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Emiliano Morreale
DONZELLI EDITORE
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ISBN 978-88-6036-355-8
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Indice
V
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85 3. Classe di burro
89 4. «Ci illudevamo di essere spettatori»
94 5. Lanterne magiche e lanterne cieche
VI
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Indice
283 Ringraziamenti
1. Gina Lollobrigida in La donna più bella del mondo (1955) di Robert Z. Leonard.
2-4. Locandine in stile anni trenta: Bonnie and Clyde (1967) di Arthur Penn,
Chinatown (1974) di Roman Polański e Il conformista (1971) di Bernardo Bertolucci.
5-6. Amarcord (1974) di Federico Fellini.
7. Silvana Mangano in Morte a Venezia (1971) di Luchino Visconti.
8. Nanni Moretti in La messa è finita (1985).
9. Vogliamo anche le rose (2007) di Alina Marazzi.
10. Lascia perdere, Johnny! (2007) di Fabrizio Bentivoglio.
11. Romanzo criminale (2003) di Michele Placido.
12. Il Divo (2008) di Paolo Sorrentino.
13-14. Il nuovo Maggiolino Volkswagen a confronto con il vecchio modello.
VII
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a Goffredo
ad Alì, a Vivì
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1. Premessa.
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naggi dei fumetti che vengono aggiornati. Interi canali tematici delle tv
satellitari sono dedicati alle repliche di vecchie trasmissioni. Una parte
ormai maggioritaria dei romanzi degli scrittori italiani sotto i cin-
quant’anni è composta da rievocazioni del periodo tra la fine dei set-
tanta e i primi ottanta (e delle canzoni, e dei programmi tv), luogo pre-
diletto anche dalla narrativa americana e dagli autori di graphic novel.
Un giro rapido su internet ci spedisce su centinaia di siti, forum, blog
in cui si ripropongono, si rimpiangono, si ricordano in tribù più o me-
no ampie i cartoni animati, le sigle, i telefilm di venti-trent’anni fa. Nel-
la pubblicità, poi, l’ammicco ai media del passato è una costante. Anzi,
più le merci e i media sono nuovi e richiedono il nostro adattamento (si
potrebbe dire: la nostra mutazione), più si vestono di panni oscura-
mente familiari, che sono per lo più quelli dei loro antenati, dei media
e delle merci di decenni prima. E non è necessario che, per suonare «fa-
miliari», si rifacciano a periodi che gli spettatori e i consumatori abbia-
no davvero conosciuto di persona.
Beninteso, non si vuol dire qui che le nostalgie personali siano del
tutto scomparse: ognuno di noi serba memoria, con relativo carico
d’affetto, di parenti, amici, luoghi (e di se stesso). Solo, a partire da al-
cune generazioni, questo tipo di esperienza è inestricabile e subordi-
nato a un altro tipo, quello del consumatore di merci che ritornano
simili ad altre merci precedenti. Non solo quest’ultimo tipo di no-
stalgia convive col primo, e quantitativamente lo sovrasta, ma si può
anche ipotizzare che le forme in cui ogni tipo di nostalgia viene espe-
rita, i pattern dell’esperienza siano tarati e concepiti nei e per i media,
per identità di spettatori e di consumatori. Come ha scritto Arjun
Appadurai:
Le tecniche di commercializzazione di massa non solo costruiscono il tem-
po […], ma inoltre influenzano la periodizzazione in forma di esperienza di
massa nelle società contemporanee. […] Nella misura in cui il consumo è sem-
pre più orientato a frugare nelle storie immaginate, la ripetizione non si basa
semplicemente sul funzionamento di simulacri nel tempo, ma anche sulla for-
za di simulacri del tempo. Non solo cioè il consumo, attraverso la sua perio-
dicità, crea il tempo, ma l’attività della nostalgia surrogata crea i simulacri di
quei periodi che costituiscono il flusso del tempo, concepito come perduto, as-
sente o distante1.
Per andare alle origini di questo fenomeno che appare sempre più
pervasivo di generazione in generazione, di media in media, questo li-
1
A. Appadurai, Modernità in polvere (1996), trad. it. di P. Vereni, Meltemi, Roma 2001,
p. 108.
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F. Davis, Yearning for Yesterday. A Sociology of Nostalgia, The Free Press, New York
1979, pp. VIII, 10-1.
3
A. Tarpino, Geografie della memoria. Case, rovine, oggetti quotidiani, Einaudi, Tori-
no 2009, p. 129. Al riguardo, l’autrice ha mostrato l’illuminante paradosso dell’adattamento
cinematografico di Casa Howard realizzato da James Ivory, nel quale l’opposizione tra
mondo rurale e modernità industriale del romanzo di Forster stinge, perché sono gli stessi
oggetti della modernità (a cominciare dai vecchi modelli di automobile e dalla moda dell’e-
poca) a risultare evocatori di nostalgia forse ancora maggiore sullo schermo.
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teria di cui sono fatte le loro immagini: la pellicola in bianco e nero per
gli anni cinquanta e sessanta, il super 8 a colori per i primi sessanta e
per i settanta, il video a mediocre definizione degli anni ottanta – e in-
sieme a tutto questo una distesa di merci prima che di eventi: automo-
bili, abiti, manifesti cinematografici… Perciò, se ci si riflette, è forse
possibile fare film pienamente nostalgici solo su epoche successive al-
la nascita della fotografia e del cinema, e che dunque mostrino qualco-
sa che il cinema e la fotografia hanno già fatto proprio: un film nostal-
gico sul XVI secolo è impensabile. Il che, ci si può chiedere, ha forse
oscuramente a che fare con lo strano fenomeno per cui al cinema «il
vedere è sempre un ri-vedere, è ripercorrere con gli occhi ciò che, in
qualche modo, “è già stato”»4.
Non bisogna poi credere che la nostalgia sia un fenomeno immu-
tabile, che essa faccia parte dell’inevitabile ciclo delle generazioni da
secoli, dei riti di passaggio per cui ogni generazione rimpiange il pro-
prio passato e lo considera migliore del presente, e la cosa si ripeterà
col presente una volta che esso sarà ricordato come la giovinezza di
un’età adulta a venire.
In questo, è un altro inevitabile presupposto del nostro discorso il
bon mot che Simone Signoret usò come titolo della propria autobio-
grafia: «La nostalgia non è più quella di una volta». E oltretutto, non si
tratta di modificazioni recenti in un fenomeno senza origini, ma di un
fenomeno storico molto recente, databile abbastanza precisamente e
che ha subìto delle radicali modifiche, osservabili con chiarezza. Non
solo la nostalgia è, come qui la intendiamo, un fenomeno squisitamen-
te moderno, ma il tipo particolare di nostalgia che possiamo osservare
quotidianamente in Europa o negli Usa è più specificamente figlio di
quella che viene chiamata età postmoderna, o età della globalizzazione.
2. Un modello mobile.
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che storica: non lontana, se si vuole, da quella del celebre detto marxia-
no per cui «l’anatomia dell’uomo è una chiave per l’anatomia della
scimmia», ossia dalla formazione complessa e compiuta si può risalire
ai suoi stadi precedenti.
Il tipo di sensibilità da cui siamo partiti, lo stadio finale e attuale
di essa, si comincia a definire come sentire collettivo in quella che
Christopher Lasch ha definito «l’età del narcisismo», ed è avvertibi-
le negli Usa in una fase di incubazione già nei primi anni sessanta,
mentre in Italia non se ne avvertono i sintomi se non dopo il ’68 e
poi, in maniera sempre più forte, per tutti gli anni settanta fino al
trionfo degli ottanta. Nel 1979, Fred Davis ne poteva osservare una
formazione già compiuta negli Stati Uniti, e ne proponeva una de-
scrizione da cui si può partire ancor oggi:
1) Mentre in precedenza il paesaggio della nostalgia collettiva era abitato
per lo più da persone, luoghi ed eventi di carattere civile o politico, oggi esso
è abitato sempre più e forse sempre più esclusivamente da creazioni, persona-
lità e citazioni dei media. […]
2) Poiché dalla nostalgia si possono ricavare dei soldi, i media sono giunti
a divorare le loro creazioni passate a un livello sempre crescente. Una conse-
guenza è che il lasso di tempo tra l’«apparizione originale», diciamo, e il suo
riciclaggio nostalgico si è ristretto a una frazione di quel che era in passato.
3) Perfino quel che passa per essere privato e intimo nelle nostre memorie
nostalgiche (tramonti, compleanni, riunioni di famiglia, amici e amori) a causa
della pervasività dei mass media nelle nostre vite ha acquisito una qualità più
comune, familiare e trasmissibile. Ciò è servito anche a sfumare e probabil-
mente a confondere quella che un tempo era una divisione interiore abbastan-
za ben tracciata tra pubblico e privato5.
La centralità dei media, dovuta anche all’aumento del tempo libe-
ro, ha quindi creato una nostalgia più trasmissibile, uniforme:
Questi processi hanno agito anche nel senso di deprivare le nostalgie di al-
cune delle loro sfumature più idiosincratiche, private e individuali. […] La gra-
duale scomparsa di gran parte dei caratteri distintivi locali e regionali in Ame-
rica, così come in altre società moderne, è destinato a promuovere una certa
omogeneità nei forzieri collettivi della memoria nostalgica6.
5
Davis, Yearning for Yesterday cit., pp. 125-6. Cfr. D. Löwenthal, The Past Is a Foreign
Country, Cambridge University Press, Cambridge 1988, pp. 4-13, che propone un modello
di nostalgia meno elaborato. Come esempio letterario, si può prendere il celebre «Mi ricor-
do» di Georges Perec, nel quale l’autore elenca senza commento 480 oggetti di ricordo. Il
periodo di riferimento è la Francia tra anni quaranta e sessanta, e quasi una metà dei ricordi
riguardano eventi filtrati dai mass media. Una settantina di questi ricordi hanno a che fare
col cinema, anche se più come inventario di nomi e gossip che come ricordo di esperienze
fondanti. G. Perec, Mi ricordo (1978), trad. it. di D. Selvatico Estense, Bollati Boringhieri,
Torino 1988.
6
Ibid., pp. 128-9.
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dal modernismo in poi (si pensi al finale del Grande Gatsby) è stato ti-
pico il modello della «fine dell’innocenza»: un modello che è nello
stesso tempo l’ultimo residuo della forma-romanzo e l’affermazione di
un prima e di un dopo incommensurabili. Ma a far considerare il pa-
radigma della «fine dell’innocenza» come qualcosa di appartenente a
un modello in fondo «tardo moderno» è il suo tentativo di unire indi-
viduale e collettivo, di organizzare la lettura del passato nazionale in
un racconto che lo colleghi all’oggi (la «fine dell’innocenza» è nazio-
nale prima che privata: ad esempio, l’omicidio Kennedy o la guerra in
Vietnam)7. In fondo, la nostalgia di massa pienamente dispiegata, farà
a meno di questa narrazione, e l’infantilizzazione cui si accennava ri-
sulta fondamentale a integrare questa caratteristica. Dal modello del
romanzo di formazione ottocentesco – per cui l’ingresso nell’età adul-
ta coincide anche con la fine dell’innocenza, delle illusioni o dell’eroi-
smo giovanile – si passa a sottolineare meramente il lato della perdita
dell’infanzia, senza che a questa corrisponda un guadagno emotivo,
neanche per partito preso8, e soprattutto senza che la «perdita» venga
inserita in una narrazione.
– Feticismo degli oggetti e coscienza (ironica, impotente o maso-
chista) della degradazione dell’esperienza. In generale, sono tutte le
merci a venir citate e ri-utilizzate come oggetti estetici: il passato entra
a far parte della costituzione intima dell’individuo con una specie di
parodia dei caratteri della kantiana finalità senza scopo. Ma il feticismo
delle merci mediali, ossia il riferimento a un carattere essenziale, per la
costruzione di identità individuali, di oggetti culturali, funziona me-
glio riferito a prodotti «bassi». È molto difficile che un’identità gene-
razionale si fondi su prodotti highbrow, seppure molto noti. Più faci-
7
Come nota sempre Davis (ibid., p. 59), negli Usa «la transizione dall’adolescenza ser-
ve, quantomeno a livello mitico, come cornice tipica della nostalgia per il resto della vita».
8
Per un’analisi ulteriore dell’evoluzione di questo tema nel Bildungsroman, cfr. F. Mo-
retti, Il romanzo di formazione, Einaudi, Torino 1999, p. 100, sul passaggio da Goethe a
Stendhal: «Cosa c’è dunque di meglio che incardinare quei principi a una fase dell’esistenza,
costringendoli così entro limiti quasi “biologici”? La gioventù diviene così l’età degli ideali:
ma la gioventù, prima o poi, deve finire. Meglio: può essere l’età degli ideali proprio perché
si sa che non durerà a lungo. E così, da questi romanzi in poi, nasce un paradigma essenzia-
le per l’esistenza moderna: la maturità non consiste più nell’acquisire delle qualità: consiste,
sostanzialmente, nel perderle». Molto interessanti per noi anche le osservazioni su L’educa-
zione sentimentale di Flaubert e la fase successiva: «Nella misura in cui la gioventù si offre
come sconfinato campo di possibilità – e questa, non altra, è l’idea di gioventù tipica del
mondo borghese – la sua funzione finisce col capovolgersi: anziché preparare a qualcos’al-
tro, essa diviene un valore in sé, e l’aspirazione massima è quella di prolungarla. […] Ma se
la gioventù aspira solo a “esser se stessa”, e dunque a conservarsi in quanto gioventù, allora
di romanzo di formazione non c’è davvero più bisogno».
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centi dei media. In altre parole, nella loro incessante ricerca di nuovi oggetti di
nostalgia remunerativa, i media oggi quasi divorano se stessi. O, per dirla cini-
camente, la nostalgia viene dai media, esiste grazie ai media e per i media12.
Queste parole, dall’apparenza forse troppo apodittica, che Fred
Davis pone verso la fine del suo libro, si sono dimostrate in realtà pie-
namente giustificate, specie alla luce dei trent’anni trascorsi da quando
furono scritte. E così anche le conseguenze che Davis elencava: a co-
minciare dalla reciproca, continua compenetrazione tra memoria pri-
vata e pubblica, un tempo separate e oggi sempre più unificate in un
comune riferimento ai media.
Un’analisi della nostalgia contemporanea non può dunque che es-
sere, anche, un’analisi critica dei mass media, e ricostruire la formazio-
ne di nuove forme di rapporto col passato significa anche osservarne il
rapporto con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa. Que-
sto studio mira appunto a mostrare le tappe della formazione di nuo-
vi, successivi modelli di nostalgia sempre più indissolubilmente intrec-
ciati coi mass media.
Lo sviluppo della forma «matura» della nostalgia, in fondo, si po-
trebbe dire più o meno contemporaneo dello sviluppo della fotografia
e del cinema. La parabola della nostalgia, che corre lungo tutto il No-
vecento, è parallela in certo modo alla parabola del cinema stesso, il
che non stupirà considerando quanto il cinema, «occhio del Novecen-
to»13, sia stato intimamente legato alle peculiarità di questo secolo.
Ma l’analisi del cinema (e, accessoriamente, degli altri mass media)
che compiremo andrà anche in un’altra direzione. I mass media, infat-
ti, da un lato sono produttori dei materiali su cui la nostalgia si co-
struisce, ma dall’altro consentono di decostruirla: suscitano e insieme
possono analizzare queste sensibilità collettive attraverso la loro rifles-
sione (ovviamente questo discorso vale anche per quelle che sono o
erano in passato considerate forme di arte «elevata»). Si tratta qui di
qualcosa di simile alla distinzione che, sul piano dell’uso politico della
nostalgia, Svetlana Boym ha proposto tra «nostalgia restauratrice» e
«nostalgia riflessiva»14, e più ancora ai «tre livelli di nostalgia» identifi-
cati da Fred Davis.
Quest’ultimo schema contempla tre tipi di nostalgia, di complessità
crescente: una di primo ordine (semplice), una di secondo ordine (ri-
12
Ibid., p. 122.
13
La definizione è tratta dal titolo del libro di Casetti, L’occhio del Novecento cit.
14
S. Boym, Ipocondria del cuore: nostalgia, storia e memoria, in Nostalgia. Saggi sul rim-
pianto del comunismo, a cura di F. Modrzejewski e M. Snzajderman, Bruno Mondadori, Mi-
lano 2003, pp. 49-68.
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Ibid., p. 43. Un movimento dialettico (questo tra diversità e conformità) che ricorda
molto da vicino quello della moda, come Davis stesso nota (p. 44).
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Ancora Jameson, in riferimento al postmodernismo, descrive una situazione molto si-
mile: una liberazione dall’angoscia che è «anche una liberazione da ogni altro tipo di senti-
mento, visto che non si dà più un io che possa provarlo. Questo non vuol dire che i prodot-
ti culturali dell’era postmoderna siano del tutto privi di sentimento, ma piuttosto che tali
sentimenti – che sarebbe meglio chiamare più precisamente “intensità”, secondo Jean-
François Lyotard, – fluttuano liberamente, sono impersonali e tendono a essere dominati da
un particolare tipo di euforia» (F. Jameson, Postmodernismo, ovvero la logica culturale del
tardo capitalismo [1991], trad. it. di M. Manganelli, Fazi, Roma 2007, p. 32).
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35
Boym, Ipocondria del cuore: nostalgia, storia e memoria cit., p. 11.
36
Ibid., p. 15.
37
F. Orlando, Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura, Einaudi, Torino 1993,
p. 337. Anche in questo caso, uno dei primissimi esempi viene rinvenuto in Rousseau.
38
Boym, Ipocondria del cuore: nostalgia, storia e memoria cit., pp. 18-9. Boym ricorda co-
me anche alle origini delle scienze sociali moderne si trovi spesso una (esplicita o meno) no-
stalgia: «la comunità tradizionale in Tönnies, il “comunismo primitivo” della società prefeu-
dale in Marx, l’incanto della vita pubblica in Weber, la socievolezza creativa in Georg Simmel
o la “civilizzazione integrata dell’antichità” nei primi scritti di György Lukács» (p. 29).
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gine e continuità nel tempo è quella che pone i termini per lo svilup-
po del cinema, e per la sua centralità nel secolo43. A questo punto,
varrà la pena ricordare ancora una volta che il 1895, oltre che la data
della prima proiezione dei Lumière, è anche quella della prima pub-
blicazione de La macchina del tempo di Herbert George Wells…44.
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Da notare poi, di sfuggita, come per Proust (lo hanno notato inter-
preti diversi, da Antoine Compagnon a Gilles Deleuze)49 la memoria in-
volontaria abbia un ruolo essenzialmente costruttivo, che permette un
valore in definitiva conoscitivo dei meccanismi di rievocazione del pas-
sato. In essa dunque lo stordimento nostalgico ha un valore momenta-
neo, verrebbe da dire strumentale. Ed è proprio questo tratto a segnare
la differenza tra la memoria involontaria proustiana e la sensibilità che è
al centro del nostro studio, nella quale lo shock emotivo (piacevole e do-
loroso) della rievocazione di un passato intimo non prelude a nient’al-
tro, è fine a se stesso e la sua caratteristica peculiare è semmai quella di
essere sempre più ripetibile da parte del soggetto, e riproducibile50.
Walter Benjamin, che a partire anche da Proust e da Baudelaire si
interrogherà sull’intreccio di passato e presente storico, sulla memoria
e il recupero del passato, insisterà anch’egli su questo punto:
Bergson non si propone affatto di specificare storicamente la memoria; e
respinge, anzi, ogni determinazione storica dell’esperienza. Con ciò egli evita,
anzitutto ed essenzialmente, di doversi avvicinare a quell’esperienza da cui è
sorta la sua stessa filosofia, o contro la quale, piuttosto, essa è stata mobilitata,
che è quella ostile, accecante, dell’epoca della grande industria51.
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53
G. Simmel, I «passages» di Parigi, Einaudi, Torino 2000, p. 439.
54
Cit. in R. Bodei, Le malattie della tradizione. Dimensioni e paradossi del tempo in Wal-
ter Benjamin, in Aa.Vv., Walter Benjamin: tempo, storia, linguaggio, Editori Riuniti, Roma
1982, p. 216. Come ricorda sempre Bodei: «Il presente non si determina per Benjamin attra-
verso la finzione di un punto che scorre lungo una retta infinita, bensì attraverso la sincro-
nia, la simultaneità delle immagini, che si decifrano mediante rimandi reciproci, che forma-
no un orizzonte di senso o una costellazione».
55
Bodei, Le malattie della tradizione cit., p. 213.
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esteriore per stabilirsi in quello interno. La reliquia deriva dal cadavere, il «ri-
cordo» dall’esperienza defunta, che si definisce, eufemisticamente, «esperien-
za vissuta». […] La melancholia, nell’Ottocento, ha un altro carattere che nel
Seicento. La figura-chiave della vecchia allegoria è il cadavere. La figura-chia-
ve della nuova allegoria è il «ricordo» (An-denken). Il «ricordo» è lo schema
della trasformazione della merce in oggetto di collezione56.
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