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25 settembre 2018 - 07:54 > Versione online

Atenei con meno iscritti sfavoriti dal nuovo


costo standard
Annunciato con un comunicato stampa prima delle ferie estive, è stato finalmente pubblicato
l'attesissimo decreto ministeriale che disciplina la determinazione del “costo standard”, che a
regime sarà alla base dell'erogazione dell'intera quota base del Fondo di finanziamento ordinario
per le università. Il “nuovo costo standard”
giunge dopo un tagliando imposto dalla sentenza della Corte costituzionale, che ha dichiarato
illegittime le precedenti modalità di calcolo a causa della eccessiva discrezionalità, fuori da
qualunque legge ordinaria, con la quale esse erano state determinate dagli allora ministri Giannini
e Padoan.
Invero il nuovo modello di quantificazione del costo di riferimento per la formazione di uno
studente in corso non si differenzia significativamente dal modello precedente. Peraltro è
verosimile che i contenuti del nuovo Dm siano frutto di un lavoro in gran parte portato avanti
dalla squadra di tecnici del governo uscente.
Svantaggiati piccoli atenei con docenti giovani
Dicevamo dei criteri di calcolo. Il “cuore” del costo standard è senz’altro costituito dalla stima
della spesa che un ateneo deve sostenere per pagare stipendi a docenti e personale
tecnico-amministrativo. In questo frangente il Dm targato Bussetti, seppure in maniera più
contenuta, continua a commettere il medesimo errore di fondo del modello precedente, già messo
chiaramente in evidenza durante il dibattito parlamentare della conversione del decreto-legge
91/2017 post Corte costituzionale. Illustriamolo con un esempio. Il piccolo ateneo A e il grande
ateneo B hanno entrambi attivato un corso di laurea magistrale in Fisica, con 20 studenti regolari
per ciascun anno di corso per A e 40 per B. Per farlo, la normativa sull'accreditamento dei corsi di
studio impone ai due atenei di assumere in pianta stabile 6 docenti che svolgano la loro attività
didattica in quel corso. Ebbene, anche se i due atenei hanno i medesimi costi per la docenza (lo
stipendio di questi 6 docenti), il nuovo modello di costo standard “rimborsa” all'ateneo A metà dei
costi riconosciuti all'ateneo B!
Questa asimmetria tra requisiti di accreditamento dei corsi di studio da una parte e costo standard
dall’altra chiaramente sfavorisce gli atenei e i corsi di studio in cui ci sono mediamente meno
iscritti, e in particolar modo le università che insistono in zone del Paese a bassa densità di
popolazione e i corsi di area scientifica. Questi ultimi, paradossalmente, sono proprio quei corsi
che l'Italia si era impegnata a sostenere in sede europea e che a detta di vari osservatori sono
fondamentali per la ripartenza scientifico-tecnologica del Paese.
Non va meglio per i costi connessi alla macchina amministrativa. Qui si raggiungono effetti quasi
paradossali, dato che la formula adottata dal Miur - ancora una volta la stessa prevista dal modello
targato Giannini - prevede all'articolo 3 che gli atenei che si stima spendano di più per le
segreterie studenti (e quindi quelli che ricevono più risorse in Ffo) siano quelli … con i professori
ordinari più anziani …
Una conclusione che fa a pugni con la realtà, oltre che con il buonsenso. È allo stesso modo
contro-intuitiva la previsione di concedere alle sole università con più di 20.000 studenti, 556 €
per ogni studente oltre i 20.000. Un criterio non previsto nel precedente modello né
esplicitamente indicato dalla legge, e, per l'appunto, di non semplice comprensione dato che ci si
aspetterebbe che grazie ad economie di scala un ateneo con molti studenti possa realizzare dei
risparmi nella spesa pro-capite per i suoi studenti, piuttosto che sostenere costi ulteriori.
Perequazione al 13% anziché al 20%
Ma le maggiori attese per il nuovo costo standard erano concentrate sull'annunciata perequazione
a favore degli atenei che hanno sede in territori economicamente o territorialmente disagiati. Vi
erano state numerose critiche, sia da parte degli atenei che da parte di vari esponenti politici,

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alcuni dei quali proprio del Movimento 5 Stelle, e tra le righe perfino dalla Corte costituzionale,
sul precedente modello che di fatto disattendeva le indicazioni della legge di tener conto dei
«differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l'università». Ma anche qui
i colpi di scena non sono mancati. Per chi aveva letto la relazione illustrativa del decreto-legge
91/2017 e ne aveva seguito l'iter parlamentare era chiaro che il valore del fattore perequativo
sarebbe stato pari complessivamente al 20% dell'intero costo standard. Il ministro Bussetti,
invece, ha deciso di abbassare tale valore al 13%. Una scelta inattesa, che evidentemente
sfavorisce gli atenei del centro-sud, e della quale non sono state illustrate le ragioni.
Modello “flat tax” per accessibilità agli atenei
Inoltrandoci più nei dettagli tecnici della quantificazione della difficoltà di “accessibilità” agli
atenei, questa è stata misurata mediante un indicatore calcolato dall'Istat sui tempi medi di
percorrenza dalle sedi universitari verso i principali nodi di trasporto. Colpisce però la scelta dei
tecnici del Miur di assegnare la quota di perequazione non in maniera proporzionale a tale
indicatore di accessibilità, ma attraverso un arbitrario meccanismo a scaglioni, molto schiacciato
verso il basso. È dunque accaduto che sia stato assegnato lo stesso “scaglione di perequazione”
alle sedi di Cagliari e Urbino, pur avendo ricevuto il capoluogo sardo un indice di accessibilità di
quasi 6 volte superiore alla città marchigiana (17,88 contro 3,05). Una sorta di modello “flat tax”,
che tuttavia è stato applicato soltanto ad alcuni degli indici presenti nel Dm a firma Bussetti.
A ncora “liberi tutti” su tasse atenei?
Un netto miglioramento, rispetto al modello precedente, si registra invece sul meccanismo di
calcolo delle “perequazione economica”, basata sui redditi degli studenti in corso iscritti in un
dato ateneo.
Tuttavia anche il ministro Bussetti, come i suoi predecessori, ha scelto di non intervenire sul
“nodo tasse”. Se la perequazione economica ha come obiettivo principale quello di compensare
gli atenei che insistono su territori disagiati dei bassi introiti delle tasse studentesche, il corollario
successivo non può che essere quello di impedire che le università continuino impunemente a
violare la legge che impone loro un tetto massimo alla tassazione. Nonostante le proteste del Cnsu
e di varie associazioni studentesche, finora tali atenei “fuori-legge”, oltre a beneficiare della
perequazione, sono stati anche “premiati” con maggiori facoltà assunzionali nei vari Dm di
stanziamento annuali dei “punti organico” finora emanati. Staremo a vedere se il Ministro
Bussetti seguirà, anche in questo, i suoi predecessori.
Scelte tecniche o scelte politiche?
Di certo gli atenei del Sud hanno tratto vantaggio dalla norma che ha esteso anche agli studenti
iscritti al primo anno fuori-corso l'applicazione del costo standard ai fini del riparto del Ffo. Una
norma inserita nel corso della conversione del decreto-legge sul Sud, nonostante l'ostilità, ci
dicono, degli ambienti del Miur. Anche per questo è lecito porsi il dubbio se l'abbassamento dal
20% al 13% della perequazione sia una sorta di “effetto di compensazione” per la norma sui
fuori-corso. In ogni caso da questa vicenda emerge chiaramente come, ancora una volta, scelte
prettamente “politiche” si nascondano dietro scelte tecniche, tabelle o formule matematiche,
oscure ai più.
Anche in questo il “governo del cambiamento” sembra essere in perfetta continuità con i
precedenti. Almeno in tema di finanziamenti agli atenei.
*Professore associato di Geometria e Algebra presso l’Università di Cagliari
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