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Philip K.

Dick: le stigmate di Valis


di Walter Catalano

Valis

Ogni religione scaturisce da una rivelazione. Una rivelazione è un processo comunicativo


attraverso il quale Dio, o chi per lui, manifesterebbe la sua esistenza e la sua volontà agli uomini.
Chi fa da tramite per questa rivelazione è chiamato profeta o “messaggero”; “veggente” (in
particolare per le apparizioni contemporanee che rientrano nella categoria delle rivelazioni
private, fuori dai crismi delle religioni istituzionalizzate); visionario (da chi nega l’autenticità dei
fenomeni); “medium” (secondo la terminologia spiritica: ambito che abbassa il livello e le
ambizioni del mittente locutore ma non ne modifica la sostanza: il “channeling”, come è
chiamato nell’ambiente New Age, è una “canalizzazione”, il trasferimento di un messaggio fra
due piani diversi: una “rivelazione” dunque, sempre e comunque…). Dio, o chi per lui, usa vari
mezzi per comunicare: una voce o una visione (spesso inviata per mezzo di angeli: parola che in
greco significa messaggero); rapimento in cielo e viaggio nella dimensione “altra” (le Apocalissi
di Giovanni ne sono l’esempio più eclatante: apocalisse significa in greco rivelazione,
svelamento); un sogno (ad esempio quello di Giuseppe nel Vangelo di Matteo); un’estasi durante
la quale il corpo resta sul piano terreno e la comunicazione avviene su un piano “sottile”
(fenomenologia mistica cristiana e orientale; sciamanismo). Il contenuto della rivelazione può
essere molto vario ma generalmente riguarda: verità di “fede”; eventi futuri (rivelazione
escatologica: fine del mondo); eventi “celesti” (aldilà: rivelazione propriamente apocalittica);
eventi presenti interpretati secondo una particolare concezione che esprima una relazione fra
l’uomo e il sacro, inteso come realtà trascendente che superi il mondo fisico come viene
normalmente considerato. Tutte le rivelazioni, senza eccezione, rientrano nelle predette
categorie: da Giovanni Evangelista a Maometto, dai Rishi vedici a Joseph Smith, da Wovoka ad
Allan Kardec, da Aleister Crowley a Ron Hubbard. Semmai si è voluto distinguere sulla natura di
queste rivelazioni classificandole – come hanno fatto Mircea Eliade o Julien Ries – secondo la
loro appartenenza alla religione, alla magia o alla gnosi: l’esperienza religiosa sarebbe una
‘ierofania’, manifestazione del sacro (inteso sempre nel senso che abbiamo detto prima); la
magia una ‘cratofania’, manifestazione della potenza; l’esperienza gnostica una ‘gnoseofania’,
manifestazione del proprio sé più profondo coincidente con il divino e col vertice della
conoscenza. Ovviamente i limiti e le distinzioni fra una posizione e l’altra sono estremamente
labili e sfumati, abbondantemente arbitrari.

Le estrazioni dentarie sono una questione delicata. Già Lafayette Ron Hubbard aveva avuto nel
1938, sotto anestesia, un’intensa allucinazione (credeva di essere morto e resuscitato)
riportando una serie di conoscenze superiori che gli avevano dettato il misterioso libro
“Excalibur”, prima fonte di Dianetics, da cui sarebbe derivato in seguito (per beneficiare – pare –
delle agevolazioni fiscali concesse negli Usa alle associazioni religiose) il culto di Scientology. In
circostanze abbastanza simili, anche Philip K. Dick, ebbe accesso alla sua forma di rivelazione.
Molto probabilmente J.L. Borges aveva ragione quando scrisse che la teologia non è che un
sottogenere della narrativa fantastica. Invertendo l’ordine dei fattori il risultato non cambia: i
narratori fantastici tendono per natura a farsi teologi e fondatori di sette e religioni. Se le
rivelazioni del mondo antico richiedevano però ambienti e situazioni non ordinarie: digiuni,
eremitaggi, deserti, grotte, montagne, tempeste e roveti ardenti, nel desacralizzato mondo
moderno uno studio dentistico può essere più che sufficiente alla bisogna.

Nel Febbraio del 1974 Philip K. Dick si fa estrarre un dente del giudizio e gli viene somministrato
del pentotal. Quando torna a casa riceve la visita di una giovane inserviente di farmacia che gli
consegna un antidolorifico: la ragazza indossa una collana con un ciondolo d’oro a forma di
pesce. Dick resta estasiato, non si sa se dalla ragazza o dal ciondolo. – Che cos’è ? – le chiede. –
Un simbolo che usavano i primi cristiani. – Risponde lei. E’ fatta. Mentre la ragazza se ne va, lo
scrittore sprofonda nell’ “anamnesi” (come lui stesso l’ha definita usando un termine platonico):
un senso di vasta e totale conoscenza che passerà il resto della vita – altri otto anni – a
interpretare, scrivendo un’ Esegesi (il termine è suo) lunga quasi novemila pagine manoscritte o
dattiloscritte. Il ciondolo col pesce è solo l’innesco di una serie di esperienze quanto meno
insolite: in Marzo Dick passa varie notti insonni in preda a incubi – durante i quali sveglia la
compagna Tessa sibilando come un rettile e poi scoppia a piangere ripetendo preghiere in latino
– e a due episodi di psichedelia visuale il secondo dei quali viene da lui descritto come “tutti i
quadri di arte moderna esistenti al mondo, centinaia di migliaia di immagini – Klee, Kandinsky,
Picasso, ecc. – messe insieme”. Pochi giorni dopo si sente spinto da un raggio di luce rosa
accecante che spara informazioni nel suo cervello a praticare il battesimo secondo i riti dei primi
cristiani sul suo figlioletto Cristopher: successivamente quella stessa luce rosa informerà Dick che
la vita di Cristopher è in pericolo per un’ernia inguinale, lo scrittore convince Tessa a far
sottoporre il piccolo ad una visita e il medico conferma l’inaspettata diagnosi e fa operare
d’urgenza il bambino. Dick definisce quella misteriosa fonte d’informazione Valis: Vast Active
Living Intelligent System: il suo emissario è “un’entità plasmatica rossa e dorata” che lo viene
spesso a visitare e che lui chiama in vari modi: Ubik, Logos, Zebra, “the Plasmate”. Dick riceve
messaggi anche attraverso la radio che funziona – esiste la testimonianza di Tessa in proposito –
indipendentemente dal fatto che la spina sia inserita nella presa di corrente o no. Le presunte
percezioni extrasensoriali di Dick proseguono: un giorno riceve sette lettere e ne identifica una –
la cosiddetta “lettera Xerox” – che provocherebbe la sua morte se fosse letta da lui: così la fa
leggere a Tessa pregandola di non fargliela vedere. Si tratta della recensione da parte di un
giornale di estrema sinistra di un libro che parla della decadenza e caduta del capitalismo
americano: tutte le parole come declino, decomposizione, decadimento, sono sottolineate in
rosso o in blu. “Messaggi di morte” – sentenzia Dick che inoltra la lettera all’FBI e chiama
ripetutamente la polizia federale dichiarando ogni volta la sua lealtà verso il paese: riceverà
risposte imbarazzate e un foglio prestampato che lo ringrazia per l’interessamento e il materiale
fornito. Dick cercherà di trasporre queste ineffabili esperienze in forma narrativa nei romanzi
scritti in quel periodo o negli anni immediatamente successivi: “Radio Free Albemuth”, “Valis”,
“The Divine Invasion”. E’ consapevole però che il messaggio precede la rivelazione: tutte le sue
principali opere passate contengono già la chiave dell’esperienza che chiamerà 2-3-74 (febbraio-
marzo 1974): “The Three Stigmata of Palmer Eldritch”; “Ubik”; “Flow My Tears, The Policeman
Said”; “A Maze of Death”; “A Scanner Darkly”; ecc. L’immenso, frenetico lavoro di scrittura che
occuperà i suoi ultimi anni, l’Esegesi, non è soltanto un tentativo di interpretare l’esperienza 2-3-
74: è anche, e forse soprattutto, il tentativo di interpretare tutta la propria opera alla luce di
quell’esperienza.

L’immaginario gnostico forma uno scenario persistente, un’allucinazione durevole. Intendiamo


per Gnosticismo quel movimento sincretistico pagano-cristiano che attraversò il Mediterraneo
dell’ellenismo romano fra il II e il VII secolo e che Puech definisce in sintesi “la teoria
dell’ottenimento della salvezza per mezzo della conoscenza”. Lo gnostico è assillato dal senso del
male, identifica la creazione con il male e il Dio creatore come un’entità maligna, il Demiurgo,
che ha edificato un’immensa prigione, il Cosmo, e l’ha incatenata al Destino, al Fato
(Heimarmene), attraverso il corso del firmamento, dei corpi celesti, presieduti da dominatori
demoniaci dalle forme bestiali, gli Arconti. In esso l’uomo è condannato alla schiavitù, all’esilio,
all’oblio, all’ignoranza, all’ebbrezza e al sonno: si proclama “straniero” (allogenes) e si rifiuta di
accettare il mondo e sé stesso nel proprio stato attuale. E’ un rivoluzionario, un ribelle mosso da
un impulso di rivolta, di rifiuto, di disgusto: la nostalgia inestinguibile di un Altrove è la scintilla
che prova l’esistenza di un dio fuori dalla creazione; il “Dio straniero”, “l’Altro”, il Dio Ignoto,
Ineffabile, Nascosto, conoscibile non attraverso la Natura ma al di là della Natura. La salvezza è
conoscenza del proprio stato originario ed evasione dal carcere del mondo. Lo gnostico pertanto
è “anticosmico” o “acosmico” e “antistorico” o “astorico”: la storia scaturisce da un disastro
originario, la caduta della Sophia – la Sapienza – fuori dal mondo divino della pienezza, il
Pleroma; il tempo per lo gnostico non è un circolo come nell’ellenismo pagano, né una linea retta
come nel cristianesimo: è una linea spezzata. Già Carl Gustav Jung nel 1916 – negli anni
successivi alla traumatica frattura con Freud – fu ossessionato da figure gnostiche: produsse un
testo di scrittura automatica, praticamente in stato di trance, i Septem Sermones ad Mortuos,
identificandosi con Basilide, uno gnostico alessandrino del II sec., e dando voce ad Abraxas, “il
Dio che era Dio e diavolo insieme” (come scriverà il paziente junghiano Herman Hesse nel suo
romanzo Demian, ispirato al suo incontro con Jung). Anche il fondatore della psicologia analitica
ebbe la sua rivelazione quasi medianica: oltre agli enigmatici Septem Sermones ad Mortuos,
anche “Il Libro Rosso”, scritto a mano in caratteri gotici e finemente illustrato dall’autore stesso:
in esso appare una fantomatica figura di Maestro: Filemone, ancora uno gnostico egizio-
ellenistico: “Filemone rappresentava una forza che non ero io… rappresentava un’intelligenza
superiore” – commenterà Jung nella sua autobiografia “Ricordi, sogni, riflessioni”. Dick dunque
può contare su un predecessore illustre: anche lui, come Jung, si sente abitato da altre
personalità con differenti abitudini e caratteri – le chiama a volte Simon Mago o Tommaso, altre
Afrodite, Artemide/Diana, Santa Sofia e Gemella Jane, la sua gemella morta neonata (1); anche
lui viene sbalzato nell’immaginario gnostico e vede “Roma, Roma ovunque”, una visione di
sbarre di ferro e cristiani perseguitati, che chiama BIP: Black Iron Prison (Nera Ferrea Prigione), il
simbolo dell’Impero, a cui si oppone il PTG, Palm Tree Garden (Giardino di Palme), rifugio dei
cristiani clandestini. Come racconta Emmanuel Carrère nella sua biografia romanzata “Io sono
vivo, voi siete morti”: “ Roma è qui, adesso. L’americano medio non vede, ma essa è la Realtà
soggiacente al mondo in cui egli vive. L’Impero non ha mai avuto fine. Si è soltanto nascosto agli
occhi dei suoi sudditi. Come si proietta un film sul muro di una prigione, ha ordito per loro
questo universo di fantasia, questa finzione spudorata che la maggior parte degli spettatori
prende per uno scrupoloso documentario: diciannove secoli di storia e il mondo che ne risulta.
Ma durante la proiezione la guerra continua”.

Una delle personalità che coabitano in P.K. Dick e talvolta prendono il sopravvento su di lui è
quella di un suo illustre e intimo amico da poco scomparso: il vescovo James Albert Pike. Vescovo
Episcopaliano della California, personaggio molto noto nell’America degli anni ’60 per i suoi
programmi televisivi settimanali e per i numerosi libri in cui manifestava idee estremamente
liberali soprattutto riguardo all’ordinazione sacerdotale delle donne e al razzismo (collaborò
strettamente con Martin Luther King e fu uno dei maggiori oppositori del Senatore McCarthy) e
opinioni teologiche pericolosamente anticonformiste sulla verginità di Maria e sulla dottrina
dell’Inferno o della Trinità. Anche nella vita personale Pike fu un pastore sui generis: fumatore
compulsivo, quasi alcolizzato e – grazie alla sua personalità carismatica – inveterato tombeur de
femmes. L’ultimo romanzo pubblicato da Dick, “The Transmigration of Timothy Archer” (1981) –
unico della sua carriera letteraria narrato da un punto di vista femminile – pur nascondendo i
personaggi sotto nomi fittizi, racconta essenzialmente le vicende degli ultimi anni del vescovo
Pike (Archer nel romanzo) come Dick le ha conosciute quasi in presa diretta (il vescovo celebrò
uno dei numerosi matrimoni dello scrittore). Nel 1966 il figlio del vescovo Pike, Jim Junior, si
suicida in un albergo di New York: nei mesi seguenti a casa del vescovo si manifestano episodi di
poltergeist – libri che appaiono e scompaiono, orologi che si fermano improvvisamente
segnando l’ora della morte di Jim Junior, guardaroba messi a soqquadro e misteriosamente
riordinati in pile – Pike ingaggia vari medium per stabilire un contatto col presunto fantasma del
figlio e arriva a tenere, con grande imbarazzo della Chiesa, una seduta spiritica in uno studio
televisivo. Racconterà le sue esperienze di confine in un libro, “The Other Side”. Nel 1969 Pike è
in viaggio con la sua terza moglie Diane nel deserto della Giudea, in cerca di prove sull’esistenza
del Gesù storico: l’auto va in panne in mezzo al deserto e Diane, lasciato il marito in auto
all’ombra, attraversa lo Wadi a piedi in cerca di soccorsi. Raggiunge fortunosamente un villaggio
e ottiene un passaggio fino a Betlemme dove avverte la polizia: partono squadre di auto ed
elicotteri – il personaggio da salvare è una celebrità – quando l’auto viene localizzata però Pike
non c’è più, si è inspiegabilmente allontanato sotto il sole. Il suo corpo senza vita viene ritrovato
cinque giorni dopo, sullo stesso percorso della moglie, non lontano dal Mar Morto: si è di nuovo
inerpicato sul Wadi ed è apparentemente precipitato giù dal sentiero. Molto dubbia e lacunosa
resta la versione ufficiale dell’accaduto fornita della moglie Diane, che era anche la segretaria del
vescovo e che perse inspiegabilmente nei mesi seguenti le bozze del libro a cui Pike stava
lavorando: uno studio dedicato ai rotoli del Mar Morto in relazione all’Anokhi (“Anokhi YHWH
Elohekha” – Esodo 20:2, “Io sono YHWH il tuo dio”), in forma di fungo sacro allucinogeno. Dick
si attiene ai fatti reali ma li usa – come sottolinea Lawrence Sutin nella sua scrupolosa biografia
dickiana “Divine Invasions” – per comporre forse l’unico roman à clef della sua carriera di
scrittore: “Perché nel raccontare la storia dell’esistenza fallimentare del vescovo Archer – la sua
infelice vita familiare, la sua amara relazione extraconiugale, e le sue egoistiche giustificazioni
intellettuali – Phil, essenzialmente, rigetta le astrazioni della sua “Esegesi” a favore delle semplici
virtù quotidiane del calore umano e della gentilezza”. Ogni personaggio del romanzo ha un
corrispettivo reale: Archer è Pike; Jeff Archer è Jim Pike Junior ma anche due amici suicidi di Dick;
Edgar Barefoot è il guru del buddhismo hippie Alan Watts; c’è posto anche per lo scrittore stesso:
è Bill Lundborg, il figlio schizofrenico dell’amante di Archer, Kirsten, che – proprio come Dick –
crede che l’anima del vescovo torni di tanto in tanto a possederlo.

“Ecco l’enigma di VALIS. – scrive Dick in una delle migliaia di pagine dell’Esegesi – In VALIS dico di
conoscere un pazzo che immagina di aver visto Cristo: io sono quel pazzo. Ma se so di essere
pazzo so anche che in realtà non ho visto Cristo. Dunque non faccio alcuna affermazione su
Cristo. Dico solo di essere pazzo. Ma se dico solo quello, allora non ho fatto alcuna asserzione
che riveli la mia pazzia. Quindi non sono pazzo. E così si ricomincia da capo e si continua per
sempre. E’ stato rivelato qualcosa, ma cosa ? Ha a che fare con Cristo o solo con me stesso ? E’
un paradosso, questo, noto fin dall’antichità: lo formularono i Presocratici. Un uomo dice: “Tutti i
Cretesi sono bugiardi”. Quando si chiede a quest’uomo chi sia, egli rivela di essere nato a Creta.
Quindi cosa ha affermato alla fine l’uomo ? Niente di niente ? E’ questa solo l’apparenza del
conoscere o una forma – una strana forma – del conoscere stesso ? Zenone e i Sofisti in generale
vedevano nel paradosso un modo di trasmettere la conoscenza: il paradosso – di fatto – come un
modo di giungere a delle conclusioni. Un aspetto noto anche nel buddhismo zen. Il paradosso
talvolta provoca uno strano salto o una connessione nella mente di una persona; accade
qualcosa, una comprensione improvvisa, come arrivata dal nulla, che chiamano satori. Il
paradosso non dice, indica. E’ un segnale, non la cosa indicata. L’oggetto segnalato deve sorgere
ex nihilo nella mente della persona. Il paradosso, il koan, non rivela nulla, serve solo a svegliarsi.
Fatto che ha senso solo se si accetta qualcosa di molto strano: siamo addormentati ma non lo
sappiamo, almeno non finchè non ci svegliamo”.

Nel caos dei due milioni di parole di cui è composta l’Esegesi, varie migliaia sono dedicate a
cercare di trovare una spiegazione razionale – medica, psichiatrica, neurologica, farmacologica –
alle esperienze che Dick stava vivendo. Lo scrittore ipotizza un disturbo bipolare; danni
neurologici causati dall’abuso di anfetamine; una sequenza di piccoli infarti (anticipo sull’infarto
maggiore che lo stroncherà in un garage di Sonoma, California, nel 1982 ). Se fosse vissuto solo
qualche anno di più, avrebbe scoperto, nel corso delle sue letture in ambito psichiatrico e
neurologico, una patologia definita TLE (epilessia del lobo temporale) – una forma meno
pericolosa e più difficile a diagnosticarsi del grand mal – spesso associata con l’ipergrafia e
l’iperreligiosità e diagnosticata, dai neurologi che l’hanno identificata, in Dostoevski, Santa
Teresa d’Avila, Swedenborg e Van Gogh. Sull’altro versante però Dick è consapevole di scrivere
come in estasi, di aver trovato – dopo le turbolente esperienze psichedeliche dei tossici anni ’60
e ’70 – un modo di alterare la propria coscienza esclusivamente attraverso il linguaggio,
riformulando le vecchie tradizioni esoteriche – alchimia, sciamanismo, mistica, ecc. – nel
calderone metafisico della fantascienza ed elaborando – come già aveva fatto Aldous Huxley –
una sua personale Filosofia Perenne: quello che qualcuno ha definito una “scalinata verso
Eleusi”. Il Dick dell’Esegesi si dissolve nel linguaggio: in quel flusso che chiama Logos, il termine
greco che definisce sia il “discorso” che la “ragione”. “Il tempo viene smascherato come irreale ;
– scrive nel 1978 – 1900 anni si dischiudono come un aspetto di una matrice sottostante… i miei
27 anni di scrittura che verte sempre ossessivamente sui medesimi temi trovano la loro ragione;
l’esperienza del 2-74 e del 3-74 è comprensibile, come la defenestrazione di Nixon; le costanti
transtemporali sono state spiegate… forse distruggerò l’Esegesi: è un viaggio che ha raggiunto la
sua meta”.

Il valore dell’Esegesi non sta nelle idee che vi vengono espresse ma piuttosto nello sguardo che
questo accumulo caotico di materiali diversi e contraddittori permette di gettare su una
creatività visionaria e frammentata, nella testimonianza della lotta eroica che l’autore conduce
per tenere insieme i pezzi della propria personalità e della propria vita vicina alla fine: infestato
dal fantasma di una sorella vissuta un solo mese (“Oh JHWH – My sister. I meant to write Savior”
– scrive nell’ultima pagina dell’Esegesi); tormentato da turbe psicotiche; passato attraverso a un
diorama di droghe, a cinque matrimoni, vari tentativi di suicidio, gravi problemi finanziari, vere o
fittizie persecuzioni da parte dell’FBI, offensivi rifiuti letterari, ossessioni erotiche per la cantante
Linda Ronstadt, Dick resta fedele a sé stesso fino all’ultimo giorno: un cuore e una mente
prossimi a spezzarsi ma che testardamente protendono al massimo limite i poteri
dell’immaginazione e dell’invenzione interrogandosi senza posa sul mistero cosmico.
Nel romanzo “Philip K. Dick is Dead, Alas”, scritto nel 1987 da Michael Bishop, lo scrittore risorge
dalla morte trasformandosi in una sorta di sub demiurgo che – come un Palmer Eldritch a
rovescio – ha il potere di “abreagire” una realtà distopica trasferendola su un altro piano in cui
questa diventa migliore. Dick svolge il suo ruolo cristico usando la propria opera come fonte del
sacrificio: in quel livello di realtà, infatti, lo scrittore è un importante autore di romanzi
mainstream e le sue opere di fantascienza sono proibite e censurate (circolano solo come
samizdat) da un potere dispotico esercitato da un Richard Nixon alle soglie del quinto mandato
presidenziale: gli USA hanno vinto la guerra del Vietnam, continuato il programma spaziale NASA
costruendo una base – VonBraunville – sulla luna, e distruggendo qualsiasi forma di dissenso e
opposizione democratica nel paese. Nixon è come posseduto da un demone e, per compiere il
passaggio abreattivo, i cospiratori – uniti nel simbolo di un ciondolo a forma di pesce – oltre alla
tecnologia, useranno anche l’esorcismo – il rito verrà praticato da un vescovo episcopaliano che
ricorda molto Pike/Archer. Nelle pagine di questo romanzo viene molto ben espresso il senso
ultimo che, profondamente, ogni lettore di Dick ricava dall’aver approfondito l’esperienza
letteraria ed esistenziale dello scrittore. Philip K. Dick è – a tutti gli effetti sul piano immaginale –
un bodhisattva, un avatar che lotta per rimettere in sesto i pezzi dei mondi in rovina.
Linguaggio/informazione contro entropia: forse il significato dell’Esegesi è tutto qui. Come scrive
Bishop nel distico elegiaco-blasfemo che fa da leitmotiv al suo illuminante romanzo: “Philip K.
Dick is dead, alas. Let’s all queue up and kick God’s ass” – Philip K. Dick è morto, ahimé.
Mettiamoci in fila e prendiamo Dio a calci in culo.

(1) Phil e la sorella gemella Jane Charlotte erano nati di sei mesi prematuri: la madre di Dick non
ebbe abbastanza latte per tutti e due e Jane morì di malnutrizione poco più di un mese dopo la
nascita. Dick, che dal 1982 riposa al suo fianco, fu per tutta la vita ossessionato dal trauma della
sorella morta perché lui vivesse (“In qualche modo mi sono preso io tutto il suo latte” – dichiarò
in un’intervista). Nel romanzo “Dr. Bloodmoney” il personaggio della bambina in contatto
telepatico con il gemello congiunto non sviluppato e rimasto delle dimensioni di un coniglio
dentro di lei, è l’espressione più inquietante e compiuta di questa ossessione.

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