e
vince una grossa somma, cos&igrave; si trasferisce a
Milano</p><p>dove compie un&rsquo;estorsione ai danni di
un commerciante. Ormai ricco si trasferisce a
Genova,</p><p>accolto dai parenti con finte
manifestazioni di affetto, ma decide di vendicarsi
derubandoli e</p><p>imbarcandosi per giungere a
Barcellona e Saragozza dove viene beffato ancora da una
donna.</p><p>Infine a Madrid sposa una ricca ereditiera e
una volta diventato vedovo decide di
studiare</p><p>teologia a Alcal&agrave;, ma prima di
finire gli studi lascia l&rsquo;universit&agrave; per
sposare la figlia di un oste,</p><p>avviandola alla
prostituzione. Tornato a Siviglia, le proprie malefatte
lo portano all&rsquo;arresto, e il</p><p>tentativo di
fuga gli costa l&rsquo;ergastolo. La sua esistenza
crudele lo spinge meditare e a redimersi,</p><p>e una
volta scoperto e denunciato un ammutinamento, ottiene la
liberazione.</p><p>Si &egrave; a lungo discusso del
significato da attribuire alle riflessioni moralistiche,
prima apprezzate</p><p>per la finalit&agrave; didattica,
poi considerate come nocive per l&rsquo;economia del
racconto, tanto che furono</p><p>eliminate in alcune
edizioni. Tuttavia non si pu&ograve; negarne la
pertinenza, essendo l&rsquo;opera concepita</p><p>come il
racconto di un galeotto pentito che si articola secondo
un progetto che trova il suo punto di</p><p>forza nel
riscatto morale: il protagonista medita sul passato con
distacco e autoironia,</p><p>insistendo sul proprio
turbamento e disagio psicologico nella seconda parte,
senza mai far</p><p>trapelare dell&rsquo;astio o
dell&rsquo;asprezza. L&rsquo;opera contribu&igrave; a
consolidare un genere narrativo destinato</p><p>ad
acquistare ancor maggior vigore nell&rsquo;epoca barocca,
con la sua struttura dinamica che</p><p>ammetteva una
serie ininterrotta di eventi e la relazione conflittuale
fra protagonista e realt&agrave;</p><p>circostante. La
continua lotta per la sopravvivenza si protrae attraverso
episodi che portano</p><p>all&rsquo;affermazione di una
realt&agrave; carente di valori etici. Proprio questo
&egrave; il prototipo del picaro, privo</p><p>di
aspirazioni e slanci eroici, che ordisce e subisce gli
inganni. A sottolineare la funzione di</p><p>riflessione
etica dei commenti moralistici &egrave; l&rsquo;autore,
che nel prologo si rivolge al lettore</p><p>esortandolo a
&ldquo;non ridere del racconto ma approfittare del
consiglio&rdquo;.</p><p>Le esperienze esistenziali
dell&rsquo;autore confluiscono nell&rsquo;opera insieme a
una posizione di</p><p>rassegnato stoicismo, e tutte le
riflessioni sono dominate da un convinto sentimento
religioso.</p><p>L&rsquo;episodio della conversione del
suo personaggio rappresenta il momento risolutivo del
dramma</p><p>esistenziale, che permette a Guzm&agrave;n
di rievocare le proprie vicende assumendo criticamente
le</p><p>distanze e imponendosi come un narratore-giudice
delle vicissitudini di s&egrave; stesso da
giovane.</p><p>L&rsquo;intera storia si presenta come il
lento maturare della coscienza del personaggio narrante,
dalla</p><p>quale il lettore pu&ograve; trarre una
lezione proficua.</p><p>Il Guzm&agrave;n evidenzia alcune
caratteristiche specifiche del romanzo picaresco: la
prospettiva</p><p>autobiografica e la narrazione in prima
persona, la figura del picaro emarginato, costretto a
vivere</p><p>di espedienti, come protagonista e antitesi
delle nobili figure idealizzate dalla
letteratura</p><p>contemporanea. Anche il distacco dal
nucleo familiare &egrave; significativo, e determina
l&rsquo;inizio di una vita</p><p>di emarginazione che
giustifica ogni espediente. L&rsquo;opera di
Alem&agrave;n offre
un&rsquo;ingannevole</p><p>impressione di struttura
aperta, con l&rsquo;accavallarsi delle vicende che si
rinnovano continuamente,</p><p>ma presenta in
realt&agrave; una struttura chiusa.</p><p>La narrativa
minore</p><p>Meritano un cenno i due filoni che risalgono
da un lato alla tradizione arabo-ispanica,
dall&rsquo;altro</p><p>alla tradizione italiana tardo-
medievale e rinascimentale. Un esempio &egrave; il
Jard&igrave;n de flores</p><p>curiosa del 1570, scritto
da Antonio de Torquemada secondo il presupposto che gli
aspetti pi&ugrave;</p><p>sorprendenti della natura
riflettono la potenza del Creatore, focalizzando su
scenari meravigliosi, in</p><p>parte immaginari, come
fontane magiche e incantesimi.</p><p>Parte seconda: IL
SEICENTO</p><p>Francisco de Quevedo Villegas</p><p>La
vita di questo autore &egrave; stata intensa e movimenta,
caratterizzata da vicende di cui i biografi</p><p>devono
distinguere il vero dal falso. Figlio di funzionari di
palazzo, non termina gli studi di teologia</p><p>e dal
1600 inizia a farsi conoscere a corte grazie alle proprie
composizioni; nella stessa corte</p><p>risiede Luis de
G&ograve;ngora, suo rivale nella scrittura.
L&rsquo;autore opera nella capitale fino al
1613,</p><p>dedicandosi ad un&rsquo;attivit&agrave;
letteraria vivace, aggressiva, che lo porta a partecipare
a feste,</p><p>accademie letterarie, intessendo amicizie
e guadagnandosi inimicizie. La sua vena satirica
trova</p><p>sfogo nella redazione dei Sue&ntilde;os,
iniziati nel 1605 e terminati poi nel 1622. Nonostante
l&rsquo;intensa</p><p>attivit&agrave;, Quevedo non
pubblica niente, nonostante fallimentari tentativi di
pubblicare i Sue&ntilde;os,</p><p>che circoleranno
solamente grazie al manoscritto. L&rsquo;autore riesce a
campare grazie a varie rendite</p><p>che aveva ereditato.
Nel 1613 inizia il suo periodo italiano in Sicilia al
seguito del duca di</p><p>Osuna, e il soggiorno si
rifletter&agrave; in opere di ispirazione storica e
stoica. Nel frattempo si dedica a</p><p>una serie di
vicende politiche, dall&rsquo;incontro con il re e con il
papa a una cospirazione contro</p><p>Venezia, sino ad
arrivare al 1619, anno in cui lascia la penisola. Dopo
l&rsquo;incoronazione di Filippo IV</p><p>viene
allontanato da Madrid solo la nomina di primo ministro al
duca di Olivares, e costretto a</p><p>vivere in alla
Torre di Juan Abad viene colpito da una grave malattia;
tenta poi di recuperare il</p><p>favore del duca
inviandogli la Pol&igrave;tica de Dios, un denso trattato
politico-morale. Dal 1623 lo</p><p>ritroviamo a corte e
dal 1626 inizia una serie di pubblicazioni fra cui la
Pol&igrave;tica stessa e il
Busc&ograve;n,</p><p>pi&ugrave; una serie di opere
burlesche. Da un lato opere di impegno, dall&rsquo;altro
operette satiriche. Nel</p><p>1632 ottiene il titolo
onorifico di segretario del re, ma i segni della crisi
esistenziale si fanno pi&ugrave;</p><p>evidenti e si
riflettono nelle sue opere, dense di secentismo e senso
di vanit&agrave; della vita. Le</p><p>seguenti vicende
personali non sono pi&ugrave; felici, da un infelice
matrimonio di convenienza sino</p><p>all&rsquo;arresto
nel 1639 per sopporto spionaggio a favore dei francesi.
Per i primi due anni di prigionia</p><p>Quevedo non
pu&ograve; scrivere, solo per i restanti due porte
dedicarsi di nuovo alla composizione</p><p>letteraria.
Dal 1643 si avvia il percorso fatto di malattia che lo
porter&agrave; alla morte nel &rsquo;45: le
ultime</p><p>lettere riflettono tutta la consapevolezza
per la fugacit&agrave; della vita e
l&rsquo;inutilit&agrave; della politica.</p><p>Alla morte
dell&rsquo;autore, gran parte della sua produzione era
inedita: sar&agrave; il nipote a pubblicare</p><p>tutte
quelle poesie che Quevedo aveva riunito prima della
propria morte, pi&ugrave; di
ottocento</p><p>componimenti. Resta il problema della
datazione: una corretta sequenza
cronologica</p><p>permetterebbe un ordinamento in
rapporto alle preferenze di generi dell&rsquo;autore nei
diversi momenti</p><p>della sua vita, ma in assenza di
date sicure, si &egrave; soliti raggruppare per generi
(poesie amorose,</p><p>metafisiche, morali,
ecc.)</p><p>La poesia amorosa</p><p>L&rsquo;abbondante
poesia amorosa di Quevedo si inscrive nel Ci&ograve; che
mi toglie in fuoco mi d&agrave; in
neve</p><p>petrarchismo, in particolare per
l&rsquo;utilizzo della tinta del la mano con cui gli
occhi mi sottrai;</p><p>ma non cessa la morte che mi
dai,</p><p>&ldquo;desenga&ntilde;o&rdquo; e del
contrasto. Un buon esempio &egrave; il n&eacute; meno
fiamme la bianchezza smuove.</p><p>sonetto A Aminta, que
se cubri&ograve; los ojos con la mano. La vista freschi
quegli incendi beve</p><p>La contraddizione di base
&egrave; evidente: la mano bianca che poi spande,
vulcano, per le vene.</p><p>come la neve e le fiamme
d&rsquo;amore trasmesse dagli occhi. Tratta con
diffidenza quella neve</p><p>Anche la mano diventa
temibile, poich&eacute; origina fuochi il petto amante,
che la sa malfida.</p><p>Se il tirannico ardore dei tuoi
occhi</p><p>d&rsquo;amore, creando un collegamento con
gli occhi del tu con la mano celi per
placarlo,</p><p>poeta. E&rsquo; un&rsquo;opera di
misericordia temperare l&rsquo;ardore dimostri gran
piet&agrave; del cuore umano:</p><p>degli occhi
coprendoli con la mano, che viene messa ma non di te, che
pu&ograve;, nell&rsquo;occultarlo,</p><p>rischio, a meno
che il candore della neve non riesca a essendo neve,
scioglier la tua mano,</p><p>gelare il fuoco dello
sguardo. La costruzione si basa su se non &egrave; questa
che vorr&agrave; gelarlo.</p><p>una serie di opposizioni
su versi contigui (fuego-</p><p>nieve, frescos-incendios,
ecc.) la cui chiave &egrave; il binomio</p><p>ojos-manos,
che si incontra all&rsquo;inizio delle quartine e delle
terzine. La sensazione di simmetria
&egrave;</p><p>accentuata dalla dislocazione grammaticale
che prevede il sostantivo o il pronome in inizio
di</p><p>verso, con il verbo in chiusura. La sequenza di
opposizioni &egrave; inserita in una serie di figure
di</p><p>ripetizione come l&rsquo;anafora e il chiasmo.
Quevedo dialoga con particolari anatomici: occhi,
mano,</p><p>bocca, che portano alla dissoluzione
dell&rsquo;interlocutore. Si pu&ograve; leggere in questi
componimenti una</p><p>sorte di fuga da una figura di
donna disturbante: la donna brutta, in sfacelo, alla
ricerca di denaro,</p><p>in un vampirismo da cui
l&rsquo;uomo cerca di difendersi.</p><p>La questione dei
problemi psicologici dell&rsquo;autore si rivela utile
nella decifrazione della sua opera,</p><p>soprattutto per
il problema della classificazione di una produzione
cos&igrave; vasta e variegata, che fa s&igrave;</p><p>che
parte della poesia amatoria possa essere inserita
agevolmente in quella burlesca, a causa di</p><p>un
atteggiamento impietoso verso la deformit&agrave;. La
belt&agrave;, per concludere i suoi lumi</p><p>E&rsquo;
il caso del sonetto A una dama orba e molto bella. Il
solo in un occhio della vostra faccia,</p><p>piano
concettuale &egrave; basato sul contrasto luce-
oscurit&agrave;, e al esempio insigne e di bellezza
rara</p><p>paragone col sole viene affidato il compito di
riassumere e ebbe nel sol, che a un fuoco si
riduce.</p><p>concentrare in s&egrave; tutta la bellezza,
come l&rsquo;unico occhio Imitate perci&ograve;
l&rsquo;architettura</p><p>della dama. Anche il secondo
paragone &egrave; peculiare: la della volta del cielo,
bella e chiara,</p><p>che molti occhi, ma di luce
avara,</p><p>stella dell&rsquo;occhio rimanente si
pu&ograve; manifestare solo solo la notti li esibisce
oscura.</p><p>nell&rsquo;oscurit&agrave; dell&rsquo;altro
sole (l&rsquo;occhio mancante). Questi Se un occhio che
in voi &egrave; giorno,</p><p>sopra elencati sono
paragoni topici, abusati in poesia, a chi lo guarda
d&agrave; morte e prigione,</p><p>che l&rsquo;autore
riesce, per&ograve;, a risemantizzare e rinnovare.
all&rsquo;altro mancherebbero domini.</p><p>Nonostante
tali argomentazioni, a prevalere &egrave; il senso di Per
i suoi raggi non bastano i cuori,</p><p>vittorie per il
suo valore ardente,</p><p>difetto e di mancanza, che si
denota fra le altre cose con la e nazioni al trionfo dei
suoi lumi.</p><p>ripetizione del verbo
faltar.</p><p>Scrittura di evasione</p><p>Laddove la
deformit&agrave; e il feticismo operano con tutta la loro
carica, il linguaggio assume</p><p>caratteristiche di
rottura e eversione, apparendo lacerato come il corpo che
descrive. Mentre</p><p>quando il corpo viene reso
inoffensivo, il linguaggio si placa
nell&rsquo;accettazione di processi e</p><p>immagini
topici. Il poeta &egrave; ossessionato dalla
possibilit&agrave; di neutralizzazione della donna,
della</p><p>sua riduzione ad oggetto, ed ecco come nella
sua lirica si incontrino schiere di prostitute e
mogli</p><p>compiacenti; alcuni tic appaiono rivelatori,
come l&rsquo;uso di metafore
mercantilistiche.</p><p>Oppure ancora il corpo che
diventa cibo in</p><p>O carnesecca, corpo di telaccia,
decomposizione, come nel sonetto 549:
l&rsquo;aggressione</p><p>quando dirai alla tua voglia
&ldquo;basta&rdquo;, adotta come arma il discorso diretto
e l&rsquo;interrogazione</p><p>se quando il Parce mihi ti
d&agrave; scacco retorica, e grazie ad una serie di
sostantivi e apposizioni il</p><p>cominci a darti un
mucchio di daffare?</p><p>Tu unisci sulla fronte e nella
zucca movimento aggressivo risulta esaltato.
L&rsquo;allusione alla</p><p>crocchia e sudario sul senno
demente, morte &egrave; chiara e sottolineata con la
ripetizione di avverbi</p><p>se, diventata stramberia
vivente, temporali. L&rsquo;uso di definizioni repellenti
e agghiaccianti</p><p>ti ungi il teschio in salsa di
belletto. culmina in una situazione di odore nauseabondo,
e il corpo</p><p>Vecchia rognosa, vai al tuo funerale,
odiato non diventa altro che una buccia, un oggetto
dietro</p><p>non rivestire il verme di confetto, al quale
ci si pu&ograve; nascondere.</p><p>giacch&egrave; sei
ormai stecca di mortaretto.</p><p>E poich&eacute; odori
di carbone e zolfo,</p><p>il putrido ti serve da
profumo,</p><p>gioca con la pellaccia a nascondino.
Perch&eacute; ci dai ad intender che sei bimba?
</p><p>Analogo &egrave; il sonetto 569, ricco di
interrogazioni retoriche e E vorresti morire di vaiolo?
</p><p>violente su una &ldquo;vecchia tornata ad essere
bimba&rdquo;. In Certo l&rsquo;assenza di denti e
molari</p><p>entrambi si incontra questa apostrofe
diretta con l&rsquo;uso del ti fa in vecchiaia boccuccia
da &ldquo;babbino&rdquo;</p><p>&ldquo;tu&rdquo;, che va
incontro alla dissoluzione fisica finale. Un E andando
con l&rsquo;et&agrave; ti incaponisci,</p><p>che stan per
nascer, mimmina, ci dici;</p><p>percorso ascendente
conduce all&rsquo;uso di sostantivi gorgheggi con
bisavole gengive</p><p>sempre pi&ugrave; sgradevole, che
svela per&ograve; l&rsquo;ossessione per e chiami
pannicelli la sottana.</p><p>macabra per
l&rsquo;oralit&agrave; e per la bocca sdentata.
Nell&rsquo;ultima La bocca che fu taglio, ed ora
imbuto,</p><p>terzina si assiste invece a una
formulazione moralistica, dissimula degli anni il
rancidume,</p><p>pi&ugrave; pacificata anche a livello di
discorso. e ci vende per bave i suoi
liquami.</p><p>Bamboccia (vedi come ci
convinci),</p><p>che tu abbia pochi anni te lo
credo,</p><p>se son quelli da vivere i pochi anni.

Testi per parte di letteratura : - Storia della letteratura Spagnola Einaudi


(testo consigliato per esame let. Spa. 2)

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