Dispense 2003
Stefano Miccoli
22 ottobre 2004
Documento composto il 22 ottobre 2004.
Questo documento è in fase di stesura e potrà essere modificato; il numero di revisione dei
singoli capitoli è il seguente:
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c 2000, 2003 by Stefano Miccoli. This material may be distributed only subject to
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<HmeØc màn steinwpän neplèomen goìwntec;
Caveat emptor
Queste dispense, rivolte agli studenti del corso di “Progettazione Assistita di Strutture
Meccaniche”, svolto presso la IV Facoltà di Ingegneria del Politecnico di Milano, non
rappresentano una trattazione autonoma della materia del corso, ma semplicemente uno
strumento per facilitare lo studio dei libri di testo e la consultazione della bibliografia
specialistica.
Nella sequenza degli argomenti e nella notazione queste pagine ricalcano lo svolgimento
delle lezioni, delle quali sono, più che una trascrizione, l’ossatura. Lo scopo è quello
di permettere agli studenti di ritrovare in “bella copia” le dimostrazioni e gli argomenti
illustrati a lezione e di permettere un più chiaro confronto con quanto riportato nei libri di
testo. I commenti sono mantenuti volutamente stringati e gli approfondimenti, necessari
ad una vera comprensione di qualsiasi materia, sono stati completamente tralasciati. In
alcuni casi si sono date indicazioni bibliografiche per ulteriori letture o riferimenti al
materiale sviluppato durante le esercitazioni.
Questa versione delle dispense è ancora al livello di una prima bozza e sarà sottoposta
a revisioni ed integrazioni. Per tenere traccia di ciò ogni capitolo è dotato di un numero
di revisione con data. La versione più recente è disponibile su internet all’indirizzo
http://www.mecc.polimi.it/~miccoli/PASM/didattica/dispense2003.pdf.
Ogni segnalazione di errori od imprecisioni ed ogni critica sono ovviamente bene
accette.
Stefano Miccoli
http://www.mecc.polimi.it/~miccoli/
mailto:stefano.miccoli@polimi.it
iii
Indice
v
Indice
4. Teorie Strutturali 49
5. Il metodo di Ritz 51
Bibliografia 55
A. Notazione 57
A.1. Matrici e tensori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
A.1.1. Matrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
A.1.2. Vettori e tensori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58
A.2. Operatori differenziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59
D. Simboli principali 65
vi
Elenco delle figure
vii
Elenco delle tabelle
ix
Rien ne se fait tout d’un coup, et c’est une de mes grandes
maximes et des plus vérifiées, que la nature ne fait jamais de
sauts: ce que j’appelais la loi de la continuité lorsque j’en parlai
dans les premières Nouvelles de la République des lettres, et
l’usage de cette loi est très considérable dans la physique: elle
porte qu’on passe toujours du petit au grand, et, à rebours, par
la médiocre dans les degrés comme dans le parties, [. . . ]
Gottfried Wilhelm Leibniz, Nouveaux
essais sur l’entendement humain, 1704.
La “Meccanica del Continuo” è un modello matematico che studia gli sforzi, le defor-
mazioni, il flusso, in oggetti solidi, liquidi, gassosi. Il sostantivo “continuo” si riferisce
al formalismo adottato, che è quello delle equazioni differenziali alle derivate parziali.
Infatti si suppone che
Queste tre ipotesi portano naturalmente ad introdurre l’ipotesi—forse sarebbe meglio dire
il postulato—della “continuità” delle grandezze in questione e dunque anche del mezzo
sul quale sono definite. Ovviamente la continuità del mezzo non è un’ipotesi “fisica”
ma semplicemente una assunzione di natura matematica, utile nella misura in cui le sue
conseguenze sono verificate dalla sperimentazione.
Per chiarire la natura “formale” delle grandezze della meccanica del continuo può essere
utile analizzare il concetto di densità di massa per un solido che occupi la porzione Ω
dello spazio fisico R3 . Se V è il volume del solido e M la sua massa, si definisce la densità
media come ρ̄ = M/V . Si consideri ora un certo punto x, che appartiene al solido assieme
ad un suo intorno ωx 3 x: indicando con ∆Vωx il volume e ∆Mωx la massa associati a
questo intorno, la densità media in x rispetto a ωx vale
∆Mωx
ρ̄(x, ωx ) = .
∆Vωx
L’ipotesi di continuità si esprime richiedendo che sia possibile eseguire un passaggio al
limite per ∆Vωx → 0. Così facendo si introduce la densità di massa puntuale ρ(x),
Revisione 1.6 in data 17 novembre 2003 (bozza).
1
1. Formulazione differenziale del Problema Elastico
ρ
0
−6 −5 −4 −3 −2 −1 0
10 10 10 10 10 10 10
d
definita come
D ∆Mωx
ρ(x) = lim , ∀x ∈ Ω. (1.1)
∆Vωx →0 ∆Vωx
In generale si richiede che questo limite esista per ogni punto in Ω, escluso al più un
insieme di misura nulla.
Senza approfondire le ipotesi di regolarità che devono essere poste, sia sulla funzio-
ne ρ(x) sia sul dominio Ω, perché una equazione come la (1.1) abbia senso, è interessante
analizzare il significato fisico di questa definizione. Immaginando di condurre un esperi-
mento ideale su un solido dato, si fissa un punto x ed un intorno sferico di diametro d;
si riporta quindi in figura 1.1 l’ipotetico andamento di ρ̄(x, ωx ) in funzione di d. Dalla
figura si osserva che a livello macroscopico (d > 10−3 ), il solido appare omogeneo, con
variazioni di ρ̄ regolari e continue, che sembrano ammettere un limite ρ0 . Quando però d
scende al di sotto di una dimensione caratteristica (≈ 10−3 in figura), il materiale appare
eterogeneo e presenta brusche fluttuazioni di ρ̄; a scale ancora più piccole gli andamenti
si fanno più irregolari, per perdere completamente di significato quando si considerano
scale di grandezza per le quali non vale più la meccanica classica.
Appare evidente dunque che all’operazione di limite in equazione (1.1) non può essere
dato un significato sperimentale, ma solo un significato puramente formale. Tuttavia
l’unica utilità della meccanica del continuo risiede nella sua capacità di descrivere il com-
portamento fisico di corpi reali, e dunque è necessario legare le grandezze matematiche,
come la ρ(x), a grandezze fisiche misurabili. Dalla figura 1.1 è facile intuire quale è la
strategia adottata: si assume semplicemente
D
ρ(x) = ρ0 ;
in altri termini si interpreta la densità puntuale ρ(x) secondo un significato macroscopico
e non microscopico, assumendo per essa il valore medio su un volume caratteristico, o
2
1.2. Descrizione geometrica del continuo
0.5mm
Per quanto detto sopra è opportuno identificare il solido in esame con l’insieme Ω dei
punti materiali x che lo compongono; è anche chiaro che perché sia possibile l’applicazione
del formalismo delle equazioni alle derivate parziali, sarà necessario porre delle condizioni
di regolarità sulla geometria. In questa sede questo tema non verrà approfondito, e ci
limiteremo a supporre che Ω ⊂ R3 sia un dominio aperto; la sua frontiera Γ ≡ ∂Ω sia
“liscia” e costituita da un numero finito di componenti non connesse.
3
1. Formulazione differenziale del Problema Elastico
1.3. Statica
4
1.3. Statica
Tetraedro di Cauchy
La grandezza pn (x), x ∈ Ω è detta lo “sforzo” in x. Dalla definizione sembrerebbe una
quantità vettoriale dipendente dal punto e dall’orientazione n: per descrivere lo stato di
sforzo in un punto sarebbe dunque necessaria una funzione (a valori vettoriali) di n, cioè
infiniti vettori, visto che n può variare con continuità. In realtà la situazione è molto più
semplice: infatti in base a semplici considerazioni di equilibrio (tetraedro di Cauchy) si
può dimostrare che pn su una giacitura n qualsiasi dipende linearmente dal valore pnj
assunto per tre direzioni nj=1,2,3 linearmente indipendenti.
In un sistema di riferimento cartesiano ortogonale conviene ovviamente assumere nj =
ej , dove ej è il versore dell’asse j-esimo. Dall’equilibrio del tetraedro di Cauchy si ottiene
pn = Σn. (1.6)
Le componenti σij di Σ,
σ11 σ12 σ13
Σ = σ21 σ22 σ23 ,
5
1. Formulazione differenziale del Problema Elastico
1.4. Cinematica
1.4.1. Spostamenti
Supponiamo che il continuo in esame subisca una trasformazione dalla configurazione di
riferimento, nella quale occupa il dominio spaziale Ω, ad una configurazione deformata,
descritta dal dominio Ω0 . Nella meccanica del continuo si suppone che esista una cor-
rispondenza biunivoca tra i punti x ∈ Ω e i punti x0 ∈ Ω0 . Ciò consente di definire
D
lo spostamento u = x0 − x, il quale, in una descrizione Lagrangiana della cinematica è
considerato una funzione del punto in configurazione di riferimento:
D
u(x) = x0 (x) − x. (1.10)
6
1.4. Cinematica
1.4.2. Deformazioni
La deformazione di un intorno infinitesimo x + dx di un punto x è ottenuta consideran-
do le differenza di spostamento tra i suoi punti. In pratica si tratta di determinare il
differenziale del campo vettoriale u(x):
Dall’equazione (B.2) si ha
←
∂ T
du = u(x) dx,
| {z∂x }
D
=F (x)
7
1. Formulazione differenziale del Problema Elastico
Si può dimostrare che F (x) ha natura tensoriale; per questo motivo è chiamato tensore
gradiente di spostamento.
Il tensore gradiente F (x) descrive completamente il campo di spostamenti in un in-
torno infinitesimo di x, tuttavia non è interpretabile direttamente come una misura di
deformazione: infatti esso è identicamente nullo se, e solo se, l’intorno di x subisce una
traslazione rigida. In altre parole F (x) contiene informazioni sia sulla deformazione, sia
sulla rotazione rigida, dell’intorno in esame, cfr. l’esercizio 1.1.
Tra le molte definizioni alternative di “misure di deformazione” che possono essere ot-
tenute da F (x), si considera qui il tensore delle “piccole deformazioni”, valido nel caso
limite di spostamenti u(x) infinitesimi. In questo caso si può assumere che il tensore
delle rotazioni e il tensore delle deformazioni dipendano linearmente da F (x). È na-
turale allora scomporre il tensore F (x) in una parte simmetrica E(x) ed una parte
antisimmetrica Ω(x)
1
D
F (x) + F (x)T ,
E(x) =
2
D 1
F (x) − F (x)T ,
Ω(x) =
2
in modo che
−ω2 ω1 0
∂ ∂ ∂ ∂
0 ∂x2 u1 − ∂x1 u2 ∂x3 u1 − ∂x1 u3
1 ∂ ∂ ∂ ∂
= ∂x1 u2 − ∂x2 u1 0 ∂x3 u2 − ∂x2 u3 ,
2 ∂ ∂ ∂ ∂
∂x1 u3 − ∂x3 u1 ∂x2 u3 − ∂x3 u2 0
8
1.5. Lavoro di deformazione
simmetrico, il tensore delle piccole rotazioni non gioca alcun ruolo particolare perché le
equazioni di equilibrio alla rotazione sono soddisfatte a priori. Per questo motivo non
comparirà più nella trattazione seguente.
Il tensore E(x) è detto tensore delle piccole deformazioni. L’espressione esplicita delle
sue componenti è la seguente:
11 12 13
E(x) = 21 22 23 =
Come è noto i termini diagonali ii esprimono l’allungamento lineare di fibre disposte
come gli assi coordinati xi ; i termini extradiagonali ij , i 6= j, sono invece legati agli
scorrimenti angolari.
Nella Meccanica del continuo, spostamenti u(x) e forze di volume f (x) sono grandezze
duali, nel senso che il prodotto interno f (x)T u(x) rappresenta la densità di volume
del lavoro delle forze esterne. Anche sforzi e deformazioni sono grandezze duali, e il
loro prodotto interno rappresenta la densità di volume del lavoro di deformazione. Per
esprimere matematicamente questo concetto si esegue il prodotto interno tensoriale di Σ
e E,
X3
tr(Σ T E) = σhk kh , (1.16)
h,k=1
Con la notazione fin qui adottata, sforzi e deformazioni vengono rappresentati da matrici
3 × 3, rispettivamente Σ e E. Si può osservare che questa notazione è sovrabbondante,
perché un tensore 3×3 simmetrico ha solo 6 componenti indipendenti, e non 9. Può essere
conveniente dunque raccogliere in due vettori 6 × 1, σ e ε, le componenti indipendenti
dei tensori di sforzo e deformazione.
Il modo in cui sei componenti indipendenti di Σ e E sono riordinate nei corrispondenti
vettori ha ovviamente un certo grado di arbitrarietà; la regola che verrà seguita tuttavia
è quella di lasciare invariato il significato energetico del prodotto interno tra sforzi e
deformazioni. In altre parole si richiede che
tr(Σ T E) = σ T ε, (1.17)
9
1. Formulazione differenziale del Problema Elastico
σ11 11 + σ22 22 + σ33 33 + 2σ23 23 + 2σ31 31 + 2σ12 12 =
σ1 ε1 + σ2 ε2 + σ3 ε3 + τ23 γ23 + τ31 γ31 + τ12 γ12 ,
nelle quali si è anche introdotto il simbolo N[ · ] , che opera su un vettore (od un opera-
tore differenziale vettoriale) e lo trasforma in una matrice (o un operatore differenziale
10
1.7. Legame costitutivo
matriciale) di dimensioni 3 × 6:
a1 0 0 0 a3 a2
D
N[a] = 0 a2 0 a3 0 a1 . (1.19)
0 0 a3 a2 a1 0
Fino a questo punto sforzi e deformazioni sono stati trattati come grandezze indipendenti,
ancorché duali, cfr. (1.16) e (1.17). In realtà, facendo riferimento allo stato “fisico” di un
materiale, alla deformazione si accompagna l’insorgere di uno stato di sforzo, secondo una
legge detta “legame costitutivo”. In queste dispense verrà trattato solo il legame elastico,
trascurando il caso di relazione più generali. Nel seguito, per alleggerire la notazione,
si ometterà di indicare la dipendenza di sforzi e deformazioni dal punto x: si intende
insomma che la legge è riferita ad una porzione di materiale con deformazione omogenea,
o nel caso generale, ad un intorno infinitesimo di x.
11
1. Formulazione differenziale del Problema Elastico
o in notazione ingegneristica,
I
D
α(ε) = σ(ε̃)T dε̃. (1.24)
0→ε
H
La α(ε) risulta un potenziale se l’integrale di linea è indipendente dal percorso di
integrazione 0 → ε.5 Ovviamente data la definizione di α(ε), si richiede che questa sia
una grandezza strettamente positiva per ε 6= 0.
Se è noto il potenziale α(ε) è immediato ricavare dalla definizione (1.24) la legge
costitutiva:
∂
α(ε) = σ(ε). (1.25)
∂ε
12
1.7. Legame costitutivo
Si noti che nel caso del legame elastico lineare la densità di energia elastica diventa
semplicemente
1 1
α = σ(ε)T ε = εT Dε. (1.27)
2 2
Definizione positiva. Perché l’energia di deformazione elastica (data dalla (1.27)) sia
una grandezza positiva è necessario che la matrice D sia definita positiva:
εT Dε > 0, se ε 6= 0.
Legame inverso
Contrariamente al caso iperelastico, nel caso lineare è agevole ricavare la relazione inversa
di (1.26). Infatti si ha
ε = Aσ, (1.28)
A = D−1 .
Legame isotropo
Il legame elastico lineare appena introdotto è anisotropo, nel senso che l’espressione della
matrice di rigidezza dipende dal sistema di riferimento adottato. Per definire un legame
elastico lineare isotropo è dunque necessario trovare un’espressione di D che sia invariante
rispetto al cambiamento del sistema di riferimento.6
Notazione tensoriale L’analisi del legame isotropo può essere più facilmente condotta
in notazione tensoriale invece che ingegneristica. Infatti dall’algebra è noto che gli uni-
ci tensori che possono essere formati con operazioni lineari e isotrope a partire da un
tensore simmetrico T , sono il tensore stesso e tr(T )I. Questa osservazione implica che
nel caso lineare-isotropo l’espressione più generale del legame deformazioni–sforzi è una
combinazione lineare di E e tr(E)I:
I coefficienti della combinazione lineare 2G e λ sono detti costanti di Lamé. Questi coef-
ficienti sono evidentemente parametri del materiale, da determinarsi sperimentalmente.
Le costanti di Lamé sono tra loro indipendenti, possono assumere cioè qualsiasi valore,
purché la densità di energia di deformazione elastica α sia positiva.
6
Per la legge con cui varia D al variare del sistema di riferimento adottato, confronta infra al
paragrafo 1.10.3, pagina 29.
13
1. Formulazione differenziale del Problema Elastico
dove sono state introdotte due nuove quantità, la pressione idrostatica p e la deformazione
volumetrica v.9 La densità di energia di deformazione elastica vale dunque
1 1
α = pv + tr(S T D). (1.33)
2 2
Occorre ora esprimere, mediante la (1.29), p e S in funzione di v e D:
1 1 2
p = tr(Σ) = (2G tr(E) + 3λ tr(E)) = G + λ tr(E),
3 3 3 | {z }
v
1 2
S = Σ − tr(Σ)I = 2GE + λ tr(E)I − G + λ tr(E)I =
3 3
1
= 2G E − tr(E)I .
3
| {z }
D
Questo risultato è particolarmente interessante perché mostra che per un legame isotro-
po si ha un disaccoppiamento tra la componente deviatorica e isotropa dei tensori di
deformazione e sforzo. Introducendo il modulo di rigidezza volumetrica
D 2
K= G+λ , (1.34)
3
7
Dato un tensore T , la sua componente isotropa è 13 tr(T )I, mentre T − 13 tr(T )I è la sua componente
deviatorica.
8
Si ricordi che tr(A + B) = tr(A) + tr(B), tr(I) = 3 e tr(S) = tr(D) = 0.
9
Si noti che la definizione di p e v non coincide con l’invariante primo di sforzo e deformazione: per quanto
riguarda gli sforzi si è introdotto un coefficiente 13 in modo che p · v rappresenti un lavoro. La situazione
è simili a quanto fatto per γij e τij , dove è stato necessario introdurre il coefficiente 2 nella definizione
degli scorrimenti angolari.
14
1.7. Legame costitutivo
Per compattezza di notazione può essere utile introdurre un modulo di elasticità vincolata
D
M = λ+2G, che esprime il rapporto tra sforzo e deformazione in una barretta sottoposta
a deformazione monoassiale.10
La matrice di cedevolezza A si ottiene semplicemente invertendo la matrice D:
λ+G λ λ
G(3λ+2G) − 2G(3λ+2G) − 2G(3λ+2G)
λ
− 2G(3λ+2G) λ+G λ
− 2G(3λ+2G)
G(3λ+2G)
− λ λ λ+G
2G(3λ+2G) − 2G(3λ+2G)
ε= G(3λ+2G)
σ. (1.41)
1
G
1
G
1
G
| {z }
A=D−1
10 λ+G
Si noti che M non coincide con il modulo di Young E = G(3λ+2G) , che invece esprime il rapporto
sforzo–deformazione in una barretta sottoposta ad uno stato di sforzo monoassiale.
15
1. Formulazione differenziale del Problema Elastico
I termini di questa matrice sono usualmente espressi in funzione di due nuove costanti
elastiche, il modulo di Young E e il coefficiente di Poisson ν definiti come
1 D λ+G D λ
= e ν= . (1.42)
E G(3λ + 2G) 2(λ + G)
Così facendo si ottiene l’usuale espressione della matrice di flessibilità
1
− Eν − Eν
E
− ν 1
− Eν
E E
ν ν 1
− E − E
E
A=
1
.
(1.43)
G
1
G
1
G
Relazioni tra le varie costanti elastiche. Sono state introdotte nel corso della tratta-
zione diverse costanti elastiche, G, λ, K, M , E, ν. Ovviamente per la condizione di
isotropia, espressa dalle (1.29), solo due costanti possono essere considerate indipenden-
ti, essendo le rimanenti esprimibili in funzione di esse. Alcune di queste relazioni sono
riportate in tabella 1.2.
Nei paragrafi precedenti sono state introdotte equazioni di equilibrio, (1.20)–(1.21), co-
stitutive, (1.26), di congruenza (1.22), mentre risultano incogniti i campi u(x), ε(x) e
σ(x), per x ∈ Ω. La soluzione del problema elastico consiste nel determinare questi
campi, date le forze di volume f (x) in Ω ed eventuali forze p(x) sulla superficie Γ.
La strategia di soluzione di un approccio agli spostamenti è di sostituire nelle equazioni
di equilibrio (1.21)
−N[ ∂
] σ(x) = f (x)
∂x
16
G K λ M E ν α>0
9GK 3K − 2G
G, K G K K − 23 G K + 43 G G>0 K>0
3K + G 2(3K + G)
G(3λ + 2G) λ
G, λ G λ + 23 G λ λ + 2G G>0 λ > − 23 G
λ+G 2(λ + G)
G(3M − 4G) M − 2G
G, M G M − 43 G M − 2G M 0 < 43 G < M
M −G 2(M − G)
GE G(E − 2G) G(4G − E) E − 2G
G, E G E 0 < E < 3G
3(3G − E) 3G − E 3G − E 2G
2 1+ν 2ν 1−ν 1
G, ν G 3 G 1 − 2ν G 2G 2G(1 + ν) ν G>0 −1 < ν < 2
1 − 2ν 1 − 2ν
3KE 3K(3K − E) 3K(3K + E) 3K − E
K, E K E 0 < E < 9K
9K − E 9K − E 9K − E 6K
E E νE (1 − ν)E 1
E, ν E ν E > 0 −1 < ν < 2
2(1 + ν) 3(1 − 2ν) (1 + ν)(1 − 2ν) (1 + ν)(1 − 2ν)
17
1.8. Equazioni di Navier e relativo problema ai limiti
1. Formulazione differenziale del Problema Elastico
ed infine esprime le deformazioni come derivate degli spostamenti grazie alle equazioni
di congruenza (1.22):
− N[ ∂ ] D(x)NT[ ∂ ] u(x) = f (x). (1.46)
| ∂x {z ∂x }
L[ ∂ , ∂ ]
∂x ∂x
Quello che si ottiene è un sistema di equazioni differenziali alle derivate parziali, lineare,
ellittico,11 del secondo ordine; queste sono normalmente dette “equazioni di Navier”. Per
comodità di notazione introduciamo il simbolo L[ ∂ , ∂ ] , definito come
∂x ∂x
→
→
D T
L[ ∂ , ∂ ] · (x) = N[ ∂ ] D(x)N[ ∂ ] · (x) , (1.47)
∂x ∂x ∂x ∂x
statiche, che corrispondono alle condizioni di equilibrio tra gli sforzi al contorno e le
azione esterne esercitate sulla superficie Γp ,
pn (x)Γp = p̄(x), x ∈ Γp , n ⊥ Γ.
Nelle equazioni precedenti ū(x) e p̄(x) sono funzioni assegnate, mentre il simbolo · (x)Γ
indica la restrizione sulla frontiera Γ della funzione · (x), definita in Ω.
Il significato fisico delle condizioni al contorno statiche è quello di garantire l’equilibrio
tra gli sforzi di superficie dovuti al tensore di sforzo in Ω e le forze di superficie esterne.
Per questo motivo pn (x) è ottenuta dalle equazioni (1.20), pn (x) = N[n] σ(x). Nelle
equazioni di Navier è incognito il campo di spostamenti u, dunque è necessario esprimere
le condizioni al contorno statiche in funzione di quest’ultimo; con ovvi passaggi si ottiene
pn (x) = N[n] DNT[ ∂ ] u(x),
| {z ∂x}
L[n, ∂ ]
∂x
11
Per la definizione di ellitticità si veda per esempio [10].
12
In seguito, per brevità di notazione, scriveremo semplicemente
→ →
L[ ∂ , ∂ ] = N[ ∂ ] D NT[ ∂ ] ,
∂x ∂x ∂x ∂x
→
sottointendendo che l’operatore N[ ∂ ] si applica anche alla matrice di rigidezza, se questa non è costante.
∂x
18
1.9. Problemi Piani
Γu ∩ Γp ≡ ∅,
Γu ∪ Γp ≡ Γ.
−L[ ∂
, ∂ ] u(x) = f (x), x ∈ Ω, (1.49)
∂x ∂x
e la condizione di alternativa
Γu ∩ Γp ≡ ∅, Γu ∪ Γp ≡ Γ. (1.52)
Quando il problema elastico presenta particolari simmetrie, sia del dominio Ω, sia dei
carichi e delle condizioni al contorno, la scrittura delle equazioni di Navier può essere
semplificata. In questo paragrafo è considerato il caso dei “problemi piani” di deformazio-
ne e di sforzo. Un’altro caso significativo e importante per le applicazioni tecniche, ma
non trattato in questa sede, è quello dei problemi assialsimmetrici, vedi [6].
13
Si presti attenzione al fatto che un contorno “libero”, senza vincoli cinematici né forze esterne applicate
appartiene a Γp con p̄ = 0. Infatti la condizione di contorno libero e scarico in realtà è una condizione
di equilibrio con forze nulle.
19
1. Formulazione differenziale del Problema Elastico
Simmetria Geometrica
Si consideri un dominio Ω ottenuto per “estrusione” di un dominio piano Ω̃ ⊂ R2 nella
direzione ad esso perpendicolare per uno spessore 2h:
Ω ≡ Ω̃ × [−h, h],
D
dove [a, b] ≡ {x : a < x < b} indica l’intervallo aperto tra a e b. I punti di x ∈ Ω ⊂ R3
possono essere concepiti come i punti x̃ ∈ Ω̃ ⊂ R2 arricchiti di una nuova dimensione x3 :
! x1 !
D x1 x̃
x̃ = , x = x2 = . (1.53)
x2 x3
x3
In modo analogo ogni vettore tridimensionale v (spostamenti, forze) sarà ottenuto per
“estensione” di un corrispondente vettore bidimensionale ṽ:
! v1 !
D v1 ṽ
ṽ = , v = v2 = .
v2 v3
v3
Simmetria di materiale
La simmetria piana della geometria dovrà essere rispettata anche dal materiale: ciò
equivale a supporre che x3 sia una direzione principale di elasticità, cfr. [1]; la matrice di
rigidezza ha dunque la seguente espressione
Dalla struttura della matrice si può osservare che taglio e scorrimento nei piani
perpendicolari al piano in cui giace Ω̃, sono disaccoppiati dagli altri sforzi e deformazioni.
20
1.9. Problemi Piani
È facile dimostrare che la relazione inversa alla (1.54) ha una struttura simile:
Simmetria di carico
∂
f (x) = 0, f3 (x) = 0, x ∈ Ω;
∂x3
∂
p̄(x) = 0, p̄3 (x) = 0, x ∈ Γp ∩ Γc ;
∂x3
∂
ū(x) = 0, ū3 (x) = 0, x ∈ Γu ∩ Γc .
∂x3
In queste equazioni si notano i dati relativi alle condizioni al contorno sulla superficie
cilindrica Γc ; perché anche queste condizioni rispettino la simmetria cilindrica del proble-
ma è necessario che le porzioni libera e vincolata siano ottenute “per estrusione” da una
analoga partizione di Γ̃:
21
1. Formulazione differenziale del Problema Elastico
• non dipenda da x3 , e
In formule si ha
∂
u(x) = 0, u3 (x) = 0, x ∈ Ω.
∂x3
∂2
∂x21
0
0 ∂2
∂x1 ∂x2
" #
∂2 ∂ 2
d11 d12 d16 d16 d26 d66 ∂x1 ∂x2 ∂x21 ˜
− 2
∂ ũ(x̃) = f (x̃), (1.57)
d16 d26 d66 d12 d22 d26
∂x2 ∂x1 0
∂2
0
∂x22
∂2 ∂2
∂x22 ∂x2 ∂x1
| {z }
L̃[ ∂ , ∂ ]
∂ x̃ ∂ x̃
22
1.9. Problemi Piani
¯
ũ(x̃)Γ̃u = ũ(x̃), x̃ ∈ Γ̃u . (1.59)
n1 ∂x∂ 1
0
0 n1 ∂x∂ 2
" #
∂
d11 d12 d16 d16 d26 n1 ∂x2
d66 n1 ∂x∂ 1
L̃[ñ, = . (1.60)
∂
] ∂
d16 d26 d66 d12 d22 n2 ∂x1
d26 0
∂ x̃
0
n2 ∂x∂ 2
n2 ∂x∂ 2 ∂
n2 ∂x1
23
1. Formulazione differenziale del Problema Elastico
Formulazione bidimensionale
È possibile derivare in modo più diretto la formulazione del problema piano di deforma-
zione assumendo a priori u3 = 0 e ∂x∂ 3 u(x) = 0. In questo caso è immediato verificare
che deve risultare ε3 = γ23 = γ31 = 0 e dunque ha senso raccogliere le componenti non
nulle della deformazione in un vettore delle deformazioni ingegneristiche piane:
ε1 (x̃)
ε̃(x̃) = ε2 (x̃) , (1.62)
γ12 (x̃)
dove si è evidenziato che tutte le grandezze non dipendono da x3 . Per quanto riguarda
gli sforzi è facile verificare che la (1.54) implica τ23 = τ31 = 0 ma che σ3 6= 0.
Si può notare però che ∂x∂ 3 σ3 = 0 e dunque non dà contributi alle equazioni di equilibrio
indefinito. Similmente σ3 non entra nelle condizioni al contorno statiche su Γc ma solo
su Γ±h , dove è equilibrata da una reazione vincolare (si ricordi la condizione di appoggio
liscio). Qualsiasi valore di σ3 ricavato dal legame costitutivo tridimensionale soddisfa le
equazioni di equilibrio, sia indefinite, sia al contorno. Per tutti questi motivi si definisce
un vettore piano di sforzo,
σ1 (x̃)
σ̃(x̃) = σ2 (x̃) , (1.63)
τ12 (x̃)
il legame deformazioni–sforzi
d11 d12 d16 ε1 (x̃) σ1 (x̃)
d22 d26 ε2 (x̃) = σ2 (x̃) , (1.65)
d66 γ12 (x̃) τ12 (x̃)
| {z }
D̃
24
1.9. Problemi Piani
¯
ũ(x̃)Γ̃u = ũ(x̃), x̃ ∈ Γ̃u ,
D̃ÑT[ ∂ ¯
ũ(x̃) Γ̃p = p̃(x̃), x̃ ∈ Γ̃p .
∂ x̃
]
In questo caso nulla si può dire dello spostamento u3 (x); al contrario appare naturale
assumere σ3 (x) = τ23 (x) = τ31 (x) = 0 in tutto lo spessore, da cui il nome di stato piano
di sforzo.
L’ipotesi σ3 = τ23 = τ31 = 0, unitamente alla simmetria del materiale espressa dal-
la (1.54), implica γ23 = γ31 , mentre in generale si ha ε3 = a31 σ1 + a32 σ2 + a36 τ12 6= 0,
come si può osservare per sostituzione diretta nella (1.55):
ε1 a11 a12 a13 0 0 a16 σ1
ε2
a22 a23 0 0 a26
σ2
ε a33 0
0 a36 0
3
= .
0
a44 a45 0 0
0
simm. a55 0
0
γ12 a66 τ12
25
1. Formulazione differenziale del Problema Elastico
−Ñ[ ∂
] Ã−1 Ñ[ ∂
]ũ(x̃) = f˜(x̃), x̃ ∈ Ω̃, (1.69)
∂ x̃ ∂ x̃
¯
ũ(x̃)Γ̃u = ũ(x̃), x̃ ∈ Γ̃u , (1.70)
Ã−1 ÑT[ ∂ ]
¯
ũ(x̃) Γ̃p = p̃(x̃), x̃ ∈ Γ̃p . (1.71)
∂ x̃
La differenza fondamentale tra problema piano di sforzo e di deformazione risiede però nel
processo di ricostruzione della soluzione tridimensionale. In questo caso infatti, essendo
ε3 (x̃, x3 ) 6= 0 si deve assumere
u 1 (x̃)
ũ 1 (x̃)
u(x) = u2 (x̃) = ũ2 (x̃) ; (1.72)
u3 (x̃, x3 ) ε3 (x̃) x3
questa assunzione però non è compatibile con l’ipotesi γ23 = γ31 = 0 in quanto si ha
∂ ∂
γ23 (x) =
u3 (x) = x3 ε3 (x̃) 6= 0,
∂x2 ∂x2
∂ ∂
γ13 (x) = u3 (x) = x3 ε3 (x̃) 6= 0.
∂x1 ∂x1
Infatti ε3 = a31 a32 a36 Ã−1 ε̃(x̃), e dunque la contrazione laterale ε3 risulta essere
una funzione di x̃. Tuttavia si può notare che l’errore compiuto assumendo γ23 = γ31 = 0
è lineare in x3 e nullo sul piano medio x3 = 0, dunque la soluzione per stato piano di sforzo
può essere considerata matematicamente accettabile per lamine di spessore infinitesimo.
Per le applicazioni pratiche il concetto di “spessore infinitesimo” non ha evidentemente
senso: ciò che si deve fare è paragonare lo spessore dell’elemento strutturale in esame con
il gradiente del campo di deformazioni associato al problema in esame. Se lo spessore è
sufficientemente sottile, l’assunzione di stato piano è perfettamente giustificabile.
26
1.10. Cambiamento del sistema di riferimento
x0 = Rx,
RT R = RRT = I.
x = RT x0 .
Da queste espressioni è chiaro il significato delle componenti di R: letta per righe rappre-
senta le componenti dei versori del sistema con apice nel sistema senza apice; letta per
colonne le componenti dei versori del sistema senza apice nel sistema con apice.
1.10.1. Vettori
Il trattamento dei vettori non presenta particolari difficoltà in quanto seguono la stessa
regola delle coordinate:
v 0 = Rv, (1.73)
v = RT v 0 . (1.74)
27
1. Formulazione differenziale del Problema Elastico
T
f T u = f 0 Ru;
f = RT f 0 , f 0 = R−T f ,
dove si è definito · −T come il simbolo per l’inversa trasposta di una matrice qua-
drata. Ma dalla proprietà di ortonormalità discende R−T = R e dunque f 7→ f 0
segue le stesse regole di u 7→ u0 .15
Notazione tensoriale
E 0 = RERT . (1.75)
Similmente per il tensore di sforzo si ha p0n = Σ 0 n0 , e dunque con gli ovvi passaggi
dimostrando che
Σ 0 = RΣRT . (1.76)
15
Questa osservazione dimostra che la scelta di un sistema di riferimento ortonormale è cruciale, in quanto
rende possibile, o quanto meno semplifica molto l’operazione di identificare vettori e tensori con le loro
componenti rispetto ad una base fissata. Così facendo infatti lo spazio principale e il suo duale (mondo
cinematico e mondo statico) coincidono, cfr. [4].
16 ∂ −T ∂
Si ricordi che ∂x 0 = R ∂x
.
28
1.10. Cambiamento del sistema di riferimento
Notazione ingegneristica
È facile verificare che in notazione ingegneristica si ha
ε0 = Tε ε, (1.77)
0
σ = Tσ σ, (1.78)
dove le matrici Tε e Tσ sono ottenute per riordinamento delle componenti delle equazio-
ni (1.75), (1.76). Indicando con rij le componenti di R, con semplici ma tediosi passaggi
si ottiene
2 2 2
r11 r12 r13 2r13 r12 2r13 r11 2r12 r11
r2 2
r22 2
r23 2r23 r22 2r23 r21 2r22 r21
21
2 2 2
r31 r32 r33 2r33 r32 2r33 r31 2r32 r31
Tσ =
r 31 r 21 r 32 r 22 r 33 r 23 r 23 r 32 + r 22 r 33 r 23 r 31 + r 21 r 33 r 22 r 31 + r 21 r 32
r31 r11 r32 r12 r33 r13 r33 r12 + r32 r13 r33 r11 + r31 r13 r32 r11 + r31 r12
r21 r11 r22 r12 r23 r13 r13 r22 + r12 r23 r13 r21 + r11 r23 r12 r21 + r11 r22
e
2
r11 2
r12 2
r13 r13 r12 r13 r11 r12 r11
r2 2
r22 2
r23 r23 r22 r23 r21 r22 r21
21
2 2 2
r31 r32 r33 r33 r32 r33 r31 r32 r31
Tε =
.
2r31 r21 2r32 r22 2r33 r23 r23 r32 + r22 r33 r23 r31 + r21 r33 r22 r31 + r21 r32
2r31 r11 2r32 r12 2r33 r13 r33 r12 + r32 r13 r33 r11 + r31 r13 r32 r11 + r31 r12
2r21 r11 2r22 r12 2r23 r13 r13 r22 + r12 r23 r13 r21 + r11 r23 r12 r21 + r11 r22
Tε = Tσ −T . (1.79)
σ 0 = Tσ σ = Tσ Dε = Tσ DTε −1 ε0 ,
| {z }
D0
D0 = Tσ DTσ T ; (1.80)
29
1. Formulazione differenziale del Problema Elastico
D = Tε T D0 Tε (1.81)
1.11. Esercizi
✎ esercizio 1.1. Determinare il campo di spostamenti u(x) che corrisponde alla rotazione
rigida finita di un angolo θ intorno all’asse x3 . Calcolare per questo campo di spostamenti i
tensori F (x), Ω(x), E(x).
soluzione 1.1. L’applicazione x 7→ x0 data da una rotazione rigida generica può essere
espressa come x0 = Rx, dove R è una matrice di rotazione. Nel caso in esame risulta
cos θ − sin θ 0
R = sin θ cos θ 0 ,
0 0 1
e dunque
cos θ − 1 − sin θ 0 x1
0
u(x) = x (x) − x = (R − I) x = sin θ cos θ − 1 0 x2 .
0 0 0 x3
←
∂ T
Dato che x ∂x = I e la matrice R − I è costante, si ottiene
←
∂ T
F (x) = (R − I) x = (R − I) ,
∂x
da cui
0 − sin θ 0
1
Ω= R − RT = sin θ 0 0 ,
2
0 0 0
cos θ − 1 0 0
1
E= R + RT − I = 0 cos θ − 1 0 .
2
0 0 0
ω3 = sin θ 6= θ,
11 = 22 = cos θ − 1 6= 0.
30
1.11. Esercizi
θ3
ω3 = sin θ = θ − + . . . ≈ θ,
3!
θ2
11 = 22 = cos θ − 1 = 1 − + . . . − 1 ≈ 0.
2!
Dunque il risultato è quello che ci si aspettava pur di trascurare i termini di ordine superiore
al primo. Questo risultato è coerente con la teoria in quanto sappiamo che le misure di
deformazione e rotazione lineari sono valide per spostamenti infinitesimi, per i quali θ2 è a
rigore trascurabile rispetto a θ.
esercizio 1.1 ❏
È facile verificare che questa soluzione non corrisponde ad una rotazione rigida. Infatti si
consideri un segmento AB, di lunghezza `, con A coincidente con l’origine, e B posto sull’asse
x1 , vedi figura 1.3. Applicando il campo di spostamento definito sopra, il segmento si porterà
in A0 B 0 ; è facile verificare che A ≡ A0 e che il segmento BB 0 è perpendicolare ad √
AB e lungo
θ`. Se si chiama `0 la lunghezza di A0 B 0 , dal teorema di Pitagora si√ottiene `0 = ` 1 + θ2 . In
0
altri termini il segmento AB ha subito un allungamento `` − 1 = 1 + θ2 . Se θ è piccolo si
√
può porre 1 + θ2 ≈ 1 + θ2 /2 + . . . e dunque
`0 1
− 1 ≈ θ2 + . . . .
` 2
Come si vede l’allungamento è nullo solo se è lecito trascurare i termini in θ di ordine superiore
al primo.
esercizio 1.2 ❏
31
1. Formulazione differenziale del Problema Elastico
x2
B’
A, A’ x1
B
Problema piano nelle deformazioni. La matrice di rigidezza per il problema piano nelle de-
formazioni si ottiene dalla (1.40) cancellando righe e colonne corrispondenti a sforzi e
deformazioni fuori piano.
λ + 2G λ 0
D̃ = λ λ + 2G 0 .
0 0 G
Si noti che queste condizioni sono meno restrittive delle corrispondenti condizioni (1.45)
per problemi tridimensionali.
Problema piano negli sforzi. Nel caso del problema piano negli sforzi è più semplice imporre
la definizione positiva della matrice di cedevolezza à = D̃−1 ; la matrice di cedevolezza
32
1.11. Esercizi
K
K
G
G
oppure, in termini di K, G, λ,
(
K>0 oppure
G > 0,
K < − 34 G,
(
λ > − 23 G oppure
G > 0,
λ < −2G.
Anche in questo caso, la condizione per il problema piano è meno restrittiva della
corrispondente condizione per il problema tridimensionale.
I risultati ottenuti sono apparentemente paradossali, in quanto si è visto che sono ammessi
moduli elastici negativi, K < 0, E < 0, e valori di ν > 12 . Per dissipare il paradosso si
può immaginare di riscrivere la teoria del legame elastico-lineare isotropo dal punto di vista
33
1. Formulazione differenziale del Problema Elastico
di un ipotetico essere che vive su una varietà bidimensionale, immersa in uno spazio euclideo
a tre dimensioni. Per non complicare troppo la trattazione si suppone che anche su questo
sottospazio bidimensionale valga, almeno localmente, la metrica euclidea, in modo che sia
possibile, come in (1.53), identificare le coordinate x̃ definite sulla varietà bidimensionale
con le prime due componenti delle coordinate x definite nello spazio globale. Se l’apparato
neurosensoriale di questo essere fosse strutturato in modo da non poter “vedere” al di fuori del
suo spazio bidimensionale, non potrebbe essere conscio dell’esistenza di una coordinata x3 .17
Segue dunque l’ipotetica teoria della definizione postiva dell’energia di deformazione elastica
nel caso piano.
K̃ > 0, G̃ > 0.
17
Questa finzione ovviamente ricalca “Flatland” di E. A. Abbot.
34
1.11. Esercizi
oppure
G̃ > 0, λ̃ > −G̃.
In termini di componenti ingegneristiche il legame costitutivo si esprime come
M̃ λ̃ 0
σ̃ = λ̃ M̃ 0 ε̃,
0 0 G̃
con
4G̃(λ̃ + G̃) 4G̃K̃ λ̃ K̃ − G̃
Ẽ = = , ν̃ = = .
λ̃ + 2G̃ K̃ + G̃ λ̃ + 2G̃ K̃ + G̃
Le relazioni tra i vari moduli sono riassunte nella tabella 1.3.
Abbandonando la visione bidimensionale, ci si può chiedere quali sono i valori delle costanti
elastiche misurate nella varietà bidimensionale, nell’ipotesi che i provini siano realizzati di
materiale isotropo nel super-spazio tridimensionale. La risposta è diversa a seconda che il
comportamento meccanico nella varietà bidimensionale sia assimilabile dal punto di vista di un
osservatore nello spazio tridimensionale ad uno stato piano di sforzo o deformazione. I risultati,
facilmente ottenibili, sono dati in tabella 1.4. Si noti che
G̃ = G, sempre,
K̃ = K, mai,
M̃ = M, λ̃ = λ in deformazione piana,
Ẽ = E, ν̃ = ν in sforzo piano.
Fatte queste osservazioni è facile capire che se si considerano materiali isotropi “tridimensionali”
questi presenteranno un intervallo di valori di valori misurati per K̃ meno ampio di quello teori-
co.18 Al contrario se si ammettono materiali anisotropi nello spazio tridimensionale ma isotropi
nel piano Ω̃ (cioè trasversalmente isotropi), tutti i valori ammissibili nello spazio bidimensionale
potranno essere raggiunti.
A livello di ulteriore esercizio si può a questo punto provare a ricavare le limitazioni che l’isotro-
pia in uno spazio quadridimensionale impone sui valori misurati in uno sotto-spazio tridimen-
sionale. (È questo il motivo per cui non si hanno materiali con ν < 0, pur essendo per la teoria
−1 < ν < 21 ?)
esercizio 1.3 ❏
18
Dualmente, l’intervallo di valori teroricamente ammissibile per K̃ implica valori impossibili, nell’ipotesi
di isotropia, per K.
35
1. Formulazione differenziale del Problema Elastico
G̃ K̃ λ̃ M̃ Ẽ ν̃ α̃ > 0
4G̃K̃ K̃−G̃
G̃, K̃ G̃ K̃ K̃ − G̃ G̃ + K̃ K̃+G̃ K̃+G̃
G̃ > 0, K̃ > 0
4G̃(λ̃+G̃) λ̃
G̃, λ̃ G̃ G̃ + λ̃ λ̃ 2G̃ + λ̃ λ̃+2G̃ λ̃+2G̃
G̃ > 0, λ̃ > −G̃
Ẽ Ẽ ν̃ Ẽ Ẽ
Ẽ, ν̃ 2(1+ν̃) 2(1−ν̃) 1−ν̃ 2 1−ν̃ 2
Ẽ ν̃ Ẽ > 0, −1 < ν̃ < 1
stato piano di G̃ K̃ λ̃ M̃ Ẽ ν̃
4G(K+ 13 G) K− 23 G
G, K def. G K + 13 G K − 23 G K + 43 G K+ 43 G K+ 43 G
3GK 2G(K− 23 G) 4G(K+ 13 G) 3GK K− 23 G
sforzo G K+ 43 G K+ 43 G K+ 43 G K+ 13 G 2(K+ 13 G)
4G(λ+G) λ
G, λ def. G G+λ λ 2G + λ λ+2G λ+2G
G(3λ+2G) 2λG 4G(λ+G) G(3λ+2G) λ
sforzo G λ+2G λ+2G λ+2G λ+G 2(λ+G)
E E νE (1−ν)E E ν
E, ν def. 2(1+ν) 2(1+ν)(1−2ν) (1+ν)(1−2ν) (1+ν)(1−2ν) 1−ν 2 1−ν
E E νE E
sforzo 2(1+ν) 2(1−ν) 1−ν 2 1−ν 2
E ν
36
2. Formulazione ai residui pesati del Problema Elastico
Il principio dei lavori virtuali (plv) asserisce che se, e solo se, la seguente equazio-
ne (2.1) vale per ogni campo di spostamenti u(x) e per ogni campo di deformazioni
congruenti ε(x) = NT[ ∂ ] u(x),
∂x
Z Z Z
T T
σ(x) ε(x) dΩ = f (x) u(x) dΩ + p(x)T u(x) dΩ, (2.1)
Ω Ω Γ
allora gli sforzi σ(x) sono equilibrati alle forze di volume f (x) e alle forze di
superficie p(x); in formule
[(1.21):] −N[ ∂
] σ(x) = f (x), x∈Ω
∂x
37
2. Formulazione ai residui pesati del Problema Elastico
Se le σ(x) sono sufficientemente regolari per poter eseguire l’integrazione per parti, allora
la (2.1) implica la (2.3); analogamente se le u(x) sono sufficientemente regolari, allora
la (2.3) implica la (2.1). Sotto ampie condizioni di regolarità dunque le (2.1) e (2.3) sono
equivalenti.
Dalle equazioni di equilibrio (1.20)–(1.21) discende immediatamente la (2.3) e dunque
la (2.1). Al contrario, la (2.1) implica la (2.3), la quale, tenuto conto dell’arbitrarietà di
u(x), implica, in senso debole, le (1.20)–(1.21).
Il plv rappresenta una tipica applicazione del metodo dei residui pesati. L’equazione di
equilibrio indefinito (1.21), portando a primo membro il termine noto, diventa
−N[ ∂
] σ(x) − f (x) = 0;
∂x
38
2.3. Metodo dei residui pesati applicato al problema elastico
Il metodo dei residui pesati può essere applicato anche per la soluzione del problema
elastico, governato dalle equazioni (1.49)–(1.51):
In questo caso si definisce il residuo delle equazioni di Navier (1.49) e delle condizioni al
contorno statiche (1.51),
D
r(x) = −L[ ∂
, ∂ ] u(x) − f (x), x∈Ω (2.11)
∂x ∂x
D
q(x) = L[n, ∂
] u(x) − p̄(x), x ∈ Γp . (2.12)
∂x
Come sopra si richiede che questi due residui siano nulli in senso debole,
Z Z
w(x)T r(x) dΩ + w(x)T q(x) dΓ = 0. (2.13)
Ω Γp
Invece, per quanto riguarda le condizioni al contorno cinematiche (1.50), si richiede che
queste siano soddisfatte in senso forte; inoltre la classe W delle funzioni peso viene scelta
in modo da soddisfare in senso forte una condizione al contorno omogenea su Γu :
w(x)Γu = 0, x ∈ Γu , ∀w(x) ∈ W. (2.14)
39
2. Formulazione ai residui pesati del Problema Elastico
Analogamente a quanto visto nel paragrafo precedente si procede ad integrare per parti
T
R
una volta il termine Ω w(x) −L[ ∂ , ∂ ] u(x) dΩ per ottenere
∂x ∂x
Z Z
→ →
T T T
w(x) −L[ ∂ , ∂] u(x) dΩ = w(x) −N[ ∂ ] DN[ ∂ ] u(x)
dΩ =
∂x ∂x ∂x ∂x
Ω Ω
←
Z Z
= w(x)T N[ ∂ ] DNT[ ∂ ] u(x) dΩ − w(x)T N[n] DNT[ ∂ ] u(x) dΓ =
∂x ∂x ∂x
Ω Z Γ
Z
= NT[ ∂ ] w(x) DNT[ ∂ ] u(x) dΩ − w(x)T L[n, ∂ ] u(x) dΓ; (2.15)
∂x ∂x ∂x
Ω| {z }| {z } Γp
εw (x)T σ u (x)
(si ricordi che w(x)Γu = 0.) Sostituendo questo risultato nella (2.13), con facili passaggi
si ottiene
Z Z Z
T T
εw (x) σ u (x) dΩ = w(x) f (x) dΩ + w(x)T p̄(x) dΓ, (2.16)
Ω Ω Γp
con
40
2.4. Alcuni approfondimenti
in modo che
hw, ui = hw, uiu + hw, uip . (2.21)
È facile verificare che il prodotto interno è simmetrico
La differenza tra le due forme del plv risiede nel fatto che la prima forma contiene
nell’integrale su Γ valori di sforzo al contorno che nella formulazione del problema elastico
possono essere assegnati (p̄(x), per x ∈ Γp ) oppure incogniti (le reazioni vincolari p(x)
per x ∈ Γu ). Nella forma (2.16) si richiede che u(x) = 0 per x ∈ Γu , in modo che
nell’integrale al contorno compaia solo il valore assegnato p̄(x).
41
2. Formulazione ai residui pesati del Problema Elastico
(−N[ ∂
] σ, u) + hN[n] σ, ui = (f , u) + hp, ui
∂x
4
È interessante notare che con la notazione matriciale qui adottata, l’aggiunto di un operatore differenziale
lineare del primo ordine è semplicemente il suo trasposto cambiato di segno.
5
L’equazione (2.9) può essere riscritta come (w, r) + hw, qi = 0, cioè
(w, −N[ ∂ ] σ) − (w, f ) + hw, N[n] σi − hw, pi = 0,
∂x
in forma estesa. Sostituendo il primo termine di questa equazione con il risultato dell’integrazione
per parti (2.27) si ha
(NT[ ∂ ] w, σ) − hw, N[n] σi − (w, f ) + hw, N[n] σi − hw, pi = 0,
∂x
6
Per approfondimenti si consiglia di consultare [13].
42
2.4. Alcuni approfondimenti
(w, −L[ ∂
, ∂ ] u) =
∂x ∂x
= (w, −N[ ∂
] DNT[ ∂ ] u) = (NT[ ∂ ] w, DNT[ ∂ ] u) − hw, N[n] DNT[ ∂ ] ui =
∂x ∂x ∂x ∂x ∂x
= (−L[ ∂
, ∂ ] w, u) + hL[n, ∂
] w, ui − hw, L[n, ∂
] ui. (2.29)
∂x ∂x ∂x ∂x
Questo risultato, assumendo w(x)Γ = u(x)Γ = 0, mostra che l’operatore di Na-
vier è auto-aggiunto, in quanto (w, −L[ ∂ , ∂ ] u) = (−L[ ∂ , ∂ ] w, u). Le importanti
∂x ∂x ∂x ∂x
conseguenze di questa proprietà saranno analizzate nel capitolo 3.
Il risultato dell’equazione precedente può essere convenientemente riscritto nella forma
(w, −L[ ∂
, ∂ ] u) + hw, L[n, ∂
] ui = (−L[ ∂
, ∂ ] w, u) + hL[n, ∂
] w, ui, (2.30)
∂x ∂x ∂x ∂x ∂x ∂x
43
3. Formulazione variazionale del Problema Elastico
45
3. Formulazione variazionale del Problema Elastico
Z T Z Z
∂ T
δP(u) = α(ε) δε dΩ − f δu dΩ − p̄T δu dΓ
Ω ∂ε Ω Γp
Z Z Z
= σ T δε dΩ − f T δu dΩ − p̄T δu dΓ (3.3)
Ω Ω Γp
uΓu = ū =⇒ δuΓu = 0 (3.4)
Z Z Z
T T
δP(u) = 0 =⇒ σ δε dΩ = f δu dΩ + p̄T δu dΓ (3.5)
Ω Ω Γp
σ = Dε =⇒
1 T
α(ε) = ε Dε
2Z
1
E ε(x) = ε(x)T D(x)ε(x) dΩ
2 Ω
1
Z ← → Z (3.6)
P u(x) = u(x) T
N ∂
[ ∂x ] DNT
∂
[ ∂x ]
u(x) dΩ − f (x)T u(x) dΩ+
2
ZΩ Ω
T
− p̄(x) u(x) dΓ
Γp
1
P(u) = a(u, u) − (u, f ) − hu, p̄ip (3.11)
2
P(u + δu) =
1 1
= a(δu, δu) + a(δu, u) − (δu, f ) − hδu, p̄ip + a(u, u) − (u, f ) − hu, p̄ip (3.12)
2
| {z } | {z } |2 {z }
δP(u)
δ 2 P(u) P(u)
46
3.2. La norma dell’energia
)
u(x)Γu − ū(x) = 0
⇐⇒ a(δu, u) = (δu, f ) + hδu, p̄ip (3.13)
δPu = 0
D
[(2.2):] r(x) = −N[ ∂
] DNT[ ∂ ] u(x) − f (x)
∂x ∂x
(w, r) = 0
w(x)Γu = 0 ⇐⇒ a(w, u) = (w, f ) + hw, p̄ip (3.15)
hw, N[n] DNT[ ∂
ui − hw, p̄i = 0
p p
∂x
]
u(x)Γu = ū(x)
(3.16)
δu(x) = w(x)
(
(w, r) = 0
δPu = 0 ⇐⇒ (3.17)
hw, N[n] DNT[ ∂ ] u − p̄ip = 0
∂x
47
Bibliografia
[1] Enrico Bazzaro, Carlo Gorla, e Stefano Miccoli. Lezioni di Tecnica delle Costruzioni
Meccaniche, Parte Prima: Fondamenti. Edizioni Spiegel, Milano, 1997. ISBN 88-
7660-087-X. Esaurito, nuova edizione ampliata [2].
[2] Enrico Bazzaro, Carlo Gorla, e Stefano Miccoli. Lezioni di Tecnica delle Costruzioni
Meccaniche, Parte Generale. Edizioni Schönenfeld & Ziegler, Milano, 2004. ISBN
88-88412-24-7.
[3] Giulio Belloni e Giuseppe Bernasconi. Sforzi Deformazioni e loro legami. Edizioni
Spiegel, Milano, 1984.
[5] Robert D. Cook. Finite Element Modeling for Stress Analysis. John Wiley & Sons,
Inc., 1995. ISBN 0-471-10774-3.
[6] Leone Corradi dell’Acqua. Meccanica delle strutture, vol. 2: le teorie strutturali e il
metodo degli elementi finiti. McGraw-Hill Libri Italia srl, Milano, 1993.
[9] Jean Lemaitre e Jean-Louis Chaboche. Mécanique des matériaux solides. Dunod, 2
ed., 1988. ISBN 2-04-018618-2.
[11] Alfio Quarteroni, Riccardo Sacco, e Fausto Saleri. Matematica Numerica. Springer-
Verlag Italia, Milano, 2000. ISBN 88-470-0077-7.
55
Bibliografia
[12] Gilbert Strang e George J. Fix. An Analysis of the Finite Element Method.
Wellesley-Cambridge Press, Wellesley MA, 1988. ISBN 0-9614088-8-X. URL
http://www-math.mit.edu/~gs/well_camb_press/wcp.html. Reprint. Originally
published: Prentice-Hall, 1973.
56
. . . what is real in mathematics is the notation, not an imagined
denotation.
Edward Nelson, Confessions of an
Apostate Mathematician, 1995
A. Notazione
A.1.1. Matrici
Matrici in Rn×m sono indicate da lettere in carattere grassetto maiuscolo, per esempio A;
quando è necessario specificare le dimensioni, queste sono scritte sotto il simbolo in
questione: A . Le componenti di A sono aij con i = 1 . . . n, j = 1 . . . m, in modo che
n×m
si abbia
a11 · · · a1m
. .. ..
A= . . . . (A.1)
.
an1 · · · anm
Matrici n × 1 sono dette vettori-colonna e per essi si usa una lettera in carattere
grassetto minuscolo, per esempio x; le componenti del vettore-colonna x sono xi , con
Revisione 1.4 in data 9 luglio 2002 (bozza).
57
A. Notazione
i = 1 . . . n:
x
1
x= .. . (A.5)
.
xn
0 0 1
mentre il tensore identico è definito come
1 0 0
D
I = 0 1 0 . (A.8)
0 0 1
58
A.2. Operatori differenziali
f T u, tr(Σ T E),
Riferimenti bibliografici
Su vettori, tensori, matrici, può essere consultato qualsiasi testo di algebra; tra molti si
consiglia [4].
Per i principali operatori differenziali (gradiente, divergenza, etc.) si adotta una notazione
matriciale: si definiscono cioè matrici le cui componenti sono i simboli di derivazione
parziale, e si applicano formalmente le regole dell’algebra matriciale. Per esempio il
gradiente di uno scalare a(x) può essere espresso come
∂ ∂
∂x1 ∂x1 a
∂ ∂
∂x2 a = ∂x2 a ;
∂ ∂
∂x3 ∂x3 a
∂ ∂ T
si può anche scrivere ∂x a(x) e ∂x f (x).
59
A. Notazione
T h i
∂ T
∂
Applicando la regola di trasposizione del prodotto, ∂x u(x)T = u(x) ∂x , si può
però anche scrivere
∂ ∂ ∂
∂x1 u1 ∂x2 u1 ∂x3 u1
∂ T
∂ ∂ ∂
∂x1 u2 ∂x2 u2 ∂x3 u2 = u(x) ,
∂ ∂ ∂
∂x
∂x1 u3 ∂x2 u3 ∂x3 u3
etc.
Questa notazione, a prima vista un po’ astrusa, può essere spiegata osservando che
volendo adottare l’algebra delle matrici con espressioni contenenti simboli di derivazione
è necessario che sia rispettata la commutatività del prodotto, e dunque si è costretti a
→ ←
d d
scrivere sia dx a che a dx . D’altro canto la freccia è necessaria perché, pur potendo imporre
formalmente la commutatività, per le derivate non può ovviamente valere l’associatività.
1
Si comprende infatti a colpo d’occhio che le righe della matrice sono date dalle componenti di u, mentre
le colonne sono date dalle derivate parziali i-esime. Un altro motivo per adottare questa notazione è la
conseguente semplificazione dell’espressione dell’integrazione per parti, cfr. paragrafo B.2.
60
Carlo Gentina e Francesco Guerrini,
B. Richiami di Analisi Matematica Topolino n. 2396, 2001
n
X ∂
df = f (xi ) dxj ,
∂xj
j=1
oppure anche
n ←
X ∂
df = f (xi ) dxj ,
∂xj
j=1
←
∂ T
df = f (x) dx. (B.1)
∂x
61
B. Richiami di Analisi Matematica
La classica formula di integrazione per parti, nota da ogni corso di Analisi Matematica,
Z b Z b
dG dF
F dx = − G dx + [F G]ba ,
a dx a dx
può essere riscritta come
→ ←
Z b Z b
d d
F G dx = − F G dx + [F G]ba , (B.3)
a dx a dx
diata se si osserva che dΩ = dx1 dx2 dx3 : sotto generali condizioni di regolarità per Ω è
sufficiente scomporre l’integrale triplo in un integrale esterno in dx2 dx3 e un integrale
interno in dx1 , al quale si applica la formula di integrazioni per parti “monodimensiona-
le”; per trattare il fattore finito occorre inoltre notare che dx2 dx3 = dΓ|n1 |, dove n1 è la
componente della normale uscente a Γ in direzione dell’asse x1 , rispetto al quale si esegue
l’integrazione per parti. Si giunge così al risultato, noto dai corsi di Analisi Matematica:
Z → Z ← Z
∂ ∂
F G dΩ = − F G dΩ + F n1 G dΓ;
Ω ∂x1 Ω ∂x1 Γ
più in generale si ha
Z → Z ← Z
∂ ∂
F G dΩ = − F G dΩ + F ni G dΓ, (B.4)
Ω ∂xi Ω ∂xi Γ
→ ←
Z Z Z
FD ∂ G dΩ = − FD ∂ G dΩ + F Dn G dΓ, (B.5)
∂x ∂x
Ω Ω Γ
62
Der Rechenschieber, das sind zwei unerhört scharfsinnig
verflochtene Systeme von Zahlen und Strichen; der
Rechenschieber, das sind zwei weiß lackierte, ineinander
gleitende Stäbchen von flach trapezförmigen Querschnitt, mit
dessen Hilfe man die verwickeltsten Aufgaben im Nu lösen kann,
ohne einen Gedanken nutzlos zu verlieren; der Rechenschieber,
das ist ein Symbol, das man in der Brusttasche trägt und als
einen harten weißen Strich über dem Herzen fühlt.
Robert Musil, Der Mann ohne
Eigenschaften, 1930
dove i coefficienti Aj sono detti pesi, le coordinate xj punti. Una formula di quadratura
basata su interpolazione polinomiale è definita come
D
Qn (f ) = I(pn−1 ), (C.4)
dove pn−1 (x) è un polinomio di ordine n − 1 che interpola f (x) negli n punti xj .
Un’espressione esplicita del polinomio interpolante pn−1 (x) può essere ottenuta come
combinazione lineare dei polinomi di Lagrange
n
D x − x1 x − x2 x − xj−1 x − xj+1 x − xn−1 x − xn Y x − xi
lj (x) = ··· ··· = .
xj − x1 xj − x2 xj − xj−1 xj − xj+1 xj − xn−1 xj − xn xj − xi
i=1
i6=j
(C.5)
Dalla proprietà
lj (xi ) = δij (C.6)
Revisione 1.4 in data 5 giugno 2003 (bozza).
63
C. Richiami di Calcolo Numerico
si ottiene immediatamente
n
X
pn−1 (x) = f (xj )lj (x). (C.7)
j=1
x = g(t), (C.9)
Z b Z g−1 (b)
dg
f (x) dx = f (g(t)) dt, (C.10)
a −1
g (a) dt
a+b b−a
la quale, per g(t) = 2 + 2 t,
consente di esprime l’integrale su [a, b] come
Z b
b−a 1
a+b b−a
Z
f (x) dx = f + t dt. (C.11)
a 2 −1 2 2
Da questa formula, definiti A0j e x0j pesi e punti di integrazione sull’intervallo [−1, 1], si
ottengono i pesi e punti di integrazione su [a, b]:
b−a 0 a+b b−a 0
Aj = Aj xj = + xj . (C.12)
2 2 2
Riferimenti bibliografici
Sulle formule di integrazione numerica può essere consultato qualsiasi testo di Calcolo
Numerico, per approfondimenti si consigliano [7, 8].
File Matlab
Un’implementazione in Matlab di una formula di integrazione gaussiana può essere tro-
vata nei file grule.m e gint.m, reperibili nella pagina http://www.mecc.polimi.it/
~miccoli/PASM/m-files/.
64
Conoscere quindi i valori delle lettere dell’alfabeto è conoscere
l’essenza divina dell’universo fenomenico; e la struttura stessa
dell’universo fenomenico ha riscontro puntuale nelle lettere
dell’alfabeto, dalle e grazie alle quali si forma, dopotutto, ogni
pensiero, e quindi ogni consapevolezza umana.
Gabriele Mandel, L’alfabeto ebraico, 2000.
D. Simboli principali
Di seguito si definiscono i principali simboli adottati nel testo, elencati in ordine alfabetico
(con le lettere latine che precedono le lettere greche.) Se definite si riportano anche le
dimensioni fisiche dei simboli, utilizzando le seguenti grandezze generiche.1
1 adimensionale
L lunghezza
M massa
T tempo
F forza (MLT−2 )
[·] dimensioni della grandezza generica ·
65
D. Simboli principali
66
Parole inesatte, refusi, parole aggiunte da mani distratte,
perdute, raccattate, parole impossibili, parole caute,
«da dizionario»ci mettono sull’avviso: vi sono righe in cui le
parole che vanno lette non sono state scritte. Anche il silenzio
è parola.
Giorgio Manganelli, Pinocchio: un libro
parallelo, 1977
colophon
Questo testo è composto in LATEX 2ε e pdfTEX con i caratteri della famiglia “Computer Modern”.