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1
5 Formalismo canonico 37
5.1 Forma matriciale delle equazioni di Hamilton . . . . . . . . . 37
5.2 Le parentesi di Poisson . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38
5.3 Integrali primi del moto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39
5.4 Proprietà fondamentali delle parentesi di Poisson . . . . . . . 39
5.5 Identità di Jacobi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40
6 Caratterizzazioni dei sistemi Hamiltoniani 42
6.1 Matrici Hamiltoniane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42
6.2 Campi Vettoriali Hamiltoniani . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
6.3 MANCA TITOLO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
7 Introduzione al calcolo delle variazioni 47
7.1 Funzionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47
7.2 Continuità dei funzionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49
7.3 Variazione Prima . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50
7.4 Equazioni di Eulero-Lagrange . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55
7.5 Variazione con estremi liberi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
8 Principi Variazionali 61
8.1 Principio di minima azione di Hamilton, forma lagrangiana . 61
8.2 Principio di minima azione di Hamilton, forma hamiltoniana . 62
9 Invarianti integrali della meccanica 64
9.1 Invariante Integrale Poincaré-Cartan . . . . . . . . . . . . . . 64
9.2 Invariante integrale universale . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67
9.3 Caratterizzazione dei sistemi Hamiltoniani . . . . . . . . . . . 68
10 Trasformazioni Caniche 71
10.1 Trasformazioni Canoniche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71
10.2 Trasformazioni canoniche libere . . . . . . . . . . . . . . . . . 74
10.3 Le parentesi di Lagrange . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77
10.4 Matrice jacobiana di una trasformazione canonica . . . . . . . 79
10.5 Invarianza delle parentesi di Poisson in una trasformazione
canonica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81
2
Introduzione
3
Capitolo 1
Lagrangiane
4
Figura 1.1: punto materiale vincolato a muoversi sul piano π
5
I parametri q1 , · · · , qn sono detti coordinate lagrangiane mentre il loro
numero n è chiamato grado di libertà del sistema. Vediamo l'esempio di un
sistema di due punti materiali A e B, vincolati rispettivamente sugli assi y
ed x di un sistema cartesiano, la cui distanza L è invariabile (g. 1.2). Dette
(xA , yA , zA ) e (xB , yB , zB ) le coordinate rispettive dei punti, le equazioni
cartesiane che descrivono il sistema sono le seguenti:
(
x2B + yA
2
− L2 = 0,
(1.8)
xA = 0, zA = 0, yB = 0, zB = 0.
Il sistema possiede sei coordinate e sono presenti cinque equazioni indipen-
denti che esprimono vincoli, per cui il sistema può essere descritto mediante
un solo parametro lagrangiano, ovvero possiede un solo grado di libertà. Fa-
cendo riferimento alla (g. 1.2) utilizziamo come parametro per la descrizione
l'angolo θ tra l'asse x ed AB. Sono evidentemente valide le relazioni:
xB = −L cos θ yA = L sin θ (1.9)
che chiaramente soddisfano la prima relazione vincolare del sistema (1.8).
Le altre quattro relazioni dei vincoli in (1.8) insieme alle (1.9) costituisco-
no l'insieme delle equazioni parametriche dipendenti dall'unica coordinata
lagrangiana θ necessaria alla descrizione del sistema.
L'estensione allo schema di corpo rigido ed ai sistemi di corpi rigidi è
abbastanza immediata. La descrizione dello spazio di congurazioni di un
corpo rigido è ottenibile mediante l'utilizzo di sei parametri (ξ1 , · · · , ξ6 ), di
cui i primi tre coincidono con le coordinate di un suo punto pressato (ad es.
il centro di massa), le altre tre indicano l'orientamento di una terna solidale
al corpo rispetto ad una terna ssa. Tale schema rappresentativo tiene già
6
conto del vincolo di rigidità interno. Pertanto rimane da trattare l'insieme
dei vincoli esterni, semplicemente estendendo le equazioni (1.6) e (1.7):
fα (t, ξ1ν , ξ2ν , · · · , ξ6ν ) = 0, (ν = 1, · · · , N ; α = 1, · · · , d), (1.10)
da cui
ξ1ν = ξ1ν (t, q1 , · · · , qn )
ξ2ν = ξ2ν (t, q1 , · · · , qn )
.. (1.11)
.
ξ6ν = ξ6ν (t, q1 , · · · , qn )
se il sistema possiede n = 6N − d gradi di libertà, vale a dire se le (1.10)
sono indipendenti.
Possiamo dunque operare una generalizzazione e considerare un sistema
di corpi Cν (ν = 1, · · · , N ), rigidi o punti materiali, individuati in un sistema
cartesiano da una r-pla di parametri
(ξ1 , ξ2 , · · · , ξr ).
7
Nel caso pi๠generale possibile, si ha che insieme alle equazioni (1.12) è
necessario introdurre un certo numero s di disequazioni:
Φi (t, ξj ) ≥ 0 (j = 1, · · · , r; i = 1, · · · , s). (1.15)
Un sistema sottoposto a vincoli olonomi unilaterali non subisce una di-
minuzione del numero di gradi di libertà per via delle disequazioni. Gli
n = r − d parametri lagrangiani sono generalmente legati dalle disequazioni.
Prendiamo ad esempio una sfera di raggio R e centro C vincolata a muoversi
nel semispazio delle z positive (g. 1.3). La sfera ha sei gradi di libertà, le
8
1.4 Vincoli anolonomi
Passiamo ora ad analizzare la categoria dei vincoli detti anolonomi, ovvero
caratterizzati da un certo numero g di relazioni dierenziali, non integrabili1 ,
dei parametri:
Fβ (t, ξj , ξ˙j ) = 0 (j = 1, · · · , r; β = 1, · · · , g), (1.17)
ovvero, relazioni in cui compaiono esplicitamente le velocità. Tali vincoli
sono pertanto anche detti cinematici. Un sistema caratterizzato dalla pre-
senza di soli vincoli anolonomi ha la possibilità di occupare una posizione
completamente arbitraria nello spazio, tuttavia sono sottoposte a restrizione
le velocità del sistema.
Limitiamoci ai vincoli anolonomi per cui la dipendenza dalle velocità sia
lineare:
r
(1.18)
X
lβj ξ˙j + Dβ = 0 (β = 1, · · · , g),
j=1
dove
fβ (t, ξj ) = c (j = 1, · · · , r; α = 1, · · · , s)(1.22)
dove c è una costante arbitraria. Per questa ragione, il vincolo (1.21) è detto
integrabile e quindi non è un vincolo onolonomo. I vincoli sono denibili
inne come stazionari se non c'è dipendenza esplicita dal tempo, ovvero,
∂f
nel caso dei vincoli olonomi se α = 0, e nel caso dei vincoli anolonomi se
∂t
Dβ = 0 e lβj = lβj (ξ1 , · · · , ξr ).
In base a quest'ultima classicazione, un sistema si dice scleronomo se
sottoposto a vincoli stazionari, reonomo nel caso opposto.
1
Non integrabili signica che le Fβ non sono derivate totali rispetto al tempo di funzioni
di t e delle ξj
9
1.5 Spostamenti innitesimi e spostamenti possibili
Consideriamo un sistema olonomo soggetto a vincoli bilaterali, costituito da
N punti Pν , ν = 1, · · · , N . Lo spazio delle congurazioni del sistema sia
descritto dalla r-pla di parametri (ξ1 , · · · , ξr). Indichiamo con
rν ≡ OP ν ν = 1, · · · , N (1.23)
il vettore posizione del ν -esimo punto Pν rispetto all'origine O.
Chiamiamo spostamento innitesimo ogni spostamento del generico pun-
to Pν del sistema, dovuta ad una variazione innitesima dei parametri ξj :
r
∂rν ∂rν
(1.24)
X
drν = dξj + dt.
∂ξj ∂t
j=1
Le dξj sono del tutto arbitrarie e non tenute a rispettare le equazioni dei
vincoli (1.12). Si tratta quindi di uno spostamento del tutto arbitrario, la
cui grandezza tende a zero con la quantità:
q
dξ12 + · · · dξr2 + dt2 . (1.25)
Distinguiamo tra gli spostamenti innitesimi la categoria degli sposta-
menti possibili, ovvero quelli per cui le dξj soddisfano le equazioni che si
ottengono dierenziando le (1.12)
r
∂fα ∂fα
(1.26)
X
dξj + dt = 0 (α = 1, · · · , d).
∂ξj ∂t
j=1
Ciò signica che uno spostamento possibile porta il sistema da una con-
gurazione consentita dai vincoli ad un'altra che generalmente dierisce da
una consentita dai vincoli per una grandezza che dipende da innitesimi di
ordine superiore alla quantità (1.25).
L'estensione di tale discorso ai sistemi caratterizzati anche da un certo nu-
mero di vincoli anolonomi è abbastanza semplice. Otteniamo l'analogo del-
la (1.26) semplicemente moltiplicando la (1.18) per l'intervallo innitesimo
temporale dt durante il quale avvengono le variazioni innitesime drν :
r
(1.27)
X
lβj dξj + Dβ dt = 0 (β = 1, · · · , g).
j=1
10
vincoli congelati all'istante t fa sì che uno spostamento virtuale sia uno spo-
stamento possibile per questi vincoli. Per come sono deniti, gli spostamenti
virtuali sono individuati dalle relazioni (1.24), (1.26) e (1.27) in cui si elimi-
nino i termini in dt. Nelle relazioni per gli spostamenti virtuali, sostituiamo
per distinguerli, il simbolo d con la lettera δ ed otteniamo:
r
∂rν
(1.28)
X
δrν = δξj
∂ξj
j=1
r
∂fα
(1.29)
X
δξj = 0 (α = 1, · · · , d)
∂ξj
j=1
r
(1.30)
X
lβj δξj = 0 (β = 1, · · · , g).
j=1
11
Capitolo 2
Principio di d'Alembert
12
costruire un apparato analitico molto potente nel quale le forze vincolari non
compaiono esplicitamente.
Partiremo nella costruzione di questo formalismo denendo innanzitutto
il concetto di lavoro virtuale. Detto δrν lo spostamento virtuale del punto
Pν , come denito nel capitolo precedente, chiamiamo lavoro virtuale su Pν
la quantità
δLν = Fν · δrν . (2.3)
Possiamo anche qui distinguere tra forze attive e forze vincolari, per cui
abbiamo:
δLν = Fν(a) · δrν + Rν · δrν = δL(a) (v)
ν + δLν . (2.4)
Il lavoro virtuale su tutto il sistema si otterrà sommando quelli relativi ai
vari punti.
13
2.4 Equilibrio di un sistema. Principio del lavori
virtuali
Introduciamo ora un principio molto importante nella meccanica, il cosiddet-
to Principio dei lavori virtuali, valido per l'analisi della statica dei sistemi.
Deniamo pertano innanzitutto la posizione di equilibrio del sistema come
quella congurazione per la quale, posto il sistema in essa con velocità nulle,
esso rimane fermo.
Prima di arrivare alla formulazione analitica del principio, avviciniamoci
per gradi analizzando congurazioni di equilibrio di semplici sistemi mecca-
nici. Partiamo dall'equilibrio di due semplici sistemi di carrucole (g. 2.1).
Nella congurazione (a) le due masse sono identiche, su ciascuna delle quali
14
come positivi gli spostamenti verso il basso, si ha che
P h
h − P = 0. (2.6)
2 2
Dall'equazione precedente è evidente che i due termini della somma al mem-
bro di sinistra non sono altro che i lavori delle forze attive nel passaggio da
una congurazione di equilibrio ad un'altra.
Relazioni analoghe alla (2.6) si continuano ad ottenere aumentando il
numero delle carrucole. La congurazione (c) della g. (2.2) presenta il peso
P sospeso a sei carrucole, per cui l'equilibrio è raggiunto quando l'estremità
P
libera è caricata con un peso pari a . Anche qui è facile osservare che se il
6
15
h
peso di destra scende di h, il peso P sale di un'altezza pari ad e si ha:
6
P h
h − P = 0. (2.7)
6 6
Vediamo inne la congurazione (d) della g. (2.3), nota come carrucola
d'Archimede o taglia multipla. E' abbastanza chiaro che il peso ad ogni
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Possiamo ritrovare lo stesso risultato anche prendendo un altro esempio.
Consideriamo un piano inclinato di α = 30◦ e siano sospesi tramite una fune
ed una carrucola i pesi Q e P come in g.(2.4). Lo studio del sistema porta
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analisi delle trazioni o pressioni meccaniche esercitate dai pesi dovuti alle
masse. Dagli studi di Newton in poi è stato possibile estendere in generale
a qualsiasi tipo di forza i risultati validi per i pesi, poiché comunque esiste
un'equivalenza per la quale l'azione di ogni forza può essere misurata sosti-
tuendo alla forza la trazione del peso di una massa esercitata tramite una
fune. Pertanto estendiamo il risultato n qui trovato per i pesi a qualsiasi
sistema su cui agiscono forze attive di qualsiasi natura.
La seconda osservazione invece riguarda il fatto che la generalizzazione
più ampia del risultato trovato debba riguardare spostamenti innitesimi
del sistema. Vediamolo con un esempio: se due pesi si fanno equilibrio su
un piano inclinato, tale equilibrio sarà mantenuto anche se il piano viene
trasformato in un altro prolo nei punti in cui esso non è a contatto con i
corpi (g. 2.5). Fatta presente questa osservazione, nel caso più generale
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In realtà il Principio, assunto come tale per la sua fondamentale impor-
tanza (che sarà chiara a breve), può essere rigorosamente dedotto utilizzando
il Principio delle forze vincolari (2.5). Partiamo dalla denizione di posizione
di equilibrio: un sistema è chiaramente in equilibrio se la somma di tutte le
forze agenti su ognuno dei punti del sistema (vincolari e attive) è pari a zero:
Fν(a) + Rν = 0. (2.12)
Di conseguenza, è nullo anche il lavoro virtuale totale:
N
(2.13)
X
δLtot = Fν(a) + Rν · δrν = 0.
ν=1
che rappresenta l'espressione più generale del Principio dei lavori virtuali.
Facciamo alcune osservazioni. Innanzitutto la disuguaglianza è valida
solo nel caso di spostamenti irreversibili e ciò è evidente conseguenza del
Principio delle forze vincolari. La validità del Principio dei lavori virtuali
è determinata dalla presenza di soli vincoli lisci nel sistema e permette di
analizzare i casi di equilibrio statico considerando solo le forze attive e non
esplicitamente le forze vincolari, che come abbiamo detto sono incognite
del problema. Il ruolo dei vincoli nel problema si manifesta indirettamente
tramite gli spostamenti virtuali, che sono appunto per denizione compatibili
con i vincoli.
19
d'inerzia −mν aν agenti su ciascuno dei punti costituenti il sistema. Ripeten-
do il ragionamento fatto nel paragrafo precedente, in presenza di soli vincoli
lisci, si ottiene l'equivalente del Principio dei lavori virtuali per la dinamica:
N
(2.16)
X
Fν(a) − maν · δrν = 0.
ν=1
20
Capitolo 3
Le equazioni di Lagrange
21
Deniamo forze generalizzate Qi (i = 1, · · · , n) i coecienti delle δqi :
N
∂rν
(3.4)
X
Qi = Fν ·
∂qi
ν=1
22
Dalla (3.9) si ricavano le seguenti relazioni:
∂ ṙν ∂rν
= (3.10)
∂ q˙i ∂qi
n
X ∂ 2 rν
∂ ṙν ∂ 2 rν d ∂rν
= q˙k + = . (3.11)
∂qi ∂qi ∂qk ∂qi ∂t dt ∂qi
k=1
utilizzando le equazioni (3.4) e (3.14) e tenendo presente che le δqi sono tutte
indipendenti, diventa:
d ∂T ∂T
− = Qi (i = 1, · · · , n). (3.16)
dt ∂ q˙i ∂qi
Le equazioni appena introdotte sono chiamate equazioni di Lagrange del se-
condo tipo. Le quantità q˙i sono dette velocità generalizzate, legate alle velo-
cità dei punti del sistema, in coordinate cartesiane, dalle relazioni (3.9). Le
quantità q̈k sono invece dette accelerazioni generalizzate.
Le equazioni di Lagrange hanno il grande vantaggio di eludere il proble-
ma delle reazioni vincolari, che infatti non entrano nelle equazioni. Abbiamo
un sistema di n equazioni dierenziali del secondo ordine in n funzioni in-
cognite qi del tempo. Risolvendo la dinamica di un sistema utilizzando le
equazioni di Lagrange, introducendo le coordinate e le forze generalizzate, è
possibile determinare univocamente le coordinate generalizzate qi e le velo-
cità generalizzate q̇i se sono noti i loro valori iniziali, che provengono dalle
posizione e velocità iniziali dei punti materiali. Da queste, è possibile andare
23
a ritroso e, attraverso le relazioni (1.13), (3.4) e (3.9), trovare i parametri ξj
e di conseguenza le funzioni rν (t), vν (t), aν (t) = v̇ν e Fν (t, rν , vν ). Inne, è
possibile ottenere le reazioni vincolari semplicemente applicando la formula
Rν = mν aν − Fν . (3.17)
dove:
N
∂rν ∂rν
(3.19)
X
aik = mν
∂qi ∂qk
ν=1
N
∂rν ∂rν
(3.20)
X
ai = mν
∂qi ∂t
ν=1
N
∂rν 2
1X
a0 = mν . (3.21)
2 ∂t
ν=1
Deniamo ora:
n n
1 X
aik q̇i q̇k , T1 = ai q̇i , T0 = a0 . (3.22)
X
T2 =
2
i,k=1 i=1
24
3.4 Forze potenziali e funzione di Lagrange
Se le forze generalizzate non dipendono dalle velocità generalizzate, ovvero
se Qi = Qi (t, qi ) (i = 1, · · · , n) e se esiste una funzione Π(t, q1 , · · · , qn ) tale
che
∂Π
Qi = − , (3.24)
∂qi
allora le forze Qi sono chiamate forze potenziali e la funzione Π è detta
potenziale della forza o energia potenziale del sistema.
In tali casi, l'equazione di Lagrange (3.16) assume la nota forma compat-
ta:
d ∂L ∂L
− =0 (3.25)
dt ∂ q̇i ∂qi
dove
L=T −Π (3.26)
è detta funzione di Lagrange o più semplicemente Lagrangiana del sistema.
Così come l'energia cinetica, anche la Lagrangiana è una funzione qua-
dratica nelle velocità generalizzate:
n n
1 X
cik q̇i q̇k , L1 = Ci q̇i , L0 = c0 (3.27)
X
L2 =
2
i,k=1 i=1
25
Deniamo ora la quantità sica nota come energia totale del sistema:
E = T + Π. (3.32)
Il nostro scopo è ora quello di derivare un espressione generale per la derivata
totale rispetto al tempo dell'energia totale, per studiarne ed analizzarne le va-
riazioni classicando i diversi casi in riferimento ai tipi di forze generalizzate
agenti sul sistema.
Iniziamo dal calcolare la derivata totale dell'energia cinetica. Nei pas-
saggi, utilizzeremo l'equazione di Lagrange (3.31):
n
dT X ∂T ∂T ∂T
= q̇i + q̈i + =
dt ∂qi ∂ q̇i ∂t
i=1
n
X ∂T d ∂T d ∂T ∂T ∂T
= q̇i − q̇i + q̇i + q̈i + =
∂qi dt ∂ q̇i dt ∂ q̇i ∂ q̇i ∂t
i=1
n n
X ∂T d ∂T d X ∂T ∂T
= − q̇i + q̇i + =
∂qi dt ∂ q̇i dt ∂ q̇i ∂t
i=1 i=1
n n
∂Π d X ∂(T2 + T1 + T0 ) ∂T
(3.33)
X
= − Q̃i + q̇i + .
∂qi dt ∂ q̇i ∂t
i=1 i=1
n n n
X ∂T2 X ∂ 1 X
q̇i = ajk q̇j q̇k q̇i
∂ q̇i ∂ q̇i 2
i=1 i=1 j,k=1
n n n
X 1 X 1 X
= aik q̇k + aji q̇j q̇i
2 2
i=1 k=1 j=1
= 2T2 . (3.35)
Analogamente si ottiene:
n
∂T1
(3.36)
X
q̇i = T1 ,
∂ q̇i
i=1
26
Inserendo le relazioni (3.34) e (3.37) nella (3.33), introducendo l'energia
totale E = T + Π si ottiene:
n
dE d ∂T ∂Π
(3.38)
X
= Q̃i q̇i + (T1 + 2T0 ) − + .
dt dt ∂t ∂t
i=1
L'equazione (3.38) rappresenta il teorema di variazione dell'energia to-
tale. Notiamo che il termine dipendente dalle forze non potenziali non è
nient'altro che la potenza delle forze non potenziali.
ovvero la variazione dell'energia totale è uguale alla potenza delle forze non
potenziali.
Un sistema scleronomo, dove tutte le forze sono potenziali e le ener-
gie potenziali non dipendono esplicitamente dal tempo soddisfa la seguente
equazione:
dE
= 0 → E = cost = h (3.41)
dt
ed è pertanto detto sistema conservativo. L'energia totale di un sistema
conservativo è costante durante il moto del sistema.
27
Se le energie potenziali non dipendono esplicitamente dal tempo, in presenza
di un sistema scleronomo con forze giroscopiche si ottiene nuovamente la
conservazione dell'energia totale del sistema. In presenza invece di forze
dE
dissipative si ha che < 0, per cui l'energia del sistema diminuisce durante
dt
il moto.
dove (∗∗) racchiude tutti i termini che non contengono le accelerazioni ge-
neralizzate. In Meccanica limitiamo l'analisi alle forze generalizzate che non
dipendono esplicitamente dalle accelerazioni generalizzate, Qi = Qi (t, qi , q̇i ),
per cui, dalla (3.47), si ha che le derivate seconde dei potenziali generalizzati
rispetto alle velocità generalizzate sono tutte nulle, e quindi V ha la seguente
forma:
n
(3.48)
X
V (t, qi , q̇i ) = Πk (t, qi )q̇k + Π(t, qi ) = V1 (t, qi , q̇i ) + Π(t, qi ).
k=1
28
Sostituiamo ora la (3.48) nella (3.44) ed otteniamo:
" n #
dΠ ∂ X
Qi = i− Πk q̇k + Π
dt ∂qi
k=1
n
∂Π ∂Πi ∂Πk ∂Πi
(3.50)
X
=− + − q̇k +
∂qi ∂qk ∂qi ∂t
k=1
=
(1)
Qi +
(2)
Qi +
(3)
Qi . (3.51)
29
n
∂2L
det 6= 0. (3.54)
∂ q̇i ∂ q̇k i,k=1
30
Capitolo 4
meccanica
31
(3.28) e (3.49)) per cui, applicando la (4.1) si ha:
n
(4.3)
X
pi = aik q̇k + ci
k=1
32
4.3 Teorema di Donkin
Teorema di Donkin. Sia X(x1 , · · · , xn ) una funzione che gode della pro-
prietà n
∂2X
det 6= 0 (4.7)
∂xi ∂xk i,k=1
e che denisce una trasformazione di coordinate
∂X
yi = . (4.8)
∂xi
Si ha allora che:
∂Y
1. Esiste una trasformazione inversa xi = con
∂yi
n
(4.9)
X
Y = xi yi − X;
i=1
33
Per dimostrare il secondo punto procediamo nel modo seguente. Sia
X una funzione che dipende anche da m parametri (α1 , · · · , αm ), ovvero
X(x1 , · · · , xn , α1 , · · · , αm ). La (4.8) implica che anche le yi sono funzioni
delle αj e di conseguenza, per le (4.12), lo sono anche le xi . Risulta quindi
dalla sua denizione che la Y è funzione degli stessi parametri. Inne, per
dimostrare la (4.11) calcoliamo esplicitamente la derivata di Y rispetto alla
generica αj :
n
!
∂Y ∂ X
= xk yk − X =
∂αj ∂αj
k=1
n n
X ∂xi X ∂X ∂xi ∂X
= yi − − .
∂αj ∂xi ∂αj ∂αj
i=1 i=1
34
che, per la (4.14), diventa:
dp ∂H
=− .
dt ∂qi
Il teorema di Donkin così applicato permette anche di determinare la
seguente relazione:
∂L ∂H
=− (4.15)
∂t ∂t
che sarà utile per la prossima analisi.
n n ¯
X X ∂L
H= pi q̇¯i − L̄ = q̇¯i − L̄ =
∂ q̇i
i=1 i=1
n ¯2 n ¯1
X ∂L X ∂L
= q̇¯i + q̇¯i − L̄2 − L̄1 − L0 =
∂ q̇i ∂ q̇i
i=1 i=1
= L̄2 − L0 . (4.18)
Sia nel caso di potenzili ordinari Π che nel caso di potenziali generalizzati
V = V1 + Π, essendo l'energia cinetica T = T2 + T1 + T0 , si hanno L2 = T2
e L0 = T0 − Π, da cui:
H = T̄2 − T0 + Π. (4.19)
35
Se il sistema è scleronomo, allora T2 = T e T0 = 0 per cui la precedente
diventa:
H = T̄ + Π. (4.20)
Per un sistema scleronomo naturale, l'Hamiltoniana corrisponde all'energia
totale del sistema. Nel caso di un sistema conservativo, ovvero un sistema
olonomo scleronomo naturale in cui sono denite solo forze potenziali, allora
l'Hamiltoniana (4.20) non dipende dal tempo e, in accordo con la (4.17) si
ottiene la legge di conservazione dell'energia totale:
T + Π = cost. (4.21)
Un sistema conservativo è un caso speciale di un sistema conservativo
generalizzato. La legge di conservazione dell'energia avviene anche nel caso
di un sistema scleronomo con potenziali generalizzati V = V1 + Π in cui Π
non dipende esplicitamente dal tempo.
36
Capitolo 5
Formalismo canonico
e di conseguenza il vettore ∇
~x
∂
∂p1
∂
∂p2
.
..
∂
~ x = ∂pn
∇
. (5.3)
∂x∂
∂1
∂x2
..
.
∂
∂xn
37
Utilizzando le relazioni introdotte (5.1), (5.2) e (5.3), le equazioni di
Hamilton possono essere scritte nella forma:
~ x H(x, t).
ẋ = I ∇ (5.4)
Tale formalismo introdotto può essere generalizzato. Deniamo infatti
un campo vettoriale X(x, t) in R2n come hamiltoniano se esiste una funzione
F (x, t) di classe C 2 tale che:
~ x F (x, t).
X(x, t) = I ∇ (5.5)
La funzione F è denita Hamiltoniana corrispondente al campo X , mentre
il sistema di equazioni dierenziali
ẋ = X(x, t) (5.6)
è detto sistema hamiltoniano.
Si dimostra molto semplicemente la seguente proprietà: sia X un campo
vettoriale hamiltoniano, allora ∇
~ x · X = 0:
~ x · I∇
∇ ~ x F (x, t) = (∇
~ x )T I ∇
~ x F (x, t) =
∂F
− ∂q
1
− ∂F
∂q2
.
..
− ∂F
∂ ∂ ∂ ∂ ∂ ∂ ∂qn
= ∂p1 , ∂p2 , ··· , ∂pn , ∂q1 , ∂q2 , ··· , ∂qn ∂F =
∂p
∂F1
∂p2
..
.
∂F
∂pn
∂2F ∂2F ∂2F
=− − − ··· − +
∂p1 ∂q1 ∂p2 ∂q2 ∂pn ∂qn
∂2F ∂2F ∂2F
+ + ··· + = 0.
∂q1 ∂p1 ∂q2 ∂p2 ∂qn ∂pn
38
E' immediato ricavare dalla precedente, che
{qi , qj } = {pi , pj } = 0 , {qi , pj } = −{pi , qj } = δij . (5.9)
Le relazioni (5.9) sono dette parentesi di Poisson fondamentali.
Un'importante proprietà delle parentesi di Poisson è il poter denire
attraverso queste le equazioni di Hamilton (4.6) in modo completamente
simmetrico: (
ṗi = {qi , H}
(5.10)
q̇i = {pi , H}
Che le precedenti siano equivalenti alle (4.6) è evidente applicando la deni-
zione (5.8).
39
La proprietà (5.13) è banalmente vera dalla denizione (5.8). Applicando
sempre tale denizione, con pochi passaggi, dimostriamo la (5.14):
n
X ∂(f g) ∂h ∂h ∂(f g)
{f g, h} = − =
∂qi ∂pi ∂qi ∂pi
i=1
n
X ∂g ∂h ∂f ∂h ∂h ∂g ∂h ∂f
= f +g −f −g =
∂qi ∂pi ∂qi ∂pi ∂qi ∂pi ∂qi ∂pi
i=1
n n
X ∂g ∂h ∂h ∂g X ∂f ∂h ∂h ∂f
=f − +g − =
∂qi ∂pi ∂qi ∂pi ∂qi ∂pi ∂qi ∂pi
i=1 i=1
= f {g, h} + g{f, h}.
40
l'operatore dierenziale del primo ordine tale che ad una funzione g(x)
associa la sua parentesi di Poisson:
Df g = {f, g}. (5.20)
Sia vf il campo vettoriale hamiltoniano associato ad f :
~ x f,
vf = I ∇ (5.21)
allora abbiamo, utilizzando la denizione della parentesi di Poisson (5.7) e
la (5.20)
T T
Lvf = I ∇ ~ xf ∇ ~x =− ∇ ~ xf I ∇~ x = −Df , (5.22)
da cui ricaviamo
(5.23)
Lvf , Lvg = [Df , Dg ] .
Possediamo ora tutti gli strumenti necessari per una dimostrazione del-
l'identità di Jacobi. Analizzando il membro di sinistra della relazione (5.15)
notiamo che sviluppandola si ha una somma di termini contenenti una qual-
che derivata seconda di una delle tre funzioni f , g ed h moltiplicata per le
derivate prime delle altre due. Dimostrando allora che nello sviluppo non
possono esserci derivate seconde dimostriamo automaticamente la validità
dell'identità. Per far ciò riferiamoci ad esempio ai termini contenenti le de-
rivate seconde di h, chiaramente lo stesso ragionamento sarà ripetibile per i
termini con le derivate seconde di f e g . Tali termini verranno necessaria-
mente dallo sviluppo del primo e terzo addendo della (5.15). Procediamo
con lo sviluppo tenendo conto delle relazioni (5.20), (5.23) e della proprietà
(5.13):
{f, {g, h}} + {g, {h, f }} = {f, {g, h}} − {g, {f, h}}
= Df Dg h − Dg Df h
= [Df , Dg ] h
(5.24)
= Lvf , Lvg h.
Abbiamo però visto dalla (5.18) che il commutatore tra derivate di Lie è
ancora una derivata di Lie pertanto non contiene derivate seconde. L'identità
di Jacobi è così dimostrata.
41
Capitolo 6
Hamiltoniani
• βB dove β ∈ R;
• B ± C;
• [B, C] = BC − CB .
42
Dimostrazione. Poichè B è una matrice Hamiltoniana, da (6.1) segue che:
IB = −B T I = (IB)T
43
1. L'insieme delle matrici simplettiche di dimensioni 2n × 2n forma un
gruppo, denotato da Sp(n, R), rispetto alla moltiplicazione matriciale.
2. Sia A una matrice simplettica, allora AT è una matrice simplettica.
Dimostrazione.
1. Per dimostrare il teorema dobbiamo far vedere che l'insieme Sp(n, R)
gode di tutte le proprietà di un gruppo (rispetto alla moltiplicazione matri-
ciale).
Verichiamo per prima cosa che l'identità appartiene all'insieme Sp(n, R).
Poichè, la matrice identità 2n×2n soddisfa la (6.4), allora essa vi appartiene.
A questo punto, dobbiamo dimostrare che l'inverso rispetto alla molti-
plicazione è contenuto in Sp(n, R), ovvero che vale (A−1 )T IA−1 = I . Sia A
una matrice simplettica, allora dalla (6.4) vale
(det(A))2 = 1 (6.5)
e dunque A è non singolare. Inoltre,
A−1 = −IAT I (6.6)
da cui:
(A−1 )T IA−1 = (AT )−1 I(−IAT I) = (AT )−1 AT I = I.
(AC)T IAC = C T AT AC = C T IC = I.
44
allora per la (6.4)
T 0 −αδ + βγ
A IA = = I.
−βγ + αδ 0
• det(A) = 1, ∀n.
45
Dimostrazione. La dimostrazione segue dalla (6.6) applicata a (6.8).
Una forma bilineare antisimmetrica ω : V × V → R è non degenere se e
soltanto se per ogni v2 ∈ V
ω(v1 , v2 ) = 0 ⇒ v1 = 0.
Denizione 6.2.4 Sia V uno spazio vettoriale reale di dimensione 2n allora
un prodotto antiscalare o simplettico su V è una forma bilineare ω : V ×V →
R antisimmetrica e non degenere.
Uno spazio V munito di prodotto simplettico è detto dotato di una strut-
tura simplettica.
Dalla precedente denizione segue che solo gli spazi vettoriali di dimensio-
ne pari ammettono una struttura simplettica. Infatti, tutte le forme bilineari
antisimmetriche sono degeneri in uno spazio di dimensione dispari.
Consideriamo lo spazio R2n e la base canonica e1 , . . . , e2n . Allora, il
prodotto simplettico ω ha la seguente rappresentazione matriciale W :
Wij = ω(ei , ej ).
La matrice W così ottenuta è antisimmetrica e la condizione di non degene-
razione è data da det(W ) 6= 0. Inoltre, per ogni x, y ∈ R2n
2n
(6.10)
X
ω(x, y) = Wij xi yj = xT W y.
i,j=1
46
Capitolo 7
variazioni
7.1 Funzionali
Nello studio delle funzioni ad n variabili è utile usare linguaggi geometrici,
considerando un insieme di n numeri (x1 , . . . , xn ) come un punto di uno
spazio n-dimensionale. Similmente, nello studio di un funzionale, che è una
applicazione che associa un numero reale ad ogni funzione di una certa classe,
è utile considerare queste funzioni come elementi di uno spazio opprtuno.
Uno spazio i cui elementi sono costituiti da funzioni viene detto spazio
di funzioni. Lo spazio di funzioni è determinato dalla natura del problema
in studio. Pertanto si ha la seguente
Denizione 7.1.1 (Funzionale) Un funzionale è un'applicazione che ha
come dominio uno spazio di funzioni e che associa ad ogni funzione un
numero reale.
Come si è detto non esiste uno spazio di funzioni universale. Per esempio,
se si deve studiare un funzionale della forma
Z b
0
F (x, y(x) , y(x) )dx,
a
47
Denizione 7.1.2 (Spazio Lineare) Uno spazio lineare V è un insieme
contenente elementi x, y, z, . . . che possono essere di qualsiasi tipo, sul qua-
le sono denite le operazioni di somma e moltiplicazione con numeri reali
α, β, . . ., in modo tale che i seguenti assiomi sono soddisfatti:
1. x + y = y + x;
2. (x + y) + z = x + (y + z);
3. esiste un elemento 0 (l' elemento zero) tale che x + 0 = x ∀x ∈ V;
4. per ogni elemento x ∈ V esiste un elemento −x tale che x + (−x) = 0
5. 1 · x = x;
6. α(βx) = (αβ)x;
7. (α + β)x = αx + βx;
8. α(x + y) = αx + αy.
Il concetto di continuità gioca un ruolo molto importante per i funzionali
così come accade per le funzioni nell'analisi classica. Allo scopo di dare una
denizione di questo concetto anche per i funzionali, dobbiamo denire il
concetto di vicinanza tra elementi in uno spazio di funzioni cosa che fare-
mo attraverso la denizione di norma. Anche se di seguito parleremo solo
di spazi di funzioni, daremo la denizione di norma in modo più astratto
introducendo gli spazi lineari normati.
2. kαxk = |α|kxk ∀α ∈ R;
3. kx + yk ≤ kxk + kyk ∀y ∈ V .
Siano x ed y due elementi di uno spazio lineare normato V , allora la distanza
tra i due elementi è denita come kx − yk.
Si noti che uno spazio lineare normato può contenere elementi di qualsiasi
tipo, come numeri, vettori, matrici, funzioni, ecc.
Spazio C .
Con C , o C(a, b), indicheremo lo spazio di tutte le funzioni continue
y(x) denite su un intervallo chiuso [a, b]. La somma tra elementi di
48
C e la moltiplicazione tra elementi di C e i numeri reali sono denite
come per le funzioni classiche. La norma in C è denita come:
kyk0 = max |y(x)|.
a≤x≤b
Spazio D1 .
Con D1 , o D1 (a, b), indicheremo l'insieme di tutte le funzioni y(x)
denite su un intervallo [a, b] continue e con derivata prima continua.
Le operazioni di somma e moltiplicazione sono denite come in C . La
norma è denita come:
kyk1 = max |y(x)| + max |y 0 (x)|.
a≤x≤b a≤x≤b
Spazio Dn .
Con Dn , o Dn (a, b), indicheremo l'insieme di tutte le funzioni y(x)
denite su un intervallo [a, b], continue e con derivate continue no
alla n-sima inclusa, dove n è in intero ssato. La somma tra elementi
in Dn e la moltiplicazione tra elementi in Dn e numeri è denita come
per gli spazi precedenti. La norma è denita come segue:
n
X
kykn = max |y (i) (x)|
a≤x≤b
i=0
49
Fino ad ora abbiamo parlato solo di funzionali deniti su spazi lineari.
Tuttavia, esistono svariati problemi che trattano funzionali deniti su un
insieme di funzioni che non costituisce uno spazio lineare. Consideriamo, per
esempio l'insieme delle curve piane lisce che passano per due punti ssati
(problema variazionale ). Risulta evidente che la somma di due curve di
questo tipo non passa per i due punti e dunque questo insieme non costituisce
uno spazio lineare.
Tuttavia, il concetto di spazio lineare normato e i concetti correlati di
distanza tra funzioni, continuità di funzionali, ecc., gioca un ruolo importan-
tissimo nel calcolo delle variazioni come vedremo nelle sezioni successive.
dove α(x) è una funzione ssata in C(a, b), denisce un funzionale lineare
su C(a, b).
50
Esempio 4 Il seguente integrale
Z b
ϕ[h] = [α0 (x)h(x) + α1 (x)h0 (x) + · · · + αn (x)h(n) (x)]dx
a
per ogni h ∈ D1 (a, b) tale che h(a) = h(b) = 0, allora esiste c ∈ R tale che
α(x) = c, ∀x ∈ [a, b].
51
Dimostrazione. Sia c la costante denita dalla condizione
Z b
[α(x) − c]dx = 0,
a
e sia Z x
h(x) = [α(ε) − c]dε,
a
così che h(x) appartenga a D1 (a, b) e soddisfa le condizioni h(a) = h(b) = 0.
Allora
Z b Z b
0
[α(x) − c]h (x)dx = α(x)h0 (x)dx − c[h(b) − h(a)] = 0,
a a
e inoltre Z b Z b
0
[α(x) − c]h (x)dx = [α(x) − c]2 dx.
a a
Da cui segue che α(x) − c = 0, ovvero, α(x) = c per ogni x ∈ [a, b].
Lemma 7.3.4 Se α(x) e β(x) sono funzioni continue in [a, b] e
Z b
[α(x)h(x) + β(x)h0 (x)]dx = 0, (7.4)
a
per ogni h ∈ D1 (a, b) tale che h(a) = h(b) = 0, allora β(x) è derivabile e
β 0 (x) = α(x), ∀x ∈ [a, b].
Dimostrazione. Poniamo
Z x
A(x) = α(ε)dε,
a
52
per ogni x ∈ [a, b] e dunque il lemma vale. Si noti che non abbiamo fatto
alcuna ipotesi di dierenziabilità della fuzione β(x).
Di seguito daremo la denizione di variazione (o dierenziale ) di un
funzionale.
Sia J[y] un funzionale denito su uno spazio lineare normato e sia ∆J[h]
il suo incremento, relativo ad h = h(x), denito come
∆J[h] = J[y + h] − J[y].
contraddicendo l'ipotesi.
Supponiamo che il dierenziale del funzionale J[y] non sia unico allora,
∆J[h] = ϕ1 [h] + ε1 khk,
∆J[h] = ϕ2 [h] + ε2 khk,
1
Rigorosamente, l'incremento e la variazione di J[y] sono funzionali di due argomenti
y ed h.
53
dove ϕ1 [h] e ϕ2 [h] sono funzionali lineari, e ε1 , ε2 → 0 quando khk → 0.
Questo implica che
ϕ1 [h] − ϕ2 [h] = ε2 khk − ε1 khk,
54
Teorema 7.3.8 Sia J[y] un funzionale dierenziabile. Condizione necessa-
ria anché J[y] abbia un estremo in y = ŷ è che la sua variazione sia nulla
per y = ŷ. Ovvero
δJ[h] = 0 (7.5)
per y = ŷ e per tutte le funzioni h ammissibili.
Dimostrazione. Supponiamo che J[y] abbia un minimo in y = ŷ. Allora,
dalla denizione di variazione segue che
∆J[h] = δJ[h] + εkhk, (7.6)
dove ε → 0 quando khk → 0. Dunque, se khk è sucientemente piccolo,
il segno di ∆J[h] sarà uguale al segno di δJ[h] (poichè δJ[h] εkhk).
Supponiamo che, δJ[h0 ] 6= 0 per qualche h0 ammissibile. Allora, per ogni
α > 0, otteniamo
ha un estremo debole.
55
In altre parole, questo problema consiste nel trovare un estremo debole
di un funzionale della forma (7.8), dove la classe di curve ammissibili è data
dall'insieme di tutte le curve lisce che uniscono due punti.
Per poter applicare la condizione necessaria per l'esistenza di un estre-
mo, descritta nel Teorema 7.3.8, dobbiamo essere in grado di calcolare la
variazione di un funzionale del tipo (7.8).
Supponiamo di considerare un incremento h(x), di una funzione y(x),
dove, allo scopo di far sì che la funzione y(x) + h(x) continui a soddisfare le
condizioni negli estremi di integrazione, deve valere
h(a) = h(b) = 0.
Inoltre, dal Lemma 7.3.2, una condizione necessaria anchè J[y] abbia un
estremo per y = y(x) è che
Z b
δJ[h] = (Fy h + Fy0 h0 )dx = 0
a
56
denito su un insieme di funzioni y(x) che hanno derivata prima continua
in [a, b] e che soddisfano le condizioni y(a) = A, y(b) = B . Allora una
condizione necessaria anchè J[y] abbia un estremo per una data funzione
y(x) è che y(x) soddis le equazioni di Eulero
d
Fy − Fy0 = 0.
dx
Questa condizione è necessaria per un estremo debole. Poichè, ogni estremo
forte è anche un estremo debole, ogni condizione necessaria per un estremo
debole è anche una condizione necessaria per un estremo forte.
nel caso in cui gli estremi delle curve si possono spostare in modo arbitrario
e le curve siano lisce. Per fare questo, deriviamo la formula prima nel caso
in cui n = 1, nel quale
Z x1
J[y] = F (x, y, y 0 )dx (7.13)
x0
57
Figura 7.1: Funzioni y ed y ∗
e siano P0 (x0 , y0 ) e P1 (x1 , y1 ) gli estremi della curva y . Gli estremi della
curva y ∗ siano invece
P0∗ (x0 + δx0 , y0 + δy0 ), P1∗ (x1 + δx1 , y1 + δy1 ).
Allora:
Z x1 +δx1 Z x1
0 0
∆J = F (x, y + h, y + h )dx − F (x, y, y 0 )dx
x0 +δx0 x0
Z x1
= [F (x, y + h, y 0 + h0 ) − F (x, y, y 0 )]dx +
x0
Z x1 +δx1 Z x0 +δx0
0 0
+ F (x, y+h, y +h )dx− F (x, y+h, y 0 +h0 )dx
x1 x0
58
dove ∼ denota un'uguaglianza a meno di termini di ordine più alto di 1
rispetto a ρ(y, y + h) e il termine contenente è stato integrato per parti.
Inoltre, poichè vale
h(x0 ) ∼ δy0 − y 0 (x0 )δx0 ,
h(x1 ) ∼ δy1 − y 0 (x1 )δx1 ,
allora
Z x1
d
δJ = [Fy − Fy0 ]h(x)dx + Fy0 |x=x1 δy1 + (F − Fy0 y 0 )|x=x1 δx1
x0 dx
Allora, possiamo risolvere il sistema (7.17) y10 , . . . , yn0 come funzioni delle
variabili
x, y1 , . . . , yn , p1 , . . . , pn . (7.18)
3
detkF aik k denota il determinante della matrice kaik k
59
In quanto segue esprimeremo la funzione F (x, y1 , . . . , yn , y10 , . . . , yn0 ) che com-
pare nella (7.12) in termini di una nuova funzione H(x, y1 , . . . , yn , p1 , . . . , pn )
legata ad F dalla seguente formula:
n n
(7.19)
X X
H = −F + yi0 Fyi0 ≡ −F + yi0 pi ,
i=1 i=1
dove ogni yi0 è una funzione delle variabili (7.18). La funzione H è detta fun-
zione hamiltoniana corrispondente al funzionale J[y1 , . . . , yn ]. In questo mo-
do possiamo eettuare una trasformazione locale dalle variabili x, y1 , . . . , yn , y10 , . . . , yn0 , F ,
che compaiono nella (7.12), alle nuove variabili x, y1 , . . . , yn , p1 , . . . , pn , H ,
note con il nome di variabili canoniche (corrispondenti al funzionale J[y1 , . . . , yn ]).
Utilizzando le variabili canoniche la (7.16) assume la seguente forma:
Z x1 n n x=x1
X dpi X
δJ = Fyi − hi (x)dx + pi δyi − Hδx . (7.20)
x0 i=1
dx i=1
x=x0
60
Capitolo 8
Principi Variazionali
61
prima si annulla) in corrispondenza del moto naturale e viceversa: è questa
l'aermazione del cosidetto principio di Hamilton.
Il teorema è un'immediata conseguenza di quanto visto nei paragra
precedenti. La formulazione del principio di Hamilton può quindi essere
posta a fondamento della dinamica dei sistemi olonomi.
denita dall'equazione1
n
(8.4)
X
L∗ = pi q˙i − H(t, qi , pi ).
i=1
62
Questa nuova forma del principio di Hamilton, a prima vista, potrebbe sem-
brare identica a quella vista nella sezione precedente, poichè l'espressione di
L∗ coincide con L. In realtà questo è vero solo per i cammini qi = qi (t),
pi = pi (t) per i quali le funzioni qi (t) e pi (t) sono connesse dalle relazioni:
∂L
pi = , i = 1, . . . , n. (8.8)
∂ q˙i
In generale però, una curva passante per i punti B0 e B1 potrebbe non
soddisfare le (8.8) e per questa curva L∗ 6= L. Comunque, se ci si limita
a considerare solo le curve per le quali le (8.8) siano soddisfatte, allora la
seconda forma del principio di Hamilton si riconduce alla prima.
Si noti inne che, mentre nella forma lagrangiana i punti M0 ed M1
possono essere scelti arbitrariamente, adesso dobbiamo considerare due punti
per i quali esista il moto naturale cosa che non vale per tutte le coppie di
punti appartenenti allo spazio delle fasi esteso. Infatti, i punti B0 e B1 scelti
sul moto naturale per il quale è formulato il principio di Hamilton.
63
Capitolo 9
meccanica
Per la variazione delle coordinate estremali terminali qi1 = qi1 [t1 (α), α],
otteniamo la seguente formula (dove i = 1, . . . , n):
h ∂q (t, α) i
i
δqi1 = q̇i1 δt1 + δα,
∂α t=t1
cioè
δqi1 = [δqi ]t=t1 + q̇i1 δt1 ,
da cui segue
[δqi ]t=t1 = δqi1 − q̇i1 δt1 . (9.3)
64
Analogamente, otteniamo la seguente formula per le altre coordinate estre-
mali qi0 = qi0 [t0 (α), α] (i = 1, . . . , n)
[δqi ]t=t0 = δqi0 − q̇i0 δt0 (9.4)
dove
qi (t, 0) ≡ qi (t, l), pi (t, 0) ≡ pi (t, l), i = 1, . . . , n.
Su questo tubo scegliamo arbitrariamente una seconda curva chiusa C1 che
ha un solo punto in comune con ogni generatrice. L'equazione della curva
C1 può essere scritta nella forma:
65
Figura 9.1: Tubo chiuso di traiettorie naturali n = 1
non varia al variare del contorno chiuso scelto sul tubo e quindi è un inva-
riante integrale, che è chiamato l'invariante integrale di Poincaré-Cartan.
66
9.2 Invariante integrale universale
Consideriamo adesso, l'invariante integrale
n
I hX i
I= pi δqi − Hδt
i=1
I n
X I n
X
pi δqi = pi δqi .
D0 i=1 D1 i=1
67
Adesso, invece di uno spazio delle fasi 2n-dimensionale, consideriamo n
piani di fase distinti (qi , pi ), i = 1, . . . , n. Proiettiamo una qualsiasi curva
chiusa (contorno) D appartenente allo spazio delle fasi su questi piani e
otteniamo i contorni Di , i = 1, . . . , n. Allora, per ogni i vale
I I
pi δqi = pi δqi = ±Si (9.11)
D Di
toniano.
Infatti, in questo caso:
n
I X
d dpi d
0= I1 = δqi + pi δqi =
dt i=1
dt dt
I Xn I X n
dpi dqi dpi dqi
= δqi + pi δ = δqi − δpi =
i=1
dt dt i=1
dt dt
I X n
= Pi δqi − Qi δpi
i=1
da cui segue che l'espressione integranda è un dierenziale virtuale totale di
una qualche funzione −H(t, qk , pk )1 :
n
X
Pi δqi − Qi δpi = −δH(t, qk , pk )
i=1
1
Il dierenziale virtuale totale è denito come δH =
Pn ∂H ∂H
i=1 ∂qi
δqi + ∂pi
δpi .
68
pertanto
∂H ∂H
Qi = , Pi = − i = 1, . . . , n,
∂pi ∂qi
che è quanto volevamo dimostrare. Concludiamo con questo importante
teorema dovuto a Lee Hwa Chung.
Teorema 9.3.1 Se
n
I X
0
I = [Ai (t, qk , pk )δqi + Bi (t, qk , pk )δpi ]
i=1
69
I
dA dB dq dp
= δq + δp + Aδ + Bδ =
dt dt dt dt
I
dA dq dB dp
= δq − δA + δp − δB =
dt dt dt dt
I h
∂A ∂B dp ∂A i h ∂B ∂A dq ∂B i
= − + δq + − + δp =
∂p ∂q dt ∂t ∂q ∂p dt ∂t
I
∂H ∂A ∂H ∂B
= −Z + δq + − Z + δp
∂q ∂t ∂p ∂t
dove
∂A ∂B
Z= − .
∂p ∂q
L'ultimo integrale è uguale a zero per qualsiasi valore della variabile t con-
siderata come parametro e per un arbitrario cammino di integrazione. Al-
lora, l'espressione contenuta nell'integrale deve essere un dierenziale totale
rispetto alle variabili p e q . Per questo motivo
∂ ∂H ∂A ∂ ∂H ∂B
−Z + = −Z +
∂p ∂q ∂t ∂q ∂p ∂t
che si può riscrivere come
∂Z ∂H ∂Z ∂H ∂Z
− + + = 0.
∂p ∂q ∂q ∂p ∂t
Poichè la funzione H può essere scelta in modo arbitrario deve essere
∂Z ∂Z ∂Z
= = =0
∂p ∂q ∂t
che equivale a
∂A ∂B
Z= − =c
∂p ∂q
Allora
∂(A − cp) ∂B
=
∂p ∂q
e, di conseguenza, esiste una funzione Φ(t, q, p) tale che
∂Φ ∂Φ
(A − cp)δq + Bδp = δq + δp = δΦ,
∂q ∂p
dove t è sempre considerato come un parametro, e quindi
Aδq + Bδp = cpδq + δΦ
da cui I I
I0 = Aδq + Bδp = c pδq = cI1
70
Capitolo 10
Trasformazioni Caniche
71
è canonica e trasforma il sistema (10.2) nel sistema (10.3) con
H̃ = αβH.
Esempio 6 La trasformazione
q̃i = αpi , p̃i = βqi (i = 1, . . . , n; α 6= 0, β 6= 0)
Esempio 7 La trasformazione
q̃i = pi tan t, p̃i = qi cot t (i = 1, . . . , n)
72
contorni corrispondono l'uno all'altro mediante la trasformazione canonica
(10.1), poichè t resta invariato nelle trasformazioni canoniche. Dall'invarian-
za dell'integrale di Poincaré-Cartan segue
n
I hX i I n
(10.4)
X
pi δqi − Hδt = pi δqi
C i=1 C0 i=1
n
I hX i I n
(10.5)
X
p̃i δ q̃i − H̃δt = p̃i δ q̃i
C̃ i=1 C̃0 i=1
I n I n
(10.6)
X X
p̃i δ q̃i = c pi δqi .
C̃0 i=1 C0 i=1
Se nel primo integrale esprimiamo le variabili q̃1 , . . . p̃n in termini delle va-
riabili q1 , . . . pn , il cammino C̃ viene sostituito dal cammino C e l'equazione
(10.7) può essere riscritta come
n
I hX i n
hX i
p̃i δ q̃i − H̃δt − c pi δqi − Hδt = 0. (10.8)
C i=1 i=1
Poichè C è un contorno arbitrario in uno spazio delle fasi esteso (2n + 1)-
dimensionale, l'espressione sotto il segno di integrale nell'equazione (10.8)
deve essere un totale dierenziale di qualche funzione a 2n + 1 argomenti
q1 , p1 , . . . , qn , pn e t. Per sempliccare la notazione denotiamo tale funzione
come −F (t, qi , pi ) e otteniamo
n n
X
(10.9)
X
p̃i δ q̃i − H̃δt = c pi δqi − Hδt − δF
i=1 i=1
73
Di seguito chiameremo F funzione generatrice e la costante c la valen-
za della trasformazione canonica (10.1). La trasformazione canonica sarà
chiamata univalente se c = 1.
Una condizione necessaria e suciente anchè la trasformazione (10.1)
sia canonica è che esista una funzione generatrice F e una qualche costante
c per le quali l'equazione (10.9) è identicamente soddisfatta in virtù della
trasformazione (10.1).
Nota. Se la trasformazione (10.1) è canonica, allora esiste una funzione
generatrice F e una valenza c 6= 0 tale che l'equazione (10.9) vale per qualsiasi
funzione H e la corrispendente funzione H̃ . Inoltre, se (10.9) vale per una
coppia di funzioni H e H̃ , allora la trasformazione (10.1) è già canonica.
Infatti, consideriamo oltre alla funzione H , una funzione arbitraria H1 e
deniamo H̃1 dalla condizione
H̃1 − H̃ = c(H1 − H).
74
Equiparando i coecienti di δqi , δ q̃i e δt otteniamo
∂S ∂S
= cpi , = −p̃i , (i = 1, . . . , n) (10.12)
∂qi ∂ q̃i
∂S
H̃ = cH + . (10.13)
∂t
Le equazioni (10.12) deniscono la trasformazione canonica libera che stiamo
analizzando. Di seguito mostriamo come questa trasformazione può essere
ridotta alla forma (10.1).
Le n derivate parziali ∂q
∂S
i
(i = 1, . . . , n) della (10.12) sono indipendenti
come funzioni nelle quantità q̃1 , . . . , q̃n poichè, dalla (10.12), la relazione
∂S ∂S
Ω ,..., , q1 , . . . , qn = 0
∂q1 ∂qn
assume la forma
Ω(cp1 , . . . , cpn , q1 , . . . , qn = 0.
Pertanto, per la funzione generatrice S di una trasformazione canonica libera
deve valere: ∂ 2 S n
det 6= 0. (10.14)
∂qi ∂ q̃k i, k=1
75
Dalla (10.13) segue che H̃ = cH se e solo se ∂S∂t = 0, ovvero quando
la funzione generatrice S non dipende esplicitamente da t. In questo caso,
dalla (10.12), il tempo t non rientrerà esplicitamente nella formula della
trasformazione canonica. Per questa trasformazione canonica, la funzione
H subisce una lieve modica essendo solo moltiplicata per la costante c.
Per tale motivo, se vogliamo ottenere un nuovo sistema con una funzione
hamiltoniana più semplice, dobbiamo prendere una trasformazione canonica
libera contenente t come parametro.
n
X
(2) S = − cot t qi q̃i , c = −1.
i=1
oppure
1 1
δ( αα1 q 2 + ββ1 p2 ) + α1 βqδp + (αβ1 − c)pδq = −δF.
2 2
76
Il lato sinistro di questa equazione sarà un dierenziale totale con
c = αβ1 − α1 β.
77
Pertanto, le formule (10.21) deniscono una trasformazione canonica con
valenza c che è indipendente dal particolare valore di t.
Assumiamo adesso che tutte le trasformazioni ottenute dalla (10.18) so-
stituendo la variabile t con diversi valori ssati t̄ siano canoniche e tutte con
la stessa valenza c. Allora, se deniamo H̃ come
n
∂F X ∂ q̃i
H̃ = cH + + p̃i (10.22)
∂t ∂t
i=1
dove
n n
∂ q̃k X ∂ q̃k
(10.26)
X
Φi = p̃k − cpi , Ψi = p̃k (i = 1, . . . , n).
∂qi ∂pi
k=1 k=1
78
Sostituendo la (10.26) nelle uguaglianze (10.27) otteniamo
Pn ∂ q̃j ∂ p̃j ∂ q̃j ∂ p̃j
j=1 ∂qi ∂qk − ∂qk ∂qi = 0
∂ q̃j ∂ p̃j ∂ q̃j ∂ p̃j
(10.28)
Pn
j=1 ∂pi ∂pk − ∂pk ∂pi = 0
Pn ∂ q̃j ∂ p̃j ∂ q̃j ∂ p̃j
j=1 ∂qi ∂pk − ∂pk ∂qi = cδik (i, k = 1, . . . , n)
Dove ∂q
∂q̃
è una matrice jacobiana di ordine n k ∂q
∂ q̃i
k
k. Analogamente, denia-
mo le matrici jacobiane di ordine n ∂p , ∂q e ∂p .
∂q̃ ∂p̃ ∂p̃
79
Introduciamo la seguente matrice speciale di ordine 2n:
0 ... 0 −1 . . . 0
··· ··· ··· ··· ··· ···
0 ... 0 0 . . . −1 0 −E
M= = (10.32)
1 ... 0 0 ... 0 E 0
··· ··· ··· ··· ··· ···
0 ... 1 0 ... 0
dove E è una matrice unità di ordine n. Consideriamo la matrice M e la
sua trasposta M 0 . Dal prodotto M 0 J M e dalla (10.30) segue che:
M 0 J M = cJ (10.33)
dove c è la valenza della trasformazione canonica. Infatti
! !
∂q̃ 0 ∂p̃ 0
( ∂p̃ 0 ∂q̃ 0
∂q ) − ( ∂q )
( ∂q ) ( ∂p ) 0 −E
M 0J = ∂p̃ 0 ∂p̃ 0 = = (10.34)
( ∂q ) ( ∂p ) E 0 ( ∂p̃ 0 ∂q̃ 0
∂p ) − ( ∂p )
!
( ∂p̃
∂q )
0 ∂q̃
− ( ∂q̃
∂q )
0 ∂p̃
( ∂p̃
∂q )
0 ∂q̃
− ( ∂q̃
∂q )
0 ∂p̃
M 0J M = ∂q ∂q ∂p ∂p
(10.35)
( ∂p̃
∂p )
0 ∂q̃
∂q
∂q̃ 0
− ( ∂p ) ∂p̃
∂q ( ∂p̃
∂p )
0 ∂q̃
∂p
∂q̃ 0
− ( ∂p ) ∂p̃
∂p
80
Dalle relazioni (10.30), la caratteristica di canocicità di una trasforma-
zione può essere riformulata come segue.
Condizione necessaria e suciente anchè una trasformazione
q̃i = q̃i (t, qk , pk ), p̃i = p̃i (t, qk , pk ) (i = 1, . . . , n)
81
Quindi, se l'equazione M 0 J M = cJ era equivalente al sistema di ugua-
glianze
[qi qk ] = 0, [pi pk ] = 0, [qi pk ] = cδik (i, k = 1, . . . , n) (10.42)
allora l'equazione (10.32) sarà equivalente al sistema di equazioni
[qi qk ]∗ = 0, [pi pk ]∗ = 0, [qi pk ]∗ = δik (i, k = 1, . . . , n) (10.43)
dove il simbolo (∗ ) indica che lo scambio degli indici sopra citato, viene
realizzato con le parentesi di Lagrange. Ma allora, si può vedere come le
parentesi di Lagrange diventano le parentesi di Poisson. Infatti,
n n
∗
hX ∂ q̃j ∂ p̃j ∂ p̃j ∂ q̃j i∗ X ∂ q̃i ∂ q̃k ∂ q̃i ∂ q̃k
[qi qk ] = − = − = (q̃i , q̃k )
∂qi ∂qk ∂qi ∂qk ∂qj ∂pj ∂pj ∂qj
j=1 j=1
dove (q̃i , q̃k ) sono le parentesi di Poisoon delle funzioni q̃i e q̃k rispetto alle
variabili inidpendenti
q1 , p1 , . . . , qn , pn .
Analogamente,
[pi pk ]∗ = (p̃i , p̃k ), [qi pk ]∗ = (q̃i , p̃k ).
Allora, utilizzando le parentesi di Poisson, le condizioni di canonicità della
trasformazione (10.43) possono essere riscritte come
(q̃i , q̃k ) = 0, (p̃i , p̃k ) = 0, (q̃i , p̃k ) = cδik , (i, k = 1, . . . , n). (10.44)
Consideriamo due funzioni φ e ψ nelle variabili qi , pi , (i = 1, . . . , n) e t.
Applicando le parentesi di Poisson possiamo esprimere qi , pi , (i = 1, . . . , n)
in termini di q̃k , p̃k , (k = 1, . . . , n) e quindi guardare a queste funzioni come
funzioni nelle variabili q̃k , p̃k , (k = 1, . . . , n). Allora, le parentesi di Poisson
di φ e ψ possono essere valutate rispetto alle variabili qi , pi (denotato con
(φψ)) e rispetto alle variabili q̃i , p̃i (denotato con (φψ)∼ ).
Di seguito dimostriamo che vale l'identità
(φψ) = c(φψ)∼ . (10.45)
La prova si fonda su una rappresentazione dello jacobiano di un sistema di
funzioni composite
n
∂(φ, ψ) X h ∂(φ, ψ) ∂(q̃ , q̃ )
i k ∂(φ, ψ) ∂(p̃i , p̃k ) i
= + +
∂qi , pj ∂(q̃i , q̃k ) ∂(qj , pj ) ∂(p̃i , p̃k ) ∂(qj , pj )
i,k=1 i<k
n
X ∂(φ, ψ) ∂(q̃i , p̃k )
+ (j = 1, . . . , n)
∂(q̃i , p̃k ) ∂(qj , pj )
i,k=1
82
e sommando termine a termine otteniamo
n h ∂(φ, ψ) n
X ∂(φ, ψ) i X ∂(φ, ψ)
(φψ) = (q̃i , q̃k ) + (p̃i , p̃k ) + (q̃i , p̃k )
∂(q̃i , q̃k ) ∂(p̃i , p̃k ) ∂(q̃i , p̃k )
i,k=1 i<k i,k=1
83