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Ing. Oriano Pasquetto


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1 – Fondamenti di dinamica 4
1.1 – Sistemi ad un grado di libertà 7
1.2 – Il problema sismico 15
Applicazione 19
1.3 – Sistemi elastici lineari a più gradi di libertà 20
1.3.1 – Esempio 27
1.3.2 – Applicazione – Dinamica di un telaio 27
1.4 – Sistemi elastici lineari a più gradi di libertà - il problema
della risposta massima 35
1.4.1 – Applicazione – Risposta massima di un sistema 36
1.5 - Perdita dell’ipotesi di elasticità lineare 47

2 - Le basi metodologiche per la progettazione 48


2.1 – Introduzione - Classificazione dell’opera 48
2.2 – Le azioni 50
2.3 – Azione normale del vento 54
2.4 – Azione tangenziale del vento 61
2.5 – Azione della neve 62
2.6 – Azione sismica 67
2.6.1 – Concetto di duttilità strutturale 71
2.6.2 – Criteri di progettazione generali e classi di duttilità 73
2.6.3 – Fattore di struttura 75
2.6.4 – Metodi di analisi 76
2.6.4.1 – Analisi statica equivalente (analisi statica lineare) 77
2.6.4.2 – Analisi dinamica lineare (analisi modale) 83
2.6.4.3 – Valutazione degli spostamenti 84
2.6.4.4 – Analisi statica non lineare (pushover) 84
2.6.4.4.1 – Metodo del Capacity Spectrum 89
2.6.4.4.2 – Metodo N2 di Fajfar 90
2.6.4.5 – Analisi non lineare dinamica 97
2.7 – Tipologie strutturali 98
2.7.1 – Le strutture ricorrenti 102
2.7.2 – Analisi di una struttura soggetta a forze orizzontali 103
2.7.2.1 – Struttura a telaio 106
2.7.2.2 – Sistema mensola-telaio 113
2.7.2.3 – Caso di controventi costituiti da travature reticolari 114
2.7.2.4 – Tamponamenti in muratura 115
2.7.3 – Calcolo dei parametri di sollecitazione nelle mensole
controventanti i 115
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2.7.3.1 – Pareti di controventamento con aperture di grandi


dimensioni 117
2.7.3.2 – Pareti di controventamento con aperture di piccole
dimensioni 117
2.7.3.3 – Comportamento sismico delle pareti accoppiate 121
2.8 – La regolarità strutturale 124

3 – I materiali (acciaio e calcestruzzo) 131


4 – Dimensionamento e verifica degli elementi strutturali 132
4.1 – Travi 132
4.2 – Pilastri 138
4.3 – Pareti in calcestruzzo armato (setti) 141
4.4 – Travi di collegamento o accoppiamento 150

5 – Nodi trave-pilastro di telai antisismici in calcestruzzo armato 156


6 – Muri di controvento in calcestruzzo armato 162

APPLICAZIONE PROGETTUALE I 166


APPLICAZIONE PROGETTUALE II 176

7 – Appendice - L’equazione differenziale della linea elastica 185


7.1 – Brevi richiami sulla teoria delle travi inflesse 185
7.2 – La deformazione delle travi soggette a flessione 186
7.3 – L’equazione differenziale della linea elastica 187
7.4 – Trave appoggiata con carico uniformemente ripartito 188
7.5 – Trave a sbalzo con carico ripartito 189
7.6 – Trave a sbalzo con carico concentrato all’estremità 190
7.7 – Trave a sbalzo con coppia applicata all’estremo libero 190
7.8 – Trave semplicemente appoggiata con carico concentrato in posizione
arbitraria 191
7.9 – Trave a sbalzo con carico concentrato in un punto generico 193
7.10 – Trave semplicemente appoggiata con coppia all’estremità 193

8 – Appendice - Instabilità dell’equilibrio nel calcestruzzo armato 194


8.1 – Linee guida per il calcolo delle curvature e diagrammi momento
curvatura 199
8.2 – Verifica dei telai a nodi fissi e a nodi spostabili 200
8.2.1 – Prescrizioni di normativa per elementi strutturali singoli 200
8.2.2 – Strutture a nodi fissi e anodi spostabili: prescrizioni di
normativa 203
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1 – FONDAMENTI DI DINAMICA.
Sotto il nome di Analisi Dinamica vanno tutte quelle attività di studio volto ad individuare il
comportamento (movimenti, sforzi,…) dei diversi componenti di un sistema meccanico soggetto
alle diverse cause eccitatrici. I sistemi meccanici possono essere classificati in:
- Sistemi che ammettono una posizione di equilibrio statico (posizione di quiete), e questo è
il caso di tutti gli edifici civili.
- Sistemi che non ammettono tale posizione e sono dotati di movimento generico o in
situazione di moto a regime, e queste sono le macchine.

Vediamo ora di che cosa si occuperà il corso brevemente…


Esempio di un sistema vibrante a due gradi di libertà posto in un campo di forze.
I parametri rx ed ry, prendono il
nome di costanti di smorzamento,
e ci forniscono nell’unità di
tempo, e nell’unità di
accelerazione, quanta energia
viene ad essere dissipata. Come si
osserva la forza F è in funzione
dello spostamento, della velocità e
dell’accelerazione, nelle due
direzioni, se siamo nel piano.
Oltre che ad aspetti di natura
teorica, la Dinamica delle
Strutture cerca di fornire delle
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risposte, in merito ad una serie di applicazioni… Le azioni random sono quelle azioni che non
sono prevedibili, mentre le azioni deterministiche sono delle azioni che possono essere non
prevedibili, o non-periodiche, ma note dal punto di vista della loro intensità.
Altra sollecitazione dinamica che può essere importante
per alcune strutture (ponti, ciminiere, ecc.) è quella
dovuta al vento. Quello che caratterizza l’azione del
vento è il distacco dei vortici di Von Karman nel caso
delle ciminiere, o di fattori di turbolenza nel caso dei
ponti. L’azione sollecitante del vento è legata alla
velocità del vento (spinta aereodinamica), l’angolo di
attacco e la forma dell’oggetto, questi ultimi due fattori
determinano la portanza. La diversa combinazione di
spinta (drift) e portanza generano dei momenti
torsionali e/o flessionali sull’intera struttura.
Quello che a noi più interessa è la risposta aereo-elastica
della struttura, che provoca la sua variazione di
configurazione spaziale, e la conseguente nascita di
sollecitazioni diverse, questo può portare a un ciclo
ricorsivo di spostamenti-sollecitazioni che si
autoalimenta. In parole più tecniche abbiamo la
comparsa di fenomeni autoeccitanti, che possono
portare in crisi il sistema strutturale.
Altre applicazioni della dinamica sono le azioni deterministiche portate dalle vibrodine; queste
macchine sono usate per indurre delle vibrazioni in una struttura, ed analizzarne la risposta, ecco
qui degli esempi.

Detto appare di tutta evidenza di affrontare la tematica della protezione strutturale dagli eventi di
natura dinamica. Possiamo avere due modi di protezione:
1) Controllo passivo.
2) Controllo attivo.
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Nel primo caso rientrato tutti gli elementi di appoggio antisismico, oppure sistemi a pistone, che
possono essere attivi o passivi. Nel primo caso questi pistoni vanno a costituire un sistema
oleodinamico attivo, che tramite il controllo continuativo degli spostamenti strutturali, ne dissipa
gli effetti negativi. Oppure questi pistoni possono essere passivi, cioè non servo-attuati, ma con un
funzionamento molto simile agli appoggi antisismici.

Generalmente nella fase di progettazione si opera come segue:

Negli edifici esistenti devo fare esattamente il contrario, in quanto non conosco S, quindi devo
applicare delle forze F note, e leggere delle risposte che saranno anch’esse note. Le informazioni
che mi servono per definire S sono principalmente tre:
1) Masse partecipanti.
2) Rigidezze.
3) Fattore di smorzamento.
Chiaramente dei sistemi diversi daranno delle diverse risposte.
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1.1 – Sistemi ad un grado di libertà.


Ho una massa m soggetta ad una forza F(t),
dipendente dal solo tempo, il sistema si muove in
assenza di attrito ed in elasticità lineare, essendo K
costante. Quindi è del tutto evidente che lo
spostamento x(t) sarà dipendete solamente dal
tempo. L’unica spostamento permesso è lungo
l’ordinata x-x, quindi il sistema è definito da un
solo grado di libertà, ed inoltre, per il momento,
siamo in assenza di azioni/forze dissipative.

Scrivo ora l’equazione differenziale che governa il sistema:


Si tratta di una equazione differenziale del secondo ordine a coefficienti costanti non omogenea.

!"# ! !$#"# %%!& → ( 0


Procediamo…

!"# & * #* % & %%!& ++ ! !$#" → -


,
0
Come di consueto:
; √ 4 (
9 -1 <
Δ / 4 & 4 2
/ 3 √∆ 7
-1/ :
2 √ 4 (
9-1 <
8 2
Essendo il discriminante ∆ minore di zero, ho due soluzioni complesse coniugate. In generale

-1 = > ; - = >
posso affermare che le soluzioni si trovano nella seguente forma:

# @A cos > # # @A %#" >


Si avrebbe dunque due soluzioni complesse, che in termini generici, possono essere così definite:
1
Sono due soluzioni differenti dell’equazione omogenea, e quindi tutte le funzioni nella forma

# @A EF%#" > G&!% > H


seguente sono soluzioni:

A questo punto denomino I J


K
L
frequenza angolare o pulsazione del sistema, come si osserva
questa caratteristica del moto oscillante cresce con il crescere della rigidezza del sistema stesso. Ora

F%#" I G&!% I
sostituendo la nostra soluzione diviene:

Questa è la soluzione dell’omogenea associata, ora devo definire la soluzione particolare, quindi

M IF&!% I IG%#" I
derivo…

Impongo le due condizioni al contorno:


N M
AOP P
AOP MP
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MP
Procedo alla sostituzione…
0 → M AOP = IF = M P
Q QF = I
= 0 → AOP = G = P
G= P

MR
Quindi la nostra soluzione cercata è la seguente:
= TUV S + R WXY S
S
Vediamo ora l’interpretazione grafica delle due componenti, che nella loro somma definiscono il
moto armonico finale del sistema.

i S
Adesso definiamo altre due grandezze fondamentali:
ZU[\]^] ^\ ]T_\``ab\]VU → c = deJ ; [UfgUVba → h =
=
c de
Tanto più m è grande, tanto più il periodo è allungato, mentre tanto più K è grande, tanto più T è
piccolo. Vediamo di scrivere il tutto in forma estesa:
= M J %#" I + P cos I
jPkl (
m nAo è qr oLst uuo v q LwAw tx onn xuo vt yz
Come si osserva il comportamento complessivo del sistema dipende da m e da K; ora voglio vedere
che cosa accade se introduco una azione dissipativa che si oppone al moto del sistema, quindi vado

+ + ^\TT\{a \|a =
a riscrivere l’equazione differenziale in questo modo:

Questa forza dissipativa dipende dalle caratteristiche del corpo, dalla sua velocità e dalla sua
massa, certamente non è di facile definizione, infatti può essere una forza di origine viscosa o di
attrito, nel senso più classico del termine. Difatti questa vtnntsoAt}o può essere proporzionale alle
caratteristiche del moto del corpo, oppure può essere una forza Columbiana, cioè una classica
forza di attrito. Se v fosse espressa in termini Columbiani, l’equazione differenziale non
presenterebbe più una formulazione finita, quindi per il momento la pensiamo proporzionale alla
velocità, quindi una forza dissipativa viscosa.
m txvt
vtnntsoAt}o = ~ M +• M + =
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~ M ( 0
L’equazione differenziale è ancora risolvibile; vediamo di fissare la soluzione dell’omogenea.

=# €A
M -=# €A • - ~- =# €A 0
- =# €A
Se α fosse nullo avrei la soluzione identicamente nulla, e che fisicamente non avrebbe alcun senso.

• •
A questo punto definisco le seguenti due grandezze.
ƒ
‚ d S •_[\ \_] 7
- „I 3 I…„ 1
ξ è il coefficiente di smorzamento, ed è il rapporto tra lo smorzamento C, e lo smorzamento
critico Ccritico. La soluzione dell’omogenea assume la seguente formulazione:
=1 # €‡ A = # €ˆ A U‰ƒS Š‹i UŒS…ƒ ‰i• ‹d UŒ‰S…ƒ ‰i• Ž
d d

decrescente # ‰••A , mentre la seconda parte dipende da ciò che abbiamo sotto radice agli
Come possiamo osservare questa funzione è composta da due parti, la prima è una esponenziale

esponenti. Infatti se „ 1 è un valore negativo, significa che ho a che fare un numero


complesso, cioè alla fin dei conti con una somma di seni e coseni, cioè con una funzione armonica.

„ 1 ’ 0 → „ ’ 1 → ‘ ! %! ! &* &! “ +# ”#* $+ # • & & “ +


‘# ‚ „ 1 0 → „ 1 → ‘ ! &* &!
„ 1 – 0 → „ – 1 → ‘ ! %!“* &* &!
Vediamo ora di occuparci del primo caso, che più ci interessa, con uno sguardo più attento, difatti

„ 1 ’ 0 → - „I 3 j— I…1 „
abbiamo quanto segue:
—k——l
•˜

# ‰••A ™=1 # t•˜ A = # ‰t•˜ A š # ‰••A EF%#" Iv G&!% Iv H


Quindi:
P a g . | 10

Ora so’ che le mie condizioni al contorno sono AOP P e M AOP M P , da queste posso definire la
soluzione dell’omogenea associata, nel caso di forza dissipativa viscosa:
; (
9 I <
MR RS
U‰ƒS › TUV S^ R _]T S^ œ • &!* ! &ž#
S^ : (
9Iv < …1 „
8

sperimentalmente questo valore di „, cioè del


Ma vediamo come possiamo trovare

coefficiente di smorzamento. Prima di tutto si


sollecita la struttura con un impulso, dopo di che
se ne valutano gli spostamenti.

Successivamente si tratterà di operare una

funzione esponenziale del tipo # 䥥A . In ragione


interpolazione ai minimi quadrati, con una

delle diverse strutture possiamo determinare diversi


valori di questo coefficiente, supponiamo di
definire un valore del 10%, in ragione di questo
posso affermare quanto segue:
1
Iv I…1 „ I<1
Ÿ 0,995I ≅ I
10

posso confondere Iv con I, e questa è una semplificazione sempre valida. Quindi al variare di „
Con i consueti valori di smorzamento delle strutture civili, da un punto di vista ingegneristico,

cambia il grado di schiacciamento dell’esponenziale, ma la frequenza propria del sistema rimane


pressoché invariata. Solamente per cultura generale riporto il caso delle condizioni critiche e

„ 1 → ‘ ! &* &! → ~ ~¥¦tAt¥w 2 I → j—1—k——l #©


sovracritiche, che generalmente non interessano le nostre strutture.
‰•A

§¨ outwx vt ¦ AAo §ns. v ¥¦ n¥ xA


P a g . | 11

„ –1→‘ ! %!“* &* &! → =j


# ‰••A 1# + # ‰•˜ A
———————k———————l
•˜ A

wLLo vt v nswx xutoqt

Come si osserva in questi due ultimi casi non ho alcuna oscillazione armonica.
Fino ad ora abbiamo interpretato e determinato la soluzione dell’omogenea associata; vediamo di
definire la soluzione particolare, se abbiamo la presenza di una forza estera, cioè di una forzante
del sistema F(t).

+~ M + =
Come al solito prima si trova la soluzione dell’omogenea associata E +~ M + = 0H, che
abbiamo già visto, poi si deve determinare un integrale particolare, quindi la soluzione sarà del

= jPkl + jskl
tipo:

wq utwx v qqr wLw x o onnw¥toAo «xA ¦oq so¦At¥wqo¦


La soluzione particolare s è quella che permette di definire l’uguaglianza con ,
certamente la forzante può seguire l’andamento più disparato. Abbiamo due possibilità di
rappresentare questa , la prima delle quali è di usare la serie di Fourier:
≅ •P + ¬ •t %#" I + ¬ •- cos I

+~ M + = •P
Dovrei comunque determinare tanti integrali particolari, quante sono le componenti della serie:

‚ +~ M + = •t %#" I 7 → ® #• " %&! +# %!+ !" ” * &!+ *


+~ M + = •- cos I
Ma questo modo di operare non è molto efficace, è più semplice pensare che sia una funzione
composta da più impulsi unitari di una certa frequenza e periodo.
P a g . | 12

A‡
«x A ¦Ltxt tx±txtA ntLt
¯ ” +%! " *!→ MP ° MP → MP
Az
Come si osserva ogni impulso unitario può essere tradotto in una data velocità iniziale. Dalla

MP PI
soluzione dell’omogenea associata, che qui riscrivo, posso ricavare quello che segue:
# ‰••A › %#" Iv P &!% Iv œ
Iv

²
Quindi la mia soluzione particolare è:
° U‰ƒS ‰² TUVES^ ² H^² → ³V U´[a`U ^\ µg¶a U`
{
R S^
Il mio integrale particolare è composto da una serie di impulsi successivi, che possono essere
integrati con velocità iniziale diversa da zero. Questo è un integrale fondamentale della dinamica,
e prende il nome di Integrale di Duhamel. Ovviamente tutto questo vale per i sistemi elastico-
lineari, per i quali è possibile applicare la sovrapposizione degli effetti. Vediamo due esempi di

P → s ¸P # ‰•• A‰¹ %#"EIv º H º


forzante .
·z A
•˜ L
1)

1 %#" I1 → ¸ # ‰•• %#" I1 %#"EIv º H º


·‡ A A‰¹
2) s •˜ L P
Attenzione che nel secondo caso per I1 intendo la pulsazione della forzante e non del sistema.
Queste sono sempre soluzioni particolari, ma si deve prestare attenzione al fatto che alla fine dei
conti sono queste le soluzioni che governano il comportamento del sistema strutturale, dato che il
comportamento proprio della struttura dipende solamente dalle sue condizioni iniziali, e non da
altro. Mentre la soluzione particolare dipende dalla forzante.
Vediamo ora di definire in modo più concreto il comportamento di questo integrale particolare
s , dato che da ora in poi si trascurerà completamente l’integrale generale, infatti supponiamo

P &!" % !* #" ! „ 0
sempre di partire da condizioni iniziali nulle (sistema in quiete).

A A
Iv
1)
° %#"EI º H º » ° %#"EIv º H º¼
P P
s
Iv P
v
Iv P Iv
cosEIv º H P 1 cos Iv P 1 cos Iv
A
½ ½ ¾
P
Iv Iv Iv Iv •˜ ≅• J
P J
P a g . | 13

Come possiamo osservare anche con


P abbiamo, in assenza di smorzante, un
moto ancora sinusoidale, dopo un
transitorio iniziale. La parte iniziale che
prende il nome di transitorio è molto
importante per i sistemi meccanici. Mentre
se il coefficiente di smorzamento non è
nullo, ci si riconduce alla seguente
espressione che abbiamo già visto in
precedenza:

A
° # ‰•• %#"EIv º H º → ‘ * %!+“# ”#* ” *
P A‰¹
s
Iv P

Vediamo invece un caso certamente più

sinusoidale con un propria pulsante pari a I ¿


interessante; si consideri una forzante

E P %#" I¿ H, in questo primo caso di

„ 0 . Si parte sempre da condizioni


studio si consideri un sistema non smorzato

iniziali nulle, quindi sistema in quiete.

0
P
À → 0 ¯" #$* +# $#"#* +# " ++!
MP 0

i I
¿
Il nostro integrale particolare è il seguente:
A
° %#" I
¿ %#"EIv º H º ETUV S
¿ ÂTUV S H &!" >
P R
{
Iv P Ái Âd I
; → Ã #% è " %!+ !"# % &
P

: 1 → Ä " ! ” ù #% ! “ +!*# è #+#“ !, " ! ” ù + %!+ !"# % %&!% ++ % &


81 >
P a g . | 14

Se I¿ ≪ I significa che la frequenza della


forzante è molto bassa rispetto a quella
propria del sistema, quindi mi avvicino al

forzante. Se I ¿ ≫ I la frequenza della


caso statico, e il sistema non risente della

ad eccitare la struttura. Se I ¿ ≅ I il
forzante è talmente elevata, che non riesce

sistema entra in risonanza, quindi


l’ampiezza delle oscillazioni diverge. Da
un punto di vista fisico il sistema
continua a ricevere energia nel momento
in cui il sistema passa per le condizioni di
quiete.
Vediamo ora il caso di una forzante
armonica agente in un sistema smorzato,
tralasciando l’espressione analitica
completa, posso affermare quanto segue:

= P %#" I
¿
È
„≠0

1
= =># ‰••˜ E… H + =E 1 − > %#" I
¿ … H !“# = =
P A‰¹ P
s
1−> + 2„>

smorzamento „, il sistema si muove con


Come si osserva all’aumentare dello

oscillazioni sempre meno ampie, al limite


con un sistema completamente smorzato
ha la soluzione statica. Si osservi che con
valori di smorzamento nell’ordine
dell’1%, abbiamo valori di spostamento
nettamente più elevati rispetto alla
soluzione statica.

Ricapitolando abbiamo fatto i seguenti argomenti:


P
=‚ ¿
P %#" I
‘% → ¯+ ”*!%% ! *$! #" ! …
P a g . | 15

1.2 – Il problema sismico.


Vediamo come può essere visto il terremoto da un
punto di vista matematico. Si parte sempre

~ M
dall’equazione fondamentale:

Il fenomeno sismico può essere visto come


l’accelerazione del suolo (ground), quindi non vie è la
presenza fisica di una forzante esterna , che sarà
nulla. Per una struttura soggetta ad un terremoto ala
base, la causa dell’eccitazione non è una forzante
esterna , applicata direttamente alla struttura, ma una forza d’inerzia risultante dal moto
impresso alle masse componenti il sistema, di carattere transitorio. Le forze d’inerzia generate
dalle masse del sistema sono proporzionali all’accelerazione totale del sistema , mentre le

smorzamento sono proporzionali alla velocità relativa della base M .


forze elastiche sono proporzionali agli spostamenti relativi rispetto alla base , e le forze di

Ë Ì ~ M 0 +• M +Á =− ´

=−
Il moto di un sistema soggetto ad uno spostamento impresso ai vincoli, può essere ricondotto a
quello di un oscillatore con base fissa e soggetto ad una forzante esterna ,
proporzionale all’accelerazione della base , in ragione della massa del sistema. Ovviamente il
termine è in funzione delle caratteristiche del suolo, dall’epicentro, dal magnitudo del sisma e

1
dalla sua direzione. Ora l’integrale di Duhamel, può essere così scritto:
A
= ° # ‰•• A‰¹ Ë− Ì%#"EIv − º H º
{
Iv P
i
=− ° ² U‰ƒS ‰² TUVES^ − ² H^²
S^ R ´
dipende dalla frequenza propria della struttura Iv ≅ I = JL, dallo
Í
Come si osserva s

smorzamento „ e dal sisma ; noti questi tre elementi posso definire il comportamento di
qualsiasi sistema, ovviamente questo integrale deve essere risolto per via numerica. Ad ogni modo
per risolvere questo problema si è ricorso al concetto di spettro di
risposta.
Si parte con il considerare un sistema elastico lineare ad un grado
di libertà di caratteristiche note (rigidezza e massa). Con queste
caratteristiche così fissate, possiamo risolvere per via numerica
l’integrale, ovviamente essendo noto . Posso definire diversi

frequenza proprie I diverse, tenendo fisso lo smorzamento „ =


spostamenti della struttura per il medesimo sisma, ma per

„1 .
1 A
| t |Loy = ½ ° # ‰•‡ •Ï A‰¹ Ë− Ì%#"EIt − º H º½
It P Loy
P a g . | 16

forniscono per ogni valore di frequenza It , e


Quindi si costruiscono delle curve che ci

spostamento massimo del sistema | t |Loy .


per un fissato valore di dello smorzamento, lo

Nella normativa tutte queste curve si trovano


per uno smorzamento pari al 5%, questo
chiaramente va bene per le strutture da
costruire. Mentre per l’esistete si deve prima
definire questo valore con delle specifiche
analisi. Ovviamente tutto questo vale per i
sistemi elastico-lineari ad un grado di libertà,
ad ogni modo la loro risposta costruisce la risposta massima dei sistemi elasto-plastici.
Tutto quello che si è detto vale per un fissato evento sismico, ma supponiamo ora di avere
costruito degli accelerogrammi temporali costruiti sulle serie storiche e sulle caratteristiche del
suolo. Possiamo costruire diverse curve, ogni una per un determinato sisma con un associato
tempo di ritorno. Dopo di che si deve
considerare l’inviluppo di queste diverse
curve; inviluppo che la normativa definisce
amplificato con un dato coefficiente di
sicurezza.
Da questa operazione possiamo ricavare
l’inviluppo di terremoti noti che accadono
con un certo tempo di ritorno. Questi sono
tutti spettri ottenuti in termini di
spostamento, ma nulla vieta di ricavarne la
derivata, per definire gli spettri in velocità

1
ed in accelerazione.
A
M » ° º # ‰•• A‰¹ %#"EIv − º H º¼
Iv P
1 A
= = »− ° º # ‰•• A‰¹ %#"EIv − º H º¼
Iv P
Gli spettri sono un artificio fondato sulla
dinamica di sistemi ad un grado di libertà
operanti in campo elastico-lineare, e ci
consentono di definire la risposta massima del
nostro sistema sottoposto ad un determinato
sisma. È un artificio perché nella realtà non
abbiamo sistemi ad un grado di libertà che
operano in campo elastico lineare. Come si è
detto gli spettri vengono costruiti sui valori
massimi forniti dall’integrale di Duhamel per
una certa categoria di terremoti, in funzione
delle diverse caratteristiche del sistema
(frequenza propria e smorzamento).
P a g . | 17

Fissando una diversa distribuzione delle masse e


delle rigidezze posso definire una data frequenza
propria del sistema, questo ci consente di cambiare
gli effetti dell’eccitazione esterna sulla struttura
stessa, ovviamente sto’ parlando degli “effetti” e
non dell’eccitazione stessa. Per il medesimo sito ho
vari spettri in funzione dello smorzamento della
struttura, ma oltre a questo, gli spettri possono
essere catalogati in funzione della direzione del
sisma (E-O, S-N).
Lo spettro di risposta definisce l’accelerazione
(velocità o spostamento) del sistema, pensato
ad un grado di liberta a comportamento
elastico lineare, e non del terreno. Si deve
trovare un modo per definire la risposta di
sistemi complessi, partendo dalla risposta di
sistemi semplici. Ma per uno stesso sito di
osservazione posso avere diversi terremoti, ogni

Quindi fissato lo smorzamento „ della


uno con un determinato tempo di ritorno (Tr).

struttura, posso definire diversi spettri, per


terremoti con tempi di ritorno diversi. Ad ogni
modo la normativa considerano limitanti i
terremoti con un tempo di ritorno di 475 anni,
con qualche punto percentuale di accadimento.

terremoti con un Ä* di 475 anni, possiamo


Partendo dall’inviluppo di tutti i possibili

costruire una curva matematicamente


definibile. Dove posso leggere l’accelerazione
massima del mio sistema semplice (non del
terreno).

1 A
- Spettro in spostamento.

‘Ð | |Loy ½ ° º # ‰••Ï A‰¹


%#"EIv − º H º½
Iv P Loy

1 A
- Spettro in velocità.

‘Ñ = | M |Loy = ½ ½ =½ »− ° º # ‰•• A‰¹ %#"EIv − º H º¼½


Loy
Iv P Loy

1 A
- Spettro in accelerazione.

‘Ò = | |Loy = ½ ½ =½ °»− º # ‰•• A‰¹ %#"EIv − º H º¼½


Loy
I v P Loy
Posso dimostrare che nella ipotesi „ ≪ 1 e Iv ≅ I, posso affermare quanto segue:
ÓÔ ≅ SÓµ
È
ÓÕ ≅ SÓÔ = Sd Óµ
Normalmente gli spettri che troviamo nella normativa derivano da queste relazioni, e questi
prendono il nome di pseudo-spettri, questi possono essere usati per bassi valori di periodo, mentre
per valori elevati, questi spettri differiscono, ma come sappiamo per i periodi elevati gli effetti del
sisma vengono meno.
P a g . | 18

2Ö ‘Ñ Ä
Vediamo ora come possiamo esprimere graficamente questi pseudo-spettri.
‘Ò I‘Ñ ‘Ñ ; ‘Ð ‘
Ä I 2Ö Ñ

+" ‘Ò ln 2Ö ln Ä ln ‘Ñ
Passando ai logaritmi ho che:

Se considero ‘Ò come una costante ho che:


~1 ln 2Ö ln Ä ln ‘Ñ ln Ä ~1 ln 2Ö ln ‘Ñ

considerare ‘Ð come una costante:


Come si osserva abbiamo ottenuto alla fine una equazione di una retta; allo stesso modo posso

ln ‘Ð ln Ä ln 2Ö ln ‘Ñ ~ ln 2Ö ln Ä ln ‘Ñ

grafico tetra-logaritmo, ove in ordinata troviamo le velocità spettrali ‘Ñ , mentre nelle altre due
Abbiamo ottenuto l’equazione di una seconda retta; tutto questo può essere rappresentato con un

scale (inclinate di 45°) troviamo i pseudo-spettrogrammi degli spostamenti ‘Ð e delle accelerazioni


‘Ò , il tutto per una dato sito e per un determinato valore di smorzamento.
P a g . | 19

APPLICAZIONE.

~+ %% &! ”!* +# " & ” ""!"#


206.000ÚÛ && !
→ QÜ 0,34 Þ 10‰ß à &!+!""#
‘ % !* !" +#
Il sistema può essere considerato equivalente al seguente
sistema ad un grado di libertà:

9.801 *
Û +% !"# #+ % % # → I < < 5,32
346,5 %
I
*# #" #+ % % # →• 0,846â

1
Û#* ! ! #+ % % # →Ä 1,181%

A questo punto usando il grafico tetra-logaritmico possiamo ricavare i seguenti valori, partendo

&
da uno smorzamento del 2%.
„ 2% → ‘Ñ 66,04 ; ‘Ò 0,4$ 3,924 ; ‘Ð 0,13
% %

Per quanto concerne la reazione vincolare, possiamo

äLoy ä1 ä ‘Ò 346,5 Þ 3,924 1.360å


affermare quanto segue:
P a g . | 20

1.3 – Sistemi elastici lineari a più gradi di libertà.

Si devono definire le due equazioni del moto, una per la massa 1 e un’altra per la massa .
- Equazione del moto per la massa (equazione 2):

æ ç1 è 1
stx w qo Lonno
Equazione del moto per la massa 1 (equazione 1):
1 1
-
1 1 1 1 1 1 1 1 1
Vediamo di esprimere il tutto in forma matriciale, infatti un generico sistema può essere così

é → éa [\_U ^U``U aTTU


descritto da un punto di vista meccanico (in assenza di smorzamento):

é Á → Q Á → éa [\_U ^U``U [\´\^UbbU


→ éa [\_U ^U``U h][baV \ UT U[VU
R Á Ád Ád
› i œ › iœ › i œŠ Ž › i œ
i
R d d Á d Á d d d
Si noti che la matrice delle rigidezze ha i termini extradiagonali non nulli, quindi il sistema è
accoppiato, cioè gli elementi componenti sono tra di loro legati, quello che si deve fare è
ricondurci, nel caso specifico, a due sistemi ad un grado di libertà, tra di loro indipendenti. Quello
che si deve fare è cambiare il sistema delle coordinate e procedere alla diagonalizzazione della
matrice delle rigidezze, moltiplicandola e premoltiplicandola per la matrice dei sui autovettori.
Vediamo di richiamare due concetti fondamentali dalla matematica…

Data una matrice quadrata A, gli autovalori - di A si ottengono imponendo che:


- Autovalori.

|F -¯| 0

corrisponendete all’autovalore -1 si definisce risolvendo il seguente


- Autovettori.
L’autovettore

F -1 ¯ 0
sistema.

L’obiettivo è quello di disaccoppiare il sistema, cioè ogni equazione che ne governa il

un sistema con " gradi di libertà deve essere scomposto in " sistemi ad un grado di libertà, e di
comportamento, deve essere dipendete da una sola variabile, ed indipendente dalle altre. Quindi

questi ne conosciamo il comportamento per qualsiasi forzante esterna, tramite l’integrale di

0
Duhamel. Vediamo di riscrivere le equazioni che governano il nostro sistema:
› 1 œ › 1œ › 1 œŠ Ž › 1 œ
1
0
È 1 1 1 1 1
1
Come possiamo osservare queste due equazioni sono tra di loro accoppiate, cioè non sono tra di
loro indipendenti, per renderli tali si deve operare una trasformazione di coordinate.
P a g . | 21

Ú
¾ ¾ ¾ ¾ ©
Vediamo anche di riscrivere l’equazione che governa il sistema in forma matriciale:

xÞx xÞ1 xÞx xÞ1 xÞ1


Nel caso avessi un terremoto come forzante esterna, il termine noto prenderà la seguente forma:
ê ë → ®!“# è + , &&#+#* !"# * %& " #" !.
1 1

é
¾ ¾ + Á ¾ ¾ =− é ¾ ì́
Quindi nel caso di sisma il tutto può essere così scritto:

V×V V×i V×V V×i V×V V×i


Come si osserva nella precedente relazione ho ipotizzato che l’accelerazione di trascinamento fosse
la stessa per tutti i gradi di libertà, ma questo potrebbe essere vero per un sistema semplice come il
nostro. Ma nell’ipotesi di un sistema di maggiore complessità, questa accelerazione potrebbe agire

Quindi alcune componenti del vettore ì́ potrebbero essere


diversamente in ragione della direzione considerata, e dell’n-esimo grado di libertà considerato.

V×i

vettore di scalari [.
addirittura nulle; per tenere conto di questo si introduce un

1
ï0 ó
ì = ¾ * !“# * = î0ò
x×1 î⋮ò
í" ñ
x×1

é
¾ ¾ + Á ¾ ¾ =− é ¾ ¾[ ´
Quindi alla fine il tutto si riduce a quanto segue:

V×V V×i V×V V×i V×V V×i


Tornando al nostro esempio, vediamo ora di operare il cambiamento di coordinate, ma prima di
questo opero una altro esempio che ha validità del tutto generale.

0 + −
Ú
¾ ¾ + ¾ ¾ = © !“# Ú = › 1 œ # = › 1
œ
0 − + ô
x×x x×1 x×x x×1 x×1
Cerchiamo ora una soluzione in assenza di forzante, quindi = 0 ∀ . E peraltro sono sempre
nell’abito dell’ipotesi di elasticità lineare, quindi posso applicare la sovrapposizione degli effetti; la
soluzione cercata sarà quella classica.
ùwnAoxA
; ø—l # t•A
öo nwq utwx no¦à v q Atsw 9 ¾ = j—k
~
Ú
¾ ¾ + ¾ ¾ = 0 x×1 x×1
: ¾ = −I ~ ¾ # t•A
x×x x×1 x×x x×1
9
8x×1 x×1
ùwnAoxA 1 ~ 1
ø—l #
«x A ¦Ltxt nA nt… ~
®!“# ¾ = j—k ~ t•A
ú û = ü ý # t•A
⋮ ⋮
~x
x×1 x×1
x
Con l’espressione precedente sto’ implicitamente ammettendo che il nostro sistema composto da "
gradi di libertà, sia in movimento con la stessa frequenza, ma con ampiezze diverse; chiaramente il
moto considerato è sinusoidale.
P a g . | 22

A questo punto prendo le soluzioni precedenti e le sostituisco nell’equazione di sistema generale.


wnAtA tn¥w…
Ú
¾ ¾ ¾ ¾ 0 EÁ − Sd éH •
j——k——l ¾ U\S = R
xÞx xÞ1 xÞx xÞ1 V×V V×i
Vediamo ora di richiamare alcuni concetti dalla matematica matriciale.

- Rango o caratteristica di una matrice → Il massimo ordine dei minori non nulli che si
possono estrarre dalla matrice. Il rango di una matrice non è altro che il numero di righe o
di colonne linearmente indipendenti. Il minore non altro che il determinate di una
qualunque sottomatrice quadrata estratta dalla matrice di partenza. I calcoli necessari a
determinare il rango di una matrice sono generalmente laboriosi per l’elevato numero di
minori estratti che deve essere considerato. E’ naturale chiedersi se è proprio necessario
considerare tutti i minori estratti da una matrice per determinarne il rango: risponde alla

Partendo dalla definizione di rango di una matrice possiamo dire che una matrice F ha
domanda il Teorema di Kronecker.

rango * se:
1) Esiste almeno un minore estratto da F, di ordine * e non nullo;
2) Tutti i minori estratti da F di ordine * + 1 sono nulli.
Definizione - Assegnata una matrice F di tipo , " si definisce matrice orlata una
matrice di tipo + 1, " + 1 ottenuta accostando alla matrice assegnata una riga e una

- Teorema di Kronecker → Una matrice F ha rango * se e solo se:


colonna.

1) Esiste almeno una sottomatrice quadrata F′ di ordine * estratta da F il cui

2) Le sottomatrici quadrate di F di ordine * + 1 ottenute orlando F′ in tutti i modi


determinante è non nullo;

possibili hanno determinante nullo.


Dopo aver chiarito il concetto di rango di una matrice, e come questo può essere trovato, vediamo

- Si definisce matrice completa di un sistema non omogeneo EF = GHla matrice F′ di


di richiamare alcuni concetti sulla soluzione dei sistemi lineari.

righe ed " + 1 colonne ottenuta dalla matrice incompleta F, la matrice dei coefficienti,
aggiungendovi i termini noti G.
- Teorema di Rouché–Capelli → Un sistema lineare è compatibile se e solo se la matrice dei

Occorre quindi effettuare una preliminare ricerca del rango delle matrici F ed F′. Posto
coefficienti e la matrice completa hanno lo stesso rango.

che * = * "$! F e * , = * "$! F, , possiamo affermare quanto segue:


1) * = * , = " → il sistema è compatibile e determinato.
2) * = * , < " → il sistema è compatibile e indeterminato, esso presenta ∞x‰¦ soluzioni,
cioè " − * giocano il ruolo di parametri.
3) * ≠ * , → il sistema è incompatibile.

indipendenti. Pertanto nel caso di un sistema compatibile la matrice F dei coefficienti e la


Come detto il rango di una matrice corrisponde al numero di righe o colonne linearmente

matrice F′ completa hanno lo stesso numero * = * $! F = * "$! F, di righe (o


colonne) linearmente indipendenti. Dunque se é il numero di righe di F e F′ (ovvero il
numero di equazioni) ci sono = − * righe che dipendono linearmente dalle rimanenti:

quelle già fornite dalle * equazioni linearmente indipendenti.


questo significa che equazioni sono "superflue", cioè non aggiungono informazioni a

Dopo questa scorpacciata di matematica matriciale, torniamo ad occuparci del nostro problema,
riprendiamo il nostro sistema omogeneo:
P a g . | 23

ù ¨ t}oq o…
Ej——k—
I —l
ÚH ~
¾ # t•A 0 [j——k—
− I —l
Ú] ~
¾ =0
xÞx xÞ1 x×x x×1
Se il rango * della matrice j
[ ——k—
− I —l
Ú] è uguale al suo ordine ", abbiamo la soluzione banale ~ =
x×x
0. Se * < " allora certamente ~t ≠ 0 con infinite soluzioni, peraltro proporzionali tra di loro.

dei punti di nullo del determinante della matrice |F − -¯|; ora per semplificarmi la vita affermo
A questo punto si richiama la definizione di auto valore, la cui ricerca si concretizza nella ricerca

che = 1 = = ô e 1
# | I Ú| 0 !“# $+ I %!"! "!% * !“ +!* + * !
.

0 Lsqt±t¥w 2 − 0
› 1 œ I › 1 œ 0 Š Ž−I Š Ž 0
ô 0 − 2 0
Š2 − I Ž 0 2 −I 0
2 −I
tnA Lw
4 + Ià 4 I 0 Ià 4 I 3 =0
−/ ± √/ − 4 & 4 3 √16 12
I1/ =
2 2
; 3 3
9I1 → I1 = <
2 3
:
9 I → I = <
8
Questi sono i due autovalori del sistema, e ne rappresentano le pulsazioni, per i due gradi di

relazione fondamentale che ci permette di definirli F -1 ¯ 0.


libertà corrispondenti. Vediamo ora di definire gli autovettori, sempre tenendo a mente la

Ðo ¨ t wAA x w t v o Aw} AAw¦t ϕ1 •‡ )


™ − I1/ Úš~ = 0 È
ϕ •‡ )
2 − 3 0 ~1 − − ~ − ~1 − ~ = 0
»Š Ž− Š Ž¼ › œ 0 Š Ž › 1œ = 0 → È
− 2 0 ~ − − ~ − ~1 − ~ = 0
> =
~1 = −~ ¯ “# !* #+ ”! › œ , %!"! # ”!%% / + %!+ !" , " ϕ1 •‡ ) = Š Ž
−> −=
2 − 0 ~1 − ~ ~1 − ~ = 0
»Š Ž− Š Ž¼ › œ 0 Š Ž › 1œ = 0 → È
− 2 0 ~ − ~ − ~1 + ~ = 0
= >
~1 = ~ ¯ “# !* #+ ”! Š Ž , %!"! # ”!%% / + %!+ !" , " ϕ •ˆ ) = › œ
= >
Questi autovettori rappresentano i modi di vibrare del sistema, mentre gli autovalori I sono le
frequenze proprie del sistema. La soluzione del sistema può essere vista come una combinazione

) = Õ i U\Si + dU
lineare dei due modi:
\Sd

Questo è il modus operandi, ma a questo punto ci dobbiamo occupare di come diagonalizzare la

arrivare a soluzione più celermente. Infatti partendo da un sistema complesso con " gradi di
matrice delle masse e quella delle rigidezze, come vedremmo questo sistema ci permetterà di

libertà, la cui soluzione non ci è nota, ad " sistemi ad un grado di libertà di soluzione nota. Per
l’operazione di diagonalizzazione introduciamo un operatore matriciale, composto dagli

q xwnA¦w ¥onw = >


autovettori del sistema, ed eseguiamo le seguenti operazioni.
¾ =[ 1
Φ … x ] › œ
−= >
x×x
P a g . | 24

ä# ! !* !”#* *# " ! %#$ # → È Φ Φ =


Φ ÚΦ = M
= −= 2 − = > = = 3 = > 6 = 0
Š> > Ž Š Ž› œ = Š> −> Ž › œ=› œ
− 2 −= > −3 = > 0 2 >
= −= 0 = > = = = > 2 = 0
Š> > Ž Š Ž› œ Š> > Ž › œ › œ
0 = > = > 0 2 >
Come si osserva ho ottenuto la diagonalizzazione delle due matrici considerate, ma ora vediamo

Ú
quali ragionamenti posso fare, partendo dalla nostra equazione di sistema.

Si opera una trasformazione delle coordinate tale che ¾ g , dove le sono definite
VÞV
coordinate modali. Alcune considerazioni…
«xn ¦tn¥w
ÚΦ Φ j—ck
é—l g j—ck
Á—l g j—k
c
—l
µ\a´]Va`U µ\a´]Va`U ÔU ][U
Alla fine quello che si è ottenuto è il disaccoppiamento dell’equazione del moto e sempre in

2 = 0 6 = 0 ) = −=
riferimento al nostro esempio:
› œ› 1 œ › œ › 1 œ = Š> > Ž › 1 œ
0 2 > 0 2 > )
d ‹ gi
d
Á‹ gi
d
E c
H•] {]VUV U i
ê
d  gd
d
dÁÂ gdd
E c
H•] {]VUV U d
La soluzione delle due equazioni precedenti è nota, e si definiscono nell’integrale di Duhamel.

1 ; 6 = 3
<
A
; ° EΦ H1 %#"EI1 º H º 9I1 = 2 = <
9 1
2 = I1 P
&!" „ 0 #
: 1 A
:
9 ° EΦ H %#"EI º H º 2 >
8 2 > I P 9I < <
8 2 >
Come si osserva le frequenze proprie del sistema I1 e I sono sempre le stesse, sia nel sistema
espresso in coordinate modali che nel sistema espresso in coordinate generali, dato che questi sono

Φ
degli invarianti del sistema. Da questo poi basterà eseguire l’operazione di cambio coordinate
per riottenere le coordinate generali . Se il sistema fosse smorzato, la matrice
che raccoglie i coefficienti di smorzamento, deve essere anch’essa disaccoppiata. Ma prima di

Ú sia effettivamente una matrice diagonale ¯, abbiamo quanto segue.


affrontare questo argomento, vediamo di operare alcuni semplificazioni, infatti se imponiamo che

; 1
92 = 1 → = = <
2 = 0 1
0 Òqqw¦o 2
Ú ¯ → › œ Š
Ž
0 2 > 1 0 : 1
92 > 1 → > = <
8 2

3
Affermato questo, il resto è una semplice conseguenza…
0 I 0 = > 1
6 = 0 1 1
› œ=ü ý › 1 œ = Ω "!+ *# Φ = › œ= Š Ž
0 2 > 0 I −= > √2 −1 1
0
Lw x tuuoxvw q Lonn
Ú )+ )=Φ ³g g c
P a g . | 25

Questo mi permette di semplificare il tutto, e in termini di coordinate modali, posso scrivere

1 0 1 ) I 0 ) 1 1 −1 1
quanto segue:
Š Ž› œ+› 1 œ› 1 œ = Š Ž› œ
0 1 ) 0 I ) √2 1 1
gi Sdi gi E c H•] {]VUV U i
ê
gd Sdd gd E c H•] {]VUV U d
Ora basterà assegnare un valore arbitrario ad = e >, in
questo modo potremmo conoscere il comportamento
del sistema, infatti gli autovettori sono tutti definiti a

esterna ha una frequenza propria I ¿ vicina ad una delle


meno di una costante di proporzionalità. Se la forzante

due frequenze proprie del sistema, avremmo che esso si


muoverà secondo a una delle due. Altra considerazione
del tutto generica, per il momento, è che ogni modo di
vibrare coinvolge una certa quota di massa del sistema.
Ora la normativa fissa che nello studio del
comportamento dinamico delle strutture, si debba
tenere conto dell’85% della massa complessiva, nel caso
di edifici, e del 90% nel caso dei ponti. In altri termini
devono essere considerati tutti i q-esimi modi di vibrare
della struttura, in modo tale che la massa coinvolta
rispetti i limiti definiti poco fa.

0 … 0 … 0
ï 0 … 0 ó
1
0 …
î ò
î ⋮ ⋮ ⋱ 0 … 0 ò
Ú 0
î 0 0 ¨ … 0 ò
î ⋮ ⋮ ⋮ ⋮ ⋱ 0 ò
0 0
í 0 0 0 x ñ

Ú
¾ ¾ ¾ ¾ 0
Fino ad ora abbiamo risolto i seguenti due casi:


xÞx xÞ1 xÞx xÞ1
¾ ¾ + ¾ ¾ =©
Ú
x×x x×1 x×x x×1 xÞ1

smorzamento saranno compresi all’interno di una matrice ~.


Ora vediamo di introdurre lo smorzamento nel nostro sistema, quindi tutti i termini di

Ú¾ ¾ ~
¾ M ¾ ¾ ©
xÞ1
xÞx xÞ1 xÞx xÞx xÞ1 xÞ1
Sarebbe interessante poter diagonalizzare anche la matrice dei termini di smorzamento, ma questo
è in linea generale del tutto impossibile. Ma per proseguire nella trattazione matematica, si deve


¾ ‹ é¾ Â Á¾
introdurre una stringente semplificazione:

VÞV VÞV VÞV


Le costanti = e > devono essere scelte in funzione delle caratteristiche del sistema, certamente

precedente. I parametri = e > sono definiti in funzione dei modi di vibrare del sistema, in
questa semplificazione è molto pesante, ma è anche l’unico modo per poter risolvere l’equazione

particolare vanno scelti quelli principali (con maggior massa partecipante), tra tutti i possibili
P a g . | 26

modi di vibrare del sistema. Operando la nostra consueta trasformazione di coordinate


»Φ
¾ ¼, e procedendo alla diagonalizzazione, abbiamo quanto segue:
xÞx
ÚΦ ~ΦuM Φ
Φ—k
j ÚΦ
—l Φ
jkl~Φ uM Φ Φ
jkl Φ
j—k—l
Ðto wxoq Ðto wxoq Ðto wxoq Ñ AAw¦
é—l g
j—ck j————k————l M
c c
Á—l g
j—k j—k
c
—l
µ\a´]Va`U µ\a´]Va`U µ\a´]Va`U ÔU ][U
Come affermato in precedenza, nelle varie semplificazioni introdotte, se si impone che Ú ¯

È Ú Φ ÚΦ IÀ
allora abbiamo quanto segue:
Φ ~Φ C
Òqqw¦o §v txwqA¦
~ =¯ >Ω
Φ Φ Ω
Ricordo che per i sistemi a due gradi di libertà la ~ 2„I, da ciò consegue che:
~ 0 … 0
ï 1 ó
~ î 0 ~ … 0 ò ®!“# * #% &! ”!"# # è ~¦ 2„¦ I¦ = 1 >I¦
î⋮ ⋮ ⋱ 0ò
í 0 0 0 ~x ñ
Per determinare i coefficienti = e > devo conoscere la pulsazione e lo smorzamento dei due modi

2I¦ In In „¦ I¦ „n
di vibrare principali; e con la risoluzione di un semplice sistema posso definire questi parametri.
; ; =
92„¦ I¦ = >I¦ 9 In I¦

: 2„n In = >In : 2In „n In I¦ 2I¦ I¦ „n In „¦
9 9> In I¦ In
8 8
Come sappiamo Φ¾ © , quindi abbiamo a che fare con " equazioni in , vediamo ora
xÞx xÞ1
come possiamo scrivere la r-esima equazione, considerando tutto quello che abbiamo visto fino ad
ora.
Φ
! ¦ qr ¦‰ ntLo ¨ outwx
∀* 1 " ¦ ÚΦ¦
j—k—l ¦ 2„¦ I¦ M ¦ I¦ ¦ EΦ H¦
§ r so¦t o 1
n qt o Aw} AAw¦t
nwxw xw¦LoqtuuoAt
¦
i
La soluzione per ogni è quella nota.

Û#* ∀ g[ h[ Ëg[R , gM [R Ì cé
°E c H[ U‰ƒ[S[ ‰² TUV™S^[ ² š^²
[ [ S^ [ R

0 ⋯ 0 1
Nel caso di forzante esterna fornita da azione sismica, sappiamo che:
1
1
0 … 0 0
" ⋮ # Ú
¾ ¾ * ü ý ü⋮ý
⋮ ⋮ ⋱ 0
0 0 0
j—————k—————l *x
x xÞx xÞ1
x
%&% § r ¨ qqo w¦t txoq

E c é[H[
Ora possiamo riscrivere la nostra r-esima equazione, ma con forzante esterna fornita dal sisma.

g[ h[ Ëg[R , gM [R Ì cé
° ´ U‰ƒ[S[ ‰² TUV™S^[ ² š^²
[ [ S ^[ R

E c é[H[
Di tutta questa espressione ci interessa una parte particolare, ed esattamente questo blocco:

‹[ → Ã #% ! “ #"# #• " ! _]Uhh\_\UV U ^\ {a[ U_\{ab\]VU.


[é [
c
P a g . | 27

Si dimostra che…
-

‘# // ! "!* + ! + * &# #++# %%# Φ ÚΦ ¬


'(()*+
I d
, .X/.012 Y3Y/145
,Oi
1.3.1 - Esempio.
Come semplice esempio riprendiamo il nostro semplice sistema composto da due masse e tre
molle, che abbiamo avuto modo di vedere già. Riprendo i due autovalori normalizzati alle masse,
come abbiamo visto in precedenza.
ï 1 ó ï 1 ó
î <2 ò î<2 ò
= î ò ϕ > î ò
ϕ1 •‡ = Š Ž › œ
= î >
1 ò î 1 ò
•ˆ

î < ò î< ò
í 2 ñ í 2 ñ

= >
å!* + ! ++# %%#, " * &!* ! → Ú = Φ ÚΦ = I con Φ
¾ =› œ
= >
x×x
Vediamo di imporre al sistema una azione sismica che coinvolga entrambi i gradi di libertà del
sistema, e non potrebbe che essere altrimenti. Ed ora passiamo a definire i due coefficienti di

0 1
›J 1 J 1 œŠ
partecipazione.
ŽŠ Ž 8
EΦ Ú*H1 2 2 0 1
=1 =0 99
Φ1 ÚΦ1 1
:

→ ¬ α* = α1 α 2m
1 1 0 1 7
›J J œŠ ŽŠ Ž
[Φ Ú*] 2 2 0 1 9
*O1
= = = = √2 9
Φ ÚΦ ) 1 6
Come possiamo osservare il secondo modo di vibrare coinvolge tutto il sistema, e la somma dei
quadrati dei coefficienti di partecipazione fornisce correttamente la massa complessiva del sistema,
ovviamente questo è vero se gli autovettori sono normalizzati. La normativa prevede di
considerare tutti i modi di vibrare tali che coinvolgono i seguenti limiti di massa

85%Ú wA. "#+ & %! # • & & “ +


complessivamente.
:

Φ ÚΦ = I ¬ α* ≥ È
'(()*+
90%Ú wA. "#+ & %! ”!"
*O1

1.3.2 - Applicazione – Dinamica di un telaio.


Esso verrà analizzato nell’ipotesi
semplificativa che la rigidezza
flessionale delle travi sia così
maggiore di quella delle colonne da
consentire di poter essere
considerata come infinita. Si può
osservare che tale ipotesi è più
restrittiva di quella di travi
assialmente indeformabili (e quindi
di infinita rigidezza assiale) che
solitamente si adotta nel caso di
impalcati costituiti da solette in
cemento armato. Le moderne
P a g . | 28

normative per le costruzioni in zona sismica richiedono usualmente che i telai siano progettati,
attraverso il criterio della gerarchia delle resistenze, in maniera tale che siano le zone di estremità
delle travi a dissipare, attraverso le deformazioni plastiche, l’energia immessa dalla struttura nel
terremoto. In tal caso le colonne risultano essere dimensionate in maniera tale che la loro
resistenza (e quindi anche la loro rigidezza) sia maggiore di quella delle travi adiacenti. L’ipotesi
adottata presenta però il vantaggio, dal punto di vista dell’analisi, di consentire una drastica
riduzione nel numero di gradi di libertà necessari a descrivere il moto della struttura: la
traslazione orizzontale di ciascun piano identifica completamente la configurazione deformata

pertanto le traslazioni orizzontali 1 , , ô rispettivamente del primo, secondo e terzo piano; a


della struttura, che per tale motivo viene chiamata shear-type. Le coordinate libere adottate sono

queste coordinate verrà associata tutta la massa di piano. L’analisi così svolta consente, in prima
approssimazione, la determinazione delle caratteristiche dinamiche della struttura e del suo
comportamento per effetto di diversi tipi di sollecitazione. La matrice delle masse è facilmente

0 0 0,350 0 0
definibile:
1
Ú "0 0# " 0 0,273 0 #
0 0 ô 0 0 0,175
Per la matrice delle rigidezze si deve fare qualche considerazione in più. La matrice di rigidezza ,
matrice dei coefficienti della forma quadratica che esprime l’energia elastica immagazzinata nella
struttura, viene calcolata facendo riferimento al teorema di Clapeyron; quest’ultimo consente di
esprimere il lavoro di deformazione come lavoro compiuto dalle forze esterne agenti sul sistema
per i corrispondenti spostamenti. Nel nostro caso gli spostamenti sono quelli individuati dalle
coordinate libere; in forma simbolica può essere scritto:
ô ô ô
1 1 1
ä ¬ Ãt ¬ >¬ (t- - ? ì ¾ ¾
2 t
2 t
2 ôÞô
tO1 tO1 -O1 ôÞ1 1Þô
Le forze Ãt sono le forze che, applicate in corrispondenza dei punti in cui sono definite le

nella configurazione deformata caratterizzata dai generici valori 1 , , ô . Facendo uso del
coordinate libere, e nella medesima direzione, sono in grado di mantenere il sistema in equilibrio

principio di sovrapposizione degli effetti, ciascuna Ãt può essere vista come somma dei valori (t-
determinati nelle particolari configurazioni in cui una sola delle coordinate libere del sistema è
pari all’unità, mentre le restanti sono nulle moltiplicati ordinatamente per il valore della
corrispondente
coordinata libera -.
Queste particolari
configurazioni
deformate possono
essere ottenute
aggiungendo al sistema
dei vincoli che
impediscono il
movimento individuato
dalle coordinate libere,
ed imponendo a
ciascuno di essi un
cedimento unitario,
come mostrato in Fig. 3.
Le reazioni dei vincoli
aggiuntivi forniscono i
P a g . | 29

coefficienti (t- della matrice di rigidezza.


In Fig. 3 sono indicate le forze di taglio agenti sulle aste nelle configurazioni deformate in studio e
le reazioni dei vincoli aggiuntivi. Le reazioni vincolari, pari alla somma delle forze che agiscono

(11 (1 ( (1 ( (1ô 0 525 −210 0


sulle estremità delle aste che convergono nel punto vincolato, sono facilmente determinabili:

" ( 1 = −( ( = ( + (ô ( ô = −(ô # = "−210 315 −105#


(ô1 = 0 (ô = −(ô (ôô = (ô 0 −105 105
5 −2 0
= 105 "−2 3 −1#
0 −1 1

differenziale Ú¾ ¾ + ¾ ¾ = 0, completate dalle opportune condizioni iniziali. Ipotizzando un


Le oscillazioni libere del sistema, in assenza di fenomeni dissipativi, sono governate dall’equazione

ô×ô ô×1 ô×ô ô×1


integrale particolare del tipo ¾ = ¾ %#" I + @) le pulsazioni proprie I ed i modi propri di
ô×1 ô×1

sistema algebrico omogeneo di equazione [j——k—− I —lÚ] ¾ = 0. Gli autovalori del sistema sono le
vibrare costituiscono rispettivamente le radici quadrate degli autovalori e gli autovettori del

ô×ô ô×1
radici dell’equazione caratteristica det| − I Ú| = 0. Vediamo di riprendere in mano alcune

= cos I + @)ω
definizioni, che ci chiariscono gli ultimi concetti espressi.

ö v ¦t}oA nwxw
= %#" I + @) ‚v ˆ ¨
vA

= − %#" I + @)ω
vA ˆ
Sostituisco il tutto nell’equazione differenziale che governa il sistema:
¥wxn
Ú + = 0 Ú[− %#" I + @)ω ] + [ cos I + @) ω] = 0
[Á − Sd é]E = R

5 −2 0 0,350 0 0
Andiamo in cerca degli autovalori…

det| − I Ú| = 0 → F105 "−2 3 −1# − I " 0 0,273 0 #F = 0


0 −1 1 0 0 0,175
0,350
ï5 − I −2 0 ó
î 105 òG
G 0,273
105 î −2 3−I −1 ò =0
G î 105 òG
î 0,175ò
í 0 −1 1−I
105 ñ

0,350 0,273 0,175 0,175


E adesso tanti conti…
105 ÈŸ5 − I ›Ÿ3 − I Ÿ1 − I − 1œ + 2 ›−2 Ÿ1 − I œÀ = 0
105 105 105 105
0,350 0,175 0,273 0,273 × 0,175 à 4 × 0,175
Ÿ5 − I ›3 − I − I + I − 1œ − 4 + =0
105 35 105 105 105
0,350 × 0,273 × 0,175 ß 0,273 × 0,175 0,350 × 0,175 0,350 × 0,273 à
− I +Ÿ + + I
105 ô 2.205 3.675 105
3 × 0,175 − 0,273
−Ÿ I +6=0
21
−i, H ¿ × iR‰I S + H, J × iR‰K SH − L, I × iR‰d Sd + = R
Il tutto si riduce ad una risoluzione di una equazione del terzo ordine, posto che = I .
−1, 4M × 10‰N ô + 4,7 × 10‰O − 3,8 × 10‰ + 6 = 0
P a g . | 30

Dato che non ho alcuna voglia di mettermi a giocare con le relazioni Cardaniche di rinascimentale

1.44444 ô 4.7 3.8


memoria; ho utilizzato il programma commerciale Mathematica 8 per venirne a capo.

Plot » 6, Q , 0,3000R¼
10N 10O 10

;
ùtwè
207,972 I1 14,421
1.44444 ô
4.7 3.8 9 1
Solve » 6 0, ¼ →
ùtwè
10N 10O 10 955,462 I 30,911
:
9 ùtwè
8 ô 2.090,42 Iô 45,721
Abbiamo stabilito le pulsazioni proprie della struttura, vediamo che cosa altro possiamo

2Ö 1
affermare, partendo da queste:
; I1 14,421 → Ä1 0,436% → •1 2,295â
9 I Ä
9
1 1
2Ö 1
I 30,911 → Ä 0,203% → • 4,920â
: I Ä
9
9I 2Ö 1
45,721 → Äô 0,137% → •ô 7,277â
8 ô
Iô Äô
Ora è arrivato il momento si affrontare il problema degli autovettori, che sono dati dalla soluzione

del sistema » ¾ It Ú
¾ ¼ ìt 0. La matrice dei coefficienti presenta rango * 2, quindi
ôÞô ôÞô ôÞ1
abbiamo ∞ô‰ soluzioni, in altri termini gli autovettori saranno definiti a meno di una costante,
in tal caso procederemmo alla loro normalizzazione con la matrice delle masse. Un passo alla
volta…
1) Autovettore 1 (primo modo di vibrare della struttura).
5 2 0 0,350 0 0 U1,1
E I1 ÚH 1 Q105 " 2 3 1# 14,421 " 0 0,273 U
0 #• " ,1 # 0
0 1 1 0 0 0,175 Uô,1
0,350
ï5 14,421 2 0 ó
î 105 ò U1,1
î 0,273 ò "U ,1 # 0
105 2 3 14,421 1
î 105 ò Uô,1
î 0,175ò
í 0 1 1 14,421
105 ñ
P a g . | 31

0,350
; Ÿ5 14,421 U1,1 − 2U ,1 = 0
9 105
i
0,273
−2U1,1 + Ÿ3 − 14,421 U ,1 − Uô,1 = 0 Ei "d, iKL# Wi,i
: 105 L, dV
9 0,175
8 −U ,1 + Ÿ1 − 14,421 Uô,1 = 0
105

5 −2 0 0,350 0 0 U1,
2) Autovettore (secondo modo di vibrare della struttura).

E I ÚH Q105 "−2 3 −1# − 30,911 " 0 0,273 U


0 #• " , # = 0
0 −1 1 0 0 0,175 Uô,
0,350
ï5 − 30,911 −2 0 ó
î 105 ò U1,
0,273
105 î −2 3 − 30,911 −1 ò "U , # = 0
î 105 ò Uô,
î 0,175ò
í 0 −1 1 − 30,911
105 ñ
0,350
; Ÿ5 − 30,911 U1, − 2U , = 0
9 105
i
0,273
−2U1, + Ÿ3 − 30,911 U , − Uô, = 0 Ed " R, VRI # Wi,d
: 105 i, KLd
9 0,175
8 −U , + Ÿ1 − 30,911 Uô, = 0
105
3) Autovettore ô (terzo modo di vibrare della struttura).
5 −2 0 0,350 0 0 U1,ô
E Iô ÚH ô Q105 "−2 3 −1# − 45,721 " 0 0,273 U
0 #• " ,ô # = 0
0 −1 1 0 0 0,175 Uô,ô
0,350
ï5 − 45,721 −2 0 ó
î 105 ò U1,ô
0,273
105 î −2 3 − 45,721 −1 ò "U ,ô # = 0
î 105 ò Uô,ô
î 0,175ò
í 0 −1 1 − 45,721
105 ñ
0,350
; Ÿ5 − 45,721 U1,ô − 2U ,ô = 0
9 105
i
0,273
−2U1,ô + Ÿ3 − 45,721 U ,ô − Uô,ô = 0 EL " R, VIH# Wi,L
: 105 R, LV
9 0,175
8 −U ,ô + Ÿ1 − 45,721 Uô,ô = 0
105
P a g . | 32

Procediamo ora alla normalizzazione della matrice degli autovettori con la matrice delle masse,

‘ * &!* &ž# Φ¾ E 1 ô H ++!* Φ ÚΦ M # ”!" ! &ž# % M ¯


come abbiamo visto nella teoria.

ôÞô
U1,1 2,153U1,1 3,296U1,1 0,350 0 0 U1,1 U1, U1,ô
úU1, 0,908U1, −1,532U1, û " 0 0,273 0 # ú2,153U1,1 0,908U1, −0,984U1,ô û
U1,ô −0,984U1,ô 0,396U1,ô 0 0 0,175 3,296U1,1 −1,532U1, 0,396U1,ô
U1,1 2,153U1,1 3,296U1,1 0,350U1,1 0,350U1, 0,350U1,ô
úU1, 0,908U1, −1,532U1, û ú0,588U1,1 0,248U1, −0,269U1,ô û
U1,ô −0,984U1,ô 0,396U1,ô 0,577U1,1 −0,268U1, 0,0693U1,ô
L, KiIWdi,i R R
=ü R R, VI Wdi,d R ý=
R R R, HdWdi,L
Imponiamo che…
; 1
U = < = 0,533
9 1,1
3,518
9
3,518U1,1 0 0 1 0 0 9
1
M = ¯ → ú 0 0,986U1, 0 û = "0 1 0# → U1, = < = 1,007
0 0 1 : 0,986
0 0 0,642U1,ô
9
9 1
9U1,ô = < = 1,248
8 0,642

R, KLL i, RRJ i, dHI


Quindi i nostri autovettori normalizzati alla matrice delle masse sono i seguenti:

¾ = EEi Ed EL H "i, iHI R, ViH i, ddI#


L×L i, JKJ i, KHL R, HVH
Supponiamo di avere una forzante esterna 445 å, costante, e applicata alla sommità della

Ú
¾ ¾ ¾ ¾ ©
struttura. L’equazione generale che governa il sistema è sempre la stessa:

ôÞô ôÞ1 ôÞô ôÞ1 ôÞ1


Introduco le coordinate modali (le avevo definite con nella teoria) Φ
¾ © , per cui:
ôÞô ôÞ1
Φ—k
j ÚΦ
—l Φ Φ
jkl Φ
j—k—l
Ðto wxoq Ðto wxoq Ñ AAw¦
Abbiamo scelto di normalizzare la matrice degli autovettori alla matrice delle masse, quindi il

ÈÚ Φ ÚΦ IÀ
tutto si riduce a quanto segue:
Òqqw¦o
³f f c
Φ Φ Ω
0,533 1,148 1,757 525 −210 0 0,533 1,007 1,248
®!“# Ω "1,007 0,914 −1,543# "−210 315 −105# "1,148 0,914 −1,228# =
1,248 −1,228 0,494 0 −105 105 1,757 −1,543 0,494
207,858 0 0 I1 0 0
=" 0 955,111 0 #=ú0 I 0û
0 0 2.089,39 0 0 Iô
P a g . | 33

i R R fi Sdi R R fi R, KLL i, iHI i, JKJ R


Quindi l’equazione che governa il sistema può essere scritta nella seguente forma:

"R i R# úfd û ú R Sd R û úfd û "i, RRJ R, ViH


d
i, KHL# " R #
R R i fL R R Sd fL i, dHI i, ddI R, HVH HHK
L
fi Sdi fi JIi, I K
‚fd Sd fd
d
I , LK
fL SL fL
d
diV, ILR
Come possiamo osservare il nostro sistema può essere visto come la composizione di tre
sottosistemi diversificati, ogni uno dei quali è governato da un moto di natura sinusoidale, con
una data pulsazione. Ora trascurando il transitorio inziale, la soluzione tipica è data dall’integrale

1
di Duhamel, che per l’r-esima componente si esprime come di seguito:
A
Û#* ∀ ¦ •¦—
j ¦z , —l
Ë—k— M ¦z Ì ° EΦ H¦ # ‰•X •X A‰¹ %#"™IvX º š º
jΦ——k—
¦ ÚΦ
—l¦ I vX P
t A¦on¥ ¦o
O1
EΦ H¦ A EΦ H¦ A

f[ ° %#"EI¦ º H º ° È %#"EI¦ º HÀ º
I¦ P I¦ P I¦
EΦ H¦ E c H[
| Q cos EI¦ I¦ ºR|AP Ei WXY S[ H
I¦ Sd[

781,865
Quindi le tre soluzioni modali sono le seguenti:
; 1 E1 − cos 14,421 )H 3,760E1 − cos 14,421 )H
9 14,421
9
686,635
E1 − cos 30,911 )H 0,719E1 − cos 30,911 )H
: 30,911
9
9 219,830
E1 − cos 45,721 )H 0,105E1 − cos 45,721 )H
8 ô
45,721
Questi sono i moti definiti per i singoli gradi di libertà, vediamo ora di definire il comportamento
globale della struttura, per i tre gradi di libertà, il cui spostamento è dato dalla somma dei singoli

R, KLL i, RRJ i, dHI fi


modi di vibrare, cioè ne è una loro combinazione lineare.

© ¾ f© "i, iHI R, ViH i, ddI# úfd û


LÞi LÞL LÞi i, JKJ i, KHL R, HVH fL
1 2,004E1 − cos 14,421 )H 0,724E1 − cos 30,911 )H 0,131E1 − cos 45,721 )H
‚ 4,316E1 − cos 14,421 )H 0,657E1 − cos 30,911 )H 0,129E1 − cos 45,721 )H
ô 6,606E1 − cos 14,421 )H 1,109E1 − cos 30,911 )H 0,052E1 − cos 45,721 )H
P a g . | 34

Contributo modale 1
4 Contributo modale 2
Contributo modale 3
Coordinata x1(t)

3
Spostamenti [mm]

-1

0,99 1,99 2,99 3,99 4,99


Tempo t [s]

9
Contributo modale 1
Contributo modale 2
8
Contributo modale 3
Coordinata x2(t)
7

6
Spostamenti [mm]

-1

0,99 1,99 2,99 3,99 4,99


Tempo t [s]
P a g . | 35

16
Contributo modale 1
15 Contributo modale 2
14 Contributo modale 3
Coordinata x3(t)
13
12
11
Spostamenti [mm]

10
9
8
7
6
5
4
3
2
1
0

0,99 1,99 2,99 3,99 4,99


Tempo t [s]

1.4 – Sistemi elastici lineari a più gradi di libertà – Il problema della risposta massima.
Come si osserva nell’applicazione precedente il primo modo di vibrare è nettamente predominate
rispetto al altri due. Ma non sempre possiamo usare l’integrale di Duhamel per dare una adeguata

una delle coordinate modali | t |Loy , e questo è sempre possibile, dato che stiamo risolvendo il
risposta ai nostri problemi reali. Si potrebbe pensare di determinare la risposta massima per ogni

nostro sistema complesso in modo disaccoppiato, cioè composto da singoli sistemi ad un grado di
libertà. Ma non possiamo affermare quanto segue:
Ðtno¥¥wsstw tq ntnA Lo ùwL nosstoLw
Φ
| 1 |Loy | i| a |gi | a
® → ‚| |Loy ž! &ž# ú| d | a û ≠ EçH ú|gd | a û
| ô |Loy | L| a LÞL |gL | a
Questo è dovuto al fatto che ogni modo di vibrare è definito da una propria frequenza, diversa per
ogni modo, per cui i massimi di ogni modo hanno una cadenza temporale diversificata. È
certamente vero che la risposta complessiva del sistema è data dalla combinazione dei vari modi di
vibrare, ma non possibile avere la risposta massima partendo direttamente da questi; si dovrà
trovare un modo di natura probabilistica che ci fornisca una valutazione complessiva del
problema, ma prima di questo vediamo di affrontare un’altra applicazione.
P a g . | 36

1.4.1 - Applicazione – Risposta massima di un sistema.


Molti argomenti sono già stati definiti nell’applicazione precedente,

abbiamo a che fare un semplice sistema a tre gradi di libertà 1 , e


quindi procederemmo in modo più spedito. Anche in questo caso

ô , che saranno le nostre coordinate modali. Partiamo dalla matrice

150 0 0
delle masse:

Ú 10ô " 0 130 0 #


0 0 75
La matrice delle rigidezze può essere trovata operando gli stessi
ragionamenti fatti nell’applicazione precedente, quindi utilizzando il
teorema di Clapeyron.

(11 (1 ( (1 ( (1ô 0 500 −200 0


" ( 1 = −( ( = ( + (ô ( ô = −(ô # = "−200 300 −100# 10Y
(ô1 = 0 (ô = −(ô (ôô = (ô 0 −100 100
5 −2 0
= 1011 "−2 3 −1#
0 −1 1
Gli autovalori del sistema sono le radici dell’equazione caratteristica det| I Ú| 0.
5 −2 0 150 0 0
det| I Ú| 0 → F1011 "−2 3 −1# − 10ô I " 0 130 0 #F = 0
0 −1 1 0 0 75
1,50
ï5 − I −2 0 ó
î 10 ß
òG
G 1,30
1011 î −2 3−I −1 ò =0
G î 10 ß
òG
î 0,75ò
í 0 −1 1−I
10ß ñ
1,50 1,30 0,75 0,75
1011 ÈŸ5 − I ›Ÿ3 − I Ÿ1 − I − 1œ + 2 ›−2 Ÿ1 − I œÀ = 0
10 ß 10 ß 10 ß 10ß
1,50 3 × 0,75 1,30 1,30 × 0,75 à 4 × 0,75
Ÿ5 − I ›3 − I I I 1œ − 4 + I 0
10 ô 10 ô 10 ô 10 ß 10ô
1,50 × 1,30 × 0,75 ß 1,30 × 0,75 × 5 1,50 × 3 × 0,75 1,30 × 1,50 à
− I Ÿ + + I
10Y 10ß 10ß 10ß
15 × 0,75 5 × 1,30
Ÿ − I 6=0
10ô 10ô
i, H dK iR, d H iJ, JK d
− S + S − S + =R
iRV iR iRL
Il tutto si riduce ad una risoluzione di una equazione del terzo ordine, posto che = I .
1,4625 ô 10,2 17,75
+ ß − +6=0
10 Y 10 10ô
Dato che non ho alcuna voglia di mettermi a giocare con le relazioni Cardaniche di rinascimentale
memoria; ho utilizzato il programma commerciale Mathematica 8 per venirne a capo.
P a g . | 37

1,4625 10,2 17,75


Plot › ô
6, Q , 0,5000Rœ
10Y 10ß 10ô

;
ùtwè
444,186 I1 21,076
1,4625 10,2 17,75 9 1
Solve › 6 0, œ →
ùtwè
2071,500 I 45,514
ô
10Y 10ß 10ô :
9 ùtwè
8 ô 4458,673 Iô 66,773
Abbiamo stabilito le pulsazioni proprie della struttura, vediamo che cosa altro possiamo

* 2Ö 1
affermare, partendo da queste:
; I1 21,076 → Ä1 0,298% → •1 3,354â
9 % I1 Ä1
9
* 2Ö 1
I 45,514 → Ä 0,138% → • 7,244â
: % I Ä
9
9I * 2Ö 1
66,773 → Äô 0,0941% → •ô 10,627â
8 ô
% Iô Äô
Ora è arrivato il momento si affrontare il problema degli autovettori, che sono dati dalla soluzione
del sistema » ¾ It Ú
¾ ¼ ìt 0. La matrice dei coefficienti presenta rango * 2, quindi
ôÞô ôÞô ôÞ1
abbiamo ∞ô‰ soluzioni, in altri termini gli autovettori saranno definiti a meno di una costante.
1) Autovettore 1 (primo modo di vibrare della struttura).
5 2 0 150 0 0 U1,1
E I1 ÚH 1 Q10 " 2 3
N
1# 10 Þ 21,076 " 0
ô
130 0 #• "U ,1 # 0
0 1 1 0 0 75 Uô,1
150
ï5 21,076 2 0 ó
î 10O ò U1,1
Oî 130 ò "U ,1 # 0
10 2 3 21,076 1
î 10O ò Uô,1
î 75 ò
í 0 1 1 21,076
10O ñ
150
; Ÿ5 21,076 U 2U ,1 0
9 10O 1,1
i
130
2U1,1 Ÿ3 21,076 U ,1 Uô,1 0 Ei "d, i J# Wi,i
: 10O L, dKi
9 75
8 U ,1 Ÿ1 21,076 U 0
10O ô,1
P a g . | 38

5 −2 0 150 0 0 U1,
2) Autovettore (secondo modo di vibrare della struttura).

E I1 ÚH 1 Q10 "−2 3 −1# − 10 × 45,514 " 0


N ô U
130 0 #• " , # = 0
0 −1 1 0 0 75 Uô,
150
ï5 − 45,514 −2 0 ó
î 10 O
ò U1,
Oî 130 ò "U , # = 0
10 −2 3 − 45,514 −1
î 10O ò Uô,
î 75 ò
í 0 −1 1 − 45,514
10O ñ
150
; Ÿ5 − 45,514 U − 2U , = 0
9 10O 1,
i
130
−2U1, + Ÿ3 − 45,514 U − U = 0 E " R, VHJ # Wi,d
: 10O , ô, d
i, JRV
9 75
8 −U , + Ÿ1 − 45,514 U =0
10O ô,
3) Autovettore ô (terzo modo di vibrare della struttura).
5 −2 0 150 0 0 U1,ô
E I1 ÚH 1 Q10 "−2 3 −1# − 10 × 66,773 " 0
N ô U
130 0 #• " ,ô # = 0
0 −1 1 0 0 75 Uô,ô
150
ï5 − 66,773 −2 0 ó
î 10 O
ò U1,ô
Oî 130 ò "U ,ô # = 0
10 −2 3 − 66,773 −1
î 10O ò Uô,ô
î 75 ò
í 0 −1 1 − 66,773
10O ñ
150
; Ÿ5 − 66,773 U − 2U ,ô = 0
9 10O 1,ô
i
130
−2U1,ô + Ÿ3 − 66,773 U ,ô − Uô,ô = 0 EL = "−R, IHH# Wi,L
: 10O R, L R
9 75
8 −U ,ô + Ÿ1 − 66,773 U =0
10O ô,ô

Procediamo ora alla normalizzazione della matrice degli autovettori con la matrice delle masse,

‘ * &!* &ℎ# Φ¾ E 1 ô H ++!* c é # ”!" ! &ž# % ³


come abbiamo visto nella teoria.

ôÞô
U1,1 2,167U1,1 3,251U1,1 150 0 0 U1,1 U1, U1,ô
ô U
10 ú 1, 0,947U1, −1,709U1, û " 0 130 0 # ú2,167U1,1 0,947U1, −0,844U1,ô û
U1,ô −0,844U1,ô 0,360U1,ô 0 0 75 3,251U1,1 −1,709U1, 0,360U1,ô
P a g . | 39

U1,1 2,167U1,1 3,251U1,1 150U1,1 150U1, 150U1,ô


10 úU1,
ô 0,947U1, −1,709U1, û ú 281,71U1,1 123,11U1, −109,72U1,ô û
U1,ô −0,844U1,ô 0,360U1,ô 243,825U1,1 −128,175U1, 27U1,ô
i, KKLWdi,i R R
iR ü R R, HI Wdi,d R ý=
R R R, dKdWdi,L

1,553U1,1 0 0
Imponiamo che…
1 0 0
M = ¯ → 10ß ú 0 0,486U1, 0 û = "0 1 0#
0 0 0,252U1,ô 0 0 1

; 1
<
9U1,1 = 1,553 × 10ß = 8,024 × 10
‰à

9
9
1
→ U1, = < = 1,434 × 10‰ô
: 0,486 × 10ß
9
9 1
9U1,ô = < = 1,992 × 10‰ô
8 0,252 × 10 ß

I, RdH × iR‰H i, HLH × iR‰L i, VVd × iR‰L


Quindi i nostri autovettori normalizzati alla matrice delle masse sono i seguenti:

¾ = EEi Ed EL H úi, JLV × iR‰L i, LKJ × iR‰L i, Ii × iR‰L û


L×L d, RV × iR ‰L
d, HKi × iR ‰L
J, iJi × iR‰H
Fin qui nulla di nuovo, abbiamo solo definito le caratteristiche intrinseche del nostro sistema, ora

j—cké—l f j—ck
Á—l f j—k —l
l’equazione che governa il nostro sistema è come al solito la seguente (in assenza di smorzamento):
c

µ\a´]Va`U µ\a´]Va`U ÔU ][U


Dopo aver normalizzato la matrice degli autovettori Φ, il tutto si semplifica come segue:
ÈÚ Φ ÚΦ IÀ
Òqqw¦o
³f f c
Φ Φ Ω
0,8024 1,739 2,609 5 −2 0 0,8024 1,434 1,992
Ω 10O " 1,434 1,357 −2,451# "−2 3 −1# " 1,739 1,357 −1,681#
1,992 −1,681 0,7171 0 −1 1 2,609 −2,451 0,7171
0,4443 0 0 I 1 0 0
= 10 " 0
ô 2,0682 0 #=ú0 I 0û
0 0 4,4637 0 0 Iô
A differenza dell’applicazione precedente, ora vediamo d’immaginare il nostro sistema soggetto ad
azione sismica, da quello che si è affermato nella teoria, ho che nel caso di forzante esterna fornita
da sollecitazione sismica, sappiamo che:
∀* = 1 − 3
! ¦ qr ¦‰ ntLo ¨ outwx
¦ ÚΦ¦
j—k—l
Φ ¦ „¦ I¦ M ¦ I¦ ¦ EΦ H¦
§ r so¦t o 1
n qt o Aw} AAw¦t
nwxw xw¦LoqtuuoAt
Come si può osservare nella scrittura dell’r-esima equazione ho considerato anche il termine
smorzante, dato che nell’analisi simica, e in particolare negli spettrogrammi è implicitamente

sono definiti per un particolare valore di smorzamento „.


compreso. Infatti tutti gli spettrogrammi (sia in spostamento, che in velocità ed in accelerazione)
P a g . | 40

¦
1
La soluzione per ogni è quella nota.
A
Û#* ∀ ¦ •¦ Ë ¦z , M ¦z Ì ° EΦ H¦ # ‰•X •X A‰¹ %#"™IvX º š º
Φ¦ ÚΦ¦ IvX P

0 ⋯ 0 1
Nel caso di forzante esterna fornita da azione sismica, sappiamo che:
1
1
0 … 0 0
" ⋮ # Ú
¾ ¾ * ü ý ü⋮ý
⋮ ⋮ ⋱ 0
x xÞx xÞ1
0 0 0
j—————k—————l x *x
%&% § r ¨ qqo w¦t txoq

E c é[H[
Ora possiamo riscrivere la nostra r-esima equazione, ma con forzante esterna fornita dal sisma.

f[ h[ Ëf[R , fM [R Ì cé
° ´ U‰ƒ[S[ ‰² TUV™S^[ ² š^²
[ [ S ^[ R

E c é[H[
Di tutta questa espressione ci interessa una parte particolare, ed esattamente questo blocco:

‹[ → Ã #% ! “ #"# #• " ! _]Uhh\_\UV U ^\ {a[ U_\{ab\]VU.


[é [
c

=1 0,8024 1,739 2,609 150 0 0 1


EΦ Ú*]
Vediamo di calcolarlo per il nostro particolare caso.

"= # = = " 1,434 1,357 −2,451# " 0 130 0 # "1#


=ô jΦ—
—k—ÚΦ —l 1,992 −1,681 0,7171 0 0 75 1
O1
120,36 226,07 195,68 1 542,11
= "215,10 176,41 −183,83# "1# = "207,68#
298,80 −218,53 53,78 1 134,05
L
Si può dimostrare che…

¬ d
, .X/.012 Y3Y/145 = 542,11 + 207,68 + 134,05 = 354.984Kg ≅ 355.000Kg
,Oi

= 542,11
Da qui è facile ottenere la percentuale di massa coinvolta nei vari modi di vibrare della struttura:
; Û* ! ! ! “ /* *# → 1 × 100 = × 100 = 82,8%
9 Ú wA. 355.000
9
= 207,68
‘#&!" ! ! ! “ /* *# → × 100 = × 100 = 12,1%
: Ú wA. 355.000
9 Ä#* ! ! ! “ /* *# → =ô × 100 = 134,05 × 100 = 5,1%
9
8 Ú wA. 355.000
Come si osserva il primo modo è quello che coinvolge maggiormente la massa del sistema,
comunque secondo la normativa dovrei considerare i primo due modi di vibrare come quelli
efficaci al fine del calcolo, dato che viene ad essere richiesta una percentuale di superamento del
90%.
Vediamo ora di tirarci fuori uno spettro elastico per la nostra sollecitazione sismica; per far ciò mi
riferisco all’NTC 2008. Prima si definisce lo spettro elastico in accelerazione delle componenti
orizzontali, solo successivamente possiamo definire quello riferito agli spostamenti. In primi

a´ → Õ__U`U[ab\]VU ][\bb]V a`U aTT\ a ^U` U[[UV]


utilizzando apposite tabelle o programmi, devo fissare i seguenti dati:

‚ R → Ôa`][U aTT\ ] ^U` ha ][U ^\ a {`\h\_ab\]VU ^U``] T{U []


c•∗ → ZU[\]^] ^\ \V\b\] ^U` [a ] a |U`]_\ à _]T aV U ^U``] T{U []
Dati di origine statistica che dipendono dalla posizione geografica della nostra opera e dal tempo
di ritorno (vedi pag. 65).
P a g . | 41

c i c
La relazioni che dovrò usare sono le seguenti:
;ZU[ R ] c ’ c
¶] _¶U
Ó ÕU c a´ Ó^ R › Ÿi œ
9 c ^ R c
9 ZU[ c ] c ’ c•
¶] _¶U
Ó ÕU c a´ Ó^ R
:
¶] _¶U c•
ZU[ c• ] c ’ cµ Ó ÕU c a´ Ó^ R Ÿ
9 c
9 ¶] _¶U c c
ZU[ cµ ] c Ó ÕU c a´ Ó^ R Ÿ d
• µ
8 c
Nelle quali Ä ed ‘ Ä sono, rispettivamente, periodo di vibrazione della struttura ed

per l’accelerazione di gravità $). Mentre gli altri parametri che appaiono sono i seguenti:
accelerazione spettrale orizzontale (solitamente è espressa in modo adimensionalizzato, cioè divisa

- ‘ è il coefficiente che tiene conto della categoria del sottosuolo e delle condizioni

‘ ‘ ‘ “# /#++
topografiche, mediante la seguente relazione:

- _ è il fattore che altera lo spettro elastico per coefficienti di smorzamento viscoso „ diversi
dal 5%, mediante la seguente:
10
_ < ≥ 0,55
5 „
Dove „ (espresso in percentuale) è valutato sulla base dei materiali, tipologia strutturale e
terreno di fondazione.
- P è il fattore che quantifica l’amplificazione spettrale massima, su un sito di riferimento

Äù è il periodo corrispondente all’inizio del tratto a velocità costante dello spettro, dato da:
rigido orizzontale, ed ha un valore minimo pari a 2,2.

Äù ~ù Äù∗
-

Dove ~ù è un coefficiente in funzione della categoria del sottosuolo (vedi tabella).


Ä` è il periodo corrispondente all’inizio del tratto dello spettro ad accelerazione costante:
Äù
-
Ä`
3
- ÄÐ è il periodo corrispondente all’inizio del tratto a spostamento costante dello spettro,
espresso in secondi mediante la relazione:
ÄÐ 4,0 1,6
$
P a g . | 42

Vediamo ora le relazioni che ci permettono di definire i coefficienti ‘ , ~ù e ‘ .

Le suesposte categorie topografiche si riferiscono a configurazioni geometriche prevalentemente


bidimensionali, creste o dorsali allungate, e devono essere considerate nella definizione dell’azione
sismica se di altezza maggiore di 30m.
P a g . | 43

Per le categoria del sottosuolo si faccia riferimento a quanto segue:

Come si osserva la classificazione in base ai valori della velocità equivalente än,ôP di propagazione
delle onde di taglio entro i primi 30 m di profondità. Per le fondazioni superficiali, tale
profondità è riferita al piano di imposta delle stesse, mentre per le fondazioni su pali è riferita alla
testa dei pali. Nel caso di opere di sostegno di terreni naturali, la profondità è riferita alla testa
dell’opera. Per muri di sostegno di terrapieni, la profondità è riferita al piano di imposta della

L’accelerazione massima orizzontale , il valore massimo di amplificazione dello spettro e Äù∗ , il


fondazione.

periodo di inizio del tratto a velocità costante dello spettro, andranno cercati nelle apposite
tabelle, allegate alla fine della normativa in funzione delle coordinate geografiche del sito di

Lo spettro di risposta elastico in spostamento delle componenti orizzontali ÓµU c si ricava dalla
interesse.

corrispondente risposta in accelerazione ÓÕU c mediante la seguente espressione:


c d
ÓµU c Ó ÕU c Ÿ
de
Purché il periodo di vibrazione T non ecceda i valori Tb indicati in Tab. 3.2.VIII.

Per periodi di vibrazione eccedenti ħ , le ordinate dello spettro possono essere ottenute dalle

Ä Ä§
formule seguenti:
Û#* ħ ’ Ä ] Ä· ‘Ðe Ä 0,025 ‘Äù ÄÐ › P _ 1 œ
dw ¥
P_
c ķ ħ
w ¥
Û#* Ä – Ä· ‘Ðe Ä
P a g . | 44

I valori dello spostamento orizzontale e della velocità orizzontale “ massimi del terreno sono

0,025 ‘Äù ÄÐ
dati dalle seguenti espressioni (NTC2008 - §3.2.3.3):
È
“ = 0,16 ‘Äù
Dopo averci tirato fuori dalla normativa tutte queste relazioni, vediamo di costruirci il nostro
spettro in accelerazione per le componenti orizzontali, per far ciò usiamo il programma del Prof.
Gelfi.

Solo a titolo didattico ci possiamo ricavare lo spettro completo in termini di spostamento, in


alternativa ci potremmo determinare direttamente i nostri valori puntuali.
P a g . | 45

Spettro in spostamento delle componenti orizzontali.


0,12

0,1

0,08
Sd (T) [m]

0,06

0,04

0,02
Spostamenti
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 3,5 4 4,5
T [s]

4,188 → ‘Ðe Ä1 = 0,0094


In particolare…
; Ä1 0,298 → ‘Òe Ä1 %
9
Ä = 0,138 → ‘Òe Ä 3,874 → ‘Ðe Ä = 0,0019
: %
9Ä = 0,0941 → ‘ Ä 3,158
→ ‘Ðe Äô = 0,0007
8 ô Òe ô
%
In riferimento alle coordinate modali, vediamo di definirne il valore massimo, dato che gli spettri
in spostamento (ma anche in accelerazione) non sono altro che l’espressione dei valori massimi

| 1 |Loy =1 ‘Ðef‡ Ä1 , „1 = 542,11 × 0,0094 = 5,096


dell’integrale di Duhamel per le varie serie storiche.

‚| |Loy = ‘Ðefˆ Ä , „ = 207,68 × 0,0019 = 0,395


| ô |Loy =ô ‘Ðefg Äô , „ô = 134,05 × 0,0007 = 0,094
Come abbiamo detto all’inizio l’operazione seguente non ha senso, dato che i massimi dei vari

| 1 |Loy | 1 |Loy
modi di vibrare non sono contemporanei:

ú| |Loy û ≠ EΦH
ç ú| |Loy û
| ô |Loy ôÞô | ô |Loy
Ma possiamo esprimere diversamente il tutto, difatti possiamo procedere alla separazione degli

separandoli per i singoli modi di vibrare. Cioè introduciamo la matrice EhH…


effetti; in altri termini esprimiamo i massimi spostamenti riferiti ai singoli gradi di libertà,

\[ a W\[ ‹[ ÓµU,[ c[ , ƒ[
ii id iL
‹i ÓµUfi ci , ƒi R R
Ei] = " di dd dL # E Hú R ‹d ÓµUfd cd , ƒd R û
Li Ld LL R R ‹L ÓµUfL cL , ƒL
P a g . | 46

11 1 1ô 0,8024 1,434 1,992 5,096 0 0


EhH " 1 ô# 10‰ô " 1,739 1,357 −1,681# " 0 0,395 0 #
ô1 ô ôô 2,609 −2,451 0,7171 0 0 0,094
4,089 × 10‰ô 5,664 × 10‰à 1,872 × 10‰à
= ú8,862 × 10‰ô 5,360 × 10‰à −1,580 × 10‰à û
1,330 × 10‰ −9,681 × 10‰à 6,741 × 10‰O
La componente t¦jkl , può essere definita come il massimo contributo all’i-esimo grado di libertà
per l’r-esimo modo di vibrare; come possiamo osservare per il primo modo di vibrare, abbiamo
spostamenti via via maggiori passando dall’impalcato del primo piano 1 , a quello di sommità
ô . È anche del tutto evidente che questo modo di esprimere gli spostamenti massimi, anche se
coretto formalmente, è alquanto scomodo, quindi si è proceduto all’individuazione di una
valutazione statistica, che permetta di trovare un valore comunque rappresentativo. Il modo è
quello di operare la radice quadrata dei quadrati (SRSS), è bene precisare che facendo ciò si
perdono i segni, anche se questo non è un fatto grave dato che le sollecitazioni sismiche, per lo
natura, agiscono in tutte le direzioni. Ma cosa più importante, si perde la linearità dei nostri
problemi, cioè non possiamo sommare direttamente azioni diverse, ma si dovrà sempre applicare
la relazione SRSS.
ïJ d d d ó
î ò … 4,089 × 10‰ô ) + 5,664 × 10‰à ) + 1,872 × 10‰à )
ii id iL

î ò
© îJ
d
di
d
dd dL ò
d ü… 8,862 × 10‰ô ) + 5,360 × 10‰à ) + 1,580 × 10‰à ) ý
LÞi î ò … 1,330 × 10‰ ) + 9,681 × 10‰à ) + 6,741 × 10‰O )
îJ d d d ò
í Li Ld LL ñ

1 4,132 × 10‰ô
© ú û ú8,880 × 10‰ô û
ôÞ1 ô 1,334 × 10‰
Questo vale sia per gli spostamenti sia per le accelerazioni, ma anche per tutti gli sforzi (normali,
di taglio o flettenti), che dovranno in ogni caso ottenersi con la relazione SRSS. Ricordo altresì che
questo modus operandi non ha alcuna attinenza con la fisica del nostro problema, ma è solamente
una valutazione statistica, rispondente a determinati criteri probabilistici. Il vantaggio è quello di
ottenere un valore rappresentativo per i singoli gradi di libertà. La normativa permette di usare
anche un’altra relazione probabilistica che prende il nome di CQC, cioè correlazione quadratica
completa, data la sua complessità viene ad essere usata quasi esclusivamente in ambito
computazionale.
; ÓmÓÓ → <¬
d
9
[
[

:
9•n• → <¬ ¬ o[T [ T
8 [ T
Dove p¦n è il coefficiente di correlazione tra il modo * ed il modo %, ed è fornito dalla seguente:
S L
Iƒd JŒST •
o[T [
ST ST d S
Œi S • ›Œi S • Hƒd ST œ
[ [ [
Il metodo SRSS ha delle buone prestazioni quando le frequenza angolari I¦ dei vari modi di
vibrare sono lontane tra di loro, altrimenti dovremmo usare la combinazione quadratica completa.
P a g . | 47

1.5 – Perdita dell’ipotesi di elasticità lineare.


Fino ad ora abbiamo considerato i nostri sistemi a comportamento elastico lineare perfetto,
quindi alla conclusione di un percorso di deformazione abbiamo il ripristino delle condizioni di
riposo. Vediamo ora di rimuovere questa semplificazione, dato che per le nostre strutture reali
possono essere sottoposte a deformazioni (durante un evento sismico), ben al di là del loro campo
elastico (lineare o meno). La normativa ci potrebbe vincolare nel mantenimento dell’operatività,
nel caso di strutture di importanza strategica (ospedali, caserme, ecc.), oppure per le nostre
strutture convenzionali ci viene chiesto il non crollo delle stesse, cioè la salvaguardia delle vite.
Quindi, tranne particolari casi, alle strutture viene richiesto di entrare in campo plastico e di
deformarsi permanentemente.

In assenza di analisi dinamiche non lineari appropriate (al passo), possiamo considerare un
metodo semplificato; le capacità dissipative delle strutture possono essere messe in conto
attraverso una riduzione delle forze elastiche, che tiene conto in modo semplificato della capacità
dissipativa anelastica della struttura, della sua sovraresistenza, dell’incremento del suo periodo
proprio a seguito delle plasticizzazioni. In altri termini continuo sempre a progettare la mia

garantirne la duttilità Œq • curo i particolari costruttivi della stessa, con il metodo della
struttura in campo elastico, ma con delle forze fittiziamente inferiori, e al contempo per
Óg
ÓU
gerarchia delle resistenze. In riferimento al punto §3.2.3.5 dell’NTC-2.008, lo spettro di progetto
da utilizzare, per le componenti orizzontali, sarà ottenuto con le medesime formule, ma si dovrà

sostituire il fattore _ con , dove è definito fattore di struttura.
¶] _¶U a´ Ó R c i c
;ZU[ R ] c ’ c Ó Õ^ c › Ÿi œ8
9 f c ^ R c 9
9 ¶] _¶U a´ Ó R 9
9 ZU[ c ] c ’ c• Ó Õ^ c 9
f
≥ R, da´
: ¶] _¶U a´ Ó R c• 7
ZU[ c• ] c ’ cµ Ó Õ^ c Ÿ
9 f c 9
9 a´ Ó R c• cµ 9
9 ZU[ cµ ] c
¶] _¶U
Ó Õ^ c Ÿ d 9
8 f c 6
Il valore del fattore di struttura q da utilizzare per ciascuna direzione della azione sismica, dipende
dalla tipologia strutturale, dal suo grado di iperstaticità e dai criteri di progettazione adottati e
prende in conto le non linearità di materiale. Esso può essere calcolato tramite la seguente

f fR Ám
espressione:
P a g . | 48

P
dalla tipologia strutturale e dal rapporto = /=1 tra il valore dell’azione sismica per il quale
- è il valore massimo del fattore di struttura che dipende dal livello di duttilità attesa,

si verifica la formazione di un numero di cerniere plastiche tali da rendere la struttura


labile e quello per il quale il primo elemento strutturale raggiunge la plasticizzazione a
flessione.
- r è un fattore riduttivo che dipende dalle caratteristiche di regolarità in altezza della
costruzione, con valori pari ad 1 per costruzioni regolari in altezza, e 0,8 per costruzioni
non regolari.

2 – LE BASI METODOLOGICHE PER LA PROGETTAZIONE.


2.1 – Introduzione – Classificazione dell’opera.
Questo capitolo vuole essere un compendio, più o meno esaustivo, di tutte le tematiche affrontate
nel corso di questa dispensa, ma non solo. Si parte come al solito da una approfondita analisi della
normativa esistente, in primis l’NTC del 2.008, fino ad affrontare, con approfonditi richiami, tutti
i problemi legati al calcolo sismico. La normativa Italiana di riferimento si trova ad essere
suddivisa in dodici capitoli:
1) Premessa e oggetto.
2) Sicurezza e prestazioni attese.
3) Azioni sulle costruzioni.
4) Verifiche statiche (Costruzioni civili e industriali).
5) Ponti.
6) Progettazione geotecnica.
7) Progettazione per azioni sismiche.
8) Costruzioni esistenti.
9) Collaudo statico.
10) Redazione dei progetti strutturali esecutivi e delle relazioni statiche.
11) Materiali e prodotti per uso strutturale.
12) Riferimenti tecnici.
I capitoli campiti in rosso saranno quelli di maggior interesse per noi. Il primo passo nello studio
di una struttura esistente o meno, è quello di definirne i parametri geometrici e gli elementi
costituenti (travi, pilastri, solai, setti, ecc.), da ciò ne potremmo ricavarne gli schemi strutturali da
utilizzare nella modellazione. Nella corretta valutazione delle azioni diviene fondamentale

ä di un’opera strutturale è il numero di anni nei quali la struttura può adempiere al suo
conoscere la vita nominale di una struttura, più comunemente definita vita utile. La vita nominale

compito, purché soggetta alla sola manutenzione ordinaria. La durata della vita nominale dipende
dall’importanza dell’opera stessa:

In presenza di azioni sismiche, con riferimento alle conseguenze di una interruzione di operatività
o di un eventuale collasso, le costruzioni sono suddivise in classi d’uso così definite:
1) Classe I: costruzioni con presenza solo occasionale di persone, edifici agricoli.
2) Classe II: costruzioni il cui uso preveda normali affollamenti, senza contenuti pericolosi
per l’ambiente e senza funzioni pubbliche e sociali essenziali. Industrie con attività non
pericolose per l’ambiente. Ponti, opere infrastrutturali, reti viarie non ricadenti in Classe
P a g . | 49

d’uso III o in Classe d’uso IV, reti ferroviarie la cui interruzione non provochi situazioni di
emergenza. Dighe il cui collasso non provochi conseguenze rilevanti.
3) Classe III: costruzioni il cui uso preveda affollamenti significativi. Industrie con attività
pericolose per l’ambiente. Reti viarie extraurbane non ricadenti in Classe d’uso IV. Ponti e
reti ferroviarie la cui interruzione provochi situazioni di emergenza. Dighe rilevanti per le
conseguenze di un loro eventuale collasso.
4) Classe IV: Costruzioni con funzioni pubbliche o strategiche importanti, anche con
riferimento alla gestione della protezione civile in caso di calamità. Industrie con attività
particolarmente pericolose per l’ambiente. Reti viarie di tipo A o B, di cui al D.M. 5
novembre 2001, n. 6792, “Norme funzionali e geometriche per la costruzione delle
strade”, e di tipo C quando appartenenti ad itinerari di collegamento tra capoluoghi di
provincia non altresì serviti da strade di tipo A o B. Ponti e reti ferroviarie di importanza
critica per il mantenimento delle vie di comunicazione, particolarmente dopo un evento
sismico. Dighe connesse al funzionamento di acquedotti e a impianti di produzione di
energia elettrica.

riferimento är che si ricava, per ciascun tipo di costruzione, moltiplicandone la vita nominale
Le azioni sismiche su ciascuna costruzione vengono valutate in relazione ad un periodo di

ä per il coefficiente d’uso ~s :


Ô m Ôt • u
Il valore del coefficiente d’uso ~s è definito, al variare della classe d’uso, dalla tabella seguente.

Se är risulta essere inferiore ai 35 anni, lo si pone comunque uguale a 35 anni.


P a g . | 50

2.2 – Le azioni.
Prima di tutto vediamo di fornire una serie di classificazioni.
1) Azioni dirette: comprendono tutti i carchi gravitazionali, le azioni del vento e della neve.
2) Azioni indirette: queste sono le coazioni, le distorsioni vincolari, dilatazioni termiche,
ritiro e viscosità, queste sono tutte sollecitazioni che dipendono dalle caratteristiche
interne del materiale.
3) Degrado ambientale: anche questo è visto come un’azione esterna, ed è un nuovo modo di
pensare al degrado ambientale, inteso come la corrosione per l’acciaio, oppure i cicli di
gelo e disgelo per il calcestruzzo.
Ed inoltre le azioni si dividono in:
1) Statiche.
2) Pseudo-statiche: queste sono tutte le azioni dinamiche che possono essere rappresentate
mediante un’azione statica equivalente, ad esempio l’azione del vento.
3) Dinamiche.

1) Azioni permanenti v : sono tutte le azioni che agiscono per tutta la durata della vita
Altra classificazione:

strutturali v1 , i carchi permanenti portati v , cioè tutti i carchi permanenti non


nominale (vita utile) della struttura, tra queste troviamo il peso proprio degli elementi

strutturali (pavimenti, tramezze), i carichi permanenti portati possono essere considerati

permanenti troviamo l’azione di precompressione Û , fenomeni di ritiro e viscosità, e


delle vere è proprie azioni permanenti, a discrezione del progettista. Sempre tra le azioni

2) Azioni variabili à : qui possiamo trovare le azioni variabili di breve durata (vento,
distorsione imposte all’atto della costruzione.

dilatazioni termiche giornaliere, ecc.), rispetto alla vita utile della struttura, o di lunga

3) Azioni eccezionali F : qui troviamo gli urti, gli impatti e gli incendi, tutte azioni che si
durata (calpestio, mobili, neve, dilatazioni termiche stagionali, ecc.).

verificano eccezionalmente durate la vita utile di una struttura.


4) Azioni sismiche : azioni derivanti dai terremoti.
Tutte queste azioni vengono combinate tra di loro.

S.L.U.–Combinazione fondamentale→ Fx γz‡ G|‡ γzˆ G|ˆ γ} P| γ~‡ Q|‡ ∑:ƒO ψP‚ γ~‚ Q|‚
S.L.E.–Combinazione rara → Fx G|‡ G|ˆ P| Q|‡ ∑:ƒO ψP‚ Q|‚
S.L.E.–Combinazione frequente → Fx G|‡ G|ˆ P| ψ11 Q|‡ ∑:ƒO ψ ‚ Q|‚
S.L.E.–Combinazione quasi permanente → Fx G|‡ G|ˆ P| ∑:ƒO1 ψ ‚ Q |‚

Come possiamo osservare nella combinazione fondamentale l’azione variabile Q|‡ è l’azione

combinazione ψP‚ , che tiene conto della non contemporaneità delle azioni. Mentre tutti i
principale, mentre tutte le altre sono tra di loro combinate, tramite un coefficiente di

coefficienti γ, ci servono per passare al valore di calcolo delle azioni, partendo da quello
caratteristico, essi si presentano con valori diversi, in ragione del fatto se stiamo considerando
combinazione sfavorevoli o favorevoli alla sicurezza. La combinazione fondamentale viene ad
essere utilizzata per la verifica a rottura della struttura. Si deve anche dire che la normativa fissa
altre due combinazioni:

Azioni eccezionali → Fx G|‡ G|ˆ P| Ax ∑:ƒO1 ψ ‚ Q|‚


Azione sismica → …0 †‡i †‡d ˆ‡ ‰0 ∑-3Oi Šd3 ‹‡3
P a g . | 51

Le azioni Ax ed Ex sono già le azioni di calcolo, infatti esse dipendono dall’importanza


dell’edificio, in particolare l’azione sismica dipende dalla classificazione dell’edificio e dalla classe
di duttilità usata. A questo punto possiamo riportare i valori dei coefficienti di combinazione.

Per quanto riguarda invece i coefficienti di sicurezza il Testo Unico distingue tre livelli di verifica:
- Lo stato limite di equilibrio come corpo rigido (EQU).
- Lo stato limite di resistenza della struttura, compresi gli elementi di fondazione (STR), ed
è quello più utilizzato.
- Lo stato limite di resistenza del terreno (GEO).
Le EQU sono le verifiche di equilibrio, mentre le STR sono le verifiche di resistenza, ed infine le
GEO sono le verifiche geotecniche, per quest’ultime due si possono usare due approcci diversi, il
primo consente di utilizzare due serie di coefficienti di sicurezza diversi, il primo per le azioni e la
resistenza dei materiali, il secondo per le verifiche globali. Mentre il secondo approccio consiste
nell’utilizzare un’unica terna di coefficienti di sicurezza, anche se tale modo di procedere è gravoso
per le verifiche geotecniche.

Tra i carichi permanenti portati v abbiamo anche il peso degli elementi divisori interni, questi
possono essere equiparati a una carico uniformante distribuito, questo è possibile qualora il peso
delle tramezze è trascurabile rispetto al peso degli elementi strutturali che le portano. Questa
ipotesi è generalmente verificata per le strutture in calcestruzzo armato e quelle in acciaio, mentre
P a g . | 52

per le strutture in legno, generalmente, le tramezze sono portate da singoli elementi strutturali

v ] 1,00 L → $ 0,40Lˆ
(travi), che quindi devono essere dimensionati ad hoc.
Í Í
;
91,00 ’ v ] 2,00Í → $ 0,80Lˆ
Í
9 L
Û#* #+# #" “ %!* &!" 2,00 ’ v ] 3,00 L → $ 1,20Lˆ
Í Í

:
93,00 ’ v ] 4,00 L → $ 1,60Lˆ
Í Í

9
84,00 ’ v ] 5,00 L → $ 2,00Lˆ
Í Í

utili per determinare l’azione del peso proprio v1 della struttura portante, da una parte, e dei
Vediamo ora di riportare il peso specifico dei materiali strutturali più utilizzati, questi tornano

carichi permanenti portati dall’altra v .

Altro discorso sono i carichi variabili ÃK , questi possono essere costituiti da:
1) Carichi verticali uniformante distribuiti K .
2) Carichi verticali concentrati ÃK .
3) Carichi orizzontali lineari âK .
Chiaramente tutti questi carichi sono legati alla destinazione d’uso dell’edificio, i primi vanno
utilizzati per le verifiche globali della struttura, mentre i secondi per le verifiche locali, tenendo
P a g . | 53

ben presente il fatto che devono essere applicati separatamente. Quelli concentrati solitamente
vengono applicati con un’impronta quadrata 50x50mm, tranne per le autorimesse dove
l’impronta deve essere pari a 200x200mm, con un interasse di applicazione pari a 1,8m.
P a g . | 54

2.3 – Azione normale del vento.


Il vento è un’azione che varia nel tempo e nello spazio, dando luogo ad effetti di natura dinamica
sulle strutture. Per le strutture convenzionali si farà riferimento a un’azione statica equivalente,
mentre per tutte le altre strutture sulle quali l’azione del vento può generare degli effetti dinamici
non trascurabili, si deve fare riferimento a particolari metodologie di calcolo.

Sulle strutture usualmente ho uno stato di pressione positiva sulle facce esposte al vento, mentre
per le altre facce sottovento l’azione è data da una depressione negativa, sulle coperture posso
avere sia una pressione positiva che una depressione, questo dipende principalmente dalla sua
pendenza, in generale si ha una depressione con un effetto di sollevamento della copertura. Per gli
edifici completamente stagni all’interno ho uno stato di pressione nullo, mentre per gli edifici che
presentano un’apertura, posso avere uno stato di depressione interna se l’apertura è sottovento,
oppure di pressione positiva se l’apertura è sopravento. La direzione del vento usualmente viene
considerata agente lungo gli assi principali della struttura, mentre si considera anche la direzione
inclinata in quelle strutture nelle quali sono assenti i diaframmi (solai o croci), ad esempio i
tralicci dell’altatensione.
Da un punto di vista più prettamente progettuale noi considereremmo la pressione del vento, la

{ f• _U _{ _^
cui componente normale alla superficie esposta è:

A questo punto vediamo come si determinano le singole componenti di questa relazione.

1) PRESSIONE CINETICA DI RIFERIMENTO Ž .


Prima di tutto si deve affermare che la pressione esercitata dal vento è proporzionale al quadrato

1
della sua velocità.
p“
Ž
2 Ž
- ρ è la densità dell’aria assunta convenzionalmente pari a 1,25j•‘
g.

- v’ è la velocità di riferimento del vento.


La velocità di riferimento v’ è il valore caratteristico della velocità del vento a 10 m dal suolo su

di 50 anni. Tale velocità di riferimento dipende dalla quota a” :


un terreno di categoria di esposizione II, mediata su 10 minuti e riferita ad un periodo di ritorno

“Žz %# n ] P
“Ž = È
“Žz (o n P %# P ] n ] 1.500
Dalla tabella seguente possiamo ricavare tutti i dati necessari per determinare v’ , mentre per
altitudini superiori si deve fare riferimento a dati sperimentali, o da indagini statistiche
adeguatamente comprovate.
P a g . | 55

In mancanza di indagini statistiche adeguate, la velocità di riferimento del vento v’ Tr riferita ad


un generico periodo di ritorno Tr può essere valutata, nel campo compreso tra 10 e 500 anni, con
l’espressione:
1
“Ž Ä* =r Ä* Þ “Ž ¦OOP !“# =r Ä* 0,75<1 0,2+" › +" Ÿ1 œ
Ä*

2) COEFFICIENTE DI ESPOSIZIONE & .


Il coefficiente di esposizione c– dipende dall’altezza z sul suolo del punto considerato, dalla
topografia del terreno, e dalla categoria di esposizione del sito ove sorge la costruzione. In assenza
di analisi più approfondite, tale coefficiente è dato dalle seguenti relazioni, per quote non
superiori ai 200m:

 z   z 
ce = k r2 ct ln  7 + ct ln   per z ≥ z min
 z 0   z0  
ce = ce ( z min ) per z < z min
Dove &A è il coefficiente di topografia, esso solitamente viene preso uguale all’unità, il suo scopo è
quello di considerare l’incremento di velocità del vento lungo scarpate e colline isolate. Mentre
tutti gli altri coefficienti vengono ad essere definiti dalla seguente tabella:
P a g . | 56

Mentre la categoria di esposizione viene ad essere definita dalle seguenti tabelle:


P a g . | 57

Il coefficiente di esposizione & presenta il seguente andamento, distinto per categoria di


esposizione:

3) COEFFICIENTE DI FORMA &s .


Partendo dal caso più semplice che è quello di un edificio stagno a pianta rettangolare, con una

&s 0,8 (sovrapressione), mentre quelle in sottovento &s 0,4 (depressione), questo vale
copertura a falde/piana oppure curva. Le pareti verticali esposte al vento (sopravvento) si pone un

anche per le falde sopravento con un angolo α compreso tra i 0° e i 20°, come si può notare qui di
seguito:
P a g . | 58

- per costruzioni completamente stagne &st 0;


Per la valutazione della pressione interna si assumerà:

- per costruzioni non stagne &st 30,2 (si sceglie la combinazione più sfavorevole).

Per quelle costruzioni che possono presentare (anche eccezionalmente) una parete con una

- se la parete aperta è a sopravvento &st 0,8;


apertura superiore al 33% della superficie totale:

- se la parete aperta è a sottovento o parallela al vento &st 0,5.

Per gli edifici non stagni, si deve prendere in considerazione come direzione del vento la direzione
definita dall’apertura, in altri termini devo considerare come direzione del vento quella più
gravosa per l’edificio. Altro caso di interesse sono le coperture multiple (coperture industriali), per
queste si considera che la prima copertura colpita dal vento (sopravvento) sia caratterizzata dai
coefficienti definiti in precedenza. Per la copertura successiva il coefficiente di forma relativo allo
spiovente sopravvento deve essere ridotto del 25%. Dalla terza copertura in poi il coefficiente deve
essere ridotto del 25% per entrambi gli spioventi, questo per la verifica dei singoli elementi.
P a g . | 59

Mentre per la verifica globale si applicano al primo e all’ultimo spiovente le pressioni valutate
secondo quanto stabilito in precedenza, ed inoltre si considera applicata alla superficie proiettata
in piano di tutte le parti del tetto, un’azione superficiale orizzontale di tipo tangenziale il cui

”± 0,10“Ž &
valore unitario è assunto convenzionalmente pari a:

Mentre per le tettoie o le pensiline isolate che abbiano un rapporto tra la massima altezza al suolo

relazioni per la valutazione del coefficiente di forma &s .


e la dimensione orizzontale massima, non superiore a uno. Sono caratterizzate dalle seguenti

cp 30,8 1 senα → per spiovente sopravvento


Tettoie o pensiline a due spioventi ê
cp 30,6 → per spiovente sottovento
Tettoie o pensiline a un solo spiovente → c™ 31,2 1 senα

travi piene isolate. Definisco con ‘ la superficie vuoto per pieno della trave, mentre chiamo ‘s la
Altro caso è quello che riguarda la valutazione del coefficiente di forma per le travi reticolari, o

superficie definita dalle parti piene della trave, in questo modo mi posso determinare la
percentuale ϕ di foratura. Risulta evidente che la pressione va valutata agente solamente sulle parti

4
piene della trave:

‘s s ¦ ¥ t ; & 2 U ”#* 0 ] U ] 0,3


s
3
U
‘ : &s 1,6 ”#* 0,3 ’ U ] 0,8
8&s 2,4 U ”#* 0,8 ’ U ] 1
Generalmente per le travi reticolari si valuta un &s pari a 1,4. Anche per le travi multiple (ad
esempio per i ponti) si tiene conto dell’effetto della schermatura.
P a g . | 60

ž delle travi, il valore della pressione sull’elemento successivo sarà pari a quello precedente
Quindi per le travi disposte parallelamente a una distanza non maggiore del doppio dell’altezza

2
moltiplicato per un coefficiente riduttivo µ:
; š 1 1,2U ”#* U ]
9 3
2
9 š 0,2 ”#* U –
3
:Û#* < 5 → š 1 $+ #+ #" % &!"% #* "! %!+
9 ž
9
8 Û#* 2 ] ž ’ 5 % ”*!&# # ”#* " #*”!+ !"# + "# *#
Per maggiori dettagli inerenti a pali, tralicci, corpi cilindrici e corpi sferici, viene fatto rimando
alla circolare, alle pagg. 27-28 del cap. 1-3.
Altro problema che merita attenzione sono le pressioni massime locali nelle zone di discontinuità
della forma esterna della costruzione ed, in particolare, nelle strutture secondarie disposte nella
fascia perimetrale dell’edificio ed in corrispondenza dei displuvi, il valore assoluto del coefficiente
di pressione può subire sensibili incrementi. Tali effetti, dovuti a vorticosità

valutati assumendo, per le zone comprese nelle fasce sopra descritte, il coefficiente &s 1,8.
Locale (distacco di vortici), in assenza di specifiche prove in galleria del vento, potranno essere
P a g . | 61

4) COEFFICIENTE DINAMICO &v .


Quasi sempre esso viene assunto cautelativamente pari a all’unità, ma può essere valutato tramite
l’uso di tabelle che sono riportate nell’Eurocodice 1, esso tiene conto della non contemporaneità
delle massime pressioni locali, e degli effetti amplificativi dovute alle vibrazioni strutturali, nelle
figura seguente riportiamo l’esempio di un grafico che si riferisce a un edificio in muratura o in
c.a..

2.4 – Azione tangenziale del vento.

{h f• _U _h
L’azione tangente del vento può essere valutata tramite l’uso della seguente relazione:

Mentre Ž e & sono già stati definiti in precedenza, lo stesso non si può dire per il coefficiente
d’attrito &± , funzione della scabrezza della superficie sulla quale il vento esercita l’azione tangente.
Alcuni valori di cf sono di seguito riportati:
P a g . | 62

2.5 – Azione della neve.


Per il carico da neve la normativa fissa un valore di progetto n , che esprime l’azione della neve, la
quale azione è riferita all’orizzontale, e si misura in Š å› Ž:
fT q\ fT _U _

Carico da neve lungo la verticale Carico da neve lungo l'elemento


qs

qscos α

α α

l l
La normativa fornisce il carico da neve in proiezione orizzontale, quindi per determinare la
componente del carico lungo l’elemento di copertura, si deve moltiplicarlo per il coseno di α.
Tutto quello che ora si esporrà vale per quote inferiori ai 1.500m e per tempi di ritorno di 50
anni, per quote superiori si dovrà fare riferimento ad analisi locali. Mentre per tempi di ritorno

~ä Þ √6
superiori si devono utilizzare le seguenti relazioni.
1 Eln ln 1 Û¦ 0,57722H 1
50 c Ö œ Û¦
nK Ä* nK Ä*
1 2,5923 Þ ~ä Ä*

Dove CV è il coefficiente di variazione della serie dei massimi annuali del carico della neve, che
per tempi di ritorno superiori ai 50 anni può essere assunto pari a 0,6.

1) VALORE CARATTERISTICO DI RIFERIMENTO nK .


Esso esprime il carico della neve al suolo (e quindi sull’orizzontale), e dipende dalla zona di
interesse e dalla quota sul mare del sito.
P a g . | 63

2) COEFFICIENTE DI ESPOSIZIONE & .


Il coefficiente di esposizione può essere utilizzato per modificare il valore del carico neve in
copertura in funzione delle caratteristiche specifiche dell’area in cui sorge l’opera. Esso
solitamente è assunto pari all’unità, anche se per alcune classi di topografia si può far riferimento
alla seguente tabella.

3) COEFFICIENTE TERMICO &A .


Il coefficiente termico può essere utilizzato per tener conto della riduzione del carico neve a causa
dello scioglimento della stessa, causata dalla perdita di calore della costruzione, ad esempio per la
presenza di panelli radianti, o per tenere conto delle proprietà di isolamento della copertura
stessa. Cautelativamente esso si prende pari all’unità.

4) COEFFICIENTE DI FORMA št .
Vedremmo ora il coefficiente di forma da utilizzare nei casi seguenti:
Copertura ad una falda.
Copertura a due falde.
Copertura a più falde.
Coperture cilindriche.
Coperture adiacenti o vicine a costruzioni più alte.
Effetti locali (sporgenze, carichi sugli sporti, barriere paraneve).
Prima di tutto vediamo di definire i valori del coefficiente di forma in funzione della pendenza
della copertura:
P a g . | 64

Per tutte le casistiche che seguono si deve fare rifermento al carico da neve con calma di vento e
con vento, infatti si deve tenere conto dell’accumulo della stessa.

• Copertura ad una falda.


La condizione riportata deve essere utilizzata per entrambi i casi di carico con o senza vento.

• Copertura a due falde.


Si assume che la neve non abbia impedimenti nello scivolamento, altrimenti il valore del
coefficiente di forma non potrà essere inferiore a 0,8. Per il carico da neve in assenza di vento si
deve utilizzare la condizione I, mentre per la neve con vento si deve usare la condizione più
gravosa tra la II e la III.

• Copertura a più falde.


Anche in questo caso il carico da neve in condizioni di assenza di vento, sarà il caso I, mentre con
presenza di vento si dovrà fare riferimento al caso II. Particolare attenzione va rivolta al
coefficiente di forma da utilizzare nel compluvio, nel caso in cui almeno una delle falde assuma
una pendenza superiore ai 60°.
P a g . | 65

• Coperture cilindriche.
Per le coperture cilindriche devono essere considerate due combinazioni di carico, quello
simmetrico e quello assimetrico, che corrispondo rispettivamente al carico da neve in assenza di
vento (Caso I), e in presenza di vento (Caso II). Si suppone che il scivolamento della neve non sia
impedito.
Come si può notare la neve insiste fin tanto
che la curvatura non presenti una

quindi +n ’ /. Valori del coefficiente μô :


inclinazione puntuale superiore ai 60°,

Û#* > – 60° → šô 0


ž
Û#* > ] 60° → šô 0,2 10 &!" šô ] 2
/

• Coperture adiacenti o vicine a costruzioni più alte.


Anche in questo caso si considera il caso I in assenza di vento, e il caso II in presenza di vento.
Oltre all’accumulo della neve dovuto al vento, si deve tenere conto dello scivolamento della stessa
dalla copertura superiore, quindi la seconda combinazione deve tenere conto di questi due fattori.

š1 0,8 %# + &!”#* * è ” "


Per semplicità assumiamo che la copertura inferiore sia piana, quindi:

š šŸ šn
μ” è il coefficiente di forma dovuto allo scivolamento:
Û#* = ] 15° ž! &ž# šn 0
È
Û#* = – 15° ž! &ž# šn è ” * + 50% #+ %% ! & * &! "#“# % ++ &!”#* * &#" # št
P a g . | 66

μ è il coefficiente di forma dovuto all’accumulo della neve per il vento:


/1 / ¡ž å
šŸ ] Ÿ !“# ¡ 2 ô &!" + + !"# 0,8 ] šŸ ] 4,0
2ž nK

La lunghezza di accumulo è limitata a l” 2h con la limitazione di 5 ] l” ] 15m. Ovviamente se


b ’ l” si dovrà procedere per interpolazione lineare.

• Accumuli in corrispondenza delle sporgenze.


Ovviamente in questo caso ci interessiamo solamente della condizione in presenza di vento,
essendo condizione necessaria per l’accumulo della neve nelle zone di ombra aerodinamica.

š1 0,8
I coefficienti di forma e le lunghezze di accumulo sono definiti come di seguito:

¡ž å
š &!" + + !"# 0,8 ] š ] 2,0 # &!" ¡ 2,0 ô
nK
+n 2ž &!" + + !"# 5 ] +n ] 15

• Neve aggettante dal bordo di una copertura.


In località poste a quota superiore a 800 m sul livello del mare, nella verifica delle parti di
copertura a sbalzo sulle murature di facciata si dovrà considerare l’azione della neve sospesa oltre
il bordo della copertura, sommato al carico agente su quella parte di tetto.
Il carico è espresso come carico di punta lineare [KN/m], e deve essere sommato a quello già
stabilito per la copertura, come da schemi precedentemente esposti. Vediamo quali sono i fattori
che da conoscere:

considera essere pari a 3¦


- γ è il peso specifico della neve che la normativa
¤¥
g;

- μƒ è il coefficiente di forma più sfavorevole per la

- K è un coefficiente di irregolarità della forma della


copertura in oggetto;

neve, dove K §g con K ] dγ, anche se cautelativamente


può essere assunto pari all’unità.
Kµi2 qsk2
qse =
γn
P a g . | 67

L’azione statica F” impressa da una massa di neve che scivola su barriere paraneve o altri ostacoli,
• Carichi della neve su barriere paraneve e altri ostacoli.

F” q ” bsenα
nella direzione dello scivolamento, per unità di lunghezza dell’edificio può essere assunta uguale a:

- q ” è il carico da neve sulla copertura relativo alla distribuzione uniforme più sfavorevole,

- b è la distanza in orizzontale tra due successivi ostacoli o il colmo del tetto.


presente in copertura.

- α angolo di inclinazione della falda in oggetto.

2.6 – Azione sismica.


Tanto per rinfrescarci la memoria riscrivo la combinazione sismica.
-

…0 = †‡i + †‡d + ˆ‡ + ‰0 + ¬ Šd3 ‹‡3


3Oi
Come possiamo osservare essa è praticamente uguale, per quanto concerne i carichi statici, alla
combinazione quasi permanente, d’altro canto è statisticamente improbabile che un evento raro,
quale è il sisma, avvenga in concomitanza di condizioni statiche gravose. Non abbiamo a che fare

del carico, moltiplicati per il coefficiente di combinazione probabilistica ψ ‚ . Vediamo che in


con un carico accidentale principale, dato che tutti sono allo stesso modo, in ragione della natura

questa combinazione l’azione sismica Ex è già inserita con il suo valore di progetto, tale valore si
definisce a partire dalla pericolosità sismica di base del sito di costruzione. Essa costituisce

La pericolosità sismica è definita in termini di accelerazione orizzontale massima attesa a© in


l’elemento di conoscenza primario per la determinazione delle azioni sismiche.

condizioni di campo libero su sito di riferimento rigido con superficie topografica orizzontale,

S'ª (T), con riferimento a prefissate probabilità di superamento P«¬ , come definite nel seguito, nel
nonché dalle ordinate dello spettro di risposta elastico in accelerazione ad essa corrispondente

periodo di riferimento V® , visto in precedenza. In alternativa è ammesso l’uso di accelero grammi


(rappresentazione dell’azione sismica in tempo), purché correttamente commisurati alla
pericolosità sismica del sito, e ad ogni modo il loro utilizzo deve essere sempre accompagnato alla

Per ciascuna delle probabilità di superamento nel periodo di riferimento V® , a partire dai valori
classica analisi con gli spettrogrammi.

a´ → Õ__U`U[ab\]VU ][\bb]V a`U aTT\ a ^U` U[[UV]


dei seguenti parametri su sito di riferimento rigido orizzontale:

‚ R → Ôa`][U aTT\ ] ^U` ha ][U ^\ a {`\h\_ab\]VU ^U``] T{U []


c•∗ → ZU[\]^] ^\ \V\b\] ^U` [a ] a |U`]_\ à _]T aV U ^U``] T{U []
Tutti questi valori/parametri si trovano contenuti in apposite tabella alla fine della normativa
(NTC 2.008), oppure usando appositi programmi (ad esempio quello del Prof. Gelfi), e
dipendono dalle coordinate geografiche del sito.
Nei confronti delle azioni sismiche abbiamo quattro stati limite; due stati limite di esercizio e due
stati limite ultimi. Gli stati limite di esercizio sono:
• Stato Limite di Operatività (SLO): a seguito del terremoto la costruzione nel suo
complesso, includendo gli elementi strutturali, quelli non strutturali, le apparecchiature
rilevanti alla sua funzione, non deve subire danni ed interruzioni d'uso significativi;
• Stato Limite di Danno (SLD): a seguito del terremoto la costruzione nel suo complesso,
includendo gli elementi strutturali, quelli non strutturali, le apparecchiature rilevanti alla
sua funzione, subisce danni tali da non mettere a rischio gli utenti e da non compromettere
significativamente la capacità di resistenza e di rigidezza nei confronti delle azioni verticali
P a g . | 68

ed orizzontali, mantenendosi immediatamente utilizzabile pur nell’interruzione d’uso di


parte delle apparecchiature.

Gli stati limite ultimi sono:


• Stato Limite di salvaguardia della Vita (SLV): a seguito del terremoto la costruzione
subisce rotture e crolli dei componenti non strutturali ed impiantistici e significativi danni
dei componenti strutturali cui si associa una perdita significativa di rigidezza nei confronti
delle azioni orizzontali; la costruzione conserva invece una parte della resistenza e rigidezza
per azioni verticali e un margine di sicurezza nei confronti del collasso per azioni sismiche
orizzontali;
• Stato Limite di prevenzione del Collasso (SLC): a seguito del terremoto la costruzione
subisce gravi rotture e crolli dei componenti non strutturali ed impiantistici e danni molto
gravi dei componenti strutturali; la costruzione conserva ancora un margine di sicurezza
per azioni verticali ed un esiguo margine di sicurezza nei confronti del collasso per azioni

Le probabilità di superamento nel periodo di riferimento är , cui riferirsi per individuare l’azione
orizzontali.

sismica agente in ciascuno degli stati limite considerati, sono riportate nella successiva tabella.

limite, in altri termini il tempo di ritorno Är è un indice probabilistico che indica che nell’arco di
Definita la probabilità di superamento possiamo conoscere il tempo di ritorno del nostro evento

questo periodo temporale il mio evento sismico ha il 100% di probabilità di accadimento. Come si
osserva per gli eventi collegati agli stati limite di esercizio, la probabilità di accadimento è

Ôm 50
nettamente superiore, perché si fa riferimento ad eventi sismici di minore entità.
§vt±t¥t ov nw ¥t}tq ѯ OÑ° ù± OOPÞ1OOP
cm Är 475 ""
2- i ZÔm ln 1 0,1
Vediamo ora in modo più particolare le verifiche agli stati limite ultimi e a quelli di esercizio
(§7.3.6 - §7.3.7).
1) Le verifiche nei confronti degli stati limite ultimi degli elementi strutturali, degli elementi
non strutturali e degli impianti si effettuano in termini di resistenza e duttilità. Per tutti gli
elementi strutturali, inclusi nodi e connessioni tra elementi, deve essere verificato che il
valore di progetto di ciascuna sollecitazione v , calcolato in generale comprendendo gli
effetti delle non linearità geometriche e le regole di gerarchia delle resistenze indicate per le

progetto •v . In particolare gli orizzontamenti devono essere in grado di trasmettere le


diverse tecniche costruttive, sia inferiore al corrispondente valore della resistenza di

forze ottenute dall’analisi, aumentate del 30%. Deve essere verificato che i singoli elementi
strutturali e la struttura nel suo insieme possiedano una duttilità coerente con il fattore di
struttura adottato. Questa condizione si può ritenere soddisfatta applicando le regole di
progetto specifiche e di gerarchia delle resistenze che indicheremmo per le diverse tipologie
costruttive. Alternativamente, e coerentemente con modello e metodo di analisi utilizzato,
si deve verificare che la struttura possieda una capacità di spostamento superiore alla
domanda.
P a g . | 69

Per gli elementi costruttivi senza funzione strutturale debbono essere adottati magisteri atti
ad evitare collassi fragili e prematuri e la possibile espulsione sotto l’azione della o
(§7.2.3) corrispondente allo SLV. Per ciascuno degli impianti principali, gli elementi
strutturali che sostengono e collegano i diversi elementi funzionali costituenti l’impianto
tra loro ed alla struttura principale devono avere resistenza sufficiente a sostenere l’azione
della o (§7.2.4) corrispondente allo SLV.
2) Le verifiche nei confronti degli stati limite di esercizio degli elementi strutturali, degli
elementi non strutturali e degli impianti si effettuano rispettivamente in termini di
resistenza, di contenimento del danno e di mantenimento della funzionalità. Per
costruzioni di Classe III e IV (vedi pag. 45), se si vogliono limitare i danneggiamenti
strutturali (verifica in termini di resistenza), per tutti gli elementi strutturali, inclusi nodi e
connessioni tra elementi, deve essere verificato che il valore di progetto di ciascuna
sollecitazione v calcolato in presenza delle azioni sismiche corrispondenti allo SLD ed
attribuendo ad _ il valore di ô, sia inferiore al corrispondente valore della resistenza di
progetto •v , calcolato secondo le regole specifiche indicate per ciascun tipo strutturale
nel Cap. 4 dell’NTC con riferimento alle situazioni eccezionali.
Per le costruzioni ricadenti in classe d’uso I e II si deve verificare che l’azione sismica di
progetto non produca agli elementi costruttivi senza funzione strutturale danni tali da
rendere la costruzione temporaneamente inagibile. Nel caso delle costruzioni civili e
industriali, qualora la temporanea inagibilità sia dovuta a spostamenti eccessivi interpiano,
questa condizione si può ritenere soddisfatta quando gli spostamenti interpiano ottenuti
dall’analisi in presenza dell’azione sismica di progetto relativa allo SLD siano inferiori ai
limiti indicati nel seguito.
• Per tamponamenti collegati rigidamente alla struttura che interferiscono con la

¦ ’ 0,005ℎ
deformabilità della stessa.

di interpiano d*™ , per effetto della loro deformabilità intrinseca ovvero dei
• Per tamponamenti progettati in modo da non subire danni a seguito di spostamenti

¦ ] ¦s < 0,01ℎ
collegamenti alla struttura.

¦ < 0,003ℎ
• Per costruzioni con struttura portante in muratura ordinataria.

¦ < 0,004ℎ
• Per costruzioni con struttura portante in muratura armata.

Dove ℎ è l’altezza di interpiano; in caso di coesistenza di diversi tipi di tamponamenti o

spostamento più restrittivo. Qualora gli spostamenti di interpiano siano superiori a 0,005ℎ
struttura portante nel medesimo piano della costruzione, deve essere assunto il limite di

le verifiche della capacità di spostamento degli elementi non strutturali vanno estese a tutti
i tamponamenti, alle tramezzature interne ed agli impianti. Per le costruzioni ricadenti in
classe d’uso III e IV si deve verificare che l’azione sismica di progetto non produca danni
agli elementi costruttivi senza funzione strutturale tali da rendere temporaneamente non
operativa la costruzione.
Nel caso delle costruzioni civili e industriali questa condizione si può ritenere soddisfatta
quando gli spostamenti interpiano ottenuti dall’analisi in presenza dell’azione sismica di
progetto relativa allo SLO siano inferiori ai ô dei limiti in precedenza indicati.
Come si è già accennato l’uso degli accelerogrammi (§3.2.3.6) è consentita, ma come analisi
complementare e non sostitutiva dell’analisi spettrale. Ciascun accelerogramma descrive una
componente, orizzontale o verticale, dell’azione sismica; l’insieme delle tre componenti (due
P a g . | 70

orizzontali, tra loro ortogonali ed una verticale) costituisce un gruppo di accelerogrammi. La

parametri fisici che determinano la scelta del valore di a© e di S² . In assenza di studi specifici la
durata degli accelerogrammi artificiali deve essere stabilita sulla base della magnitudo e degli altri

durata della parte pseudo-stazionaria degli accelerogrammi deve essere almeno pari a 10s; la parte
pseudo-stazionaria deve essere preceduta e seguita da tratti di ampiezza crescente da zero e
decrescente a zero, di modo che la durata complessiva dell’accelerogramma sia non inferiore a 25s.
Gli accelerogrammi artificiali devono avere uno spettro di risposta elastico coerente con lo spettro
di risposta adottato nella progettazione. La coerenza con lo spettro elastico è da verificare in base

smorzamento viscoso equivalente ξ del 5%. L'ordinata spettrale media non deve presentare uno
alla media delle ordinate spettrali ottenute con i diversi accelerogrammi, per un coefficiente di

scarto in difetto superiore al 10%, rispetto alla corrispondente componente dello spettro elastico,
in alcun punto del maggiore tra gli intervalli 0,15s÷2,0s e 0,15s÷2T, in cui T è il periodo
fondamentale di vibrazione della struttura in campo elastico, per le verifiche agli stati limite
ultimi, e 0,15s÷1,5T, per le verifiche agli stati limite di esercizio.

Ora tornando all’inizio di questo capitolo, introdotto con il richiamo della combinazione
dell’azione sismica con le altre azioni statiche. E bene ricordare che gli effetti dell'azione sismica
saranno valutati tenendo conto delle masse associate ai seguenti carichi gravitazionali (quindi una
-
quota parte dei carichi verticali accidentali devono essere convertiti in massa strutturale):

´i ´d ¬ Šd3 ‹‡3
3Oi
Vediamo ora alcune note sulla modellazione della nostra struttura; di certo il modello della
struttura deve essere tridimensionale e rappresentare in modo adeguato le effettive distribuzioni
spaziali di massa, rigidezza e resistenza, con particolare attenzione alle situazioni nelle quali
componenti orizzontali dell’azione sismica possono produrre forze d’inerzia verticali (travi di
grande luce, sbalzi significativi, etc.). Nella definizione del modello alcuni elementi strutturali,
considerati “secondari”, e gli elementi non strutturali autoportanti (tamponature e tramezzi),
possono essere rappresentati unicamente in termini di massa, considerando il loro contributo alla
rigidezza e alla resistenza del sistema strutturale solo qualora essi possiedano rigidezza e resistenza
tali da modificare significativamente il comportamento del modello. Gli orizzontamenti possono
essere considerati infinitamente rigidi nel loro piano, a condizione che siano realizzati in cemento
armato, oppure in latero-cemento con soletta in c.a. di almeno 40mm di spessore, o in struttura
mista con soletta in cemento armato di almeno 50mm di spessore collegata da connettori a taglio
opportunamente dimensionati agli elementi strutturali in acciaio o in legno e purché le aperture
presenti non ne riducano significativamente la rigidezza. Modellizzare un orizzontamento
infinitamente rigido, significa fissare le rispettive distanze tra i nodi del medesimo piano; per far
ciò si possono usare connettori come i rigid-link.
Per tenere conto della variabilità spaziale del moto sismico, nonché di eventuali incertezze nella
localizzazione delle masse, al centro di massa deve essere attribuita una eccentricità accidentale
rispetto alla sua posizione quale deriva dal calcolo. Per i soli edifici ed in assenza di più accurate
determinazioni l’eccentricità accidentale in ogni direzione non può essere considerata inferiore a
0,05 volte la dimensione dell’edificio misurata perpendicolarmente alla direzione di applicazione
dell’azione sismica. Detta eccentricità è assunta costante, per entità e direzione, su tutti gli
orizzontamenti.

Definizione dell’azione sismica → Vedi pag. 39.


P a g . | 71

2.6.1 – Concetto di duttilità strutturale.


Si deve partire dal presupposto che le nostre strutture nell’affrontare un evento sismico si
danneggeranno ad ogni modo (basti pensare che nei sismi possiamo avere delle accelerazioni
orizzontali che possono arrivare a 1G), quello che è fondamentale è preservare l’incolumità e le
vite delle persone. Quindi si deve accettare il fatto che le nostre strutture siano chiamate ad
operare in campo plastico. Questo significa far lavorare i nostri materiali oltre il loro limite di
resistenza, ma con l’obiettivo di mantenere la capacità portante strutturale complessiva. Quindi si
deve intervenire sulla duttilità della struttura, la quale è l’insieme di quattro duttilità diverse, ed
ogni una di queste concorrono in modo attivo a fornire la duttilità strutturale complessiva. Quello
che diviene fondamentale nella progettazione sismica è la cura del dettaglio costruttivo, perché si
deve accettare che il materiale superi il suo limite di resistenza, ed è fondamentale definire il
comportamento della struttura (nei sui vari livelli, dal materiale alla struttura nel suo complesso)
nella fase critica di rottura, la quale deve essere controllata, senza che si giunga al collasso della
stessa.
La duttilità è il rapporto tra il massimo spostamento possibile indotto nella struttura, e il
rispettivo spostamento al limite del comportamento elastico; nulla cambia se invece di considerare
gli spostamenti consideriamo le curvature. È bene inoltre sottolineare come la duttilità

µg \`\ a′ ^\ a U[\a`U
complessiva della struttura dipenda a sua volta da altri livelli di duttilità, nell’ordine:

µg \`\ a′ ^\ T [g g[a → Q µg \`\ a′ ^\ TUb\]VU


µg \`\ a′ ^\ U`U UV ]
È di tutta evidenza come la duttilità del livello inferiore (quella del materiale), sia fondamentale
per poter avere anche tutte le altre. Nel calcestruzzo possiamo ottenere una sua buona utilità
adottando le appropriate tecniche di confinamento; per quanto concerne la sezione, oltre che dal
controllo della sua forma, il controllo della duttilità avviene imponendo gli adeguanti limiti nella
posizione dell’asse neutro. Il terzo livello di duttilità riguarda più specificamente le strutture in
acciaio, dove le instabilità del secondo ordine possono essere limitanti, sostanzialmente si tratta di
applicare le conosciute metodologie di controventamento e/o di irrigidimento dell’elemento. Ed
infine la duttilità della struttura è legata ad un concetto di fondamentale importanza nella
progettazione sismica, cioè alla gerarchia delle resistenze, che si ottiene con la cura dei particolari
costruttivi.
Ma cerchiamo di capire in modo più approfondito questi ultimi due concetti, che sono di
fondamentale importanza.
Si parte dal presupposto che la nostra struttura deve assorbire l’azione simica, quindi esso deve
entrare in campo plastico, in altri termini si deve creare un meccanismo dissipativo.
P a g . | 72

Qui di seguito vengono ad essere riportati alcuni esempi di tale meccanismo.

La differenza tra il meccanismo (a) e il (b) è fondamentale, infatti mentre nel primo caso le
cerniere sono limitate ad un interpiano di pilastri, nel secondo le cerniere sono diffuse a tutte le
travi, infatti nel primo caso ho un tipico comportamento a “piano soffice”. Ed inoltre le cerniere
che si formano alla base dei pilastri, nel caso (b), mette in gioco tutta l’altezza dell’edificio, con
evidenti benefici dal punto di vista del taglio agente. Ed inoltre le cerniere che si formano sulle
travi non sono interessate dallo sforzo normale, che è sempre deleterio, e diminuisce la duttilità
dell’elemento. La differenza tra i due schemi ribadisce un semplice concetto, il numero di elementi
che partecipano alla dissipazione dell’azione sismica, è dato dal numero di cerniere plastiche che si
vengono a formare. Ed inoltre più cerniere plastiche vengono a formarsi, minore sarà il grado di
ingresso in campo plastico dei singoli elementi; infatti supponendo uno spostamento di sommità
identico nei due casi, la rotazione richiesta è ben diversa, nel primo caso si lavora su un’altezza
pari all’interpiano, mentre nel caso (b) si lavora su tutta l’altezza dell’edificio. Il diverso
comportamento tra queste due soluzioni, evidenza l’importanza della regolarità delle rigidezze in
altezza.
I due schemi (c) ed (e) sono da evitare, infatti le fondazioni non si prestano per essere plasticizzate,
ed inoltre le cerniere di fondazioni non lavorano bene. Ma si deve anche pensare ad un post-sisma,
e il controllo delle fondazioni diviene difficile, ed è anche difficile il loro ripristino. Da tutto
questo risulta l’importanza di avere una spina verticale (pilastri o setti) con il compito di garantire
la formazione del maggior numero di cerniere plastiche, per il maggior numero di elementi,
ovviamente questa spina verticale deve presentare delle adeguante caratteristiche di resistenza, per
fare in modo che tutto l’edificio sia globalmente richiamato nella risposta sismica.
P a g . | 73

Vediamo che cosa dice l’NTC e l’ordinanza 3431 in merito:

Secondo il T.U.:
… le costruzioni in cemento armato posseggano in ogni caso una adeguata capacità di
dissipare energia in campo inelastico per azioni cicliche ripetute, senza che ciò comporti
riduzioni significative della resistenza nei confronti delle azioni sia verticali che orizzontali.

Secondo OPCM 3431:


… le deformazioni inelastiche devono essere distribuite nel maggior numero possibile di
elementi duttili, in particolare in quelli soggetti a sforzi normali limitati (nelle travi),
evitando al contempo che si manifestino negli elementi meno duttili (ad es. pilastri soggetti
a sforzi normali rilevanti) e nei meccanismi resistenti fragili (ad es. resistenza al taglio,
resistenza dei nodi trave-pilastro).

Il procedimento per conseguire tale risultato si indica con la definizione di “gerarchia delle
resistenze”, questo metodo definisce il comportamento relativo tra gli elementi. Quindi non posso
più ragionare in termini assolutistici, ma devo guidare il mio dimensionamento in riferimento al
dimensionamento di un altri elementi.
Ad esempio se voglio la formazione di una cerniera flessionale nelle travi, queste devono avere una
resistenza a taglio maggiore della corrispettiva resistenza flessionale della trave stessa, essendo la
rottura a taglio una rottura a comportamento fragile. In altri termini la mia trave dovrà essere
sovradimensionata a taglio, rispetto a quel dato evento sismico, che porta la stessa trave a
plasticizzarsi flessionalmente. Questo schema può essere riproposto nella resistenza di elementi
diversi; quindi se io voglio che le cerniere plastiche si formino nelle travi, i pilastri devono
presentare una resistenza a flessione maggiore di quella delle travi. Quindi sempre seguendo
questo modus operandi posso affermare quanto segue:
- Resistenza a taglio maggiore della resistenza flessionale.
- Pilastri più resistenti delle travi.
- Nodi trave-pilastro più resistenti di travi e pilastri.
- Resistenza dei diaframmi di piano (solai) maggiore di quella offerta dagli elementi (travi,
pilastri) collegati.
- Pareti in c.a.: elevazione più resistente della sezione di base (per garantire la formazione
della cerniera plastica alla base del setto, per garantire il funzionamento a “spina”).
- Resistenza delle fondazioni maggiore di quella della sovrastruttura.
Anche i diaframmi di piano devono presentare una resistenza maggiore di tutti gli elementi a loro
collegati. Tutti questi punti sono necessarie per garantire un determinato comportamento
favorevole della struttura, ed è anche evidente che questo metodo di dimensionamento presenta lo
svantaggio di essere ricorsivo; quindi nella sismica il sovradimensionamento deve essere oculato.

2.6.2 – Criteri di progettazione generali e classi di duttilità (§7.2.1).


Vediamo ora di affrontare alcune tematiche di carattere generale, messe in luce dalla stessa
normativa di riferimento.
È noto che un sisma agisce sia nelle due direzioni principali orizzontali, che lungo la verticale, ad
ogni modo la componente verticale deve essere considerata solo in presenza di elementi pressoché
orizzontali con luce superiore a 20m, elementi precompressi (con l’esclusione dei solai di luce
inferiore a 8m), elementi a mensola di luce superiore a 4m, strutture di tipo spingente, pilastri in
falso, edifici con piani sospesi. Si deve tenere infine conto degli effetti torsionali che si
accompagnano all’azione sismica. A tal fine gli orizzontamenti, ove presenti, devono essere dotati
P a g . | 74

di rigidezza e resistenza tali da metterli in grado di trasmettere le forze scambiate tra i diversi
sistemi resistenti a sviluppo verticale, come si è scritto a pag. 67.
Il sistema di fondazione deve essere dotato di elevata rigidezza estensionale nel piano orizzontale e
di adeguata rigidezza flessionale. Deve essere adottata un’unica tipologia di fondazione per una
data struttura in elevazione, a meno che questa non consista di unità indipendenti. In particolare,
nella stessa struttura deve essere evitato l’uso contestuale di fondazioni su pali o miste con
fondazioni superficiali, a meno che uno studio specifico non ne dimostri l’accettabilità.
Le costruzioni soggette all’azione sismica, non dotate di appositi dispositivi dissipativi, devono
essere progettate in accordo con i seguenti comportamenti strutturali:
a) comportamento strutturale non-dissipativo;
b) comportamento strutturale dissipativo.
Nel comportamento strutturale non dissipativo, cui ci si riferisce quando si progetta per gli stati
limite di esercizio (SLO, SLD), gli effetti combinati delle azioni sismiche e delle altre azioni sono
calcolati, indipendentemente dalla tipologia strutturale adottata, senza tener conto delle non
linearità di comportamento (di materiale e geometriche) se no n rilevanti.
Nel comportamento strutturale dissipativo, cui ci si riferisce quando si progetta per gli stati limite
ultimi (SLV, SLC), gli effetti combinati delle azioni sismiche e delle altre azioni sono calcolati, in
funzione ella tipologia strutturale adottata, tenendo conto delle non linearità di comportamento
(di materiale sempre, geometriche quando rilevanti e comunque sempre quando precisato).
Gli elementi strutturali delle fondazioni, che devono essere dimensionati sulla base delle
sollecitazioni ad essi trasmesse dalla struttura sovrastante (§7.2.5), devono avere comportamento
non dissipativo, indipendentemente dal comportamento strutturale attribuito alla struttura su di
esse gravante, in altri termini devono mantenere un comportamento elastico.
Nel caso la struttura abbia comportamento strutturale dissipativo, si distinguono due livelli di
Capacità Dissipativa o Classi di Duttilità (CD):
1) CD”A”, classe di duttilità alta; prevede che sotto l’azione sismica di progetto la struttura si
trasformi in un meccanismo dissipativo ad elevata capacità. Questa è usata per le zone ad
elevata sismicità (zona I o in zona II, anche in ragione della struttura).
2) CD”B”, classe di duttilità bassa; si richiede essenzialmente che tutti gli elementi a
funzionamento flessionale: travi, pilastri e pareti, posseggano una soglia minima di
duttilità.
Si localizzano dunque le dissipazioni di energia per isteresi in zone a tal fine individuate e
progettate, dette “dissipative” o “critiche”, effettuando il dimensionamento degli elementi non
dissipativi nel rispetto del criterio di gerarchia delle resistenze; l’individuazione delle zone
dissipative deve essere congruente con lo schema strutturale adottato.
Tali fini possono ritenersi conseguiti qualora le parti non dissipative ed i collegamenti delle parti
dissipative al resto della struttura possiedano, nei confronti delle zone dissipative, una
sovraresistenza sufficiente a consentire lo sviluppo in esse della plasticizzazione ciclica. La

un opportuno coefficiente di sovraresistenza ¡rv , assunto pari:


sovraresistenza è valutata moltiplicando la resistenza nominale di calcolo delle zone dissipative per

i, L {U[ •µ"Õ"
•]Uhh\_\UV U ^\ T]|[a[UT\T UVba µm^ È
i, i {U[ •µ" "
La differenza tra i due approcci risiede in una diversa applicazione del principio della gerarchia
delle resistenze (ovviamente per il CD”A” se ne fa una applicazione estesa e completa), e il
secondo fattore che si differenzia tra i due metodi è il fattore di struttura q.
P a g . | 75

2.6.3 – Fattore di struttura (§7.3.1 - §7.4.3.2).


Come abbiamo anticipato il fattore di struttura dipende dalla classe di duttilità utilizzata nella
progettazione, vediamo ora quali sono gli altri fattori che influiscono su questo parametro. In
particolare il calcolo del fattore di struttura va eseguito per ciascuna direzione dell’azione sismica,
dipende dalla tipologia strutturale, dal suo grado di iperstaticità e dai criteri di progettazione
adottati e prende in conto le non linearità di materiale. Esso può essere calcolato tramite la

f fR Ám
seguente espressione:

P è il valore massimo del fattore di struttura che dipende dal livello di duttilità attesa,
dalla tipologia strutturale e dal rapporto = /=1 tra il valore dell’azione sismica per il quale
-

si verifica la formazione di un numero di cerniere plastiche tali da rendere la struttura


labile e quello per il quale il primo elemento strutturale raggiunge la plasticizzazione a
flessione.
- r come si è visto è un fattore riduttivo che dipende dalle caratteristiche di regolarità in
altezza della costruzione (intesa come la costanza delle rigidezze in altezza), con valori pari
ad 1 per costruzioni regolari in altezza, e 0,8 per costruzioni non regolari.
Oltre alla regolarità in altezza, il fattore di strutta è legato anche al tipo di analisi usata, come si
rileva dalla seguente tabella.

1,5 per qualunque tipologia strutturale


Per la componente verticale dell’azione sismica, sempre nell’analisi statica lineare, il valore di

1.
utilizzato, a meno di adeguate analisi giustificative, è
e di materiale, tranne che per i ponti per i quali è
Come già anticipato il fattore di struttura massimo P dipende anche dalla tipologia strutturale e
dalla calasse di duttilità considerata.
P a g . | 76

Per strutture regolari in pianta, possono essere adottati i seguenti valori di = /=1:

= /=1 = 1,1
a) Strutture a telaio o miste equivalenti a telai.

= /=1 = 1,2
- Strutture a telaio di un piano

= /=1 = 1,3
- Strutture a telaio con più piani ed una sola campata
- Strutture a telaio con più piani e più campate

= /=1 = 1,0
b) Strutture a pareti o miste equivalenti a pareti.

= /=1 = 1,1
- Strutture con solo due pareti non accoppiate per direzione orizzontale

= /=1 = 1,2
- Altre strutture a pareti non accoppiate

Per le strutture non regolari in pianta, si possono adottare valori di = /=1 pari alla media tra 1,0
- Strutture a pareti accoppiate o miste equivalenti a pareti

Questo rapporto = /=1 è un rapporto di sovraresistenza, ed un indice di iperstaticità della


ed i valori forniti per le diverse tipologie costruttive, sempre nell’ipotesi di analisi statica lineare.

struttura stessa, più questa è elevata maggiore sarà il numero di cerniere che si formeranno, e
quindi più accentuato sarà il comportamento incrudente
della struttura nel suo complesso. Il tutto può essere così

- =1 è il moltiplicatore della forza sismica


spiegato:

orizzontale per il quale il primo elemento strutturale

- = è il moltiplicatore della forza sismica


raggiunge la sua resistenza flessionale.

orizzontale per il quale si verifica la formazione di un


numero di cerniere plastiche tali da rendere la struttura
labile.
Per prevenire il collasso delle strutture a seguito della rottura delle pareti, i valori di P devono
essere ridotti mediante il fattore (Ÿ :
1,00 ”#* % * *# #+ ! # % # # “ +#" #+
(Ÿ Q 1 =P
0,5 ] ] 1 ”#* % * *# ” *# , % # # “ +#" , !*% !" + #" # #•!* /+
3
Dove =P è il valore assunto in prevalenza dal rapporto tra altezze e larghezze delle pareti. Nel caso
in cui gli =P delle pareti non differiscano significativamente tra di loro, il valore di =P per
l’insieme delle pareti può essere calcolato assumendo come altezza la somma delle altezze delle
singole pareti e come larghezza la somma delle larghezze.

2.6.4 – Metodi di analisi (§7.3).

L’analisi statica equivalente la si potrebbe utilizzare solamente per gli edifici a pianta regolare, ma
è bene usarla sempre, anche per il solo predimensionamento della struttura. Solo in un caso questa
non può essere usata, ed è il caso degli edifici non regolari in altezza, dove il comportamento delle
P a g . | 77

forze lungo l’altezza non è più semplicemente prevedibile e quantificabile, quindi si deve partire
fin da subito con l’analisi modale. Ma vediamo in modo più specifico queste analisi.
L’analisi lineare (modelli di calcolo semplici) può essere utilizzata per definire l’effetto delle azioni
sismiche sia nel caso di sistemi dissipativi, sia nel caso di sistemi non dissipativi. Quando si
utilizza l’analisi lineare per sistemi non dissipativi, come avviene per gli stati limite di esercizio, gli

riferendosi allo spettro di progetto ottenuto assumendo un fattore di struttura q unitario.


effetti delle azioni sismiche sono calcolati, quale che sia la modellazione per esse utilizzata,

Quando si utilizza l’analisi lineare per sistemi dissipativi, come avviene per gli stati limite ultimi,
gli effetti delle azioni sismiche sono calcolati, quale che sia la modellazione per esse utilizzata,
riferendosi allo spettro di progetto ottenuto assumendo un fattore di struttura maggiore
dell’unità.
L’analisi non lineare si utilizza per sistemi dissipativi e tiene conto delle non linearità di materiale
e geometriche (poi le vedremmo). I legami costitutivi utilizzati devono includere la perdita di
resistenza e la resistenza residua, se significativi; solitamente si fa riferimento alla rigidezza
fessurata, pari alla metà di quella nominale.

2.6.4.1 - Analisi statica equivalente (analisi statica lineare).


In questa particolare analisi semplificata l’azione sismica viene definita tramite una azione statica
equivalente (come per il vento). In termini più tecnici, questo tipo di analisi può essere usata per
le sole costruzioni la cui risposta sismica, in ogni direzione
principale, non dipenda significativamente dai modi di vibrare
superiori. E può essere usata sia per i sistemi dissipativi che
non, in accordo con gli spettri di progetto definiti a pag. 39 per
gli stati limite di esercizio e i sistemi non dissipativi, e a pag. 45
per gli stati limite ultimi e i sistemi dissipativi.
Nel semplice esempio qui affianco la struttura viene vista come
un sistema semplice ad un grado di libertà, si parte dal
presupposto che nel primo modo di vibrare (un punto di
flesso) gli spostamenti nella direzione orizzontale sono
proporzionali all’altezza. Quindi si fa l’ipotesi che l’andamento
delle forze lungo l’altezza è lineare, e seguono in modo proporzionale gli spostamenti.
Ovviamente abbiamo a che fare con delle forze statiche, legate alle masse totali partecipanti, cioè
in altri termini tutta la massa della struttura viene considerata partecipante.

L’analisi statica lineare consiste nell’applicazione di forze statiche equivalenti alle forze di inerzia
indotte dall’azione sismica e può essere effettuata per costruzioni che rispettino determinati

nella direzione in esame Ä1 non superi 2,5Äù o ÄÐ e che la costruzione sia regolare in altezza.
requisiti specifici, che poi vedremmo. Ad ogni modo il periodo del modo di vibrare principale

approssimativamente uniformemente distribuita lungo l’altezza, Ä1 può essere stimato, in assenza


Per costruzioni civili o industriali che non superino i 40m di altezza e la cui massa sia

ci = •i ·L/H
di calcoli più dettagliati, utilizzando la formula seguente:

0,085 ”#* &!% * !" " && !


~1 = Q 0,075 ”#* &!% * !" " & +&#% * ! * !
0,050 ”#* &!% * !" &!" +% % + *! ”! % * *
Dove H è l’altezza della costruzione, in metri, dal piano di fondazione; l’entità delle forze si
ottiene dall’ordinata dello spettro di progetto corrispondente al periodo Ä1 e la loro distribuzione
sulla struttura segue la forma del modo di vibrare principale nella direzione in esame, valutata in
P a g . | 78

modo approssimato. La forza sismica che complessivamente sollecita la struttura, viene ad essere

¹́ ‘Ò˜ Ä1 è +, !* " #++! %”# *! * %”!% ”*!$# !


fornita dalla seguente relazione (non altro che il taglio alla base):
Ó c º → È
¶ Õ^ i
» è + ”#%! &! ”+#%% “! #++ &!% * !"#
0,85 %# + &!% * !"# ž + #"! *# !* !" #" # %# Ä1 ’ 2Äù
- È
1,0 " $+ + * & %

t è + •!* ””+ & *# ++ %% #%


La forza da applicare a ciascuna massa della costruzione è data dalla formula seguente:

t »t
→ ‚ »t # »- %!"! ”#% #++ %% # #++ %% ¼
t
∑- - »-
t # - %!"! +# ! #, * %”# ! + ” "! •!" !"#, #++# %%# # ¼
Per tenere conto degli effetti torsionali accidentali (pag. 67), sempre nell’ipotesi che le rigidezze
laterali e le masse siano distribuite simmetricamente in pianta, posso amplificare le sollecitazioni

attraverso il fattore δ risultante dalla seguente espressione:


su ogni elemento resistente, calcolate con la distribuzione fornita dalla formula precedente,

è + % " #++ , #+# #" ! *#% % #" # “#* & +# + / * &#" *!


; t
9$#! # * &! ” "!, % * ”#*”#" &!+ * #" # ++ *# !"#
¾t 1 + 0,6 →
t
¿ #++ ,
!"# % % & &!"% #* .
: ¿ è + % " * # #+# #" *#% % #" ” ù +!" " ,
9
8 % * ++ % #%%! ! !.
L’analisi statica lineare è l’unico procedimento che può essere
gestito manualmente, questo ci consente di definire alcuni
concetti di calcolo basilari. Come si osserva dall’immagine qui
affianco, per ogni orizzontamento definiamo una forza sismica
sollecitante, questa deve essere ripartita tra i vari elementi
resistenti (telai, lamine di controvento). Tale ripartizione è
possibile se vengono rispettate le seguenti ipotesi.
1) Si considerano i solai come lastre infinitamente rigide

1 16/20 × 20& ), e infinitamente flessibili nel piano


nel loro piano (cappa pari ad almeno 5cm con armatura

ortogonale, in modo da non turbare la trasmissione dei


momenti flettenti e dei bimomenti fra i tronchi delle mensole
che li attraversano (per mensole qui si intende gli elementi verticali resistenti).
2) Gli spigoli delle mensole, qualora queste siano a C, L ecc., devono essere in grado di
trasmettere gli sforzi di taglio, altrimenti queste mensole devono essere scomposte in
mensole rettangolari elementari.
3) Le deformazione si considerano sufficientemente piccole, tanto da poter trascurare gli
effetti del secondo ordine (effetti P-∆).
4) Le mensole si considerano perfettamente incastrate alla base.
5) Si considera ciascun piano indipendente dagli altri, cioè non ci deve essere transizione di
forza lungo l’altezza dell’edificio. Questa ipotesi è accettabile solo quando le deformate dei
varie elementi resistenti sono dello stesso tipo. Questo evita che ci sia una migrazione delle
forze da un piano all’altro.
6) Si assume che i sistemi resistenti alle forze orizzontali siano costituiti da lamine o strutture
a telaio riconducibili a tali.
Oltre a queste ipotesi di validità generale, si devono considerare delle ulteriori ipotesi
semplificative, per evitare di dover addentrarci nella matematica matriciale e nella considerazione
di altri effetti di ordine superiore.
1) Le lamine vanno considerate a parete piena sottile, cioè di spessore tale da poter trascurare
la rigidezza per sollecitazioni torsionali e per sollecitazioni flettenti e taglianti in piani
P a g . | 79

rappresentata si assume Üyy 0 e ÜÀÀ ≠ 0, e si considera trascurabile la rigidezza torsionale


verticali normali al piano medio della lamina. In altri termini per la lamina qui di seguito

alla De Saint Venant, e si assume nulla la rigidezza ad ingobbamento impedito (quindi vale
anche per le lamine che concorrono in un punto).

2) Si assume inoltre che le mensole siano a sezione costante, o variabile con l’altezza ma in
modo tale che si mantengono costanti i rapporti di proporzionalità tra i moduli di
rigidezza a flessione delle mensole tra i vari piani. Il fatto che i rapporti di rigidezza non
varino tra i piani fa sì che la scomposizione delle forze effettuata per un solo piano valga
anche per tutti gli altri.
3) Si suppone inoltre che anche le mensole siano perfettamente incastrate al piede e si può
estendere al caso in cui esse siano in condizioni di incastro rotazionale cedevole

i rapporti tra le rigidezze Ü e la corrispondente rigidezza rotazione della fondazione,


(circostanza inevitabile a motivo della deformabilità del terreno e delle fondazioni), purché

siano tra loro tutti eguali.


4) Il sistema delle forze orizzontali che si considera applicato all’edificio deve essere raccolto
dalle travi orizzontali (costituite dalle lastre rigide formate dai solai, con la loro bordatura
di travi), con risultanti aventi uguale direzione piano per piano, e uguale punto di
applicazione.
In queste condizioni tutte le travi orizzontali risultano sottoposte a sistemi di forze simili, e il
problema della determinazione degli sforzi a capo delle singole mensole risulta essere impossibile,
staticamente determinato o indeterminato in funzione della diversa disposizione delle lamine
controventanti. Infine, il problema si semplifica ulteriormente se si assume il sistema di

quanto è possibile separare le tre incognite di spostamento (le due traslazioni , “ e la rotazione Á)
riferimento generale centrato nel Centro di Taglio (C.T.), cioè il baricentro delle rigidezze, in

del piano. Si ha infatti che, conformemente a quanto accade per le travi, una forza di taglio
applicata al centro di taglio provoca una pura traslazione del sistema, analogamente un momento
ne comporta una pura rotazione.
Vediamo ora di analizzare alcuni semplici casi, ad iniziare
dal caso delle lamine ortogonali tra di loro.
Prima di tutto si deve determinare la posizione del centro di
taglio, si tratterà della semplice ricerca del baricentro di un

∑t ÀÀÏ t
sistema.
; ù. .
9 ∑t ÀÀÏ
~. Ä. →
: ∑t yyÏ Ât
9Âù. . ∑t yyÏ
8
Dove con ÀÀÏ e yyÏ si sono indicate le rigidezze nelle due direzioni dell’i-esima lamina. A questo
punto imponiamo uno spostamento lungo per l’i-esima lamina, e da questa nasce una forza yÏ
yÏ ~ ÜÀÀÏ
Dove con ~ si indica una costante uguale per tutte le lamine (se stiamo trattando la rigidezza
flessionale, sostanzialmente è il modulo di elasticità).
P a g . | 80

La risultante delle singole yÏ è la forza y passante per C, che si deve applicare al piano per

x x
ottenere lo spostamento .

¬ ~ ¬ ÜÀÀÏ
y
y yÏ
~ ∑tO1 ÜÀÀÏ
x
tO1 tO1

Sostituendo quest ultima nella relazione precedente, la forza sulla i-esima lamina è:
Ã
∑V\Oi ÃÄÄ\ ÄÄ\\

Analogamente in direzione Â, imponendo uno spostamento “:


ÀÏ “~ ÜyyÏ
m txvt
7 = Ã
Ä
“ ∑V\Oi Ã
À Ä\
~ ∑tO1 ÜyyÏ
\
x \

centro di taglio C, indicando con ù,t e Âù,t le coordinate del centro di taglio della i-esima lamina,
Supponiamo ora di imporre una rotazione al solaio, pensato infinitamente rigido, attorno al

rispetto al sistema di riferimento generale e considerando l’ipotesi di piccoli spostamenti si ha che


per la singola lamina, vale la seguente relazione, con le componenti di spostamento conseguenti, si

t = −Âù,t Á
noti che la rotazione antioraria viene considerata positiva:
È
“t = ù,t Á
Questi spostamenti inducono delle forze sulle singole lamine, in ragione alle relazioni scritte in

Âù,t Á~ ÜÀÀÏ
precedenza:
ê Ï
y
ÀÏ ù,t Á~ ÜyyÏ
Si noti che poiché la rotazione è stata assegnata attorno al Centro di Taglio del sistema
complessivo, essa comporta solo l’insorgenza del momento M, come da definizione. Difatti è facile
x x
osservare che:

•y ¬ yÏ Á~ ¬ Âù,t ÜÀÀÏ = 0
tO1 tO1
x x

•À ¬ ÀÏ Á~ ¬ ù,t ÜyyÏ =0
tO1 tO1
Da cui si vede che il centro di taglio del sistema complessivo è il baricentro di un sistema di masse

stesse. Detto Ú il momento torcente di piano dovuto alle forze esterne ed Út il momento interno
proporzionali al momento d’inerzia delle singole lamine e posizionate nel centro di taglio delle

x
dovuto all’i-esima lamina, per l’equilibrio di piano alla rotazione deve essere:

Ú = ¬ Út
tO1

x x x
Avendo assunto positivi i momenti se antiorari:

Ú ¬ Út ¬ ÀÏ ù,t yÏ Âù,t =
¾ Á~ ¬ ù,t ÜyyÏ Âù,t ÜÀÀÏ
tO1 tO1 wnAtA tn¥w tO1
A questo punto ci possiamo determinare l’angolo Á:
Ú
Á=
~ ∑tO1 ù,t ÜyyÏ
x
Âù,t ÜÀÀÏ
P a g . | 81

é
Da questa relazione si ricavano le componenti di forza sulla singola mensola:
; \ Ä Ã
9 ∑V\Oi d•,\ Ã \ Äd•,\ ÃÄÄ\ •,\ ÄÄ\
: é
9 Ä\ ∑V •,\ Ã \
8 \Oi •,\ Ã \ Äd•,\ ÃÄÄ\
d

Se si considera il caso semplice di ripartizione di una forza F tra un gruppo di lamine ad essa
parallele, se la forza non passa per il centro di taglio si ha che:

Ú
Si tratta di ripartire tra le lamine una forza e un momento

quantità “, e con le medesime considerazioni:


. Per effetto della forza la sezione trasla della

Ü
ÀÏ
∑xtO1 ÜyyÏ yyÏ
Mentre per effetto del momento Ú ho che:
Ú ù,t ÜyyÏ
∑xtO1 ù,t ÜyyÏ
ÀÏ

à ^ •,\ à \
Si ha quindi:

Ú Å \
Æ
Ä\ ÀÏ ÀÏ
∑V\Oi à \
∑V\Oi •,\ Ã \
d

Come si evince il primo passo è quello di definire la posizione del centro di taglio, ora questa
ricerca è facilitata quando abbiamo a che fare con lamine ortogonali e parallele al sistema di
riferimento principale. Cosa diversa è se abbiamo la presenza di lamine diversamente disposte; qui
di seguito viene illustrato un procedimento generalmente rapido e semplice per determinare la
posizione del centro di taglio di un sistema di lamine. Ricordando che una traslazione nel piano,
assunto infinitamente rigido, fa sorgere un sistema di forze la cui risultante passa per il centro di
taglio C.T.. Si procede assegnando al sistema, in maniera indipendente (uno dopo l’altro), due
spostamenti unitari secondo due direzioni qualsiasi, una volta determinata la retta d’azione della
risultante degli sforzi sulle varie lamine per ciascuno dei due casi considerati, l’intersezione tra le

rappresentato, una volta imposto uno spostamento in direzione Â, il sistema di forze che nasce è il
due rette fornisce il centro di taglio. Consideriamo il sistema di lamine qui di seguito

seguente:

; Üyy‡ ∙ 1
À‡
9
Àˆ = Üyyˆ ∙ 1

: •g = 1 ∙ &!%= ∙ ÜÈ
9
8 Èg 1 ∙ %#"= ∙ Ü•
Calcolando il momento risultante rispetto al polo O, considerando il momento positivo se

Ú
antiorario, si ha:
À‡ 1 Àˆ •g • Èg È
P a g . | 82

Il modulo della risultante R si ricava facilmente dalla seguente espressione:


;¬ •g &!%= Èg %#"=
9 t
ÀÏ À‡ Àˆ

• Éæ¬ ÀÏ è æ¬ yÏ è !“#
: ¬ yÏ •g %#"= Èg &!%=
t t 9
8 t

é
La retta d’azione si trova ad una distanza da O pari a:
^[
À‡ 1 Àˆ •g • Èg È
m
JË À‡ Àˆ •g &!%= Èg %#"=Ì Ë •g %#"= Èg &!%=Ì

Mentre la sua direzione è individuata dall’angolo U rispetto all’asse :


∑\ Ä\ •g &!%= Èg %#"=
´W
À‡ Àˆ
∑\ \ •g %#"= Èg &!%=
Operando in modo analogo lungo la direzione , e dall’intersezione delle due rette d’azione delle
risultanti, e con semplici operazioni trigonometriche, posso determinare la posizione del centro di
taglio.

Esempio numerico.

Prima di tutto dobbiamo definire la posizione del centro


di taglio, questa ricerca può essere compiuta in due
diversi modi. Il primo consiste nell’applicare la relazione
scritta in precedenza, il secondo modo si tratta di fornire
al sistema due spostamenti unitari indipendenti e
osservare il punto di intersezione delle due rette d’azione
delle rispettive risultanti. In questo secondo caso, si osserva che la ricerca è immediata, difatti il
centro di taglio dell’intero sistema coincide con il centro di taglio della lamina (1). Ma vediamo di

∑xtO1 ù,t ÜyyÏ 5 × 5×


fare alcuni conti.
; ù = 0
9 ∑tO1 ÜyyÏ
x
2
: ∑xtO1 Âù,t ÜÀÀÏ 3 ×
9 Âù = = 3
8 ∑xtO1 ÜÀÀÏ

0
Vediamo ora gli effetti delle due componenti.
;
À‡

9
Àˆ = x ÜyyÏ
À À À
∑tO1 ÜyyÏ 2 2
¦onqoutwxoq

:
À

9 À À
ÜyyÏ
À À
8 g ∑tO1 ÜyyÏ
x
2 2
Prima di passare al calcolo degli effetti rotazionali, anche se già sappiamo che per la À saranno
nulli, si deve determinare il momento d’inerzia polare del nostro sistema, calcolato rispetto al
V
centro di taglio:

Ã{ ¬ •,\ Ã
d
\
Äd•,\ ÃÄÄ\ 5 5 3 59
\Oi
P a g . | 83

1 =0
;1) ê l
9 1Ê = 0
9 =0
rwAoutwxoq
2) ê =0
l
À
: Ê

93) ê ôl = 0
9
8 ôÊ = 0
Ed ora passiamo a definire gli effetti portati dalla sollecitazione y (il momento antiorario è
considerato positivo).
; y
Ü
¦onqoutwxoq 9 y‡
∑xtO1 ÜÀÀÏ ÀÀÏ y

y
: yˆ 0
9 0
8 yg
Ú y 3
; ; 1 Â Ü = 0=0
9 1)
9 l ∑xtO1 ù,t ÜyyÏ Âù,t ÜÀÀÏ ù,t ÀÀ Ï
59
9 : Ú y 3
9 9 1Ê = ∑x ( Ü ù,t ÜyyÏ = 0=0
9 8 tO1 ù,t yy  ù,t ÜÀÀ 59
y 3
Ï Ï
9 Ú
9 ; 9 l
∑xtO1 ù,t ÜyyÏ Âù,t ÜÀÀÏ
Âù,t ÜÀÀ Ï
=
59
0=0
rwAoutwxoq
2)
: : Ú y 3 15
y
9 = x ù,t ÜyyÏ = 5
9 8 Ê
∑tO1( ù,t ÜyyÏ Âù,t ÜÀÀÏ 59 59 y
9 Ú y 3
9 ; Âù,t ÜÀÀÏ = 0=0
9 9 ôl
∑tO1 ù,t ÜyyÏ Âù,t ÜÀÀÏ
x 59
93
9 : Ú y 3 15
9 ôÊ = ∑x ( Ü ù,t ÜyyÏ = 5
8 8 tO1 ù,t yyÏ Âù,t ÜÀÀÏ 59 59 y
Come si osserva, usando la convenzione dei segni da noi definita, la sollecitazione viene vista in
termini di ripartizione sulle varie lamine. A questo punto non ci resta altro che sommare le varie

0 0
componenti.
1l = y
ôl
1) ‚ 0 2 ‚ 15 3 ‚
l
15
= ôÊ = +
À À

Ê
2 59 y
2 59 y

2.6.4.2 - Analisi dinamica lineare (analisi modale).


Non è altro quello che si è visto all’inizio di questa dispensa, essa si definisce nella seguente
procedura.
- Determinazione dei modi di vibrare della costruzione (analisi modale), si tratta di definire
gli autovalori e gli autovettori della matrice delle rigidezze.
- Calcolo degli effetti dell’azione sismica, rappresentata dallo spettro di risposta di progetto,
per ciascuno dei modi di vibrare individuati.
- Nella combinazione di questi effetti.
Devono essere considerati tutti i modi con massa partecipante significativa. È opportuno a tal
riguardo considerare tutti i modi con massa partecipante superiore al 5% e comunque un numero
di modi la cui massa partecipante totale sia superiore all’85%. La massa partecipante non è altro
che il taglio alla base che viene ad essere portato giù dall’edificio per ogni diverso modo di vibrare.
Ovviamente la somma delle masse partecipanti afferenti ad ogni singolo modo di vibrare, deve
fornire la massa totale della struttura. Come abbiamo avuto modo di vedere ogni modo di vibrare
P a g . | 84

è definito da accelerazioni e spostamenti massimi, ma queste caratteristiche non sono


contemporanee per tutti i modi di vibrare, dato che ogni modo ha il suo periodo caratteristico.
Per risolvere il problema annoso della non contemporaneità dei massimi, si usano dei criteri di
combinazione probabilistica; tengo altresì precisare che questi metodi non hanno nessuna
rispondenza fisica, sono solo dei modi di calcolo statistico.
La normativa permette di usare due metodi di combinazione diversi.
; ÓmÓÓ → <¬
d
9
[
[

:
9•n• → <¬ ¬ o[T [ T
8 [ T
Il primo metodo (la radice dei quadrati) può essere usato solamente quando i periodi dei singoli

combinazione completa CQC, dove p¦n è il coefficiente di correlazione tra il modo * ed il modo %,
modi di vibrare differiscono tra di loro di almeno il 10%. In alternativa si deve usare la

S L
ed è fornito dalla seguente:

Iƒd JŒST •
o[T [
S S d S
Œi ST • ›Œi ST • Hƒd ST œ
[ [ [
Da un punto di vista tecnico usando queste relazioni perdo la linearità del problema, e quindi
sono impossibilitato ad applicare la sovrapposizione degli effetti, dall’altra perdo i segni delle
varie caratteristiche sollecitanti, ma questo è comunque accettabile dato che il sisma agisce in tutte
le direzioni.
Per gli edifici gli effetti dell’eccentricità accidentale (definita a pag. 67) del centro di massa
possono essere determinati mediante l’applicazione di carichi statici costituiti da momenti torcenti
di valore pari alla risultante orizzontale della forza agente al piano, determinata con una semplice
analisi statica lineare, moltiplicata per l’eccentricità accidentale del baricentro delle masse rispetto
alla sua posizione di calcolo.

Gli spostamenti db della struttura sotto l’azione sismica di progetto allo SLV si ottengono
2.6.4.3 - Valutazione degli spostamenti.

moltiplicando per il fattore μx i valori dbª ottenuti dall’analisi lineare, dinamica o statica, secondo

μx = q se T1 ≥ TË
l’espressione seguente.

db 3μx dbª dove ‚ TË


μx = 1 + (q 1) se T1 ’ TË
T1
In ogni caso μx ] 5q 4.

2.6.4.4 - Analisi statica non lineare (pushover).


L’analisi non lineare statica consiste nell’applicare alla struttura i carichi gravitazionali e, per la

della costruzione, proporzionalmente alle forze d’inerzia ed aventi risultante (taglio alla base) F’ .
direzione considerata dell’azione sismica, un sistema di forze orizzontali distribuite, ad ogni livello

Tali forze sono scalate in modo da far crescere monotonamente, sia in direzione positiva che

orizzontale dË di un punto di controllo coincidente con il centro di massa dell’ultimo livello della
negativa e fino al raggiungimento delle condizioni di collasso locale o globale, lo spostamento

costruzione (sono esclusi eventuali torrini). Il diagramma F’ dË rappresenta la curva di


capacità della struttura.
P a g . | 85

Questo tipo di analisi può essere utilizzato soltanto se ricorrono le condizioni di applicabilità nel
seguito precisate per le distribuzioni principali (Gruppo 1); in tal caso esso si utilizza per gli scopi
@
e nei casi seguenti.
1) Valutare in modo più accurato i rapporti di sovraresistenza @Ì , per una migliore

valutazione del fattore di struttura .
2) Verificare l’effettiva distribuzione della domanda inelastica negli edifici progettati con il
fattore di struttura .
3) Come metodo di progetto per gli edifici di nuova costruzione sostitutivo dei metodi di
analisi lineari.
4) Come metodo per la valutazione della capacità di edifici esistenti.
Si devono considerare almeno due distribuzioni di forze d’inerzia, ricadenti l’una nelle
distribuzioni principali (Gruppo 1) e l’altra nelle distribuzioni secondarie (Gruppo 2) appresso
illustrate.

Gruppo 1 - Distribuzioni principali.


- Distribuzione proporzionale alle forze statiche (calcolare con l’analisi statica lineare),
applicabile solo se il modo di vibrare fondamentale nella direzione considerata ha una
partecipazione di massa non inferiore al 75% ed a condizione di utilizzare come seconda
distribuzione la 2(a).
- Distribuzione corrispondente ad una distribuzione di accelerazioni proporzionale alla
forma del modo di vibrare, applicabile solo se il modo di vibrare fondamentale nella
direzione considerata ha una partecipazione di massa non inferiore al 75%.
- Distribuzione corrispondente alla distribuzione dei tagli di piano calcolati in un’analisi

struttura è superiore a Äù .
dinamica lineare (analisi modale), applicabile solo se il periodo fondamentale della

Gruppo 2 - Distribuzioni secondarie.


a) Distribuzione uniforme di forze, da intendersi come derivata da una distribuzione
uniforme di accelerazioni lungo l’altezza della costruzione.
b) Distribuzione adattiva, che cambia al crescere dello spostamento del punto di controllo in
funzione della plasticizzazione della struttura.
Questo è quello che è riportato nel Testo Unico, ma nella sua circolare esplicativa si procede oltre
(§C.7.3.4.1).

L’analisi Pushover o analisi di spinta (letteralmente pushover significa “spingere oltre”) è una
procedura statica non lineare impiegata per determinare il comportamento di una struttura a
fronte di una determinata azione (forza o spostamento) applicata. L’analisi consiste nello
“spingere” la struttura fino a che questa collassa o un parametro di controllo di deformazione non
raggiunge un valore limite prefissato; la “spinta” si ottiene applicando in modo incrementale
monotono un profilo di forze o di spostamenti prestabilito. Il sistema di sollecitazioni in questione
deve simulare nel modo più realistico possibile gli effetti di inerzia prodotti dal sisma nel piano
orizzontale. Tali effetti, a loro volta, dipendono dalla risposta stessa della struttura, per cui il
sistema di forze applicato alla struttura dovrebbe cambiare durante l’analisi per fornire un
adattamento della distribuzione delle sollecitazioni al livello di danneggiamento della struttura
(pushover adattivo).
In sostanza l’analisi di spinta è una tecnica di soluzione incrementale-iterativa delle equazioni di
equilibrio statico della struttura in cui la forzante è rappresentata dal sistema di spostamenti o
forze applicato.
P a g . | 86

La Pushover consente di definire un legame scalare forza-spostamento caratteristico del sistema


studiato, detto curva di capacità, che permette di ricondurre la ricerca dello spostamento
massimo di un sistema soggetto ad una certa azione esterna a quella di un sistema Single Degree
Of Freedom (SDOF) equivalente.
In tal modo l’analisi della risposta della struttura viene ricondotta a quella di un sistema ad un solo
grado di libertà (SDOF) equivalente alla struttura di partenza. I metodi statici non lineari
permettono di individuare lo spostamento massimo di tale sistema SDOF equivalente e quindi la
risposta della struttura (punto prestazionale) soggetta ad un evento sismico descritto dal
relativo spettro di risposta in accelerazione. Quindi questo metodo d’analisi è utilizzabile solo per
le costruzioni il cui comportamento, sotto la componente del terremoto
considerata, è governato da un modo di vibrare naturale principale,
caratterizzato da una significativa partecipazione di massa.
L’analisi di spinta è particolarmente intuitiva nei sistemi SDOF, dato che

concentrata sorretta da un elemento privo di massa con rigidezza ( e


sono schematizzabili da un semplice pendolo composto da una massa

collegato ad un elemento, privo di massa e rigidezza, responsabile dello


smorzamento. La configurazione deformata del sistema è definita quindi
da un unico parametro che può identificarsi con lo spostamento relativo

consiste nell’applicare alla massa del sistema uno spostamento Í o una


della massa rispetto al suolo. In questi semplici casi, l’analisi di spinta

forza la cui intensità viene gradualmente incrementata nella direzione


dell’unico grado di libertà disponibile. Le espressioni che definiscono la

Í =∙
forzante (intesa in senso generalizzato come forza o spostamento) possono esprimersi come:
È
>∙•
Dunque, fissato arbitrariamente il valore di o •, il fattore moltiplicativo = o > viene gradualmente
incrementato da zero fino ad un valore finale che permetta di investigare il campo di risposta di

Ad ogni valore di = o > corrisponde quindi un valore di Í o che rappresenta lo spostamento o la


interesse per il sistema in esame.

forza applicati alla massa del sistema.

con il taglio äŽ alla base e lo spostamento con quello della massa.


Il comportamento del sistema è definito da un legame forza-spostamento in cui la forza coincide

- Nel caso di analisi a forze imposte ( è la forza applicata ad ): äŽ e Í essendo Í

Íe
lo spostamento di prodotto da .

äŽ
- Nel caso di analisi a spostamenti imposti (Í è lo spostamento applicato ad ):
essendo la reazione vincolare risultante.
Nel caso di sistemi Multi Degrees Of Freedom (MDOF), l’approccio è simile con la differenza che la
struttura viene eccitata applicando un profilo di forze o di spostamenti orizzontali in
corrispondenza di ciascun piano e che, per descrivere il comportamento dell’intero sistema in
termini di legame forza-spostamento, è necessario scegliere un solo parametro di forza ed un solo
parametro di spostamento. La scelta di tali parametri non è univoca e può dar luogo a differenti
legami forza-spostamento ossia a differenti legami costitutivi del sistema SDOF equivalente detti
curva di capacità. Solitamente, come parametri di forza e di deformazione, si selezionano il taglio
alla base e lo spostamento del punto di controllo che generalmente è scelto come punto più alto
della struttura, per esempio coincidente con il baricentro dell’impalcato di copertura.
P a g . | 87

incrementale, un profilo di spostamenti u ËÍ1 , Í , … , Í- , … , Íx Ì


In una analisi di spinta basata sugli spostamenti o sulle forze si impone alla struttura, in modo

Ë 1 , , … , - , … , x Ì a livello di piano che possono essere definite da un vettore di forma g o h,


o di forze

moltiplicato per un fattore di scala = o >:


u =∙g
È
>∙h
Dove g Ë 1 , , … , - , … , x Ì e Ít = ∙ t è lo spostamento dell’i-esimo piano, oppure h
Ë•, • , … , •- , … , •x Ì e t > ∙ •t è la forza di piano i-esima.

(detto curva di capacità) si scelgono comunemente il taglio alla base e lo spostamento Í- del piano
Per descrivere il comportamento del sistema attraverso un legame scalare forza-spostamento

j-esimo come ad esempio quello in sommità .


Considerando che l’obiettivo è di simulare la risposta dinamica della struttura, sorge la questione
se l’analisi di spinta debba essere condotta applicando un sistema di spostamenti o di forze. Se la
struttura avesse un comportamento elastico lineare i due approcci condurrebbero agli stessi
risultati ma la presenza di effetti anelastici comporta una sensibile differenza tra le due
alternative.
Concettualmente l’analisi dinamica viene condotta con le forze inerziali per cui l’analisi di spinta a
forze imposte sembrerebbe più appropriata ma, in un’analisi dinamica, perfino quando un modo è
dominante, l’andamento delle forze di piano non rimane inalterato (ossia non variano
proporzionalmente ad un fattore costante), quindi applicare una distribuzione di forze costante
non è comunque esatto. Inoltre possono sorgere difficoltà nel condurre analisi anelastiche stabili
con controllo di forze, poiché queste non sono in grado di cogliere un eventuale comportamento
softening della struttura né di seguire accuratamente risposte associate a rigidezze molto
piccole, per ciò può essere preferibile eseguire analisi a spostamenti controllati. Di contro,
lavorando a spostamenti imposti, si vincola la deformata della struttura, per cui si rischia di
conseguire campi di forze completamente errati rispetto a quelli attesi in una struttura “libera” di
deformarsi a fronte dell’evento sismico e quindi a risultati seriamente fuorvianti.
Comunque, l’approccio basato sulle forze è quello che ha attirato maggiormente l’interesse perché
di facile implementazione su tutti i più comuni programmi di calcolo. Infine lo scopo principale
dell’analisi statica non lineare nella progettazione antisismica, secondo gli standard dei nuovi codici
normativi europei ed internazionali, è quello di evitare analisi dinamiche, computazionalmente molto
onerose e di non facile esecuzione, attraverso la formulazione di una procedura in grado di
P a g . | 88

riprodurne i risultati in modo sufficientemente rappresentativo, che permetta di cogliere gli


aspetti principali del comportamento dinamico di una struttura.
Il risultato più immediato di un’analisi di pushover è la definizione della curva di capacità della
struttura ossia della curva forza-spostamento espressa, solitamente, in termini di taglio alla base
(äŽ ) e spostamento in sommità ( ), che rappresenta appunto la capacità esibita dal sistema di

Considerando un sistema SDOF, l’andamento della curva di capacità dipende dalla rigidezza ( o
fronteggiare una certa azione esterna.

dalla flessibilità ( ‰1 del sistema, che a loro volta dipendono essenzialmente dalle caratteristiche
geometriche e meccaniche del sistema e sono funzioni non lineari rispettivamente dello
spostamento e della forza applicata

( Í !”” *# äŽ (
al sistema:
È
Í ( ‰1
!”” *# ( ‰1 äŽ
Nel caso più complesso, ma di
maggiore interesse, di sistemi
MDOF la curva di capacità mostra
andamenti analoghi ai sistemi SDOF
caratterizzati entrambi da un
tratto inizialmente rettilineo,
corrispondente al comportamento
lineare della struttura, che si
incurva quando inizia la
plasticizzazione e la risposta
progredisce in campo non lineare.
La capacità di una struttura
dipende dalle capacità di resistenza e di deformazione dei suoi singoli componenti.
La curva di capacità definisce la capacità della struttura indipendentemente da qualsiasi specifica
richiesta sismica (infatti non si fa riferimento alcuno all’azione sismica) e quindi descrive le
caratteristiche intrinseche del sistema resistente; in altre parole è una sorta di legame
costitutivo semplificato della struttura. Trattandosi di un legame scalare forza-spostamento il
comportamento del sistema MDOF viene così ricondotto sostanzialmente a quello di un sistema
SDOF, che può ragionevolmente definirsi equivalente, dato che la curva di capacità è stata
costruita tenendo conto del comportamento dell’intero sistema MDOF.
Quando un terremoto induce uno spostamento
laterale sulla struttura la sua risposta è
rappresentata da un punto su tale curva e,
poiché la deformazione di tutti i suoi componenti
è correlata allo spostamento globale della
struttura stessa, ogni punto di questa curva
definisce anche uno specifico stato di danno
strutturale.
La curva di capacità può essere semplificata
linearizzando a tratti il suo andamento
adottando approssimazioni bilineari o trilineari.
P a g . | 89

Non esiste un unico metodo di linearizzazione per cui le curve ricavate possono essere molteplici. Si
deve però cercare di seguire il più possibile l’andamento curvilineo originario in modo da attuare
un’approssimazione il più possibile accurata. Il comportamento del sistema può quindi essere
idealmente schematizzato con un ramo elastico lineare fino allo snervamento e con un ramo post-
elastico incrudente, perfetto o degradante.
Tale curva di capacità deve essere confrontata con la domanda del sisma, ottenuta
rappresentando gli spettri elastici di progetto in un sistema di coordinate A-D (pseudo-
accelerazione - spostamento). Vediamo ora quali sono i principali metodi per definire la domanda
sismica a cui è sottoposta la struttura.

2.6.4.4.1-Metodo del Capacity Spectrum.


Il Capacity Spectrum Method (CSM), proposto per la prima volta da Freeman nel 1975 e 1978, è
una procedura di analisi statica non lineare per valutare lo spostamento massimo atteso in una
struttura sottoposta ad un evento sismico assegnato.
Tale azione sismica, detta richiesta sismica, è definita attraverso uno spettro di risposta
elastico; il comportamento strutturale è rappresentato da una curva forza-spostamento, detta
curva di capacità, che definisce il comportamento della relativa struttura SDOF equivalente. Per
valutare lo spostamento atteso si determina sulla curva di capacità lo spostamento compatibile
con la richiesta sismica attraverso la domanda sismica nel formato ADRS (Acceleration
Displacement Response Spectrum), descrivendo quindi la curva di capacità e lo spettro di risposta
in termini di accelerazioni e spostamenti spettrali.
Attraverso questa trasformazione, il metodo del capacity spectrum rende possibile una
valutazione grafica di come la struttura risponde alla sollecitazione sismica. L’intersezione dello
spettro di capacità con lo spettro di risposta individua un punto detto punto di funzionamento
della struttura (performance point), che rappresenta la condizione per cui la capacità sismica di
una struttura è pari alla domanda sismica
imposta. Tutti i diversi metodi riguardanti il
Capacity Spectrum combinano quindi l’analisi
pushover di un modello a più gradi di libertà
(MDOF) con l’analisi dello spettro di risposta di
un sistema equivalente ad un grado di libertà
(SDOF).
Un metodo innovativo, l’N2 di Fajfar, non
utilizza lunghe procedure iterative e quindi
velocizza notevolmente i calcoli della domanda
P a g . | 90

sismica dato che, a differenza dei due sopracitati, utilizza spettri anelatici, i quali sembrano essere
maggiormente appropriati.

2.6.4.4.2-Metodo N2 di Fajfar.
- Definizione dei dati.

tridimensionale, in cui i diaframmi siano infinitamente rigidi nel piano orizzontale. Se " è il numero
Tra i dati del problema vi è, in primo luogo, la definizione di un modello della struttura, piano o

dei piani, i gradi di libertà risultano pari a 3"; essi vengono raggruppati in tre sottovettori, i quali
rappresentano gli spostamenti di piano nelle direzioni orizzontali e  e le rotazioni torsionali:
Í¿ ¿y , Í
™Í ¿À , Í
¿u š
In aggiunta ai dati necessari per le usuali analisi elastiche, sono richieste anche le relazioni non
lineari tra sforzi e deformazioni per elementi strutturali soggetti a carico monotono (per esempio,
un modello di elemento potrebbe essere una trave con plasticità concentrata agli estremi e una
relazione bilineare o trilineare tra momento e rotazione). Già da questi primi aspetti, riguardanti i
dati da considerare nell’analisi, è possibile quindi comprendere come il metodo in questione sia
stato concepito soprattutto in riferimento a strutture a telaio. Un ultimo aspetto da considerare
è la definizione della domanda sismica, in genere nella forma di uno spettro elastico di
accelerazione, in cui l’accelerazione spettrale è data come una funzione del periodo naturale della
struttura.

- Domanda sismica nel formato ADRS.


È possibile modificare lo spettro accelerazione-periodo, nello spettro anelastico accelerazione-
spostamento.

c d
Sappiamo che per un sistema SDOF, ad un grado di libertà, vale quanto segue:

ÓµU Ÿ Ó ÕU
de
Dove ‘Òe e ‘Ðe sono i valori dell’accelerazione e dello spostamento nello spettro elastico,
corrispondenti ad un periodo T e a un fissato coefficiente di smorzamento viscoso. Per un sistema
inelastico a un grado di libertà SDOF con una relazione bilineare tra sforzo e deformazione, lo
spettro di accelerazione anelastico (‘ÒÎÏ ) e di spostamento anelastico (‘ÐÎÏ ) possono essere

‘Òe
determinati nel modo seguente:
; ‘ÒÎÏ
9 •Ð
: š š Ä Ä
9‘ÐÎÏ • ‘Ðe • 4Ö ‘Òe š 4Ö ‘ÒÎÏ
8 Ð Ð
P a g . | 91

riduzione R Ò , funzione dell’energia isteretica dissipata dalla struttura duttile, mentre μ è il fattore
Come si osserva per ottenere lo spettro inelastico, il metodo N2 prevede l’utilizzo di un fattore di

snervamento. Si noti che •Ð differisce dal fattore di struttura per il fatto che quest ultimo tiene
di duttilità, definito come il rapporto tra lo spostamento massimo e lo spostamento a

in conto anche della sovraresistenza •n (in pratica si ha che q R Ò R ” ). Numerose proposte sono
state fatte a proposito del fattore di riduzione •Ð per il metodo N2 in questione, si utilizza uno

Ä
spettro bilineare per il fattore di riduzione proposta da Vidic et al. (1994):
•Ð š 1 1 %# Ä ’ Äù
‚ Äù
•Ð š %# Ä < Äù
dove Äù è il periodo caratteristico dello spettro in cui si ha la transazione dalla zona ad
accelerazione costante, alla zona a velocità costante. Dalle due relazioni suddette emerge che nel
campo dei periodi medio-lunghi vale la regola dell’ugual spostamento, nel senso che lo spostamento
del sistema anelastico è pari a quello del corrispondente sistema elastico con ugual periodo.

lo spettro di domanda anelastico nel formato ADRS al variare dei fattori di duttilità š.
Pertanto, a partire dallo spettro elastico ed utilizzando le relazioni mostrate, può essere ottenuto

- Analisi Pushover.
Come già accennato in precedenza, l’analisi Pushover è una procedura statica non lineare impiegata
per determinare il comportamento di una struttura a fronte di una determinata forza applicata e
consiste nello “spingere” la struttura fino a che questa collassa o un parametro di controllo di
deformazione non raggiunge un valore limite prefissato; la “spinta” si ottiene applicando in modo
incrementale monotono un profilo di forze prestabilito. Il sistema di forze in questione deve
simulare nel modo più realistico possibile gli effetti di inerzia prodotti dal sisma nel piano
orizzontale.
Come abbiamo già visto all’inizio di questo capitolo, ed in riferimento alla normativa vigente (EC8 ed
NTC 2008 al punto 7.3.4.1), si suggerisce di applicare al nostro modello due distribuzioni di forze
orizzontali, applicate ai baricentri delle masse dei vari orizzontamenti.
- Una distribuzione di forze proporzionali alle masse.
- Una distribuzione di forze proporzionali al prodotto delle masse per la deformata
corrispondente al primo modo di vibrare del sistema considerato elastico.
Per quanto riguarda la seconda distribuzione, il vettore dei carichi, che generalmente consiste nelle

¿ ”Ó
Z ¿ ”é ¿
componenti nelle tre direzioni (forze in x, y e momenti torcenti), ha la forma:
P a g . | 92

¿
P è il vettore delle forze laterali.
Dove:

p è il fattore moltiplicativo incrementale delle forze.


-

M è la matrice diagonale delle masse del sistema.


-

Φ¿ è il vettore degli spostamenti assunti, in casi notevoli assunto pari al primo modo
-
-
vibrazionale della struttura, normalizzato al valore unitario della componente relativa al
punto di sommità.
Si noti che l’espressione sopra riportata, contenuta nella formulazione del metodo N2, in generale

considerata qualsiasi forma modale). Generalmente ¿ consiste in tre componenti non nulle (due
non implica alcuna restrizione riguardante la distribuzione dei carichi orizzontali (può essere

direzioni orizzontali e una rotazione torsionale); la procedura può essere sostanzialmente

¿ E¿y, R¿ ,R¿ ]
semplificata applicando i carichi orizzontali solo in una direzione.

Dalle relazioni suddette segue che la forza orizzontale applicata nella direzione x all’i-esimo piano è
proporzionale alla componente ΦÕ,ƒ della forma di spostamento assunta Φ ¿ Õ , pesata alla massa di
piano mƒ .
Z ,\ { \ ,\
Questa relazione ha un certo significato fisico: se la forma di spostamento assunta fosse uguale
alla forma modale e costante durante il sisma (ad esempio se il comportamento strutturale fosse
elastico), allora la distribuzione delle forze laterali scelta sarebbe uguale alla distribuzione esatta
delle forze sismiche. Nel campo anelastico, comunque, la forma di spostamento in genere cambia nel
tempo e l’equazione rappresenta quindi un’approssimazione; nonostante ciò, essa permette che la
trasformazione da sistema MDOF ad SDOF e viceversa segua delle semplici formule matematiche
nel campo sia elastico che anelastico (non sono richieste ulteriori approssimazioni, come nel caso
di altre procedure semplificate).

- Sistema SDOF equivalente e curva di capacità.


L’analisi statica di pushover non ha un fondamento teorico rigoroso cosicché procedure differenti,
che pur conducono a risultati abbastanza diversi tra loro, sono largamente usate ed accettate.
L’assunto di base sul quale poggia l’analisi di spinta è che la risposta della struttura sia dominata
da un solo modo e che la forma di questo modo resti costante durante la storia temporale della
risposta stessa. Entrambe le assunzioni non sono esatte, ma numerosi studi in merito hanno
mostrato che queste supposizioni conducono a stime abbastanza buone della risposta sismica
massima di sistemi MDOF, purché la loro risposta sia dominata dal primo modo.
Nel metodo N2, la domanda sismica è determinata attraverso l’uso di spettri di risposta e il
comportamento anelastico viene tenuto in conto esplicitamente. Conseguentemente, la struttura
può, in principio, essere modellata come un sistema a un grado di libertà. Diverse procedure sono
state studiate per determinare le caratteristiche del sistema equivalente SDOF. Una di queste,
utilizzata nell’ultima versione del metodo N2 e adottata dall’EC8 e dall’Ordinanza n. 3274 (punto
4.5.4.3), viene discussa in seguito. Il punto di partenza è l’equazione del moto di un modello

é
¾ g ¾ ¾ gM¾
• j—k,—lM é
¾ ¾ [
strutturale 3D (con 3n gradi di libertà) di una costruzione a più piani.

ôÞô ôÞ1 ôÞô ôÞ1 ôÞ1 ôÞô ôÞ1


Per semplicità lo smorzamento non verrà considerato nella trattazione che segue, dato che se ne
terrà conto nella definizione nello spettro di progetto.
P a g . | 93

Mentre r è il vettore che definisce la direzione efficace del sisma. Ed inoltre si assume che la forma
di spostamento ¿ rimanga costante e non cambi durante la risposta della struttura al sisma; il

g
© Φ¿ D× t
¾
vettore degli spostamenti è definito come:

ôÞ1 ôÞ1
In cui D× t è lo spostamento, dipendente dal tempo, in sommità della struttura. Il vettore Φ ¿ , per

statica sappiamo che le forze interne F u, uM sono uguali alle forze esterne applicate P.
convenienza viene normalizzato in modo che la componente in sommità sia pari all’unità. Dalla

, M Z
Introducendo le espressioni suddette nell’equazione del moto e premoltiplicando per ¿ Ø , si

¿ é ¿ ®A ¿ é¿” ¿ é[M
ottiene:

Dopo aver moltiplicato e diviso a primo membro per ¿ Ø


,̅ , l’equazione del moto del sistema

¿ Ø ,̅ ¿ Ø ,̅ ¿ Ø ,̅
equivalente a un grado di libertà può essere scritta nella seguente maniera:
¿ é ¿ ®A ¿ é¿” ¿ é[M
¿ Ø ,̅ ¿ Ø ,̅ ¿ Ø ,̅

- m∗ ¿ Ø ,̅ è la massa equivalente del sistema SDOF, come si osserva essa dipende dalla
Vediamo ora di introdurre alcune grandezze caratteristiche.

posso affermare che m∗Õ ∑ mƒ ΦÕ,ƒ .


direzione del sisma, ad esempio se si considera la sola direzione x-x, come direzione efficace,

D∗ = ÛÜ è lo spostamento del SDOF equivalente, dove la costante Γ è il coefficiente di


Ú ×
-
partecipazione, ed è lui che controlla la trasformazione dal modello MDOF a quello SDOF, e

¿ . ,̅
viceversa. Tale coefficiente viene ad essere così definito:

Γ= .
¿ ¿
Nel caso, per esempio, di moto sismico nella sola direzione x-x ([M = Ei ¿ ,R¿ ,R¿ ]) e
assumendo una forma di spostamento con componenti non nulle in un’unica direzione ( ¿ =
E¿y, R ¿ ,R
¿ ]), si ha che:
∑ mƒ ΦÕ,ƒ
Γ=
∑ mƒ ΦÕ,ƒ
Si noti ancora una volta che ¿ è normalizzato (la componente in sommità dell’edificio è pari
all’unità) e che qualsiasi ragionevole forma di spostamento può essere adottata per ¿ (di
norma si può assumere il primo modo).
¿ . ,̅ ™
è la forza equivalente del sistema SDOF, mentre ä è il tagliante
∗ Ñ L∗ s
Ü Ü Ü
-
totale alla base del sistema MDOF, e nel caso di sisma agente lungo la sola direzione x-x, ho
che:
äy ¬ t Φy,t ” ¬ Ûy,t
Alla fine assemblando il tutto ottengo l’equazione del moto del sistema equivalente ad un grado di

®
∗ ∗ ∗ ∗
libertà SDOF:

La costante Γ viene utilizzata per la trasformazione sia di forze che di spostamenti: come
conseguenza di ciò, è possibile ottenere la relazione ∗ ® ∗ per il sistema SDOF, solamente
cambiando la scala degli assi del grafico ä ®A determinato per il sistema MDOF; inoltre la
rigidezza iniziale è uguale per i due sistemi.
P a g . | 94

Ai fini della
determinazione di un legame semplificato (elastico – perfettamente plastico) per il sistema SDOF,
devono essere utilizzati criteri di tipo ingegneristico; i codici normativi forniscono alcune
indicazioni utili. Per esempio, nell’EC8 e nel Testo Unico viene suggerita un’idealizzazione bilineare
basata sul principio
di ugual energia.

Quindi alla curva di capacità del sistema equivalente occorre sostituire una curva bilineare, avente
un primo tratto elastico e un secondo tratto perfettamente plastico. Detta Ž la resistenza
·ÞÌ
massima del sistema strutturale reale, ed Ž∗ Ü
equivalente, il tratto elastico si individua imponendone il passaggio per il punto 0,6 Ž∗ della curva di
la resistenza massima del sistema

capacità del sistema equivalente, la forza di plasticizzazione À∗ si individua imponendo l’ugualianza


delle aree sottese dalla curva bilineare e dalla curva di capacità per lo spostamento massimo ∗
corrispondente ad una riduzione di resistenza di 0,15 Ž∗ .
Il metodo N2 prevede che la rigidezza post-snervamento sia nulla, ossia che il sistema equivalente
abbia un comportamento elastico-perfettamente plastico. L’effetto di un incrudimento modesto
viene tenuto conto nello spettro di domanda; esso, comunque, non
ha un’influenza rilevante. Il periodo elastico del sistema bilineare è dato dall’espressione:
P a g . | 95

∗ ∗ ∗ ¿ Ø ,̅ ∗
Ä∗ 2Ö< 2Ö< 2Ö<
À À
(∗ À

À

- Domanda sismica per il sistema SDOF equivalente.


La domanda sismica per il sistema SDOF equivalente può essere determinata utilizzando la

corrispondente al periodo elastico Ä ∗ del sistema bilineare equivalente e lo spettro di domanda


procedura grafica illustrata qui di seguito. L’intersezione tra il prolungamento della linea

elastica ‘Òe definisce la domanda di accelerazione (e la corrispettiva domanda di spostamento)


richiesta al sistema indefinitamente elastico. L’accelerazione allo snervamento S'ß rappresenta la
capacità del sistema anelastico. Il fattore di riduzione •Ð è dato dal rapporto tra le accelerazioni

‘Òe Ä ∗
corrispondenti ai sistemi elastico e anelastico.
•Ð
S'ß

evidenziato, il fattore di riduzione dovuto alla duttilità •Ð differisce dal fattore di struttura per il
Com’è già stato

pertanto, l’accelerazione di progetto ‘Ò˜ è tipicamente minore dell’accelerazione a snervamento


fatto che quest’ultimo tiene in conto sia della dissipazione d’energia sia della sovra resistenza;

S'ß . Se il periodo elastico Ä ∗ risulta maggiore o uguale a Äù , vale la regola dell’ugual spostamento
(lo spostamento raggiunto dal sistema anelastico è pari a quello di un sistema elastico di pari
periodo NTC - §3.2.3.2.3); dalla similitudine dei triangoli, la domanda di duttilità š
àÎÏ

ÐÊ∗
è pari al
fattore di riduzione •Ð :
;‘ Ä∗
9 ÐÎÏ ®Loy

‘Ðe Ä ∗
Ÿ ‘Òe

‘ÐÎÏ ”#* Ä ∗ < Äù
:
9 š •Ð
8 ®À∗
Se il periodo elastico Ä ∗ risulta minore di Äù , la domanda di duttilità e di spostamento si
differenziano dal sistema elastico, in particolare la domanda di spostamento è superiore a quella di

š ‘Ðe Äù
un sistema elastico di pari periodo, e possono essere così determinati:
;‘Ð ®Loy

š®À∗ ‘Ðe ›Ë•Ð 1Ì ∗ 1œ
9 ÎÏ
•Ð •Ð Ä
: ‘ÐÎÏ Äù
9 š Ë•Ð 1Ì ∗ 1
8 ®À∗ Ä
P a g . | 96

In entrambi i casi la domanda inelastica in termini di


accelerazione e spostamento corrisponde al punto di
intersezione (performance point) della curva di
capacità con lo spettro di domanda corrispondente
alla domanda di duttilità . In questo punto, il fattore
di duttilità determinato dalla curva di capacità e
quello associato allo spettro di domanda sono uguali.

- Domanda sismica globale e locale per il


sistema MDOF.

‘ÐÎÏ ®Loy
Una volta nota la domanda di spostamento, ossia

determinare lo spostamento massimo ®A,Loy del


per il modello SDOF, è possibile

punto di controllo del modello MDOF; questo è


possibile invertendo semplicemente l’equazione dello

®A,Loy Γ‘ÐÎÏ Γ®Loy


spostamento equivalente.

®A,Loy ] ∗
Quindi una volta trovata la domanda di spostamento, per lo stato limite in esame si verifica che:

Per lo stato limite scelto si procede alla verifica della compatibilità degli spostamenti per gli
elementi/meccanismi duttili e delle resistenze per gli elementi/meccanismi fragili. È buona norma
aver spinto l’analisi fino al superamento dello stato limite oggetto della verifica, in genere
eccedendolo del 150% circa.
Una volta noto lo spostamento massimo del punto di controllo si conosce dall’analisi la
configurazione deformata ed è pertanto possibile eseguire la verifica dell’edificio, in particolare
controllando la compatibilità degli spostamenti in quegli elementi che presentano un
comportamento duttile e delle resistenze in quegli elementi che hanno un comportamento fragile.
L’analisi non lineare statica condotta nei modi previsti dalle NTC può sottostimare
significativamente le deformazioni sui lati più rigidi e resistenti di strutture flessibili
torsionalmente, cioè strutture in cui il modo di vibrare torsionale abbia un periodo superiore ad
almeno uno dei modi di vibrare principali traslazionali. Per tener conto di questo effetto, tra le
distribuzioni secondarie delle forze occorre scegliere la distribuzione adattiva.
Infine, si ricorda che per modelli tridimensionali devono essere eseguite due separate analisi
pushover nelle due direzioni orizzontali; sui risultati rilevati (spostamenti, movimenti relativi tra i
piani, rotazioni nei nodi e nei collegamenti, sollecitazioni negli elementi fragili), ottenuti dalle analisi
indipendenti, può essere eseguita la combinazione quadratica (SRSS).
Gli effetti torsionali accidentali sono considerati nel modo previsto al punto §7.2.6 delle NTC, qui
di seguito ne riporto uno stralcio:

“Per tenere conto della variabilità spaziale del moto sismico, nonché di eventuali incertezze
nella localizzazione delle masse, al centro di massa deve essere attribuita una eccentricità
accidentale rispetto alla sua posizione quale deriva dal calcolo. Per i soli edifici ed in assenza
di più accurate determinazioni l’eccentricità accidentale in ogni direzione non può essere
considerata inferiore a 0,05 volte la dimensione dell’edificio misurata perpendicolarmente
alla direzione di applicazione dell’azione sismica. Detta eccentricità è assunta costante, per
entità e direzione, su tutti gli orizzontamenti.”
P a g . | 97

- Approssimazioni e limiti del metodo N2.


Il metodo esposto, essendo una procedura semplificata, è necessariamente soggetto a diverse
restrizioni. Le due principali fonti di approssimazioni e limitazioni, sono rappresentate soprattutto
dall’analisi pushover e dalla determinazione della domanda di spostamento.
L’analisi pushover è basata su un’assunzione molto restrittiva, ossia che la forma di spostamento
sia indipendente dal tempo. Ciò risulta inaccurato per strutture dove i modi superiori sono
significativi e le caratteristiche dinamiche cambiano dopo la formazione del primo meccanismo
plastico locale. Una possibilità pratica, per rimediare parzialmente a tale limitazione, sarebbe
quella di adottare due differenti forme di spostamento e fare l’inviluppo dei risultati, avvalendosi di
una variazione della metodologia detta Modal pushover (Paret et al., 1996; Chopra & Goel, 2002).
Un’altra possibilità, molto più complessa e decisamente onerosa, sarebbe quella di usare una
procedura in cui la distribuzione di forze laterali cambia ad ogni passo dell’analisi, chiamata
Adaptive pushover (Gupta & Kunnath, 2000; Magenes, 2000; Elnashai, 2001; Antoniou et al.,
2002).
Un’altra fonte di inaccuratezze è la determinazione della domanda di spostamento per il sistema
SDOF equivalente; nel caso venga adottato uno spettro anelastico, essa dipende
dal periodo iniziale del sistema e dallo spettro. Il periodo elastico del sistema SDOF equivalente non
è univocamente determinato, in quanto dipende dall’idealizzazione bilineare della curva pushover, la
quale è basata per lo più su giudizio ingegneristico. Inoltre, lo spettro anelastico utilizzato in tale
metodo è basato, nel campo dei periodi medio-lunghi, sulla regola di ugual spostamento la quale, in
generale, è valida per strutture su siti compatti (Miranda & Bertero, 1994) e con cicli d’isteresi
stabili e completi (Vidic et al., 1994; Gupta & Krawlinker, 2000). Tale regola, però, potrebbe
fornire spostamenti anelastici troppo piccoli nel caso di sisma in prossimità della faglia (Baez &
Miranda, 2000), per cicli d’isteresi con significativo pinching o rilevante deterioramento di
rigidezza e resistenza (Rahnama & Krawlinker, 1993). In questi casi particolari, dovrebbero essere
usati spettri anelastici modificati con opportuni fattori di correzione (Fajfar, 1992).
Nel caso di strutture con periodi piccoli, la sensitività dei valori degli spostamenti anelastici
(maggiori di quelli elastici) al variare dei parametri strutturali è più accentuata rispetto al caso dei
periodi medio-lunghi. Pertanto, le stime degli spostamenti risultano meno accurate nel campo dei
periodi medio-corti; ciò non appare comunque problematico, in quanto le grandezze in gioco
risultano piccole e tipicamente non governano il progetto.
Nell’eventualità in cui il metodo venga applicato a modelli strutturali tridimensionali, esso non
risulta particolarmente appropriato per strutture torsionalmente flessibili. In questo caso,
infatti, la struttura non vibra secondo il solo modo fondamentale, ma diversi modi risultano
significativi nella risposta complessiva. Il problema può essere parzialmente risolto con
un’adeguata scelta di due effettive eccentricità: l’inviluppo dei risultati delle due analisi pushover
può dare risultati prossimi a quelli delle analisi dinamiche (Fajfar, 2002).
Infine, i metodi semplificati normalmente non considerano l’effetto dell’accumulo del
danneggiamento; per tenere in conto questo aspetto è possibile aumentare la domanda sismica
(Cosenza & Manfredi, 1992; Chai et al., 1998), ovvero ricorrere a particolari parametri (McCabe &
Hall, 1989; Fajfar, 1992).

2.6.4.5 – Analisi non lineare dinamica.


Quest ultimo modo di analisi è certamente quello più complesso, ove si va studiare l’effettivo
moto della struttura sottoposta ad accelero-grammi costruiti artificialmente (se consentito) o
ricavati direttamente da dati sperimentali (opportunamente filtrati). Chiaramente si tratta di una
analisi non lineare (a tutti i livelli), ed inoltre si deve dare in pasto al calcolatore molti accelero-
grammi, che deve eseguire una integrazione nel tempo, con passi di integrazioni molto piccoli,
con una conseguente elevata mole di dati in output. Lo schema dei materiali chiaramente deve
P a g . | 98

essere non lineare, e ne devo considerare lo schema isteretico. Infatti l’oscillazione portata dal
sisma provoca lo snervamento del materiale, il quale viene ad essere portato in campo plastico, ma
essendo l’azione sismica per sua natura di tipo oscillante; il materiale è chiamato alla
plasticizazzione nel senso negativo, creando per l’appunto con successivi cicli di carico e scarico, il
comportamento isteretico dello stesso. Quindi devo fornire leggi costitutive complete (isteretiche)
con tanto di cicli degradanti, ecco la complessità di questo tipo di analisi.
L’analisi dinamica non lineare della struttura ha lo scopo di valutare il comportamento dinamico
della struttura in campo non lineare, consentendo il confronto tra duttilità richiesta e duttilità
disponibile, nonché di verificare l’integrità degli elementi strutturali nei confronti di possibili
comportamenti fragili.
Quando si effettua questo tipo di analisi occorre utilizzare un’analisi non lineare anche per la
valutazione degli effetti dei carichi verticali. Questa analisi deve precedere l’analisi con
accelerogrammi e può essere anche di tipo statico-incrementale, facendo crescere tutti i carichi
gravitazionali in maniera proporzionale fino al loro valore di progetto. Il confronto tra analisi
dinamica non lineare ed analisi modale con spettro di progetto in termini di sollecitazioni globali
alla base è finalizzato a verificare che tali differenze siano contenute, a riprova della bontà
dell’analisi dinamica non lineare effettuata. Nel caso delle costruzioni con isolamento alla base
l’analisi dinamica non lineare è obbligatoria quando il sistema d’isolamento non può essere
rappresentato da un modello lineare equivalente, come stabilito nel §7.10.5.2.
Gli effetti torsionali sul sistema d’isolamento sono valutati come precisato nel §7.10.5.3.1,
adottando valori delle rigidezze equivalenti coerenti con gli spostamenti risultanti dall’analisi. In
proposito ci si può riferire a documenti di comprovata validità.

2.7 – Tipologie strutturali.


Come abbiamo visto la valutazione del fattore di struttura P è legato anche alla tipologia
strutturale di appartenenza della nostra struttura, le quali possono essere così definite.
1) Strutture a telaio.
Nelle quali la resistenza alle azioni sia verticali che orizzontali è affidata principalmente a
telai spaziali, aventi resistenza a taglio alla base maggiore o uguale al 65% della resistenza a
taglio totale.
2) Strutture a pareti.
Nelle quali la resistenza alle azioni sia verticali che orizzontali è affidata principalmente a
pareti, singole o accoppiate, aventi resistenza a taglio alla base maggiore o uguale al 65%
della resistenza a taglio totale.
3) Strutture miste telaio-pareti.
Nelle quali la resistenza alle azioni verticali è affidata prevalentemente ai telai; la resistenza
alle azioni orizzontali è affidata in parte ai telai ed in parte alle pareti, singole o accoppiate;
se più del 50% dell’azione orizzontale è assorbita dai telai si parla di strutture miste
equivalenti a telai, altrimenti si parla di strutture miste equivalenti a pareti.
4) Strutture deformabili torsionalmente.

torsionale non soddisfa ad ogni piano la condizione ö – 0,8).


¦
Composte da telai e/o pareti, con ridotta rigidezza torsionale di piano (la cui rigidezza

á
5) Strutture a pendolo inverso.
Nelle quali almeno il 50% della massa è nel terzo superiore dell’altezza della costruzione o
nelle quali la dissipazione d’energia avviene alla base di un singolo elemento strutturale.
6) Strutture a pareti estese debolmente armate.
Una struttura a pareti è da considerarsi come struttura a pareti estese debolmente armate
P a g . | 99

nell’ipotesi di assenza di rotazioni alla base, non superiore a Äù , e comprende almeno due
se, nella direzione orizzontale d’interesse, essa ha un periodo fondamentale, calcolato

pareti con una dimensione orizzontale non inferiore al minimo tra 4,0m ed i 2/3 della loro
altezza, che nella situazione sismica portano insieme almeno il 20% del carico
gravitazionale; essendo grandi queste pareti, la dissipazione non avviene per la formazione
delle cerniere plastiche, ma per un movimento rigido di rotazione (tendono a sollevarsi da
una parte), quindi la dissipazione dell’energia sismica avviene per il lavoro
positivo/negativo dei carichi gravitazionali, quindi per caduta degli stessi (ho una aumento
dell’energia potenziale dei piani, a differenza dei telai dove ho solamente la loro traslazione
orizzontale). Il comportamento globale di queste strutture è scarsamente dissipativo,
quindi ho dei piccoli fattori di struttura, ed ecco il motivo per cui le pareti possono essere
debolmente armate. Qui il fattore di struttura non è dovuto alla capacità di duttilità della
struttura, ma al suo comportamento di forma, e la dissipazione è legata ad irraggiamento
energetico verso il terreno nella fase terminale di caduta degli elementi di parete (cioè nella
loro meccanica d’urto con il terreno), ed è per questo che pretendo di avere come minimo
il 20% del carico gravitazionale a disposizione. Se una struttura non è classificata come
struttura a pareti estese debolmente armate, tutte le sue pareti devono essere progettate
come duttili. Queste sono strutture scatolari, quindi delle strutture tozze.
Sempre in riferimento alla definizione del fattore di struttura P andiamo a vedere la differenza tra
pareti singole e pareti accoppiate.

Se le travi di parete (traversi) non sono più considerate trascurabili, e quindi hanno un
comportamento tagliate, con la conseguente nascita di una deformazione ad “S”; la somma dei
vari tagli fa nascere degli sforzi normali sulle pareti, e questi per la distanza tra i baricentri delle
pareti, portano via una quota parte del momento totale agente. Per affermare se ricado nella

‘# c Þ â – 20%éÓ]``U_\ aV U ++!* +# ” *# %!"! &&!”” #


categoria delle pareti accoppiate o meno, devo verificare quanto segue:

Questo meccanismo resistente è certamente favorevole, infatti mi permette di ridurre il momento


al piede (di difficile gestione), e di sostituirlo con una parte di sforzi normali, più favorevoli per le
nostre tipologie strutturali.
P a g . | 100

Altra tipologia è quella mista telaio-pareti, a dire il vero questa tipologia costituisce la
maggioranza delle strutture esistenti, in questo caso è fondamentale comprendere se può essere
considerata equivalente a un telaio, o ad una struttura puramente a pareti.

In questo edificio ad esempio, lungo x-x abbiamo un comportamento a telaio, mentre per le
sollecitazioni lungo y-y abbiamo la presenza di due lamine di parete, il tutto può essere
rappresentato schematicamente, dove la rigidezza complessiva è data da sette telai assieme a due
pareti (con uno schema statico di mensola). Questo schema funziona sempre perché abbiamo
l’ipotesi del diaframma di piano rigido, quindi nella direzione y-y “sento” la rigidezza complessiva
di sette telai e due setti. La collaborazione tra questi due elementi è favorevole, infatti il telaio ha
una deformata lineare con l’altezza (a livello di piano ho delle deformate a “S”) globalmente,
quindi ho una deformata di tipo tagliante. Mentre i setti si deformano come una mensola, quindi
seguendo un andamento cubico; quindi ho dei meccanismi deformativi diversi, ma sono obbligati
a convivere, quindi il setto appare molto più rigido alla base rispetto al telaio, per contro in
sommità la situazione di inverte, quindi
le sollecitazioni verranno assorbite
maggiormente dal telaio. Ho una
migrazione delle forze tra i due sistemi
resistenti, ed in sommità ho delle forze
che girano dalla parte opposta, tutto
questo può essere visualizzato con i
seguenti diagrammi qui affianco. Dove
vediamo l’aliquota dei momenti

nell’ipotesi di setti con +Ÿ diversi; si


assorbiti dai due sistemi strutturali,

osserva che questa interazione si smorza


via via che il setto diventa più tozzo. Infatti per gli elementi strutturali tozzi diviene più
importante il comportamento alla Timoscenco (comportamento tagliante), ed ecco che
l’interazione diviene meno efficace, infatti le due deformate iniziano ad assomigliarsi, se il setto è
tozzo. Ed inoltre si deve prestare attenzione al tipo di fondazione per i setti, infatti al contrario dei
telai, essi sono sensibili al tipo di fondazione, allora si deve valutare di mettere delle molle al di
sotto del setto, cioè deve fare uno studio di sensibilità delle fondazioni al di sotto del setto. Quindi
si deve valutare il grado di cedevolezza delle fondazioni al di sotto del setto.
P a g . | 101

Vediamo ora le strutture deformabili torsionalmente (o a nucleo), queste sono delle strutture che
tendono a ruotare, per capire se rientro in questa categoria, devo usare la seguente regole; cioè per

[ ZU[ ]´V\ {\aV]


ogni piano della struttura e per ogni direzione, debba essere verificata questa relazione:
] R, I È
âÓ ZU[ ]´V\ ^\[Ub\]VU
- * è il rapporto tra la rigidezza torsionale e laterale di piano.
- ¿ è il raggio giratore del piano in pianta (è un indice di dispersione geometrica del nostro
fabbricato), dato come radice quadrata del rapporto tra il momento polare d’inerzia del
piano, calcolato rispetto al centro di massa, e l’area del piano stesso.
Partendo dal presupposto (principio del minimo energetico), che lo spostamento si svolge nella
direzione della minima rigidezza, è del tutto evidente che il precedente rapporto descrive proprio
questo principio. È del tutto evidente che si

una bassa rigidezza di piano, perché * ne


richiede una elevata rigidezza torsionale, oppure

rappresenta il rapporto, questo al di la di ¿ che

¿ ci aiuta se l’edificio è compatto, quindi posso


non è altro che una caratteristica geometrica. Ma

avere una rigidezza torsionale più limitata


(sempre in rapporto a quella laterale), mentre se
ho un fabbricato molto esteso in pianta, devo
prestare attenzione, infatti ci dobbiamo ricordare
che la rotazione provoca dei gradi spostamenti
per gli elementi periferici. Vediamo ora le
relazioni che ci permettono di arrivare alla

Ú
valutazione di questo rapporto in modo approssimato.
m ][T\]Va`U vÜs ¬ EÁ\,h`UT, ∙ Ä,d Á\,h`UT,Ä ∙ ,d
\ H
@ 1 \
\

m ¬ Á\,h`UT,
,h`UT
1 \

mÄ,h`UT ¬ Á\,h`UT,Ä
 1 \

m m
[ < ; [Ä <
][T\]Va`U ][T\]Va`U
m ,h`UT mÄ,h`UT
Raggio giratore del piano:
Ã{]`a[U,{\aV] Õd d
âÓ < <
Õ{\aV] id
L’espressione semplificata del raggio giratore la si è ottenuta per
una sezione di piano rettangolare, con il centro di massa
coincidente con il baricentro geometrico.
Ed infine abbiamo le strutture a pendolo inverso, nelle quali
almeno il 50% è nel terzo superiore dell’altezza della
costruzione, o nella quale la dissipazione dell’energia avviene alla
base di un singolo elemento strutturale, è del tutto evidente che
per queste strutture non abbiamo alcuna duttilità spendibile,
quindi devono essere calcolate in completo campo elastico.
P a g . | 102

Ora vediamo di approfondire il comportamento delle strutture scatolari e a telaio, nell’ipotesi di


analisi elastica lineare. E vedremmo di comprendere alcuni concetti già anticipati in quest ultimo
paragrafo, soprattutto riguardo al comportamento dei setti, e al rapporto degli stessi con il resto
della struttura.

2.7.1 – Le strutture ricorrenti.


Sappiamo che nel realizzare edifici di una certa altezza (oltre i tre piani) a semplice telaio non è
opportuno per i seguenti motivi:
1) Difficoltà di realizzare i nodi, soprattutto per quanto concerne la posa dell’armatura.
2) Dimensioni notevoli dei pilastri.
3) Strutture fortemente deformabili, che superata una certa altezza, risulta difficile
mantenere entro limiti di deformabilità accettabili dalla normativa.
È possibile raggiungere altezze sensibilmente maggiori rispetto a quelle consentite da semplici
strutture intelaiate controventando l’insieme di telai con mensole verticali, che sono, in genere,
naturalmente presenti in un edificio per funzioni diverse (es. vani scala, vani ascensore o muri di
testata dell’edificio).
Ci si trova allora a dover risolvere il problema di come si ripartiscono le azioni orizzontali tra
mensole e telai e tra mensole di caratteristiche diverse, come abbiamo già visto. Prima di
affrontare tale questione esaminiamo le problematiche della tipologia strutturale, osservando
come molti aspetti legati alla progettazione di edifici alti si possono estendere alla progettazione
di strutture in zona sismica con limitato numero di piani.
Le strutture portanti degli edifici possono essere schematicamente ricondotte a due tipologie
fondamentali.
Strutture scatolari.
In questo caso, di cui sono classici esempi le strutture in muratura ed a pannelli, l’ossatura
è costituita da elementi verticali continui e vincolati tra loro, collegati a livello dei piani dagli
orizzontamenti aventi funzioni di diaframmature.
In questo tipo di struttura, qualora la struttura resistente venga ridotta ad una serie di
pareti piane di controventamento, il calcolo delle sollecitazioni agenti sulle mensole semplici
si può condurre con i procedimenti che illustreremo nel seguito, purché i giunti orizzontali
siano tali da assicurare un funzionamento monolitico dell’insieme.
In ogni caso bisogna prestare particolare attenzione nel processo di schematizzazione
strutturale che porta ad individuare nella struttura una serie di elementi resistenti e a
trascurare tutto il resto, occorre porre sempre molta cautela quando si ha a che fare con
forze orizzontali considerevoli.
Infatti mentre nell’analisi per forze verticali il trascurare alcune parti gioca sempre a favore
di sicurezza, nel caso di azioni orizzontali alterare l’effettiva distribuzione delle rigidezze,
anche con la semplice eliminazione di elementi non strutturali (o per lo meno considerati
tali) può modificare totalmente il comportamento torsionale dell’edificio facendo sì che ci
siano notevoli differenze tra le sollecitazioni calcolate e quelle effettivamente presenti. Di
conseguenza per quel che riguarda la struttura, conviene adottare una schematizzazione
quanto più aderente possibile alla realtà. Per quanto riguarda le parti non strutturali, quali
murature di tamponamento o altri pannelli divisori rigidi, l’ideale sarebbe condurre il calcolo
nelle due ipotesi limite: considerandoli completamente assenti o ipotizzando che collaborino
efficacemente con la struttura; il comportamento reale sarà quindi intermedio (ciò vale
chiaramente anche per le strutture a telaio). Per le strutture a pannelli ci si deve ricordare
che oltre all’analisi globale si devono verificare singoli componenti, giunti etc., ed essendo
questi funzione del sistema costruttivo si rimanda per essi alla lettura di opere
specialistiche.
P a g . | 103

Strutture a telaio.
In questo caso, gli elementi verticali sono isolati e collegati da travi e solai che
costituiscono gli orizzontamenti. Le forze orizzontali vengono riportate dai solai, rigidi nel
loro piano, ad una serie di strutture piane verticali idonee ad assorbirle e classificabili in:

(a) telai a nodi rigidi;


(b) pareti di controventamento (piene, reticolari, a sezione aperta C, chiusa – es. vani scale
etc);
(c) telai a nodi rigidi combinati con pareti di controventamento. Si tratta di situazioni in cui
le pareti hanno una rigidezza confrontabile con quella dei telai; nel caso invece in cui la
deformabilità dei telai in rapporto a quella delle mensole sia molto maggiore si ricade nel
caso (b).

I casi (a) e (c) si presentano comunemente negli edifici di altezza normale (4-5 piani),
mentre nelle strutture di edifici alti risulta più conveniente, rispetto all’impiego di
strutture tipo Vierendel (cioè telai a maglie rettangolari) a cui affidare l’assorbimento delle
forze orizzontali, ricorrere a travi e mensole molto rigide ancorate alle fondazioni. Tali travi
e mensole, che nelle costruzioni in acciaio sono costituite da strutture reticolari piane
(come i controventi dei capannoni industriali), nelle costruzioni in c.a. possono essere
costituite da elementi già inseriti per funzioni diverse (come ad esempio muri di divisione di
proprietà diverse, pereti di vani scale e vani ascensore, muri tagliafuoco etc.). La presenza di
tali elementi anche in edifici di modesta altezza conduce spesso alla convenienza di
adottare anche in questi casi questo tipo di controventi. Si tratta per lo più di pareti di c.a.
di spessore piccolo rispetto alle altre dimensioni della sezione orizzontale. In questo caso si
lascia ai pilastri snelli il compito di portare soltanto le azioni verticali.

2.7.2 – Analisi di una struttura soggetta a forze orizzontali.


Tale analisi si conduce per step, che possono essere così riassunti:
1) Determinazione delle forze da applicare all’intero edificio a livello dei singoli orizzontamenti
(cioè non si considerano forze distribuite ma forze concentrate).

Tale approssimazione risulta assolutamente accettabile vista l’aleatorietà di molte


variabili in gioco, la presenza di aperture ecc.
2) Ripartizione di tali forze tra i diversi elementi verticali piani di controvento, come abbiamo
visto nelle pagine 76-80.
3) Valutazione delle sollecitazioni indotte nei singoli elementi piani resistenti dalle forze
precedentemente calcolate.
P a g . | 104

4) Verifica di resistenza dopo aver combinato le sollecitazioni calcolate con quelle derivanti dai
carichi gravitazionali.
Le forze orizzontali sollecitanti le strutture di controventamento, considerate agenti a livello dei
singoli orizzontamenti, possono essere:
- Azioni dovute al vento.
- Azioni dovute al sisma.
- Azioni derivanti dal fissaggio dei nodi nei telai ad aste solidali.
Per la determinazione delle forze del vento e delle forze sismiche si rimanda a quanto già visto, per
quanto riguarda le forze di fissaggio si devono considerare, secondo la teoria del primo ordine, ad
esempio le reazioni esercitate dai vincoli ausiliari introdotti nel calcolo dei telai con il metodo del
Cross, e secondo la teoria del secondo ordine le forze necessarie per la stabilizzazione dell’equilibrio
particolarmente importanti nelle strutture realizzate con unioni a cerniera tra pilastri e travi
prefabbricate.
Per quanto riguarda la ripartizione delle forze orizzontali tra i singoli elementi resistenti
osserviamo innanzitutto che essi possono essere costituiti da telai, lamine, controventi etc. e che
tale problema può essere affrontato in modo rigoroso solo considerando il comportamento
spaziale dell’edificio, e a tal proposito si rimanda alla trattazione precedente. Perché tutto ciò sia
possibile si deve fare riferimento ad una ipotesi fondamentale; disfatti si deve considerare il solaio
infinitamente rigido nel suo piano ed in grado di trasmettere le azioni orizzontali ai diversi elementi
resistenti, e contemporaneamente deve essere infinitamente flessibile nel piano ortogonale. Per
meglio chiarire questo concetto riporto quello che è scritto negli eurocodici a proposito degli
impalcati.

- Eurocodice 8 (1.2) – Appendice B.6.


Negli edifici gli impalcati giocano un ruolo molto importante nel comportamento sismico complessivo
della struttura. Infatti essi si comportano come membrature orizzontali che non solo riuniscono e
trasmettono le forze di inerzia ai sistemi strutturali verticali, ma assicurano anche che detti sistemi
partecipino tutti insieme nel contrastare l'azione orizzontale.
In conseguenza di ciò gli impalcati rappresentano una parte essenziale della struttura dell'edificio e
naturalmente la loro azione membranale assume una particolare importanza in edifici caratterizzati da
uno sviluppo verticale complesso e non uniforme oppure quando si utilizzino insieme sistemi strutturali
caratterizzati da una diversa deformabilità orizzontale [come per esempio i sistemi misti pareti-telai
(dual systems).
È perciò della maggior importanza che gli impalcati abbiano un'adeguata rigidezza e resistenza in pianta
e siano collegati in maniera efficace agli elementi strutturali verticali. A tal proposito si deve prestare
una particolare attenzione alle configurazioni non compatte o molto sviluppate in pianta ed ai casi in cui
esistano grosse aperture, specialmente se queste ultime sono poste in prossimità dei principali
elementi strutturali verticali impedendo così un'efficiente connessione.

- Eurocodice 8 (1.3) – Punto 2.12.


Gli impalcati devono essere caratterizzati da una sufficiente rigidezza nel loro piano in modo da
consentire una distribuzione delle forze orizzontali agli elementi verticali in accordo con le ipotesi di
progetto (moto rigido degli impalcati), particolarmente nel caso di importanti variazioni nella rigidezza
di un elemento verticale nel passaggio da sotto a sopra l'impalcato. La condizione di corpo rigido può
essere considerata valida se la deviazione nel piano di tutti i punti dell'impalcato rispetto al moto
secondo tale condizione risulta essere minore al 5% dei rispettivi spostamenti assoluti dovuti
all'azione sismica di progetto.
P a g . | 105

Il progetto in zona sismica deve occuparsi della verifica degli impalcati di calcestruzzo armato nei
seguenti casi, relativamente a strutture appartenenti alle classi di duttilità CD"A" e CD"B".
1) Geometrie irregolari o forme in pianta con divisioni, arretramenti e rientranze.

2) Aperture ampie ed irregolari nelle solette.

3) Distribuzione irregolare delle masse e/o delle rigidezze (come per esempio nel caso di arretramenti
o sporgenze).
4) Basamenti con pareti disposte solamente lungo parte del perimetro o solo in parte dell'area del
piano terra.
Nel caso di sistemi strutturali a nucleo o a pannelli, appartenenti alle classi di duttilità CD"A" e CD"B", è
richiesta anche la verifica della capacità da parte degli impalcati di trasferire le azioni orizzontali al
nucleo o ai pannelli. A tal proposito valgono le seguenti disposizioni.

essere limitato entro il valore 6ºrv , quale misura nei confronti della fessurazione.
1) Il valore degli sforzi di taglio di progetto all'interfaccia tra gli impalcati ed il nucleo o pannelli deve

trascurando ogni contributo da parte del calcestruzzo (ä¥v 0). Deve essere predisposta
2) Deve essere garantita un'adeguata resistenza nei confronti della rottura per scorrimento a taglio,

un'armatura addizionale per contribuire alla resistenza a taglio delle interfacce tra gli impalcati ed i
nuclei o i pannelli. Per le lunghezze di ancoraggio fa fede quanto scritto al punto 2.6 (EC8 – 1.3).

In questo modo il solaio nel piano ha tre gradi di libertà e ci si riduce quindi a scrivere tre equazioni di
equilibrio per piano.
In particolare, rispetto ad un sistema di riferimento x-y complanare al piano del solaio, per effetto
delle forze orizzontali t agenti, il solaio al piano i-esimo subirà in generale una rototraslazione,
caratterizzata da uno spostamento lungo la direzione , uno spostamento “ lungo la direzione Â
e una rotazione θ attorno a z. Per l’ipotesi di corpo rigido, noti lo spostamento di un punto e la
rotazione rispetto ad un asse si possono determinare direttamente gli spostamenti subiti da
tutti i punti del solaio e in particolar modo quelli subiti

seguente, dato un punto P x} , y} rispetto al sistema


dagli elementi resistenti. Con riferimento alla figura

di riferimento assegnato, risulta immediato


determinarne le coordinate dopo il moto rigido del

̅ ! &!%@ Â! %#"@
solaio:
È !
ÂM! “ ! %#"@ Â! &!%@
In altri termini il solaio si può pensare come un corpo
rigido vincolato da tante molle quanti sono gli elementi
resistenti che reagiscono opponendosi agli
spostamenti e alla rotazione del corpo rigido stesso.
P a g . | 106

Per ogni piano si possono quindi scrivere tre equazioni di equilibrio: due alla traslazione ed una alla
rotazione.
Prima di illustrare i vari metodi per ripartire le sollecitazioni tra i vari elementi resistenti,
argomento già in parte visto nell’analisi lineare, è bene richiamare alcuni concetti preliminari, per
chiarire alcuni aspetti che rivestono notevole importanza.

2.7.2.1 – Struttura a telaio.


Si hanno comportamenti molto diversi tra edificio ed edificio essendo molto varia la tipologia di
questo tipo di strutture. Un primo elemento indicativo del comportamento del singolo telaio è dato
dal rapporto di rigidezza tra travi e pilastri. A questo proposito possiamo distingue tre condizioni
operative.
1) Pilastri molto più rigidi delle travi; in questo
caso i momenti dovuti a forze orizzontali è quello

Út Ú- Ú yA 2Út
tipico della “mensola”.

‚ ät ä- 7 !“# Q ä yA 2ät
åt å- Û yA 2åt

2) Travi infinitamente rigide rispetto ai pilastri (telai a

∑ t žt
taglio – “shear type”).

Út Ú- ; Ú
; 8 9
t
2
ät ä- Ú yA 2Út ∆å+
!“#
: Û Û 7 : ä yA 2ät
8 å ∆å ; å ∆å åt å-
t
2 -
2 6 9
8 ƌ
2
Dove + è la luce della trave.

3) Caso intermedio tra i due casi limite, questo è


certamente il caso più vicino ai casi reali, il cui
comportamento sarà intermedio a quelli limite, definiti poco
fa.
P a g . | 107

Si noti come nel caso (a) si venga ad avere un notevole sforzo flessionale, mentre negli altri due casi
ho un incremento di sforzo normale da una parte del telaio, e un corrispettivo decremento
dall’altra. Con riferimento alla duttilità strutturale, possono quindi essere più limitanti gli ultimi
due casi.
Si osserva infine come, nella realtà, la presenza di muri di tamponamento, ai quali non si affida
alcuna capacità portante, venga a modificare notevolmente il comportamento dei telai
introducendo due diversi meccanismi resistenti prima della rottura e dopo la rottura del
tamponamento stesso, modificando completamente la ripartizione delle forze.
Prima di procedere oltre vediamo di richiamare alcuni concetti fondamentali; infatti come abbiamo
ribadito, possiamo ripartire le forze orizzontali in modo proporzionale alle rigidezze dei vari
elementi atti a sopportarli, e questo è possibile perché tutte le deformate sono considerate della
stessa natura. Ma allora è bene richiamare la sostanziale
differenza che intercorre tra una trave a comportamento
Euleriano, ed una alla Timoshenko.
La trave Euleriana è definita dal suo asse, che non è asse
baricentrico, ma è passante per il centro di taglio della sua
sezione. Nella meccanica della trave Euleriana ho che ogni
sezione rimane ortogonale all’asse, e ogni elemento ruota
rigidamente, quindi quello che ottengo è uno stato di
tensione biassiale (piano). Ed il taglio si ricava da una
relazione di equilibrio di un concio di trave, dove la

Ú
variazione del momento mi fornisce il taglio.
Ä
Ed inoltre il taglio Ä
º, che in una trave a doppio T assume l’andamento qui
da luogo ad una distribuzione di

delle æ è di tipo lineare. Quindi il taglio si determina con


affianco visualizzato. Tutto questo se la distribuzione

è infinitamente rigida a taglio. Ho sia le ç che le æ lineari


semplici relazioni di equilibrio, dato che la trave Euleriana

lungo la sezione, se sono in campo lineare, e questo vale


sia per l’acciaio che per il calcestruzzo, anche se ci sono
delle differenze, infatti per il cls non mi posso riferire alla
sezione.

comportamento; anche in questo caso le º nascono da


Se invece si va in campo plastico, si ottiene un diverso

semplici relazioni d’equilibrio, ma non vale più la relazione


di Jourawski, e ad ogni modo esse presentano un

avente un ordine di grandezza superiore a quella delle æ).


andamento di questo tipo (con un funzione di variazione
P a g . | 108

Quindi se le æ sono costanti le º saranno lineari, ecco il perché nel calcestruzzo armato è meglio
lavorare con lo “Stress Block”, per evitare di avere º con un andamento del terzo ordine.
Quindi le º nascono da semplici relazioni di equilibrio ed in modo indipendente dal parametro
deformativo associato ¡. Vediamo ora di ricavare alcune importanti relazioni:
U _ 1 _
~ *“ * → è = •! !"# → U =

Ú 1 Ú
Dall’ipotesi fondamentale della meccanica, e cioè dall’analisi della flessione ho che:
U è
Ü • Ü
Considerando una trave Euleriana, quindi infinitamente rigida a taglio, ho per definizione quanto

Ú Ä
segue:

“ Ð Ú ^H |
Usando la definizione della curvatura ho che:
¦t}w
Ú= Ü éà H R
^
Quello che si appena ottenuto è l’equazione differenziale della linea elastica flettente di una trave
puramente inflessa, in assenza di carico distribuito ; ovviamente l’equazione della linea elastica
sarà del terzo ordine.
Ad esempio nel portale qui affianco, la
condizione limite si verifica se la rigidezza
flessionale delle colonne è ampiamente
maggiore di quella delle travi; ed in linea di
principio la forza orizzontale si ripartisce tra
i vari elementi verticali in modo proporzionale
alla rigidezza degli stessi, sempre nell’ipotesi
che le aste siano caratterizzate dalla
medesima deformata “a mensola” di tipo
cubico (deformata di tipo flessionale).
Vediamo ora il caso nel quale il traverso risulti infinitamente
rigido, anche in questo frangente la forza sollecitante si
ripartisce in ragione della rigidezza delle colonne. Per
determinare i momenti alle estremità delle stesse, posso
usare il modello statico equivalente, ove al posto del nodo
inserisco un vincolo pendolare. Come sappiamo il taglio è
dovuto al momento, e il tutto si riduce a delle semplici relazioni

+ Ú
di equilibrio.
Ú →Ä = =
2 4 2

che il momento interno è pari a , mentre quello esterno è +,


·q
Se facciamo una analisi globale della nostra struttura si nota

+ +
quindi nelle colonne ho la comparsa di uno sforzo normale:
ÚÒ 0 → + 2 å+1 0 → å
4 2+1

deformata è lecito, a questo proposito definisco con ¡ l’angolo


Siamo nel campo dei piccoli spostamenti quindi linearizzare la

al piede.
P a g . | 109


Quindi sempre in termini infinitesimi posso affermare che :
¡ “
• → º v
º v¡

Ä èÄ
Ma posso anche scrivere che:
º Eè 1,2 ”#* %# !" !”” ! ÄH
F ∗ F
In questo caso le º non sono più determinate con la classica
relazione di Jourawski, ma vengono definite da una relazione

questo caso le º rappresentano una tensione media. Mentre


di equilibrio, cioè da una relazione di natura energetica, in

è rappresenta il fattore di taglio che rende le tensioni º


energeticamente equivalenti ad un ¡ costante medio.

èÄ “ ùtwè F “
Ora posso esplicitare il taglio:
v Ä v
F è

Ä Õ´ ^d |
In assenza di carico distribuito posso scrivere quanto segue:

R
ê ^ d
Questa è l’equazione della linea elastica tagliante, che governa la trave di Timoshenko, ora la
rigidezza flessionale è infinita, mentre quella tagliante è finita. Al contrario della trave flessionale,
dove ho una deformata cubica, qui abbiamo una deformata di tipo lineare, ed inoltre in questo caso

^H | 1
perdo l’ortogonalità delle sezioni con l’asse della trave.

µUh][ a a h`UTT\]Va`U → éà H R → Ÿè ≠ 0 ; ¡ 0 E®#•!* & / & H


^ •
Õ´ ^d | 1
µUh][ a a a´`\aV U → R → Ÿè 0 ; ¡ ≠ 0 E®#•!* + "# *#H
ê ^ d •
Nella realtà avremmo delle travi a comportamento misto, ove abbiamo una dualità del suo

“ Fv “
comportamento, descritta dalla seguente equazione differenziale:
à
Ü à 0
è
Questa equazione differenziale non presenta più una soluzione esatta che nei programmi di calcolo

¡ 0). Questa equazione governa il comportamento ad esempio delle aste clastrellate, il cui
strutturale è definita dall’elemento beem (dove la rigidezza tagliante è considerata infinita, cioè

particolare comportamento è evidente nella loro instabilità d’equilibrio, dove il carico critico Ûùr è il
Û § q ¦toxw diminuito dal contributo dovuto al taglio (vedi pagina 70 della dispensa “Acciaio e
Calcestruzzo Armato”).
Se accoppio dei sistemi di controventamento che
hanno un comportamento deformazionale diverso,
non posso più dividere le sollecitazioni competenti
ad ogni elemento in ragione delle singole rigidezze,
ma devo applicare dei principi di congruenza. Ed
inoltre osservo che c’è una migrazione interna delle
sollecitazioni orizzontali, ritegno per ritegno, quindi
quello che si viene a creare è uno stato di coazione
interna. Nel semplice esempio in figura si osservi
come in prossimità del suolo, le forze orizzontali
P a g . | 110

vengono portate solamente dalle mensole, che spesso giungono a plasticizzazione, mentre nella
parte alta dell’edificio la mensola viene aiutata dalle lamine a comportamento tagliante. Quindi per
gli edifici esistenti spesso si pone il problema dell’adeguamento alle norme antincendio; quindi per
tutte le scale di sicurezza esterne e bene che queste siano incernierate alla base, in modo da
evitare uno trasferimento di sforzi sfavorevole alle mensole nella parte inferiore dell’edifico. Ma è
altresì vero che il blocco delle scale antincendio, che hanno un comportamento tagliante, mi aiuta
l’edificio nella sua parte di sommità.
Vediamo ora la differenza tra parametri di sollecitazione esterni e i
parametri di sollecitazione interni. Ad esempio per una struttura
isostatica in appoggio semplice, ho come parametro di sollecitazione
esterna il momento M e il taglio T. Ora vediamo come è fatta questa
mia trave, e come risponde alle sollecitazione indotte dall’esterno; ed
essa risponde con i parametri di sollecitazione interni. Se ho a che fare
con una trave Euleriana, questa risponde con il momento plastico e il
taglio resistente (con tutte le dovute differenze tra acciaio e
calcestruzzo). Se invece di una trave ho una struttura reticolare, i
parametri di sollecitazione interni sono gli sforzi normali (quelli
orizzontali mi danno l’equilibrio nei confronti del momento sollecitante esterno, mentre quelli
verticali assorbono il taglio).
Mentre se ho una trave

rigida flessionalmente (¡ ≠
tagliante, cioè infinitamente

0 # è 0), si osserva che le

piane perché ho solamente le º e


sezioni rimangono comunque

non le æ, ed il parametro di
sollecitazione interna Är§ è

Är§ F∗ ºoLL
dato dalla seguente:

Ci si potrebbe chiedere chi equilibra il momento, ma in questo caso si potrebbe pensare alla trave
composta da conci flessionalmente infinitamente rigidi; quindi è come se avessi delle forze
applicate a dei “bracci rigidi”. Il momento lo si trova con delle semplici relazioni di equilibrio, questo
concetto rende notevole la differenza tra una
deformata tagliate e una deformata
flessionale.
Nella deformata flessionale ho una risposta
data dai momenti interni e il taglio
conseguente derivate dall’equilibrio. Nella
deformata tagliante ho un risposta data dal
taglio interno e il momento derivante
dall’equilibrio. A questo proposito è bene
riprendere il caso del telaio con traverso
rigido, rispetto a quello con trave flessibile, nascono degli sforzi normali
all’interno delle aste. E come sappiamo la presenza degli sforzi normali
si mangia una parte della rotazione ultima, e potrebbe introdurre dei
problemi di instabilità di equilibrio. Quindi il telaio con traverso rigido è
più efficace nei confronti dei sismi.
P a g . | 111

Vediamo ora di ragionare su di una sezione soggetta ad azione torcente ÚA , come sappiamo le

particolare le sezioni chiuse forniscono una risposta prestazionale superiore, dato che il braccio ¾ è
sezioni chiuse offrono una risposta alla torsione completamente diversa da quelle aperte. Ed in

ÚA 1
confrontabile con la dimensione della sezione medesima.
¯" $#"#* +# ”#* +# %# !" ”#* # %! + → º / !“# Ü ,
¬ t tô
ÜA, A
3
t
ÚA ÚA
Û#* +# %# !" %! + &ž %#, ž! + *#+ !"# G*# → º
ÜA
,

Ora operando nell’ipotesi del De Saint Venant, l’equazione della linea elastica assume la seguente

@ ÚA ùtwè @
formulazione:

, ÚA vÜA,
vÜA

ÚA ^d ë
Se non ho nessuna azione torcente distribuita lungo il contorno, posso affermare quanto segue:
m txvt
0 ´Ã,
=R
^bd
→ Õ||\ a UV ] ][T\]Va`U `\VUa[U {U[ ][T\]VU a``a µU Óa\V ÔUVaV
Come possiamo osservare la deformata è di tipo lineare nell’ipotesi del D.S.V.; questo perché in ogni
sezione considerata ho la stessa distribuzione delle tensioni e deformazioni conseguenti, e
pertanto indipendenti dalla posizione lungo l’asta, certamente questo vale solamente per le
sezioni compatte e non disperse. Mentre le sezioni a doppio T possono essere viste come un
insieme di lamiere incastrate a vicenda, e quindi ho la torsione ad ingobbamento impedito (torsione
non uniforme). In queste sezioni viene ad essere impedito lo scorrimento longitudinale delle fibre,

sottile aperta sottoposta ad un momento torcente ÚA costituito da una coppia avente un braccio
dovuto alla presenza di questi “incastri interni”. In linea di principio essa sarebbe una sezione

simile allo spessore della sezione, ma in realtà essa si comporta come se fosse costituita da due
mensole incastrate. La linea elastica torsionale generata da una torsione non uniforme è di classe

^H ë
cubica, ed è fornita dalla seguente:

éÃSS H = R → Õ||\ a UV ] ][T\]Va`U _g•\_] {U[ ][T\]VU V]V gV\h][ U


^b
Dove Ü•• è il momento d’inerzia dei momenti statici delle aree settoriali, esso è nullo se tutte le
lamine che costituiscono la sezione convergono in
un punto, in questo particolare caso sono in
torsione uniforme anche per le sezioni disperse.
Ora se avessi un telaio composto da diverse lamine
con un diverso comportamento torsionale (alcune
subiscono un avvitamento torsionale lineare,
mentre altre cubico) e queste sono collegate in
modo solidale con un unico diaframma, ho la
nascita di uno stato di coazione interna, evenienza
per quanto possibile da evitare. Ad ogni modo in
queste condizioni non posso più dividere il problema piano per piano, e
quindi devo fare una trattazione continua del mio corpo tridimensionale,
e non posso utilizzare le relazioni semplificate.
Se ho una lamina di calcestruzzo posso avere un comportamento
puramente tagliante o puramente flessionale, in funzione del suo
rapporto geometrico.
< 2 → ~! ”!* #" ! ”#*•# #" # $+ " #

P a g . | 112

] 2 → ~! ”!* #" ! ”#*•# #" # •+#%% !" +#


ž

Questa semplice regola


può essere utile per
definire lo schema
statico di una parete con
delle aperture, infatti in
ragione della dimensione
dei traversi, posso
pensare ad una parete a
comportamento di tipo
“beam”, oppure in alternativa, avrò a che fare con una parete “shear
type”, dove i traversi sono flessionalmente infinitamente rigidi. La
presenza delle lamine taglianti non mi permette più di ripartire gli sforzi
in ragione delle loro rigidezze, ma anzi ho la nascita di stati di coazione,
con trasferimenti di forze lungo i ritegni. Come si è visto questi stati di coazione provocano una
diminuzione della resistenza disponibile, soprattutto in presenza di strutture di acciaio, dove ho
maggiori problemi di instabilità di equilibrio e di deformazioni progressive (questa è una instabilità
progressiva che non dipende direttamente dai carichi, ma si formano per le dilatazioni termiche), o
fenomeni di fragilità locale (saldature ed irrigidimenti).
Si deve anche affermare che il dimensionamento delle strutture di acciaio è viziato da un peccato
originale, peraltro avvallato dalla stessa normativa; difatti l’acciaio è un materiale molto
resistente, ma lo è ancora di più in rapporto al suo peso specifico, se raffrontato con quello del

$
calcestruzzo. Prendiamo ad esempio una stessa copertura realizzata in due modi diversi.
~!”#* * " && ! → ”. ”. = 50
$
~!”#* * " &. . → ”. ”. = 500 − 600
$
~!”#* * " ”*#&! ”*#%%! → ”. ”. = 300 400
Facciamo una ipotetica analisi dei carichi agli S.L.U. (carico neve ÃK 100 Lˆ ):
Í

$
~!”#* * " && ! → 50¡ì + 100¡m = 225 &!" ¡ì ¡m = 1,5
$
~!”#* * " &. . → 500¡ì + 100¡m = 900
$
~!”#* * " ”*#&! ”*#%%! → 300¡ì + 100¡m = 600

sovraccarico di esercizio di 50 Lˆ (il classico caso delle luci e dell’impiantistica), come si osserva, in
Ora potrei pensare che la mia struttura possa venire usata, ad esempio potrei pensare di avere un
Í

percentuale, la copertura di acciai ha un margine operativo inferiore, eppure le regole progettuali


usate sono le stesse. Ed inoltre la deformabilità dell’acciaio non è certo la stessa del calcestruzzo,

progettuale, conviene assumere un ¡ì pari a 2,5.


e questo fattore potrebbe essere importante per una copertura. Quindi per l’acciaio nella pratica

Lasciando per un momento queste divagazione, seppur importanti, è bene riassumere il diverso
andamento delle deformate in funzione alla tipologia di carico applicato, e alla natura della
deformata. Difatti alla prima riga abbiamo il classico comportamento di una deformata flessionale,
mentre al secondo rigo troviamo la serie di deformate taglianti.
P a g . | 113

2.7.2.2 – Sistema mensola-telaio.


Si considera un telaio con le travate collegate
mediante bielle indeformabili ad una mensola di
irrigidimento. Questo sistema può essere
ricondotto al caso di due mensole in parallelo, una
con deformata tagliante una con deformata
flessionale. Se il telaio ha le travi molto più rigide dei
pilastri si può ricavare la rigidezza tagliante

Ritenendo le travi infinitamente rigide, il taglio ä in


equivalente. Vediamo come si procede.

corrispondenza di un piano di altezza ž, induce uno


spostamento relativo tra la travata superiore e

äžô
quella inferiore uguale a:

¾
12 ∑t Üt
Dove ∑t Üt è la somma dei momenti d’inerzia delle sezioni dei pilastri dello stesso piano. Si può quindi

¾ äž
definire uno scorrimento che vale:

¡
ž 12 ∑t Üt
Se si pensa di sostituire al telaio una mensola fittizia caratterizzata da una deformata tagliante,

ä äè
ricordando che lo scorrimento è dato dalla seguente relazione, vista nella teoria del taglio:
¡ =
vF′ vF
Da questo possiamo ricavare facilmente la rigidezza tagliente equivalente in corrispondenza del

ä vF 12 ∑t Üt
piano preso in esame, come:
¡= !“# »A = =
»A è ž

ha la rigidezza vF′ costante che indichiamo semplicemente con »A .


Se la sezione dei piedritti si mantiene invariata in corrispondenza di tutti i piani, la mensola fittizia

dallo stesso spostamento “, l’equazione della linea elastica allora si può scrivere:
Considerato che le lamine (flessionale e tagliante) funzionano in parallelo, esse sono caratterizzate

^H | idé ∑\ Ã\ ^d |
éÃi H f
^b ¶d ^bd
P a g . | 114

2.7.2.3 – Caso di controventi costituiti da travature reticolari.


Anche quando si utilizzano
controventi di tipo reticolare è
possibile assimilare il loro
comportamento a quello di una
mensola con rigidezza flessionale e
tagliante. Si consideri ad esempio il
caso di una trave reticolare con
croci di S. Andrea e nodi
incernierati, e si assumano le aste
di sezione costante per l’intera
altezza.
Vediamo di partire dalla rigidezza flessionale, considerata una sola diagonale tesa sottoposta alle

Ú
azioni flettenti e taglianti, si ha:
å
+
Detto ∆ž lo spostamento assiale della colonna, la rotazione ∆U può scriversi come:
∆ž 2 åž Úž
∆U 2
+› + Fù Fù +
2
Ricordando che per una trave semplicemente inflessa si ha ∆U §í , si perviene alla seguente
%

Úž Úž Õ• `d
relazione di equivalenza:

2 Ãéf.
Ü Fù + d

sezione costituita da due aree concentrate Fù pari alle aree delle sezioni dei piedritti. Vediamo ora
Per cui la trave reticolare è equivalente ad una trave con momento d’inerzia pari a quello di una

che cosa fare per la rigidezza tagliante; indicando con lx , Ax e Sx rispettivamente la lunghezza,
l’area e la sollecitazione assiale dell’asta diagonale, l’allungamento di tale asta sarà pari a:
Ñ
˜O
§nn xvw c ¥wn@ oqqw¦o
q
‘v +v q O ä+
∆+v
˜
¥wn@
Fv Fv cos =
Indicando con ∆ la componente orizzontale di ∆+v ho che ∆
∆q˜
¥wn@
, e quindi posso definire uno

∆ ∆+v ä+
scorrimento:
¡
ž ž&!%= ž Fv cosô =
Ricordando che per una trave a comportamento taglianete ho che ¡ ìÒ,, per cui:
Ñ

ä ä+ ¶éÕ^ WXYL ‹
= ´Õ ,
¹ éf.
vF′ ž Fv cosô = `
Siamo giunti a determinare la rigidezza tagliante equivalente ¹ éf. .
Si può ricavare facilmente l’equazione della linea elastica, che si riconduce a quella della mensola con

Õ• `d ^H | ¶éÕ^ WXY L ‹ ^d |
rigidezza tagliante e flessionale coesistenti:

é f
d ^ H ` ^ d
P a g . | 115

2.7.2.4 – Tamponamenti in muratura.

l’asta diagonale una larghezza /.


Questa situazione si riconduce al caso precedente, assumendo per


/
2√+ ž
Si osserva infine come nel caso di un telaio qualsiasi si può calcolare
la rigidezza equivalente utilizzando un programma di calcolo.

2.7.3 – Calcolo dei parametri di sollecitazione nelle mensole controventanti.


Le mensole controventanti in un edificio sono quasi sempre costituite da mensole vere e proprie e
da telai, mensole con fori ecc..
Consideriamo ancora il caso di una mensola avente rigidezza
flessionale prevalente associata ad un telaio i cui traversi
possono essere considerati infinitamente rigidi. Come
abbiamo visto in precedenza, per la mensola vale la seguente


equazione differenziale del quarto ordine:
à
Ü à 1
Mentre per il telaio introducendo la rigidezza tagliante

vF 12 ∑t Üt
equivalente:
»A
è ž
1 ∑Ï íÏ
Assunto come parametro geometrico G ˆ , come sappiamo vale la seguente equazione


differenziale del secondo ordine:

G
Se le due strutture sono collegate in modo continuo in modo da avere le stesse deformate, e quindi

esterno q, è dato dalla somma del carico sostenuto dall’una q1 più quello sostenuto dall’altra
uguaglianza degli spostamenti, si è quindi nel caso di due mensole in parallelo, per cui il carico

q . Per il sistema, nel suo complesso, vale allora:


dà v 12 ∑ƒ Jƒ d v dà v d v
EJ à E q EJ à EB q
˃)è

dz h dz dz dz
Questa è una equazione differenziale lineare a coefficienti costanti, che va integrata con le seguenti

1) Nella sezione di base, per x 0, ho lo


condizioni al contorno.

spostamento nullo v 0 e la rotazione nulla xñ 0.


2) Nella sezione di sommità, per x H, ho il


xˆ ð ˃)è xˆ ð
momento flettente nullo ŠM EJ xñ
xñˆ
0Ž;
b òóƒ:xƒ
ed il taglio complessivo nullo Š xñ q T

¸ qdz EJ xñg EB xñ 0Ž.


xg ð xð

L’ultima condizione significa che in generale in


sommità gli sforzi di taglio non sono nulli, ma sono
uguali e contrari. Affermando che alla base la
rotazione è nulla, significa che il taglio alla base dei
P a g . | 116

telai è nullo, per cui la forza orizzontale viene trasmessa alla fondazione soltanto dalla lamina
flessionale.
Nel caso considerato il collegamento tra mensola e telaio è schematizzabile con delle bielle, perché
c’è solamente trasmissione di sforzo, e non di taglio e momento.
Se si vuole considerare anche la deformabilità a taglio della lamina, si devono introdurre tre
sistemi elastici: un sistema che rappresenta la deformabilità tagliente del telaio, uno che
rappresenta la deformabilità flessionale della lamina, ed uno che rappresenta la deformabilità
tagliante della lamina. A tale proposito, per quanto riguarda la lamina si può osservare che

rapporti tra lo spostamento dovuto al taglio e quello dovuto a flessione xÛ dell’ordine di 0,1. Nella
x
l’effetto della deformabilità tagliante rispetto a quella flessionale risulta trascurabile fino a

x d̀
figura seguente è rappresentata, per una condizione tipica di carico, l’entità della deformata
tagliante rispetto a quella flessionale, espressa come rapporto xÛ, al variare del rapporto .
ô

Tralasciando la trattazione analitica rigorosa del nostro problema, vediamo di recuperare alcuni
concetti che poi ci serviranno per i calcoli. Ed in particolare introduciamo due grandezze che
governano il nostro problema:
; Ã êé
9a < Ÿi
´Õ
: ê ^d f
9{ f éÃ
8 ´Õ ^bd
Dove ha le dimensioni di una lunghezza, e nel caso in cui non si consideri la deformabilità
tagliante della mensola risulta essere a J . Mentre se il carico ” è uniforme o varia con legge
Ã

lineare (come usualmente accade) si ha vu ˆ 0, e quindi { f. Detto questo, l’equazione


vˆ ¨

“ 1 “
differenziale che governa il nostro problema è la seguente, nel caso di rigidezze costanti:
à

à

u u
La cui soluzione è del tipo:
“ “P Œ~1 # o ~ # ‰o ~ô ~à •
Dove “P è l’integrale particolare e l’espressione tra parentesi è la soluzione dell’omogena associata.
Le costanti ~t devono essere determinate con le condizioni al contorno. A questo punto è bene
introdurre un coefficiente > che sia in grado di dare una indicazione su quale dei due sistemi
assorbe più carico, in questo caso definendo con â l’altezza della struttura si può affermare che:
a  ] i → •] {][ a UV ] a U`a\]
 → È
· Â < iR → •] {][ a UV ] h`UTT\]Va`U
Prima di fornire delle espressioni per > si considera il caso di lamine con aperture.
P a g . | 117

2.7.3.1 – Pareti di controventamento con aperture di grandi dimensioni.


In questo caso la rigidezza flessionale dei traversi che separano i fori è notevolmente inferiore alla
rigidezza flessionale delle due porzioni di mensola che essi collegano, così da poter essere
trascurata. I traversi possono allora essere assimilati a dei distanziatori rigidi (bielle indeformabili)
fra le due porzioni di mensola che si comportano quindi come pareti indipendenti soggette a
spostamenti uguali.

portano un carico direttamente proporzionale alla propria rigidezza. Indicati dunque con Ü1 e Ü i
Lo schema di calcolo che si assume in questo caso è quello di due mensole in parallelo che si

momenti d’inerzia delle singole mensole, e detto il carico agente sulle pareti, si che il carico che

Ü1
essere portano singolarmente risulta pari a:
; 1
Ü1 Ü
: Ü
8 Ü1 Ü
Se si osserva infine la reale deformata della struttura, si nota come i traversi, che in realtà non sono
incernierati alle mensole ma incastrati ad esse, sono soggetti ad uno stato deformativo e tensionale
che aumenta all’aumentare del livello della parete a cui si trovano. In particolare il traverso
superiore risulta il più sollecitato, perché soggetto a spostamenti relativi maggiori.

2.7.3.2 – Pareti di controventamento con aperture di piccole dimensioni.


In questo caso i fori sono così piccoli rispetto alla dimensione della parete da poter ritenere che
non provochino apprezzabili alterazioni dello stato deformativo e tensionale che avrebbe la
medesima parete in loro assenza. Lo schema di calcolo che si assume in questo caso è di un’unica
mensola senza aperture. Per determinare le sollecitazioni sul traverso, in modo approssimato, si

In particolare lo sforzo di taglio Võ nei traversi è dato dall’integrale delle τ agenti su una sezione
ricorre alla teoria delle travi.

considerata la sezione orizzontale AA e indicato con ä il taglio nella parete in corrispondenza della
verticale in corrispondenza della sezione BB lungo l’altezza di un piano, in altri termini

sezione stessa, con / lo spessore della parete, con ž l’altezza si ha che lo sforzo di taglio äs è dato

äs º/ž
da:

I corrispondenti momenti flettenti sono assunti variabili linearmente lungo i traversi con valore
nullo in mezzeria.
Il traverso più sollecitato è quindi il traverso alla base in corrispondenza del quale il taglio sulla
parete è massimo.
P a g . | 118

Questa è una situazione intermedia tra i casi limite fin qui


presentati. In questo caso i traversi vengono considerati come
travi dotate di rigidezza flessionale; si può adottare uno
schema statico in cui i traversi sono considerati come una
cortina di collegamento continua, immaginando di ripartire
uniformemente la loro rigidezza lungo tutta l’altezza della
mensola.
Il calcolo si può impostare uguagliando le deformate delle due
parti della mensola soggette alla rispettiva aliquota delle forze
orizzontali, e alle distribuzioni di momenti e tagli loro

dei loro assi e al conseguente slivellamento ¾ dei punti


applicate dai traversi dovuti all’inclinazione della deformata

corrispondenti indicato schematicamente per un traverso


nella figura seguente:

Ci si può ricondurre a scrivere un’equazione

“ “ “
differenziale del quarto ordine a coefficienti costanti:
à à à
Ü1 à Ü à
Ü ¨ à
In cui compare Ü ¨ la rigidezza della lamina
equivalente a cui si possono ricondurre i traversi.

adimensionale > che nel caso di accoppiamento


Diventa utile in questo caso definire un parametro

lamina-telaio era stato assunto come > d. Vediamo


o

quale valore assume > in alcuni casi significativi.


P a g . | 119

Prima di procedere indichiamo con h l’altezza d’interpiano e con J× la rigidezza del traverso e

spostamento relativo δ dalla relazione T δ.


1 ÷Û
ricordiamo che, con riferimento alla figura precedente, nel traverso il taglio è legato allo

×g
Si prenda in considerazione i seguenti due casi:
- Parete con una sola apertura.
¿ 1 1 12ÜA
> â<Å Æ
Ü1 Ü F1 F ž ô

- Parete con due aperture (con la condizione che le due lamine laterali siano uguali).
2¿ 1 12ÜA
> â<Å Æ
2Ü1 Ü F1 ž ô

situazione di accoppiamento lamina-telaio per la quale il parametro > era stato definito come:
Nella seguente tabella si riassumono i casi che si possono presentare, richiamando anche la

1 Ü è »A
> < Ÿ1
â â »A vF

l’accoppiamento telaio-lamine; per evitare confusione è bene richiamare i valori tipici di > in
Come possiamo osservare la relazione è formalmente la stessa a quella precedente, espressa per

Û *# &!" $* " ”#* *#; + &! ”!* #" ! è #++! #++# + "#
riferimento alle due diverse situazioni.
Û *# → È
" ”#" #" !“# + * “#*%! ” ù %!++#& ! è #++! % ”# !*#.
> ] 1 → c
¯" #% ! & %! ž! &ž# + , !"# !* !" +#
F&&!”” #" ! + " #+ ! → N
è %%!*/ + #+ !.

Û *# &!" ” &&!+# ”#* *#; + &! ”!* #" ! è #++! "


Û *# → È
" & #"%!+ !“# + * “#*%! ” ù %!++#& ! è #++! "•#* !*#.
> < 10 → c
¯" #% ! & %! ž! &ž# + , !"#
F&&!”” #" ! + " #+ ! → N
!* !" +# è %%!*/ ++ + " .
,
+ & %! " #* # !, ”#* + +# + % % # + “!* "#+ % !
;Û *# → È
9 &! ”+#%%!; % #“# * &!**#*# " & +&!+! && * !.
1 ’ > ’ 10 → ¯+ * “#*%! ” ù %!++#& !
: F&&!”” #" ! + " #+ ! → Q 1
9 è & *& #++ , + # .
8 3
P a g . | 120

Per procedere al calcolo delle sollecitazioni si può definire il coefficiente ø:


¿
; → Û#* " %!+ • + ”#* *#
1 1
9 Ü1 Ü Œ • ¿
F1 F
ψ
: ¿
→ Û#* # • +# ”#* *#
9 1
8 2Ü1 Ü F 2¿
1
Se consideriamo il sistema costituito da due mensole collegate
da traversi rappresentato in nella figura, soggetto ad un carico
uniformemente distribuito , ad una generica quota il taglio
e il momento esterno dovuti al carico applicato sono

äP
rispettivamente:


ÚP
2

deformata, ciascun traverso è soggetto ad un taglio ä.


In corrispondenza della mezzeria, dove si ha un flesso nella

Indicando con å lo sforzo normale indotto in ciascuna parete,


che ad un generico livello risulta pari alla risultante degli

Ú1 e Ú i momenti flettenti nelle pareti. La relazione di


sforzi di taglio trasmessi dai traversi alla parete stessa, e con

ÚP Ú1 Ú å¿
equilibrio ad un generico livello si scrive:

Tanto più rigidi sono i traversi rispetto alle mensole tanto maggiore sarà lo sforzo normale å e
quindi più efficiente l’accoppiamento. Le sollecitazioni sulle mensole si possono scrivere in una

å _1 ψMP
forma del tipo:
; ä _ øäP
9
9 Ü1 ¿
Ú1 I _1 ψ MP
: Ü1 Ü
9
9Ú Ü¿
I _1 ψ MP
8 Ü1 Ü
I coefficienti _1 , I ed _ , si possono trovare tabulati o riportati graficamente in funzione di „ d
u

e > e dal tipo di carico. Il momento nel traverso ha un andamento lineare assumendo alle
estremità il valore ÚA¦ ä .
A

In figura, ad esempio, sono rappresentati i diagrammi di taglio e di momento in una lamina


accoppiata ad un telaio. In tale caso si può osservare come l’andamento del taglio e del momento

parametro > d, appare chiaro inoltre come se > < 10 (ovvero < 10â) praticamente la totalità
o
flettente per la mensola (e si intende anche per il telaio) siano sostanzialmente funzione del solo

dei carichi si riversa sulla mensola ed il telaio è esente da apprezzabili forze orizzontali, in caso
contrario il telaio risulta soggetto ad un sistema di forze che variano lungo l’altezza come già

valore di >, tutta l’azione orizzontale sia sopportata alla base dalla sola mensola.
indicato; a tal proposito dall’andamento dei diagrammi si riscontra come, indipendentemente dal
P a g . | 121

2.7.3.3 – Comportamento sismico delle pareti accoppiate.


Si riportano nel seguito alcune osservazioni riguardanti il comportamento sismico di pareti
accoppiate, rimandando a testi specifici per trattazioni più dettagliate. In particolare si osserva
come il comportamento di pareti con aperture può risultare migliore rispetto a quello presentato
da pareti piene. Queste ultime infatti si configurano come mensole incastrate alla base la cui unica
capacità dissipativa è costituita dalla formazione di una cerniera plastica normalmente in
corrispondenza della sezione di base. Nelle pareti con aperture invece al formazione della cerniera
plastica al piede può essere preceduta dalla formazione di adeguante zone dissipative in
corrispondenza dei traversi, facendo in modo che tutta la struttura partecipi alla dissipazione
dell’energia. Per realizzare questo è necessario però che i traversi di separazione tra le aperture –
che fungono da travi di collegamento – siano progettati ed eseguiti con la massima cura ed
attenzione al dettaglio costruttivo, in quanto ad essi è richiesto un forte impegno statico ed una
elevata capacità deformativa.
Per chiarire meglio questi aspetti si riportano alcuni risultati ottenuti da Paulay per un edificio di
20 piani con il sistema di pareti rappresentato in figura, soggetto ad un carico orizzontale
triangolare per diversi valori di altezza dei traversi di collegamento (le misure sono riportate nel
sistema anglosassone, con le lunghezze espresse in pollici (‘‘) e piedi (‘), di cui in figura sono

Con riferimento alla relazione EÚP Ú1 Ú å¿H, è innanzitutto interessante analizzare


forniti i fattori di conversione).

espressi dal rapporto d riportato in ordinata, e per diversi valori di altezza del traverso ž. In
y
l’entità dei singoli termini che contribuiscono all’assorbimento del momento esterno a vari livelli

particolare, per diversi valori di altezza del traverso, ž 6,, 12,, 24,, 30,, 60′′ e infinito,
i diagrammi riportati consentono di determinare ai vari livelli della parete il momento esterno ÚP
che viene assorbito mediante la coppia di forze (contributo å¿) e, per sottrazione, quella assorbita
come momento flettente dalle pareti stesse Ú1 Ú . Dalla figura si nota come in generale
l’efficacia dell’accoppiamento aumenta all’aumentare dell’altezza dei traversi e come nella parte

tutti i casi analizzati tranne quello con ž 6′. Per quanto riguarda la sezione di base si osserva
più alta delle pareti, in particolare nella metà superiore l’accoppiamento risulta molto efficace, per
P a g . | 122

che c’è poca differenza tra il caso ž 24′ e il caso di traverso infinitamente rigido (che
corrisponde al caso in cui le due lamine si comportavano come un’unica mensola).

a) Andamento dei termini che contribuiscono all’assorbimento del momento esterno lungo

b) Andamento dei momenti Ú1 e Ú nella sezione di base al variare del rapporto ž/®.
l’altezza dell’edificio per diversi valori di altezza del traverso.

l’andamento dei singoli termini che contribuiscono all’assorbimento del momento esterno ÚP
Questo risulta ancora più evidente dalla parte (b) della figura precedente, dove è rappresentato

nella sezione di base al variare del rapporto Ð, dove ® è la lunghezza del traverso ® 6,
1,83 . Si può notare come per rapporti Ð < 0,33, l’andamento resta pressoché costante. Si può
valutare a questo punto quale è la duttilità richiesta ai traversi.

(rapporto tra la rotazione Á della sezione di estremità del traverso e la rotazione allo
ù
Nella figura successiva sono riportati, per l’esempio in questione, l’andamento del fattore di

ùÊ
duttilità
snervamento ÁÀ ), lungo l’altezza dell’edificio per sei diversi stadi di analisi, individuati dai punti
1-6 nel diagramma carico-spostamento orizzontale in sommità (riportato a destra), ed infine per i
diversi stadi è rappresentato il taglio assorbito dai traversi (dove indica la resistenza ultima
dei traversi stessi). I sei stadi considerati sono i seguenti.

2) Snervamento del primo traverso, che si trova in genere a circa ô â dalla base;
1) Comportamento elastico: tutti i traversi sono ancora in campo elastico;
1

3) Snervamento di più del 90% dei traversi, fino a questo stadio si assume che entrambe le
mensole siano ancora in campo elastico;
4) Raggiungimento della massima resistenza a flessione della mensola soggetta a trazione;
5) Raggiungimento, dopo un piccolo incremento di carico, della massima resistenza a
flessione alla base della seconda mensola (soggetta a compressione). Questo rappresenta la
capacità ultima del sistema di pareti accoppiate;
6) Imposizione di uno spostamento orizzontale in sommità pari a 4 volte lo spostamento
che si ha in corrispondenza allo snervamento del primo traverso.
P a g . | 123

d d
Dai diagrammi riportati in figura si può osservare come i traversi più cimentati siano quelli
collocati tra e à , e come questa duttilità richiesta ai traversi per avere un fattore di duttilità in
11.
ù
spostamento della struttura pari a 4, sia in questo caso ù
Ê
È importante quindi garantire che i traversi siano in grado di soddisfare questa richiesta di
duttilità. Anche in presenza di carichi ripetuti. In tale ambito si osserva come in generale un
traverso armato convenzionalmente, con armature longitudinali e staffe, per effetto di carichi
ciclici si fessura notevolmente con lesioni diagonali e un notevole danneggiamento del
calcestruzzo in corrispondenza delle sezioni di estremità, che compromette la capacità di
trasmissione del taglio alle pareti per effetto dell’ingranamento.
Prove sperimentali (Paulay), hanno dimostrato come per garantire duttilità e resistenza ai traversi

seguente. Lo sforzo di taglio ä è quindi assorbito da forze diagonali di trazione Ä e di


sia conveniente disporre le armature principali diagonalmente come rappresentato nella figura

compressione ~ che si intersecano in mezzeria dove il momento flettente è nullo. Dati i parametri
sollecitanti esterni ä e Ú , le forze diagonali di trazione e compressione si ricavano dalla

ä
relazione di equilibrio:
Ä ~
2%#"=
Affiche questo sistema funzioni, l’armatura deve essere convenientemente staffata per evitare che si
instabilizzi quando è soggetta a compressione, in tal modo si vengono a disporre dei veri e propri
pilastrini diagonali per assorbire le forze di taglio dovute all’azione sismica che si aggiungono
all’ordinaria armatura longitudinale disposta per l’assorbimento dei carichi verticali.
P a g . | 124

2.8 – La regolarità strutturale.


Ora vediamo come devono essere fatte le strutture per resistere all’evento sismico; partiamo
dall’ipotesi che le masse in un edificio vengono pensate concentrate a livello dei solai, e le masse
dei muri vengono divise in egual misura tra i due solai adiacenti. Certamente queste masse sono
caratterizzate da una certa inerzia, cioè fanno nascere una forza di inerzia contraria allo
spostamento che subiscono. Quindi alla fine si considera il terreno fisso e alla struttura si
applicano delle forze inerziali, l’effetto sollecitativo è lo stesso, ma si “sostituiscono” gli
spostamento con le forze corrispondenti. Queste forze devono essere portate a terra (in realtà
dovrebbero essere portate su, ma
vediamo di usare una sola
convenzione), e per farlo abbiamo
vari sistemi: pareti di taglio (shear
wall), telai controventati, oppure si
devono fare dei telai rigidi. Questi
sono i tre sistemi a me congeniali, e
peraltro sono anche gli unici. Ma
oltre a questi sistemi verticali devo
prestare attenzione anche ai
diaframmi di piano (solai), infatti il
nostro obiettivo è quello di costituire
un sistema scatolare. I diaframmi di
piano e servono a tenere assieme tutti gli elementi resistenti, ma oltre a questo tiene ferme quegli
elementi resistenti verticali che non lavorano (il sisma può avere una direzione prevalente). Infatti
la maggior parte degli elementi resistenti sono in grado di lavorare solamente in una direzione
preferenziale, quindi diviene fondamentale avere sistemi resistenti nelle due direzioni ortogonali.
Ed inoltre i diaframmi di piano devono essere progettati in modo oculato, infatti dorante un sisma
essi assumono il classico comportamento di una trave, anche se tozza, cioè iniziano a lavorare a
flessione/taglio.
P a g . | 125

Ed ecco che si deve fare attenzione all’apertura di fori sui diaframmi di piano (vani scala,
ascensori, aperture di servizio, ecc.), quindi ancora una volta diviene fondamentale gestire il
particolare costruttivo nella progettazione sismica.

Si noti inoltre che per tutti gli edifici esistenti dell’antichità si nota che hanno una elevata densità
strutturale (20-25% della superficie occupata), rispetto ai nostri edifici, basti pensare che un telaio
importante con pilastri 40x40cm su un interasse di 4m, abbiamo una densità strutturale dell’1%.
Altro aspetto che è fondamentale nella sismica è la simmetria strutturale. Questi due aspetti sono
ribaditi anche nella normativa NTC-2008, infatti per gli edifici in muratura portante con una
densità strutturale del 6% in tutti e due i sensi (quindi con una certa regolarità strutturale e
direzionale), e fino a tre piani fuori terra, non è necessario il calcolo sismico della struttura. Ma
oltre alla regolarità in pianta dobbiamo avere anche una certa regolarità in elevazione, anche se la
prima delle due è più importante.
Come sappiamo le forze sono proporzionali alle masse dei singoli elementi strutturali e che
subiscono l’accelerazione del sisma. Ed inoltre la risposta complessiva della struttura dipende da
dove cade il centro di taglio, cioè il centro di rigidezza, rispetto al centro delle masse. Quindi se
abbiamo la presenza di una eccentricità tra il centro di massa e il centro delle rigidezze, abbiamo la
nascita di un momento torcente, questa rotazione sottopone a spostamenti diversi gli elementi
strutturali verticali, ed in particolare quelli periferici, che saranno i primi a collassare.

a) Regolarità in pianta → influenza la distribuzione delle sollecitazioni, il comportamento


Un edificio è regolare se rispetta i seguenti criteri.

torsionale dell’intero edificio, ed inoltre influenza il valore delle forze sismiche da adottare
(forma compatta, simmetrie di massa e rigidezze, distribuzione uniforme delle azioni e

b) Regolarità in altezza → influenza il valore delle forze sismiche da adottare, ed il tipo di


degli elementi resistenti).

analisi da eseguire (elementi resistenti ad azioni orizzontali estesi a tutta altezza, variazione
graduale di massa e di rigidezza con l’altezza, rapporto tra resistenza di piano effettiva e
richiesta uguale ai piani).
P a g . | 126

La rotazione dell’impalcato è
assolutamente nefasta, infatti
questo è un comportamento
antimetrico, e richiede un impegno
diverso alle diverse strutture
verticali, in ragione della loro
distanza dal centro di rotazione.
Per evitare i comportamento
torsionali devo prestare attenzione
al posizionamento in pianta dei
vani scali e degli ascensori, e di
tutti gli elementi irrigidenti
verticali. Ad ogni modo la
normativa prevede sempre e
comune una eccentricità accidentale del 5% rispetto alle dimensioni dell’edificio, perché
comunque si vuole vedere il comportamento dell’edificio all’azione sismica torcente, e questo
anche a tutela del progettista. Ed inoltre un edificio per avere maggiori capacità di resistenza alla
torsione deve essere il più possibile compatto, ed l’irrigidimento deve essere il più possibile diffuso
e non fare da “perno”.
P a g . | 127

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
P a g . | 128

Si deve anche tenere conto che alcuni


edifici presentano dei problemi di
irregolarità intrinseche, ad esempio per
gli edifici con una pianta a “L”, dove
una parte dell’edificio è molto rigida
rispetto all’altra per una certa direzione
dell’azione sismica. In altri termini ho
una elevata eccentricità tra il centro di
massa e il centro delle rigidezze, ed è del
tutto evidente che nascono delle
componenti torsionali. Ma vediamo che
soluzioni possiamo adottare, il
principio è quello di rendere regolare la
struttura pur assecondando le diverse
forme che possiamo avere in pianta. Si
deve tenere conto che le strutture con angoli rientranti sono soggette ad una richiesta di duttilità
distribuita in modo non uniforme. Una delle soluzioni più semplice è di utilizzare dei giunti
sismici per dividere la struttura in sotto-corpi strutturali regolari (con pianta rettangolare). Il
giunto rende indipendente i vari corpi strutturali, che deve essere una entità indipendenti dal
punto di vista strutturale (ecco perché la presenza del giunto è oneroso da un punto di vista
prettamente economico).

Altra soluzione è quella di inserire delle rigidezze addizionali, in modo da compensare


l’irregolarità strutturale. Ma vediamo che cosa ci dice l’NTC 2.008 in merito alla regolarità in
pianta degli edifici. Se questa viene ad essere rispettata non abbiamo nessun coefficiente di
aggravio per i nostri calcoli sismici, al contrario se avessimo a che fare con edificio irregolari. Un
maggiore irregolarità porta con se una duttilità intrinseca minore dell’edificio, e questo
richiederebbe lo studio di soluzioni strutturali a più elevata resistenza (meno duttilità significa
avere più resistenza disponibile). Un edificio presenta una pianta regolare se sono rispettate le
seguenti regole in accordo con l’NTC 2.008:
P a g . | 129

1) La configurazione in pianta è compatta e approssimativamente simmetrica rispetto a due


direzioni ortogonali, in relazione alla distribuzione di masse e rigidezze.
2) Il rapporto tra i lati di un rettangolo in cui la costruzione risulta inscritta è inferiore a 4
(questo si rende necessario per avere un impalcato sufficientemente rigido, ed inoltre in
questo modo si garantisce la presenza della stessa azione sismica su tutta la lunghezza
dell’impalcato stesso).
3) Nessuna dimensione di eventuali rientri o sporgenze supera il 25 % della dimensione totale
della costruzione nella corrispondente direzione.
4) Gli orizzontamenti possono essere considerati infinitamente rigidi nel loro piano rispetto
agli elementi verticali e sufficientemente resistenti.

Oltre alla regolarità in pianta abbiamo la necessità di una regolarità in altezza:


1) Tutti i sistemi resistenti verticali (quali telai e pareti) si estendono per tutta l’altezza della
costruzione.
2) Massa e rigidezza rimangono costanti o variano gradualmente, senza bruschi cambiamenti,
dalla base alla sommità della costruzione (le variazioni di massa da un orizzontamento
all’altro non superano il 25%, la rigidezza non si riduce da un orizzontamento a quello
sovrastante più del 30% e non aumenta più del 10%); ai fini della rigidezza si possono
considerare regolari in altezza strutture dotate di pareti o nuclei in c.a. o pareti e nuclei in
muratura di sezione costante sull’altezza o di telai controventati in acciaio, ai quali sia
affidato almeno il 50% dell’azione sismica alla base.
3) Nelle strutture intelaiate progettate in CD “B” (bassa duttilità) il rapporto tra resistenza
effettiva (quella effettivamente offerta dalle colonne e dalle pareti compatibili) e la
resistenza richiesta dal calcolo non è significativamente diverso per orizzontamenti diversi
(il rapporto fra la resistenza effettiva e quella richiesta, calcolata ad un generico
orizzontamento, non deve differire più del 20% dall’analogo rapporto determinato per un
altro orizzontamento); può fare eccezione l’ultimo orizzontamento di strutture intelaiate di
almeno tre orizzontamenti. Questo punto è fondamentale perché le diverse rigidezze
richiamano le forze sismiche, quindi viene a crearsi una irregolarità delle resistenze (il
sisma è un evento eccezionale capace di far lavorare la struttura ai suoi limiti). Il concetto
si fonda sul fatto del diverso modo di lavorare di elementi strutturali diversamente
sovradimensionati. Gli elementi strutturali dimensionati con poco margine arriveranno a
plasticizzarsi immediatamente, rispetto agli altri elementi strutturali al contrario
ampiamente sovradimensionati. E’ ovvio che in questo caso ho creato un punto di innesco
preferenziale agli effetti dell’azione sismica, e la capacità dissipativa dell’edificio
diminuisce di conseguenza. È fondamentale far lavorare l’edificio nel suo complesso, cioè
tutti gli elementi strutturali si dovrebbero plasticizzare allo stesso tempo e per lo stesso
livello sollecitativo, è del tutto evidente che questo richiede una particolare attenzione nel
dimensionamento dei singoli elementi strutturali, ma è di fondamentale importanza.
P a g . | 130

Quindi la pratica del sovradimensionamento è ottima per la statica, al contrario, nella


sismica questa dovrebbe riguardare tutti gli elementi strutturali. Ed inoltre questo è un
controllo che deve essere fatto a posteriori, cioè dopo il calcolo statico, infatti in questa fase
si devono controllare le rigidezze (che a priori non posso conoscere) che dipendono anche
dalla carpenteria (cioè dell’acciaio inserito), ecco che quindi si crea una sorta di
progettazione ricorsiva, tipica della progettazione sismica.
4) Eventuali restringimenti della sezione
orizzontale della costruzione avvengono in modo
graduale da un orizzontamento al successivo,
rispettando i seguenti limiti: ad ogni
orizzontamento il rientro non supera il 30% della
dimensione corrispondente al primo
orizzontamento, né il 20% della dimensione
corrispondente all’orizzontamento
immediatamente sottostante. Fa eccezione l’ultimo
orizzontamento di costruzioni di almeno quattro
piani per il quale non sono previste limitazioni di
restringimento.

Da un punto di vista sismico si deve assolutamente evitare la pratica dei pilastri in falso (per il
semplice motivo che il sisma fornisce anche delle sollecitazioni verticali), ed inoltre si deve
prestare attenzione alla diversa lunghezza delle colonne. Mentre l’azione sismica verticale viene
presa in considerazione solamente nel caso di grandi luci, oppure se abbiamo la presenza di
elementi verticali discontinui, cioè elementi in falso.

Per corpi di fabbrica distinti devono essere divisi da dei giunti sismici, se questi non sono parte di
un corpo unico strutturale. Quindi la distanza tra costruzioni contigue non può essere inferiore
alla somma degli spostamenti massimi determinati per lo SLV (stato limite per la salvaguardia
della vita), calcolati per ciascuno dei corpi di fabbrica.
P a g . | 131

Tutto questo per evitare il fenomeno deleterio del martellamento, ed in ogni caso devo garantire
una dimensione minima di questo giunto pari alla seguente:

a´ Ó ·
â–Ÿ !“# ‘ è + &!#•• & #" # %! !% !+!
R, K´ iRR
Oltre alla presenza del giunto per prevenire i danni da martellamento, gli impalcati dei diversi
corpi di fabbrica dovrebbero essere allo stesso livello.

3 – I MATERIALI (ACCIAIO & CLACESTRUZZO).


Le prescrizioni sono le seguenti:
1) Non è ammesso l’uso di conglomerati di classe inferiore a C20/25.
2) Per le strutture si deve utilizzare acciaio B450C (FeB44K).
3) Si consente l’utilizzo di acciai di tipo B450A, con diametri compresi tra 5 e 10mm, per le
reti e i tralicci; se ne consente inoltre l’uso per l’armatura trasversale (staffe, e in genreale
armatura a taglio) unicamente se è rispettata almeno una delle seguenti condizioni:

delle resistenze, elementi secondari, strutture poco dissipative con fattore di struttura ]
elementi in cui è impedita la plasticizzazione mediante il rispetto del criterio di gerarchia

1,5.

±úû
±Êû
Come si osserva il rapporto deve
essere inferiore a 1,35; questa
limitazione si rende necessaria per
mantenere un certo controllo
sull’estensione del campo duttile, come
si osserva questa limitazione viene
introdotta solamente per la sismica,
mentre per i le condizioni statiche
questo ulteriore controllo non sarebbe
necessario. Ed inoltre viene ad essere
fissato un limite tra il valore dello
snervamento nominale e quello
P a g . | 132

effettivo, e tale scarto deve essere fissato la massimo al 25%, altrimenti tutti i discorsi sulla
gerarchia degli elementi strutturali non sono più validi.
Al contrario il cls non è certamente un
materiale duttile, quindi per avere un
comportamento pseudo-duttile questo
deve essere confinato con l’acciaio.
Il confinamento viene ad essere
realizzato con l’armatura trasversale
(staffe) e longitudinale. Ma questa
cerchiatura, oltre a rendere duttile il cls,
lo rende anche più resistente, quindi ho
un doppio effetto.
Il confinamento oltre nella direzione
orizzontale, deve agire anche nella
direzione verticale, ecco che le staffe
devono agire anche come elemento
stabilizzante per l’armatura
longitudinale. In questo modo diviene

quindi il risvolto da 10∅ deve essere orientato a 45° verso l’interno dell’elemento strutturale, cioè
importante anche la chiusura delle staffe, infatti si deve evitare che queste giungono a sfilamento,

nella zona compressa. Questo è un modo per vedere come i dettagli costruttivi, nella sismica,
ricoprono un ruolo fondamentale, direi determinante.

4 – DIMENSIONAMENTO E VERIFICA DEGLI ELEMENTI STRUTTURALI.


4.1 – Travi.

ed in particolare dai momenti sollecitanti di calcolo Ú v , questi arrivano dall’analisi globale della
Allora vediamo una delle prime gerarchie; si deve sempre partire dal dimensionamento delle travi,

struttura, cioè dall’analisi sismica globale, che fa riferimento alla seguente combinazione dei
carichi:
´i ´d Z é ¬ ýdþ n þ c. u. L. d. H
þ
Ricordando che gli effetti dell’azione sismica devono essere valutati tendo conto delle masse
associate ai seguenti carichi gravitazionali:
´i ´d ¬ ýdþ n þ c. u. L. d. H
þ

quindi il taglio sollecitante ä v si ottiene sommando due contributi diversi:


Fatto questo, devo applicare la gerarchia, infatti devo evitare che si arrivi a rottura per taglio,

1) Il contributo dovuto ai carichi gravitazionali agenti sulla trave considerata incernierata agli
estremi.
2) Lo sforzo di taglio prodotto dai momenti resistenti delle sezioni di estremità, amplificati

i, dR •µ"Õ"
del fattore:
a ][U ^\ T]|[a[UT\T UVba ^U\ a U[\a`\ → µm^ È
i, RR •µ" "
P a g . | 133

longitudinali per il nostro Ú v , chiaramente la


Quindi prima di tutto mi calcolo le mie armature

mia sezione sarà definita da un certo Úrv < Ú v ,

calcolo del taglio sollecitante ä v . Tutto questo


ed è esattamente da questo dato che parto per il

taglio delle travi; la presenza del coefficiente ¡rv si


per evitare gli effetti anelastici di una rottura a

rende necessaria per tenere conto della possibile

precedenza. Per il calcolo di ä v si


sovraresistenza dell’acciaio, come si è indicato in

di taglio, massimo äLoy e minimo äLtx ,


considereranno due valori dello sforzo

assumendo rispettivamente la presenza e


l’assenza dei carichi variabili e momenti
di estremità con i due possibili segni, da
assumere in ogni caso concordi.

Questo è il dimensionamento,
ovviamente si deve affrontare anche la
fase di verifica. Per la flessione non ci
sono problemi di sorta e si procede al
solito modo, sia per l’alta duttilità che
per la bassa. Mentre per la verifica al
taglio si deve prestare maggiore
attenzione, infatti per la bassa duttilità
CD”B” si procede in modo
convenzionale (T.U. – 4.1.2.1.3). Ed in
questa sede si opera un piccolo
richiamo.

La resistenza a taglio ärv di elementi strutturali dotati di specifica armatura


Punto 4.1.2.1.3.2 – NTC – Elementi con armature trasversali resistenti a taglio.

a taglio deve essere valutata sulla base di una adeguata schematizzazione a


traliccio. Gli elementi resistenti dell’ideale traliccio sono: le armature

i puntoni d’anima inclinati. L’inclinazione @ dei puntoni di calcestruzzo


trasversali, le armature longitudinali, il corrente compresso di calcestruzzo e

1 ] &! @ ] 2,5
rispetto all’asse della trave deve rispettare
rispettare i limiti seguenti:

ärv < ä v
La verifica di resistenza (SLU) si pone con:

Con riferimento all’armatura trasversale, la resistenza di calcolo a “taglio

ÕT
ÔmT^ R, V Þ ^ Þ Þ hÄ^ Þ _] ‹ _] ë Þ TUV‹
trazione” si calcola con:

T
P a g . | 134

_] ‹ _] ë
Con riferimento al calcestruzzo d’anima, la resistenza di calcolo a “taglio

Ôm_^ R, V × ^ × • × ‹_ Þ h,_^ Þ
compressione” si calcola con:
con:

i _] d ë

ärv min ärnv ; är¥v


La resistenza al taglio della trave è la minore ddelle
elle due sopra definite:

ÕT è l’area dell’armatura trasversale.


Ove il significato dei termini è il seguente.

T è l’interasse tra due armature trasversali consecutive.


-

a è l’angolo di inclinazione dell’armatura trasversale rispetto all’asse


-
-

h,_^ h
i
della trave.

d _^
1 ”#* # /* " *# "!" &! ”*#%%#
-

;
è la resistenza a compressione ridotta del calcestruzzo d’anima.

9 1 Î
”#* 0 ] æ¥s ’ 0,25•¥v
± ˜
‹_ è un coefficiente maggiorativo pari a
: 1,25 ”#* 0,25•¥v ] æ¥s ’ 0,5•¥v
-
9 2,5 Œ1 − Î • ”#* 0,5• ] æ ’ •
8 ± ¥v ¥s ¥v
• è la larghezza minima della sezione in mm.
˜

^ è l’altezza utile della sezione in mm.


-

tÓ^
-
- _{ Õ _
è la tensione media di compressione nella sezione.

_] ë
Le armature longitudinali, dimensionate in base alle sollecitazioni flessionali,

_] ‹
ai R, V × ^ × <R
dovranno essere prolungate di una misura pari a:
a:

considero il contributo del calcestruzzo nullo e assumo &! @ 1, quindi är¥v 0. Ed inoltre
Mentre se opero in alta duttilità CD”A” devo assumere delle diverse limitazioni, prima di tutto

nelle zone critiche (alle estremità delle travi), se il rapporto tra il taglio massimo e quello minimo,

ä vjÏ
legato all’inversione dei momenti, rispetta la seguente condizione:
’ 0,5
ä vjkl
In altri termini se nelle zone critiche il taglio minimo (negativo) è pari ad almeno il 50% del
massimo (in termini assoluti), ed inoltre il maggiore tra i valori assoluti dei due tagli supera il

äv
valore:

maxË ä vjÏ ; ä vjkl Ì – är1 Å2 ½ jÏ ½Æ Þ •¥Av Þ /Ÿ Þ


ä vjkl
Dove •¥Av è la resistenza di calcolo a trazione del calcestruzzo, la quale può essere determinata
dalla seguente relazione:
0,7 × 0,30 × •¥K ô

;
9 ”#* &+ %% "!* ~50 − 60
•¥AK 0,7 × •¥AL 1,5
•¥Av
¡ù ¡ù :0,7 × 2,12 × ln ›1 •¥K 8œ
9 10
”#* &+ %% $$ !* ~50 − 60
8 1,5

uno dei due superare il taglio är1 , allora nel piano verticale di inflessione della trave devono essere
Se sono vere queste due condizioni, che il taglio si inverte per oltre il 50%, e che in valore assoluto

disposti due ordini di armatura longitudinali, l’uno inclinato di +45° e l’altro di -45°, rispetto
P a g . | 135

all’asse della trave. Ed inoltre la resistenza deve essere affidata per metà alle staffe e per metà ai due

Fn •Àv
ordini di armature inclinate, per le quali deve risultare:
ä vjkl ] !“# Fn è + , *# & %& "! # # !* " * *# "&+ " #
√2
Quindi si devono mettere i ferri piegati nei
due sensi, e questo è uno dei problemi
dell’alta duttilità, infatti se ricado in questa
condizione significa che ho a che fare con
delle travi di scarsa luce (travi tozze), quindi
ho delle lesioni che sono sostanzialmente
verticali (al contrario del solito), in queste
condizioni nessuna staffa è in grado di
“cucirla”. Questo comportamento è dovuto
al fatto che avendo delle travi operanti nel
campo dell’alta duttilità, vado a cercare
grandi allungamenti dell’acciaio, quindi ho
a che fare con fessure molto ampie, e se
abbiamo la presenza di un taglio molto
elevato ho la formazione di un piano di scorrimento, che può essere cucito solamente da armature
inclinate, sia in un senso che nell’altro. Vediamo ora di riassumere tutte quelle prescrizioni di
normativa che riguardano l’armatura longitudinale delle travi.
1) Almeno due barre di diametro pari a 14mm devono essere presenti sia superiormente che

2) In ogni sezione della trave, il rapporto geometrico p relativo all’armatura tesa


inferiormente per tutta la lunghezza della trave.

indipendentemente dal fatto che l’armatura tesa sia quella al lembo superiore della sezione

i, H L, K
o quella al lembo inferiore della sezione, deve essere compreso entro i seguenti limiti:
’ o ’ o_] { %!+ #" # 0,31% ’ p ’ 0,78% p¥wLs
hÄ hÄ

p
Dove:
Òá
úeák
Ž
p¥wLs è il rapporto geometrico relativo all’armatura compressa.
- è il rapporto geometrico relativo all’armatura tesa.

•ÀK è la tensione caratteristica dell’acciaio.


-

3) Nelle zone critiche p¥wLs < p.


-
1

4) Per tutte le altre zone p¥wLs < à p.


1

5) L’armatura superiore, disposta per il momento negativo alle estremità delle travi, deve
essere mantenuta per almeno ¼ della sua area per tutta la lunghezza della trave.
6) L’armatura superiore, disposta per il momento negativo alle estremità delle travi, deve
essere contenuta per almeno il 75% entro la larghezza d’anima della trave e comunque, per
le sezioni a T o ad L entro una fascia di soletta pari rispettivamente alla larghezza del
pilastro, nel caso non ci sia una trave ortogonale nel nodo. Al contrario se abbiamo la
presenza della trave ortogonale (l’effetto del confinamento è maggiore), il 75%
dell’armatura superiore deve essere compreso nella larghezza del pilastro aumentata di due
volte lo spessore della soletta.
7) Le armature longitudinali delle travi, sia superiori che inferiori, devono attraversare, di
regola, i nodi senza ancorarsi o giuntarsi per sovrapposizione in essi. Quando ciò non
risulti possibile, sono da rispettare le seguenti prescrizioni:
- Le barre vanno ancorate oltre la faccia opposta a quella di intersezione con il nodo, oppure
P a g . | 136

rivoltate verticalmente in corrispondenza di tale faccia, a contenimento del nodo.

tensione nelle barre pari a 1,25•ÀK , e misurata a partire da una distanza pari a 6 diametri
- La lunghezza di ancoraggio delle armature tese va calcolata in modo da sviluppare una

dalla faccia del pilastro verso l’interno.


- La parte dell’armatura longitudinale della trave che si ancora oltre il nodo non può
terminare all’interno di una zona critica, ma deve ancorarsi oltre di essa.
- La parte dell’armatura longitudinale della trave che si ancora nel nodo, deve essere

il diametro delle barre non inclinate deve essere minore di =Žö volte l’altezza della sezione
collocata all’interno delle staffe del pilastro. Per prevenire lo sfilamento di queste armature

del pilastro (per la normativa americana ACI ho che =Žö 1/20):


7,5•¥AL 1 0,8 v
; ”#* "! " #*"
9 ¡rv •Àv 1 0,75(Ð p¥wLs
∅Žo¦¦ ’ =Žö âstqonA¦w !“# =Žö p
: 7,5•¥AL
9 1 0,8 v ”#* "! #% #*"
8 ¡rv •Àv
Dove:
tÓ^
- Ó^ •^h_^
è la forza assiale di progetto adimensionale per le colonne.
- (Ð vale 1 o 2/3 rispettivamente per CD”A” e per CD”B”.
- ¡rv vale 1,2 o 1, rispettivamente per CD”A” e per CD”B”.
Oltre a tutte queste prescrizioni, per le travi abbiamo anche delle prescrizioni di tipo geometrico:
1) La larghezza della trave deve essere maggiore di 20cm, e per le travi a spessore, deve essere
non maggiore della larghezza del pilastro, aumentata dell’altezza
della sezione trasversale della trave stessa. E comunque minore di

/ âA¦o}
due volte la larghezza del pilastro ortogonale all’asse della trave.
20& ] / ] È ¥wqwxxo
2/¥wqwxxo

2) Il rapporto tra /›ž della trave deve essere maggiore o uguale a 0,25.
3) Le zone critiche si estendono, per CD”B” e CD”A”, per una lunghezza pari
rispettivamente a 1 e 1,5 volte l’altezza della sezione della trave, misurata a partire dalla
faccia del nodo trave-pilastro o da entrambi i lati a partire dalla sezione di prima
plasticizzazione.
E vediamo infine quali prescrizioni si devono seguire per le armature trasversali:
1) Nelle zone critiche devono essere previste staffe di contenimento. La prima staffa di
contenimento deve distare non più di 5cm dalla sezione a filo pilastro; le
successive devono essere disposte ad un passo non superiore alla minore

^
tra le grandezze seguenti:
;
9 H
T] iJK \V •µAA ] ddK \V •µ
: ∅â]V´. \V \V •µÕ ] I∅â]V´. \V \V •µ
9
8 dH∅T ahhU
P a g . | 137

2) Per il resto della lunghezza della trave devo prevedere un’area minima di staffaggio
F AjÏ 1,5/Ÿ Š Ž con /Ÿ espresso in mm. Con le seguenti restrizioni per quanto
LLˆ
L

33& 3 % ••# + # *!
concerne il passo:

%]‚ 0,8
12∅öwx .Ltx " ”*!%% à & * &ž &!"&#" * ”#* " + "$ž# ” *

Come si osserva si è prestato attenzione al dettaglio dei nodi, infatti


quando ho un nodo sottoposto ad una azione sismica, ho una
distribuzione dei momenti di questo tipo:

A differenza dalla condizione statica, abbiamo i momenti concordi


sulle due travi concorrenti al nodo, quindi le nostre barre sono
soggette ad azione di sfilamento: l’acciaio da una parte è snervato a
trazione e dall’altra è snervato a compressione (l’acciaio si snerva a
circa 1,9 per mille, mentre il cls può arrivare al 3,5 per mille). E si
deve anche dire che l’azione di sfilamento è favorito anche dalle
condizioni di fessurazione della trave, inevitabili durante le
sollecitazioni sismiche, quindi ben si può comprendere l’enorme
impegno di aderenza richiesto in uno spazio limitato del nodo.
Quindi le normative richiedono delle limitazioni sui diametri delle
barre (abbiamo un migliore ancoraggio per le barre di diametro
inferiore), ed inoltre l’ancoraggio delle barre è favorito dalla presenza
dello sforzo normale ortogonale alle barre. Ed è per questo motivo
che l’NTC richiede determinate restrizioni nel posizionamento delle
barre longitudinali all’interno del nodo, in particolare per le travi a
spessore. Come si osserva abbiamo un numero di prescrizioni
davvero elevato per i telai, questo ci dovrebbe far comprendere come
questi sistemi resistenti siano problematici da un punto di vista
sismico, infatti la limitazione dei diametri messi in relazione con
l’altezza delle travi, spesso ci costringe ad avere dei pilastri di grosse
dimensioni, ecco il motivo per il quale il più delle volte si preferisce
ricorrere ai setti. Ed inoltre questa stessa condizione ci costringe ad

diametri delle armature longitudinali Œ •


utilizzare travi ad altezza, e non a spessore, appunto per contenere i
% ˜
P,Y
P a g . | 138

4.2 – Pilastri.
Questa è la seconda gerarchia, in altri termini dobbiamo
proteggere i pilastri dalle travi, cioè il pilastro deve essere più
resistente della trave. Quindi in tutti i nodi dobbiamo verificare

1,30 ”#* ~®F


quanto segue:
¬ é•m^ < µm^ ¬ é•m^ !“# ¡rv È
1,10 ”#* ~®G
Quindi se armiamo molto le travi (ad esempio le travi a spessore),
abbiamo la necessità di avere dei pilastri importanti, quindi il
concetto è abbastanza semplice, ma definisce delle evidenti
difficoltà operative. La relazione precedente può essere usata in
ambito di verifica, ma in sede di progetto posso fare le seguenti

derivanti dall’analisi (i momenti sollecitanti) per un fattore di amplificazione = (derivante da un


considerazioni: i momenti flettenti di calcolo nei pilastri, si ottengono moltiplicando i momenti

∑ é•m^
semplice equilibrio di nodo).
éé^ ‹é•Ó^ !“# ‹ µm^ Û~Ú3431
∑ é•Ó^
Nel caso in cui i momenti nei pilastri siano di verso discorde, il solo valore maggiore va posto al
denominatore della formula mentre il minore va sommato ai momenti resistenti delle travi, in altri
termini considero sempre l’equilibrio del nodo. Questo è il caso in cui ho delle travi
flessionalmente molto meno rigide rispetto ai pilastri, in questo caso particolare il comportamento
dei pilastri è similare a quello di una mensola, con i momenti sempre dalla stessa parte. Quindi a

livello di nodo ho a che fare con


dei momenti discordi per le
colonne, per cui devo applicare
la regola precedente. Certamente
questo modo di lavorare di un
pilastro non va bene, infatti i
pilastri devono lavorare nel loro
interpiano, altrimenti avremmo
a che fare con dei momenti
troppo grandi; la regola definita
in precedenza mi protegge da
questo, infatti il coefficiente di
P a g . | 139

amplificazione = diviene troppo grande per poterlo gestire con un semplice pilastro, quindi dovrò
passare a un setto. Allora per fare in modo che tutto funzioni devo avere delle travi alte, sia per
avere poca armatura, da una parte, sia per avere una adeguata rigidezza rispetto ai pilastri,
dall’altra. Solamente in questo caso lo schema del telaio può essere visto in ambito sismico in
modo efficace.

Ultima gerarchia che vediamo è quella a taglio dei pilastri, infatti


anche in questo caso si deve evitare la formazione di meccanismi
anelastici. Il tutto si riduce a delle semplici considerazioni di

éT•m^ é\•m^ 1,30 ”#* ~®F


equilibrio:

Ôé^ µm^ !“# ¡rv È


â{\`aT [] 1,10 ”#* ~®G
Infatti si potrebbero formare delle cerniere accidentali anche sui
pilastri (anche se ciò non dovrebbe essere vero), ma è di fondamentale
importanza che il pilastro non giunga a rottura per il taglio. Sempre
nell’ottica di garantire una rottura duttile anche ai pilastri, si deve
prestare attenzione alla lunghezza dei pilastri stessi, quindi si deve
evitare elementi di tamponamenti in accosto ai pilastri stessi (ad
esempio i parapetti).
Analogamente a quanto fatto per le travi, vediamo i dettagli costruttivi per i pilastri:

2) Nella sezione corrente del pilastro, la percentuale geometrica p di armatura longitudinale,


1) Per tutta la lunghezza del pilastro l’interasse tra le barre non deve essere superiore a 25cm.

Fn
deve essere compresa entro i seguenti limiti:
1% ] p ] 4%

3) Nelle zone critiche devono essere rispettate le condizioni seguenti:
- Le barre disposte sugli angoli della sezione devono essere contenute dalle staffe.
- Almeno una barra ogni due, di quelle disposte sui lati, deve essere trattenuta da staffe
interne o da legature.
- Le barre non fissate devono trovarsi a meno di 15 cm e 20 cm da una barra fissata,

4) La lunghezza critica ¿¥¦ deve rispettare i seguenti limiti (per ¿x si intende la luce netta del
rispettivamente per CD”A” e CD”B”.

â + # #+ ” + % *!
pilastro):

¿x ¿x
¿¥¦ c !”” *# ”#* ” + % * %!% & ¿¥¦ ¿x %# ¿x ’ 3G
6 3
45&
5) Il diametro delle staffe di contenimento e legature deve essere non inferiore a 6 mm ed il

G G
loro passo deve essere non superiore alla più piccola delle quantità seguenti:

3 2
%¥¦ ~®F ] " c %¥¦ ~®G ] " c
75 125
6∅öwx ,¥wqq oA 8∅öwx ,¥wqq oA

• /
6) Si devono disporre staffe in un quantitativo minimo non inferiore a:
;0,08 ¥v nA ”#* ~®F + • !* #++ !" &* & # ”#* ~®G
FnA 9 •Àv
<
% : •¥v /nA
9 0,12 ”#* ~®F " !" &* &
8 •Àv
P a g . | 140

In cui FnA è l’area complessiva dei bracci delle staffe, /nA è la distanza tra i bracci più esterni
delle staffe, ed % è il passo delle staffe.
7) Le staffe nella parte centrale, al di fuori della zona critica, devono rispettare le seguenti

6
limitazioni (NTC – 4.1.6.1.2):
25&

∅nA < Q qwx % ] È12∅
4
qwx

8) Lungo le armature longitudinali del pilastro che attraversano i nodi non confinati devono
essere disposte staffe di contenimento in quantità almeno pari alla maggiore prevista nelle
zone del pilastro inferiore e superiore adiacenti al nodo. Questa regola può non essere
osservata nel caso di nodi interamente confinati.
9) Per i nodi non confinati (vedi figura), appartenenti a strutture sia in CD”A” che in
CD”B”, le staffe orizzontali presenti lungo l’altezza del nodo devono verificare la seguente

"nA FnA •¥K


condizione:
< 0,05
/- •ÀK
Nella quale "nA ed FnA sono rispettivamente il numero di bracci e l’area della sezione
trasversale della barra della singola staffa orizzontale, è l’interasse delle staffe, e /- è la

- Se la trave ha una larghezza /Ÿ superiore a quella del pilastro /¥ , allora /- è:


larghezza utile del nodo determinata come segue.


/- "Q ž¥ !“# ž¥ è + #"% !"# #++ &!+!"" ” * ++#+ ++ * “#

2
- Se la trave ha una larghezza /Ÿ inferiore a quella del pilastro /¥ , allora /- è:

/- "Q ž¥ !“# ž¥ è + #"% !"# #++ &!+!"" ” * ++#+ ++ * “#

2

Per i pilastri in presenza di tamponamenti ad altezza parziale, si deve prestare attenzione alle
seguenti disposizioni di normativa (NTC – 7.4.6.2.2):
1) Nel caso in cui i tamponamenti non si estendano per l’intera altezza dei pilastri adiacenti,
l’armatura risultante deve essere estesa per una distanza pari alla profondità del pilastro
oltre la zona priva di tamponamento. Nel caso in cui l’altezza della zona priva di
tamponamento fosse inferiore a 1,5 volte la profondità del pilastro, debbono essere
utilizzate armature bi-diagonali.
2) Nel caso precedente, qualora il tamponamento sia presente su un solo lato di un pilastro,
l’armatura trasversale da disporre alle estremità del pilastro ai sensi del § 7.4.5.3. deve
essere estesa all’intera altezza del pilastro.
P a g . | 141

4.3 – Pareti in calcestruzzo armato (setti).


L’uso delle pareti per assorbire le forze orizzontali porta sicuramente dei vantaggi, rispetto
all’auso dei telai puri, sia in considerazione della maggiore facilità esecutiva, sia per ragioni di
calcolo. I problemi delle pareti di c.a. sono i seguenti.
1) Grande impegno del cls a compressione alle estremità del setto, e grandi allungamenti
dell’acciaio dall’altra parte, per effetto leva. Quindi devo prestare attenzione soprattutto al
primo problema, quindi devo creare dei confinamenti alle estremità dei setti ed in
corrispondenza della base.
2) Il problema dell’allungamento dell’acciaio non è di per se’ importante, ma crea delle
fessure sub-orizzontali, quindi si creano dei conci di parete, che sottoposti a compressione
nel loro insieme, possono sbandare al di fuori del piano. Fortunatamente con le nostre
proporzioni costruttive (altezze di interpiano e spessori costruttivi) questo tipo di
problema rimane limitato.

Un setto ha una buona dissipazione energetica, infatti sappiamo che gli elementi strutturali che
sono dei buoni dissipatori di energia, sono quelli soggetti a un contenuto sforzo normale

tÓ^
specifico, cioè un basso :
Óh][b] V][ a`U a^\ UVT\]Va`\bba ] →
•¶h_^
Ed ecco che le travi e i setti divengono degli elementi strutturali atti a questo scopo. E invece
possono avere dei problemi a taglio, infatti il setto può essere fortemente armato, quindi quello
che giunge a rottura è il puntone compresso di calcestruzzo, oppure per insufficienza di armatura
orizzontale (staffe). Certamente il puntone compresso per i setti è più delicato, dato le sue
dimensioni che vanno con la radice di due, rispetto alle dimensioni in pianta del setto stesso.
Questa particolare attenzione per la rottura dei setti (spesso un rottura fragile), viene ribadita
anche per la valutazione del fattore di struttura base P . Fatto salvo tutto quello che abbiamo già

1 ”#* % * *# *#$!+ * " + #


detto (pag. 18) per la valutazione del fattore di struttura complessivo:
P r !“# È
r
r 0,8 ”#* % * *# **#$!+ * " + #
P a g . | 142

P
essere ridotti mediante il fattore (Ÿ :
Per prevenire il collasso delle strutture a seguito della rottura delle pareti, i valori di devono

1,00 ”#* % * *# #+ ! # % # # “ +#" #+


(Ÿ Q 1 =P
0,5 ] ] 1 ”#* % * *# ” *# , % # # “ +#" , !*% !" + #" # #•!* /+
3
Dove =P è il valore assunto in prevalenza dal

Nel caso in cui gli =P delle pareti non


rapporto tra altezze e larghezze delle pareti.

valore di =P per l’insieme delle pareti può


differiscano significativamente tra di loro, il

essere calcolato assumendo come altezza la


somma delle altezze delle singole pareti e
come larghezza la somma delle larghezze. E
del tutto evidente che questo coefficiente
tiene conto della snellezza o meno dei setti,
più il setto è snello più il suo
comportamento si avvicina a quello di una
trave, e quindi con una elevata capacità di
dissipare energia, al contrario dei setti tozzi.

Ciclo isteretico per rottura a


flessione di un setto; come si
osserva abbiamo un ampio ciclo,
che definisce un ottimo
comportamento dissipativo.
Questo qui affianco è invece un
ciclo isteretico per una rottura a
taglio di un setto, e quindi per la
rottura del puntone compresso
P a g . | 143

di calcestruzzo. Si osservi il scarso potere dissipativo, con un


comportamento evidentemente fragile. Per i setti tozzi avrò a che
fare con un fattore di struttura inferiore, ma questo non è un
problema dato che i setti tozzi non avranno problema ad offrire
resistenza a sufficienza, in altri termini la duttilità non va cercata
ad ogni costo, ma solo dove essa effettivamente serve.

Per quanto concerne la determinazione delle sollecitazioni di


calcolo (NTC – 7.4.4.5.1), devo solamente fare in modo di
proteggere opportunamente la zona inelastica alla base del setto

dall’analisi, vero l’alto per un tratto pari a ž¥¦ (altezza della zona
stesso. Si tratta di traslare il diagramma dei momenti, derivante

inelastica alla base). La traslazione crea una sovraresistenza a


flessione lungo l’altezza e garantisce la formazione della cerniera
plastica alla base. L’inviluppo dei momenti può essere assunto
lineare, se la struttura non presenta significative discontinuità in

L’altezza critica ž¥¦ è data dalla seguente definizione:


termini di massa, rigidezza e resistenza lungo l’altezza.

` a` Ubba ^U``a TUb\]VU ^\ •aTU


¶_[ a Q¶
^]|U ¶ U, `, a` Ubba ^U``a {a[U U

Õ` Ubba ^U` {\aV] U[[a ¶T , VU` _aT] ^\ U^\h\_\ _]V UV] ^\ {\aV\
Con le seguenti limitazioni:

¶_[ ] ‚ µgU |]` U `, a` Ubba ^U` {\aV] U[[a {U[ U^\h\_\ _]V ]` [U {\aV\
µgU |]` U `, a` Ubba ^U``a TUb\]VU ^\ •aTU `

Tutte le disposizioni fin qui esposte per il momento, valgono per tutte e due le classi di duttilità.
Ora quello che devo fare per proteggermi da eventuali problematiche derivanti dal taglio è
rispettare le seguenti disposizioni di normativa, che si differenziano in ragione dell’alta o della
bassa duttilità. Per strutture sia in CD“B” che in CD“A” si deve tener conto del possibile
incremento delle forze di taglio a seguito della formazione della cerniera plastica alla base della
parete.
P a g . | 144

= per gli sforzi di taglio dati dall’analisi, rispetta le seguenti limitazioni:


Per le strutture in CD”B” questo requisito si ritiene soddisfatto se il coefficiente di amplificazione

1,5
Û *# " ~®"G" → Ôé^ ‹ÔÓ^ !“# = Q 1
”#* ” *# #% #%# #/!+ #" # * #
2
Nelle strutture miste, il taglio nelle pareti non
debolmente armate deve tener conto delle sollecitazioni
dovute ai modi di vibrare superiori. A tal fine, il taglio
derivante dall’analisi può essere sostituito dal

žŸ è l’altezza della parete, A è il taglio alla base


diagramma d’inviluppo riportato in figura, nella quale

incrementato, B non deve essere inferiore a 0,5A.

amplificazione = è dato dalle seguenti:


Mentre per le strutture in CD”A” la questione diviene più complessa, e il coefficiente di

Úrv žŸ
; = ¡rv ] ”#* ” *# ! # ]2
9 Ú§v +Ÿ
=→
: ¡ Ú ‘ Ä¥ žŸ
91,5 ] = <Ÿ rv rv 0,1 Å Æ ] ”#* ” *# %"#++# –2
8 Ú§v ‘ Ä1 +Ÿ

- Úrv il momento resistente della sezione di base della


Indicando rispettivamente:

parete, calcolato considerando le armature effettivamente

- Ú§v è il momento flettente di calcolo.


disposte.

- ‘ Ä1 è l’ordinata dello spettro di risposta elastico in

dell’edificio Ä1 .
corrispondenza del periodo di vibrazione fondamentale

- ¡rv 1,2 è il coefficiente di sovraresistenza valutato per


- è il fattore di struttura.

la classe di duttilità CD”A”.

Come possiamo osservare, ancora una volta il sovradimensionamento nella sismica non paga,
infatti questo poi si ripercuote nella valutazione del taglio; mentre per le pareti snelle si deve
tenere conto anche di aspetti dinamici, dati dai modi di vibrare superiore.
Altri aspetti che riguardano la verifica delle pareti stesse, sono riconducibili alla loro geometria:
1) Si definiscono pareti semplici gli elementi portanti verticali quando il rapporto tra la
minima e la massima dimensione della sezione trasversale è inferiore a 0,25.
2) Nel caso di parete semplice, la verifica di resistenza si effettua con riferimento al rettangolo
di base.
3) Si definiscono pareti di forma composta l’insieme di pareti semplici collegate in modo da
formare sezioni a L, T, U, I ecc.
P a g . | 145

4) Nel caso di pareti di forma composta, la verifica va fatta considerando la parte di sezione
costituita dalle anime parallele o approssimativamente parallele alla direzione principale

¿ *$ž# #••# “ #++′ +


sismica, e dalle ali di dimensioni date dal minimo fra:

¿ ±±t¥o¥ ‰oqt " ‚Ú# à % " •* " # &#" %# ” * ++#+ ‘


25% #++ + #
,
&! ”+#%% “ #++ ” *# #

Come si è affermato in precedenza i setti devono avere un


rapporto tra le dimensioni trasversali minore di 0,25; questo è
fondamentale per garantire che tutti gli effetti flettenti
dell’azione sismica siano solamente da una parte, altrimenti
avrei a che fare con una normale trave, e come tale la devo
considerare. Ed inoltre per tutti i setti composti devo
considerare i setti paralleli effettivamente collaboranti, mentre
devo considerare una quota collaborante dei setti
perpendicolari all’azione sismica. Si nota che questa
dimensione collaborante dipende anche dall’altezza del setto
stesso, infatti devo dare lo spazio necessario per garantire la diffusione degli sforzi, cioè la loro
ridistribuzione, in modo del tutto analogo a quello che si fa per definire le dimensioni della soletta
collaborante nelle travi composte delle solette.

Dopo avere determinato gli sforzi, si devono eseguire le verifiche; per la verifica a flessione e a

1) In ogni sezione il momento resistente Úrv , associato al più sfavorevole valore dello sforzo
presso-flessione non c’è nessun problema:

al momento esterno di calcolo Ú§v .


normale è calcolato come per le situazioni non sismiche, deve risultare superiore od eguale

2) Per tutte le pareti, la forza normale di compressione non deve eccedere rispettivamente il
40% in CD”B” e il 35% in CD”A” della resistenza massima a compressione della sezione

– 2 si deve tenere conto della forza assiale


di solo calcestruzzo.
3) Se il fattore di struttura è maggiore di due
dinamica aggiuntiva che si genera delle pareti per effetto di apertura e chiusura di fessure

assunta pari al 350% della forza assiale dovute i carichi verticali in condizioni sismiche.
orizzontali e del sollevamento del suolo. In assenza di più accurate analisi essa può essere
P a g . | 146

Prima di passare alla verifica a taglio delle pareti, vediamo di operare un piccolo richiamo sulla
verifica e dimensionamento dei pilastri, per alcuni ragioni affini alle pareti.

0
årv 0,8F¥ •¥v •Àv Fn
Lo sforzo normale resistente in un pilastro è dato dalla seguente relazione:

Il coefficiente riduttivo 0,8 è presente perché il pilastro è una struttura


semplicemente compressa, e questa è una condizione gravosa, e quindi si deve
tenere conto degli eventuali effetti deleteri dovuti all’eccentricità non
intenzionale. L’area del calcestruzzo
calcestruzzo minima, può essere determinata con la

0:
relazione seguente, tendo conto che l’acciaio deve essere in grado di assorbire

0,9å v
F¥,Ltx
come minimo il 10% dello sforzo normale sollecitante

0,8•¥v

åv
0,10
L’armatura longitudinale deve rispettare i seguenti minimi:

Fn < ‚ •Àv
0,3% F¥
Al punto 4.1.6.1.2 si fa riferimento al diametro minimo delle barre
longitudinali che deve essere di 12mm. Con riferimento ad una sezione

Úrv Úrv å§v < Ú§v


pressoinflessa, la verifica agli SLU si esegue controllando
controllando che:

; ; I Fn •Àv
„ → Û!% !"# %%# "# *! → % #&& " & * * #%
Richiamando le seguenti definizioni:

9 9 / •¥v
å§v F,n •Àv
: → ‘•!* ! "!* +# #"% !" +# :
9 9I → % #&& " & * * &! ”.
,
/ •¥v / •¥v
8 8

dell’altezza utile 0,
Nelle definizioni precedenti ci si deve ricordare che nel campo 6, al posto
, si deve mettere l’altezza totale di sezione .
Per stabilire se la nostra condizione sollecitante ricada all’interno del campo

å§v årv
È
resistente, è sufficiente imporre questa verifica parziale:

Úrv < Ú§v


Ricordo che lo sforzo normale sollecitante (considerato uguale a quello

årv åv •¥v / ì„ = •Àv (Fn •Àv (′F,n


resistete, in questa verifica), è dato dalla seguente relazione:

‡ e ‡′ sono dei coefficienti di efficienza nell’uso del


Dove è un coefficiente di totalità che per i campi 3-
3-4-5 vale 0,81, mentre
i coefficienti
materiale. Come primo passo nella verifica è quello di portare l’azione assiale

ž
Ú§v

Ú§v 3 å§v Ÿ &
sollecitante in corrispondenza alla posizione di armatura tesa:

Ú§v
š „= 1 (o „ ( , I, 1 ¾,
dato
Il momento adimensionalizzato è dat o dalla seguente relazione:

/ •¥v
P a g . | 147

(o è + &!#•• & #" # + #



!“# c
& &,
¾ ; ¾ , è + &!”* •#**! "•#* !*# # % ”#* !*# #"% !" + !
Mentre 5 è la distanza dal punto di applicazione della risultante delle

0 a sua volta dipendente da :


compressioni sul calcestruzzo dal bordo superiore. Per condurre a termine la

årv •Àv (Fn ( , F,n


„t
verifica si procede per via iterativa, essendo

•¥v / =
Alla fine deve essere verificato quanto segue, in accordo con le premesse

šrv

<š v
iniziali:

Mentre per la resistenza al taglio sono previste tre verifiche diverse:


1) Verifica dell’anima a compressione.
2) Verifica del meccanismo resistente a trazione.
3) Verifica a scorrimento lungo piani orizzontali.
Per le strutture in CD”B” la verifica a taglio deve essere condotta allo stesso modo dei pilastri
(NTC - 4.1.2.1.3), con una ulteriore verifica allo scorrimento. Mentre per le strutture in CD”A”
nelle verifiche si deve considerare la possibile rottura a taglio compressione del calcestruzzo
dell’anima, la possibile rottura a taglio trazione delle armature dell’anima, la possibile rottura per
scorrimento nelle zone critiche (infatti si deve prestare attenzione alle riprese del getto).

La verifica a compressione dell’anima (verifica del puntone compresso di calcestruzzo), deve essere

pari all’80% dell’altezza della sezione ed un’inclinazione delle diagonali compresse pari a @ 45°.
eseguita in accordo con il punto 4.1.2.1.3 dell’NTC, assumendo un braccio delle forze interne

_] ‹ _] ë
Nelle zone critiche tale resistenza va moltiplicata per un fattore riduttivo 0,4.
Ôm_^ R, I × ` × • × ‹_ Þ h,_^ Þ
i _] d ë

=n , dove:
Mentre la verifica del meccanismo resistente a trazione va fatta tendo conto del rapporto di taglio

Ú§v
=n
ä§v +Ÿ
Se =n < 2, la determinazione della resistenza è condotta in accordo con il punto 4.1.2.1.3

inclinazione delle diagonali compresse @ pari a 45°, quindi fatto salvo quanto già detto a pag. 28,
dell’NTC, assumendo un braccio delle forze interne pari all’80% dell’altezza della sezione, ed una

ÕT
il tutto si traduce nella seguente relazione:
ÔmT^ R, I × ` × Þ hÄ^ Þ _] ‹ _] ë Þ TUV‹ !“# ”#* @ 45° ž! &ž# &! @ 1
T
Se =n ’ 2 la verifica a taglio trazione dell’armatura dell’anima, deve essere eseguita usando le

ÔmT^ Ôt].Õ[ .
R, JKo¶ hÄ^ • ‹T `
seguenti due espressioni:
m_^
~!" + “ "&!+! &ž# o¶ hÄ^ • R, I` ] o| hÄ^ • R, I` 43- té^
P a g . | 148

p
;p} * ””!* $#! # * & #++ * * !* !" +# # “#* & +#.
,

9 •Àv *#% % #" & +&!+! #++ , * * .


9
®!“# /Ÿ %”#%%!*# #+ %# !.
: +Ÿ + "$ž# #+ %# !.
9 å§v è + •!* %% +# ”*!$# !, ”!% “ %# &! ”*#%% !"#.
9
8 är¥v w.Ò¦L.
è + *#% % #" $+ ! #$+ #+# #" "!" * .

Per il calcolo di är¥v


w.Ò¦L.
è opportuno fare un breve richiamo, direttamente dal punto 4.1.2.1.3.1
dell’NTC.

Punto 4.1.2.1.3.1
4.1.2.1.3.1 – NTC – Elementi senza armature trasversali resistenti a
taglio.
È consentito l’impiego di solai, piastre e membrature a comportamento analogo,

Ôm^ di tali elementi


sprovviste di armature trasversali resistenti a taglio. La resistenza a taglio
elementi deve essere valutata, utilizzando formule di comprovata
affidabilità, sulla base della resistenza a trazione del calcestruzzo.

ärv ≥ ä§v
La verifica di resistenza (SLU) si pone con:
con:

Con riferimento all’elemento fessurato da momento flettente, la resistenza al

i
iRRo` h_
taglio si valuta con:
con:
L
Ôm^ úR, iI R, iK _{ û • ^ ≥ Ë| R, iK _{ Ì• ^
µ_ \V

; 200
( 1 < ]2
9
9
9 “Ltx 0,035…( ô …•¥K
9
®!“# è + + #
,
+# #++ %# !"# " .
:p Fnq
] 0,02 è + * ””!* ! $#! # * &! * * +!"$ " +#.
9 q /Ÿ
9 å§v
9æ¥s ] 0,2•¥v è + #"% !"# # &! ”*#%% !"# "#++ %# !"#.
9 F¥
8 /Ÿ è + + *$ž# " #++ %# !"# " .
In presenza di significativi sforzi di trazione, la resistenza a taglio del
calcestruzzo è da considerarsi nulla e, in tal caso, non è possibile adottare
elementi sprovvisti di armatura trasversale.
Le armature longitudinali,
longitudinali, oltre ad assorbire gli sforzi conseguenti alle
sollecitazioni di flessione, devono assorbire quelli provocati dal taglio dovuti
all’inclinazione delle fessure rispetto all’asse della trave, inclinazione
assunta pari a 45°. In particolare, in corrispondenza degli appoggi, le
armature longitudinali devono assorbire uno sforzo pari al taglio

h_ R,L h_ I R,L
h_ R, ILm_ # "!+ *# é_ dd. RRR Ÿ dd. RRR Ÿ
sull’appoggio.
sull’appoggio. Solo a titolo di richiamo, ho che:

iR iR

Dopo aver affrontato la verifica dell'anima a compressione, e la verifica del meccanismo resistente
a trazione, ci rimane la verifica a scorrimento nelle zone critiche. Per possibili piani di
P a g . | 149

scorrimento, si intendono le riprese del getto, o i giunti costruttivi, che si trovano all'interno delle

ä§v ] ärv,n
zone critiche. Deve comunque risultare quanto segue:

Dove ärv,n è il valore di progetto della resistenza a taglio nei confronti dello scorrimento, e questa

ävv → ~!" * / ! #++, #••# ! %” "! !


è data dalle seguenti componenti:

ärv,n ävv ätv ä±v !“# ‚ ätv → ~!" * / ! #++# * *# "&+ " #
ä±v → ~!" * / ! #++ *#% % #" ++′ * !

Tutti questi diversi contributi sono dati dalle seguenti espressioni:

;1,3 Ŭ F Æ J• • Ú§v
9 n- ¥v Àv
š± »Å•Àv ¬ Fn- å§v Æ „ ¼
ävv " -
ä±v "‚
:
-
9 0,25•Àv ¬ Fn- 0,5_•¥v „+Ÿ /Ÿ
8 -

ätv •Àv Ÿ¬ Fnt &!% t


t

•¥K =- 0,60
Vediamo ora di definire il significato dei vari termini che appaiono nelle espressioni precedenti:
_ =- Ÿ1 &!" È !* + 7.4.9 #++ , åÄ~
250 •¥K #%”*#%%! " ÚÛ
Il coefficiente _ lo ritroveremmo poi nella verifica dei panelli di nodo. Mentre per tutti gli altri
termini ho quanto segue:

š± 0,60 è + &!#•• & #" # , * ! &+ &#% * ! &+ &#% * ! %! ! !" & &+ &ž#
;
9¬ Fn- è + %! #++# *## #++# / **# “#* & + " #*%#& " + ” "! %&!** #" !
9 -
„ è + , + # #++ ” * # &! ”*#%% #"% !" + &!" + , + # #++ %# !"#
:
9 ¬ Fnt è + %! #++# *## #++# / **# "&+ " # " #*%#& " + ” "! %&!** #" !
9 t
8 t è + "$!+! "&+ "
,
!"# #++ , * * "&+ "

Per le pareti tozze (q ]2) deve risultare che ätv –


Ñ ˜
, in altri termini almeno il 50% del taglio
deve essere assorbito dalle armature inclinate.

della parete che deve essere considerato quando si determina il taglio di calcolo ä§v . Per quanto
La presenza di armature inclinare comporta un incremento della resistenza a flessione alla base

1) Nell’altezza della zona inelastica di base ž¥¦ , si definisce una zona “confinata” costituita
concerne i particolari costruttivi si deve fare riferimento ai seguenti punti:

dallo spessore della parete e da una lunghezza “confinata” ¿¥ pari al 20% della lunghezza
in pianta ¿Ÿ della parete stessa e comunque non inferiore a 1,5 volte lo spessore della

2) In tale zona il rapporto geometrico p dell’armatura totale verticale, riferito all’area


parete.

1% ] p ] 4%
confinata, deve essere compreso tra i seguenti limiti:
P a g . | 150

3) Nelle zone confinate l’armatura trasversale deve essere costituita da tondini di diametro
non inferiore a 6mm, disposti in modo da fermare una barra verticale ogni 2, con un passo
non superiore a 8 volte il diametro della barra longitudinale o a 10 cm. Le barre non fissate
devono trovarsi a meno di 15 cm da una barra fissata.
4) Nella rimanente parte della parete, in pianta ed in altezza, vanno seguite le regole delle
condizioni non sismiche, con un minimo di armatura minima orizzontale e verticale pari
allo 0,2%, per controllare la fessurazione da taglio.

4.4 – Travi di collegamento o accoppiamento.


Il problema di queste travi di collegamento è che sono soggette ad elevate forze di taglio, che può
essere definito come la somma dei momenti di testa diviso la luce, e in
genere la luce di queste travi è contenuta, quindi ho un comportamento
di natura tagliante. Vediamo quali sono i principali meccanismi di
rottura:
1) Crisi del puntone compresso, con fessurazioni parallele allo
stesso.
2) Meccanismo dello sliding shear, cioè rottura per
scorrimento/taglio della sezione resistente.
3) Rottura a trazione dell’armatura a taglio.
Prima di tutto la normativa afferma che travi avente una altezza pari allo
spessore del solaio, non sono da considerare efficaci al fine del
collegamento.
Ed è bene ribadire inoltre che questi elementi strutturali ben mostrano il diverso comportamento
che possiamo avere per le condizioni statiche, rispetto a condizioni dinamiche. Infatti questi setti,
caratterizzati da elevate altezze, non hanno nessun problema a sopportare i carichi statici, mentre
P a g . | 151

è del tutto evidente i problemi che hanno


in condizioni operative diverse, la
tipologia di rottura alla quale vanno
incontro, è dovuta alle elevate
sollecitazioni di taglio, essendo un
elemento con una luce contenuta.
Ma vediamo che cosa ci dice la normativa a
tal proposito, prima di tutto se viene ad
essere rispettato almeno uno dei seguenti

1) Il rapporto tra la luce netta ¿x e l’altezza â, deve essere uguale o superiore a 3; d < 3.
limiti, si può procedere con il dimensionamento e le verifiche utilizzati per le travi.
ö

2) Lo sforzo di taglio di calcolo deve essere: ä§v ] •¥Av / .


Dove •¥Av è la resistenza di calcolo a trazione del calcestruzzo, la quale può essere determinata
dalla seguente relazione:

; 0,7 Þ 0,30 Þ •¥K ô
9 ”#* &+ %% "!* ~50 60
•¥AK 0,7 Þ •¥AL 1,5
•¥Av
¡ù ¡ù :0,7 Þ 2,12 Þ ln ›1 •¥K 8œ
9 10
”#* &+ %% $$ !* ~50 60
8 1,5
Se le condizioni precedenti non sono sodisfatte, lo sforzo di taglio deve essere assorbito da
armature ad X staffate.

Le armature così disposte devono rispettare le seguenti condizioni.

2Ú§v
1) Deve essere rispettata la seguente disuguaglianza:
ä§v è + “ +!*# ”*!$# ! #++ %!++. $+ " # Ÿä§v
+
Ôé^ ] dÕT\ hÄ^ TUV‹ → c
Fnt è + , *# #++ , * * %”!% %#&!" ! +# *# . $!" +
= è + , "$!+! •!* ! * +# $!" + # +′!* !" +#
2) Le armature disposte secondo le due direzioni diagonali devono essere organizzate in
elementi a forma di colonna, e la loro lunghezza di ancoraggio deve essere maggiorata del
50% rispetto a quanto previsto dall'Eurocodice 2.
3) Si devono disporre staffe attorno a questi elementi-colonna al fine di prevenire fenomeni di
instabilità delle barre d'armatura longitudinale. Si applicano le disposizioni di cui in
P a g . | 152

2.8.2.3(4) e 2.8.3.3(4) dell’Eurocodice 8; il passo % non deve comunque essere maggiore di


100mm.
4) In ogni caso le disposizioni costruttive per le travi al di fuori della zona critica si applicano
anche alle travi di collegamento.
In particolare vediamo le disposizioni da applicare per le staffe, per garantire condizioni adeguate
di duttilità, in funzione della classe di duttilità della struttura.
Punto EC8 - 2.8.2.3(4) – Classe di duttilità CD”A”.
a) Il diametro delle staffe ŽŸ deve rispettare la seguente condizione:
Žö,Loy + # *! %% ! #++# / **# +!"$ " +
•Àvö
ŽŸ < 0,40 Žö,Loy < !“# ‚ •Àvö *#% % #" & &!+! ”#* +# / **# +!"$ " +
•ÀvŸ
•ÀvŸ *#% % #" & +&!+! ”#* +# % ••#
b) Il passo % delle staffe deve rispettare i seguenti vincoli:
/P
/ è + #"% !"# " #+ " &+#! & +&#% * !
% ] c 4 œ !“# È P
100 Žö è + # *! #++# / **# +!"$ " +
5 Žö
c) Si possono utilizzare staffature multiple, e la distanza tra due barre longitudinali
consecutive contenute dalla piegatura di una staffa o da legature non deve superare i 150
mm.
Punto EC8 - 2.8.3.3(4) – Classe di duttilità CD”B”.
a) Il diametro delle staffe ŽŸ deve rispettare la seguente condizione:
Žö,Loy + # *! %% ! #++# / **# +!"$ " +
•Àvö
ŽŸ < 0,35 Žö,Loy < !“# ‚ •Àvö *#% % #" & &!+! ”#* +# / **# +!"$ " +
•ÀvŸ
•ÀvŸ *#% % #" & +&!+! ”#* +# % ••#
b) Il passo % delle staffe deve rispettare i seguenti vincoli:
/P
/ è + #"% !"# " #+ " &+#! & +&#% * !
% ] c 3 œ !“# È P
150 Žö è + # *! #++# / **# +!"$ " +
7 Žö
c) La distanza tra due barre longitudinali consecutive contenute dalla piegatura di una staffa
o da legature non deve superare i 200mm.

Per quanto concerne le disposizioni inerenti


alla lunghezza di ancoraggio, si rimanda
all’applicazione svolta nelle pagine
successive.
Come si osserva da un punto di vista
operativo viene ad essere fatto lavorare
solamente l’acciaio, sia a trazione che a
compressione (vedi figura 2.23), e questo
conferisce una elevata duttilità a tutto il mio
sistema, ancora una volta sono i dettagli
costruttivi a definire un buon
comportamento all’azione sismica.
E questo concetto ben viene ad essere rappresentato nei rispettivi cicli isteretici, ricavati dalle
prove di laboratorio. Ben si nota il diverso comportamento dissipativo, che è ottimo per il sistema
con i traversi armati, mentre per quello convenzionale si nota delle continue “perdite di
rigidezza”, dovute alla progressiva rottura dei traversi stessi.
P a g . | 153

Analizzando questi cicli si ricava per i traversi


non armati a X un fattore di struttura
(rapporto tra la deformazione ultima e quella
di snervamento) pari a circa 3, che
corrisponde grosso modo al fattore di
struttura dei soli setti, quindi la presenza dei
setti è pressoché trascurabile. Mentre con i
setti armati arriviamo ad avere un fattore di
struttura pari a 10, con un comportamento
dissipativo nettamente maggiore (l’area
sottesa dai cicli), e questo è principalmente
dovuto al fatto che con i traversi armati,
facciamo lavorare solamente l’acciaio.

Nota → “First wall yield” è il punto di primo snervamento del muro.

Solo con l’intento di richiamare alcuni concetti, vediamo di riassumere le prescrizioni concernenti
le travi.
P a g . | 154

Punto 4.1.6.1.
4.1.6.1.1
.1.1 – NTC – Armatura delle travi.
travi.

h_
R, d •^
L’area dell’
dell’armatura longitudinale in zona tesa non deve essere inferiore a:
a:

ÕT. \V <‚ hÄ
R, RRiL• ^


dove:
ove:

piattabanda compressa, nel calcolare il valore di • si considera


- rappresenta la larghezza media della zona tesa; per una trave a T, con
considera solo la

^
larghezza dell’anima.

h_
- è l’altezza utile della sezione.
- è il valore medio della resistenza a trazione assiale definita in


precedenza.
- è il valore caratteristico della resistenza a trazione dell’armatura
ordinaria.
Negli appoggi di estremità all’intradosso deve essere disposta un’armatura
efficacemente ancorata, calcolata per uno sforzo di trazione pari al taglio.

individualmente ÕT, a R, RHÕ_, essendo Õ_ l’area della


Al di fuori delle zone di sovrapposizione, l’area di armatura tesa o compressa
non deve superare individualmente
sezione trasversale di calcestruzzo.

complessiva non inferiore ad ÕT i, K• Š Ž essendo • lo spessore minimo


d
Le travi devono prevedere armatura trasversale costituita da staffe con sezione
, \V minimo
dell’anima in millimetri, con un minimo di tre staffe al metro e comunque passo
non superiore a 0,8 volte l’altezza utile della sezione.
In ogni caso almeno il 50% dell’armatura necessaria per il taglio deve essere
costituita da staffe.

Calcolo dell’armatura longitudinale di una trave, soggetta a flessione


semplice.
Con riferimento all’analisi elastica lineare con ridistribuzione dei momenti
prevista al §4.1.1.1 delle NTC, nel seguito si forniscono alcune precisazioni
Cautelativamente, le NTC proibiscono la ridistribuzione dei momenti
integrative. Cautelativamente,
nei pilastri e nei nodi, consentendola solo nelle travi continue (sia
appartenenti che non appartenenti a telai) e nelle solette, a condizione che le
sollecitazioni di flessione siano prevalenti ed i rapporti
rapporti tra le luci di
campate contigue siano compresi nell’intervallo 0,5-
0,5-2,0.
Nel seguito, per semplicità, si farà riferimento alle sole travi, restando
inteso che le relative considerazioni sono immediatamente estendibili alle
solette. La ridistribuzione dei momenti flettenti garantisce l’equilibrio sia
globale che locale della struttura ma prefigura possibili plasticizzazioni nelle
zone di estremità delle travi; occorre dunque accompagnare la ridistribuzione
con una verifica di duttilità. Tale verifica, peraltro,
peraltro, può essere omessa se si
rispettano le limitazioni sulla entità delle ridistribuzioni fornite dalle NTC,
meglio precisate nel seguito. In effetti, la ridistribuzione dei momenti
flettenti può effettuarsi senza esplicite verifiche in merito alla duttilità
duttilità

R, HH
; ] R, HK {U[ h_ ] LKéZa
delle membrature, purché siano rispettate le relazioni seguenti:

i, dK
ƒ ]
^ : R, KH
] R, LK {U[ h_ – LKéZa
8 i, dK
P a g . | 155

Questa è una formulazione di comodo, e in favore della sicurezza, mentre

R, RRiH
< R, HH i, dK ÅR, Æ < R, JR {U[ h_ ] KRéZa
nell’NTC vengono ad essere riportate le seguenti:

_,g` \ ] ^
R, RRiH
< R, KH i, dK ÅR, Æ < R, JR {U[ h_ – KRéZa
_,g` \ ] ^
Dove con _,g` \ ] viene ad essere indicata la deformazione ultima del
calcestruzzo. Ovviamente il fattore di plasticizzazione è compreso tra 0,70 e
1,00, il limite inferiore di 0,70 ha lo scopo di evitare che un eccesso di
ridistribuzione possa indurre plasticizzazione allo Stato Limite di Esercizio
nelle sezioni in cui si riduce il momento resistente, contenendo così le
richieste di duttilità nelle situazioni sismiche.
Solitamente per le nostre travi si utilizza un valore tipico di pari a 0,85,
questo ci consente di far lavorare correttamente l’armatura nella parte
compressa della sezione, evitando che l’asse neutro si avvicini troppo al bordo
compresso. Cerchiamo di riassumere le principali operazioni:
1) In primo acchito si deve fissare per la nostra trave le dimensioni del

dalla deviazione accidentale nel montaggio dei ferri longitudinali ∆_^U|


copriferro, il quale dipende dalle caratteristiche di esposizione ambientale,

iR , dal diametro delle staffe, e dal semidiametro dei ferri


longitudinali.
2) Si calcola la posizione dell’asse neutro ipotizzando un determinato fattore
di plasticizzazione . Ed inoltre devono essere ricalcolati i momenti per la
loro ridistribuzione,
ridistribuzione, ovviamente si ipotizza che le cerniere plastiche si
formino in corrispondenza delle sezioni maggiormente sollecitate. Gli altri
momenti poi devono essere ricalcolati, per trovare una situazione di
equilibrio congruente (ovviamente vale anche per il taglio).
3) Avendo preventivamente calcolato l’inviluppo dei momenti flettenti agenti,
in ragione delle varie combinazioni di carico, possiamo ipotizzare
un’armatura longitudinale di base, che vada a “coprire” i momenti di
minimo. Questa armatura sarà presente
presente per tutta la lunghezza della trave, e
avrà il compito anche di reggere le staffe.
4) Si deve prima affrontare una fase di progetto, poi si affronta una fase di
verifica, facendo attenzione che la sezione deve rispettare i limiti di
duttilità imposti. Per
Per meglio comprendere queste fasi, è utile appoggiarci ad
un esempio.
P a g . | 156

5 – NODI TRAVE-PILASTRO DI TELAI ANTISISMICI IN C.A.


Ora vediamo di definire la meccanica dei nodi in calcestruzzo armato, in particolare vediamo di
definire il comportamento degli stessi, per poter adempire a delle scelte progettuali adeguate. Solo
a partire dagli anni ’60 si è iniziato a focalizzare e capire l’importanza del comportamento dei
nodi. Infatti osservando i colassi avvenuti prima di quella data, questi erano principalmente
dovuti alle crisi degli elementi costruttivi colonne e travi. Quindi la prima ricerca che è stata fatta,
è stata quella di aumentare la resistenza e la duttilità di questi elementi, soprattutto in riferimento
alle sollecitazioni orizzontali. Una volta messi a punto dei dettagli costruttivi validi per i pilastri e
le travi, si è cominciato a vedere delle crisi che riguardavano i panelli di nodo. Quindi a partire
dagli anni ’70-’80 si e iniziato a cercare una teoria che riguardasse specificatamente la resistenza
dei panelli di nodo. Iniziamo a vedere il comportamento dei nodi da un punto di vista generale, e
partiamo con il progetto di un telaio in calcestruzzo armato sismoresistente, e per far questo
abbiamo quattro possibilità di modellazione diversa:
1) Statica equivalente.
2) L’analisi spettrale o anche detta dinamica lineare.
3) Push over.
4) Dinamica non lineare o di integrazione temporale.
Con la prima noi andiamo ad analizzare la struttura con il suo
primo modo di vibrare, quindi andiamo a definire quelle che
sono le forze da applicare ai vari solai. In genere sui telai
semplici il primo modo di vibrare è caratterizzato da un modo
di vibrare lineare, quindi le forze che andiamo ad applicare ai
vari piani sono proporzionali all’altezza. Se noi andiamo a fare
una analisi modale, metto in conto anche gli altri modi di
vibrazione in funzione della massa partecipante. E andremmo a
combinare le varie azioni che derivano da questi diversi modi
di vibrare con dei metodi probabilistici, ad esempio utilizzando
la relazione CQC. In altri termini andiamo a prendere la prima
distribuzione di forze del primo modo di vibrare, la
moltiplichiamo per un coefficiente minore dell’unità, dopo di
che si prende in considerazione una seconda distribuzione di
forze riferita a un secondo modo di vibrare, la si moltiplica
sempre un coefficiente, che sarà ancora più piccolo di quello
precedente (non è altro che un peso che misura la probabilità
di accadimento), e via di seguito. Alla fine si somma il tutto, e
quello che tiro fuori alla fine non sono altro che dei massimi e
minimi sollecitanti, questo è quello che si ottiene da un’analisi
modale.
Ora la normativa afferma che dobbiamo rispettare la gerarchia delle resistenze nel nodo, in altri
termini usando una delle quattro analisi (in ragione della zona sismica e della tipologia
dell’edificio), si determina il momento sollecitante a livello delle travi concorrenti al nodo j-esimo.
Dopo di che si dimensionano queste travi con un adeguato momento resistente, che deve essere
maggiore di quello sollecitante, fatta questa operazione mi devo preoccupare dei momenti
resistenti delle colonne, ove la normativa afferma quanto segue: la somma dei momenti resistenti
delle colonne che convergono al nodo j-esimo devono essere 1,3 volte, la somma dei momenti

∑ ém^•
resistenti delle travi concorrenti al nodo stesso.
µm^ \V i, L =
∑ ém^c
P a g . | 157

Per far questo devo imporre una condizione


di equilibrio a livello di nodo, in modo tale
che i momenti siano concordi a coppie, ma
che tutto il mio nodo sia in equilibrio, quindi
i momenti sulle colonne devono essere
complessivamente uguali e contrari ai
momenti delle travi. Quindi ad esempio
dovrò avere solamente la presenza di
momenti orari sulle colonne, e di momenti
antiorari sulle travi. Questo meccanismo
funziona molto bene quando noi usiamo la statica equivalente, dove seguo il primo modo di
vibrare, e non perdo il significato fisico del mio problema. Mentre con una analisi modale potrei
avere delle sollecitazioni che mi arrivino sul nodo dovute al secondo modo di vibrare, quindi sulla
colonna potrei ritrovarmi con un momento che non rispecchia la mia condizione di equilibrio
nodale, peraltro richiesta dalla normativa. In questo caso devo portare il mio momento resistente
sulla colonna non equilibrato, tra quelli ribaltanti
agenti a livello delle travi, quindi in questo caso la
colonna rimanente dovrà portare via tutti gli altri

amplificazione ¡rvjÏ . Quindi si deve sempre fare


momenti restanti, tendo conto sempre del fattore di

riferimento all’equilibrio, anche quando abbiamo


delle sollecitazioni che arrivano dall’analisi modale,
che di per sé ci fornisce solamente una distribuzione
statistica dei massimi e dei minimi, ma dei quali noi
non sappiamo a priori a quale distribuzione delle
sollecitazioni appartengono. Vediamo di prendere il
caso più semplice, ove i momenti sollecitanti delle
colonne siano antiorari, e i momenti sollecitanti delle
travi siano orari, e che tra di loro siano in equilibrio. E
vediamo che cosa accade a livello di panello di nodo, ed
inoltre si consideri l’assenza dello sforzo assiale nella
colonna, ed inoltre si consideri che non arrivi sforzo di
taglio aggiuntivo a livello dei solai; i momenti flettenti
inferiore e superiore sulle colonne sono tra di loro eguali.
In questo caso ottengo un insieme di sollecitazione
semplificate che agiscono sul nodo. Come meccanismo
resistente principale ho la formazione di un puntone
compresso lungo la diagonale del panello di nodo, questo
è il primo meccanismo resistente detto a puntone
diagonale. Questo provoca delle forte compressioni lungo
la direzione diagonale, e quindi mi devo aspettare delle
forti fessurazioni, sempre in posizione centrale rispetto al
nodo stesso. Il secondo meccanismo resistente viene
definito a traliccio, e questo si può sviluppare solamente
se è presente dell’armatura diffusa di confinamento,
infatti questa mi permette di distribuire su una più ampia
zona i meccanismi resistenti secondari.
Andiamo a vedere ora il comportamento della colonna, e
P a g . | 158

la consideriamo entro i punti di mezzeria di interpiano, infatti in questi punti il momento


flettente è nullo, se considero il classico schema a telaio.

schematizzare come un’azione distribuita äŽ , mentre i


Quindi le forze di taglio che arrivano dai solai le posso

momenti flettenti si compongono in una coppia di forze; ~Ž


come forza di compressione sul calcestruzzo, e ÄŽ come forza
di trazione sull’acciaio. Ed inoltre faccio l’ipotesi
semplificativa che l’armatura superiore ed inferiore sia
uguale, e questa è una ipotesi accettabile per zone ad elevata
sismicità, ho che per le due travi i medesimi valori di coppia
agente. Ora facciamo un equilibrio alla rotazione rispetto al

ä¥ +¥ ~Ž Ž ÄŽ Ž äŽ ž¥
centro del panello di nodo:

taglio di nodo ä- orizzontale, quindi facciamo un equilibrio alla traslazione delle forze orizzontali
Ora il nostro obiettivo è quello di determinare il valore del

ä- ~Ž ÄŽ ä¥
della porzione superiore:

Posso affermare che ~Ž ÄŽ , perché sulle travi non ho presenza di forzo normale. Quindi la

ä- 2ÄŽ ä¥
relazione può essere così semplificata:
P a g . | 159

Ed inoltre posso usare una relazione semplificata per


esprimere il taglio che agisce sulla trave, usando delle
semplici relazioni di equilibrio, visto e considerato
che il taglio non è altro che la derivata della
distribuzione dei momenti flettenti, posso affermare

2ÚŽ
quanto segue:
äŽ

Dato per inteso che +Ž è la lunghezza delle travi posso affermare che:
2ÚŽ 2ÄŽ Ž ž¥ Ž ž¥
ä¥ +¥ 2ÄŽ Ž ž¥ 2ÄŽ Ž ä¥ 2 Ÿ Ä
Ž
+Ž +Ž +¥ +Ž +¥ Ž
u
Allora il termine q Þ è pari a circa 0,1, mentre il secondo termine è pari a 0,01, quindi il taglio sulla

ä¥ ≅ 2 0,1 0,01 ÄŽ 0,22ÄŽ


colonna è pari a (è messo in relazione con la trazione su di un acciaio che attraversa la colonna):

d
A questo punto posso usare la seconda relazione ottenuta in precedenza:
ä- 2ÄŽ ä¥ 2ÄŽ 0,22ÄŽ 1,78ÄŽ Ôþ ¶ Ô Ô_ IÔ_
R, dd _
Quindi il taglio che attraversa il nodo è otto volte quello che attraversa la
colonna, ecco che le fessurazioni sono inevitabili, e capiamo anche
perché il panello di nodo è una zona critica del telaio. Vediamo ora di
cominciare a disquisire sullo sforzo normale nell’armatura della colonna,
questo è strettamente legato al diagramma del momento flettente, ma
con qualche distinguo. Il primo caso semplice è quando la colonna è
dimensionata opportunamente a taglio, e quindi non abbia fessurazioni a
taglio ma le abbia solamente a momento flettente, in questo caso
particolare posso assumere che lo sforzo normale agente sulla barra di
armatura sia proporzionale al momento flettente agente sulla colonna.
Ad un certo punto lo sforzo normale sull’armatura si deve invertire, e
questo dovrebbe avvenire all’interno del nodo grazie alle tensioni di
aderenza, comunque anche qualora avvenga il cambiamento di segno, lo
sforzo normale di compressione sull’acciaio rimane contenuto, visto che
questo viene portato via per la maggior parte dal calcestruzzo. Infatti quando sono in trazione,
questa viene ad essere assorbita interamente dalle barre di acciaio, mentre quando sono in
compressione, è il calcestruzzo a lavorare.
Se invece avessi a che fare con una resistenza a taglio della colonna insufficiente, abbiamo lo stesso
comportamento delle travi; in questo caso entrano in gioco i meccanismi resistenti secondari
(morch), ed ho un incremento delle tensioni di trazione sull’acciaio. Questo perché l’aderenza si
sviluppa solamente nei punti di incrocio del meccanismo tirante e puntone, in altri termini
ottengo un comportamento “a reticolare”, quindi l’effetto finale è quello di spostare e anticipare le
tensioni di trazione sull’acciaio. E questo vale anche per la zona di nodo, dove ho un ritardo della
trasmissione delle tensioni
dall’acciaio al calcestruzzo
all’interno del panello di nodo,
quindi all’interno dello stesso
abbiamo la presenza di tensioni di
trazione, che andremmo a
quantificare.
Per far questo prendo una porzione
del nodo e scrivo le rispettive
P a g . | 160

condizioni di equilibrio, dove ĥ, sono le

lungo la colonna, mentre ® sono le tensioni di


trazioni sulle armature all’interno del nodo

compressione dovute al puntone compresso


(per il primo meccanismo resistente, ma anche
per il secondo). Vediamo che cosa possiamo
scrivere a proposito:
®%#"= ¬ Ä¥,

ä- "= ¬ Ä¥,
Da quello che si può capire si nota che le tensioni di trazione saranno molto elevate, infatti
devono equilibrare la componente verticale del puntone compresso, ed è anche evidente che
questa condizione sarebbe meno onerosa se ci fosse la presenza di uno sforzo normale sulla
colonna. Vediamo ora di fare gli stessi identici ragionamenti per la sezione verticale:
¬ ÄŽ, ®&!%= ä- &! = ¬ ÄŽ,
Combinandole tra di loro ottengo tre relazioni notevoli:

Ôþ | ¬ c,• Ôþ ¶
/5- ‹ → c
Ôþ ¶ ¬ c, Ôþ |
_

Queste tre condizioni sono di fondamentale importanza, perché mi consentono di capire quali
sono le sollecitazioni vanno a finire nelle barre di nodo. Vediamo ora di ragionare sulle barre della
trave che attraversano il nodo, sempre nell’ipotesi di armatura simmetrica:
¬ ÄŽ, ä- 1,78ÄŽ 2F Þ •n 1,78F Þ •À 1,25
Attenzione che • è inteso come tensione media delle barre longitudinale della trave nel punto
mediano del nodo, mentre per il calcolo di ÄŽ si deve tenere conto che per l’acciaio in
corrispondenza del bordo esterno del nodo, deve raggiungere le condizioni di snervamento (per la

incrudimento -P dell’acciaio (questo dipende dal tipo di acciaio). E ottengo che la tensione di
formazione della cerniera plastica), ma oltre a questo deve tenere conto del modulo di

i, JI Þ i, dK Þ hÄ
trazione sulle stesse barre in mezzeria alla colonna vale:
hT i, iRhÄ
d
P a g . | 161

Quindi se io non metto armatura aggiuntiva all’interno del nodo, quello che osservo è che
l’armatura longitudinale è ancora snervata in trazione all’interno del nodo stesso.
Questo significa che lo spazio residuo per il trasferimento
delle tensioni dall’acciaio al calcestruzzo è molto limitato,
e per sollecitazioni cicliche mi potrei trovare delle barre
tese nella zona di calcestruzzo compresso, una situazione
ben diversa da quella prevista teoricamente. Questo è il
primo effetto negativo, mentre il secondo effetto negativo
riguarda il fatto che all’interno del panello di nodo ho
delle elevate dilatazioni (perché l’acciaio non sta’ più
operando in campo elastico, ma in campo plastico), con
delle elevate fessurazioni che non possono più essere
recuperate, quindi perdo il confinamento del nodo.
Potrei pensare di aumentare il numero delle barre
longitudinale di trave che attraversano il nodo, ma questa
è una soluzione controproducente, visto e considerato che
andrei ad aumentare le sollecitazioni che interessano il
panello di nodo. Quindi devo mettere delle barre
orizzontali che vadano ad interessare solamente la zona di nodo, e queste non sono altro che le
staffe di confinamento, che devono aiutare le barre passanti delle travi a sopportare le tensioni di
trazione. Quindi se considero anche la presenza delle staffe:
ùtwè
ä- 1,78ÄŽ ¬ ÄŽ, ¬ ÄnŸ •n Ë2F Þ
FnŸ Ì ä-
1,78F Þ •À 1,25
•n Ë2F FnŸ Ì 1,78F Þ •À 1,25 •n
Þ
Ë2F Þ FnŸ Ì
In questa relazione è sottointeso che il taglio di nodo viene ad essere assorbito sia dalle armature
longitudinali passanti, sia dalle staffe; ora noi ipotizziamo che questo compito debba essere

1,78F Þ •À 1,25 !wx w ±á O±Ê


affidato solamente alle staffe:

•n FnŸ 1,78F Þ •À 1,25 •n ÕT d, dRÕÓ•


FnŸ
Questa relazione è la stessa che troviamo scritta nei dettagli costruttivi della normativa, la quale

ÕÓ a[Ua •a[[U `]V´\ g^\Va`\ \VhU[\][\


viene ad essere così espressa (per la classe di duttilità alta):
ÕT < ËÕÓ³ ÕÓÓ Ìµm^ ^]|U µm^ i, dR → ê ³
ÕÓÓ a[Ua •a[[U `]V´\ g^\Va`\ Tg{U[\][\
La presenza di ¡rv è necessaria per garantire la gerarchia delle resistenze, questa è una relazione
fondamentale, poi viene ad essere modificata con un coefficiente correttivo per tenere conto della
presenza dello sforzo normale sulle colonne. Ed inoltre come si nota la quantità di acciaio
necessaria per le staffe di confinamento è notevole, essendo questa la somma dell’area di tutte le
barre longitudinali delle travi concorrenti al nodo, il tutto aumentato con un coefficiente di
sicurezza.
Riepilogo….
- I nodi trave-pilastro sono determinanti nel comportamento dei telai sismo-resistenti.
- Le sollecitazioni dei nodi sono conseguenti alle massime sollecitazioni trasmesse dalle
sezioni contigue di travi e pilastri.
- Le loro prestazioni dipendono fortemente dalla geometria, dalle caratteristiche meccaniche
e dai dettagli costruttivi.
- La dimensione reciproca di travi e pilastri convergenti è il primo fattore determinante per
assicurare non solo la gerarchia delle resistenze ma anche l’integrità del pannello di nodo.
P a g . | 162

- La staffatura all’interno del nodo è fondamentale per garantire adeguata resistenza e


duttilità evitando collassi fragili.
- Le barre delle travi devono essere passanti nei nodi interni o sufficientemente ancorate nei
nodi esterni.

6 – MURI DI CONTROVENTO IN C.A.


Il problema principale delle pareti è la definizione del loro modello numerico. Certamente il
primo metodo è quello di usare degli elementi beeem, questi ci
consentono di ottenere già a livello di sezione una valutazione delle
sollecitazioni agenti (N, T, M). Questo non accade con gli elementi
plate, infatti in questo specifico caso ci dobbiamo integrare quelle che
sono le tensioni in una certa sezione dell’elemento, per poi procedere a
definire le sollecitazioni. Se abbiamo più setti diversamente collegati fra
loro, questi possono essere modellati con dei plate, collegati nel
medesimo modo. Questa soluzione presenta lo svantaggio della difficile
lettura delle sollecitazioni, ma oltre a questo vi è un problema di
efficienza di calcolo agli elementi finiti. Infatti se usiamo gli elementi
plate, lo schema materiale implementato nel modello, deve essere
tridimensionale; questo rallenta il processo di convergenza verso la
soluzione, ed il livello di affidabilità è ancora basso, vista anche la scarsa
tradizione in tale ambito. Ed inoltre utilizzando gli elementi plate non
posso implementare tutte le analisi possibili, ma solo due: l’analisi
spettrale e la lineare semplificata.
Allo stato attuale i modelli di calcestruzzo non lineari tridimensionali
sono ancora relegati alla ricerca, quindi essi non trovano ancora utilizzo
nella professione.
Altra soluzione potrebbe essere di inserire degli elementi
beem con una sezione riproducente la configurazione
spaziale dei setti. In questo caso si deve prestare attenzione
al fatto che i beem non conoscono la differenza tra il
baricentro ed il centro di taglio. Infatti, come sappiamo, se
si applica una forza eccentrica rispetto al centro di taglio,
oltre alla semplice flessione, ho anche la presenza di una
torsione che comporta la comparsa di ulteriori
sollecitazioni all’interno dei setti. Quindi questa ulteriore
possibilità è da escludere, a meno che non usino
programmi di calcolo che consentano la distinzione tra il
centro di taglio ed il baricentro. Ulteriore possibilità è
quella di usare un elemento beem per ogni singolo setto, è
evidente che questi beem dovranno essere posti in
corrispondenza dei baricentri delle singole lamine. Un
primo problema è il collegamento tra i vari elementi beem
per garantire la congruenza delle deformazioni, che si
ottiene consolidando la continuità della sezione. Per
garantire il collegamento tra i setti si devono usare degli
elementi di collegamento rigidi (rigid-link) a livello di
piano, questo consente di avere la congruenza delle
deformazioni e degli spostamenti tra i setti. Con quest
ultima soluzione si ottengono dei buoni risultati, e viene
P a g . | 163

simulata correttamente anche la posizione del centro di taglio. Ma si deve porre attenzione
all’inserimento di elementi ad elevata rigidezza, dato che si ottengono delle matrici di rigidezza
disomogenee con possibili problemi di stabilità numerica.
Pensiamo ora di aver rappresentato le nostre lamine con dei plate, e di aver ottenuto in output
delle sollecitazioni per unità di lunghezza, e vediamo come possono essere assorbite queste
sollecitazioni, andando a vedere quello che è il
meccanismo resistente di una lamina in calcestruzzo
armato. Nel caso considerato l’azione tagliate è
certamente l’azione preponderante, quindi un
ipotetico concio quadrato, mostrerà delle tensioni
principali di compressione da una parte, e di trazione
dall’altra. Data la presenza di un minimo di
compressione, portata dal peso proprio e dal peso
degli orizzontamenti, le direzioni principali non
saranno quelle teoriche a 45° del taglio puro, ma
avremmo un angolo maggiormente abbattuto. Per il
momento ci poniamo nell’ipotesi semplificata che le
tensioni principali di trazione siano uguali, in
modulo, alle tensioni principali di compressione.
(ipotesi di taglio puro).
La resistenza teorica del panello di calcestruzzo con
doppia direzione di armatura viene determinata
mediante l’imposizione della condizione di equilibrio
su due sezioni ideali del panello. Quindi partiamo con
l’operare un equilibrio alla traslazione orizzontale
della parte superiore. A tal proposito si supponga che

complessivamente è definita dal suo rapporto geometrico p che è l’area


l’acciaio reagisca solo a trazione, ed inoltre l’armatura

complessiva delle barre, divisa per l’area della sezione di calcestruzzo

Fq FA
ortogonale alla loro direzione:
pq ; pA
Fù Fù

pA ∙ &!%ÁA ∙ Fù ∙ •Àú
Quindi il risultato nelle due direzioni è pari a:
ê
pq ∙ &!%Áq ∙ Fù ∙ •ÀÏ
Il risultato viene scritto in condizioni di snervamento delle barre, quando
il panello è in condizioni fessurate. Vediamo ora di comprendere, in
termini vettoriali, quale sia la risultante data dall’acciaio. A livello di
equilibrio la risultante R deve essere equilibrata dalle azioni che agiscono
sul calcestruzzo. Dall’equilibrio alla traslazione del semi-panello, abbiamo
che la compressione di destra e di sinistra si elidono a vicenda, mentre la
sollecitazione di trazione T è in combinazione con l’azione R, con la quale
costituiscono un trangolo delle forze chiuso la componente sul cls C’.
Quest’ultima componente è a sua volta la risultante delle tensioni normali e tangenziali, che si
esplicano lungo l’interfaccia di sezione. Quindi l’equazione di equilibrio alla traslazione

ºyÀ ∙ Fù pA ∙ &!%ÁA ∙ Fù ∙ •Àú ∙ %#"ÁA pq ∙ &!%Áq ∙ Fù ∙ •ÀÏ ∙ %#"Áq


orizzontale è:

Elidendo Fù alla fine si ottiene l’espressione che ci fornisce la tensione tangenziale sul calcestruzzo
lungo la sezione di taglio.
P a g . | 164

Similmente a quanto fatto in precedenza, qui ottengo quanto


segue:

pA ∙ %#"ÁA ∙ Fù ∙ •Àú
ê
pq ∙ %#"Áq ∙ Fù ∙ •ÀÏ

Ancora una volta la risultante R delle tensioni di trazione


sull’acciaio, può essere messa in equilibrio con l’azione di
compressione C, agente sul bordo del panello, e a chiudere il
triangolo delle forze, con la risultante delle tensioni sul
calcestruzzo C’. Quindi operando un equilibrio alla traslazione
orizzontale otteniamo quanto segue:

æy ∙ Fù ~ pA ∙ %#"ÁA ∙ Fù ∙ •Àú ∙ %#"ÁA pq ∙ %#"Áq ∙ Fù ∙ •ÀÏ


∙ %#"Áq

Come si osserva il calcestruzzo risulta essere fortemente compresso, quindi se le resistenza a


trazione aumenta con l’acciaio inserito, dall’altra devo prestare attenzione alla resistenza limite
delle bielle compresse di calcestruzzo. Da queste espressioni ci possiamo determinare quelle che
sono le tensioni sul calcestruzzo lungo la direzione X, mentre dall’altra relazione si può

æy ~ pA ∙ %#"ÁA ∙ •Àú ∙ %#"ÁA pq ∙ %#"Áq ∙ •ÀÏ ∙ %#"Áq


determinare la tensione tangenziale:
ê
ºyÀ pA ∙ &!%ÁA ∙ •Àú ∙ %#"ÁA pq ∙ &!%Áq ∙ •ÀÏ ∙ %#"Áq
Questo mi consente di definire lo stato di tensione sul calcestruzzo, infatti le tensioni che ho

sono poste lungo direzioni principali, dato che la tensione tangenziale ºyÀ è presente su entrambe
individuato, non sono tensioni principali, ma solo delle tensioni su delle facce ortogonali, che non

le facce. Rappresentando il cerchio di Moohr ho quanto segue:

ºyÀ
"U
æy
æy 1
æ ∙ Eæ ”* "& ” +# &! ”*#%% !"#H
&!%U &!%U
æy ºyÀ
æÀ æ æy æy æy tan U æy Ÿ
&!% U æy
ºyÀ
æy
P a g . | 165

A questo punto ho tutti gli elementi per determinare la resistenza massima del mio pannello,
infatti riferendoci nuovamente alla prima condizione di equilibrio alla traslazione verticale, la

Ä pA ∙ &!%ÁA ∙ Fù ∙ •Àú ∙ &!%ÁA pq ∙ &!%Áq ∙ Fù ∙ •ÀÏ ∙ &!%Áq Fù ∙ æÀ


resistenza a trazione rimane così determinata:

Nel caso in cui la tensione principali di compressione, così calcolata, superi in modulo la
resistenza compressione del calcestruzzo, significa la resistenza compressione di tale materiale

Ovviamente la æÀ è stata ricavata in precedenza, ciò evidentemente costituisce una relazione


viene raggiunta prima dello snervamento dell’acciaio in entrambe le direzioni di armatura.

implicita, quindi per ricavare ÄLoy posso costruire una tabella in Excel, ad esempio partendo dalla
condizioni taglio puro che è caratterizzato da |ÄLoy | |~ +Õ |. Questo metodo consente di
cogliere alcuni concetti fondamentali:
- comprensione di quello che accade all’interno delle pareti;
- controllo dell’limiti di compressione del pannello e quindi la duttilità del pannello
medesimo.
P a g . | 166

APPLICAZIONE PROGETTUALE I.

La disposizione dei setti forma un sistema resistente stabile: sono posti lungo le
parti più esterne dell’edificio, quindi i setti sfruttano al massimo quelle che sono
le dimensioni dell’edificio, ed ho due setti per ciascuna delle due direzioni
principali, questo ci consente di avere uno schema stabile dal punto di vista
torsionale. Infatti la rigidezza torsionale è proporzionale alla distanza al quadrato
delle aree geometriche rispetto al centro di torsione/centro di taglio. Vediamo ora di
operare una veloce analisi dei carichi, ciò costituisce un passaggio fondamentale per

-
éaTTU T\T \_¶U → ´i ´d ¬ Š d ‹‡
il calcolo delle masse sismiche.

3 3
3 i
´i → ZUT\ {[]{[\ T [g g[a`\
;
9 ´d → ZUT\ {U[ aVUV \ {][ a \
V
:¬ ý n → ZUT\ |a[\a•\`\ _] •\Va ][\
9 d\
8 \Oi
\

Da pagina 48 ricaviamo per le civili abitazioni ho Šd3 R, L.


.

Át
Ó]`a\] \{\_] → ´i ´d ≅ J d
Vediamo ora alcuni valori caratteristici:

c
Át
•a[\_] |a[\a•\`U _\|\`U a•\ ab\]VU → ni d d
Ora andremmo a calcolare quella che è la forza peso delle masse

Át Át
•a[\_] ] a`U {U[ ]´V\ {\aV] → J d Þ EK Þ dKH Þ i, R d d Þ idK d Þ R, L VKRÁt
sismiche per ogni livello:

Oltre agli orizzontamenti, abbiamo anche le strutture in elevazione, è di tutta


evidenza che si dovranno operare delle ipotesi sul dimensionamento dei setti e dei

ÓU \ U {\`aT [\ → ´i R, dK Þ â ] Þ ·\V U[{\aV] Þ µ_.a. R, dK Þ H Þ K H Þ R, H Þ L, K Þ dK


pilastri:

HJLÁt
Át
ca {]Va UV \ `a U[a`\ → ´d T Þ â ] Þ ·\V U[{\aV] Þ µ a {. › iH L œ KIIÁt
ZUT] T\T \_] ] a`U → VKR HJL KII Þ id. R Át
Il peso per unità di volume dei tamponamenti, è un peso medio, che tiene conto anche

pari a 18 g .
Í
delle aperture, infatti il peso per unità di volume di
di un tamponamento in laterizio è
L
P a g . | 167

Una volta definita la massa sismica, o meglio suo peso, si deve determinare
l’accelerazione sismica agente, questo valore dipende certamente dal periodo di
vibrazione fondamentale della struttura che, nell’ipotesi di analisi statica lineare,

L
ci •i ·L/H R, RKR Þ diH R, HVT
assume il seguente
seguente valore:

R, RIK {U[ _]T [gb\]V\ \V a__\a\]


•i = Q R, RJK {U[ _]T [gb\]V\ \V _a`_UT [gbb] a[ a ]
R, RKR {U[ _]T [gb\]V\ _]V fga`T\aT\ a` [] \{] ^\ T [g g[a
Questa relazione può essere utilizzata per costruzioni civili o industriali che non
superino i 40m di altezza e la cui massa sia approssimativamente uniformemente
distribuita lungo l’altezza.
l’altezza. Dopo
Dopo di che si deve valutare quello che lo spettro di

a´ R, iRJ´ i, RHV
â]V´\ g^\VU ii°, IVH
risposta sismico:

Td
·] U È
µa` T]h a[U ^U` Z[]h.´U`h\
À c d, KRV
âa \ g^\VU HK°, HVR R
c∗• R, LdiT
Ôm KR
KRaVV\
cU {] ^\ [\ ][V]
cU {] ^\ [\hU[\ UV ] Ôm cm
`VËi ZÔm Ì `V i R, i
HJKaVV\

a´ → Õ__U`U[ab\]VU ][\bb]V a`U aTT\ a ^U` U[[UV]


‚ R → Ôa`][U aTT\ ] ^U` ha ][U ^\ a {`\h\_ab\]VU ^U``] T{U []
c• → ZU[\]^] ^\ \V\b\] ^U` [a ] a |U`]_\ à _]T aV U ^U``] T{U []

P a g . | 168

Con questi valori mi posso calcolare quelli che sono i tre periodi fondamentali dello

- c• è il periodo corrispondente all’inizio del tratto a velocità costante dello


spettro.

d
c• •• c∗• i, RK c∗• ‰R,LL Þ c∗• i, RK Þ R, LdiL R, HVT
spettro, dato da:

Dove •• è un coefficiente in funzione della categoria del sottosuolo (vedi

- c
tabella a pag. 40). 40).
è il periodo corrispondente all’inizio del tratto dello spettro ad

c•
c R, iKT
accelerazione costante:

L
- cµ è il periodo corrispondente all’inizio del tratto a spostamento costante

a´ i, RHV
cµ H, R i, H, R Þ i, d, RLT
dello spettro, espresso in secondi mediante la relazione:

´ V, IRJ
Altro parametro che si deve determinare è S, cioè il coefficiente che tiene conto

Ó ÓÓ Óc i, K Þ i i, K
della categoria del sottosuolo e delle condizioni topografiche (tabella a pag. 40):

a´ i, RHV
i, JR R, R Þ R Þ i, JR R, R Þ d, KRV Þ i, KH ] i, K
•]V^\b\]VU T [a \´[ah\_a
ÓÓ
c ´ V, IRJ
•]V^\b\]VU ]{]´[ah\_a (ci
Óc i
Come smorzamento viscoso ƒ si considera quello classico del 5%, quindi:
iR
^ < i
K ƒ
A questo punto ho tutti gli elementi necessari per definire quello che è il mio

c i c
;ZU[ R ] c ’ c
¶] _¶U
ÓÕU c a´ Ó^ R › Ÿi œ
spettro elastico, il quale, ricordo,
ricordo, è fissato dalle seguenti relazioni:

9 c ^ R c
9 ZU[ c ] c ’ c
¶] _¶U
Ó c a Ó^
• ÕU ´ R

: c•
ZU[ c• ] c ’ cµ
¶] _¶U
ÓÕU c a´ Ó^ R Ÿ
9 c
9 c• cµ
ZU[ cµ ] c
¶] _¶U
ÓÕU c a´ Ó^ R Ÿ d
8 c
Il periodo fondamentale della mia struttura è compreso tra c e c• :
ÓÕU ci a´ Ó^ i, RHV Þ i, K Þ i, R Þ d, KRV L, VHI
R
Td
Ora possiamo definire il fattore di struttura f = fR ∙ Ám , ove fR è il valore massimo

strutturale ed dal rapporto ‹g /‹i , tra il valore dell’azione sismica per il quale si
del fattore di struttura che dipende dal livello di duttilità attesa, dalla tipologia

verifica la formazione di un numero di cerniere plastiche talitali da rendere la struttura

plasticizzazione a flessione. Mentre Ám è un fattore riduttivo che dipende dalle


labile e quello per il quale il primo elemento strutturale raggiunge la

caratteristiche di regolarità in altezza della costruzione, con valori pari pari ad 1 per
costruzioni regolari in altezza, e 0,80,8 per costruzioni non regolari, si veda a tal
proposito a pag. 72. Dato che la nostra è una struttura a pareti non accoppiate, ed in

‹g
fR H, R Þ H, R Þ i, R H, R
classe CD”A” (alta duttilità), ho quanto segue:

‹i
P a g . | 169

Come si diceva Ám è un fattore riduttivo che dipende dalle caratteristiche di

nostro caso Ám i, R.
regolarità in altezza della costruzione, ed è metodo di analisi utilizzato, quindi nel

f = fR ∙ Ám H, R × i, R = H, R
. Perciò il nostro fattore di struttura è:

Si ponga attenzione al fatto che le strutture che hanno una bassa rigidezza
torsionale, rispetto alla rigidezza flessionale,
flessionale, presentano un fattori di struttura
ridotto di un fattore (si veda pag. 73), ma non è questo il caso.

¹́ Ó c è ` ,
][^\Va a ^U``] T{U [] ^\ [\T{]T a ^\ {[]´U ]
ÓÓâu
Õ^ ci º→ È ^ Õ i
Ora ci possiamo determinare la forza sismica,
sismica, che non è altro che il taglio alla base:


¹ è \` {UT] _] {`UTT\|] ^U``a _]T [gb\]VU
R, IK TU `a _]T [gb\]VU ¶a a` UV] [U ][\bb]V a UV \ U TU ci ’ dc•
º=È
i, R \V g \ ´`\ a` [\ _aT\

¹́ L, VHI id. R
ÓÓâu
Õ^ ci º × × R, IK = i. RLdÁt
Quindi…


¾ H, R V, IRJ
éaTTa T\T \_a
Questo è il taglio alla base nelle due direzioni che deve
assorbire l’edificio. Il taglio alla base dell’edificio
deve essere distribuito in modo proporzionale al primo
modo di vibrare,
vibrare, quindi ottengo una distribuzione
triangolare,
triangolare, la cui risultante è pari proprio al taglio

d d
é ¶Þ · i. RLd × × di = iH. HKiÁt
alla base, ed è applicata a due terzi dal
dal suolo.

Q Óé L L
ÔÓé | ¶ | i. RLdÁt
Vediamo ora le verifiche preliminari che si operano in
fase di predimensionamento. Dato che abbiamo una
struttura molto semplice, possiamo considerare due
direzioni principali lungo le quali applicare le
notevole
sollecitazioni sismiche. Altra semplificazione notev ole è
la presenza di due elementi resistenti per ogni direzione
principale. Come regola generale, e comunque a favore di sicurezza, i pilastri non
prendono parte ai meccanismi resistenti alle forze orizzontali, per la loro bassa
rigidezza (che ricordo essere
essere proporzionale alla dimensione geometrica al cubo).
Mentre per tutti i setti in direzione perpendicolare all’azione sismica considerata,
non intervengono nella redistribuzione degli sforzi, questo nel caso che non siano
collegati ai setti paralleli all’azione
all’azione sismica. In caso contrario dovrò considerare
una quota parte delle ali resistenti, per tenere conto degli effetti della
redistribuzione, infatti in tale ambito non posso applicare la teoria del De Saint
Venant, dato che le sezioni non rimangono piane.
piane. La normativa ci fornisce dei metodi
approssimati, per la valutazione delle lunghezze collaboranti dei setti perpendicolari
all’azione sismica, e saldamente collegati ai setti paralleli.
Nel caso del nostro edificio, nel quale il centro di massa coincide con il baricentro,
lo schema resistente alle sollecitazioni orizzontali, può essere visto come una trave
in semplice appoggio, ove gli appoggi rappresentano i setti. Quindi abbiamo uno schema
isostatico, se gli appoggi fossero di più, dovremmo procedere con
con gli opportuni metodi
dati dalla scienza delle costruzioni.
P a g . | 170

L’ipotesi che il centro di massa corrisponde con il baricentro, è certamente


un’ipotesi semplificativa. Infatti la posizione del centro di massa non dipende
solamente dalla regolarità strutturale,
strutturale, ma è influenzata dalla diversa disposizione
dei carichi accidentali. Per tenere conto di questo fattore si può utilizzare una
relazione fornita dal regolamento, che ci consente di determinare un coefficiente di

è + % " #++ , #+# #" ! *#% % #" # “#* & +# + / * &#" *!


; t
sicurezza amplificativo:

9$#! # * &! ” "!, % * ”#*”#" &!+ * #" # ++ *# !"#


¾t 1 0,6 →
t
¿ #++ ,
!"# % % & &!"% #* .
: ¿ è + % " * # #+# #" *#% % #" ” ù +!" " ,
9
8 % * ++ % #%%! ! !.

determinare tanti \ quanti sono i miei


Nell’analisi statica equivalente devo
determinare
elementi resistenti,
resistenti, nel nostro caso è
tutto più semplice dato che siamo in
condizioni di perfetta simmetria. Il
coefficiente di amplificazione è massimo
per elementi resistenti periferici,

i
i R, × = i, L → ZU[ g U U ^gU `U ^\[Ub\]V\.
rispetto al centro di massa:

éÓé
éé = i, L × = V. LVHÁt
Quindi il momento sollecitante che agisce sulle singole lamine sarà pari a:

d
Oltre al momento sollecitante dato dall’azione sismica, si deve stimare stimare anche lo
sforzo normale,
normale, che sarà quello presente al momento del sisma, e già valutato con la

d, K
V

tÓ^ ´d ¬ ýd\ n \ è Þ Õ\Vh id. R × = i. dRJÁt


precedente relazione.

æ´i
dK
\Oi
Questo sforzo normale deve essere modificato per
tenere in considerazione gli effetti portati
dall’apertura e dalla chiusura delle fessure nei
setti sottoposti a momento flettente. Se immaginiamo
il setto come se fosse una mensola incastrata alla
base, avremmo una sollecitazione alternata, che
provoca l’apertura
l’apertura e la chiusura delle fessure, prima
da una parte e poi dall’altra. Nel momento di massimo
sforzo di trazione, le barre d’acciaio saranno in
condizioni di snervamento, subito dopo al cambiamento
di direzione della sollecitazione, le medesime barre
giungono a compressione. Ma queste, hanno subito un
allungamento a tensione costante, per cui la fessura
non si richiude immediatamente, ma avremmo un momento
nel quale le barre d’acciaio risulteranno compresse,
mentre dall’altra parte avremmo trazione. Chiaramente
Chiaramente
in questo preciso momento la rigidezza del setto è molto bassa. Per tenere conto di

- Se il fattore di struttura è maggiore di due f – d si deve tenere conto della


questo la normativa fissa quanto segue:

forza assiale dinamica aggiuntiva che si genera


genera nelle
nelle pareti per effetto di
P a g . | 171

assenza di più accurate analisi essa può essere assunta pari al 3KR% della
apertura e chiusura di fessure orizzontali e del sollevamento del suolo. In

forza assiale dovute ai carichi verticali in condizioni sismiche.


È di tutta evidenza che questa quota si sforzo normale dovrà essere posta a favore di
sicurezza. Ma prima di ciò andiamo a vedere se lo sforzo normale adimensionalizzato

tÓ^ tÓ^ i. dRJ. RRR


= R, R L ’ R, LK
rispetta il limite imposto dal regolamento (35%): (35%):

•¶h_^ •¶ ŒR, IK R, ILm R, IL × Ld, K


_
• dKR × K. RRR × ŒR, IK × •
i, K i, K
Operando in condizioni ultime, la valutazione
dell’area di armatura longitudinale, viene effettuata
in termini di congruenza. Evidentemente si procederà
secondo
secondo le condizioni più gravose, gravose, quindi fatto salvo
il fatto che lo sforzo normale è comunque presente,
esso sarà diminuito per tenere in considerazione degli

éÓ^ tÓ^
Õ Ó` h Ä R, K
effetti dinamici, come già affermato:

R, I¶ d
éÓ^ tÓ^ i V. LVH × iR i. dRJ × iRL i, iK
Õ Ó` = Ÿ R, K Å R, K Æ = K. dLi d
→ ii ii∅iI
R, I¶ d hÄ R, I × K. RRR d HKR
La scelta del diametro dei ferri ha rispettato la seguenti seguenti condizioni
condizioni, imposte
imposte dal
regolamento.
- Il passo tra le barre deve deve essere non maggiore di 30 cm, il diametro delle barre

- Nell’altezza della zona inelastica pari a ¶_[ (per tenere conto della
deve essere non maggiore di un decimo dello spessore della parete. parete.

costituita dallo spessore della parete e da una lunghezza “confinata” â• pari


formazione della cerniera plastica), plastica), si definisce una zona “confinata”

al 20% della lunghezza in pianta â della parete stessa e comunque non inferiore
a 1,5 volte lo spessore della parete, in tale zona il rapporto rapporto geometrico o
dell’armatura totale verticale, riferito all’area confinata, deve essere

i% ’ o ’ H%
compreso tra i seguenti limiti:

Mentre ricordo che per il resto della lamina il rapporto geometrico


dell’armatura sia longitudinale che trasversale deve essere maggiore dello
0,2%.
Alla luce di quanto scritto possiamo valutare l’area massima di acciai acciaio inseribile

K. RRR
ÕÓ`f a R, RH × Õ• = R, RH × Ÿ × dKR iR. RRR d
< K. KII d E
ÁH
nella zona confinata:

K
La protezione della zona inelastica inelastica del
setto, alla base dello stesso, avviene
operando la traslazione del diagramma dei

per il tratto ¶_[ , altezza della zona


momenti, derivante dall’analisi, ver l’alto

inelastica o altezza critica, la cui


definizione avviene con le seguenti

` a` Ubba ^U``a TUb\]VU ^\ •aTU (K )


limitazioni:

¶_[ a Q¶ =K
^]|U ¶ U, `, a` Ubba ^U``a {a[U U (L, K
P a g . | 172

Ma per gli edifici fino a sei piani, tale valore non può
eccedere l’altezza di piano, quindi la nostra altezza
critica è pari a 3,5m.
Come si osserva nella zona confinata almeno una armatura
longitudinale sì ed una no, devono essere legate da
staffe e legature (Eurocodice 2). A seguito della
formazione della cerniera plastica, si deve tener conto
del possibile incremento delle forze di taglio agenti.

amplificazione ‹ per
Per le strutture in CD”A” questo requisito si ritiene
soddisfatto se il coefficiente di amplificazione
gli sforzi di taglio dati dall’analisi, rispetta le
seguenti limitazioni:

ém^ ¶
; ‹ µm^ ]f {U[ {a[U \ ]bbU ]d
9 éÓ^ `
‹→
: µm^ ém^ d ÓU c_ ¶
d

9 i, K ] ‹ f <Ÿ R, i Å Æ ] f {U[ {a[U \ TVU``U –d


8 f éÓ^ ÓU ci `

- ém^ il momento resistente della sezione di base della parete, calcolato


Indicando rispettivamente:

- éé^ è il momento flettente di calcolo.


considerando le armature effettivamente disposte.

- ÓU ci è l’ordinata dello spettro di risposta elastico in corrispondenza del


periodo di vibrazione fondamentale dell’edificio ci .
- f è il fattore di struttura.
- µm^ i, d è il coefficiente di sovraresistenza valutato per la classe di

Quindi ‹ dovrà essere determinato dalla seguente:


duttilità CD”A”.

µm^ ém^ ÓU c_ µm^ R, I¶ÕÓ hÄ ÓU c_


d d d d
‹ f<Ÿ R, i Å Æ f<Å Æ R, i Å Æ
f éÓ^ ÓU ci f éÓ^ ÓU ci

i, d R, I Þ K. RRR Þ K. KII Þ HKR d ]f


<
H, R Ÿ Þ R, i i d d, HJ N
H i, iK Þ V. LVH Þ iR < i, K

ÔÓé i. RLd
Ôé^ ‹ d, HJ Þ i. dJKÁt
Il taglio
taglio amplificato agente sulla singola lamina è:

d d
Mentre le verifiche a taglio sono le seguenti:
1) Verifica dell’anima a compressione.
2) Verifica del meccanismo resistente a trazione.
3) Verifica a scorrimento lungo piani orizzontali.

taglio-trazione va fatta tendo conto del rapporto di taglio ‹T , dove:


Per le strutture in CD”A” dovranno essere eseguite tutte quante. La verifica a

éÓ^ V. LVH Þ iR
‹T i, HI ’ d
taglio-

Ôé^ ` i. dJK Þ K. RRR Þ iRL


P a g . | 173

Dato che ‹T è minore di 2 la verifica a taglio trazione dell’armatura dell’anima,

ÔmT^ Ôt].Õ[ .
R, JKo¶ hÄ^ • ‹T `
deve essere eseguita usando le seguenti due espressioni:
espressioni:
m_^
•]V \` |\V_]`] _¶U o¶ hÄ^ • R, I` ] o| hÄ^ • R, I` \V(té^ )


;o| [a{{][ \ ´U] U [\_\ ^U`` a[ a g[a ][\bb]V a`U U |U[ \_a`U.
,

9 hÄ^ [UT\T UVba ^\ _a`_]`] ^U``, a[ a g[a.


9
µ]|U • T{UTT][U ^U` TU ].
: ` `gV´¶Ubba ^U` TU ].
9 té^ è `a h][ba aTT\a`U ^\ {[]´U ], {]T\ \|a TU ^\ _] {[UTT\]VU.
9
8 Ôt].Õ[
m_^
.
è `a [UT\T UVba a a´`\] ^U´`\ U`U UV \ V]V a[ a \.
Dato che si deve valutare il rapporto geometrico dell’armatura trasversale, essa deve

∅T < I
I∅
essere in qualche misura predimensionata, fatte salve le seguenti limitazioni:

iHH
T ] \V È `]V´
dKR

ÕÓ Ôé^ i. dJK Þ iRL Þ i, iK d


IiK → i∅iR/iHR
Possiamo usare la nota relazione data dalle T.A.:

T R, I¶hÄ R, I Þ K Þ HKR
Ora possiamo procedere alla verifica del meccanismo resistente a trazione,
trazione, ma prima di
questo ci dobbiamo determinare la resistenza a taglio in assenza di armatura

; R, iI dRR
specifica:
i
9ú µ_ >i ? iRRo` h_ _{ û •
< L R, iK ^
9 ^
Ôt].Õ[
m_^
.
a L
: d
9 dRR
9 R, RLK >i < ? …h_ • ^
^
8

; R, iI dRR L iRRÕÓ` R, KtÓ^


9ú µ_ >i <
R, V¶
?<
R, V•¶
R, ILm_ R, iK
Õ•
û• R, V¶
9
Ôt].Õ[
m_^
.
a L
: d
9 dRR
9 R, RLiK >i < ? …R, ILm_ • ¶
^
8
Come si nota _{ è la tensione media di compressione nella sezione, data dallo sforzo
normale agente ridotto della metà perper tenere conto delle condizioni dinamiche;
dinamiche; esso

0,5å v 0,5 Þ 1.207 Þ 10ô 0,83 Þ 32,5


æ¥s 0,49ÚÛ ] 0,2 Þ 0,85 3,05ÚÛ E H
deve rispettare il seguente limite:

Fù 5.000 Þ 250 1,5


Si tenga conto che l’armatura longitudinale per le zone confinate è quella fissata
dal calcolo precedente, mentre nella zona non confinata
confinata devo comunque garantire una
inter-
inter-maglia inferiore a 30cm, ed una percentuale geometrica (sia longitudinale che

T ] LRR
Õ[ a g[a VU``a b]Va V]V _]Vh\Va a → È
o < R, RRd
trasversale) pari ad almeno il 0,2%:
P a g . | 174

In accordo con quanto già disposto per le zone confinate, nella parte centrale di 3

a[[U `]V´\ g^\Va`\ → I I∅iI o R, RR I


Õ[ a g[a {a[ U V]V _]Vh\Va a → È
metri, si dispone quanto segue:

Ó ahhU → i∅iR/iHR o R, RRH

; 0,18 200 g 100 Þ 254 Þ 38


Conti…

9ú 1,5 >1 < ?< 0,83 Þ 32,5 0,15 Þ 0,49û 250 Þ 5.000 Þ 0,9 547 å
9 0,9 Þ 5.000 0,9 Þ 250 Þ 5.000
är¥v
w.Ò¦L.
ô
:
9 200
9 0,0315 >1 < ? …0,83 Þ 32,5 Þ 250 Þ 5.000 272 å
0,9 Þ 5.000
8

A questo punto possiamo eseguire la verifica a taglio- taglio-trazione (a favore di sicurezza

ÔmT^ Ôm_^
t].Õ[ .
R, JKo¶ hÄ^ • ‹T `
si trascura la parte non confinata
confinata) ):

HKR
KHJ. RRR R, JK Þ H, Kd Þ iR‰L Þ Þ K. RRR Þ dKR Þ i, HI L. IiIÁt Á
i, iK

calcestruzzo, ove ‹ VR° e ë HK°)


Ora affrontiamo la verifica a compressione dell’anima (verifica del puntone puntone compresso

_] ‹ _] ë
Ôm_^ R, I Þ ` Þ • Þ ‹_ Þ h,_^ Þ
di calcestruzzo, )

i _] d ë
h,_^ R, Kh_^
i → `UTT\]VU {g[a
;
9 i → {U[ R ] _{ ] R, dKh_^
_{
9 h_^
‹_
: i, dK → {U[ R, dK ’ _{ ] R, Kh_^
9
9d, K Ÿi → {U[ R, K ’ _{ ] h_^
_{
8 h_^

calcestruzzo minore a R, dKh_^ :


Certamente la nostra lamina è caratterizzata da una compressione media del

i. dRJ Þ iRL Þ R, K i, K
Ôm_^ R, I Þ K. RRR Þ dKR Þ Åi Þ Æ
K. RRR Þ dKR R, IK Þ R, IL Þ Ld, K
R, K Þ R, IK Þ R, IL Þ Ld, K i
Þ Þ L. HHdÁt Á
i, K d
Dopo aver affrontato la verifica dell'anima a compressione, e la verifica del
meccanismo resistente a trazione, ci rimane la verifica a scorrimento nelle zone
critiche. Per possibili piani di scorrimento, si intendono le riprese del getto, o i
giunti costruttivi, che si trovano all'interno delle zone critiche critiche. . Il valore di
progetto della resistenza a taglio nei confronti dello scorrimento, e questa è data

Ô^^ → •]V [\•g ] ^U``, UhhU ] T{\V] ]


dalle seguenti componenti:

Ôm^,T Ô^^ Ô\^ Ôh^ ^]|U ‚ Ô\^ → •]V [\•g ] ^U``U a[ a g[U \V_`\Va U
Ôh^ → •]V [\•g ] ^U``a [UT\T UVba a``′a [\ ]

;i, L Ŭ Õ Æ Jh h
Andiamo ora a determinare le varie componenti, secondo normativa:

9
\V êi, L Þ iK. dHR Þ …iK, dL Þ LVi, L i. KdVÁt
Tþ _^ Ä^
Ô^^ \V þ
: R, dKhÄ^ ¬ ÕTþ R, dK Þ LVi, L Þ iK. dHR i. HVRÁt
9
8 þ
Ô^^ i. HVRÁt
P a g . | 175

éé^
qh »ÅhÄ^ ¬ ÕTþ té^ Æ ƒ ¼
Ôh^ \V ‚ þ b
R, K^h_^ ƒ` •
;R, R Þ »ËLVi, L Þ iK. dHR V. LVH Þ iR
9 RL, K Þ iRL Ì Þ R, K ¼ LLJVÁt
R, I Þ K. RRR
\V
: d , VJ
9 R, K Þ R, R Þ Ÿi Þ iK, dL Þ R, K Þ K. RRR Þ dKR d. KHJÁt
8 dKR

Ôh^ d. KHJÁt

h_ ‹þ R, R
^ = ‹þ Ÿi _]V È ( ][ g`a J. H. V ^U``, tc•
Solo per chiarezza:

dKR h_ UT{[UTT] \V éZa

qh R, R è \` _]Uhh\_\UV U ^, a [\ ] _`a_UT [gbb] _`a_UT [gbb] T] ] ab\]V\ _\_`\_¶U


;
9
9¬ ÕTþ è `a T] a ^U``U a[UU ^U``U •a[[U |U[ \_a`\ \V U[TU_aV \ \` {\aV] ^\ T_][[\ UV ]
þ
: ƒ è `, a` Ubba ^U``a {a[ U _] {[UTTa a^\ UVT\]Va`\bba a _]V `, a` Ubba ^U``a TUb\]VU
9
9¬ Õ è `a T] a ^U``U a[UU ^U``U •a[[U \V_`\Va U \V U[TU_aV \ \` {\aV] ^\ T_][[\ UV ]
8 \ T\

Ôm^,T Ô^^ Ô\^ Ôh^ i. HVR d. KHJ H. RLJÁt ( Á


Quindi in totale abbiamo che:
P a g . | 176

APPLICAZIONE PROGETTUALE II
I I.

Il seguente esempio seguirà la circolare ministeriale


OPCM3274 del 2.003. In realtà questo comporterà un
diverso approccio nella definizione dell’azione
sismica, mentre le altre metodologie non
presenteranno sostanziali differenze. L’edificio
L’edificio sisi
compone di quattro piani fuori terra, più un piano
interr
interrato, e sarà interessante osservare la sua
interazione in presenza di azione sismica agente.
I setti adibiti al contrasto delle sollecitazioni
sismiche sono quelli previsti per il vano ascensore e
per il vano scala. Come abbiamo già visto per
per vedere
se questi setti sono sufficienti, si deve determinare
la massa sismica, che è proporzionale ai carichi
permanenti e ad una piccola aliquota di quelli
accidentali. Certamente in prima analisi posso
supporre che le forze sismiche vengano completamente
completamente
assorbite dei soli setti.

un peso specifico pari a circa I d , ora per tenere


Át
Solitamente un solaio tipo in laterocemento presenta

in considerazione il peso dei tamponamenti

ulteriore carico distribuito pari a d d , per un


Át
perimetrali e dei divisori, si può considerare un

totale di ´i iR d . Quindi il peso sismico è pari


Át

¹Ó\T \_] dd Þ id Þ iR Þ H iR. K RÁt


a:

Una volta trovato questo, si deve determinare il


periodo principale della struttura, che per un
edificio a setti può essere valutato con la seguente

L L
ci •i ·H R, RK Þ L, d Þ H H R, LHT
relazione approssimata:

Con le indicazioni
indicazioni contenute nella facciata seguente
possiamo ottenere facilmente lo spettro di risposta
elastico. Dato che il sisma chiama la struttura ad
operare in campo non lineare, dobbiamo definire
quello che il fattore di struttura q, legato alla
tipologia strutturale, alla classe di duttilità e

f fR Áµ Ám
alla regolarità dell’edificio.

Ove fR è legato alla tipologia strutturale, Áµ è un


fattore che dipende dalla classe di duttilità, Ám è un fattore che dipende dalle

i, R → •µ"Õ" i, R → é^\h\_\ [U´]`a[\


Áµ È ; Ám È
caratteristiche
caratteristiche di regolarità dell’edificio:

R, J → •µ" " R, I → é^\h\_\ V]V [U´]`a[\


Per motivi legati alla semplificazione del calcolo, si impone Áµ e Ám pari

f fR Áµ Ám L, R Þ i, R Þ i, R L, R
all’unità:
all’unità:
P a g . | 177

- Valori di fR .

- Classificazione sismica secondo OPCM3274.

- Valori dei parametri nelle espressioni per il calcolo dello spettro di risposta
elastico delle componenti orizzontali,
orizzontali, ricordo che S è il fattore di suolo.
suolo.

c
;ZU[ R ] c ’ c d, K^ i œ
¶] _¶U
Ó ÕU c a´ Ó ›i
9 c
9 ZU[ c ] c ’ c•
¶] _¶U
Ó ÕU c d, Ka´ Ó^
Z•éLdJH → c•
: ZU[ c• ] c ’ cµ
¶] _¶U
Ó ÕU c a´ Ó^ d, K Ÿ
9 c
9 c• cµ
ZU[ cµ ] c a´ Ó^ d, K Ÿ d
¶] _¶U
8 Ó ÕU c
c

amplificazione dello spettro R che viene assunto pari a 2,5.


Rispetto alle relazioni del Testo Unico cambia la prima espressione, ed il fattore di

Riportiamo qui di seguito lo screen del programma del Prof.Gelfi ove vengono ad essere
fissate le grandezze fondanti dell’andamento dello spettro elastico, secondo
OPCM3274. Si osservi che il periodo principale della nostra struttura ricade nel
tratto ad accelerazione costante. Quindi l’accelerazione massima che subisce subisce la

d, K ^Oi ;ÓOi,dK d, K
ÓÓâu
Õ^ ci a´ Ó^ Þ R, iK´ Þ i, dK Þ i, R R, iK ´
struttura in campo plastico è pari a:

f L
P a g . | 178

Certamente la forza sismica a cui è sottoposto l’edificio è data da massa per


accelerazione, ma se abbiamo un edificio
edificio con più di tre orizzontamenti, c’è la
possibilità di definire un coefficiente riduttivo che ci consente di diminuire la
forza sismica agente. Dato che per gli edifici alti è poco probabile che il moto sia

vibrare superiori, non più trascurabili, si definisce un coefficiente riduttivo º pari


totalmente afferibile al primo modo di vibrare, quindi
quindi per tenere conto dei modi di

¹T\T \_] iR. K R


ÓÓâu
Õ^ Þ Þ º R, iK ´ Þ Þ R, IK = i. HRRÁt
a 0,85.


´ ´
Il momento ribaltante éÓé , sempre nell’ipotesi di distribuzione lineare delle forze

d d
éÓé ¶Ÿ · i. HRR × Ÿ Þ L, d × H ii. VHJÁt
per piano, è pari a:

L L
predimensionamento,
Che cosa devo vedere per valutare, in sede di predimensionamento , se la configurazione
scelta dei setti è sufficiente ad assorbire le sollecitazioni sismiche previste. In

sola armatura, ma è legato alla resistenza massima del puntone compresso Ôm_^ . Quindi
questo caso si deve guardare al taglio, infatti questo non può essere assorbito dalla

il primo controllo che devo fare è comprendere se il taglio agente sui miei setti è

_] ‹ _] ë
Ôm_^ R, V × ^ × • × ‹_ Þ h,_^ Þ
compatibile:

i _] d ë
- ‹ → Angolo delle staffe rispetto all’asse della trave (90°);
- ë → Inclinazione del puntone compresso (45°);
(90°);

- ‹_ i → Flessione pura, a favore di sicurezza;


- R, V^ ≅ R, I` , ove ` è la lunghezza del setto.
P a g . | 179

h_^ i ÓU´gU Ôm_^ i h_^ ÓU´gU


Ôm_^ R, I × ` × • × Þ R, I × × ²m_^ R, dh_^
Considerando quanto fissato, l’espressione è in definitiva la seguente:

d d ` Þ• d d
Quindi devo controllare che il mio puntone compresso non presenti delle ² superiori al
20% della resistenza a compressione del calcestruzzo h_^ .
m•Á Þ R, IL
;m•Á LRéZa → h_^ R, IK = iH, iéZa → ²m_^ d, IdéZa8
i, K
m•Á Þ R, IL
:m LKéZa → h_^ R, IK = i , HéZa → ²m_^ L, dVéZa7
8 •Á
i, K 6
In direzione y si supponga che a resistere siano solo le due lamine del vano scala (a

i. HRR × iRL
µ\[Ub\]VU Ä → ²Ó^ = R, JIéZa

favore di sicurezza), quindi le tensioni tangenziali sollecitanti sono pari a:

ÕméÓÄ d × dRR × H. KRR


Sia per le strutture in CD”A” che CD”B”si deve considerare il possibile incremento
delle forze
forze di taglio a seguito della formazione delle cerniere plastiche alla base

il coefficiente di amplificazione ‹ per lo sforzo (tensioni) di taglio, dati


delle pareti. Per le strutture in CD”B”questi requisiti si ritengono soddisfatti se

1,5
dall’analisi, rispettano
rispettano i seguenti limiti:

Û *# " ~®"G" → Ôé^ ‹ÔÓ^ !“# = Q 1


”#* ” *# #% #%# #/!+ #" # * #
2

µ\[Ub\]VU Ä → ²é^ i, K²Ó^ i, K × R, JI = i, iJéZa


Allora…

i. HRR × iRL
²Ó^ = i, IJéZa

µ\[Ub\]VU → ‚ ÕméÓ dKR × L. RRR
²é^ i, K²Ó^ i, IJ × i, K = d, IRéZa
Solo al limite, e quindi devo porre attenzione, dato che questo è l’unico setto
resistente in direzione x- x-x. Ma devo fare
fare attenzione anche ad un altro fattore, un
questione che potrei definire sfuggente. Infatti il mio edificio è dotato di un piano
interrato, quindi il mio setto presenta il seguente schema di vincolo:

Certamente avendo la presenza dell’interrato mi permette di incastrare i setti


facilmente alla base, altrimenti dovrei curare in modo particolare l’aspetto della
loro fondamenta. A fronte di questo ho dei valori di taglio molto elevati,
elevati, infatti mi
trovo ad avere tre volte il taglio sismico, e questa condizione peggiora con
l’aumentare del numero di piani fuori terra. Si può evitare questo problema facendo
in modo che i setti perimetrali siano al di sopra dei murazzi del piano interrato,
P a g . | 180

quindi alla base la sezione


resistente al taglio aumenta
enormemente, coincidendo con la
sezione trasversale del murazzo
medesimo. Certamente tutto questo
trova applicazione per i setti
perimetrali, mentre per quelli
interni dovranno essere posti in
essere degli allargamenti alla base,
base,
anche pensando di aumentarne lo
spessore. Ad ogni modo alla luce di
quanto visto, questi setti non sono
più sufficienti.
Quindi da che parte aggiungo altri setti? Se moltiplico 1,16MPa per un fattore tre,
posso dire che in direzione y-
y-y sono apposto, mentre
mentre lo stesso non lo posso affermare
in direzione x-
x-x.
P a g . | 181

Per vedere se questa soluzione mi è sufficiente, sufficiente, devo dapprima valutarne la


configurazione spaziale. Infatti mentre in y- y-y nulla cambia, in x- x-x le cose sono
diverse; intanto non ho più una configurazione simmetrica, quindi dato che gli
spostamenti sono i medesimi, ogni una delle lamine si prende una aliquota dello sforzo

d, JKL Þ R, dK d, JK d H8
Ãi Þ d d, K
in ragione alla propria rigidezza.

d, dK Þ R, dK Þ Ÿ 9 JR% i
id d L, JR H È
L, IR Þ R, dK
L
7 LR% d
Ãd i, iH H 9
id 6
Come possiamo osservare il nucleo resistente (1) si prende circa il 70% degli sforzi,
mentre il restante rimane a capo della lamina (2). A questo punto la forza che va

R, JR ng] a {a[ U_\{aV U


¶ i i. HRR Þ R, JR Þ L, RK d. VIVÁt → È
L, RK éhhU ] `U|a
sull’elemento (1) sarà pari a:

Facciamo l’ipotesi di ingrossare la parte del setto compresa al piano interrato,

d. VIV Þ iRL
µ\[Ub\] VU → ²Ó^ L, LdéZa ≅ ²é^ L, dVéZa
i ¶
quindi considero un suo ispessimento pari a 30cm, ed ottengo quanto segue:
i
ÕméÓ LRR Þ L. RRR
In questo caso non si usa il fattore amplificativo pari a 1,5, dato che il taglio
agente nella parte interrata della lamina è dovuto al momento e non al taglio. Si deve
tenere in considerazione che questo coefficiente di amplificazione si applica il
taglio e non al momento. Ma forse più di questo si dovrebbe considerare il significato
fisico
fisico del coefficiente di amplificazione, posto per tenere conto del possibile
incremento della forza di taglio a seguito della formazione della cerniera plastica
alla base della parete. Ora date le particolari condizioni di vincolo, certamente
questa cerniera
cerniera plastica si formerà alla base della lamina libera, e non lungo il

Altro controllo che si deve operare se il fattore di struttura f L assunto sia


tratto compreso nel piano interrato.

ancora accettabile (edifici a setti distribuiti), dato che se ho un edificio che


lavora nucleo (comportamento torsionale preponderante), il nostro fattore di struttura
diviene pari a 2.

Le strutture torsionalmente deformabili sono tali se per ogni piano della struttura e

[ ZU[ ]´V\ {\aV]


] R, I È
per ogni direzione si verifica la seguente condizione:

âÓ ZU[ ]´V\ ^\[Ub\]VU


- [d è il rapporto tra la rigidezza torsionale e laterale di piano.
- âÓ è il raggio giratore del piano in pianta (è un indice di dispersione
geometrica del nostro fabbricato), dato come radice quadrata del rapporto tra il
momento polare d’inerzia del piano, calcolato rispetto al centro di massa, e
l’area del piano stesso.
Partendo dal presupposto (principio del minimo energetico), che lo spostamento si
svolge nella direzione della minima rigidezza, è del tutto evidente che il precedente
rapporto descrive proprio questo principio. È del tutto evidente che si richiede una
P a g . | 182

elevata rigidezza torsionale, oppure una bassa rigidezza di piano, perché [d ne


rappresenta il rapporto, questo al di la di âÓ che non è altro che una caratteristica
elevata

geometrica. Ma âÓ ci aiuta se l’edificio è compatto, quindi posso avere una rigidezza


torsionale più limitata (sempre in rapporto a quella laterale), mentre se ho un
fabbricato molto esteso in pianta, devo prestare attenzione, infatti ci dobbiamo
ricordare che la rotazione provoca dei gradi spostamenti per gli elementi periferici.

Il raggio
raggio giratore può essere ottenuto con l’uso di una espressione semplificata,
ricavata per un piano di sezione rettangolare, con il centro di massa coincidente con

Ã{]`a[U,{\aV] Õd ddd idd


il baricentro geometrico.
d
âÓ < < < J, dLH
Õ{\aV] id id
Ora si deve valutare il rapporto [d , dato dal rapporto tra la rigidezza torsionale e

m ][T\]Va`U ZU[ ]´V\ {\aV]


[d = È
laterale del piano:

m{\aV] ZU[ ]´V\ ^\[Ub\]VU

del calcestruzzo é_ sia lo stesso, quindi posso affermare che la rigidezza è


Dato che i setti si deformano flessionalmente tutti nel medesimo modo, che il modulo

proporzionale al momento d’inerzia della sezione resistente. A questo punto devo


determinare il baricentro della sezione resistente:
resistente: in direzione y-y-y ho le due lamine
del vano scala come lamine resistenti, mentre in direzione x- x-x ho il sistema
resistente costituito dall’insieme (1) e (2). In direzione y- y-y non ho nessun
contributo torsionale, dato che sistema resistente costituito
costituito dalle due lamine è
perfettamente simmetrico, e il suo baricentro e allineato al baricentro del piano, per
cui l’azione sismica agente non genera fenomeni torsionale in questa direzione.
Mentre in direzione x-
x-x il sistema resistente presenta un baricentro
baricentro proprio e non

valore di Ãi e Ãd , posso affermare che la posizione del baricentro è legata


coincidente, in direzione, al baricentro geometrico di piano. Avendo determinato il

univocamente questi valori:

d, JK d
m ¬ EÃ\,h`UT, ∙ Äd\ Ã\,h`UT,Ä ∙ \H Ãd Þ L, L Ãi Þ i, HVdd Þ ÃL Þ Ÿ
La rigidezza torsionale dell’edificio è pari a:
d d
][T\]Va`U
\ d
R, dK × H, K L
d, JK d
i, iH × L, L d
d, K × i, HVd dÞÅ Æן dK, JL
id d
P a g . | 183

m`a U[a`U Ãi Ãd
d, K i, iH = L, JR H
Banalmente…

R, dK × H, KL
m`a U[a`UÄ dÃL d Þ = L, IR H
id

; m ][T\]Va`U dK, JL
A questo punto possiamo fare rapporto tra la rigidezza torsionale e laterale di piano:

9 [ < < = d, LJ
9 m`a U[a`U L, JR

: m ][T\]Va`U dK, JL
9
9[Ä = < m < = d, Rd
L, IR
8 `a U[a`UÄ

[ d, LJ
= R, L H8
Il rapporto funzionale al comportamento normale, o meno, è pari a:

âÓ J, dLH
[Ä d, Rd → é^\h\_\] ][T\]Va` UV U ^Uh][ a•\`U
= = R, L R 7
âÓ J, dLH 6
come area di resistenza al taglio ci siamo, anche tenendo conto dell’effetto leva, ma
questa disposizione dei setti, ci restituisce un edificio torsionalmente flessibile,
quindi il nostro fattore di struttura è pari a 2. A questo punto dovrei rifare tutti
i conti, ma ad ogni modo conviene sempre togliersi dalle condizioni di comportamento
torsionale prevalente. Ad esempio, potrei pensare di aggiungere due setti
setti in direzione
y-y, sfruttando le ampie dimensioni dell’edificio in quella direzione.

I setti inseriti per rispondere alla torsione devono essere posti alla maggiore
distanza possibile dal baricentro di piano, o meglio dal centro di massa. Vediamo ora

R, dK × KL
ÃH = d, R H
quale sia il loro contributo:

id

dd d
m ][T\]Va`U dK, JL d, R × Ÿ Þd KH, VL
La nuova rigidezza torsionale è pari a:

d
P a g . | 184

m`a U[a`U L, JR H [\ aVU \V|a[\a a


ê
Le rigidezze laterali di piano…

m`a U[a`UÄ L, IR d, R × d = V, RR H

m 8
Quindi il rapporto di confidenza al mancato comportamento torsionale è pari a:

< m ][T\]Va`U
[ J KH, VL›L, JR 9
9
`a U[a`U
= i, ILV < R, I9
âÓ âÓ J, dLH
→ é^\h\_\] ][T\]Va` UV U [\´\^]
m ][T\]Va`U 7
<m KH, VL 9
[Ä J ›V, RR 9
= i, iJV < R, I9
`a U[a`UÄ
=
âÓ âÓ J, dLH 6
P a g . | 185

7 – APPENDICE – L’EQUAZIONE DIFFERENZIALE DELLA LINEA ELASTICA.


7.1 – Brevi richiami sulla teoria delle travi inflesse.
Osservando il concio di trave qui riportato (tratto da
una mia vecchia dispensa), si operi un primo equilibrio

^c
alla traslazione verticale:
Ä Ä Ä 0 f
^b
Si ottiene una delle equazioni fondamentali della
statica. Il concio di trave qui a fianco riprodotto non
sarebbe adeguato alla nostra finalità, dato che viene
presentato in rotazione per una successiva analisi;
dato che in quel dato frangente (pag. 74 della
Dispensa Tecnica delle Costruzioni, vecchia versione) si
procedeva a ricavare la funzione della linea elastica per l’analisi dell’instabilità dell’equilibrio. Mentre
ora immaginiamo che il nostro concio di trave infinitesimo sia orizzontale, e quindi lo sforzo normale
sia complanare, questo ci consente di definire l’equilibrio alla rotazione, nell’ipotesi di semplice


flessione:
¦on¥ ¦w qr tx±txtA ntLw vt w¦vtx n s ¦tw¦
Ú Ú Ú Ä 0 c
2 ^b
^d é
à " f
^bd
- La derivata dello sforzo di taglio cambiata di segno è uguale al carico agente.
- La derivata del momento flettente è uguale allo sforzo di taglio.
- La derivata seconda del momento flettente cambiata di segno è uguale al carico agente.

0 – lo sforzo di taglio è costante Ä &!% . ed il


Dalle relazioni precedenti derivano le seguenti considerazioni.
1) Nei tratti di trave scarichi – cioè per

2) Nei tratti di trave caricati con carico ripartito – cioè per ≠ 0 – lo sforzo di taglio Ä ed il
momento flettente è variabile con legge lineare.

momento flettente Ú sono variabili con continuità. In particolare, se il carico è ripartito


con legge uniforme, lo sforzo di taglio è variabile con legge lineare ed il momento flettente è
variabile con legge parabolica del 2° grado; se il carico è linearmente variabile (carichi
triangolari o trapezoidali), lo sforzo di taglio è variabile con legge parabolica del 2° grado ed

Dalla relazione c ^b si deduce che:


il momento flettente è variabile con legge parabolica del 3° grado.

nei tratti di trave dove Ä 0, il momento flettente è costante;


3)

nei tratti di trave dove Ú &!% , lo sforzo di taglio è nullo;


-

nei tratti di trave dove Ä ≠ 0, il momento flettente è variabile. Ciò significa che la
-
-
sollecitazione tagliante è sempre compresente con la sollecitazione flettente e che la
sollecitazione di solo taglio si verifica solo in alcune sezioni isolate (ad esempio in
corrispondenza degli appoggi nelle travi appoggiate-appoggiate);

che l’estremo relativo della funzione Ú


- nelle sezioni in cui si annulla lo sforzo di taglio, il momento flettente è massimo. Si evidenzia
è massimo e non minimo in quanto la derivata

4) Nei tratti di trave compresi tra due carichi concentrati, lo sforzo di taglio Ä ed il momento
seconda del momento flettente è negativa.

flettente Ú si determinano con le relazioni:


Ä ° ~1 ; Ú °Ä ~
P a g . | 186

7.2 – La deformazione delle travi soggette a flessione.


Si consideri una trave ad asse rettilineo ed a sezione

contrarie di intensità Ú agenti lungo il piano di sollecitazione


costante soggetta alle estremità a due coppie uguali e

contenente l’asse geometrico della trave.


Si supponga che la sezione trasversale della trave sia
simmetrica rispetto all’asse di sollecitazione s-s (si ricorda
che l’asse di sollecitazione è dato dall’intersezione del piano di
sollecitazione con il piano della sezione trasversale).
Considerato lo schema di carico, ogni sezione della trave è
sollecitata soltanto da momento flettente di valore costante
M. In queste condizioni posso affermare quanto segue.

costante Ú.
1) La trave si inflette e la deformazione di ciascun tratto di trave è costante essendo

2) L’asse geometrico della trave si trasforma in arco circolare di centro O contenuto in un


piano detto piano di flessione coincidente con il piano di sollecitazione.
3) Le fibre che stanno nella parte superiore si accorciano (fibre compresse), mentre quelle che
stanno nella parte inferiore si allungano (fibre tese).
4) Altre fibre conservano la lunghezza originaria. Esse giacciono su un piano, detto piano
neutro. Esso si definisce come il luogo delle fibre che non sono né tese né compresse e sono
caratterizzate da una stato tensionale nullo. L’intersezione del piano neutro con il piano

Consideriamo una generica sezione trasversale retta, ed Indichiamo con æy la tensione relativa
della sezione trasversale determina l’asse neutro.

all’elemento di area F distante  dall’asse neutro.

° ^Õ R ; ° Ä^Õ é
Come è noto, la teoria della flessione si regge su un insieme di ipotesi, fra cui:

- validità della legge di Hooke Eæy çy H.


- la legge di conservazione delle sezioni piane di Bernoulli-Navier;

Si nota che le tensioni æy seguono una legge lineare in Â, quindi le possiamo esprimere in questo
modo:
; æy ÀO1 °Â F 0 & ° Â F 0
æy æy Â
wnAtA xvw
ÀO1 Ú

y ÀO1 ° Â F Ú & æy ÀO1
8 Ü
La quantità ¸ Â F rappresenta il memento statico dell’area rispetto all’asse neutro: Pertanto
resta dimostrato che l’asse neutro è asse baricentrico. Mentre ¸ Â F è il momento d’inerzia
P a g . | 187

rispetto all’asse neutro. Operando le opportune sostituzioni si ottiene la legge di Navier che regge il

æy æy ÀO1 Â
problema della flessione retta:
é
Ú 7 Ä
ùtwè

æy ÀO1 Ã
Ü
Vediamo ora il concetto di curvatura, quindi partiamo dalla figura precedente, per la quale possiamo

1 çy * Â Lsqt±t¥oxvw Â
dire che:
çy
1 * *

æy çy ùtwè Ä
Sostituendo il tutto nella legge di Hooke:

 • é
çy [
*

che rappresenta la rotazione U di due sezioni consecutive poste a distanza unitaria.


Usando la relazione di Navier, e quella appena ottenuta, possiamo definire il concetto di curvatura,

Ú
æy Â
Ü œ ùtwè i é W
 [ éÃ
æy
*
La quantità Ü che figura al denominatore della frazione si chiama modulo di rigidezza a flessione.
Moltiplicando la rotazione U per la luce della trave si ottiene la rotazione totale della sezione
0) della trave rispetto alla sezione finale ( = +):
Ú+
iniziale
Φ = U+ =
Ü
Se il memento Ú( ) è variabile lungo la lunghezza della trave, l’angolo U di rotazione di un tratto di

Ú
lunghezza della trave sarà:
U=
Ü

M x
Quindi la rotazione totale sarò data dalla seguente relazione:
(
Φ=° dx
P EJ

7.3 – L’equazione differenziale della linea elastica.

elastica posti a distanza %. Indicando con U l’angolo


Consideriamo due punti A e B situati sulla linea

; U l’angolo al centro dell’arco AB.


formato dalla tangente in A alla curva con l’asse delle

m txvt 1 U
Si ha quanto segue:
% * U =
* %
Il secondo membro è riportato in valore assoluto
perché il segno dipende dal sistema di riferimento
assunto.
Nel caso in cui il sistema di riferimento viene assunto
facendo coincidere l’origine con l’inizio della trave,
l’asse delle ascisse coincidente con l’asse geometrico
nella configurazione indeformata e l’asse delle
ordinate positivo verso il basso, l’equazione che
esprime la
P a g . | 188

1 U ÐoA q vtL xntwxt tx±txtA ntL è q q ¥tAw ¥wx±wxv ¦ vn ¥wx vy i ^W


curvatura della trave si scriverà:

* % [ ^

 m txvt i ^d Ä
Sempre per la stessa motivazione posso confondere l’angolo con la sua tangente:

U≅ $ U = =− d=ê
[ ^

1 Ú
Confrontando le due seguenti relazioni ottengo l’equazione differenziale della linea elastica:
= = U8 ùtwè
* Ü ^d Ä
é = −éà d
1 Â7 ^
=− 6
*
Nel caso di travi molto snelle l’inflessione può essere molto grande e le semplificazioni precedenti

 Â
non sono ammissibili. In tal caso è necessario ricorrere all’espressione esatta:

 1 U › *& $ Ÿ œ 1
U = *& $ Ÿ " − %“ + ”” " ! −
* % % * ô
Â
»1 Ÿ ¼

Derivando la relazione Ú Ü vy ˆ , una prima volta, ed una seconda volta, possiamo definire
vˆ À

Ú ^L Ä
quanto segue:

Ä ;éà c
® # +# *#+ !" c œ ^ L
Ä : ^H Ä

8 éà ^ H f

7.4 – Trave appoggiata con carico uniformemente ripartito.

+ +
Il momento flettente e il taglio nella generica sezione sono:

Ú ; Ä =
2 2 2
A questo punto si procede all’integrazione, partendo
dall’equazione differenziale Ú Ü vy ˆ .
vˆ À

 +
Ü
2 2

Ü Â +
Procediamo alle integrazioni…
ô
1° ¯" #$* !"# → ~1
6 4
+ ô à
2° ¯" #$* !"# → ÜÂ + ~1 + ~
24 12
Per determinar le costanti di integrazione, vediamo di porre

rotazione U è nulla per simmetria.


due condizioni al contorno, la prima nel punto di inizio trave, mentre la seconda in mezzeria, ove la

q
 ! ¦ yO + ô + + +ô +ô +ô
U= = 0 Ÿ Ÿ ~1 0 → ~1 = =
6 2 4 2 8 12 24

^Ä f ` d `L
Quindi l’equazione che governa la rotazione è la seguente:
L
W( ) = = Å Æ
^ déà L d id
P a g . | 189

Mentre la seconda condizione al contorno viene fornita dall’appoggio della trave, ove

! ¦ yOP
 0
l’abbassamento è nullo:
~ 0

f H
`L
Quindi l’equazione che governa l’abbassamento della trave è la seguente:

Ä( ) = Å ` L Æ
idéà d d

+ +à +à +à 5+ à 5 +à
Calcolo dei valori di spostamento e rotazione nei punti notevoli:

‘”!% #" ! " # #* !“# Â = Å Æ= =


2 12 Ü 32 8 4 12 Ü 32 384 Ü
+ ô

•! !"# $+ ””!$$ 0 !“# U =
2 Ü 12 24 Ü

7.5 – Trave a sbalzo con carico ripartito.


Il momento flettente nella generica sezione è:

Ú( ) =
2

dall’equazione differenziale Ú =
A questo punto si procede all’integrazione, partendo
Ü vy ˆ :
vˆ À

Â
Ü
2

Ü Â
Procediamo alle integrazioni…
ô
1° ¯" #$* !"# → ~1
6
à
2° ¯" #$* !"# → ÜÂ ~1 ~
24

+ devono essere nulli tanto l’abbassamento quanto la


Per determinare le costanti di integrazione imponiamo le condizioni al contorno. Osserviamo che in
corrispondenza dell’incastro B

 ! ¦ yOq + ô +ô
rotazione.

U 0 ~1 0 → ~1 =
6 6

^Ä f
Quindi l’equazione che governa la rotazione è la seguente:
W L
`L
^ éÃ

! ¦ yOq + à +à +à
Mentre per la seconda condizione al contorno abbiamo che:

 0 ~ 0 → ~ =
24 6 8

f `L `H
Quindi l’equazione che governa l’abbassamento della trave è la seguente:
H
Ä Å Æ
déà id L H

+à +à
Calcolo dei valori di spostamento e rotazione nei punti notevoli:

‘”!% #" ! ++ #% *#
,
à 0 !“# Â Å Æ=
2 Ü 4 8 Ü
+ ô
•! !"# ++ , #% #* ! + /#*! 0 !“# U
6 Ü
P a g . | 190

7.6 – Trave a sbalzo con carico concentrato all’estremità.

Ú Û
Il momento flettente nella generica sezione è:

A questo punto si procede all’integrazione, partendo


dall’equazione differenziale Ú Ü vy ˆ :
vˆ À

Â
Ü Û

Ü Â Û
Procediamo alle integrazioni…

1° ¯" #$* !"# → ~1


2
Û ô
2° ¯" #$* !"# → ÜÂ ~1 ~
6

+ devono essere nulli tanto l’abbassamento quanto la


Per determinare le costanti di integrazione imponiamo le condizioni al contorno. Osserviamo che in
corrispondenza dell’incastro B

 ! ¦ yOq Û+ Û+
rotazione.

U 0 ~1 0 → ~1
2 2

^Ä Z
Quindi l’equazione che governa la rotazione è la seguente:
W d
`d
^ déÃ

! ¦ yOq Û+ ô Û+ ô Û+ ô
Mentre per la seconda condizione al contorno abbiamo che:

 0 ~ 0 → ~
6 2 3

Z L
`d `L
Quindi l’equazione che governa l’abbassamento della trave è la seguente:

Ä Å Æ
éà d L

Û+ ô
Calcolo dei valori di spostamento e rotazione nei punti notevoli:

‘”!% #" ! ++ , #% *# à = 0 !“# Â =


3 Ü
Û+
•! !"# ++ , #% #* ! + /#*! 0 !“# U
2 Ü

7.7 – Trave a sbalzo con coppia applicata all’estremo libero.

Ú Ú
Il momento flettente nella generica sezione è:

A questo punto si procede all’integrazione, partendo


dall’equazione differenziale Ú Ü vy ˆ :
vˆ À

Â
Ü Ú

Ü Â
Procediamo alle integrazioni…
1° ¯" #$* !"# → Ú ~1
Ú
2° ¯" #$* !"# → ÜÂ ~1 ~
2

+ devono essere nulli tanto l’abbassamento quanto la


Per determinare le costanti di integrazione imponiamo le condizioni al contorno. Osserviamo che in
corrispondenza dell’incastro B
rotazione.
P a g . | 191

 ! ¦ yOq
U 0 Ú+ ~1 0 → ~1 Ú+

^Ä é
Quindi l’equazione che governa la rotazione è la seguente:
W `
^ éÃ

! ¦ yOq Ú+ Ú+
Mentre per la seconda condizione al contorno abbiamo che:

 0 Ú+ ~ 0 → ~
2 2

é d `d
Quindi l’equazione che governa l’abbassamento della trave è la seguente:

Ä Å ` Æ
éà d d

Ú+
Calcolo dei valori di spostamento e rotazione nei punti notevoli:

‘”!% #" ! ++ , #% *# à = 0 !“# Â =


2 Ü
Ú+
•! !"# ++ , #% #* ! + /#*! 0 !“# U
Ü

7.8 – Trave semplicemente appoggiata con carico concentrato in posizione arbitraria.


In questo caso l’espressione del momento flettente è diversa

Û/ Û/
nei due tratti AC e CB:
Ú o ; Ú Ž Û
+ +
A questo punto si procede all’integrazione, partendo
dall’equazione differenziale Ú Ü vy ˆ ,
vˆ À
chiaramente
differenziando per i due tratti:

Ü Â Û/
- Tratto .

1° ¯" #$* !"# → ~1


2+
Û/ ô
2° ¯" #$* !"# → ÜÂ ~1 ~
6+
Tratto /.
Ü Â Û/ Û
-

1° ¯" #$* !"# → ~ô


2+ 2
Û/ ô
Û ô
2° ¯" #$* !"# → ÜÂ ~ô ~à
6+ 6

Û/ Û/ Û
Vediamo ora le condizioni al contorno:

å#+ ” " ! ~ #“! “#*# + % #%% "$#" # → ~1 ~ô


2+ 2+ 2
~1 ~ô ~
Û/ ô
å#+ ” " ! ~ #“! “#*# + % #%% •*#&& → ~ ~
6+
Û/ ô Û ô
~ ~à → ~ ~à
6+ 6
Quindi alla fin dei conti devo trovare solamente due costanti di integrazione, per far questo pongo

Û#* 0 ž! &ž# → 0
le condizioni sugli appoggi.
P a g . | 192

Û/+ Û + ô
Û/+ Û + ô
Û/+ Û/ ô
Û#* + ž! &ž# → ~+ 0 → ~
6 6 6 6+ 6 6+
Û/ + /
6+
Quindi le espressioni finali sono le seguenti:

^Ä Z• `d • d
- Tratto .
d
W a Å Æ
^ déà ` L`
Z• d
`d • d
Ä a Å Æ
éà ` `
- Tratto /.
^Ä Z • d • `d • d
W a Å a d Æ
^ déà ` L`
Z • L • `d • d
Ä •
Å a L
Æ
éà ` `

Û/ + / Û / / + /
Vediamo di porre in essere alcune verifiche:

å#+ ” " ! ~ ž! + % #%% "$#" # → Å Æ Å Æ


2 Ü + 3+ 2 Ü + 3+
Û/ + / Û / ô / + /
å#+ ” " ! ~ ž! + % #%% •*#&& → Å Æ Å Æ
6 Ü + + 6 Ü + +

Û/ + / Û/ + /
E’ arrivato il momento di definire alcuni valori notevoli ad iniziare dalle rotazioni negli appoggi:

•! !"# " F → U 0 o
2 Ü 3+ 6 Ü+
Û /+ / + / Û/ / + /
•! !"# " G → U + Ž Å / Æ Å Æ
2 Ü + 3+ 2 Ü 3+
L’abbassamento massimo si ha nel punto in cui la tangente alla linea elastica è orizzontale. Se –
/ – come nel caso in figura – l’abbassamento massimo si ha nel tratto di sinistra AC, pertanto è

 o Û/ + / Û/ 2 Û/
sufficiente porre uguale a zero la derivata della prima equazione.

Å Æ Ÿ 3 / + 0
6 Ü + + 6 Ü + 6 Ü+
+ /
3 / + 0→ <
3
Pertanto l’abbassamento massimo lo si ottiene sostituendo questo valore di nella nostra
equazione che governa l’andamento della flessione:
Û/ + / + / Û/ + / ô
 o < æ Å Æ + / è <
Loy
6 Ü+ 3 3 9 Ü+ 3

ipotesi devo fissare /


Se il carico è applicato in mezzeria, l’abbassamento massimo sarà proprio in mezzeria, in questa
q
:

+
ô
Û+ Ÿ+ 27
2 É 4 Û+ <64 + ß Û 9 Û+ ô
 oOŽ < +ß
Loy
9 Ü+ 3 18 Ü+ 3 18 Ü 64 48 Ü
P a g . | 193

7.9 – Trave a sbalzo con carico concentrato in un punto generico.


Per quest’altro caso si utilizza la sovrapposizione degli
effetti, partendo dal caso della trave a sbalzo con carico
concentrato all’estremità. Quindi la rotazione nel punto

 Û/
C è fornita dalla seguente:

U ~ U F
2 Ü
Per cui l’abbassamento nell’estremo libero è la somma di

ÂLoy Âù U ~
due funzioni:

Sempre facendo riferimento al caso già affrontato in

Û/ ô Û/ Û/ /
precedenza, ho che:

ÂLoy Ÿ
3 Ü 2 Ü Ü 3 2

7.10 – Trave semplicemente appoggiata con coppia all’estremità.

Ú
Il momento flettente nella generica sezione è:
Ú
+
A questo punto si procede all’integrazione, partendo
dall’equazione differenziale Ú Ü vy ˆ :
vˆ À

 Ú
Ü
+

Ü Â Ú
Procediamo alle integrazioni:

1° ¯" #$* !"# → ~1


2+
Ú ô
2° ¯" #$* !"# → ÜÂ ~1 ~
6+
Per determinare le costanti di integrazione imponiamo le condizioni al contorno, difatti negli

! ¦ yOP
Â
appoggi abbiamo abbassamenti nulli.
0 ~ 0
! ¦ yOq Ú+ ô
Ú+
 0 ~1 + 0 → ~1
6+ 6

^Ä Ú Ú+ é
Quindi l’equazione che governa la rotazione è la seguente:
d
W Å Æ
^ 2+ Ü 6 Ü déà ` L̀

Ú ô Ú+ é
Quindi l’equazione che governa l’abbassamento è la seguente:
d
Ä Å `Æ
6+ Ü 6 Ü éà `

é` Ú + é`
Vediamo di determinare la rotazione in corrispondenza degli appoggi:
W R W ` Ÿ +
éà 2 Ü 3 LéÃ
Mentre per determinare l’abbassamento massimo di deve definire il punto di massimo della

Â Ú ô Ú+ Ú Ú+
funzione che governa la linea elastica, cioè il punto di tangenza orizzontale.

Å Æ 0
6+ Ü 6 Ü 2+ Ü 6 Ü
P a g . | 194

+ + +
=0→ =< =
+ 3 3 √3

` Ú + + é`d
Operiamo la sostituzione…

ÄŸ Ÿ +
√L 6 Ü √3 3 √dHLéÃ

8 – APPENDICE – INSTABILITA’ DELL’EQUILIBRIO NEL CALCESTRUZZO ARMATO.


L’importanza di eseguire la verifica della stabilità dell’equilibrio di aste compresse in calcestruzzo
armato, e la messa punto di metodi sempre più raffinati per rappresentare tale fenomeno, è un
problema relativamente recente nel calcolo delle strutture. In passato infatti tale fenomeno, se
pur studiato dal punto di vista teorico, non aveva particolare rilevanza nelle opere in calcestruzzo
armato ordinario. A causa dei valori modesti delle tensioni ammissibili di compressione con i quali si
predimensionavano i pilastri, si ottenevano quasi sempre sezioni sufficientemente grandi in
rapporto alla loro altezza, e l’elemento nella maggioranza dei casi risultava di scarsa snellezza.
Oggi per l’evoluzione dei materiali e l’aggiornamento dei metodi di calcolo, si assiste ad un
incremento delle tensioni di esercizio, e a un generale snellimento delle strutture. La trattazione di
questo fenomeno e la messa a punto di metodi approssimati di calcolo per opere di calcestruzzo
armato è più complessa rispetto al caso dell’acciaio, perché alla non linearità geometrica che
caratterizza la teoria del secondo ordine si aggiungono altre cause di non linearità, tra cui si
ricordano:

comporta la perdita di omogeneità della sezione, e quindi Ü non può più essere
- la non linearità conseguente alla fessurazione del calcestruzzo teso, che

considerato costante;
- la non linearità conseguente allo scorrimento viscoso del calcestruzzo
sotto carichi di lunga durata, quindi la deformazione non è più indipendente dal
tempo;

L’instabilità dell’equilibrio porta ad uno spostamento trasversale ∆ non più


- comportamento plastico del materiale.

trascurabile, questo comporta una eccentricità aggiuntiva #P ∆ , e quindi alla


nascita di un momento del secondo ordine, quindi l’equilibrio deve essere fatto nella
configurazione deformata. Quella che viene persa è la relazione lineare tra azioni e sollecitazioni, è

ad un carico Û, e proviamo a definire gli effetti del secondo ordine:


per questo che si parla di non linearità geometrica. Vediamo ora di considerare un’asta sottoposta

å Û
¯ !* "# → È
Ú Û#P
å Û
¯¯ !* "# → ê
Ú ÛË#P “Loy  Ì

Ú
Se suppongo che il materiale sia elastico lineare posso esprimere
in funzione della curvatura, e la soluzione di questo problema è
la classica integrazione dell’equazione differenziale, ottenuta

ÛË#P “Loy Â Ì Üè Ü ,,
eguagliando il momento esterno al momento interno:
P a g . | 195

Ho ottenuto una equazione lineare differenziale del secondo ordine, la cui soluzione, fissate le

 0) = 0
opportune condizioni al contorno, è:
UR Z
‚ Â , 0) = 0
öo nwq utwx oqqr ¨ outwx vt±± ¦ utoq è
Ä Ei WXY ‹ H &!" ‹ <
WXY ‹` éÃ
Â(+) = “Loy

#P
“Loy  +
Da questa ottengo che:
#P
cos =+
#P #P cos = cos =
Ú Û Å#P #P #P Æ = Û#P
cos =+ cos =+ cos =+ cos =+
Quindi come possiamo osservare l’azione Ú non dipende più linearmente dalla sollecitazione Û.

quindi per = 0.
Ora andiamo a osservare che cosa accade alla base al legame tra momento e sforzo normale, e

å#P å#P
Ú( = 0) = =
cos =+ å
cos ÅJ Ü +Æ

Questa funzione presenta un asintoto per J§í + :


Ö Ü Ö F
å = å§ q ¦toxw
4+ -
Ove - indica la snellezza - , mentre +P è la lunghezza
qz qz

libera d’inflessione e p il raggio d’inerzia. Al variare di -


possiamo definire una famiglia di curve sul piano Ú å. Ed
inoltre il momento Ú può essere valutato come la somma di

cos = cos =
due contributi:

Ú Û#P = Û#
çP Û#P Å 1Æ
cos =+ cos =+
j—————k—————l
%!
%!!
Come si osserva Ú« è un momento del primo ordine, calcolato
con riferimento alla condizione indeformata, mentre Ú«« è il

geometrica del nostro problema. Questo Ú«« presenta un


momento del secondo ordine dato dalla non linearità

asintoto quando cos =+ → 0, cioè =+


alla condizione Û å§ .
, che corrisponde

Tutto questo vale per materiali a comportamento elastico


lineare e infinitamente resistenti. Per il calcestruzzo
questo non può essere considerato accettabile per due
motivi:
1) la sezione di base dell’elemento ha resistenza
limitata;
2) il comportamento del materiale non è lineare, infatti
già in fase di esercizio si possono manifestare fessurazioni
che diminuiscono la rigidezza del materiale. Allo stato
ultimo, inoltre, la presenza di deformazioni plastiche dei
materiali fa si che il comportamento sia decisamente non
lineare.
P a g . | 196

Quindi assegnata all’asta una determinata -̅ posso


definire å§ ; maggiore è l’å sollecitante, maggiore è la
presenza della componente del secondo ordine. Ora
rimuovendo la prima ipotesi, cioè di sezione di base
infinitamente resistente, e consideriamo il dominio di
iterazione (di resistenza) della sezione di base. Se ho un

costante), si osserva che å§ non costituisce il limite


comportamento elastico lineare del materiale (EJ

essere raggiunta in B, per Û1∗ ’ å§ , quindi la crisi avviene


superiore della capacità portante, infatti la crisi viene ad

per la crisi del materiale alla presso-flessione, e non per


instabilità (ovvero il raggiungimento del carico euleriano).
Vediamo ora di rimuovere anche la seconda ipotesi, quindi considero il materiale non più lineare

Út j—ËÂ
—k——lÌ ∙ Â
(viscosità, fessurazioni, ecc.). Quindi il momento interno è dato dalla seguente relazione:
,, ,,

rt tv uuo ¥oxA

sostituisce Ü, quindi l’equilibrio tra momento interno e quello esterno permette di scrivere:
Come si osserva abbiamo introdotto una rigidezza secante che dipende dalla curvatura, ed essa

ÁÓ ËÄ,, ÌÄ,, ZÄ Z UR | a
Questa è una equazione differenziale non lineare ( dipende da  ,, ), scritta nello stato

ovvero il legame Út , essendo n ËÂ Ì


deformato, e pertanto la sua risoluzione richiede l’utilizzo di metodi numerici, una volta noto il
%Ï y
 ,,  ,, ,,
À rr y
legame .
La costruzione dei diagrammi Út ¦ per un assegnato
1

sforzo normale, da luogo ai grafici rappresentanti in figura. In


questa trilatera possono essere definite tre condizioni

- I → Stadio non fessurato.


operative.

- II → Stadio fessurato, tra il campo II e III, ove avviene

- III → Campo plastico.


lo snervamento.

Al variare di å posso costruire delle curve diverse, per å


elevati ho delle curve molto rigide, dalle quali tende a

di å. Vediamo ora come possiamo costruire una curva momento/curvatura per un certo valore di
scomparire il comportamento duttile (lo stadio III). Quindi avrò una rottura fragile per bassi valori

sforzo normale.

Allora per ipotesi potrei pensare ad un valore di deformazione ç̅, il quale deve essere ammissibile
(deve essere inferiore a quello di rottura), da questo mi ricavo il mio stato deformativo della
P a g . | 197

sezione che deve essere possibile, cioè compatibile, sia con l’acciaio che con il calcestruzzo. Poi

, ù, , .
tramite una relazione costitutiva (ad esempio lo stress block) posso anche definire l’andamento

+ /* ! ++ * %+ !"# → ù å≅å ¿ ‘!++#& " #


delle tensioni, e dalla loro integrazione mi calcolo le forze interne
,
¿
Se lo sforzo normale å che trovo è vicino al mio å sollecitante, sono fortunato, in altri termini ho

1
trovato un punto della mia curava che voglio costruire.
¿
Òqqw¦o w A¦w}oAw x s xAw v qqo Lto ¥ ¦}o vt tA ¦outwx
‘# åt å ŸÚtxA ;

Se questo non accade devo procedere per tentativi in modo iterativo, fino a convergere al risultato
cercato; ovviamente questo può essere fatto più celermente tramite un programma automatico.

lineare ™ ËÂ ,, ÌÂ ,, ÛÂ Û #P “Loy š, e da qui tracciare la curva Û “Loy


Una volta definita questa curva, posso risolvere numericamente la mia equazione differenziale non

(massimo spostamento in sommità) per snellezze diverse, cioè per diversi valori di lunghezza.
All’aumentare della snellezza si osserva:
- aumento degli spostamenti massimi allo stato ultimo (ascisse di estremità delle curve);
- diminuzione dei valori della forza normale;

valore limite della snellezza -∗ la pendenza si annulla e la curva presenta un massimo.


- una diminuzione della pendenza della curva allo stato limite ultimo, fintantoché, per un certo

La curva -1 si interrompe quando viene ad essere raggiunta la deformazione ultima nell’acciaio o nel
calcestruzzo; ed inoltre, come si osserva, all’aumentare della snellezza diminuisce il carico assiale Û
e aumenta “Loy conseguente. Per - -∗, la deformazione ultima viene ad essere raggiunta con
tangente orizzontale. Per valori di snellezza - – -∗ , il valore massimo del carico viene raggiunto

instabilità: è il campo degli elementi snelli. Invece per - ’ -∗ la crisi avviene per rottura della
prima del raggiungimento della deformazione ultima dei materiali e, quindi, la crisi avviene per

sezione: è il campo degli elementi tozzi. Vediamo ora di riassumere il tutto nei seguenti grafici.

Diagramma Út
1
¦
per un assegnato sforzo normale. Diagramma Carico Assile – Spostamento massimo.
P a g . | 198

Come possiamo osservare ho un

osservare che per - -∗ ho che Û Û ∗ , la cui


“rovesciamento” del grafico precedente; basti

tangente è verticale, quindi nel punto ∗ la


rottura avviene sia per instabilità, sia per la
crisi del materiale. Si osservi che il punto di crisi

verticale della curva Ú å. Il ramo che segue ,


per instabilità è contraddistinto dalla tangente

nel quale aumenta il momento pur diminuendo N,


è un ramo di equilibrio instabile.

Diagramma M-N al variare del valore di -.

Fino ad or a non si è considerato il contributo


della viscosità del materiale. Essa aumenta
notevolmente la deformazione elastica iniziale,
ove la sollecitazione agisca per un lungo periodo.
Nelle strutture snelle, per effetto della non
linearità geometrica, anche a carico costante,
ho che lo stato di sollecitazione interna non è più
costante nel tempo, perché esso dipende da
quello di deformazione, che a sua volta è
dipendente dal tempo, dato la presenza della
viscosità.
Un primo modo di trattare la viscosità è quello
di costruire uno schema del materiale per
affinità, usando come punto di partenza lo

çAwA ç P E1 U , P H
schema di breve durata.

çÑtn¥wno çAwA ç P ç P U , P

notare che per Û ÛLoy ho che la crisi viene ad


Osservando il grafico qui affianco possiamo

0. Ora se metto un
essere raggiunta per instabilità dell’equilibrio

carico Û1 ≪ ÛLoy costante nel tempo, ho uno


immediatamente per

spostamento “1 P immediato, e uno


procrastinato nel tempo, fino ad arrivare a
P a g . | 199

“1 ∞ ; ovviamente se il carico Û1 è molto piccolo non accade nulla. Ora costruendo la curva delle
∞, ricavo la curva Û/“ a tempo infinito, con associato un corrispondente Ûù ,
cioè il carico critico a tempo infinito. Se la struttura viene ad essere sollecitata per carichi Û – Ûù ,
deformazioni per

all’aumentare del carico Û, fino ad annullarsi per il caso limite Û ÛLoy .


questa raggiungerà comunque la crisi per instabilità, con tempi che diverranno sempre più brevi

0e ∞. Tutti i carichi Û ’ Ûù sono tutti quei carichi che possono essere


Quindi posso definire una curva che rappresenta le situazioni di instabilità per tutti i tempi
compresi tra

carichi permanenti. Mentre per i carichi Û – Ûù la struttura raggiunge la crisi per instabilità per
applicati per un tempo indefinito, senza che questo porti in crisi la struttura, e questi sono tutti i

tempi finiti.

8.1 – Linee guida per il calcolo delle curvature e diagrammi momento-curvatura.

tronco, o sub-elemento dell'elemento considerato, in funzione delle sollecitazioni Ú , å agenti


A partire dalle leggi costitutive dei materiali si possono dedurre le rigidezze da assegnare a ciascun

nella sezione trasversale media, nella situazione o passo di carico considerati. Le ipotesi che si
assumono sono sempre le stesse:
1) conservazione delle sezioni piane;
2) sezioni interamente reagenti fino al raggiungimento della resistenza a trazione del
conglomerato al lembo della sezione;
3) superato il punto di fessurazione, si considera la sezione parzializzata con rigidezza
corretta per effetto della presenza del conglomerato teso, ancora reagente, tra una
fessura e l'altra. Questo fenomeno (tension stiffening) può dare un contributo sensibile alla

possibile schematizzarlo considerando una tensione costante pari a 0,05f# , applicata a


rigidezza dei tronchi fessurati, pur trattandosi di un fenomeno secondario. In pratica è

tutta la zona tesa.

per il calcolo degli effetti del secondo ordine. Per bassi valori dello sforzo normale N, tali diagrammi
Con le ipotesi sopra introdotte si possono tracciare i diagrammi momento-curvatura, da utilizzare

sono trilineari essendo i tre stati cosi schematizzati:


I. sezione interamente reagente;
II. sezione fessurata (viene esclusa la parte della stabilizzazione delle fessure);
III. acciaio oltre il limite elastico.
Per valori più elevati dello sforzo di
compressione, il momento ultimo può crescere,

diminuire. Per valori molto elevati di N il


ma il valore della duttilità può sia crescere sia

momento ultimo cala nuovamente (Figura


affianco). Il diagramma assume una forma
nettamente curva, a causa delle deformazioni
plastiche del calcestruzzo, tuttavia, non
raggiungendo il limite elastico dell'acciaio, il
comportamento a rottura risulta alquanto
fragile.
I diagrammi momento - curvatura vengono
spesso rappresentati in forma
adimensionalizzata, introducendo le seguenti
quantità:
P a g . | 200

é
Ú! #" ! •+# #" # #"% !" +# → q =
•^d h_^
t
‘•!* ! "!* +# #"% !" +# → =
•^h_^
ÕÓ hÄ^
Û#*&#" +# #&& " & * * → S
•^h_^
i
~ *“ * → ë = =
Ó •
[ ^

8.2 – Verifica dei telai a nodi fissi e a nodi spostabili.


Il metodo di verifica dell’instabilità dell’equilibrio si differenzia sostanzialmente per strutture a
nodi fissi e strutture a nodi spostabili. Le prime sono quelle che, essendo sufficiente rigide, qualora
soggette a carichi esterni, subiscono deformazioni di entità limitata, tali da non comportare
aumenti di rilievo delle sollecitazioni. Essendo la deformazione globale trascurabile, nelle strutture
a nodi fissi, la scrittura delle equazioni di equilibrio può essere riferita alla configurazione iniziale
indeformata. Per tali strutture sarà sufficiente verificare le condizioni di equilibrio dei singoli
componenti; e per far questo si ricorre a metodi semplificati che vedremmo successivamente,
senza preoccuparsi della deformazione strutturale complessiva, ma tendo conto soltanto delle
sollecitazioni del primo ordine agenti e degli effetti del secondo ordine locali dell’elemento
considerato. Tipico esempio di effetti del II° ordine è l’aumento delle sollecitazioni flettenti sui
pilastri per effetto dello spostamento della sommità, innescato dai carichi orizzontali applicati o
dall’inclinazione non intenzionale del pilastro stesso.
Al contrario, nelle strutture a nodi spostabili, gli spostamenti globali non sono più di entità
trascurabile, e devono essere considerati nella verifica strutturale. Per la verifica di tali strutture
si deve controllare che non si verifichi:
- una divergenza dell’equilibrio d’insieme;
- una divergenza dell’equilibrio locale (instabilità dei singoli elementi costituenti).
Ed inoltre nella verifica dei singoli elementi si deve tenere conto delle sollecitazioni supplementari
indotte dagli effetti della deformazione globale della struttura.
Nei telai a nodi fissi la rigidità trasversale dev’essere molto elevata, quindi abbiamo la necessità di
un controvento, in altri termini le azioni orizzontali devono essere portate a terra. Negli edifici a
telaio in calcestruzzo armato, gli elementi di controvento sono le pareti o i setti.

8.2.1 – Prescrizioni di normativa per elementi strutturali singoli.


Il parametro utilizzato per valutare la snellezza di un elemento strutturale singolo è

+P >+
P
il seguente, come abbiamo già visto:
-
pLtx pLtx
Ove +P è la lunghezza libera d’inflessione e pLtx è il raggio d’inerzia minimo, nella
KA
A

direzione considerata. Il parametro > fornisce, attraverso la luce +, la lunghezza


libera d’inflessione. La valutazione del parametro > può essere effettuata
richiamando concetti che abbiamo già visto in altre dispense. Ma vale la pena

questa è una relazione approssimata, che fornisce il valore di > con un errore medio
EJ
l l richiamare alcune considerazioni importanti, a partire dalla relazione di Newmark;

del 4%. Ed inoltre questa relazione può essere usata solamente sugli elementi
componenti strutture a nodi fissi.
L’effetto delle aste concorrenti nei nodi A e B può essere rappresentato tramite
KB l’inserimento di una molla rotazionale, la cui rigidezza K è la somma di tutte le
B
P a g . | 201

rigidezze delle aste concorrenti.

B
M ϕ =3EJ
Ml
KB=3EJ
ϕ B l

B
M ϕ =4EJ
Ml
KB=4EJ
ϕ B l

Asse di simmetria
B
M
ϕ ϕB=2EJ
Ml
K B=2EJ
l

Üt
Quindi in generale posso scrivere che:
¬ø !“# ø è + ”#%! %%#$" ! ++ , % ”#* +# % # &!" !" “ "&!+!
Ž
+t
t
Ora possiamo scrivere la relazione di Newmark:
0,2 -Ò 0,2 -`
> <
0,4 -Ò 0,4 -`
Ü Ü
-Ò ; -` = Ã #% %!"! * ””!* * + * $ # #++, % # #++ # "! .
Ò+ `+

N N N

Ka=0 => λa= K a=0 => λa= K a= => λa=0


8

l β=1 β= 0,2 =0,707 β=0,5


0,4

Kb=0 => λb= K b= => λb=0 K b= => λb=0


8


Fig. 1-122
Ora affrontiamo il caso di un portale a nodi fissi, l’analisi di questo problema viene semplicemente
risolta applicando la relazione di Newmark e assumendo che il traverso si comporti come un’asta
semplicemente appoggiata sottoposta a una coppia simmetrica.
P a g . | 202

In generale per gli elementi facenti parte di strutture a nodi spostabili, la valutazione di >, può
essere ricercata mediante l’uso di un abaco, per celerità la normativa (EC2 – 4.3.5.3.5) ne fornisce
uno anche per le strutture a nodi fissi, che non è altro che la riproduzione della formula di Newmark.

é• ³_]`]VVa
∑ ^U``U [\´\^UbbU ^U``U _]`]VVU _]V_][[UV \ ∑ `_]`]VVa
Prima di tutto si deve valutare le rigidezze relative di vincolo della nostra colonna:

ÁÕ ] Á
∑ ^U``U [\´\^UbbU ^U``U [a|\ _]V_][[UV \ é ³
∑ ‹ • [a|U
` [a|U
P a g . | 203

Dove = è il fattore che considera le condizioni di vincolo della trave all’estremità opposta:
- = 1,0 estremità opposta vincolata rigidamente o elasticamente;
- = 0,5 estremità opposta libera di ruotare;
- = 0 mensola libera.
Sempre nell’eurocodice viene ad essere

relazione precedente ( ù &!% ):


riportato un esempio esplicativo della

¯¥wq‰1 ¯¥wq‰
+¥wq‰1 +¥wq‰
Ò ¯Ž‰1 ¯
0,5 Ž‰
+Ž‰1 +Ž‰

Vediamo ora di definire i limiti di snellezza secondo le normative vigenti. Secondo il testo unico, al
punto 4.1.2.1.7.2, gli effetti del secondo ordine nei pilastri singoli possono essere trascurati se la

å§v
snellezza non supera il seguente limite:
;“ è + , !"# %% +# #"% !" +#
9 Fù •¥v

º`\ iK, H !“# ~ 1,7 *L
√ : ÚP1
9 *L
8 ÚP
Ove ~ dipende dalla distribuzione dei momenti del primo ordine (0,7 ] ~ ] 2,7), ed *L ne è il
rapporto con |ÚP | – |ÚP1 |. Questo per quanto riguarda il DM2008, ma vediamo che cosa
afferma l’EC2, nel quale un pilastro è considerato snello se il parametro - soddisfa la seguente

dK
disegualianza:
+P å§v
- < º`\ a QiK !“# “
Fù •¥v

8.2.2 – Strutture a nodi fissi e a nodi spostabili: prescrizioni di normativa.


Vediamo ora quali sono le prescrizioni di normativa per quanto concerne le strutture nel loro
insieme; si è in genere abituati a classificare a nodi fissi le strutture dotate di opportuni sistemi di
controventamento verticale, atti ad assorbire le azioni orizzontali, ma non sempre questa regola
ha validità generale. Per operare la distinzione tra strutture a nodi fissi e strutture a nodi
spostabili è necessario valutare la rigidezza strutturale rispetto agli spostamenti orizzontali.
Vediamo che cosa afferma a proposito il D.M.2008, ove gli edifici possono essere considerati a

V ∑ é•^ ³•
nodi fissi se è verificata la seguente condizione:
Zé^ ] R, Li
V i, ·d
- Û§v è il carico verticale totale su elementi controventanti e di controvento;
P a g . | 204

" è il numero di piani;


â è l’altezza complessiva dell’edificio al di sopra del vincolo d’incastro di base;
-
-
' () z,g
§% .PPPŒ û •
‡z
ùv &% 1,
¯ù è il momento d’inerzia della sezione di calcestruzzo degli elementi di controvento,
- è modulo elastico di calcolo del calcestruzzo;
-
ipotizzata interamente reagente.
Per l’Eurocodice 2 un telaio non controventato può essere considerato a nodi fissi, se si verifica

25
che ogni elemento verticale del telaio che resiste a più del 70% della forza assiale media

å v,L Å- ê 1O Æ.
&* ·+
x
, ha una snellezza minore a quella limite definita in precedenza qtL
√,
Dove " è il numero degli elementi verticali di ogni piano, Ñ è la somma di tutti i carichi verticali
agenti sugli elementi di controvento e controventati in condizioni di esercizio (¡· 1).

Sempre secondo l’Eurocodice 2 un telaio controventato può essere considerato a nodi fissi, se la
rigidezza flessionale degli elementi di controvento soddisfa il criterio seguente:
t R, d R, iV {U[ V ] L
·< ]È
é• Ã R, {U[ V < H
Dove â è l’altezza totale dell’edificio, ù Ü è la somma delle rigidezze flessionali in stato I degli
elementi controventanti nella direzione considerata, å è la somma di tutti i carichi verticali di
esercizio: å vK ∑ ÃtK , ed " è il numero totale dei piani dell’edificio.

Finito di editare il dì 11/12/2014.

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