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Il ritorno di Engels e l’ecosocialismo
John Bellamy Foster

Articolo pubblicato su Jacobin Magazine | Traduzione a cura di Sergio Farris
https://www.jacobinmag.com/2016/11/engels­marx­ecology­climate­crisis­materialism/ 

Poche collaborazioni politiche ed intellettuali sono paragonabili a quella fra Karl Marx
e   Friedrich   Engels.   Non   scrissero   insieme   solo   il  Manifesto   comunista  del   1848,
prendendo parte alla rivoluzione di quello stesso anno, ma anche due lavori precedenti,
La sacra famiglia del 1845 e l’Ideologia tedesca del 1846. Alla fine del decennio 1870,
quando   i   due   socialisti   scientifici   abitarono   vicino   e   poterono   conferire
quotidianamente,  erano soliti camminare  avanti   e indietro,  ognuno  su  un lato della
stanza,   nello   studio  di   Marx,  lasciando   segni   sul   pavimento  quando  si  giravano  sui
tacchi, mentre discutevano di svariate idee, piani e progetti.

Spesso si leggevano l’un l’altro passaggi dei loro lavori in corso di realizzazione. Engels
lesse l’intero suo manoscritto Anti­Dühring (al quale Marx collaborò nella stesura di un
capitolo) a Marx prima della pubblicazione. Marx scrisse l’introduzione a Il socialismo:
dall’utopia alla scienza di Engels. Dopo la morte di Marx nel 1883, Engels preparò per
la publicazione i volumi secondo e terzo del Capitale, traendoli dalle bozze che l’amico
aveva   lasciato.   Se   Engels,   come   egli   stesso   ammise,   stava   all’ombra   di   Marx,   fu
nondimeno, a pieno titolo, un gigante intellettuale e politico. 
Eppure per decenni gli accademici hanno detto che Engels avrebbe distorto e sminuito
il pensiero di Marx. Come il politologo John L. Stanley ha criticamente osservato nel
suo postumo Lineamenti di Marx del 2002, i tentativi di distinguere Marx da Engels –
al   di   là   della   differenza   che,   ovviamente,   si   trattava   di   due   individui   con   talenti   e
interessi  diversi  –  hanno   prevalentemente   assunto   la   forma   di   una   dissociazione  di
Engels, vista come la fonte di tutto ciò che vi è di reprensibile nel marxismo, da Marx,
visto come il compendio dell’uomo di lettere civilizzato, e non un marxista egli stesso.

Quasi 42 anni fa, il 12 Dicembre 1974, ho assistito a una lezione di David McLellan su
‘Karl   Marx:   le   vicissitudini   di   una   reputazione’  presso   l’Evergreen   State   College   di
Olympia, Washington. L’anno prima McLellan aveva pubblicato Karl Marx: la vita e il
pensiero, che ho studiato. Ma  quel giorno il messaggio di McLellan fu, in sintesi, che
Karl  Marx non era Friedrich Engels. Per scoprire il Marx  autentico, era necessario
separare il grano di Marx dal loglio di Engels. Era stato Engels, sostenne McLellan, a
introdurre   il   positivismo   nel   marxismo,   riferendosi   alla   Seconda   e   alla   Terza
Internazionale e, eventualmente, allo Stalinismo. Qualche anno dopo, McLellan mise
alcune di queste critiche nella sua breve biografia, Friedrich Engels. Fu questa la mia
prima   conoscenza   dello  sguardo   anti­Engels   che   emerse   come   una   caratteristica
definitiva   della   sinistra   accademica   occidentale,   e   che   era  strettamente   connessa
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all’ascesa del ‘marxismo occidentale’ come una distinta tradizione filosofica – opposta a
ciò   che   veniva   talvolta   chiamato   ‘marxismo   sovietico’   o   ufficiale.  Il   marxismo
occidentale, in tal senso, ebbe quale suo principale assioma, il rifiuto della dialettica
della   natura   di   Engels,   o   la   ‘semplice   dialettica   oggettiva’,   come   Georg   Lukàcs   la
chiamò.

Per   la  maggior   parte   dei   marxisti   occidentali   la   dialettica   era   un’identica   relazione
soggetto – oggetto: possiamo capire il mondo nella misura in cui lo abbiamo fatto. Una
tale   visione   critica   costituì   il   benvenuto   rigetto   del   crudo   positivismo   che   aveva
infettato gran parte del marxismo, e che era stato razionalizzato nell’ideologia sovietica
ufficiale. Eppure aveva avuto anche l’effetto di spingere il marxismo in una direzione
più   idealista,   conducendo   all’abbandono   della   lunga   tradizione   che   aveva   visto   il
materialismo storico legato non soltanto alle scienze umane e sociali – e, naturalmente
alla politica – ma anche alla scienza materialistica naturale.

Denigrare Engels divenne un popolare passatempo per gli accademici di sinistra, con
alcune figure, come il teorico politico Terrel Carver, a costruire la propria carriera su
queste   basi.  Si   usava   comunemente   Engels   come   strumento   per   estrarre   Marx   dal
marxismo. Scrisse Carver nel 1984: ‘Karl Marx negò di essere stato marxista. Friedrich
Engel   riportò   il   commento   di   Marx   ma   mancò   di   coglierne   il   senso.   In   verità,   ora
sappiamo che Engels fu il primo marxista, ed è sempre più diffusa l’idea che fu lui a
inventare, in qualche modo, il marxismo’. Per Carver, Engels non solo commise il grave
peccato di inventare il marxismo, ma ne commise numerosi altri, come la promozione
del quasi­hegelismo, il materialismo, il positivismo e la dialettica, tutti ritenuti essere
lontanissimi   dall’eclettismo   scrupoloso   di   Marx.   L’idea   di   fondo   che   Marx   ebbe   una
‘metodologia’ fu attribuita a Engels, e quindi dichiarata falsa.

Dissociato da Engels e depurato di tutti i contenuti determinati, Marx fu facilmente
reso   accettabile   dallo   status   quo,   come   una   sorta   di   intellettuale   precursore.   Come
scritto   recentemente   da   Carver,   senza   apparente   senso   del   paradosso,   ‘Marx   fu   un
pensatore liberale’. Ma la maggior parte delle critiche sono state indirizzate a Engels
per il suo presunto scientismo nell’Anti­Dühring  e nell’incompiuto la  Dialettica della
natura.   McLellan,   nella   sua   biografia   di   Engels   affermò   che   il   suo   interesse   per   la
scienza naturale lo portò a ‘enfatizzare una concezione materialista della natura invece
che della storia’.

Venne accusato di portare nel marxismo il ‘concetto di materia’, che era completamente
estraneo al lavoro di Marx. Il suo più grande errore fu l’aver tentato di sviluppare una
dialettica oggettiva che abbandonò il ‘lato soggettivo della dialettica’, e che portò alla
‘graduale assimilazione delle visioni di Marx entro uno sguardo scientifico del mondo’.
‘Non è sorprendente’, aggiunse McLellan, ‘che, al consolidarsi del regime Sovietico, la
volgarizzazione   di   Engels   sia   diventata   il   principale   contenuto   filosofico   nei   libri   di
testo’.

Mentre Marx veniva via via presentato come un raffinato intellettuale, Engels veniva
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sempre più visto come un grezzo divulgatore. Engels servì così al discorso accademico
sul marxismo come un opportuno capro espiatorio. Nonostante tutto, Engels ebbe i suoi
ammiratori.

Il   primo   segno   tangibile   di   inversione   della   sua   fortuna   nell’ambito   della   teoria
marxista   contemporanea   si   ebbe   con  La   povertà   della   teoria  dello   storico  E.P.
Thompson,   del  1978,   primariamente   rivolto  contro  il   marxismo   strutturale  di   Louis
Althusser.   Thompson   difese   il   materialismo   storico   da   una   teoria   ipostatizzata   ed
astratta, separata da ogni soggetto torico e da qualsiasi punto di riferimento empirico.
In questo processo, validamente egli – e in ciò che io ho sempre visto come uno dei
punti più alti della letteratura del tardo ventesimo secolo –  si battè per quel ‘vecchio
mediocre Fredrich Engels’, che era stato il bersaglio di buona parte del criticismo di
Althusser. In base a ciò, Thompson ricavò un tipo di empirismo dialettico – ciò che più
apprezzava in Engels – essenziale per un’analisi storico­materialstica.

Qualche anno più avanti,  in ‘quattro lezioni di marxismo’, un economista marxiano,
Paul Sweezy, cominciò ad affermare audacemente l’importanza dell’approccio di Engels
alla dialettica e della sua critica alle visioni meccanicistiche e riduzioniste. Ma la svolta
in   grado   di   restaurare   la   reputazione   di   Engels   quale   maggiore   teorico   marxista
classico,   al   fianco   di   Marx,   non   venne   da   storici   o   da   economisti,   ma   da   scienziati
naturali. Stephen Jay Gould nel 1975, in Storia naturale celebrò apertamente la teoria
dell’evoluzione   umana   di   Engels,   che   aveva   enfatizzato   il   ruolo   del   lavoro,
descrivendola come la concezione più avanzata dello sviluppo evolutivo umano in era
Vittoriana – che aveva anticipato la scoperta antropologica dell’Australopiteco Africano
nel ventesimo secolo.

Pochi   anni   dopo,   nel   1983,   Gould   ha   ampliato   il   discorso   nel   New   York   Review   of
Books,   evidenziando   che  tutte   le   teorie   dell’evoluzione   umana   sono   state   teorie   di
‘coevoluzione genetico­culturale’, e che il miglior caso di coevoluzione genetico­culturale
del diciannovesimo secolo fu quello di Friedrich Engels nel suo notevole saggio del 1876
(pubblicato   postumo   in  La   dialettica   della   natura),  Il   ruolo   svolto   dal   lavoro   nella
transizione dalla scimmia all’uomo.

Lo stesso anno, il sociologo della medicina Howard Waitzkin dedicò buona parte del suo
fondamentale  The second sickness  al  ruolo pioneristico  di  Engels come epidemiologo
sociale, mostrando che il ventiquattrenne Engels, scrivendo La condizione della classe
operaia in Inghilterra  nel 1844, aveva esplorato l’eziologia della malattia in modi che
prefigurarono successive scoperte nel campo della salute pubblica. Due anni dopo, nel
1985, Richard Lewontin e Richard Levins fecero uscire l’ormai classico The dialectical
biologist, con la puntuale dedica:  ‘a Frederich Engels, che sbagliò molte volte ma ebbe
ragione quando contava’.

Gli anni ’80 videro la nascita di una corrente ecosocialsita nel marxismo.

Al   primo   stadio   dell’ecosocialismo,   rappresentato   da   Ted   Benton   con   il   suo   lavoro


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pioneristico, Marx ed Engels furono criticati per non avere preso abbastanza sul serio i
limiti naturali Malthusiani.

Comunque,  alla fine degli anni ’90, i dibattiti susseguenti diedero vita a un secondo
stadio dell’ecosocialismo, a partire da Paul Burkett con ‘Marx and nature’ del 1999, il
quale   indagò   gli   elementi   ecologici   e   materialisti   per   trovarli   all’interno   delle
fondamenta classiche dello stesso materialismo storico. Questi sforzi si concentrarono
inizialmente su Marx, ma poterono altresì contare sui contributi ecologici di Engels.
Tutto   ciò   trovò   supporto   da   parte   del   progetto   nuovo   MEGA   (Marx­Engels
Gesamtausgabe), nel quale le note scientifico­naturali di Marx ed Engels cominciarono
a   venire   pubblicate.   Il   risultato   è   stata   una   rivoluzione   nella   comprensione   della
tradizione   marxiana   classica,   gran   parte   della   quale   risuona   in   una   nuova   prassi
radicale­ecologica, emersa con la crisi epocale di oggi (sia economica che ecologica).

Il crescente riconoscimento dei contributi di Engels alla scienza insieme all’ascesa del
marxismo ecologico hanno inaugurato un rinnovato interesse per  La dialettica della
natura di Engels e per i suoi altri scritti relativi alla scienza naturale. Molte delle mie
ricerche   dal   2000   si   sono   concentrate   sulla   relazione   di   Engels   –   e   altri   da   lui
influenzati – con la formazione di una dialettica ecologica. Non sono solo in questo.

L’economista e ecologista marxista Elmar Altvater ha di recente pubblicato un libro in
tedesco nel quale affronta  La dialettica della natura  di Engels. L’indispensabilità di
Engels per la critica al capitalismo odierno è radicata nella sua famosa tesi dell’Anti­
Dühring secondo la quale ‘la natura è la prova della dialettica’. Per questo egli è stato
spesso deriso dalla filosofia politica occidentale marxista.

Nondimeno,   le   tesi   di   Engels,   riflettendo   le   sue   profonde   analisi   dialettiche   ed


ecologiche, dovrebbero essere riabilitate nel discorso odierno: ‘l’ecologia è la prova della
dialettica’   –   un’affermazione   il   cui   significato   pochi   oggi   possono   negare.   Da   questo
punto di vista, è facile capire perchè Engels ha assunto un posto così importante nella
discussione ecosocialista contemporanea.

I lavori sul marxismo ecologico citano spesso le sue parole di monito in  La dialettica
della natura: 

“non   lasciamoci,   comunque,   lusingare   troppo   dalle   vittorie   umane   sulla   natura.   Per
ognuna di esse la natura si prende la sua rivincita.  Ogni vittoria, è vero, all’inizio ci
porta il risultato che aspettavamo, ma, in un secondo e in un terzo momento ha effetti
diversi e imprevisti che spesso cancellano i primi… quindi, a ogni passaggio ci viene
ricordato   che   in   nessun   modo   governiamo   la   natura   come   un   conquistatore   di   genti
straniere, come qualcuno al di fuori della natura – ma che noi, con la carne, il sangue e il
cervello,   apparteniamo   alla   natura,   esistiamo   in   mezzo   ad   essa,   e   il   nostro   dominio
consiste nel fatto che abbiamo il vantaggio rispetto alle altre creature dovuto alla nostra
capacità di apprendere le sue leggi e applicarle correttamente.”

Per Engels, come per Marx, la chiave per il socialismo è la regolazione razionale del
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metabolismo  dell’umanità   e   della   natura,   in   modo   tale   da   promuovere   il   più   pieno


potenziale   umano,   salvaguardando   nel   contempo   i   bisogni   delle   generazioni   future.
Nessuna sorpresa quindi, nel vedere oggi, durante il ventunesimo secolo, il ritorno di
Engels, che, insieme a Marx, continua a dare forma alle lotte e ad ispirare le speranze
che definiscono il nostro tempo, afflitto da crisi e necessariamente rivoluzionario.

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