IN CHAT CON // SAM GRAHAM-FELSEN
I giornalisti di mag- re accesso a Internet, ma non voglio
s t a r t
Una rete di attivisti digitali
A 27 anni è stato
“blogger-in-chief”
della campagna di
Obama. Oggi,
la nuova avventura
di Sam Graham-
Felsen si chiama
Alliance for Youth
Movements. La sua
missione: collegare
i movimenti giovanili
di tutto il pianeta
che lottano per la
democrazia e i diritti
civili. Aziende come
Google e Twitter ci
mettono i soldi, lui la
sua esperienza della
Rete — FILIPPO SENSI
Sul tuo samgf.org ricorre un tormen-
tone: «Non sono gli strumenti a por-
tare il cambiamento, ma la gente che
li usa». È per questo che ti sei lan-
ciato nell’avventura dell’Alliance for
Youth Movements?
«Lavoro con Aym (movements.org)
perché sono convinto che ci sia biso-
gno di uno spazio per consentire agli
attivisti digitali di comunicare e im-
parare gli uni dagli altri. Twitter di
per sé non cambia il mondo, ma un
attivista può usare Twitter per cam-
biare le cose nella sua comunità o nel
suo paese. Troppo spesso gli attivisti
digitali lavorano isolati. Per questo
spero che Aym possa essere un fo-
rum per condividere strategie su
come usare in maniera efficace que-
sti nuovi mezzi potenti per rafforzare
una campagna. E confrontare casi di
studio su cosa ha funzionato e cosa
no nei loro precedenti tentativi».
Cosa hai portato con te dell’espe-
rienza in prima linea da chief-blog-
ger del candidato Obama?
«L’eredità più importante è la prova
che, quando le persone si uniscono,
hanno il potere di portare un cam-
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biamento sociale straordinario. La giornalismo.
campagna di Obama ha rovescia-
to il vecchio modello, basato sul
sostegno di un piccolo gruppo di
personalità ricche e potenti. Abbia-
mo, invece, messo milioni di persone
comuni in condizione di aiutarci e il
loro impatto, tutti insieme, è stato
più grande. La chiave di tutto questo
è la fiducia. Devi fidarti della possi-
bilità che la gente ti possa aiutare e
darle l’opportunità di farlo».
Nel 2009 il mantra della consulen-
za politica è stato “coinvolgere”. È
ancora così nel 2010?
«Penso che coinvolgere sarà sempre
centrale, anche se il termine “empo-
werment” (dar potere di fare) forse
sintetizza meglio il concetto».
Chi c’è nella tua squadra dei sogni
per i new media? Fuori i nomi…
«In questo campo non c’è nessuno
meglio di Joe Rospars, il mio ex capo
nella campagna di Obama e a Blue
State Digital. Ma penso che se rimet-
tessimo insieme la
squadra del 2008,
saremmo ancora
«La chiave all’avanguardia».
è la fiducia. E la “killer app”
Devi dare del 2010? Quella
alle persone dell’anno scorso è
l’opportunità stata Twitter...
di aiutarti» «Mmm... Sincera-
mente, per le cam-
pagne elettorali, la
killer app resta la
posta elettronica. E credo sarà co-
sì anche nei prossimi anni. Forse la
geolocalizzazione avrà un impatto
interessante sulle prossime elezio-
ni perché renderà più facile che mai
fare una campagna sul territorio, ad
esempio per il porta a porta».
Chi conta di più, oggi, in politica: tv
o Internet?
«Oggi la tv è il mezzo di comu-
nicazione dominante, almeno in
America. Ma è una dinamica in movi-
mento. Prima di tutto, tv e computer
si stanno fondendo, di qui a cinque
1RING! o dieci anni chiunque controllerà la
Componi
sua mail e navigherà su Internet in
gratuitamente lo
02 92966206 salotto sul suo televisore».
da qualsiasi
telefono. E la carta stampata? Non mi dirai
Riceverai un sms
con le istruzioni anche tu che i nuovi media uccide-
per i contenuti ranno il giornalismo...
extra di questo
articolo. «È un periodo affascinante per il
Michael Rubenstein
giore successo, quelli che sono
sopravvissuti al nuovo scenario
disegnato dalla crisi, sono quel-
li che hanno saputo costruire una
relazione coi loro lettori. Invece del
vecchio modello, che in sostanza di-
ce: “Sono così intelligente, leggiti
il mio articolo”, i giornalisti più
acuti cercheranno di coinvolgere
i loro lettori in una conversazio-
ne, sollecitando giudizi e opinioni,
mettendo a disposizione le loro ri-
cerche, impegnandosi nei social
media, e via dicendo».
Un esempio di giornalisti 2.0?
«Josh Marshall lo fa benissimo col
suo Talking Points Memo. E nei
media tradizionali, Nick Kristof del
New York Times fa un lavoro eccel-
lente nel coinvolgere i suoi lettori».
E i blog... hanno ancora un futuro?
«Molti dei blogger più in evidenza
sono diventati delle figure professio-
nali nel mondo dei media e lavorano
in vere istituzioni come il Washing-
ton Post, ad esempio. È inevitabile,
comunque, che spuntino nuove vo-
ci nella blogosfera a sfidare lo status
quo. Fare un blog offre un megafo-
no a chiunque voglia far sentire la
propria voce. E ci saranno sempre
un sacco di persone lì fuori con co-
se importanti da dire».
Tre consigli dal blogger di Obama
a chi vuole mettere su un blog.
«Consiglio numero uno: l’autenticità
conta. Trova la tua voce e mantie-
nila. Non ripiegare su cliché e liste
della spesa – nessuno vuole leggere
roba del genere. Piuttosto concen-
trati e racconta storie vere di gente
vera che dà forza al tuo movimento.
Numero due: non scrivere comuni-
cati stampa. Non scrivi per i giornali,
ma per le persone. Tre: l’importan-
te non sei tu, ma la tua campagna,
la tua causa. Concentra le energie
e parla del movimento come di un
tutt’uno invece di raccontare che co-
sa ne pensi tu di un certo tema o di
un certo evento».
Che tecnologie hai nella borsa?
«Sono un fan Apple. Uso un Mac-
Book Pro. Avevo un iPhone, ma l’ho
mollato da poco perché stavo diven-
tando dipendente, stavo sempre lì a
giocarci. Ho un iPad 3G. Voglio ave-
averlo nel taschino. Troppo Inter-
net, secondo me, non fa bene».
Insieme alle opportunità dei new
media viaggiano anche i rischi: cen-
sura, filtri, controllo. Chi vincerà?
«Sono sicuramente un tecnotti-
mista. Internet rende più facile
l’auto-organizzarsi. E le persone
organizzate possono essere incre-
dibilmente potenti…».
Almeno quanto le dittature...
«È vero, i regimi totalitari si stan-
no facendo sempre più astuti nel
reprimere il dissenso utilizzando
Internet. Ma credo che, sul lungo
periodo, la Rete premierà gli atti-
visti della democrazia. Internet è
troppo vasto e poroso per essere
controllato totalmente dai ditta-
tori e sono fiducioso che i ragazzi
sempre più numerosi che oggi la-
vorano in Rete non smetteranno di
trovare nuovi modi per aggirare le
censure e organizzarsi».
Gli Stati Uniti sono passati
dall’esportazione della democra-
zia di Bush alla “statalità del 21esi-
mo secolo” del duo Obama-Biden.
Quanto durerà?
«Impossibile fare previsioni. Mi
auguro, però, che chiunque vinca
le prossime elezioni segua l’esem-
pio dell’amministrazione Obama.
Il suo approccio di coinvolgimento
del resto del mondo e di promo-
zione dal basso della democrazia,
piuttosto che il vecchio atteggiarsi
a poliziotto del mondo, sta chiara-
mente funzionando. I sondaggi
dimostrano infatti che la popola-
rità dell’America a livello globale
sta finalmente risalendo».
Dagli Usa alla Cina, all’Iran, le lotte e
la vita dei ragazzi sono sempre più
legate ai nuovi media. È un bene?
«Internet è una lama a doppio filo.
Può essere uno strumento di em-
powerment, ma anche una forte
distrazione. Questa infinita varie-
tà di entertainment può essere una
forza depoliticizzante. Ecco perché
le comunità organizzate svolgono
w i r e d
un ruolo chiave. Abbiamo bisogno
di leader che ispirino le persone, le
sollevino dai loro divani e lontano
dai loro computer perché lottino per
cambiare le cose».
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