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Università di Napoli

Facoltà di Giurisprudenza

Diritto Regionale
e degli Enti Locali

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Parte Prima

LA FORMAZIONE E LA NATURA GIURIDICA DELLE REGIONI

1. L'idea regionale alla Costituente ed i suoi più immediati precedenti.


Le Regioni sono una "invenzione" dell'Assemblea Costituente eletta il 2 giugno 1946, anche se in
fondo si trattava di una scelta obbligata. Infatti l'idea delle regioni era già presente al tempo
dell'Unificazione del Regno quali circoscrizioni di decentramento burocratico.
Il principale precursore delle regioni fu Luigi Sturzo che le pose al centro del programma politico
del partito popolare da lui fondato nel 1919.
Nel periodo fascista i tempi non furono propizi per lo sviluppo dell'idea regionale, per cui si tornò a
parlare di regione con il R.D.L. 18/03/1944 n. 91 (Istituzione dell'Alto Commissario per la Sicilia) e
il R.D.L. 28/12/1944 n. 416 (Istituzione Consulta Regionale) per contrastare il tentativo di
autonomia della Sicilia (banditismo).
Nello stesso periodo venivano adottai provvedimenti simili in Sardegna.
Con il R.D.L. 15/05/1946 n. 455 venne approvato lo statuto autonomo della Sicilia, elaborato dalla
consulta regionale, quasi integralmente approvato dal Governo e fatto proprio dall'Assemblea
Costituente anche se non in armonia con la Costituzione.
Tale armonia è stata recuperata in parte quando con L. Cost. 2/2001 è stato modificato lo statuto
siciliano per consentire l'elezione diretta del Presidente della regione (come già era possibile dal
1999 nelle altre regioni).
La Costituzione approvò altri statuti speciali (Sardegna, Valle d'Aosta, T.A.A. ed infine F.V.G.)
confermando così la specialità di quello Siciliano.
Risulta evidente che il fenomeno regioni venne recepito piuttosto che introdotto dalla Costituente,
quindi nella "Commissione dei dieci" prese corpo l'idea di dare vita alle Regioni, quali enti
intermedi tra Stato e Comuni, con non pochi travagli in seno alla Costituente.
Nella lotta tra destra e sinistra su come procedere la destra rinunciò alla piena potestà (ad esclusione
delle regioni a statuto speciale), e la sinistra concesse una potestà maggiore di quella integrativo-
attuativa dando vita alla "potestà ripartita o concorrente"

2. L'attuazione delle Regioni e le principali vicende del nostro regionalismo.


La Cost. prevedeva, dall'entrata in vigore, l'elezione dei Consigli regionali entro un anno e
l'adeguamento delle leggi dello Stato (alle esigenze di autonomia e potestà delle Regioni) entro tre
anni.
Ovviamente le tappe non furono rispettate, però venne approvata la legge "Scelba" n. 62/1953 sugli
organi regionali.
Con L. Cost. 3/1963 venne istituito il MOLISE separato dagli ABRUZZI e con L. 108/1968 venne
promulgata la legge elettorale con la quale vennero eletti nel giugno 1970 i primi Consigli
Regionali.
Le Regioni entusiaste della loro nascita si dotarono di statuto nel maggio del 1971 (Abruzzo e
Calabria due mesi dopo), ma nonostante la legge delega 281/1970 prevedeva il trasferimento di
talune competenze alle Regioni, i decreti delegati operarono numerosi ed accurati ritagli di settore
con la motivazione di interesse nazionale.
Ciò causò l'impugnazione dei D.Lgs. presso la Corte Costituzionale, la quale però non diede loro
ragione.
Vi fu una seconda ondata di trasferimenti di funzioni alle Regioni (D.Lgs. 616/1977), ove vennero
trasferiti per settori organici di materie, pur in presenza di altri provvedimenti coevi o successivi
tendenti a riportare indietro le funzioni precedentemente trasferite alle Regioni.
Altri tentativi sfortunati sono stati "la Bicamerale" di D'Alema e la legge "Bassanini I".

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Data la vastità e la complessità della riforma, il legislatore ha ritenuto opportuno procedere
gradualmente (in favore delle regioni).
Infatti con la L. Cost. 1/1999 si è intervenuti sugli statuti, sulla potestà regolamentare e sulla
modalità di elezione del Presidente della Giunta, mentre con la L. Cost. 2/2001 ha esteso i predetti
interventi alle regioni a regime differenziato, infine è stata emanata la L. Cost. 3/2001.

3. I Profili dell'autonomia regionale.


Si deve parlare di autonomia o autonomie?
Soggettivamente ogni ente autonomo è diverso dagli altri, oggettivamente si ritiene che le singole
autonomie costituiscano i diversi profili di un'unica autonomia.
Si distingue l'autonomia normativa (potestà di autoregolamentazione), l'autonomia organizzatoria
(talune figure godono di un trattamento differenziato rispetto ad altre figure di tipo omogeneo),
l'autonomia politica (capacità di darsi un indirizzo politico parzialmente diverso rispetto a quello
sovrano) e l'autonomia finanziaria (autosufficienza di mezzi finanziari necessari).
Per completezza si distingue dall'autonomia l'autarchia che è la capacità di adottare provvedimenti
di pari efficacia dei corrispondenti provvedimenti statali.
Di particolare importanza è l'autonomia politica, anche se non potrà ai essere piena.

4. Gli elementi costitutivi della Regione: a) la comunità regionale.


La comunità regionale si caratterizza dal vincolo esistente tra il territorio della Regione e le persone
che vi risiedono, a prescindere dallo status di cittadino (della regione o dello stato).
Con la riforma del Titolo V della Costituzione, alle regioni è stata attribuita potestà legislativa di
tipo negativo-residuale rispetto a quelle espressamente riservate esclusivamente allo Stato e a quelle
ripartite tra Stato e Regione.

5. (Segue): b) il territorio.
La Regione, come Stato, Comune, Province e Città Metropolitane è un ente territoriale, inteso però
come centro di riferimento degli interessi generali del territorio, anziché come ambito spaziale ove
esercita le proprie competenze.
Spesso accade che territori omogenei risultino divisi tra più regioni come una Regione include
territori disomogenei tra loro, motivi storici sono alla base di ciò.

6. (Segue): c) l'apparato autoritario.


La Regione, come altri enti territoriali, dispone di un proprio apparato di organi (Art. 114: I
Comuni, Le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti,
poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione).
La Regione dispone di un apparato autoritario composto da organi previsti dalla Costituzione, i
quali sono il Consiglio (potere legislativo), la Giunta (potere esecutivo) e il suo Presidente (che è
anche Presidente della Regione).
La Regione può creare altri organi a questi subordinati.
La Regione non dispone del potere giudiziario se non per l'organizzazione del giudice di pace.

7. Regioni a statuto speciale, Regioni a statuto ordinario e Regioni ... «specializzabili».


Alcune Regioni sono rette da una disciplina speciale (statuto speciale che può derogare allo ius
comune) mentre altre no.
Si assiste all'appiattimento delle differenze statutarie tra le regioni, infatti la riforma del Titolo V
della Costituzione si è preoccupata per lo più di attribuire alle Regioni ordinarie maggiori

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autonomie proprie delle Regioni speciali, oltre a stabilire l'applicazione del regime comune anche
alle Regioni speciali "per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle
già attribuite".
Le prerogative delle Regioni speciali erano: la potestà legislativa (piena o esclusiva rispetto a quelle
ordinarie che era ripartita o concorrente) in ambito integrativo-attuativo piuttosto che
semplicemente attuativo.

Parte Seconda
L'ORGANIZZAZIONE DELLA REGIONE

Considerazioni introduttive
Gli organi delle Regioni sono: il Consiglio regionale, la Giunta e il Suo Presidente (oltre al
Consiglio delle autonomie locali.)
Hanno rilevanza esterna e sono indefettibili, mentre il Consiglio delle AA LL non possiede questi
requisiti.
Le Regioni non possono modificare numero ed attribuzioni degli organi costituzionali (aventi cioè
rilevanza esterna), mentre è consentito per quegli organi aventi rilevanza solo interna.
Al governo dell'ente Regione partecipa il Corpo elettorale composto dai cittadini iscritti nelle liste
elettorali dei comuni facenti parte della Regione.
Il Corpo elettorale può votare il Consiglio regionale, proporre leggi e provvedimenti amministrativi
al Consiglio regionale, esprimersi con referendum sullo statuto, sulle leggi e i provvedimenti
amministrativi.

Capitolo Primo
IL CONSIGLIO REGIONALE

1. La natura giuridica
Il Consiglio Regionale è il massimo organo deliberativo-rappresentativo dell'ente-ordinamento
giuridico Regione, la cui volontà si manifesta a mezzo atti normativi ed amministrativi.
Le regioni a regime differenziato inizialmente avevano modellato i rapporti tra gli organi sul calco
della forma di governo parlamentare, mentre le regioni ordinarie in origine hanno dovuto adottare la
forma di governo regionale (parlamentare a tendenza assembleare) previsto dal Titolo V della
Costituzione.
Attualmente il nuovo assetto regionale prevede l'elezione diretta del Presidente della Regione, ma
consente, entro certi limiti, di sperimentare altre modelli di forma di governo.
Poiché, in ambito locale, la Regione ha finalità generali, il Consiglio Regionale eletto assume una
rappresentanza politica nei confronti dell'elettorato, per questo motivo si ritiene che i Consiglieri
esercitino le proprie funzioni senza il vincolo del mandato.

A) LA FORMAZIONE

2. Il sistema elettorale
Le Regioni ordinarie regolano la materia elettorale con legge regionale nel quadro dei principi
imposti dalla legge nazionale.

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Attualmente i seggi vengono assegnati per i 4/5 (80%) con il metodo proporzionale (in proporzione
alle liste concorrenti su base provinciale con recupero dei voti residui su base regionale) mentre il
restante quinto (20%) con il metodo maggioritario (alla lista che su base regionale abbia conseguito
la maggioranza dei voti).
Attualmente l'elezione del Presidente si svolge contestualmente all'elezione del Consiglio e con le
stesse modalità (eletto il candidato che abbia ottenuto il maggior numero di voti).
L'elezione ha luogo a suffragio universale con voto diretto, libero e segreto ad eccezione del TAA
ove il Consiglio è composto dai membri dei consigli delle province di Trento e Bolzano.
Le Regioni speciali la materia elettorale è regolata secondo il principio della potestà concorrente
(come nelle Regioni ordinarie). Le leggi elettorali vengono approvate con procedimento aggravato
(come per la revisione costituzionale): approvazione a maggioranza assoluta e sottoponibile a
referendum anche se approvata con maggioranza dei 2/3, qualora ne faccia richiesta una certa
percentuale del corpo elettorale.

3. Elettorato attivo ed elettorato passivo


Possono votare i maggiorenni iscritti nelle liste elettorali dei Comuni della Regione.
Nella V.d'A. e nel T.A.A. È necessaria la residenza per almeno, rispettivamente, di un anno e
quattro anni ininterrotti.
Si è esclusi dal diritto di voto per incapacità, per effetto di sentenza penale irrevocabile o per
indegnità morale.
Possono essere votati, nelle Regioni ordinarie, tutti i maggiorenni residenti in un qualsiasi Comune
italiano.
Nelle Regioni speciali vigono diversi regimi:
in Sicilia è richiesta l'età di 21 anni senza nulla dire sulla residenza;
in FVG è richiesta l'età di 25 anni senza nulla dire sulla residenza;
in Sardegna e V.d'A. è richiesta l'età di 21 anni e la residenza nella regione;
in TAA è richiesta l'età di 18 anni e la residenza ininterrotta di 4 anni;
Nelle Regioni ordinarie vi è incompatibilità tra l'ufficio di consigliere regionale e quello di membro
elettivo del CSM o di una delle Camere o di altro Consiglio regionale o della Corte Costituzionale.
Non è incompatibile il mandato di parlamentare europeo (in Sicilia sì) come accade per il
parlamentare nazionale.
Sono ineleggibili i condannati passati in giudicato per delitti di abuso di potere, violazione dei
doveri inerenti una pubblica funzione o servizio pubblico e i condannati non definitivi per reati
contro la pubblica amministrazione (peculato, malversazione, concussione, corruzione ecc.)
(quest'ultima norma è stata dichiarata incostituzionale).
In Sicilia e TAA le cause di ineleggibilità sono stabilite con legge regionale.
Le altre Regioni in genere rinviano alla normativa nazionale.

4. La verifica dei titoli di ammissione


Al Consiglio regionale spetta la convalida dell'elezione dei propri membri.
In caso di contestazioni si instaura un contraddittorio tra Consigliere contestato e il Consiglio.
In caso di incompatibilità il Consigliere deve optare per uno dei due uffici in caso non vi provveda
sarà dichiarato decaduto dalla carica elettiva. In caso di ineleggibilità il Consiglio annulla l'elezione
con decisione impugnabile avanti al tribunale civile competente per territorio.
Il Consiglio, per mancanza di competenza giurisdizionale, non ha facoltà di verifica della regolarità
delle operazioni elettorali, ma possono rivolgersi al TAR.
In Sicilia e in Sardegna il Consiglio decide in via definitiva su tutti i reclami le contestazioni.

5. La composizione numerica e la durata in carica del Consiglio.


Alcune regioni hanno un numero fisso (Sicilia 90, Sardegna 80, V.d'A. 35, Trentino 70), altre in
proporzione ai cittadini residenti (FVG 1 consigliere ogni 20.000 abitanti o frazione superiore a

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10.000), altre ancora hanno un numero fisso ma ragguagliato ai cittadini residenti: 80 membri per
Regioni con popolazione superiore ai 6 mln (Lombardia), 60 membri per Regioni con popolazione
superiore a 4 mln (Campania, Lazio, Piemonte, Veneto), 50 membri per Regioni con popolazione
superiore a 3 mln (Emilia-Romagna, Puglia, Toscana), 40 membri per Regioni con popolazione
superiore a 1 (Abruzzo, Calabria, Marche), 30 membri nelle rimanenti Regioni (Basilicata, Molise,
Umbria).
Il numero dei seggi può aumentare solo per garantire alla lista vincente il conseguimento della
maggioranza assoluta.
I Consigli durano in carica 5 anni dal giorno delle elezioni, ed esercitano i loro poteri fino a 46
giorni prima delle elezioni durante i quali i poteri sono attenuati (esercizio di atti non avente
indirizzo politico).

6. Lo status di consigliere regionale.


I Consiglieri regionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti
dati nell'esercizio delle loro funzioni (irresponsabilità giuridica civile, penale ed amministrativa che
perdura anche dopo la scadenza del mandato).
Ci si chiede se l’insindacabilità sia solamente relativo all’indirizzo politico o anche relativo
all’indirizzo amministrativo. La Corte costituzionale ha stabilito che quest’ultimo caso deve essere
espressamente previsto da una norma nazionale.
L’insindacabilità non si estende ai consiglieri nell’esercizio delle funzioni svolte in qualità di
componenti la Giunta regionale. Detta garanzia opera anche per le opinioni espresse fuori dalla sede
consiliare purché ad essa connesse e nell’esercizio delle funzioni consiliari.
Non è estensibile ai consiglieri regionali l’immunità penale dei Parlamentari.
Al Consiglio in quanto organo è estesa la stessa tutela penale delle Camere.
Prima ai consiglieri era vietato assumere prerogative e titoli propri dei membri del Parlamento o del
Governo. Adesso con l’approvazione degli statuti ordinari ciò è possibile.
I consiglieri hanno diritto ad una indennità stabilita con legge regionale, il cui ammontare varia in
relazione alle funzione svolta è sottoposto ad uno speciale regime fiscale.
I Consiglieri (o Parlamentari) anche dipendenti pubblici devono mettersi in aspettativa senza
assegni.
I Consiglieri soggiacciono al divieto di mandato operativo nell’esercizio delle funzioni loro
spettanti.

B) LA STRUTTURA

7. Organizzazione ed autoorganizzazione del Consiglio: il regolamento interno.


L’organizzazione interna del Consiglio è disciplinata da norme e principi costituzionali e dal
regolamento da questa approvato a maggioranza assoluta (ad esclusione di Sicilia e Campania).
Tale quorum serve a garantire le minoranze contro eventuali tentativi della maggioranza di
comprimere situazioni giuridiche soggettive attive riconosciute alla minoranza.
Il regolamento disciplina l’organizzazione interna del Consiglio, le procedure di attribuzione
dell’organo, la regolamentazione dei rapporti tra Consiglio, Giunta e Presidente, nonché tra
Consiglio e organi, organismi o enti esterni alla Regione.
Non esiste una norma che espressamente attribuisca al Consiglio l’autoregolamentazione interna
come per la Camera, per cui i primi non goderebbero dello stesso trattamento di quelli camerali.
Però taluni ritengono che l’autoregolamentazione sia ammissibile a seguito del principio
costituzionale implicito secondo cui il Consiglio ha diritto all’autonomia organizzativa e funzionale.
Si ritiene che il regolamento consiliare adottato con legge regionale sia costituzionalmente
illegittimo.
Come per il regolamento parlamentare, il regolamento consiliare ha rilevanza esterna: fonte

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attuativa/esecutiva di disposizioni costituzionali/statutarie.

8. Le articolazioni interne dell’organo: a) il Presidente e l’ufficio di Presidenza.


La Costituzione (Art. 122 III c.) prevede il Presidente e l’ufficio di presidenza (due Vicepresidenti e
due o tre Segretari), le modalità di elezione sono stabilite dagli statuti e dai regolamenti consiliari.
Di norma l’elezione del Presidente avviene per maggioranza assoluta e successivamente relativa (in
caso non si riesca a raggiungere il quorum in una o più votazioni), alcune volte si procede al
ballottaggio.
Nelle Regioni ordinarie inizialmente è richiesta la maggioranza del due terzi, quindi assoluta e poi
semplice. La durata della carica può essere di un anno o fino alla durata della legislatura.
Gli altri componenti dell’Ufficio di presidenza vengono eletti con voto limitato per favorire la
rappresentanza delle minoranze.
Il Presidente nel Consiglio è come nelle Camere nel Parlamento (Primus inter pares – potere di
direzione e coordinamento nei confronti degli altri membri del Consiglio).
Il Presidente rappresenta il Consiglio all’esterno (nei confronti della Giunta, enti ed organismi
regionali), ha il potere di convocare il collegio, di dirigerne i lavori e di proclamarne la volontà, ha
poteri disciplinari di polizia interna e di nomina di membri di organi interni al Consiglio.
Il Presidente non è revocabile ad eccezione nel TAA e Abruzzo.

9. (Segue): b) i gruppi consiliari e le commissioni permanenti.


Il Consiglio rispecchia l’articolazione del Parlamento (gruppi consiliari, commissioni permanenti
ecc.)
I gruppi consiliari sono organi interni al Consiglio (con particolare autonomia) e si formano sulla
base di comune appartenenza politica. Non vi è numero minimo dei membri di appartenenza (anche
uno o due membri). Esiste il gruppo misto per chi non è in grado di costituire un gruppo o non lo
voglia. In TAA esistono i gruppi linguistici che però hanno rilevanza esterna essendo capaci di
impugnare leggi lesive del principio di parità dei gruppi linguistici avanti la Corte Costituzionale.
Tra gruppi consiliari e partiti di norma vi è corrispondenza biunivoca e ciò limita l’autonomia
politica regionale rispetto all’indirizzo dato dai partiti nazionali.
In base ai gruppi (rispettandone le proporzioni) vengono costituite le commissioni e le giunte.
Le commissioni, oltre alle normali attribuzioni, hanno la facoltà di disporre consultazioni (rapporti
diretti con soggetti pubblici o privati) allo scopo di arricchire il proprio patrimonio di conoscenze
per meglio svolgere la propria funzione consiliare.
In Sicilia i progetti sono elaborati dalle commissioni con la partecipazione (senza voto) della
rappresentanza degli interessi professionali e gli organi tecnici regionali.
Commissioni e i singoli consiglieri possono chiedere dati, informazioni e documenti alla Giunta,
enti, organi ed organismi operanti nel territorio della Regione.
Vi possono essere commissioni di vigilanza.

10. (Segue): c) organi minori, ordinari e straordinari.


Altri organi sono le giunte (es. giunta per il regolamento e la giunta delle elezioni).
La giunta delle nomine (FVG, Liguria e Piemonte) consultata per le nomine in enti ed organismi a
cui la Regione partecipa;
La commissione di vigilanza sulla biblioteca (Piemonte, Puglia, Sardegna e Sicilia), il collegio dei
revisori dei conti (controllo della gestione finanziaria della Regione).
Le deputazioni (organi speciali e straordinari) svolgono un ruolo di rappresentanza ogni volta che
sia necessario “sentire” le Regioni in Parlamento.
Possono essere costituite commissioni speciali che hanno lo scopo di compiere studi e ricerche su
determinate materie o indagini conoscitive (es. commissioni di inchiesta). Le commissioni non
hanno poteri giurisdizionali come per le commissioni parlamentari.

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Infine la conferenza dei Presidenti dei gruppi consiliari ha il compito di programmare i lavori del
Consiglio e delle commissioni permanenti.

11. L’autonomia contabile e funzionale.


I Consiglio non è sottoposto al controllo della Corte dei conti che invece controlla gli atti di
amministrazione regionale (compiuti da organi ed uffici del Governo della Regione).
Alle Regioni ordinarie questo tipo di autonomia è stata riconosciuta con L. n. 853 del 1973.

C) IL FUNZIONAMENTO

12. Le principali modalità di funzionamento.


Le modalità di funzionamento sono indicati nello statuto e nei regolamenti consiliari.
La convocazione (ordinaria/straordinaria) è disposta dal Presidente con procedura diversa per
ciascuna Regione.
Le sedute del Consiglio normalmente sono pubbliche (trasparenza dell’attività dei pubblici poteri).
Il quorum strutturale è dato dalla maggioranza dei membri del Consiglio. In Calabria e Lazio gli
astenuti (come per la Camera) sono computati ai fini del quorum strutturale.
Il quorum funzionale per la validità delle deliberazioni è la maggioranza dei presenti o dei voti
validamente espressi.
L’ordine del giorno (l’o.d.g.) elenca gli argomenti sui quali il Consiglio può deliberare. Non è
possibile deliberare su questioni che non siano stati preventivamente posti all’ordine del giorno (per
evitare il “fuori sacco”) salvo che ne faccia richiesta la maggioranza qualificata (assoluta/due
terzi/tre quarti ecc.).

D) LE FUNZIONI

13. Le funzioni consiliari in generale (con particolare riguardo alle attribuzioni costituzionali).
Le funzioni sono stabilite nella Costituzione e negli statuti regionali:
- Esprimere sfiducia contro il Presidente della Giunta;
- Delibera a maggioranza assoluta la legge regionale di approvazione/modifica dello statuto
(Regioni ordinarie);
- Esercita le potestà legislative spettanti alla Regione;
- Esprime parere su fusione/creazione di Regioni, mutamento circoscrizioni provinciali, creazione
di nuove Province;
- Esprime parere su distacco/aggregazione di Province e Comuni;
- Partecipa a mezzo di delegati all’elezione del Presidente della Repubblica;
- Propone leggi alle Camere;
- Cinque consigli regionali possono proporre referendum popolare di abrogazione contro un legge
o un atto avente forza di legge, nonché referendum su leggi di revisione costituzionale e altre
leggi costituzionali.

14. Le forme di partecipazione del Consiglio ad attività statali.


Gli statuti prevedono altresì:
- Partecipazione all’attività di programmazione economica, con la formulazione di proposte e
indicazioni o la deliberazione di atti di intervento;
- I voti con cui il Consiglio rappresenta le proprie esigenze al Parlamento sollecitandone
l’intervento;
Con L. Cost. 3/2001 si è prevista l’integrazione della Commissione parlamentare per le questioni
regionali con rappresentanti delle Regioni e delle Province autonome mediante adeguato

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regolamento parlamentare.

15. Le funzioni “proprie” del Consiglio.


Per le Regioni speciali è previsto che il Consiglio regionale eserciti le potestà legislative attribuite
alla Regione e le funzioni conferitegli dalla Costituzione, dallo statuto e dalle altre leggi dello Stato.
Il Consiglio in generale:
a) approva il bilancio preventivo ed il conto consuntivo della Regione;
b) approva il programma economico regionale ed i relativi piani di attuazione, oltre che gli altri
strumenti di programmazione;
c) delibera in ordine ai tributi regionali;
d) determina l’ordinamento degli uffici e dei servizi regionali ed istituisce gli enti amministrativi
dipendenti dalla Regione;
ma in particolare nelle regioni ordinarie:
e) definisce l’indirizzo politico ed amministrativo della Regione (organo esecutivo della Giunta) e
vigila sulla sua osservanza ed attuazione da parte dell’esecutivo regionale mediante strumenti
tipici parlamentari e nuovi.

La riforma del 1999 ha previsto il potere del Consiglio di disfare le Giunte con conseguente proprio
scioglimento.
Il ruolo politico dell’organo legislativo si esprimerà con attività di indirizzo mediante mozioni,
risoluzioni e ordini del giorno similmente a quanto avviene nel parlamento, e con attività ispettive
mediante la vigilanza delle commissioni, inchieste, interpellanze ed interrogazioni.
In molte Regioni è previsto il question-time (interrogazione a risposta immediata) ove spesso alla
minoranza viene riservata una quota fissa sul totale di quelle formulabili.

Capitolo Secondo
IL PRESIDENTE DELLA REGIONE E LA GIUNTA REGIONALE

1. Composizione e formazione della Giunta.


La Giunta è l’organo esecutivo della Regione ed è composto dal Presidente (della Regione) e dagli
assessori (in numero fisso o variabile a secondo della Regione).
Il Presidente, salvo diversa previsione statutaria, è eletto a suffragio universale e diretto. Il
Presidente eletto nomina e revoca il componenti della Giunta.
In caso di elezione diretta del Presidente, la mozione di sfiducia (o fatti relativi alla sua persona
come morte, impedimento permanente, rimozione o dimissioni) determinano la caduta della Giunta
e lo scioglimento del Consiglio.
La legge regionale può stabilire anche una modalità diversa per l’elezione del Presidente della
Giunta, ma non può derogare ai seguenti principi che prevedono che la Giunta è l’organo esecutivo
della Regione, il Presidente rappresenta la Regione e dirige la politica della Giunta e ne è
responsabile, promulga leggi, emana regolamenti, dirige le funzioni amministrative delegate dallo
Stato alla Regione conformandosi alle istruzioni del Governo. Sempre ed in ogni caso il Consiglio
può sfiduciare il Presidente.

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2. La collegialità della Giunta tra diritto e prassi.
Come detto il Presidente ha facoltà di nomina e revoca degli assessori (rafforzamento della
leadership), dirige la politica della Giunta e ne è responsabile.
Anche se l’operato della Giunta è regolamentato da norme tipiche degli organi collegiali, esso è
strutturato similmente ai ministeri; infatti a ciascun assessore è stato assegnato un determinato
settore dell’amministrazione regionale (servizi regionali attivi in settori omogenei organizzati in
dipartimento o comparto), per il quale questi propone (ma è come se decidesse) l’operato di volta in
volta più opportuno.
Infatti, nelle Regioni speciali l’assessore è sia membro della Giunta che titolare di un ufficio
monocratico (pertanto abilitato a prendere provvedimenti aventi efficacia esterna), mentre nelle
Regioni ordinarie gli assessori sono solo membri del Giunta che preparano od eseguono le
deliberazioni del collegio. Assumono rilevanza esterna solo quando delegati dal Presidente.
Però l’eccessivo uso delle deleghe ha snaturato la natura collegiale della Giunta.
Stante questa situazione, risulta di grande importanza il fatto che il Presidente mantenga l’unità di
indirizzo politico ed amministrativo in seno alla Giunta.
[… vedi ultima parte sottolineata nel libro a pag. 65]

3. (Segue): organizzazione e funzionamento della Giunta.


Le regole di funzionamento della Giunta si rinvengono nello statuto (per le regioni ordinarie).
A volte la Giunta può autoregolamentarsi.
Il Presidente convoca seduta e ne fissa l’ordine del giorno.
Normalmente la seduta è valida se intervengono la maggioranza degli aventi diritto, e si delibera a
maggioranza dei presenti.
La seduta si svolge di norma in segreto, talvolta è ammessa la partecipazione di estranei con
compiti di consulenza.
Vige il principio della solidarietà nella responsabilità politica di fronte al Consiglio (a volte però è
possibile separare la responsabilità del singolo membro da quella dell’intera Giunta).
Vi è ampia varietà di disciplina nei vari statuti in quanto alcuni si ispirano ad un modello “politico-
governativo” (solidarietà) altri ad un modello “amministrativo” (indipendenza). In ogni caso gli
assessori non possono dissociarsi dall’operato della Giunta se non rassegnando le proprie
dimissioni.
Gli assessori sono più disponibili che nel passato ad attuare la politica della Giunta poiché sono
sottoposti al rischio di revoca, anche se questo strumento non può essere utilizzato eccessivamente
di frequente.

4. Verifiche della sussistenza del rapporto di fiducia tra Consiglio e Presidente e/o Giunta e
responsabilità di quest’ultimi.
L’attuazione dell’indirizzo politico-amministrativo è sottoposto al sindacato politico del Consiglio.
Il Presidente può essere sfiduciato da una mozione sottoscritta da almeno 1/5 dei membri del
Consiglio, votata dopo almeno 3 gg. dalla presentazione ed approvata, con lo scrutinio palese, a
maggioranza assoluta dei componenti.
È stata prevista detta procedura “aggravata” in quanto le conseguenze sono predeterminate:
dimissioni del Presidente e decadenza della Giunta.
Per la Giunta invece è prevista la mozione di sfiducia (avente causa di natura politica e conseguente
crisi con obbligo di dimissioni) o di revoca (avente causa di natura giuridicamente illecita o
scorretta e conseguente crisi con cessazione d’ufficio) che può essere individuale o collettiva.
La sfiducia insieme alla revoca è prevista nelle Regioni a statuto speciale ove è prevista una
mozione da approvarsi con quorum speciale con appello nominale dei consiglieri e conseguente
cessazione dalla carica del Presidente e degli assessori.
La Giunta può verificare se gode della fiducia tramite l’istituto della questione di sfiducia (non
espressamente prevista negli statuti salvo per il Molise)…

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5. Le attribuzioni della Giunta.
La Giunta partecipa all’attività di indirizzo politico della Regione in quanto organo legato da un
rapporto di fiducia diretto o tramite il Presidente con il Consiglio.
Tra le attribuzioni della Giunta ritroviamo quello della:
- iniziativa politica tramite la presentazione dei disegni di legge e l’emanazione dei regolamenti,
senza che sia possibile l’adozione di atti tipo i decreti legge o legislativi;
- predisposizione del bilancio preventivo e del conto consuntivo della Regione;
- deliberazione dei ricorsi nei giudizi di legittimità o conflitto di attribuzioni per lesione della
sfera costituzionale delle Regioni;
- predisposizione di piani di sviluppo regionali (generali/settoriali) o adozione dei provvedimenti
di attuazione;
- esecuzione delle leggi e delle deliberazioni del Consiglio;
- gestione del patrimonio della Regione, amministrazione dei servizi regionali e controllo sui
servizi affidati ad aziende speciali o enti regionali (In caso d’urgenza la Giunta può deliberare
provvedimenti di competenza del Consiglio che questi successivamente dovrà ratificare al più
presto.);
- esercizio (collegialmente o singolo assessore) delle funzioni trasferite dallo Stato alle Regioni
nelle materie e nei limiti delle competenze regionali.
L’attività politica interna alla Giunta è disciplinata degli statuti, regolamenti e prassi in funzione del
modello di forma di governo adottato (es. Il Presidente compone le controversie politiche, i conflitti
di competenza e decide in merito alla posizione della questione di fiducia).

6. Le attribuzioni del Presidente.


Le attribuzioni del Presidente scaturiscono dalla doppia veste di Presidente della Giunta e
Presidente della Regione.
Come Presidente della Regione
- Rappresentanza della Regione (della quale si fa interprete delle esigenze proprie);
- Promulga leggi, emana regolamenti ed indice referendum previsti dallo statuto o dalla legge
regionale;
- Esercizio della rappresentanza giuridica della Regione (es. resistenza nei giudizi innanzi alla
Corte Costituzionale) e dei suoi diritti patrimoniali;
- Promozione dei ricorsi innanzi alla Corte, previa deliberazione della Giunta, contro leggi
nazionali o di altre Regioni lesive della competenza della Regione (es. conflitti di attribuzione);
- Intervento (solo per le Regioni speciali) alle sedute del Consiglio dei Ministri per questioni
riguardanti la Regione. In particolare il Presidente della Regione Sicilia ha diritto di voto e
carica di Ministro in seno al Consiglio dei Ministri (Art. 21, II c., st. SICILIA). Su queste
questioni è ancora aperto dibattito, anche in sede giudiziale costituzionale, su quali siano le
circostanze che impongano la presenza dei Presidenti alle sedute del Consiglio dei Ministri;

Come Presidente della Regione speciale


- Indice le elezioni del Consiglio e ne fissa la prima seduta;
- In Sicilia il Presidente rappresenta, nella Regione, il Governo nazionale;
- I ricorsi amministrativi (contro atti amm.vi regionali) sono decisi dal Presidente sentite le
sezioni regionali del Consiglio di Stato;
- L’ordine pubblico è mantenuto dal Presidente per mezzo della Polizia di Stato (direttamente
dipendente dal Governo regionale), se necessario il Presidente può richiedere l’intervento delle
Forze Armate;
- In V.d’A. il Presidente, su delega del Governo nazionale, mantiene l’ordine pubblico per mezzo
della Polizia di Stato e locale;
- In Sardegna il Governo nazionale può delegare alla Regione le funzioni di mantenimento

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dell’ordine pubblico;
- Sempre in Sardegna il Presidente, quale delegato italiano, può esprimere la posizione UE o
nazionale in accordi internazionali che riguardino “interessi rilevanti per l’economia della
Sardegna”.

Come Presidente della Giunta (Capo del governo regionale)


- Esecuzione dei deliberati giuntali;
- Esercizio delle funzioni attribuite da leggi (regionali o statali) al Presidente;
- Esercizio delle funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione secondo gli indirizzi
del Governo nazionale.
Un regime particolare è previsto in relazione alla responsabilità politica dei singoli assessori e del
Presidente, per l’esercizio delle funzioni proprie, nei confronti del Consiglio regionale e del
Governo nazionale.

7. La forma di governo regionale.


Fino alla L. Cost. 1/1999 la Costituzione imponeva il tipo di rapporto tra potere legislativo ed
esecutivo regionale (il Consiglio elegge nel proprio seno Giunta e Presidente), rinviando alla legge
statale la determinazione del sistema elettorale e agli statuti le norme di contorno relative al
rapporto fiduciario e alle relazioni tra i componenti dell’esecutivo.
Tale forma di governo, nelle regioni ordinarie, prende il nome di “parlamentare a tendenza
assembleare” (concentrazione dei poteri di indirizzo e controllo nel Consiglio con Giunta quale
semplice esecutore della volontà consiliare), nelle regioni speciali prende il nome di “parlamentare
a tendenza equilibratrice” (Consiglio e Giunta concorrono alla determinazione dell’indirizzo politi
su base paritaria).

Con la riforma del 1999 la forma di governo può essere definita Presidenziale dal punto di vista
dell'elezione diretta del Presidente della Regione, ovvero Parlamentare dal punto di vista della
persistenza del rapporto fiduciario Consiglio-Presidente.
La Giunta ha acquisito la potestà regolamentare che prima spettava al Consiglio.
Quale che sia la forma di governo scelta dalla Regione, essa non può derogare alle previsioni di
cessazione degli organi regionali:
- Impossibilità di sciogliere il legame fiduciario tra legislativo ed esecutivo (mozione di sfiducia del
Presidente);
- Scioglimento del Consiglio o rimozione del Presidente in caso di compimento di atti contrari alla
Costituzione o gravi violazioni di legge;
- Scioglimento automatico del Consiglio nell'ipotesi di dimissioni contemporanee della
maggioranza dei membri;

Per le Regioni speciali la riforma del 2001 prevede norme simili tranne che per T.A.A. e Sicilia.
Sicilia – Il Presidente è eletto a suffragio universale e diretto contestualmente all'elezione
dell'Assemblea.
L'investitura popolare e la conclusione anticipata della legislatura (caso di dimissioni della metà più
uno dei deputati) sono disciplinate da leggi approvate a maggioranza assoluta (o dei due terzi).
Entrambe le leggi possono essere sottoposte a referendum se ne fanno richiesta un cinquantesimo
degli elettori (o un trentesimo degli elettori) o un quinto dei deputati.
Dopo la prima approvazione la forma di governo può essere modificata da altra legge approvata a
maggioranza assoluta.
T.A.A. – Consiglio regionale composto dai membri dei Consigli provinciali (Trento e Bolzano).
Legge provinciale, approvata come per la Sicilia, sceglie la forma di governo e le modalità di
elezione del Consiglio provinciale e del Presidente delle Provincia.
Altre Regioni speciali – Possibilità di scelta tra l'elezione diretta del Presidente (scioglimento

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anticipato in caso di crisi) e la sua elezione consiliare (scioglimento anticipato in caso di mancata
ricomposizione della crisi entro 60 gg).
Forma di governo e sistema elettorale disciplinato con leggi regionali approvate a maggioranza
assoluta sottoponibili a referendum, con quorum differenti a seconda del quorum di approvazione, e
impugnabili dal Governo entro trenta giorni dalla pubblicazione.

Parte Terza
I RACCORDI TRA LO STATO E LE REGIONI

Sezione Prima
LA PARTECIPAZIONE DELLE REGIONI AD ATTIVITÀ DELLO STATO

1. Il regionalismo «bifronte», garantista e cooperativo, e le più rilevanti e gravi torsioni del modello
costituzionale registratesi nell’esperienza.
Il regionalismo garantista, nato prima di quello cooperativo, consiste nel salvaguardare la sfera delle
competenze regionali rendendola impermeabile agli atti dello Stato (es. una legge statale non
potrebbe abrogare una legge regionale), pur nel rispetto della legge dello Stato quale garanzia
dell’unità-indivisibilità della Repubblica.
Il regionalismo cooperativo consiste nella «leale cooperazione» (ascendente o discendente) tra Stato
e Regione per integrare le competenze reciproche e concorrere all’esercizio delle rispettive
funzioni.
La Cooperazione ascendente (da parte della Regione verso lo Stato) è regolamentata, in maniera
frammentaria e discontinua, dalla Costituzione, dalla legge e da altri atti.
La cooperazione si è svolta principalmente a livello esecutivo (Governo nazionale e Giunte
regionali) piuttosto che a livello «parlamentare» (Camere e Consigli regionali) comportando il
rafforzamento degli organi esecutivi più di quanto consentito dalle indicazioni costituzionali o
statutarie (anche se sommarie).
Pertanto la Costituzione ha subito una doppia torsione, la prima per la riduzione e a volte
eliminazione di elementi del regionalismo garantista, la seconda per la deviazione del regionalismo
cooperativo ad un equilibrio lontano da quello originariamente previsto dal Costituente.
In effetti ciò che è stato attuato è stato piuttosto un regionalismo organicista ove le Regioni sono i
terminali per la realizzazione di scopi ed interessi già prestabiliti a livello nazionale, infatti negli
anni 70 sono nati diversi organismi in seno allo Stato composti da rappresentati delle Regioni ma
con risultati disorganizzati e deludenti.
Un tentativo coordinamento e armonizzazione è venuto dalla Corte Costituzionale che ha ribadito il
concetto di leale cooperazione anche se nell’ottica del perseguimento degli obiettivi prefissati dagli
organi statali.
Il concetto di leale cooperazione alle interpretazioni più flessibili …
… pareri vincolanti …
Altra forma di cooperazione sono gli accordi di programma ove gli enti locali cooperano con il
Governo nazionale per la realizzazione di opere, interventi o programmi di intervento.
I deludenti risultati del regionalismo cooperativo è da imputarsi principalmente al sistema politico,
che non ha dato spazio a sufficienza sia all’effettiva diversificazione regionale che alla concreta
partecipazione degli enti locali alle politiche quadro nazionali, ma è anche da imputarsi alla
debolezza espressiva della Costituzione.

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2. La partecipazione regionale ad attività parlamentari e le sue forme secondo l’originario modello
costituzionale.
Le Regioni partecipano alla elezione del Presidente della Repubblica nominando tre delegati (la V.
d’A. ne ha solo uno) scelti dai rispettivi Consigli che rappresentino adeguatamente anche le
minoranze. Purtroppo però la presenza assorbente dei partiti politici nei Consigli non ha fatto altro
che accrescere solo il numero dei rappresentati delle stesse forze politiche presenti nelle Camere e
non la varietà degli schieramenti.
Altre forme di partecipazione sono:
- Diritto di iniziativa legislativa esercitabile dal singolo Consigliere;
- Richiesta di referendum abrogativo o costituzionale esercitabile da almeno cinque consiglieri;
- Pareri circa la fusione o creazione di Regioni esercitabile dai Consigli Regionali interessati;
- Pareri circa il passaggio di Comuni e Province da una Regione all’altra, esercitabile dai Consigli
Regionali interessati;
- Pareri circa il mutamento di circoscrizioni provinciali o l’istituzione di nuove province,
esercitabile nel silenzio della norma dal Consiglio Regionale interessato o da chi demandato dallo
statuto;
Per l’iniziativa legislativa alcuni ritengono che i Consigli debbano scegliere quale ramo del
Parlamento presentare la proposta, altri invece ritengono che la proposta debba essere presentata al
Governo (Presidente del Consiglio) il quale sceglierà a quale ramo del Parlamento inoltrare la
proposta. La seconda ipotesi è suffragata dal principio che il Governo costituisce organo di raccordo
tra Stato e Regione.
L’iniziativa può riguardare leggi ordinarie o costituzionali, in particolare le Regioni speciali
possono proporre modifiche al proprio statuto, ovvero sono consultate se la modifica dello statuto
avviene su iniziativa del Governo.
Si dibatte anche sul fatto che l’iniziativa legislativa sia limitata a questioni di diretto e sicuro
interesse regionale, anche se la verifica della sussistenza dell’interesse è di dubbio accertamento.
Nella pratica è avvenuto che lo Stato ha tanto ampiamente consentito alle Regioni di presentare
progetti legislativi quanto pochi o nessuno di questi progetti è stato tradotto in legge.
Migliore è la situazione per il caso dell’iniziativa referendaria ove l’ammissibilità della domanda è
accertata dalla Corte Costituzionale e non dal Parlamento, però qui è necessario il concorso di
almeno cinque Consigli regionali che abbiano deliberato lo stesso testo (altrimenti si tratta di
iniziative differenti) a maggioranza assoluta.

3. La partecipazione regionale «a livello esecutivo»: la «Conferenza Stato-Regioni».


La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome costituisce
la sede in cui, al massimo grado, si realizza l’incontro tra Governo e Regioni, e fu istituita con
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 ottobre 1983.
La Conferenza Stato-Regioni è composta dal Presidente del Consiglio (Presidente), Presidenti delle
Regioni e delle Province autonome (membri). È convocata almeno ogni sei mesi e possono essere
invitati i Ministri interessati all’o.d.g. oltre a rappresentanti di amministrazioni statali o enti
pubblici.
La Conferenza ha funzioni consultive su:
a) linee generali dell’attività normativa di interesse diretto regionale, determinazione degli
obiettivi di programmazione economica nazionale e della politica finanziaria e di bilancio;
b) criteri generali relativi all’esercizio delle funzioni statali di indirizzo e coordinamento dei
rapporti tra Stato, Regioni, Province autonome e gli enti infraregionali, nonché indirizzi generali
relativi all’elaborazione ed attuazione degli atti comunitari riguardanti le competenze regionali;
c) ogni altro argomento che il Presidente del Consiglio ritenga opportuno sentire la Conferenza.
Non si tratta di un organo Statale ma «un’istituzione operante nell’ambito della comunità nazionale
come strumento per l’attuazione della cooperazione fra lo Stato e le Regioni (e le Province
autonome)».

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Nonostante si i deliberata della Conferenza abbiano solo valore di parere, essi hanno un notevole
significato politico.
Gli effetti prodotti sono stati:
a) D.Lgs. 418/1989 – Trasferimento in capo alla Conferenza le attribuzioni generali degli
organismi a composizione mista;
b) D.Lgs. 281/1997 – Unificazione della Conferenza Stato-Regioni con la conferenza Stato-Città
ed autonomie locali;
c) L. Bassanini (n. 59/1997) – Parere obbligatorio della Conferenza sui decreti di attuazione della
devoluzione delle funzioni statali alle regioni;
d) L. 362/1988 – Consultazione della Conferenza per la redazione del documento di
programmazione economico-finanziario e del progetto di legge di bilancio annuale e
pluriennale.

4. Le proposte volte ad incardinare stabilmente le Regioni nell’organizzazione dello Stato-persona


ed i rischi, assai gravi, che possono ad esse accompagnarsi per il mantenimento dell’equilibrio tra
diritto costituzionale e diritto politico (in ispecie, la modifica del Senato in «Camera delle Regioni»
e la modifica della composizione della Corte costituzionale).
Come visto la partecipazione regionale alle attività statali è piuttosto limitata.
Ad esempio infatti l’elezione del Senato a base regionale ha avuto come unico effetto quello del
riparto territoriale dei seggi e non quello della rappresentanza regionale nel Parlamento.
Si discute se rendere il Senato la “Camera delle Regioni” o la “Camere delle Autonomie”, si
protende per la prima ipotesi ma con spazi per le autonomie locali all’interno delle regioni (es.
Consiglio regionale quale organo bicamerale comprendente il “Consiglio delle Autonomie”).
La legge di riforma del Titolo V della Costituzione parrebbe orientata a consentire una
partecipazione allargata a tutte le Autonomie Locali nella Commissione parlamentare per le
questioni regionali ma nei termini dei regolamenti delle Camere.

Sezione Seconda
I POTERI DELLO STATO NEI CONFRONTI DELLE REGIONI
ED IL PRINCIPIO DI UNITARIETÀ DELLA REPUBBLICA

1. La ratio dei poteri statali nei confronti delle Regioni.


I poteri statali nei confronti delle regioni assumo tre forme:
a) Poteri (latamente) di indirizzo - Indirizzamento ed incanalamento dell’attività regionale sia in
negativo (cornice oltre la quale l’attività non può spingersi) che in positivo (sollecitando
l’attività regionale al perseguimento di dati obiettivi);
b) Poteri sostitutivi o sussidiari - Sopperimento all’inerzia degli organi regionali nell’esercizio
delle loro funzioni ovvero sostituzione all’organo regionale tutte le volte in cui la cura di un
interesse pubblico può essere meglio realizzata dallo Stato piuttosto che dalla Regione;
c) Poteri (latatamente) di controllo - Sanzionamento o sollecitazione l’applicazione di sanzioni a
carico di atti o attività commissive o omissive delle Regioni che abbiano superato i limiti e che
possano pregiudicare l’unità.

2. I poteri d’indirizzo.
I poteri di indirizzo si estrinsecano sia in forma legislativa che amministrativa.
Le leggi di indirizzo sono tutte quelle leggi idonee a vincolare l’autonomia regionale orientandone
le relative manifestazioni normative (es. potestà esclusiva: sulle norme fondamentali delle riforme
economiche e economico-sociali; potestà ripartita: leggi-quadro o leggi-cornice – principi

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fondamentali).
Le leggi regionali devono comunque osservare anche le leggi statali, sebbene non siano di indirizzo,
ma adottate nel rispetto degli impegni internazionali o idonee ad esprimere “principi generali
dell’ordinamento giuridico”.
Le leggi-quadro in ambito della potestà ripartita non sono solo ricognitive dei principi della
legislazione statale, ma possono essere propositive o innovative fissando le direttive alle quali le
leggi regionali si devono attenere (es. legge di bilancio: gli obiettivi di bilancio regionali sono
determinati in armonia con quelli statali).
Altre leggi di indirizzo sono le leggi di coordinamento” Stato-Regione nelle materie di
immigrazione, ordine pubblico, sicurezza e tutela dei beni colturali.
Anche il Governo dispone di poteri di indirizzo (atti di indirizzo) mediante deliberazioni del
Consiglio dei ministri di atti di indirizzo e coordinamento dell’attività amministrativa delle Regioni.
La produzione di questi atti presuppone l’intesa delle Regioni in sede di Conferenza Stato-Regioni
salvo l’urgenza o l’impossibilità di raggiungere un accordo entro un predeterminato lasso di tempo.

3. I poteri sostitutivi o sussidiari.


L’esercizio dei poteri sostitutivi o sussidiari ha confini pressoché indeterminabili in astratto.
I poteri sostitutivi possono riguardare il settore normativo o amministrativo.
Sostituzione normativa – La Costituzione (Art. 117) prevede la sostituzione solo per gli
adempimenti della Regione degli impegni internazionali e comunitari, anche se spesso è avvenuto
che lo Stato si sostituisse alla Regione, in sede di produzione di leggi-quadro o di leggi di
limitazione dell’autonomia regionale, emanando disposizioni di dettaglio.
Sostituzione amministrativa – La Costituzione (Art. 120) prevede che il Governo possa sostituirsi
agli organi regionali unicamente per:
- Mancato adempimento degli obblighi internazionali o comunitari;
- Pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica;
- Tutela dell’unità giuridica o economica;
- Tutela dei livelli essenziali delle prestazioni relative a diritti civili e sociali.
Mediante legge sono definite le procedure di attivazione dei poteri sostitutivi.
Si dibatte se l’intervento sostitutivo del Governo sia solo amministrativo o anche legislativo, si
protende per il primo sia perché il sostituto è il Governo (e non le Camere) e poi perché la
sostituzione legislativa è prevista solo per il rispetto degli impegni internazionali o comunitari.
Nella pratica però lo Stato si è sostituito alle Regioni in maniera quasi sistematica sul piano della
normazione, limitando notevolmente le aspirazioni autonomistiche delle Regioni.
La L. 59/1997 consente allo Stato, entro 90 giorni, sentite le Regioni, di sostituirsi ad esse, qualora
queste entro sei mesi dall’adozione dei decreti delegati di trasferimento/conferimento delle funzioni
non abbiano individuato le funzioni da trasmettere agli enti territoriali minori.
La giurisprudenza costituzionale ha stabilito il principio che la sostituzione deve rispettare sia
condizioni sostanziali che procedimentali, e ancora che se la Regione provvede, anche se
tardivamente, l’atto sostitutivo cessa di efficacia in quanto la sostituzione ha natura provvisoria.
È possibile anche la sostituzione “alla rovescia” o “dal basso” nel caso di inerzia dello Stato nel
conferimento di beni e risorse finanziarie alle Regioni. Infatti la Conferenza Stato-Regioni può
predisporre uno schema di provvedimento da inviare al Presidente del Consiglio, il quale, decorso il
termine di intervento del ministro, nomina un Commissario ad acta.
Il principio di sussidiarietà vorrebbe che l’esercizio dei poteri pubblici avvenisse quanto più
possibile vicino al cittadino e solo eccezionalmente ad un livello più alto.

4. I poteri di controllo.
I poteri di controllo sono affidati ad organi sia centrali che periferici ed hanno ad oggetto leggi ed
atti amministrativi regionali.
La Corte costituzionale effettua controlli sia in sede di legittimità costituzionale (successiva e non

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preventiva senza controllo di merito) che in sede di conflitto di attribuzioni.
Il I Co. dell’art. 125 Cost. prevedeva un controllo di legittimità sugli atti amministrativi esercitato
dall’organo statale “Commissione di controllo”. Altre norme hanno nel tempo ampliato i controlli
della Commissione. In tempi recenti la legge Bassanini ha abolito il controllo d merito sugli atti
amministrative e successivamente è stato abrogato il I Co. dell’art. 125 Cost. ed adesso si dibatte se
il controllo sia stato semplicemente decostituzionalizzato e quindi rimesso alla determinazione del
legislatore o se sia stato definitivamente cancellato.
I controlli statali posso riguardare sia gli atti che gli organi regionali (es. scioglimento anticipato del
Consiglio regionale).

Parte Quarta

LE FUNZIONI DELLA REGIONE

A) LE FUNZIONI NORMATIVE

Capitolo Primo
LA POTESTÀ STATUTARIA

1. Gli statuti come fonti espressive per antonomasia dell’autonomia e le differenze al riguardo
esistenti tra Regioni di diritto comune Regioni a regime differenziato.
La potestà statutaria (potere di emanare il proprio statuto) spetta solo alle Regioni ordinarie (più
V.d’A. e Sardegna), mentre gli statuti delle Regioni speciali sono adottati con legge costituzionale.
Con L. cost. n. 2/2001 anche le Regioni speciali con leggi statutarie (approvate con procedimento
aggravato) possono modificare la propria organizzazione (es. forma di governo). Le leggi statutarie
delle Regioni ordinarie devono essere solo in armonia con la Costituzione, mentre quelle delle
Regioni speciali devono inoltre rispettare i «principi dell’ordinamento della Repubblica».
Tutto ciò comporta uno squilibrio di norme più favorevoli alle Regioni ordinarie rispetto a quelle
speciali, contrariamente a quanto inizialmente voluto dal legislatore costituzionale.

2. La natura giuridica dello statuto.


Si dibatte sulla natura giuridica dello statuto (delle Regioni ordinarie) stante che questo veniva
approvato per legge (attività di controllo) senza modificare il testo originario deliberato dal
Consiglio regionale (l’esito negativo del controllo ha come effetto il rinvio al Consiglio per una
nuova deliberazione entro 120 gg). Alcuni sostengono si tratti di un atto complesso derivante
dall’incontro delle volontà regionale (deliberazione) e delle Camere (approvazione).
Questa ipotesi fotografa ciò che è avvenuto nel 1971 quando vennero approvati i primi statuti ove
l’organo camerale di controllo “suggeriva” taluni emendamenti allo statuto al fine di non ritardare
eccessivamente l’approvazione dello statuto stesso.
Adesso con l’abolizione di questo passaggio parlamentare (ad opera della L. Cost. n. 1/1999) lo
statuto è a tutti gli effetti «legge regionale» (sui generis).

3. Il procedimento di formazione delle «leggi statutarie» ed il controllo sopra di esse.


La procedura di formazione delle leggi statutarie può considerarsi «paracostituzionale» in quanto
molto simile alla procedura di approvazione delle leggi costituzionali: doppia delibera consiliare a
distanza di non meno di due mesi a maggioranza assoluta dei componenti. È ammessa la pronunzia
referendaria (qualunque sia stata la maggioranza di approvazione dello statuto) se entro tre mesi
dalla pubblicazione ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori o un quinto del Consiglio

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regionale. Lo statuto sottoposto a referendum non è promulgato se non è approvato dalla
maggioranza dei voti validi.
Nelle Regioni speciali è sufficiente una sola delibera consiliare con la maggioranza assoluta. In caso
di maggioranza qualificata (due terzi) il referendum può aver luogo ma con un quorum di
richiedenti più elevato.
Il Governo può ricorrere alla Corte costituzionale entro trenta giorni dalla pubblicazione.
Poiché la pubblicazione della legge statutaria avviene due volte (finalità di notizia: per dar modo
agli aventi diritto di richiedere il referendum – finalità di efficacia: affinché lo statuto produca i sui
effetti) il termine per il Governo inizia dal primo dei due.

4. I contenuti degli statuti.


Oggetto della disciplina statutaria è la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione
e funzionamento (prima del 1999 era l’organizzazione interna della Regione), nonché iniziativa e
pubblicazione di leggi e regolamenti oltre a referendum su leggi e provvedimenti amministrativi.
Ugualmente oggi come ante 1999 è pacifico che la Regione potesse disciplinare la propria forma di
governo e propria forma di Regione (insieme delle relazioni tra gli elementi costitutivi dell’ente
nonché tra la Regione e gli enti infra/ultra regionali).
Anzi il nuovo art. 123 Cost. parrebbe più limitato in quanto lo statuto dovrebbe contenere solo i
principi e non anche le regole che a questo punto sarebbero di competenza delle leggi (separazione
delle competenze tra statuto e leggi). In ogni caso non si ritengono criticabili quegli statuti che oltre
ai principi si spingano nel dettaglio prevedendo anche le regole.
In relazione alla possibilità che gli statuti abbiano la possibilità di scegliere la propria forma di
governo è da notare che la Costituzione è meno rigida che in passato (es. il Presidente è eletto a
suffragio universale e diretto salvo diversa disposizione statutaria) ma imponendo determinate
conseguenze in base alle scelte effettuate.
La disciplina elettorale, parte fondamentale della forma di governo, è parzialmente sottratta alla
determinazione statutaria ed affidata al tandem leggi statali e regionali (potestà ripartita).
Per coerenza tra forma di governo e forma di Regione, lo statuto dovrebbe contenere la disciplina
anche della forma di Regione.
Oltre ai contenuti necessari gli statuti possono a pieno diritto dotarsi dei contenuti ulteriori o
eventuali (es. regole sui rapporti tra apparato e comunità regionale, rapporti con gli enti
infraregionali, nonché la programmazione, ecc.), anche se il legislatore statutario si è fatto prendere
troppo la mano prevedendo una moltitudine di norme programmatiche interferendo con le leggi-
quadro statali. La dottrina le ha ritenute illegittime nonostante la generalità e vaghezza di queste
previsioni statutarie programmatiche.

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Capitolo Secondo
LE POTESTÀ LEGISLATIVE E REGOLAMENTARI

1. Il procedimento di formazione delle leggi regionali.


Come per le leggi statali il procedimento di formazione delle leggi si articola in tre fasi: iniziativa,
costitutiva ed integrativa dell’efficacia, ma con delle differenze all’interno di ciascuna fase (la
prima e l’ultima fase sono disciplinate dagli statuti).
La fase centrale è disciplinata dai regolamenti regionali anche se non vi è un espresso rinvio in
Costituzione (anzi vi è una lacuna).
Iniziativa – Lo statuto individua soggetti ed organi legittimati all’iniziativa determinando per
ciascuno limiti o obblighi da rispettare (es. l’iniziativa popolare non è consentita in materia
tributaria o di bilancio, di stato giuridico ed economico del personale regionale, di revisione dello
statuto ecc.).
L’iniziativa è riservata (es. alla Giunta) quanto solo questa può esercitarla (es. in materia si
bilancio) ovvero vincolata quanto questa è obbligata ad esercitarla (es. in materia si bilancio).
Esame e approvazione – Questa fase è disciplinata dai regolamenti in larga parte mutati dai
regolamenti parlamentari (progetti esaminati dalle commissioni competenti per materia, quindi
discussi e votati articolo per articolo e nel complesso dal Consiglio). Ampio spazio è riservato alla
partecipazione popolare all’interno delle Commissioni.
Promulgazione – Dopo l’approvazione succede la promulgazione da parte del Presidente della
Regione entro 10 giorni dall’approvazione (prima era dall’apposizione del visto da parte della
Commissione di controllo) e successiva pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione e sulla
Gazzetta Ufficiale (ma solo a fini di notizia). La vacatio legis è di 15 giorni.
Non si ritiene che il Presidente della Regione disponga dello stesso potere del Presidente della
Repubblica di rinvio della legge alle Camere.

2. Tipologie delle potestà legislative e limiti generali delle leggi regionali (con particolare
riguardo ai limiti c.d. di «merito»).
Come già visto le potestà legislative si articolano in potestà primaria/piena/esclusiva, potestà
ripartita/concorrente ed in potestà integrativo-attuativa, variamente attribuite alle diverse Regioni o
tipologie di regione.
Tali potestà sono sottoposti a limiti (speciali o generali) di diversa intensità che nel tempo si sono
quasi dissolte (omologazione tra i vari tipi di potestà con l’appiattimento verso il basso).
Leggi statali di potestà esclusiva possono normare campi di competenza regionale (es. quelli a
potestà piena delle Regioni) al fine di assicurare una uguale condizione (livelli essenziali) nelle
prestazioni inerenti i diritti civili e sociali.
I limiti generali a loro volta erano distinti in limiti di legittimità (obbligo di rispetto della
Costituzione in caso contrario impugnazione avanti la Corte Costituzionale) e limiti di merito
(obbligo di rispetto dell’interesse nazionale o dell’interesse delle altre Regioni in caso contrario
impugnazione avanti le Camere).
Sebbene i limiti di legittimità sono di facile determinazione, i limiti di merito sono di difficile
configurazione (che cosa è interesse nazionale?); non solo, l’impugnazione avanti il Parlamento non
garantisce un giudizio imparziale.
Si dibatte su quale forma debba avere la pronunzia Camerale e se le Regioni possano tutelarsi
contro la pronunzia camerale davanti …
In ogni caso la procedura di ricorso del Governo alle Camere non hanno mai avuto applicazione
pratica, anzi il limite dell'interesse nazionale è stato assorbito dal limite di legittimità.
Infatti le norme di trasferimento delle funzioni alle Regioni sono state ritagliate su misura in nome
dell'interesse nazionale, pertanto si è avuta la conversione del limite di merito (interesse nazionale)
in limite di legittimità con conseguente ricorso alla Corte Costituzionale in caso di mancato rispetto.
Adesso, con la riforma del titolo V, nonostante la cancellazione dei limiti di merito, continuano ad

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esservi ricorsi avanti la Corte Costituzionale in nome degli interessi nazionali.

3. (Segue): i limiti generali di legittimità.


Come detto i limiti di legittimità si distinguono in limiti generali e speciali.
Quest’ultimi limiti ancorché speciali si applicano alla stessa maniera qualunque sia il tipo di potestà
regionale (piena, ripartita o concorrente).
I limiti generali di legittimità consistono nei limiti imposti dalla Costituzione, ove le leggi statutarie
sono tenute ad essere in armonia con la Costituzione a differenza delle leggi regionali che sono
tenute ad osservare la Costituzione.
Più in dettaglio, il rispetto della Costituzione consiste anche nelle materie di competenza regionale,
che inizialmente erano specificate mediante elenco, ma oggi sono quelle residuali rispetto a quelle
specificatamente riservate allo Stato e a quelle ripartite tra Stato e Regione.
Avvertenze
1. L'autonomia regionale si apprezza non tanto sull'ampiezza ma più sulla profondità degli
interventi consentiti alle Regioni;
2. Le materie riservate esclusivamente allo Stato o ripartite non sono poi così poche o non
importanti;
3. Lo Stato può comunque immettersi anche in materie esclusive regionali ma a solo scopo di tutela
degli interessi nazionali;
4. Le materie esclusive dello Stato o ripartite hanno una denominazione talmente vaga che potrebbe
rientrarvi quasi qualunque materia.
I limiti che le leggi regionali devono rispettare sono:
Principio di decentramento – Le Regioni sono tenute a rispettare l'autonomia degli enti
infraregionali trattenendo per se le funzioni a carattere unitario e trasferendo a questi enti tutte le
altre funzioni.
Principio sussidiario – Strettamente legato al principio di decentramento, la sussidiarietà giustifica
l’intervento della Regione (o degli altri enti territoriali) in caso di accertata inidoneità all’esercizio
di attività di interesse generale ovvero di inidoneità degli enti minori territoriali minori alla cura
degli interessi loro affidati.
Principio della tipicità delle forme – Le leggi regionali sono obbligate al rispetto dei procedimenti
prescritti per la formazione degli atti regionali.
Principio di eguaglianza – Leggi statali di potestà esclusiva determinano i livelli essenziali delle
prestazioni inerenti i diritti civili e sociali dei cittadini allo scopo di ottenere identico trattamento di
situazioni uguali in diverse regioni pur nel rispetto dell’autonomia della Regione.
Limite dei rapporti privati – La Regione può disciplinare temporaneamente o in situazioni
eccezionali i rapporti privati, purché riguardanti rapporti intersoggettivi.
Leggi provvedimento – Sono ammesse le leggi provvedimento regionali (leggi prive dei requisiti di
generalità ed astrattezza) per l’adozione di provvedimenti a carattere particolare e concreto.
Limite delle riserve di legge – Inizialmente si riteneva che le riserve di legge previste in
Costituzione fossero esclusiva prerogativa statale, per non menomare l’autonomia regionale, pian
piano alle Regioni è stato riconosciuta la competenza della Regione, è comunque salva la disciplina
statale nei casi di insuscettibilità di trattamento differenziato nel territorio nazionale.
Infatti le Regioni non hanno competenza in materia penale e processuale con la sola eccezione della
giustizia di pace.
Limite della irretroattività della legge – Di regola le leggi regionali non devono essere retroattive
come per le leggi dello Stato.
Limite territoriale – Come ultimo limite generale di legittimità, gli atti regionali in genere
rimangono efficaci all’interno del territorio regionale, anche se più volte la giurisprudenza ha
ammesso deroghe perché giustificate dalla sussistenza dell’interesse regionale.

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4. La potestà primaria o piena o esclusiva e la dinamica della normazione nel tempo.
La potestà piena costituisce la massima espressione di autonomia (ad eccezione delle leggi
statutarie) in quanto le materie sono regolamentate per intero dalla Regione, anche se entro i limiti
dell’unità-indivisibilità nazionale, pertanto la potestà è veramente piena?
In effetti si tratta di una potestà mista dovuta in parte alla separazione delle competenze e in parte
alla gerarchia delle norme ovviamente a vantaggio di quelle statali.
La potestà concorrente si converte in potestà piena per quelle materie non coincidenti con quelle
elencate nell’art. 117 Cost.
In ogni caso nonostante la potestà piena delle Regioni in relazione ad alcune materie, lo Stato può
legiferare ma solo per la normazione di principi generali e per la normazione di dettaglio in caso di
mancanza di norme regionali e fintanto che manchino.
Nel caso di sopravvenienza di leggi statali in contrasto con leggi regionali di potestà primaria,
quest’ultime diventerebbero invalide e la Regione sarebbe obbligata a rimuoverle, mentre la
sopravvenienza di leggi statali in contrasto con leggi di potestà ripartita comporta l’immediata
prevalenza delle leggi statali.
Nel caso della Sicilia le leggi statali non possono trovare applicazione se in contrasto con leggi
regionali di potestà piena se non dopo il loro recepimento che solitamente è avvenuto con lievi
varianti.

5. I limiti della potestà piena (in ispecie, i «principi generali dell’ordinamento giuridico dello
Stato»).
La potestà esclusiva della Regione siciliana è limitata unicamente dalle leggi costituzionali dello
Stato senza pregiudizio per le norme fondamentali delle riforme economico-sociali, le restanti
regioni devono rispettare i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato.
Si ritiene che i suddetti limiti non sia necessariamente costituzionalizzati, ma che siano diffusi
nell’intero ordinamento sottoforma di leggi dello Stato e addirittura di regolamenti governativi.

6. (Segue): le «norme fondamentali delle riforme economico-sociali».


Altro limite della potestà piena è dato dal rispetto delle norme fondamentali delle riforme
economico-sociali, limiti di incerta determinazione.
Data la vaghezza della formulazione del limite, il legislatore ha ridotto la potestà piena allo stesso
livello di quella ripartita, grazie anche all’avallo della giurisprudenza.
La riduzione ad unum della potestà piena e della potestà ripartita si è avuta anche a seguito
dell’emanazione di leggi statali (double face) contenenti contemporaneamente sia norme
fondamentali (limitanti la potestà piena) che principi fondamentali (limitanti la potestà ripartita).
La Corte costituzionale talvolta ha censurato l’autoqualificazione di alcune leggi statali di essere
espressive di norme fondamentali.
In definitiva l’immissione statale nei campi regionali può aversi in ogni tempo e in ogni dove ma
con ragionevole giustificazione.

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8. La potestà ripartita o concorrente.
La disciplina delle materie oggetto di questa potestà risultano dal concorso delle leggi dello Stato
(emanazione dei principi fondamentali) e della Regione (emanazione delle regole).
Si ha quindi una separazione di competenze per modi di disciplina (di incerta specificazione), a
differenza della potestà piena che ha una separazione di competenze per materia.
Come al solito il legislatore statale ha ridotto notevolmente l’autonomia regionale.
Le Regioni possono legiferare (esercitare la potestà ripartita) nel rispetto dei principi fissati dalle
leggi che espressamente rinviano alla legge regionale o in mancanza, nel rispetto dei principi
desumibili in via interpretativa dalle altre leggi.
Le leggi-quadro sono dotate tanto delle disposizioni di principio (inderogabili) quanto delle
disposizioni di dettaglio (derogabili), ciò allo scopo di dare immediata attuazione alle norme di
dettaglio sia per caso di nuove leggi regionali che di vecchie leggi regionali adesso incompatibili
con le nuove norme di principio.
Si dibatte se l’abrogazione delle leggi regionali divenute incompatibili sia automatica o meno, la
conclusione è che l’effetto abrogativo decorre dallo inutile spirare del termine posto alla Regione di
adeguamento della legge regionale ai nuovi principi sopravvenuti.

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