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Jean Pascal Maracci ANER

I bambini come vivono una scelta del genere?


“Con tutta la normalità possibile. Non hanno paure a spogliarsi, non
si vergognano, non sviluppano quello che gli altri chiamano pudore.
A tre anni li portavamo a Mirabilandia e nei giochi acquatici stavano
senza costume. Vedevamo, al contrario, bambine piccolissime
indossare già il bikini. Una cosa che trovo assurda”.
Crescendo, diventando grandi, non hanno iniziato ad allontanarsi
dalla pratica del naturismo?
“No, da adolescenti hanno vissuto i problemi e i complessi di tutti,
come i brufoli. Nulla a che fare, però, con il naturismo. I figli dei
naturisti vivono fin da piccoli, con normalità, le modificazioni del
corpo delle persone. E non sviluppano certe morbosità. Non cercano
chissà cosa in un corpo nudo”.
Si potrebbe dire che hanno un vantaggio educativo?
“Assolutamente sì. So di bambini che non hanno mai visto la loro
mamma nuda. E poi ci chiediamo perché certi adolescenti o certe
adolescenti diventano morbosi e scatenati. Eppure siamo ancora
soggetti a pregiudizi duri a morire”.
Del tipo?
“Molti sono convinti che appena il maschio si spoglia ha un’erezione
o che appena una donna fa lo stesso abbia l’istinto ad avere rapporti
sessuali. Non si capisce che il nostro è un modo di stare a contatto
con la natura: non ci spogliamo certo dove capita. Se per assurdo il
bagno X di Riccione decidesse di aprirsi al nudismo, non avrebbe
nulla a che fare con noi. Sarebbe solo, come cantava Dalla in ‘Ciao’:
la spiaggia di Riccione, milioni di persone…No, il naturismo è
un’altra cosa”.
Perché c’è così tanta retrosia?
“Perché siamo in un mondo di paradossi. A Formentera, dove c’è la
nudità opzionale, l’80% dei turisti sono italiani. E si spogliano
eccome. Poi, quando tornano a casa, se vedono una persona nuda in
spiaggia chiamano le forze dell’ordine. Idem quando noi vediamo uno
in costume su una spiaggia naturista: chiaro che è un guardone ma
non possiamo intimargli di allontanarsi. Al contrario, se un naturista
va su una spiaggia di Cattolica e si spoglia, si trova circondato. Il
problema è culturale”.
Lei è anche avvocato: le capita spesso di difendere naturisti?
“Eccome. E assisto anche in questo caso a contraddizioni
pazzesche. Vengo da un processo nel quale due coppie erano
accusate di atti contrari alla pubblica decenza. I carabinieri avevano
denunciato solo i due uomini, le due donne no. Forse perché stavano
bene senza costume. E il giudice ha emesso una sentenza ridicola
nella quale si è limitato a dire che non era sicuro che le persone
denunciate fossero nude, forse si stavano solo cambiando. Questo
pur di non ammettere che avevano tutto il diritto di stare nudi. In
assenza di una legge nazionale, regna l’anarchia. I sindaci fanno
quello che vogliono, quando invece basterebbe segnalare le spiagge
naturiste in tre o quattro lingue. Un’operazione molto semplice”.
I suoi figli frequentano ancora le spiagge naturiste?
“Meno ma non perché siano contrari. Il problema è che si annoiano.
A noi è vietato organizzare qualsiasi attività, non si possono aprire
bar. E per un ragazzo è terribile non avere possibilità di svago. Così
preferiscono andare verso i lidi riminesi. Ogni tanto vengono con
noi, il più grande anche con la fidanzata. E non hanno nessun
problema a spogliarsi”.
Lo fanno molte famiglie?
“Purtroppo, a causa delle restrizioni, in Italia no. Perché per
praticare naturismo bisogna difendersi, arrabbiarsi. E la famiglia non
è certo la cornice migliore per farlo. All’estero, invece, tra i naturisti
i genitori con figli sono la parte preponderante”.

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