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In effetti, dieci anni dopo, proprio questo è avvenuto: il Partito comunista intende cambiare nome e
intanto ha già assunto l'ideologia più borghese di tutte, quella del "liberalismo di sinistra", che poi è
il radicalismo alla Marco Pannella, avviandosi a diventare un partito radicale di massa (se le masse
riuscirà a conservare). E, intanto, trova i suoi più potenti fautori in quella borghesia della grande
finanza internazionale, della quale da noi un Carlo De Benedetti è il prototipo esemplare. «Era
prevedibilissimo», rispondeva Del Noce a chi gli chiedeva conto di queste sue virtù "profetiche".
«Non occorreva davvero essere indovini: persa per strada l'utopia rivoluzionaria, l'essenza di
surrogato religioso, è restato al marxismo soltanto il suo aspetto fondamentale, di prodotto
dell'illuminismo scientista, del razionalismo che esclude Dio per una scelta previa e obbligata. Anche
il comunismo "all'europea", dunque, si è rovesciato nel suo contrario: voleva affossare la borghesia e
ne è divenuto una delle componenti più salde ed essenziali. Anzi, si pone ora come obiettivo storico
l'imborghesire nel modo peggiore quelle masse che voleva liberare dalla cultura e dall'oppressione
borghesi. Non dice nulla che, in Italia, non solo finanzieri alla De Benedetti, ma anche giornalisti
corifei del più brutale "esprit bourgeois" siano gli ispiratori della dirigenza del nuovo Pci?».
Esito finale, comunque, di tutte le ideologie moderne, comuniste o liberali, era per lui (ed è difficile
dargli torto, guardandosi oggettivamente attorno) il nichilismo, la caduta di tutti gli ideali e di tutti i
valori. Un nichilismo cui si cerca di dare un volto accettabile, magari nobile, chiamandolo "pensiero
debole".
Forma volgare del nichilismo, vera e finale ideologia per il popolo: il consumismo. E cioè, spiegava,
«l'alienazione massima, la trasformazione di tutto in merce con un prezzo, e il raggiungimento della
massima illibertà, crocifiggendo l'uomo indifeso al desiderio, all'invidia, all'affanno di procurarsi
sempre più beni».
E i cristiani, i cattolici? E' qui che Del Noce scuoteva il capo avvilito: dopo essersi tanto opposti alla
modernità, in modo magari eccessivo e ossessivo, dopo averla addirittura demonizzata, molti uomini
di Chiesa avevano finito per accettarla in modo acritico, entusiastico e, soprattutto, anacronistico.
L'avevano "sposata", cioè, negli Anni Sessanta del ventesimo secolo, quando chi voleva vedere (in
effetti, "Il problema dell'ateismo" di Del Noce è del 1964) si accorgeva che quella modernità era in
decomposizione: e proprio perché si era realizzata, giungendo quindi agli esiti catastrofici consueti.
Legandosi a quella "catastrofe", anche il presente e la prassi dei cattolici ne avrebbero seguito
inevitabilmente il destino.
Per Del Noce, il pensiero cattolico dell'Ottocento (che egli invitava a riscoprire come "profetico",
come quello che meglio aveva visto nel suo futuro, che poi è il nostro oggi) aveva sempre ben chiaro
che ogni rifiuto di Dio si trasforma prima o poi in un disastro per l'uomo. Quei cattolici del secolo
scorso si erano dunque opposti alle ideologie moderne per amore dell'umanità, prevedendo che
proprio quella essenza atea o agnostica delle nuove ideologie le rendeva pericolose. Partendo dalla
fede, nelle loro analisi si fidavano ancora della Scrittura: "Nisi Dominus aedificaverit domum,
invanum laborant qui aedificant eam. Vanum est vobis surgere ante lucem, sedere in multam
noctem".
Per quei pensatori cattolici ottocenteschi, lo schema interpretativo della storia era, come sempre sino
ad allora, quello fede-miscredenza, religione-irreligione, devozione-empietà, sacro-profano.
Coll'accettazione della modernità, si accettò anche il suo schema interpretativo, che è: progressista-
conservatore, destra-sinistra, reazione-rivoluzione. Così, a una interpretazione religiosa della storia,
se ne è sostituita una politica. E alle categorie tradizionali di vero-falso, di male-bene, si sono
sostituite quelle di progressivo-reazionario. Proprio per questo molti cattolici hanno finito per aderire
- seppure con ridicolo ritardo e zelo - a un marxismo ormai realizzato e dunque decomposto (ma per
loro, convertiti recenti, rappresentava il futuro, la novità...). E, dunque, anche per loro il "santo" è
divenuto il "progressista"; il "peccatore" è il "reazionario".
Anche chi non ha fatto la "scelta socialista" ha però finito col recepire, senza neppure accorgersene,
quelle categorie del "moderno", che pur nulla più hanno di religioso. In questo modo, diceva Del
Noce, il pensiero cattolico è diventato insignificante, ripetitore ingenuo e talora patetico, perché a
rimorchio di categorie non sue e che tra l'altro hanno mostrato da tempo la loro miseria, la loro
incapacità di dare conto dell'uomo e della storia. Proprio qui, a suo avviso, stava la radice della
contestazione intraecclesiale. «Poiché», mi diceva, «si pensa che un certo concetto moderno di
"democrazia" sia di sinistra, progressista, la riforma della Chiesa deve passare attraverso la sua
democratizzazione radicale. Non avendo più una prospettiva religiosa ma, spesso inconsciamente,
soltanto politica, a certi clericali sembra intollerabile l'aspetto gerarchico, monarchico della Chiesa
cattolica: un aspetto "reazionario" contro il quale bisogna dunque combattere».
Nella nuova tavola di valori del "cattolico medio", il vero avversario da battere, così, non è più
l'irreligioso, il blasfemo, il senza-Dio. Anzi, presentandosi spesso tutto questo come "di sinistra", è
visto come un cristianesimo anonimo, delle cui accuse fare tesoro. Avversario, in questa prospettiva
neocattolica («che nulla però», diceva Del Noce, «ha più a che fare con il cattolicesimo sinora
conosciuto»), avversario vero è "l'integrista", cioè colui che vuole servirsi della sua fede fino in
fondo, trasformandola da vago sentimento in guida e prospettiva per la sua concreta attività. E per
questo, ripeteva, c'è «tanto odio per i nuovi movimenti, visto come integristi e dunque dannosi,
nemici per eccellenza del neocristianesimo».
Tragedia poi di tanti credenti sarebbe stata - sempre stando alla sua analisi - l'accettazione di un altro
dei postulati fondamentali delle ideologie moderne: la necessità di eliminare il «barbaro, oscuro tabù
cristiano del peccato, a cominciare da quello originale». In effetti, se c'è un peccato, una colpa, una
caduta all'inizio della storia, questa ha bisogno di una salvezza, di una redenzione: di un Salvatore, di
un Redentore. Ma poiché si crede che l'uomo possa salvarsi da solo, grazie alla sua ragione, e possa
realizzare con le sue forze il paradiso in terra, ecco che tra i primi passi da compiere è relegare nel
mito l'idea del peccato. Da qui, diceva, «il fatto indubitabile che ogni modernismo teologico ha alla
sua base l'eterna eresia pelagiana: l'attenuazione, la negazione più o meno dissimulata, se non
l'esplicito rifiuto, della caduta di Adamo. Senza il quale, però, anche il Cristo diventa
incomprensibile, superfluo. E allora si cerca di salvarlo trasformandolo in un proto-sindacalista, in
un profeta della liberazione socio-economica».
Da un lato, Del Noce si opponeva a quello che per lui era un inganno che discendeva dallo schema
fondante della modernità, "progresso-reazione": credere, cioè, che il fascismo, in quanto visto come
il massimo della "reazione", fosse anche il massimo del negativo, il Satana, il "Male radicale".
Denunciava che questa demonizzazione era stata voluta dai comunisti (e accettata acriticamente dai
cattolici, con quel loro "arco costituzionale", dove c'erano dentro tutti, tranne i missini) per far
dimenticare i tanti Stalin e Pol Pot, dicendo che i soli "cattivi" della storia erano Hitler, Mussolini e i
generali sudamericani.
Ma, dall'altro lato Del Noce avvertiva i cattolici che per caso ne fossero ancora tentati (così come
tanti di loro avevano effettivamente fatto durante il Ventennio), di non cadere nell'illusione di
pensare al fascismo come a un difensore della tradizione, dei valori perenni, dunque a un potenziale
alleato dell'uomo religioso: «Checché ne dicano marxisti e "liberals" di ogni risma che non vogliono
riconoscere i loro parenti imbarazzanti», non si stancava di ripetere, «fascismo e nazismo (pur assai
diversi tra loro e non assimilabili tout court) non sono negazioni della modernità: ne sono figli
legittimi. Si situano anch'essi tra le ideologie che hanno decretato l'inesistenza o almeno l'irrilevanza
di Dio, sono un momento come gli altri della secolarizzazione. Non sono, come hanno cercato di
farci credere i "progressisti", degli errori contro la cultura moderna, sono degli errori dentro quella
stessa cultura».
Questo, dunque, l'appello che Del Noce voleva lanciare ai fratelli nella fede, sorretto da uno spirito
di apostolato ormai rarissimo nei cosiddetti intellettuali, spesso anche in quelli "tonsurati".
Ammoniva di diffidare di «ogni presunta avanguardia cattolica che, in realtà, è sempre la
retroguardia del progressismo di ogni maniera». Diceva, con Urs von Balthasar, che «la religione è
finita se dell'uomo medio di oggi si fa la misura assoluta e unica di ciò che la Parola di Dio deve dire
e non dire». Si difendeva dall'accusa di respingere il neomodernismo teologico per paura del nuovo:
«No, lo avverso come un pericolo gravissimo per la fede: non perché nuovo, ma perché falso».
Ripeteva, soprattutto (e qui scatenava la reazione spesso inconsulta e violenta di molti clericali) le
parole con cui, nel 1971, aveva chiuso il suo intervento in "Tramonto o eclissi dei valori
tradizionali?": «La prima condizione perché l'eclissi abbia termine e il cattolicesimo esca dalla sua
crisi è che la Chiesa riprenda la sua funzione: che non è di adeguarsi al mondo, ma, al contrario, di
contestarlo».
Contestato a sua volta per queste affermazioni, ci tornava sopra, ostinato: «Il Cristo non ci ha detto di
sposare il mondo, bensì di battezzarlo. La Chiesa ha il dovere di rispondere ai bisogni dell'uomo
moderno ma senza diventare modernista, senza accettarne gli schemi interpretativi». Ripeteva: «Il
neo illuminismo borghese - del quale anche gli ex comunisti sono una parte - ragiona in termini di
"modernizzazione" e di "arretratezza". Per esso, ciò che più è "arretrato" è la morale cattolica
tradizionale, le sue prospettive sulla vita, la sessualità, la famiglia. Il permissivismo, la rivoluzione
sessuale, la tolleranza per la pornografia sono momenti essenziali per liberarsi della Chiesa e,
dunque, per "modernizzare" la società. Ed è drammatico che anche tanti cattolici giudichino
"arretratezza" la disperata difesa papale dei fondamenti etici del cristianesimo».
La fede crede che egli, ora, sia in quella Luce che vaglia infallibilmente gli uomini, i loro pensieri, i
loro progetti, le loro verità e i loro errori. Egli, dunque, adesso ci "vede", vede se e in che misura
fosse egli stesso o fossero altri credenti (per quanto ne sappiamo, in buona fede quanto lui) ad avere
ragione.
Noi, ancora pellegrini, abbiamo solo il dovere, per dirla con san Paolo, «di esaminare tutto e tenere
ciò che è buono». Con coraggio e coerenza, come la coscienza vorrà mostrarci. E come (che si
concordi o no con lui) ha dato indubbia testimonianza il cristiano, il cattolico Augusto Del Noce.