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Saggi. Arti e lettere


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Emiliano Morreale

L’INVENZIONE DELLA NOSTALGIA

Il vintage nel cinema italiano e dintorni

DONZELLI EDITORE
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© 2009 Donzelli editore, Roma


Via Mentana 2b
INTERNET www.donzelli.it
E-MAIL editore@donzelli.it

ISBN 978-88-6036-355-8
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L’INVENZIONE DELLA NOSTALGIA

Indice

I. Teorie e pratiche della nostalgia


p. 3 1. Premessa
6 2. Un modello mobile
11 3. Nostalgia di massa, nostalgia mediale
14 4. A che serve la nostalgia?
17 5. Storia della nostalgia
21 6. Tra moderno e postmoderno:
la nostalgia nell’era della sua riproducibilità tecnica
27 7. Rinasco, rinasco…
29 8. Nostalgia d’importazione
32 9. Dal kitsch al camp, dal camp al vintage (e al trash)
39 10. Nostalgia e memoria
42 11. Cavalcata di mezzo secolo

II. Italietta che follie: i «film del café chantant»


47 1. Canzoni d’altri tempi…
52 2. Media di ieri, di oggi, di domani

III. Passato e presente del boom


57 1. Di nuovo come un tempo…
62 2. «Mai più in questo giardino»:
Bassani secondo De Sica e Zurlini
65 3. Anni facili
68 4. «Una patina strana e lucida»: Zurlini

IV. Mutazioni del cinefilo letterato


75 1. Da quelle ombre, il futuro
77 2. Le acque del Potomac e le rondini dell’Orfeo

V
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Morreale, L’invenzione della nostalgia

85 3. Classe di burro
89 4. «Ci illudevamo di essere spettatori»
94 5. Lanterne magiche e lanterne cieche

V. Gli anni settanta: revival e nostalgia


101 1. «The Nostalgia Movies»
110 2. Cinefilia, nostalgia e revival
115 3. «Mutazione antropologica» ed emarginazione
121 4. Lo sporco flou di Bolognini
125 5. L’ultimo Visconti: il passato dopo la storia
130 6. Asarcurdem
137 7. I balli in maschera di Bertolucci

VI. La rivoluzione della nostalgia negli anni ottanta


149 1. Gli anni che sognavano gli anni sessanta
155 2. Nostalgie operative nei media italiani
158 3. Gli anni ottanta negli Usa
166 4. Piccoli e grandi schermi
171 5. Sapore di mare (e di liquirizia)
175 6. Ritornerai: il contro-camp di Nanni Moretti
181 7. Generazioni di cinema e di televisione

VII. Mutazioni della cinefilia: dal camp al trash


187 1. Un decennio cinefilo
189 2. Due dizionari di luoghi comuni
192 3. Il Patalogo e il videoregistratore
198 4. Le fanzine
200 5. La canonizzazione dello Stracult

VIII. Anni di vintage


207 1. Hollywood negli anni novanta
218 2. Il tempo delle saghe
224 3. Le stanze separate
226 4. Il Grande Altrove
230 5. I fratelloni. Proiezioni nostalgiche
sul mondo degli adolescenti
234 6. Il ritorno dei Monnezza
236 7. Maceria e memoria:
la nostalgia dell’umano di Ciprì e Maresco
239 8. Immagini ritrovate

VI
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Indice

IX. Oltre il cinema


249 1. Creazione e uso della nostalgia di massa:
il vintage nella tv oggi
256 2. Nostalgia e media negli scrittori italiani
267 3. Nella rete della nostalgia
274 4. Venditori di nostalgia
280 5. Epilogo

283 Ringraziamenti

285 Indice dei nomi

Elenco delle illustrazioni

1. Gina Lollobrigida in La donna più bella del mondo (1955) di Robert Z. Leonard.
2-4. Locandine in stile anni trenta: Bonnie and Clyde (1967) di Arthur Penn,
Chinatown (1974) di Roman Polański e Il conformista (1971) di Bernardo Bertolucci.
5-6. Amarcord (1974) di Federico Fellini.
7. Silvana Mangano in Morte a Venezia (1971) di Luchino Visconti.
8. Nanni Moretti in La messa è finita (1985).
9. Vogliamo anche le rose (2007) di Alina Marazzi.
10. Lascia perdere, Johnny! (2007) di Fabrizio Bentivoglio.
11. Romanzo criminale (2003) di Michele Placido.
12. Il Divo (2008) di Paolo Sorrentino.
13-14. Il nuovo Maggiolino Volkswagen a confronto con il vecchio modello.

VII
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L’invenzione della nostalgia

a Goffredo
ad Alì, a Vivì
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L’INVENZIONE DELLA NOSTALGIA

I. Teorie e pratiche della nostalgia

La storia si ripete prima come tragedia, poi come moda.


Dal sito del film La banda Baader Meinhof
(Der Baader Meinhof Komplex, 2008) di Uli Edel

1. Premessa.

Viviamo circondati da immagini e da merci, anzi da merci-immagi-


ni e da immagini-merci, ed è facile notare anche come molti di questi
oggetti funzionino da depositi e surrogati di affettività. Una buona
parte dei prodotti culturali che ci circondano trae spesso la sua forza
di risonanza dal suscitare sentimenti di nostalgia, di rimpianto del pas-
sato; o semplicemente rimanda, in maniera ironica e dolceamara, ad al-
tre immagini e altre merci di un passato recente. Il rétro, il vintage, il
revival sono alcuni dei nomi che sono stati dati nel tempo a questo fe-
nomeno – tangente e intrecciato, come vedremo, ad altri concetti co-
me il camp e il trash.
Le generazioni nate dagli anni sessanta in poi hanno cominciato a
sperimentare su di sé forme di auto-percezione e auto-definizione
nuove: non più politiche, geografiche, sociali; ma appunto anzitutto
generazionali, trasversali, costruite sulle proprie memorie di consuma-
tori di merci e di spettatori, secondo un ciclo «a ondate» che si ripete
da alcuni decenni: «i favolosi anni sessanta» negli anni ottanta, il ritor-
no degli anni settanta nel decennio successivo, e oggi un revival (di-
staccato e ironico, per il momento) degli anni ottanta.
Il cinema hollywoodiano, ormai da tempo, produce sostanzialmen-
te remake di film e telefilm del passato, o film ispirati a vecchi perso-

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Morreale, L’invenzione della nostalgia

naggi dei fumetti che vengono aggiornati. Interi canali tematici delle tv
satellitari sono dedicati alle repliche di vecchie trasmissioni. Una parte
ormai maggioritaria dei romanzi degli scrittori italiani sotto i cin-
quant’anni è composta da rievocazioni del periodo tra la fine dei set-
tanta e i primi ottanta (e delle canzoni, e dei programmi tv), luogo pre-
diletto anche dalla narrativa americana e dagli autori di graphic novel.
Un giro rapido su internet ci spedisce su centinaia di siti, forum, blog
in cui si ripropongono, si rimpiangono, si ricordano in tribù più o me-
no ampie i cartoni animati, le sigle, i telefilm di venti-trent’anni fa. Nel-
la pubblicità, poi, l’ammicco ai media del passato è una costante. Anzi,
più le merci e i media sono nuovi e richiedono il nostro adattamento (si
potrebbe dire: la nostra mutazione), più si vestono di panni oscura-
mente familiari, che sono per lo più quelli dei loro antenati, dei media
e delle merci di decenni prima. E non è necessario che, per suonare «fa-
miliari», si rifacciano a periodi che gli spettatori e i consumatori abbia-
no davvero conosciuto di persona.
Beninteso, non si vuol dire qui che le nostalgie personali siano del
tutto scomparse: ognuno di noi serba memoria, con relativo carico
d’affetto, di parenti, amici, luoghi (e di se stesso). Solo, a partire da al-
cune generazioni, questo tipo di esperienza è inestricabile e subordi-
nato a un altro tipo, quello del consumatore di merci che ritornano
simili ad altre merci precedenti. Non solo quest’ultimo tipo di no-
stalgia convive col primo, e quantitativamente lo sovrasta, ma si può
anche ipotizzare che le forme in cui ogni tipo di nostalgia viene espe-
rita, i pattern dell’esperienza siano tarati e concepiti nei e per i media,
per identità di spettatori e di consumatori. Come ha scritto Arjun
Appadurai:
Le tecniche di commercializzazione di massa non solo costruiscono il tem-
po […], ma inoltre influenzano la periodizzazione in forma di esperienza di
massa nelle società contemporanee. […] Nella misura in cui il consumo è sem-
pre più orientato a frugare nelle storie immaginate, la ripetizione non si basa
semplicemente sul funzionamento di simulacri nel tempo, ma anche sulla for-
za di simulacri del tempo. Non solo cioè il consumo, attraverso la sua perio-
dicità, crea il tempo, ma l’attività della nostalgia surrogata crea i simulacri di
quei periodi che costituiscono il flusso del tempo, concepito come perduto, as-
sente o distante1.

Per andare alle origini di questo fenomeno che appare sempre più
pervasivo di generazione in generazione, di media in media, questo li-
1
A. Appadurai, Modernità in polvere (1996), trad. it. di P. Vereni, Meltemi, Roma 2001,
p. 108.

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Teorie e pratiche della nostalgia

bro propone una eziologia, un’archeologia di quelle forme nostalgiche


tipiche della modernità, e che trovano la propria applicazione più lam-
pante e operativa nel mondo dei mezzi di comunicazione di massa. Si
è scelto di osservare la formazione progressiva, attraverso una serie di
modelli mutanti, di una nostalgia mediale e di massa, che nelle sue ul-
time incarnazioni possiamo chiamare, con un termine preso in presti-
to dalla moda (e, prima ancora, dalla viticoltura) vintage. E come os-
servatorio, si sono scelti il cinema e l’Italia, secondo un doppio bina-
rio: da un lato, il modo in cui il cinema italiano ha evocato il passato
recente, dall’altro alcuni esempi di come gli intellettuali hanno sentito
progressivamente diventare il cinema un oggetto di nostalgia.
In questo percorso, racconteremo alcune epoche per come esse
hanno visto altre epoche. Giacché la nostalgia, questo è evidente, non
ci dice niente del periodo che rimpiange, ma ci parla in maniera obli-
qua della situazione presente: «È errato supporre che le qualità asso-
ciate con qualche sezione del passato “causino” la nostalgia che si
prova al presente. […] La nostalgia usa il passato […] ma non ne è un
prodotto»2.
La nostalgia che ci circonda e permea è dunque inesorabilmente fi-
glia di immagini e suoni suscitati dai media. Anche, aggiungiamo,
quando sembra rivolgersi a un passato pre-moderno e contadino, in
opposizione magari proprio alla società dei consumi e dello spettaco-
lo. La nostalgia di un’«Italia in bianco e nero» è un caso evidente, nel
suo esplicito riferimento proprio alla mediazione del dispositivo cine-
matografico e fotografico, portato però a garante ed emblema dell’au-
tenticità. Come se l’Italia degli anni cinquanta, i contadini, le partite di
calcio, gli edifici e gli alberi, fossero davvero stati in bianco e nero. È
un passato che viene involontariamente ripensato «come se non fosse
mai stato a sua volta un presente»3.
Se immediatamente ripensiamo a un periodo, diciamo «anni set-
tanta» o «anni ottanta», davanti alla continua riproposta delle immagi-
ni (e in parte delle musiche) di quei periodi, forse prima ancora che una
serie di eventi o di personaggi, viene in mente la grana, la pasta, la ma-

2
F. Davis, Yearning for Yesterday. A Sociology of Nostalgia, The Free Press, New York
1979, pp. VIII, 10-1.
3
A. Tarpino, Geografie della memoria. Case, rovine, oggetti quotidiani, Einaudi, Tori-
no 2009, p. 129. Al riguardo, l’autrice ha mostrato l’illuminante paradosso dell’adattamento
cinematografico di Casa Howard realizzato da James Ivory, nel quale l’opposizione tra
mondo rurale e modernità industriale del romanzo di Forster stinge, perché sono gli stessi
oggetti della modernità (a cominciare dai vecchi modelli di automobile e dalla moda dell’e-
poca) a risultare evocatori di nostalgia forse ancora maggiore sullo schermo.

5
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Morreale, L’invenzione della nostalgia

teria di cui sono fatte le loro immagini: la pellicola in bianco e nero per
gli anni cinquanta e sessanta, il super 8 a colori per i primi sessanta e
per i settanta, il video a mediocre definizione degli anni ottanta – e in-
sieme a tutto questo una distesa di merci prima che di eventi: automo-
bili, abiti, manifesti cinematografici… Perciò, se ci si riflette, è forse
possibile fare film pienamente nostalgici solo su epoche successive al-
la nascita della fotografia e del cinema, e che dunque mostrino qualco-
sa che il cinema e la fotografia hanno già fatto proprio: un film nostal-
gico sul XVI secolo è impensabile. Il che, ci si può chiedere, ha forse
oscuramente a che fare con lo strano fenomeno per cui al cinema «il
vedere è sempre un ri-vedere, è ripercorrere con gli occhi ciò che, in
qualche modo, “è già stato”»4.
Non bisogna poi credere che la nostalgia sia un fenomeno immu-
tabile, che essa faccia parte dell’inevitabile ciclo delle generazioni da
secoli, dei riti di passaggio per cui ogni generazione rimpiange il pro-
prio passato e lo considera migliore del presente, e la cosa si ripeterà
col presente una volta che esso sarà ricordato come la giovinezza di
un’età adulta a venire.
In questo, è un altro inevitabile presupposto del nostro discorso il
bon mot che Simone Signoret usò come titolo della propria autobio-
grafia: «La nostalgia non è più quella di una volta». E oltretutto, non si
tratta di modificazioni recenti in un fenomeno senza origini, ma di un
fenomeno storico molto recente, databile abbastanza precisamente e
che ha subìto delle radicali modifiche, osservabili con chiarezza. Non
solo la nostalgia è, come qui la intendiamo, un fenomeno squisitamen-
te moderno, ma il tipo particolare di nostalgia che possiamo osservare
quotidianamente in Europa o negli Usa è più specificamente figlio di
quella che viene chiamata età postmoderna, o età della globalizzazione.

2. Un modello mobile.

Questo studio non è nato da esigenze di storico, ma dall’analisi del


presente e dalla necessità di costruire dei modelli che spiegassero alcu-
ni tratti evidenti, e poco analizzati, dell’esperienza quotidiana. È a par-
tire da alcuni stimoli del presente che ci si è mossi per ricostruire una
storia delle forme nostalgiche attraverso il cinema e gli altri media. I
modelli di nostalgia qui analizzati vengono visti perciò implicitamen-
te alla luce degli stadi successivi, secondo una prospettiva più teorica
4
F. Casetti, L’occhio del Novecento, Bompiani, Milano 2005, p. 123.

6
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Teorie e pratiche della nostalgia

che storica: non lontana, se si vuole, da quella del celebre detto marxia-
no per cui «l’anatomia dell’uomo è una chiave per l’anatomia della
scimmia», ossia dalla formazione complessa e compiuta si può risalire
ai suoi stadi precedenti.
Il tipo di sensibilità da cui siamo partiti, lo stadio finale e attuale
di essa, si comincia a definire come sentire collettivo in quella che
Christopher Lasch ha definito «l’età del narcisismo», ed è avvertibi-
le negli Usa in una fase di incubazione già nei primi anni sessanta,
mentre in Italia non se ne avvertono i sintomi se non dopo il ’68 e
poi, in maniera sempre più forte, per tutti gli anni settanta fino al
trionfo degli ottanta. Nel 1979, Fred Davis ne poteva osservare una
formazione già compiuta negli Stati Uniti, e ne proponeva una de-
scrizione da cui si può partire ancor oggi:
1) Mentre in precedenza il paesaggio della nostalgia collettiva era abitato
per lo più da persone, luoghi ed eventi di carattere civile o politico, oggi esso
è abitato sempre più e forse sempre più esclusivamente da creazioni, persona-
lità e citazioni dei media. […]
2) Poiché dalla nostalgia si possono ricavare dei soldi, i media sono giunti
a divorare le loro creazioni passate a un livello sempre crescente. Una conse-
guenza è che il lasso di tempo tra l’«apparizione originale», diciamo, e il suo
riciclaggio nostalgico si è ristretto a una frazione di quel che era in passato.
3) Perfino quel che passa per essere privato e intimo nelle nostre memorie
nostalgiche (tramonti, compleanni, riunioni di famiglia, amici e amori) a causa
della pervasività dei mass media nelle nostre vite ha acquisito una qualità più
comune, familiare e trasmissibile. Ciò è servito anche a sfumare e probabil-
mente a confondere quella che un tempo era una divisione interiore abbastan-
za ben tracciata tra pubblico e privato5.
La centralità dei media, dovuta anche all’aumento del tempo libe-
ro, ha quindi creato una nostalgia più trasmissibile, uniforme:
Questi processi hanno agito anche nel senso di deprivare le nostalgie di al-
cune delle loro sfumature più idiosincratiche, private e individuali. […] La gra-
duale scomparsa di gran parte dei caratteri distintivi locali e regionali in Ame-
rica, così come in altre società moderne, è destinato a promuovere una certa
omogeneità nei forzieri collettivi della memoria nostalgica6.

5
Davis, Yearning for Yesterday cit., pp. 125-6. Cfr. D. Löwenthal, The Past Is a Foreign
Country, Cambridge University Press, Cambridge 1988, pp. 4-13, che propone un modello
di nostalgia meno elaborato. Come esempio letterario, si può prendere il celebre «Mi ricor-
do» di Georges Perec, nel quale l’autore elenca senza commento 480 oggetti di ricordo. Il
periodo di riferimento è la Francia tra anni quaranta e sessanta, e quasi una metà dei ricordi
riguardano eventi filtrati dai mass media. Una settantina di questi ricordi hanno a che fare
col cinema, anche se più come inventario di nomi e gossip che come ricordo di esperienze
fondanti. G. Perec, Mi ricordo (1978), trad. it. di D. Selvatico Estense, Bollati Boringhieri,
Torino 1988.
6
Ibid., pp. 128-9.

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Morreale, L’invenzione della nostalgia

Ma non si deve credere che ciò abbia portato a un indebolimento


della nostalgia. Anzi, la mediatizzazione di essa ha funzionato come
potentissimo amplificatore: proprio mentre la nostra nostalgia somi-
glia sempre più a quella di tanti altri in giro per il mondo, essa diventa
sempre più profondamente sentita e sempre più costitutiva della no-
stra identità individuale.
A integrare la distinzione di Davis, poi, si possono indicare alcuni
caratteri che distinguono questo mutato atteggiamento verso il passa-
to da quello delle generazioni precedenti:
– Scatenamento della nostalgia a partire da oggetti di produzione di
massa. Le madeleines di Proust sono ora prodotte in serie, e indistin-
guibili da altri vettori di affettività più individuali (nel caso che questi
ultimi siano presenti);
– Individualizzazione del passato collettivo. A fondare le identità
generazionali non sono più moventi collettivi, ma momenti, fram-
menti delle esperienze individuali. Esperienze a loro volta non legate
ad azioni o riti di passaggio, quanto a momenti di ricezione, di lettura
ma ancor più di visione cinetelevisiva o di ascolto musicale, di fruizio-
ne di prodotti culturali di massa. A costruire l’identità personale nel
tempo è un tipo particolare di esperienza (o inesperienza), quella di
consumatori, e particolarmente di consumatori di prodotti di massa.
Ciò crea delle identità trasversali alle divisioni di classe e parzialmente
di genere, e l’identità collettiva è raggiunta attraverso forme di espe-
rienza solitaria. L’identità collettiva «giovani», in questo senso, non ri-
sulta definita tanto da gerghi e subculture, quanto dalla condivisione
di un repertorio (vissuto individualmente, ma uniforme) di merci visi-
ve e sonore. E, inversamente, la cosa può anche esser vista così: quel
che si crede costituire il proprio patrimonio più intimo e individuale è
in realtà quanto di più impersonale e condivisibile si possiede.
– Legame non tanto con il tempo biologico della giovinezza, quan-
to con quello dell’adolescenza e addirittura dell’infanzia. A questo
proposito, è forse possibile individuare anzi una progressiva infanti-
lizzazione della tonalità emotiva con cui ci si rivolge al passato. Il che
significa anche una possibile comparsa assai precoce dell’atteggiamen-
to nostalgico, già a partire addirittura dall’adolescenza.
– Rottura della continuità temporale. Dal presente al passato pros-
simo non si seguono tanto i nessi di causalità e genealogia (quelli che
fondavano, diciamo così, il modello del Bildungsroman); il passato ap-
pare piuttosto separato dal presente, talvolta (ma non necessariamen-
te) a causa di eventi traumatici. Negli Usa, e con particolare intensità

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Teorie e pratiche della nostalgia

dal modernismo in poi (si pensi al finale del Grande Gatsby) è stato ti-
pico il modello della «fine dell’innocenza»: un modello che è nello
stesso tempo l’ultimo residuo della forma-romanzo e l’affermazione di
un prima e di un dopo incommensurabili. Ma a far considerare il pa-
radigma della «fine dell’innocenza» come qualcosa di appartenente a
un modello in fondo «tardo moderno» è il suo tentativo di unire indi-
viduale e collettivo, di organizzare la lettura del passato nazionale in
un racconto che lo colleghi all’oggi (la «fine dell’innocenza» è nazio-
nale prima che privata: ad esempio, l’omicidio Kennedy o la guerra in
Vietnam)7. In fondo, la nostalgia di massa pienamente dispiegata, farà
a meno di questa narrazione, e l’infantilizzazione cui si accennava ri-
sulta fondamentale a integrare questa caratteristica. Dal modello del
romanzo di formazione ottocentesco – per cui l’ingresso nell’età adul-
ta coincide anche con la fine dell’innocenza, delle illusioni o dell’eroi-
smo giovanile – si passa a sottolineare meramente il lato della perdita
dell’infanzia, senza che a questa corrisponda un guadagno emotivo,
neanche per partito preso8, e soprattutto senza che la «perdita» venga
inserita in una narrazione.
– Feticismo degli oggetti e coscienza (ironica, impotente o maso-
chista) della degradazione dell’esperienza. In generale, sono tutte le
merci a venir citate e ri-utilizzate come oggetti estetici: il passato entra
a far parte della costituzione intima dell’individuo con una specie di
parodia dei caratteri della kantiana finalità senza scopo. Ma il feticismo
delle merci mediali, ossia il riferimento a un carattere essenziale, per la
costruzione di identità individuali, di oggetti culturali, funziona me-
glio riferito a prodotti «bassi». È molto difficile che un’identità gene-
razionale si fondi su prodotti highbrow, seppure molto noti. Più faci-

7
Come nota sempre Davis (ibid., p. 59), negli Usa «la transizione dall’adolescenza ser-
ve, quantomeno a livello mitico, come cornice tipica della nostalgia per il resto della vita».
8
Per un’analisi ulteriore dell’evoluzione di questo tema nel Bildungsroman, cfr. F. Mo-
retti, Il romanzo di formazione, Einaudi, Torino 1999, p. 100, sul passaggio da Goethe a
Stendhal: «Cosa c’è dunque di meglio che incardinare quei principi a una fase dell’esistenza,
costringendoli così entro limiti quasi “biologici”? La gioventù diviene così l’età degli ideali:
ma la gioventù, prima o poi, deve finire. Meglio: può essere l’età degli ideali proprio perché
si sa che non durerà a lungo. E così, da questi romanzi in poi, nasce un paradigma essenzia-
le per l’esistenza moderna: la maturità non consiste più nell’acquisire delle qualità: consiste,
sostanzialmente, nel perderle». Molto interessanti per noi anche le osservazioni su L’educa-
zione sentimentale di Flaubert e la fase successiva: «Nella misura in cui la gioventù si offre
come sconfinato campo di possibilità – e questa, non altra, è l’idea di gioventù tipica del
mondo borghese – la sua funzione finisce col capovolgersi: anziché preparare a qualcos’al-
tro, essa diviene un valore in sé, e l’aspirazione massima è quella di prolungarla. […] Ma se
la gioventù aspira solo a “esser se stessa”, e dunque a conservarsi in quanto gioventù, allora
di romanzo di formazione non c’è davvero più bisogno».

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Morreale, L’invenzione della nostalgia

le è che si fondi su oggetti manchevoli, desueti, guilty pleasures, in-


somma non riutilizzabili tali e quali nel presente; non recuperabili
quanto citabili o evocabili. «Oggetti desueti», li definirebbe Francesco
Orlando9. Quest’ultimo passaggio è altamente significativo: è come se,
per delle identità individuali incerte, costrette a ridefinirsi socialmente
di continuo e non per propria scelta, insomma a termine dal punto di
vista professionale, sentimentale ecc., il recupero di frammenti inutili e
fragili di passato fosse la promessa tacita che qualcosa è durato, che
non tutto andrà perduto, che l’obsolescenza nostra e delle cose in fon-
do è invertibile, almeno nel regno degli affetti. Ed è importante che
queste emozioni non dipendano da capolavori imperituri, pubblici,
ma valgano solo perché ci sono state, e ci sono state per poco, e nono-
stante fossero fatte proprio per durare lo spazio di un attimo (la can-
zone di un’estate, il filmetto di un divo televisivo effimero).
Un’ulteriore precisazione riguarda la regola empirica dell’avvicen-
damento delle stagioni della nostalgia. Si tratta del fenomeno facil-
mente osservabile per cui le epoche che tornano all’attenzione dei me-
dia sono specialmente i «vent’anni prima», o, come si esprime Davis,
l’epoca in cui i quarantenni di adesso erano ventenni (o anche, do-
vremmo dire tenendo conto del processo di «infantilizzazione», quel-
la in cui i trentenni di oggi avevano dieci anni):
Una regola empirica per dei venditori di nostalgia desiderosi di intuire
quale periodo del passato sta per diventare l’oggetto del prossimo boom no-
stalgico sarebbe di sottrarre vent’anni, più o meno, dalla generazione che sta
per entrare nella fase del ciclo vitale convenzionalmente visto come la piena
maturità sociale, cioè le persone a cavallo dei quarant’anni10.
Ad esempio, gli anni ottanta sono il decennio in cui si esaltano «i
favolosi anni sessanta», così come negli anni novanta si è fatto strada il
revival dei settanta, e così via. Davis ipotizza che la nostalgia sia un ele-
mento fondante dei gruppi generazionali: «senza nostalgia, sostiene,
addirittura non si dà una generazione».
Noteremo presto nel nostro studio, tuttavia, come questo ritmo ci-
clico non significhi semplicemente l’eterno rimpianto dei propri
vent’anni. Intanto, esso è avvertibile in maniera massiccia, nei mass
media, solo a partire da tempi relativamente recenti. Infatti, come ve-
dremo nei capitoli VI e VII, in questo succedersi di ondate successive c’è
comunque un momento di svolta, che è situabile grosso modo nella
prima metà degli anni settanta per gli Stati Uniti, e tra i settanta e gli
9
F. Orlando, Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura, Einaudi, Torino 1992.
10
Davis, Yearning for Yesterday cit., p. 60.

10
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Teorie e pratiche della nostalgia

ottanta per l’Italia. Non si trovano esempi paragonabili di nostalgia


collettiva per un periodo e le sue immagini prima di allora. Non esiste
un «mito degli anni dieci» negli anni trenta, né un «mito degli anni
trenta» negli anni cinquanta.
Ma soprattutto: anche se in apparenza la nostalgia è qualcosa che
riguarda un passato vissuto in prima persona, gli studiosi da tempo se-
gnalano come essa si possa estendere a «qualsiasi sorta di sentimento
positivo verso qualsiasi passato, non importa quanto remoto o stori-
co»11, e non è difficile incontrare persone che provano nostalgia «ge-
nuina» per periodi che non hanno conosciuto. O meglio: per periodi
che hanno conosciuto solo nella loro trasfigurazione mediatica. La
quale si conferma quindi il luogo di principale produzione delle forme
e dei contenuti delle nostalgie di massa.
Dal nostro studio, infatti, emerge sì la centralità di questo andamen-
to a ondate generazionali, ma anche la sua non-esclusività. Più precisa-
mente: il riferimento ai «vent’anni prima» è essenziale per gettare le ba-
si della nostalgia di massa, e ritorna nelle varie generazioni come forza
d’urto, mainstream nostalgico. Ma, una volta che il suo meccanismo è
stato messo a punto, una volta che i soggetti sono in qualche modo pla-
smati su di esso, esso informa anche altre epoche e altre merci, che più o
meno tutte appaiono essenzialmente come immagini, con in più il cari-
co emotivo di quelle immagini del passato che in effetti hanno caratte-
rizzato la giovinezza (e oggi anche l’adolescenza, e l’infanzia) degli indi-
vidui. Infatti (cfr. cap. IX), gli studi di marketing nostalgia-oriented han-
no dimostrato come il periodo che suscita nostalgia nei consumatori
può addirittura essere situato prima della loro nascita.
La «nostalgia di massa» o, come più spesso preferiremo chiamarla,
«nostalgia mediale», si configura dunque nella sua forma ideale secon-
do una serie di caratteristiche forti: essa, intanto, oltre a essere sostan-
zialmente anti-storica (cioè slegata da un rapporto di continuità col
passato) è contemporaneamente individualizzante e generazionale; fe-
ticista con tendenza al gusto del brutto e del negletto; rapida nei suoi
cicli di recupero; infantile o adolescenziale più che giovanilista.

3. Nostalgia di massa, nostalgia mediale.

Non solo la nostalgia contemporanea è propagata su vasta scala dai mass


media, ma gli stessi oggetti della nostalgia collettiva sono di per sé creazioni re-
11
Ibid., p. 8.

11
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Morreale, L’invenzione della nostalgia

centi dei media. In altre parole, nella loro incessante ricerca di nuovi oggetti di
nostalgia remunerativa, i media oggi quasi divorano se stessi. O, per dirla cini-
camente, la nostalgia viene dai media, esiste grazie ai media e per i media12.
Queste parole, dall’apparenza forse troppo apodittica, che Fred
Davis pone verso la fine del suo libro, si sono dimostrate in realtà pie-
namente giustificate, specie alla luce dei trent’anni trascorsi da quando
furono scritte. E così anche le conseguenze che Davis elencava: a co-
minciare dalla reciproca, continua compenetrazione tra memoria pri-
vata e pubblica, un tempo separate e oggi sempre più unificate in un
comune riferimento ai media.
Un’analisi della nostalgia contemporanea non può dunque che es-
sere, anche, un’analisi critica dei mass media, e ricostruire la formazio-
ne di nuove forme di rapporto col passato significa anche osservarne il
rapporto con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa. Que-
sto studio mira appunto a mostrare le tappe della formazione di nuo-
vi, successivi modelli di nostalgia sempre più indissolubilmente intrec-
ciati coi mass media.
Lo sviluppo della forma «matura» della nostalgia, in fondo, si po-
trebbe dire più o meno contemporaneo dello sviluppo della fotografia
e del cinema. La parabola della nostalgia, che corre lungo tutto il No-
vecento, è parallela in certo modo alla parabola del cinema stesso, il
che non stupirà considerando quanto il cinema, «occhio del Novecen-
to»13, sia stato intimamente legato alle peculiarità di questo secolo.
Ma l’analisi del cinema (e, accessoriamente, degli altri mass media)
che compiremo andrà anche in un’altra direzione. I mass media, infat-
ti, da un lato sono produttori dei materiali su cui la nostalgia si co-
struisce, ma dall’altro consentono di decostruirla: suscitano e insieme
possono analizzare queste sensibilità collettive attraverso la loro rifles-
sione (ovviamente questo discorso vale anche per quelle che sono o
erano in passato considerate forme di arte «elevata»). Si tratta qui di
qualcosa di simile alla distinzione che, sul piano dell’uso politico della
nostalgia, Svetlana Boym ha proposto tra «nostalgia restauratrice» e
«nostalgia riflessiva»14, e più ancora ai «tre livelli di nostalgia» identifi-
cati da Fred Davis.
Quest’ultimo schema contempla tre tipi di nostalgia, di complessità
crescente: una di primo ordine (semplice), una di secondo ordine (ri-
12
Ibid., p. 122.
13
La definizione è tratta dal titolo del libro di Casetti, L’occhio del Novecento cit.
14
S. Boym, Ipocondria del cuore: nostalgia, storia e memoria, in Nostalgia. Saggi sul rim-
pianto del comunismo, a cura di F. Modrzejewski e M. Snzajderman, Bruno Mondadori, Mi-
lano 2003, pp. 49-68.

12
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Teorie e pratiche della nostalgia

flessiva) e una di terzo ordine (interpretata)15. La prima è il semplice


rimpianto del passato; la seconda vi aggiunge una sorta di controcan-
to (un coro greco, dice Davis), chiedendosi se «le cose stessero davve-
ro così» come il soggetto le evoca. La nostalgia di terzo ordine, inve-
ce, cerca di oggettivare il sentimento e viene paragonata alla epoché fe-
nomenologica nel suo chiedersi il perché di questa nostalgia, il suo
senso per lo ieri e per l’oggi. L’elemento importante per noi è però che
anche in questo stadio complesso la nostalgia primaria non viene abo-
lita, ma coesiste con la sua interpretazione.
Allo stesso modo, il cinema è insieme la principale fucina di modi
di fruire nostalgicamente il passato (ossia: ci dà insieme gli oggetti del
passato, gli strumenti per fruirli e le modalità d’uso per fruirne altri) e
un terreno in cui mostrare, se non la critica del mito, la possibilità di
un suo riuso creativo.
Di volta in volta, l’ago della bilancia si può spostare verso una delle
due direzioni: la creazione di miti nostalgici moderni, di modelli o og-
getti, oppure (e a volte: nello stesso tempo) la riflessione, indulgente o
polemica, in una decostruzione della potenza dei media attraverso i me-
dia stessi. Così, vedremo che in un film come American Graffiti (1973)
di George Lucas ci si trova in equilibrio tra una resurrezione emotiva-
mente carica, «in prima persona», degli anni sessanta e una loro impli-
cita funzione critica nei confronti della distruzione di una generazione,
mentre un film successivo come Grease (1978) di Randal Kleiser si tro-
verà pienamente spostato sul piano del richiamo in vita di (immagini di)
un decennio su cui modellare il presente. In altri casi, sarà più evidente
la nostalgia cinefila, ormai divenuta rimpianto per un mezzo di comu-
nicazione superato, come in L’ultimo spettacolo (The Late Show, 1971)
di Peter Bogdanovich, Effetto notte (La nuit américaine, 1973) di
François Truffaut e successivamente Lo stato delle cose (Der Stand der
Dinge, 1982) di Wim Wenders.
E se negli Usa i due movimenti sono quasi sempre appaiati, evo-
cando e propagandando uno stile del passato anche quando sono cari-
chi di una volontà autocritica nei confronti di un periodo (si pensi ai
«nostalgia movies» degli anni settanta, da Gangster Story, Bonnie and
Clyde, 1967 a Come eravamo, The Way We Were, 1973), in Italia, co-
me vedremo subito, il lato riflessivo sarà agevolato da una serie di ra-
gioni storiche e culturali.
Questo doppio binario, però, si badi, finisce col costituire la pecu-
liarità del cinema rispetto agli altri media visivi, la sua natura anfibia, e
15
Davis, Yearning for Yesterday cit., pp. 16-29.

13
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Morreale, L’invenzione della nostalgia

la capacità di gestire la nostalgia è una riprova della sua capacità di


«mediare fra l’estetico e il comunicativo»16. I media successivi, dalla te-
levisione a internet, erediteranno e approfondiranno la potenza gene-
ratrice di immagini del passato propria del cinema, ma non le sue ca-
pacità autocritiche17. E anche nei tentativi di recupero «ironico» del
passato, il trionfo del modernariato, del vintage, della degustazione di
pezzi di media passati sarà quasi sempre tanto potente da non consen-
tire spazio a strategie estetiche di profondità, a reali decostruzioni e ri-
letture. «Non è più tempo di compromessi produttivi e rivelatori»18: il
mondo dei new media non punta sulle mediazioni ma sulla liquefa-
zione delle posizioni. Il cinema come lo abbiamo conosciuto perde
dunque la sua centralità, ma la nostalgia e il vintage possono celebrare
i loro trionfi anche in assenza di quel che abbiamo tradizionalmente
conosciuto col nome di storia, memoria ed esperienza19.

4. A che serve la nostalgia?

Evidentemente, la nostalgia e le sue forme sono qui considerate nel


loro aspetto di formazione sociale. Viene da chiedersi però, allora, qua-
li sono i meccanismi in base ai quali la nostalgia funziona, a quali im-
perativi obbedisce, cosa la rende così efficace: insomma, a cosa serve.
Una risposta è quella che ha tentato il più volte citato Fred Davis,
rifacendosi alla sociologia fenomenologica. Secondo la sua lettura, la
16
Casetti, L’occhio del Novecento cit., p. 43. Più in generale, il rapporto con la nostalgia
fa parte del rapporto che il cinema ha intrattenuto con il reale: «Grazie ai film, abbiamo con-
tinuato a maneggiare il reale; ma, maneggiandolo, lo abbiamo anche lasciato trasformare in
qualcosa d’altro; certo, in questo modo esso si è reso ancora più nostro; ma, trasformando-
si, ci si è sciolto tra le dita. […] In altre parole, il cinema è ciò che ha cercato di trattenere il
reale nel momento in cui esso usciva dall’orizzonte della nostra esperienza e che contempo-
raneamente si è inserito nel più generale sentimento di smarrimento che il secolo ha etichet-
tato come “perdita dell’esperienza”, o come “esperienza della perdita”» (ibid., p. 299).
17
Ovviamente l’affermazione non va generalizzata, ed esistono sempre fasi diverse e
possibilità di controspinte, e soprattutto riusi dei prodotti del passato mediatico. Come no-
ta George Lipsitz: «Per alcune popolazioni in certi momenti, lo spettacolo commerciale è la
storia: un deposito di memoria che situa l’esperienza immediata nel contesto del cambia-
mento temporale. Gli stessi media che volgarizzano e distorcono la cultura, che trasforma-
no l’arte in bene di consumo, e che oscurano le intenzioni degli artisti, forniscono però dei
legami pieni di significato ai nostri passati e al passato altrui» (Time Passages. Collective Me-
mory and American Popular Culture, Minnesota University Press, Minneapolis 1990, p. 5).
18
Casetti, L’occhio del Novecento cit., p. 294.
19
Sulla mutazione del concetto di esperienza, si vedano A. Scurati, La letteratura dell’i-
nesperienza, Bompiani, Milano 2007, e F. Casetti, L’esperienza filmica: qualche spunto di ri-
flessione, in www.francescocasetti.net. Sulla differenza tra nostalgia e memoria, si veda infra,
par. 10.

14
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Teorie e pratiche della nostalgia

nostalgia è indispensabile alla gestione dell’io e delle sue discontinuità:


le paure e i disagi del presente, minacce per la conservazione dell’iden-
tità personale dei soggetti, vengono bilanciate dal richiamo a un sé pre-
cedente, che al limite può anche essere più bizzarro ed esclusivo di
quello presente. La nostalgia agisce come mezzo di autoconservazio-
ne in triplice modo: «1) coltivando degli atteggiamenti di apprezza-
mento per i nostri io passati; 2) schermando nella memoria lo spiace-
vole e il vergognoso, e 3) riscoprendo e, attraverso un processo di nor-
malizzazione, riabilitando i versanti marginali, fuggitivi ed eccentrici
degli io precedenti»20.
Da qui, ad esempio, deriverebbe il fenomeno rappresentato dal
modo di dire nostalgie pour la moue (nostalgia della melma), o di al-
cuni gusti marginali e poveri ai quali si guarda da adulti con indulgen-
za, ma che in effetti garantiscono la coesione dell’io in una doppia di-
rezione: da un lato certificando la non completa appartenenza al pro-
prio ruolo sociale (io non coincido con la mia professione o il mio sta-
tus attuale, in me c’è anche dell’altro: il consumatore di fumetti o di
canzonette di cui in apparenza vergognarsi)21: dall’altro, nei momenti
di maggiore incertezza sociale, conservare gli aspetti più teneri del pas-
sato garantisce al soggetto una specie di riserva di nobiltà di dolcezza
che lo preserva (sono sempre io, quel bambino e quell’adolescente che
è stato felice e ha avuto sentimenti intensi).
Questo spiegherebbe abbastanza bene, tra l’altro, perché i momen-
ti di massima emergenza della nostalgia siano stati, per la società, quel-
li di maggior incertezza sociale (gli Stati Uniti degli anni settanta, tra
Watergate e crisi petrolifera) e dall’altro perché le fasi del ciclo della vi-
ta più esposte alla nostalgia siano quelli di passaggio (tra adolescenza e
giovinezza, tra giovinezza e maturità) in cui la continuità dell’io ha
maggiori esigenze di venir «trattenuta» dai rischi di dispersione, mo-
menti che «esigono da noi la più alta capacità di adattamento e cam-
biamento identitario»22.
Ma va aggiunto anche che un ulteriore elemento di potenziamento
sta nel fatto di poter condividere questi sentimenti, possibilità ampli-
20
Davis, Yearning for Yesterday cit., p. 45.
21
Ibid., p. 41.
22
Ibid., pp. 42-9. E inversamente, «un presente fortemente configurato tende a dissipa-
re le risorse nostalgiche del passato» (p. 61), per cui, al limite, «così come è pressoché im-
possibile concepire nostalgia in un mondo di continuità perfetta e uniforme, cioè in un mon-
do senza transizione, così è ugualmente difficile concepirla in un mondo di incessante di-
scontinuità» (p. 49).

15
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Morreale, L’invenzione della nostalgia

ficata dai media (e oggi esplosa grazie a forme di comunicazione come


internet): insomma, «la nostra nostalgia per quegli aspetti del nostro
passato che erano “bizzarri e peculiari” diventa la base per rendere più
profondi i nostri legami con gli altri e per rassicurarci che non erava-
mo poi così strani»23.
Tale spiegazione, largamente condivisibile, andrebbe però oggi in-
tegrata e ampliata. La nostalgia è ormai una costante così pervasiva de-
gli stili di vita e delle identità personali, che la sua associazione a mo-
menti di trauma storico perde di rilevanza. Semmai, si dovrebbe par-
lare di uno stato di morbido shock continuo, perfettamente consono
all’«età dell’incertezza». Quando le identità (professionali, politiche) si
fanno deboli, «liquide» direbbe Zygmunt Bauman, e devono essere
continuamente ridefinite sempre sapendo di doverle rinegoziare, la
nostalgia rimane un ormeggio fondamentale, e anche quando si tratti
di una nostalgia allogena. Anzi, forse proprio per questo: perché es-
sendo in qualche modo condivisa e controllata, situabile in oggetti, es-
sa fornisce una consistenza impossibile da trovare altrove.
È un passaggio delicato. Se la nostalgia ha ormai come presuppo-
sto la fine del senso della temporalità storica, il passato può tornare
(e in effetti torna spesso) sotto forma di immagine, perché esso è
qualcosa di situato spazialmente. La forma principale di questa ap-
propriazione post-storica è la moda: una moda dal carattere di cita-
zione, in cui il passato è letteralmente un magazzino, un guardaroba,
nel quale diventa maggioritaria (e perde molto del suo valore di resi-
stenza individuale) la figura del cercatore di frammenti di passato ti-
pico della modernità benjaminiana, il bricoleur o il robivecchi. E la
nostalgia, ossia il sogno di un tempo passato accompagnato da un’in-
tensa emozione dolceamara, diventa qualcosa insieme di più profon-
do e di più vago: un motore e un sentimento di fondo per la gestione
del presente, l’orientamento estetico nel quotidiano, la formazione di
legami affettivi e sociali24.

23
Ibid., p. 43. Un movimento dialettico (questo tra diversità e conformità) che ricorda
molto da vicino quello della moda, come Davis stesso nota (p. 44).
24
Ancora Jameson, in riferimento al postmodernismo, descrive una situazione molto si-
mile: una liberazione dall’angoscia che è «anche una liberazione da ogni altro tipo di senti-
mento, visto che non si dà più un io che possa provarlo. Questo non vuol dire che i prodot-
ti culturali dell’era postmoderna siano del tutto privi di sentimento, ma piuttosto che tali
sentimenti – che sarebbe meglio chiamare più precisamente “intensità”, secondo Jean-
François Lyotard, – fluttuano liberamente, sono impersonali e tendono a essere dominati da
un particolare tipo di euforia» (F. Jameson, Postmodernismo, ovvero la logica culturale del
tardo capitalismo [1991], trad. it. di M. Manganelli, Fazi, Roma 2007, p. 32).

16
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Teorie e pratiche della nostalgia

5. Storia della nostalgia.

Il termine «nostalgia» ha una data di nascita recente ed esattamente


situabile. Viene creato come neologismo medico, introdotto dal dician-
novenne alsaziano Johannes Hofer nella sua Dissertatio Medica de No-
stalgia (1688) e definito come «la tristezza ingenerata dall’ardente bra-
ma di tornare in patria»25. Parente della malinconia e dell’ipocondria, se
ne distingue per dei tratti più «democratici»: è malessere di sradicati, di
soldati (svizzeri, per lo più) e marinai lontani da casa, è insomma pato-
logia borghese e moderna (o piuttosto: lo diviene appunto quando vie-
ne trasposta e schedata come patologia)26. Ma più precisamente sem-
brerebbe nascere dall’attrito tra vecchio e nuovo, e infatti gli Stati Uni-
ti se ne riterranno immuni fino a gran parte dell’80027.
Infatti in un secondo momento, la caratterizzazione geografica del-
l’origine della nostalgia (letteralmente «dolore del ritorno», desiderio di
tornare a casa, al luogo da cui si proviene) lascia il posto a una di tipo
storico: la nostalgia diventa quindi anche il senso della perdita del pas-
sato, non necessariamente legato a un luogo che si è lasciato.
Fu solo con il disancoramento della parola dalla sua base patologica, con
la sua de-militarizzazione e de-medicalizzazione (cui seguì altresì un processo
di «de-psicologizzazione»), che essa cominciò ad acquisire molte delle conno-
tazioni che ha oggi28.
In questo senso si potrebbe dire, ribaltando la celebre frase di Mes-
saggero d’amore di Losey (e del romanzo di Leslie Poles Hartley che
ne è all’origine), il passato non è «una terra straniera», ma semmai la
patria lontana, ed è piuttosto il presente a essere straniero29.
La nostalgia, dunque, dopo una breve e fortunata storia all’interno
della disciplina medica (da cui esce quasi completamente ai primi del
Novecento) cambia completamente area semantica, e nel far ciò muta
25
In A. Prete (a cura di), Nostalgia. Storia di un sentimento, Cortina, Milano 1992, p. 47
(il volume riporta l’intero testo della dissertazione).
26
«La diagnosi della nostalgia come malattia nel XVII secolo ebbe luogo all’incirca nel
momento storico in cui il concetto di tempo e di storia stava subendo un cambiamento ra-
dicale», ossia alla fine delle guerre di religione, quando si apre quello che Reinhart Koselleck
chiama «un tempo illimitatamente aperto, e aperto al nuovo» (Boym, Ipocondria del cuore
cit., p. 9).
27
Ibid.
28
Davis, Yearning for Yesterday cit., p. 4.
29
Da notare che uno dei pochi casi in cui da subito la nostalgia viene vista come patolo-
gia del tempo e non dello spazio è nell’Antropologia pragmatica (1798) di Immanuel Kant:
la nostalgia non è della patria, ma della giovinezza, tanto che spesso la guarigione consiste sì
nel ritorno a casa, ma non per tornare nella condizione iniziale, bensì per provarne delusio-
ne (in Scritti morali, a cura di P. Chiodi, Utet, Torino 1970).

17
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Morreale, L’invenzione della nostalgia

anche oggetto30. Nel frattempo, dalla Restaurazione al ’48 essa ha nu-


trito i nazionalismi ottocenteschi e il pathos degli esuli.
Ma «come accadde che un malessere di provincia, maladie du
pays, diventasse una malattia dell’epoca moderna, mal du siècle?»31.
Un presupposto fondamentale in questa storia è quella svolta nei
rapporti familiari, con la rivalorizzazione dell’infanzia, narrata nei li-
bri di storici come Philippe Ariès32, e testimoniata dalla nascita di un
genere (o sotto-genere) per noi fondamentale come il «ricordo d’in-
fanzia». Il testo fondativo sono in questo caso le Confessions (1762)
di Jean-Jaques Rousseau, la cui indulgenza a narrare vicende di nes-
suna importanza scandalizzò numerosi lettori dell’epoca. Come ri-
corda Francesco Orlando,
oltre allo scandalo propriamente moralistico per l’audacia di molte scene nar-
rate, oltre alla ripugnanza che poteva suscitare in genere l’esibizione d’una im-
pudica sincerità e d’un egocentrismo mai visto, si individua una sorpresa che
ha direttamente per oggetto l’insistenza di Rousseau sui ricordi d’infanzia mi-
nimi, privi di importanza obiettiva e di significato razionale33.
La nuova, scandalosa maniera di raccontare la propria infanzia si
basa su due poli: la precisione, la minuzia e l’insistenza con cui si evo-
cano i particolari minimi, e la commozione che insorge nel ricordarla.
È quest’ultima la novità sconvolgente, che secondo gli studiosi trova
una spiegazione storica in un senso generale:
se è vero, secondo la tesi di uno storico moderno (Groethuysen, n.d.r.), che il
nuovo spirito borghese aveva poco a poco svuotato la morte del suo pathos
cristiano, ora è come se un diverso pathos, emigrando nel ricordo d’infanzia,
andasse a rifugiarsi all’altra estremità della vita umana34.

In termini non troppo dissimili si era espresso anche Walter Ben-


jamin, quando aveva notato il passaggio dall’allegoria barocca (in-
30
Una storia della fase medica del concetto di nostalgia è condotta mirabilmente da Jean
Starobinski nel suo Il concetto di nostalgia, in «Diogene», aprile-giugno 1966, ora in Prete (a
cura di), Nostalgia. Storia di un sentimento cit., pp. 85-117.
31
Boym, Ipocondria del cuore: nostalgia, storia e memoria cit., p. 7. Ricordiamo che dei
parziali ritorni della nostalgia «geografica», per quanto ormai inscindibile da quella «stori-
ca», si sono ritrovati nei vari casi di emigrazione, come raccontava già decenni fa un classico
di D. Castelnuovo Frigessi - M. Risso, A mezza parete. Emigrazione, nostalgia, malattia
mentale, Einaudi, Torino 1982.
32
Il presupposto rimane il suo Padri e figli nell’età medievale e moderna (1960), trad. it.
di M. Garin, Laterza, Roma-Bari 1976, che già contiene alcune osservazioni sui periodi suc-
cessivi. Ma cfr. anche M. Perrot, Il trionfo della famiglia, in La vita privata. L’Ottocento, a
cura di P. Ariès e G. Duby, specie pp. 122-35, e il libro fotografico Il mondo dei bambini,
sempre con testi di Ariès, Mondadori, Milano 1968.
33
F. Orlando, Infanzia, memoria e storia da Rousseau ai romantici, Pacini, Roma 2007, p. 32.
34
Ibid., p. 39.

18
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Teorie e pratiche della nostalgia

centrata sul cadavere) a quella ottocentesca (basata sull’oggetto di ri-


cordo, il souvenir).
Ma la nostalgia, nel passaggio da patologia curabile a stato d’ani-
mo incurabile, e poi sempre più spostato verso l’esperienza estetica, è
soprattutto inscindibile dalle vicende del concetto di progresso: «la
nostalgia, come emozione storica, è il desiderio di quello “spazio”
sempre più ristretto “dell’esperienza” che non corrisponde più al
nuovo orizzonte di aspettativa. Le manifestazioni nostalgiche sono
effetti collaterali della teleologia del progresso», che in effetti «non era
solo una narrazione dell’evoluzione temporale, ma anche dell’espan-
sione spaziale»35. Ovviamente, l’età del romanticismo moltiplica il
pathos dell’infanzia e la nostalgia del proprio passato, che abbiamo vi-
sto emergere con Rousseau. Se «nei testi romantici la nostalgia diven-
ne eroica», e, come abbiamo accennato, indiretto fondamento per i na-
zionalismi36, in quello stesso periodo emerge anche un particolare
pathos, che consiste nel «riconoscere in oggetti un decorso di tempo
sentito individualmente, e presentarli con patetica compiacenza»37, un
atteggiamento che Francesco Orlando ha definito memore-affettivo, e
che nasce dalla coscienza di una discontinuità storica introdotta dalle
rivoluzioni politiche e industriali.
Ma è solo con la fine dell’Ottocento e gli albori della società di mas-
sa che la nostalgia moderna appare pienamente riconoscibile, con trat-
ti definiti:
La nostalgia come emozione storica raggiunse la maggiore età in epoca ro-
mantica ed è contemporanea alla nascita della cultura di massa. Ebbe inizio
con l’affermarsi del ricordo dell’inizio del XIX secolo che trasformò la cultu-
ra da salotto degli abitanti delle città e dei proprietari terrieri istruiti in una
commemorazione rituale della giovinezza perduta, delle primavere perdute,
delle danze perdute, delle occasioni perdute. […] Tuttavia questa trasforma-
zione della cultura da salotto in souvenir era festosa, dinamica e interattiva; fa-
ceva parte di una teatralità sociale che trasformava la vita quotidiana in arte.
[…] Il malinconico senso di perdita si trasformò in uno stile, una moda di fi-
ne Ottocento38.

35
Boym, Ipocondria del cuore: nostalgia, storia e memoria cit., p. 11.
36
Ibid., p. 15.
37
F. Orlando, Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura, Einaudi, Torino 1993,
p. 337. Anche in questo caso, uno dei primissimi esempi viene rinvenuto in Rousseau.
38
Boym, Ipocondria del cuore: nostalgia, storia e memoria cit., pp. 18-9. Boym ricorda co-
me anche alle origini delle scienze sociali moderne si trovi spesso una (esplicita o meno) no-
stalgia: «la comunità tradizionale in Tönnies, il “comunismo primitivo” della società prefeu-
dale in Marx, l’incanto della vita pubblica in Weber, la socievolezza creativa in Georg Simmel
o la “civilizzazione integrata dell’antichità” nei primi scritti di György Lukács» (p. 29).

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Morreale, L’invenzione della nostalgia

Gli studiosi sono concordi nell’intravedere i primi tratti di questa


sensibilità in alcuni testi di Baudelaire e di suoi contemporanei39, quan-
do si comincia a parlare di «nostalgie des pays e des bonheurs incon-
nus», «nostalgie d’un pays qu’on ignore» (Le Spleen de Paris, XVII). La
seconda rivoluzione industriale e la società di massa, con i suoi cam-
biamenti tumultuosi, rendono più acuto il senso della irreversibilità e
caricano di pathos il sogno della sua inversione, del ritorno all’indietro.
«Ciò che rende questa malattia incurabile è l’irreversibilità del tem-
po»40, scrive Vladimir Jankélévitch (che cita l’immagine dell’apprendi-
sta stregone, evocata già da Marx come metafora del capitalismo). E se-
condo Jean Starobinski, il modello della nostalgia come patologia, pas-
sando dai luoghi (la patria) al tempo (passato) presiederà alla nozione
freudiana di regressione41.
Jankélévitch, proseguendo quest’analisi nel segno del romantici-
smo, vede nella musica l’arte nostalgica per eccellenza, proprio perché
essa è indissolubilmente legata allo scorrere nel tempo, ma può essere
rieseguita e quindi tornare a ri-scorrere davanti ai nostri occhi: «di-
scorso temporale, è irreversibile come la vita; rispetto alla vita, tutta-
via, l’opera musicale è reiterabile», anzi «un irreversibile curiosamente
manipolabile in cui il rimedio ci viene dato insieme al male»42. Ma se
proseguiamo su questa linea di riflessione, ben più intrinsecamente le-
gati alla nostalgia appariranno allora i media che in qualche modo so-
no coetanei della sua forma matura, e che si avviano a segnare il seco-
lo nascente: la fotografia e soprattutto il cinema.
Nella fotografia ad esempio, come noterà nel 1927 Siegfried Kra-
cauer paragonandola implicitamente al cinema, «il tempo non è raffi-
gurato, come lo sono il sorriso e lo chignon, ma la fotografia stessa,
così sembra ai nipoti, è un’immagine del tempo. Se solo la fotografia
conoscesse durata, non sarebbero sorriso e chignon a conservarsi
semplicemente al di là del tempo, quanto piuttosto il tempo a creare
da essi le proprie immagini». E come ha ricordato Leo Charney com-
mentando le teorie di Jean Epstein, l’interazione tra shock dell’imma-
39
Così, ad esempio, Prete (a cura di), Nostalgia. Storia di un sentimento cit., p. 17, men-
tre Boym presenta, come scene esemplari di nostalgia riflessiva moderna: «l’amore all’ultimo
sguardo di Baudelaire, l’eterno ritorno e l’oblio alpino di Nietzsche e l’incontro di Benjamin
con l’angelo della storia (p. 26).
40
L’irréversible et la nostalgie (1974), ora in Prete (a cura di), Nostalgia. Storia di un sen-
timento cit., p. 154.
41
Starobinski, Il concetto di nostalgia cit., p. 117. Anche Davis tratta il legame tra nostalgia
e arte, e anzi tenta di identificare una serie di espedienti retorici e stilistici che nelle varie arti
possono evocare la nostalgia: da un lungo «legato» in minore per la musica a una specie di free-
ze nella pittura, all’uso delle fotografie nel cinema (Yearning for Yesterday cit., pp. 81-4).
42
Ibid., pp. 162-3.

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Teorie e pratiche della nostalgia

gine e continuità nel tempo è quella che pone i termini per lo svilup-
po del cinema, e per la sua centralità nel secolo43. A questo punto,
varrà la pena ricordare ancora una volta che il 1895, oltre che la data
della prima proiezione dei Lumière, è anche quella della prima pub-
blicazione de La macchina del tempo di Herbert George Wells…44.

6. Tra moderno e postmoderno:


la nostalgia nell’era della sua riproducibilità tecnica.

È su questo sfondo che, tra Ottocento e Novecento, prendono for-


ma le grandi elaborazioni artistiche e filosofiche della memoria di
Bergson e di Proust, con la distinzione, da parte del primo, tra memo-
ria pura e memoria-abitudine, e la sconfinata opera del secondo, iden-
tificata ben presto con alcuni elementi come la memoria involontaria,
che riattiva frammenti sepolti di passato45, e che è forse ultimo rifugio
dell’io e sorgente del bello46. Entrambe le posizioni ci interessano qui
però anche a confronto con una modernità ormai pienamente dispie-
gata, metropolitana, industriale e capitalista: quella raccontata, ad
esempio, nelle pagine coeve di Georg Simmel47. Perché è da notare an-
che che «le esperienze veicolate dalla memoria involontaria […] sono
possibili perché viviamo secondo ritmi sincopati, in quanto la conti-
nuità che l’io vorrebbe imporre al passato, per renderlo interamente
disponibile, non riesce ad affermarsi»48.
43
L. Charney, In a Moment: Film and the Philosophy of Modernity, in Cinema and the
Invention of Modern Life, a cura di L. Charney e V. R. Schwartz, University of California
Press, Berkeley-Los Angeles-Londra 1995, pp. 277-94. Sul tema, si veda anche il classico S.
Kern, Il tempo e lo spazio. La percezione del mondo tra Otto e Novecento (1983), trad. it.
di B. Maj, il Mulino, Bologna 1988.
44
Sulla relazione tra nascita del cinema e riflessione sui paradossi temporali (da Wells a
William James) si veda R. Bodei, Paradossi temporali nelle culture di fine Ottocento, in
«Filmcritica», 1989, 400, pp. 632-40.
45
R. Bodei, Risorgere da se stessi: Bergson e Proust, in Id., Destini personali. L’età della
colonizzazione delle coscienze, Feltrinelli, Milano 2002, pp. 117-35. Cfr. anche S. Poggi, Gli
istanti del ricordo. Memoria e afasia in Bergson e Proust, il Mulino, Bologna 1991.
46
Per il tema del bello e dell’arte, e il suo intreccio con quello della memoria, si veda H.
R. Jauss, Tempo e ricordo nella «Recherche» di Marcel Proust (1955), Le Lettere, Firenze
2003, e G. Deleuze, Marcel Proust e i segni (1964), trad. it. di C. Lusignoli e D. De Agosti-
ni, Einaudi, Torino 2001.
47
Mi riferisco soprattutto al celebre saggio su La metropoli e la vita dello spirito, Ar-
mando, Roma 1995. Su questi aspetti dell’opera di Simmel si veda D. Frisby, Frammenti di
modernità. Simmel, Kracauer, Benjamin, trad. it. di V. Livini, il Mulino, Bologna 1992; Sim-
mel à la carte, a cura di P. Violante, Ila Palma, Palermo 1997, e A. Dal Lago, Il conflitto del-
la modernità, il Mulino, Bologna 1994.
48
Bodei, Destini personali cit., p. 126.

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Morreale, L’invenzione della nostalgia

Da notare poi, di sfuggita, come per Proust (lo hanno notato inter-
preti diversi, da Antoine Compagnon a Gilles Deleuze)49 la memoria in-
volontaria abbia un ruolo essenzialmente costruttivo, che permette un
valore in definitiva conoscitivo dei meccanismi di rievocazione del pas-
sato. In essa dunque lo stordimento nostalgico ha un valore momenta-
neo, verrebbe da dire strumentale. Ed è proprio questo tratto a segnare
la differenza tra la memoria involontaria proustiana e la sensibilità che è
al centro del nostro studio, nella quale lo shock emotivo (piacevole e do-
loroso) della rievocazione di un passato intimo non prelude a nient’al-
tro, è fine a se stesso e la sua caratteristica peculiare è semmai quella di
essere sempre più ripetibile da parte del soggetto, e riproducibile50.
Walter Benjamin, che a partire anche da Proust e da Baudelaire si
interrogherà sull’intreccio di passato e presente storico, sulla memoria
e il recupero del passato, insisterà anch’egli su questo punto:
Bergson non si propone affatto di specificare storicamente la memoria; e
respinge, anzi, ogni determinazione storica dell’esperienza. Con ciò egli evita,
anzitutto ed essenzialmente, di doversi avvicinare a quell’esperienza da cui è
sorta la sua stessa filosofia, o contro la quale, piuttosto, essa è stata mobilitata,
che è quella ostile, accecante, dell’epoca della grande industria51.

Il rapporto tra Bergson e Proust è espresso dal filosofo tedesco in


termini chiarissimi:
Si può considerare l’opera di Proust, Á la recherche du temps perdu, come
il tentativo di produrre artificialmente, nelle condizioni odierne, l’esperienza
come intesa da Bergson. (Poiché sulla sua genesi spontanea sarà sempre più
difficile contare)52.

Proust però, se da un lato ha sperimentato su di sé il modello di


esperienza bergsoniana, dall’altro è piuttosto un tragico pioniere. Egli,
49
A. Compagnon, Proust tra due secoli. Miti e clichés del decadentismo nella Recherche
(1989), trad. it. di F. Malvani, Einaudi, Torino 1992; Deleuze, Marcel Proust e i segni cit.
50
Per il rapporto tra Proust e il cinema, si veda A. Masecchia, Al cinema con Proust,
Marsilio, Venezia 2008; Proust et les images. Peinture, photographie, cinema, video, Pres-
ses Universitaires de Rennes, Rennes 2003. È celebre, e spesso confutato, il paragone tra
memoria, sensazioni e cinema in un passo del Temps retrouvé: «Un’immagine offerta dal-
la vita ci reca in realtà, in quel dato momento, sensazioni multiple e differenti… Un’ora
non è soltanto un’ora, è un vaso colmo di profumi, di suoni, di propositi, di climi. Ciò che
noi chiamiamo realtà è un certo rapporto fra le sensazioni e i ricordi che ci circondano si-
multaneamente – rapporto che sopprime una qualsiasi visione cinematografica, la quale,
appunto per questo, tanto più s’allontana dal vero, quanto più pretende d’aderirvi – rap-
porto unico che lo scrittore deve ritrovare…» (Il tempo ritrovato, trad. di G. Caproni, Ei-
naudi, Torino 1958, p. 184).
51
Di alcuni motivi in Baudelaire (1939), in Angelus Novus, a cura di R. Solmi, Einaudi,
Torino 1962, p. 91.
52
Ibid.

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Teorie e pratiche della nostalgia

secondo Benjamin, ha esperito (e subìto) come individuo solitario una


forma culturale destinata a diventare ben presto di massa:
Ogni corrente della moda o della visione del mondo riceve la sua spinta da
ciò che era caduto nella dimenticanza. Questa spinta è tanto forte che in gene-
re solo il gruppo vi si può abbandonare, il singolo – il precursore – minaccia
di crollare sotto il peso della sua forza, com’è accaduto a Proust. In altre pa-
role: ciò che Proust esperì come individuo nel fenomeno della rammemora-
zione (Eingedenken) noi siamo costretti a viverlo – come punizione, per così
dire, per l’indolenza che ci ha impedito di farcene carico – come «corrente»,
«moda», «tendenza»53.

Proprio Benjamin ci illumina maggiormente su questa fase decisiva


della storia della memoria, e sulla sua importanza per il concetto di no-
stalgia; sul suo intrecciarsi con la società di massa e la crisi dell’espe-
rienza. In Benjamin il passato, esplicitamente legato al tempo dell’in-
fanzia, pur ripresentandosi anche in forme traumatiche e orrorifiche, è
il luogo in cui è depositato il futuro. Come si legge in uno dei mate-
riali preparatori delle cosiddette Tesi di filosofia della storia:
Il passato ha depositato in sé immagini che possono paragonarsi a quelle che
si fissano su una lastra sensibile. Solo il futuro può svilupparle: quelle che sono
abbastanza forti, perché possa apparire l’immagine in tutti i suoi dettagli54.

Non è un caso che Benjamin si dedichi a studiare la melanconia ba-


rocca. Nell’età presente si osserva infatti un ritorno delle modalità al-
legoriche, da lui studiate in relazione al dramma barocco tedesco, sot-
to nuove forme:
Le allegorie, le forme espressive eminenti del barocco, hanno appunto
per oggetto l’oblio che si illumina, senza per questo diventare interamente
comprensibile, il passato allusivo, perturbante, pietrificato, murato, i cada-
veri e le rovine55.

Ma oggi il cadavere, che suscitava la melanconia barocca, è quello


dell’esperienza:
Il «ricordo» è complementare all’«esperienza vissuta» (Erlebnis). In esso si
deposita la crescente autoestraneazione dell’uomo, che cataloga il suo passato
come un morto possesso. L’allegoria ha sgombrato, nell’Ottocento, il mondo

53
G. Simmel, I «passages» di Parigi, Einaudi, Torino 2000, p. 439.
54
Cit. in R. Bodei, Le malattie della tradizione. Dimensioni e paradossi del tempo in Wal-
ter Benjamin, in Aa.Vv., Walter Benjamin: tempo, storia, linguaggio, Editori Riuniti, Roma
1982, p. 216. Come ricorda sempre Bodei: «Il presente non si determina per Benjamin attra-
verso la finzione di un punto che scorre lungo una retta infinita, bensì attraverso la sincro-
nia, la simultaneità delle immagini, che si decifrano mediante rimandi reciproci, che forma-
no un orizzonte di senso o una costellazione».
55
Bodei, Le malattie della tradizione cit., p. 213.

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Morreale, L’invenzione della nostalgia

esteriore per stabilirsi in quello interno. La reliquia deriva dal cadavere, il «ri-
cordo» dall’esperienza defunta, che si definisce, eufemisticamente, «esperien-
za vissuta». […] La melancholia, nell’Ottocento, ha un altro carattere che nel
Seicento. La figura-chiave della vecchia allegoria è il cadavere. La figura-chia-
ve della nuova allegoria è il «ricordo» (An-denken). Il «ricordo» è lo schema
della trasformazione della merce in oggetto di collezione56.

I nuovi mezzi di comunicazione di massa hanno un ruolo essen-


ziale in questo processo57. A monte di questa contemplazione dell’e-
sperienza come reperto, souvenir, c’è la separazione tra le tecniche ar-
tistiche e il bello, che crea, a cavallo tra Otto e Novecento, delle stra-
ne formazioni miste, suggestive, inquietanti e struggenti, sospese un
attimo prima della completa mercificazione: i Passages, ad esempio, e
più in generale quelle rovine urbane, che sono «l’innalzamento della
merce allo stato di allegoria»58.
Lo sviluppo delle forze produttive ha distrutto i sogni e gli ideali del seco-
lo scorso, prima ancora che fossero crollati i monumenti che li rappresentava-
no. Questo sviluppo ha emancipato, nell’Ottocento, le varie forme creative
dall’arte, allo stesso modo che, nel Cinquecento, le scienze si erano separate
dalla filosofia. Comincia l’architettura come costruzione tecnica. Segue la ri-
produzione della natura nella fotografia. La creazione fantastica si prepara a
diventare pratica come grafica pubblicitaria. La letteratura si sottopone al
montaggio nel feuilleton. Tutti questi prodotti sono in procinto di trasferirsi
come merci sul mercato. Ma esitano ancora sulla soglia59.

Si può dunque dire che nostalgia e modernità nascono insieme, e


non sorprenderà allora che il cinema diventi, come vedremo subito,
oggetto e soggetto privilegiato di ritorni del passato prossimo, mode e
nostalgie. Il cinema nasce dalle stesse condizioni culturali e sociali che
producono quel che oggi chiamiamo nostalgia. E le maniere di gestire
e negoziare la nostalgia rimarranno sempre uno dei suoi punti di for-
za, e lo saranno anche per gli altri strumenti che ne prenderanno il po-
sto alla guida del sistema dei media.
56
Parco Centrale, in Angelus Novus cit., pp. 140, 143.
57
Sul rapporto tra Benjamin e il cinema (non limitato ovviamente al saggio su L’opera
d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica) si veda almeno M. Pezzella, Estetica del ci-
nema, il Mulino, Bologna 1997; Casetti, L’occhio del Novecento cit., pp. 23-43; R. W. Allen,
The Aesthetic Experience of Modernity: Benjamin, Adorno and Contemporary Film Theory,
in «New German Critique», 1987, 40; R. De Gaetano (a cura di), Benjamin, il cinema e i me-
dia, Pellegrini, Roma 2007.
58
Simmel, I «passages» di Parigi cit., p. 217.
59
Baudelaire e Parigi, in Angelus Novus cit., p. 160. Lo stesso fenomeno impregna ad-
dirittura i luoghi più intimi della vita moderna, come la struttura della dimora borghese: «La
formula dell’intérieur è nella frase di Kierkegaard “aver nostalgia di casa sebbene si sia a ca-
sa”» (Simmel, I «passages» di Parigi cit., p. 232).

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