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ARTE E RIVOLUZIONE

L'arte, necessaria come la scienza, sebbene non


sufficiente, contribuisce alla realizzazione della
società urbana con la sua lunga meditazione sulla
vita come dramma e gioia. Inoltre e soprattutto, l'arte
restituisce il senso dell'opera, consente figure
molteplici di tempi e di spazi appropriati: non subiti,
non accettati da una rassegnazione passiva, ma
trasformati in opera. La musica mostra
l'appropriazione del tempo, la pittura e la scultura
quella dello spazio. Se le scienze scoprono
determinismi parziali, l'arte mostra come una totalità
nasce partendo da determinismi parziali.

HENRI LEFEBVRE

Nel paper si tenterà di offrire una panoramica in cui si intrecciano la storia contemporanea
dei paesi della sponda Sud del Mediterraneo e la costruzione di un immaginario politico e
culturale legato all'esperienza artistica di gruppi e individui originari o residenti in quelle
zone. A partire da alcuni testi fondamentali l'obiettivo sarà dunque quello di coniugare le
esperienze legate all'espressione artistica con i recenti sconvolgimenti che hanno portato alle
“Primavere arabe”.
Immaginando che anche l'arte possa avere un ruolo in questi processi, si tenterà di capire
quanto siano profonde le radici che dovranno sorreggere le esperienze rivoluzionarie iniziate
nel 2010; a questo scopo e nell'intenzione di individuare le potenzialità che si sviluppano a
partire da un'immaginario condiviso, sarà proposta una breve – e necessariamente non
esaustiva- rassegna sul milieux artistico di alcuni dei paesi presi in esame.
Le forme artistiche protagoniste di questo approfondimento saranno sostanzialmente due: il
fumetto e l'animazione. Non si tratterà dunque di uno sguardo a tutto tondo sul mondo
artistico dei paesi arabi ma è possibile sostenere che dall'analisi di quelle due forme
espressive si possano rintracciare le coordinate in grado di fornire un'immagine
rappresentativa di una parte di mondo che sta alzando la sua voce e guadagnando
importanza a livello globale.
1. Io sono, Noi siamo

Quello che è accaduto negli ultimi anni nel mondo del Maghreb e del Mashrek
rappresenta una novità assoluta nella storia di apparente immobilismo che aveva caratterizzato
gran parte dei paesi protagonisti della cosiddetta Primavera araba. Gli ultimi decenni hanno
visto questi paesi guidati da leader che sembravano aver stabilito un potere irreversibile,
avevano costruito sulla loro figura un'immagine che appariva intramontabile, essi stessi
rappresentavano lo Stato. In effetti, sviluppando sistemi in cui l'autoritaritarismo va a
braccetto con corruzione, familismo e disuguaglianze sociali, l'intero apparato statale si
configurava come un'oligarchia nelle mani del leader e della sua famiglia e/o del suo partito.
Ben Ali ha mantenuto il potere in Tunisia dalla notte del 6 novembre 1987, occasione in cui
svolse il suo colpo di stato “medico”1, fino a quando è stato costretto a fuggire a Jedda in
Arabia Saudita, il 14 gennaio 2011. In Egitto, Hosni Mubarak ha governato dal 14 ottobre
1981 fino all'11 febbraio 2011, giorno in cui anche lui ha dovuto dimmetersi e fuggire. In
Libia le dinamiche assimilabili all'esperienza della primavera araba si sono svolte con
sostanziali differenze rispetto agli aspetti comuni riscontrabili in Egitto e Tunisia, eppure
anche in questo caso, lo Stato effettivamente costruito da Gheddafi seguendo il modello della
Jamāhīriyya è rimasto in vigore per quasi mezzo secolo, dal 1 settembre 1969 all'ottobre
2011. Anche in Siria la continuità dinastica che si è vissuta per oltre quaranta anni sottende
caratteristiche comuni alle zone già citate: nel 1971 Hafiz al-Assad, dopo il colpo di stato
dell'anno precedente, assume il ruolo di Presidente che dopo la sua morte nel 2000 erediterà il
figlio Bashar al-Assad oggi alle prese con la difficile crisi siriana. L'iran d'altra parte, unico di
questi paesi a non aver affrontato un sostanziale cambio di regime, all'alternanza nella carica
presidenziale contrappone il mantenimento della Repubblica islamica fondata nel 1979 in cui
la Guida Suprema, l'Ayatollah è la carica principale dello stato; all'Ayatollah Khomeini, in
carica fino al 1989, è succeduto l'attuale Guida Suprema, l'Ayatollah Ali Khamene'i.

1 Nella notte tra il 6 e il 7 novembre 1987 il primo ministro Zine El Abidine Ben ‘Ali convocò i sette medici
curanti del Presidente nel palazzo del ministero dell’interno. Questi compilarono un certificato medico in cui
si attestava che lo stato di salute di Bourguiba non gli permetteva più di esercitare le funzioni inerenti alla sua
carica. Secondo l’articolo 57 della Costituzione, in caso di impedimento assoluto, tale incarico sarebbe stato
assunto dal primo ministro in carica. Alle sei e trenta della mattina del 7 novembre, Radio-Tunis trasmise il
discorso del nuovo Presidente della Repubblica – la celebre Déclaration23 – e, nel pomeriggio, Ben ‘Ali
prestò giuramento davanti al parlamento, dando inizio alla cosiddetta ‘nuova era’.
C. Roggero, Rivolte e rivoluzioni nella storia contempotranea tunisina, in La primavera araba. Origini ed
effetti delle rivolte che stanno cambiando il Medio Oriente, a cura di M. Mercuri e S. M. Torelli, Milano, Vita
e Pensiero 2012, p. 42.
Nel giro di pochi mesi in questi paesi è successo l'inimmaginabile. I regimi che
seppure con mille contraddizioni sembravano garantire la stabilità di questa parte di mondo
sono stati travolti da ondate di dissenso, con manifestazioni pubbliche che hanno resistito alla
repressione e che hanno rivendicato la non negoziabile caduta dei regimi autoritari. Per di più,
il fattore di novità assoluta è nella composizione di coloro che hanno organizzato e partecipato
alle prime manifestazioni nelle piazze. Non si trattava più di movimenti o fazioni già note
nell'ambito della sfera politica, ma per lo più di giovani appartenenti alla società civile, donne
e ragazze che rivendicavano diritti immaginando una vita più libera dall'oppressione del
potere.
Per questo sembra che qualcosa sia veramente cambiato nei paesi del sud del
Meditarraneo; perché in Piazza Tahrir -simbolo della primavera egiziana- e nelle piazze
tunisine si evocava un futuro possibile, un futuro in cui poter vivere felici. Nelle immagini di
quei giorni veniva ribaltato quel complesso insieme di sentimenti che accomunano il mondo
arabo, che sfociano nell'impotenza e che Samir Kassir nominò “Infelicità araba”:

«L'impotenza, innegabilmente, è oggi la cifra dell'infelicità araba. Impotenza a essere ciò che si ritiene di
dover essere. Impotenza ad agire per affermare la propria volontà di esistere, se non altro come possibilità, di
fronte all'Altro che ti nega, ti disprezza, e adesso, nuovamente ti domina. Impotenza a reprimere la sensazione di
essere ormai una entità trascurabile sullo scacchiere planetario quando è in casa tua che si gioca la partita»2.

In quei giorni i contorni di questa palese infelicità si plasmavano a tal punto da tramutarsi in
segni di speranza per una felicità futura. Nonostante le difficoltà, nelle piazze si era costituito
un movimento eterogeneo e popolare che sentiva la speranza di stravolgere finalmente l'intera
situazione, riconducibile a quel genere di “infelicità”, in cui «era racchiusa la patologia di un
mondo che si sentiva vittima, sommerso da una cultura oscurantista, senza futuro, […] un
mondo che non contava, non decideva»3.
Si può dire, in effetti, che il fermento e la rabbia capitalizzati nelle primavere arabe
sono parte di un sentimento di rivalsa che viene da lontano; nasce dal dominio coloniale
durato circa un secolo e si rinnova sotto l'autoritarismo delle oligarchie. Un sentimento che
però si traduce in rivendicazioni del tutto anti-ideologiche, libere dall'occidente sia come
ispiratore che come bersaglio polemico4, legate all'immanenza della vita quotidiana in cui

2 Samir Kassir, L'infelicità araba, Torino, Einaudi 2005, p. 6.


3 Igiaba Scego, Prefazione, in Fumetto e animazione in Medio Oriente, di Serenella Di Marco, Latina, Tunué
2001, p. IX.
4 L’Occidente è stato per molti aspetti assente dalla prospettiva delle piazze arabe. Assente come ispiratore o
alleato; ma anche assente come bersaglio polemico. La ‘Grande rivolta araba’ del 2011 è innanzitutto una
rivolta contro i propri governanti, contro i propri regimi, contro i propri despoti, riconosciuti come la fonte
garantirsi uno sviluppo individuale non legato ai dogmi imposti da leggi claniche o familiari o
dal tiranno di turno.
Scrivere oggi di questi temi risulta probabilmente meno entusiasmante rispetto alle
prime analisi proposte quando gli eventi era ancora pienamente in corso. Sebbene i processi di
transizione siano ancora in atto, sono ormai andati a determinarsi alcune dinamiche per cui, ad
esclusione del coraggioso percorso tunisino di democratizzazione, le istanze rivoluzionarie
sono crollate per far posto a nuovi regimi autoritari-militari o, nei casi peggiori, a conflitti
militari all'interno dei paesi. Questo però non svilisce quanto è accaduto. I percorsi politici
reali che si sono costruiti a partire dal 2011 non è detto che rimarranno sommersi in una
rinnovata infelicità araba; le relazioni costruite, la condivisione di lotte, le necessità
esistenziali non hanno per lo più ancora trovato percorsi ideonei in grado dare sfogo alla loro
forza costitutiva. Eppure la necessità di una nuova rappresentazione individuale e collettiva
comprende aspetti intimi dell'umano, come sentimenti più o meno latenti, che è difficile
neutralizzare. Nell'anonimato si è lottato contro i grandi nomi dei potenti che con tracotanza
volevano rappresentare lo stato nella loro persona, «nell'anonimato si è lottato per la propria
autodeterminazione. Nell'anonimato si è lottato per l'affermazione della propria identità»5.
In questo senso la produzione artistica “medio orientale” degli ultimi anni appare del
tutto in linea con le istanze rivoluzionarie della Primavera araba. La diffusione del web, la
possibilità di incontrare l'Altro/l'Altrove sono alcuni dei fattori che hanno contribuito
all'accentuarsi delle contraddizioni all'interno di paesi in cui libertà individuali e aspirazioni
sociali erano fortemente compremesse dalla discrezionalità del potere autoritario e dalla
corruzione nel sistema economico. In questo scenario la produzione artistica, specialmente
legata al fumetto, si orienta al presente parlando di politica, dei mali della società e della vita
in questi regimi. «C'è voglia di denunciare i soprusi, le violenze, le insensatezze di un mondo
stritolato dalle oligarchie. C'è voglia di darsi un'identità con le storie, i tratti, le parole» 6.
Questo è uno dei primi punti di contatto tra arte e rivoluzioni arabe dal momento che l'oggetto
polemico sono i propri governanti, colpevoli di negare una rappresentatività individuale
imprigionata e dominata dai sistemi di regime.
Il lavoro di Sarenella Di Marco, contenuto nel volume “Fumetto e animazione in

primaria di quell’‘infelicità araba’, tanto amaramente e magistralmente descritta dal compianto Samir Kassir.
L’Occidente non ha costituito una fonte di ispirazione per questi movimenti, né in senso emulativo né in
senso antagonistico. È stato, in realtà, per un lunghissimo tempo, semplicemente assente. Assente nella
prospettiva di chi sapeva che nulla poteva aspettarsi da parte occidentale.
V. E. Parsi, Introduzione. Le rivoluzioni arabe e le loro conseguenze per l'Occidente, in La primavera araba.
Origini ed effetti delle rivolte che stanno cambiando il Medio Oriente, cit., p. 13.
5 Serenella Di Marco, Fumetto e animazione in Medio Oriente, cit., p.33.
6 Igiaba Scego, Prefazione, in Fumetto e animazione in Medio Oriente, cit., p. XII.
Medio Oriente” edito da Tunué nel 2011, è orientato proprio all'analisi di come e di cosa viene
rappresentato da alcuni artisti in funzione al rapporto che intercorre tra realtà e
immaginazione. La possibilità di trovare dei punti in comune tra rivoluzioni e produzione
artistica si è rivelata sempre più credibile con lo scorrere degli eventi di quei mesi.
Le necessità che prima erano “tradotte” nelle pagine illustrate di alcuni hanno poi
trovato il loro spazio reale nelle piazze di tutti, e così anche alcune opere presentate a seguito
dei giorni delle primavere si appropriavano degli stessi spazi, raccontavano di quei luoghi e di
quello che vi stava accadendo.
Nell'attenta analisi dell'autrice sui caratteri comuni in grado di rappresentare un
modello di produzione artistica contemporanea nel Medio Oriente è possibile intuire una
tendenza all'autobiografismo particolarmente interessante. Pur non trattandosi dell'unica e
fondamentale forma in cui i fumettisti e cineasti mediorientali e nordafricani hanno composto
le loro opere, l'autobiografia «fornisce una prima occasione verso l'emancipazione da modelli
provenienti da culture differenti e costituisce un modo per fondare uno stile inedito di fare
fumetti7». A questo si aggiunga che l'autobiografismo sembra avere la sua genesi ed il suo
scopo proprio attorno ai temi dell'identità, in stretto rapporto con l'“infelicità araba” di cui ha
scritto Samir Kassir. «Tale sentimento ha lasciato trapelare, nei fumettisti contemporanei del
Medio Oriente, questa importante e diffusa tendenza all'autobiografismo, un modo, personale
ed efficace, per ri-costruire la propria identità attraverso la memoria illustrata 8», così da
assumere le caratteristiche di un canone espressivo con il quale si tenta di ricomporre i
frammenti di un'identità indebolità da sottomissione e migrazioni.
Lo spunto principale in quest'ambito è fornito da Marjane Satrapi. Fumettista, regista,
illustratrice iraniana residente in Francia e autrice, tra gli altri, di Persepolis9 - opera
precursore di uno stile consolidato nel tempo. Il suo lavoro sembra

«aver fondato un identificabile immaginario grafico riconoscibile tanto per l'Occidente quanto per
l'Oriente, che ha permesso la creazione di questo nuovo rapporto sinergico e di dialogo tra le differenti sponde
dell'asse europeo-asiatico, in cui, indistintamente, il lettore onnivoro poteva assumere si du sé la pelle del
soggetto dell'opera»10.

L'autobiografia, se assunta con caratteri di riconoscibilità universale, è in grado di


innescare un meccanismo di auto-immedesimazione da parte del fruitore che non risulta fine

7 Serenella Di Marco, Fumetto e animazione in Medio Oriente, cit., p. 116.


8 Ivi, p. 21.
9 Marjane Satrapi, Persepolis, RCS Libri, Milano 2012.
10 Serenella Di Marco, Fumetto e animazione in Medio Oriente, cit., p. 104.
a sé stesso. Ciò che viene creato sulla pagina ha forti potenzialità espressive se riesce a
tradurre pensieri, memorie e sentimenti che sono si personali ma allo steso tempo sono
riconducibili ad una collettività. Su uno stile grafico dai segni essenziali in cui la cromatura si
esprime nella dialettica tra bianco e nero, si dispiega la creatività eversiva non solo di Satrapi
ma di molti altri artisti che «sulla vis comica, sulla gag, su uno humor nero fondano un
linguaggio comune condiviso in cui il fruitore, il lettore possa riconoscersi e possa rispondere
in nome di un tessuto comune di esperienze»11.
In questo modo la rappresentazione di un immaginario si spiega come potenziale di
liberazione e di riscatto; dalla negazione della rappresentatività individuale di cui abbiamo già
accennato nasce la sua necessità. Coraggiosamente, affronta censura e conservativismo e
scopre la sua portata universale nella condivisione di idee, riflessioni, possibilità, ma anche di
dubbi, paure e incertezze.
Sarà utile a questo punto un breve focus in cui intraprendere un viaggio immaginario
tra i vari paesi del Medio Oriente e del Nord Africa, per incontare alcuni artisti che orientano
la loro produzione sulla linea di quanto abbiamo accennato.

2. Appunti da un viaggio immaginario

Nelle storie di quanti hanno dovuto oltrepassare i confini della propria terra e di
quanti, invece, sono rimasti si possono individuare alcuni passaggi storici importanti per ogni
singolo paese. Tra milieux artistico, storia e attualità si tenterà di cogliere alcuni aspetti in
relazione con quanto è avvenuto nel 2011, quando le piazze hanno assunto i segni del
cambiamento, e quanto sta tutt'ora avvenendo in alcuni paesi del Nord Africa e del Medio
Oriente.
La necessità di sintesi fa si che maggiore attenzione la abbiamo alcuni paesi con
caratteristiche particolarmente interessanti. Iran, Egitto e Tunisia sono solo alcuni degli stati
coinvolti nella Primavera araba ma nell'ambito di questa analisi rappresentano probabilmente
quelli da cui trarre maggiori spunti di riflessione.

• Iran
La prima tappa è proprio la Repubblica islamica, paese particolarmente interessante

11 Ivi, p. 118.
in quest'ambito. L'Iran non è un paese arabo ma musulmano sciita, è nato dalle basi della
Persia ed in effetti ha mantenuto un percorso piuttosto autonomo e peculiare. Per quanto
riguarda le esperienze della Primavera araba, ad esempio, una prima anticipazione si ebbe nel
2009 con il “movimento verde”, perlopiù formato da giovani che, come per le successive
proteste arabe, hanno fatto un grande uso di internet e social network.

«Le proteste furono organizzate dalla sera della chiusura dei seggi elettorali: il prematuro annuncio
della vittoria di Ahmadinejad aveva infatti allarmato i sostenitori dei due sfidanti riformisti, Mir-Hossein
Mousavi e l’hojat-ol-eslam Mehdi Karrubi. Da quel giorno poi, e in una escalation di violenza, le proteste,
sempre più partecipate, si moltiplicarono in tutto il Paese. Dallo slogan di ray-e man kojast? (dov’è il mio voto?),
il movimento fu in grado di allargare i propri orizzonti, formulando una critica più informata e ampia del
sistema. La radicalizzazione che ha caratterizzato lo sviluppo del ‘movimento verde’ è stata anche la reazione
alla violenta repressione attuata dalle guardie rivoluzionarie (sepah-e pasdaran) e sostenute politicamente da tutti

i gruppi politici, pur con delle voci critiche, riformisti a parte»12.

Nel 2011, alla luce degli eventi che stavano destabilizzando i regimi del mondo arabo,
si riaccese la speranza per il movimento iraniano che convocò una manifestazione non
autorizzata in sostegno alle piazze rivoluzionarie. Una nuova ondata di repressione ha
indebolito sostanzialmente il movimento che ormai non sembra più in grado di determinare
alcun tipo di equilibrio politico.

«La manifestazione, pur senza autorizzazione, si tenne ugualmente e si registrò anche una buona
partecipazione; si riportano, in quell’occasione, otto morti a causa degli scontri. I manifestanti non solamente
dimostravano che, nonostante tutto, il movimento verde ancora era vivo ma sottolineavano anche la somiglianza
tra i moti di protesta. In particolare, gli slogan accostavano Ben ‘Ali e Mubarak ad Ahmadinejad, scandendo
come che ‘la fine fosse vicina ormai per tutti i dittatori'. Il giorno seguente, alcuni membri del Majles, il
parlamento iraniano, chiesero la condanna alla pena capitale per Mousavi e Karrubi, colpevoli, secondo loro, di
aver fomentato le proteste e di aver quindi causato le morti e gli arresti. Per i due leader, già agli arresti
domiciliari, è stato da quel momento impossibile avere contatti con l’esterno, persino con i propri figli e
familiari. Per il resto del movimento, il governo ha ordinato una nuova ondata di arresti preventivi a colpiti
attivisti, intellettuali, studenti»13.

Abbiamo già accennato alla figura sicuramente dominante di Marjane Satrapi nella
scena artistica iraniana e alla storia della successione del potere negli ultimi quarant'anni.

12 R. Redaelli e P. Rivetti, La lunga primavera araba e il precoce inverno iraniano. Le proteste e icambi di
regime mediorientali visti da Teheran, in La primavera araba. Origini ed effetti delle rivolte che hanno
cambiato il Medio Oriente, cit., p. 228.
13 Ivi, p. 232-233.
L'immaginario creato dalla sua opera è tale che nei giorni delle prime manifestazioni del
“movimento verde” ha avuto un grande successo internazionale il progetto Persepolis 2.014. Si
tratta dell'idea di due ragazzi iraniani residente all'estero di usare le immagini di Marjane
Satrapi per creare un parallelo grafico tra la rivoluzione del 1979 e quello che stava
succendendo in quei giorni. Le vignette di Persepolis sono state selezionate e riadattate
cambiando i testi per trasmettere ad un pubblico più ampio possibile le istanze di libertà che
milioni di iraniani rivendicavano in quei giorni del 2009.
Ancora una volta si è pensato che
l'espressione asrtistica potesse essere un metodo
efficace per affrontare le complesse dinamiche
politiche e sociali del paese. La volontà di
comunicare, rappresentandosi tramite un
immaginario riconoscibile, ha trovato non a caso in
Marjane Satrapi lo strumento che si fa traduttore di
possibilità.
Arte e storia si coniugano nelle graphic novels autobiografiche di Satrapi in cui l'Iran
rappresenta le origini indissolubili di una donna emigrata in Francia. Nella narrazione si viene
accompagnati lungo la storia iraniana, dai periodi di maggiore vivacità culturale e politica a
quelli di dura repressione.

«L'iran è il movente dell'azione nella sua opera; vi torna dopo aver sperimentato possibilità di vita in
Europa, ne scava la profonda verità, per riconciliarsi a quel suo mondo che ha amato autenticamente e che per
questo ha contestato nelle sue pieghe contradditorie. Si è sentita tradita dalla sua terra, ma è comunque tornata a
cercarne l'approvazione nel momento in cui ha smarrito la propria identità15».

In Persepolis, Marjane Satrapi propone le avventure


della sua vita, dall'infazia all'età adulta e ci racconta anche
della storia della sua famiglia progressista, dei
cambiamenti di regime, della migrazione in Occidente.
All'interno della narrazione si sviluppa un processo di
ricongiungimento degli opposti, «passato/futuro,
tradizione/innovazione, Oriente/Occidente, Io/Altro,

14 http://www.repubblica.it/2006/05/gallerie/esteri/persepolis-iran/1.html .
15 Serenella Di Marco, Fumetto e animazione in Medio Oriente, cit., p. 82.
parola/immagine, bianco/nero16», in funzione di quello che diventa il tema principale del
racconto, la riappropriazione di identità, «la ricostruzione pacifica di un legame radicato nel
tempo e nello spazio a cui, dopo averne averne preso le distanze, è necessario riconnettersi per
andare avanti17».
Satrapi, nata il 22 novembre 1969, inizia il racconto di Persepolis illustrando la sua
infanzia vissuta a Teheran. La prima vignetta raffigura la piccola Marjane a dieci anni, nel
1980, l'anno successivo all'instaurazione della Repubblica islamica guidata da Khomeini che
dal suo esilio aveva indirizzato la “rivoluzione islamica” del 1979. Il cambio di regime
significò un cambiamento radicale in tutti gli aspetti della società. Le prime pagine del
romanzo ci raccontano proprio di questo e della formazione di Marjane, «bambina molto
acuta e intelligente, che immagina lunghe conversazioni con Allah e Marx, che le chiariscono
le idee su quello che rappresenta un grande dramma sociale18».
Prima della “rivoluzione” in Iran si era vissuto un lungo periodo di riforme nell'ambito
di un processo di modernizzazione e secolarizzazione “dall'alto” sul modello occidentale. La
dinastia Paharavi mantenne il potere dal 1925, quando Reza Khan (Pahalavi) fu nominato
shah, al 1979, anno in cui Mohammed Reza (Pahalavi) – figlio di Reza Khan e alleato USA-
fu costretto a lasciare l'Iran per le pressioni dell'opposizione guidata da Khomeini.

Con la costruzione della Repubblica islamica l'Islam entrava a tutti gli effetti nella
direzione politica del paese e chi più di tutti ne pagò le conseguenze furono le donne. Se
durante l'era dello shah l'imposizione del modello occidentale aveva garantito loro una certa
presenza nella sfera sociale e politica e un certo livello di libertà individuali, le riforme

16 Ivi, p. 83.
17 Ibid.
18 Ivi, p. 90.
durante il khomeinismo furono di tutt'altra ipirazione. Fu imposto il velo, concessa la
poligamia, limitato il divorzio, abbasata l'età per contrarre matrimonio fino ai nove anni.
La segregazione sessuale
doveva essere praticata nei parchi,
nelle piscine, nelle spiaggie, nelle
scuole, nelle università, negli
ambienti sportivi e per vigilare su
questo e sul rispetto dei codici di
abbigliamento fu istituita la
“polizia morale”, composta da sole
donne con il potere di punire con al
massimo settantaquattro frustate coloro che non
indossavano il velo correttamente o che non
rispettavano la separazione sessuale. Lo zio di
Marjane, Anush, comunista e attivista di lungo periodo
era stato in prigione durante il regime delle shah, poi
rilasciato, di nuovo arrestato dal regime teocratico e
giustiziato come spia russa.
Persepolis fu inizialmente pubblicato in quattro tomi separati. Il primo riguarda proprio il
trauma affrontato da una società costretta ad un radicale cambio di regime; tramite le storie
della piccola Marjane e delle persone che vivevano attorno a lei, Satrapi ci offre un nitido
scenario di quegli anni difficili in cui ognuno doveva adattarsi alle imposizioni del regime tra
piccole resistenze quotidiane, manifestazioni, ricordo dei martiri ma anche accettazione e
rassegnazione.
Il secondo tomo è incentrato sulla narrazione dell'invasione dell'Iran da parte dell'Iraq
e del consequente irrigidimento del regime teocratico. La guerra iniziò negli ultimi giorni di
settembre del 1980, quando Saddam Hussein invase il territorio iraniano, e durò fino al 1988.
Fu utilizzato un pretesto territoriale, il controllo sulla Shatt-al-'Arab -un canale all'estremo
nord del Golfo Persico- che costituiva l'unica via di trasporto del petrolio per l'Iraq verso il
mare, ma la guerra sottintendeva pretese molto più ampie. Infatti fu considerata assurda dai
popoli dei rispettivi stati ma interessante per Usa e Urss che ne furono finanziatori nell'ottica
dei giochi di potere nella strategia della Guerra Fredda.
Questa parte di racconto termina con la decisione della famiglia di far partire Marjane
verso l'Austria. Erano passati ormai quattro anni dall'inizio della guerra e molti giovani erano
spinti dai genitori a lasciare il paese per evitare la leva militare e attendere un futuro migliore.
L'adolescenza di Marjane è raccontata nel terzo e quarto tomo, in cui la protagonista
vive la ricerca di un'emancipazione in un' Europa che però si rivela una realtà complessa in
cui integrarsi. «Marjane è una giovane immigrata e deve fare i conti con la solitudine e col
divario culturale»19. La sitazione si fa sempre più difficile in Austria ed è costretta a fare
ritorno in Iran dove però l'aspetta una situazione molto dolorosa: «la terra che ha lasciato
quattro anni prima porta adesso le cicatrici di un mondo irriconoscibile, devastato dalla guerra
e dalla rassegnazione». L'ultima vignetta del racconto è nell'aeroporto di Teheran, la sera del 9
settembre 1994, dopo aver lentamente riacquisito una serenità interiore e dopo aver preso atto
dell'impossibilità di condurre una vita appropriata alle sue esigenze, ormai laureata in Belle
Arti e divorziata, Marjane lascia definitivamente l'Iran per trasferirsi in Francia, dove vive
tutt'ora.
Percorrendo a grandi linee gli eventi principali del racconto è evidente come l'Iran sia
un'indispensabile scenografia di azione individuale e collettiva, come diventa teatro
dell'intreccio storico, assumendo vari volti: «da affascinante terra mediorientale, ricca di
suggestioni esotiche, a scenario di guerra e contraddizione, che avvilisce lo spirito dei suoi
abitanti e porta a estreme conseguenze il fanatismo religioso»20.
Su questo fronte, altri artisti contemporanei iraniani compongono le loro opere
mirando alla denuncia del regime post-rivoluzionario con quella vis comica e polemica già
presente in Satrapi.
Farhad Moshiri è nato a Shiraz, dove vive e
lavora, e nei suoi lavori affronta la delicata tematica

19 Ivi, p. 90.
20 Ivi, p. 83-84.
del dialogo e del confronto tra Occidente e Oriente
«attraverso la messa in scena delle contraddizioni
specifiche di ognuno dei due universi messi allo
specchio […] realizzando installazioni ibride fra la
tradizione artigianale iraniana e quella occidentale
consumistica, che ha invaso il Medio Oriente, innescando un vero e proprio cortocircuito
visivo»21.
Mana Neyestani è un'altra figura importante per il mondo dei fumetti in Iran, nato nel 1973 a
Teheran, ha lavorato per la stampa iraniana come
fumettista fino al 2006 quando fu arrestato per aver
pubblicato una vignetta nel giornale governativo
Iran in cui si mostrava uno scarafaggio parlare
azero, idioma diffuso in una comunità molto ampia
del sud-ovest iraniano. Dopo il rilascio ha preferito
vivere in Francia dove continua a lavorare: «nei suoi
disegni, sempre l’Iran e il diritto fondamentale alla libertà di parola, l’onda verde, l’ironia di
un popolo che conosce i suoi nemici e cerca la forza di andare avanti»22. A seguito di questi
fatti ha lavorato per la stesura di un'opera autobiografica, pubblicata in Italia nel 2012 da
Coconino Press con il titolo “Una metamorfosi iraniana”, in cui con uno stile tipicamente
satirico racconta della sua difficile esperienza con il regime.
Nel tessuto culturale contemporaneo iraniano è interessante notare la presenza di
diverse donne, oltre a Satrapi, che attraverso le arti visive e la letteratura offrono immagini su
quella parte di mondo. «Donne che, spesso lontane da casa, lottano per la libertà di squarciare
quel velo, che le uniforma in patria così come al mondo occidentale, e sotto cui invece si
agitano sogni, speranze, sofferenze, insieme a voci, gesti, parole che aspettano di potersi
esprimere»23. Azar Nafisi e Azadeh Moaveni, entrambe scrittrici di successo emigrate negli
Stati Uniti, sono due voci interessanti in grado di descrivere l'Iran pre e post rivoluzionario
fino ad Ahmadinejad. Di nuovo attraverso l'autobiografia è viva nei loro romanzi la difficile
vita in una terra amata, abbandonata da un'esilio che evoca nostalgia. Azadeh Moaveni è
autrice di “Viaggio di nozze a Teheran”, un romanzo autobiografico pubblicato nel 2009. Azar
Nafisi è autrice, tra gli altri, del bestseller “Leggere Lolita a Teheran” -pubblicato in Italia da
21 Ivi, p. 84.
22 Marta ghezzi, Iran. Mana Neyestani: se in esilio ti ci porta uno scarafaggio, pubblicato sul sito
“Osservatorio Iraq”, http://osservatorioiraq.it/cultura-e-dintorni/iran-mana-neyestani-se-esilio-ti-ci-porta-
uno .
23 Serenella Di Marco, Fumetto e animazione in Medio Oriente, cit., p. 84.
Adelphi nel 2004, l'anno successivo alla prima uscita in lingua originale- in cui denuncia la
frustazione e la rabbia nella vita di quattro ragazze sotto il regime di Khomeini.
A queste scrittrici si aggiunge la persona di Shirin Neshat, artista visuale che
come le
prime è divisa tra Iran e Stati Uniti. «Ricorre alla fotografia
e alle videoproiezioni per soffermarsi sull'analisi della
segregazione femminile nel mondo islamico»24, in un
rapporto costante con la sua terra terra d'origine. In
un'intervista del 2015 dichiara:

«abbiamo un forte rapporto con la comunità di artisti, scrittori e registi provenienti dall’Iran e ci siamo
visti in Europa, negli Stati Uniti. Alcuni sono venuti a farci visita. Inoltre molti collaboratori sono iraniani, così
transitano per il nostro atelier pittori, registi, musicisti, professionisti di teatro…Insomma siamo quotidianamente
molto connessi con il nostro Paese e, per quanto ci è possibile, informati su tutto ciò che succede in Iran»25.

Senza particolari ideologie in Iran sembra che un'intero spazzato di società rivendichi
diritti, come per le piazze della Primavera arabe si coglie la necessità di poter comunicare
liberamente il proprio malcontento e la propria speranza che trasposti nelle piazze sono
malcontenti e speranze di un popolo in rivolta.
Ali Samadi Ahadi, regista tedesco-iraniano, ha lavorato proprio su questo nel suo The
Green Wave del 2010. Utilizzando animazioni e scene riprese da cellulari e telecamere non
professionali ha voluto ritrarre i giorni di manifestazioni del 2009 in cui si denunciarono gravi
violazioni dei diritti umani compiute con l'appoggio di governo e guide spirituali del paese26.

• Egitto
Arrivati a questa tappa del “viaggio” ci si immerge in alcuni luoghi tra i più
movimentati degli ultimi anni. Il 25 gennaio 2011, esattamente cinque anni fa, piazza Tharir
iniziava ad essere occupata dai manifestanti che sarebbero rimasti fino all'11 febbraio, giorno
in cui festeggiarono la caduta di Mubarak, per esprimere la rivolta di un paese contro il suo
regime. Oggi il generale e Presidente della repubblica egiziana Abdel al-Sisi sarà in
apprensione per eventuali manifestazioni legate al ricordo di quei giorni. Lui, che in vista del
24 Ivi, p. 85.
25 Bruno Di Marino, Shirin Neshat, ritrarre l'anima in bianco e nero, in “Alias” inserto de “Il Manifesto”,
http://ilmanifesto.info/shirin-neshat-ritrarre-lanima-in-bianco-e-nero/ .
26 Per approfondimento si veda http://www.theguardian.com/film/2011/jan/20/iran-animation-the-green-wave .
colpo di stato che stava preparando contro Morsi per luglio del 2013 fu considerato da una
larga fascia della popolazione egiziana come “il minore tra i due mali”, si è ormai rivelato
come conservatore di un sistema a dir poco autoritario. L'opposizione dei Fratelli Musulmani
è ormai considerata illegale, la libertà di stampa gravemente limitata e le agenzie
internazionali per i diritti umani hanno denunciato più volte un declino della situazione
egiziana.27
Nonostante l'Egitto sia un paese in cui l'ambiente di illustratori e fumettisti è stato
piuttosto fertile e libero di agire, le speranze di aprire un processo autenticamente democratico
a partire dalla rivoluzione del 2011 sono presto svanite.
La rilevanza di questo paese a livello internazionale risale ormai a più di mezzo
secolo fa. Nasser, personaggio chiave della storia egiziana e leader indiscusso dal 1954 fino
alla sua morte nel 1970, fu un principale fautore del panarabismo nonché protagonista della
Conferenza di Bandung del 1955 che ispirerà il movimento dei “non allineati”. Già da allora
iniziarono a venire pubblicati alcuni dei più importanti fumetti della storia egiziana,
«disegnati da autori come Sarhokan, Rahka, Zohdi, Abdul Sameea, che usavano le loro penne
come armi. Negli anni Sessanta si fece strada un'altra generazione di disegnatori» che
fondarono riviste ed emittenti televisive.
Negli anni Settanta sotto la guida di Sadat, succeduto alla morte di Nasser, in Egitto
ci fu un'inversione di politiche; l'economia, i rapporti internazionali e le aperture politiche
interne portarono un lento processo di democratizzazione. Con la vicinanza agli Usa e l'avvio
di un dialogo con Israele, con l'Infitah -apertura economica-, con la redazione della nuova
Costituzione entrata in vigore nel 1971, in cui si limitavano alcuni poteri dell'esercito e si
istituiva la shari'a come fonte del diritto aprendo di fatto all'opposizione della fratellanza
musulmana, l'Egitto si stava costruendo il ruolo di paese moderato e “volenteroso” per la
costruzione di un processo di pace in Medio Oriente.
Nella vita quotidiana però l'apertura liberista dell'economia non ebbe i risultati sperati
e nel 1977 ci fu una rivolta popolare. Nel frattempo il ruole di mediatore con Israele assunto
da Sadat non era tollerato da alcuni ambienti della società e nel 1981fu assassinato.
Con la succcessione di Mubarak le poche libertà concesse dalla Costituzione vennero
limitate in nome dello stato di emergenza, giustificato con la paura per gli attacchi terroristici
da parte dei Fratelli Musulmani e altri oppositori. Si apre così un periodo in cui un apparente
pluralismo politico -garantito da una Costituzione che prevede il multipartitismo- e il

27 Un esempio autorevole http://www.amnesty.it/Egitto-anniversario-deposizione-Morsi-catastrofico-declino-


rispetto-diritti-umani .
miglioramento di alcuni parametri economici si rapporta in netto contrasto con la sostanziale
repressione delle opposizioni e delle libertà individuali. Contemporaneamente, a metà degli
anni Ottanta iniziano a comparire nella stampa alcune voci di dissenso. «Mustafa Hussein e
Gomaa Farahat sono considerati i fummettisti più schierati politicamente del passato, di cui,
[…] il secondo cominciò a lavorare nei giornali d'opposizione del paese dal 1984, quando
contemporaneamente lavorava per la stampa del governo. Ma i fumettisti erano così pochi
che, come egli stesso dichiara, poteva permetterselo»28.
Più recentemente ha suscitato interesse e successo internazionale il lavoro di Magdy
El Shafee, fumettista e farmacista nato al Cairo nel 1972. Il suo Metro29 è considerato il

primo
graphic novel egiziano; un'aperta critica al regime, tre anni prima
che scoppiassero le rivolte del 2011. Dal titolo provocatorio poiché
riferito alla metropolitana della capitale egiziana, nella successione
dei disegni si attraversano gli avvenimenti egiziani degli ultimi anni,
cadenzati dalle fermate della metro del Cairo che portano il nome
dei governanti egiziani: Saad Zaahgloul, Nasser, Sadat e Mubarak.
«Metro, riletto dopo gli avvenimenti della rivolta egiziana,
sottolinea il disagio della gente comune costretta a vivere di sotterfugi e spesso gettata in
mano alla delinquenza. Una realtà insostenibile che spesso ha dato vita a manifestazioni
contro il regime mubarakiano che il romanzo denuncia»30. Lo stile pungente ha subito attirato
«gli attacchi della censura istituzionale, che hanno accusato il carattere definito 'osceno' di
alcune pagine»31, hanno fatto sparire ogni copia dalla città e hanno messo sotto processo
l'autore e l'editore, famoso blogger e militante del movimento Kifayya.32

28 Serenella Di Marco, Fumetto e animazione in Medio Oriente, cit., p. 132.


29 Magdy El Shafee, Metro, tr. it. E. Pagano, il Sirente, 2010.
30 Cristina Micalusi, Metro, una graphic novel egiziana, pubblicato il 15 dicembre 2015 su “Nena-News”,
http://nena-news.it/libri-metro-una-graphic-novel-egiziana/ .
31 Serenella Di marco, Fumetto e animazione in Medio Oriente, cit., p. 133
32 Kifaya (‘basta!’), nato come organizzazione di protesta e di promozione delle riforme. Il fatto che si trattasse,
più che di un vero e proprio partito, di un movimento espressione della società civile, lo rendeva al tempo
Un'altra interessante realtà egiziana degli ultimi anni è la rivista indipendente TokTok
Magazine33. Si tratta di una piattaforma rivolta ad un pubblico adulto in cui fare incontrare
vari stili e generi artistici per produrre un'incontro tra discipline affini. L'arte in questo caso
assume chiaramente un carattere rivoluzionario che rispecchia l'agitazione dei primi mesi del
2011. Qui di seguito una parte di intervista a Shennawy, uno degli autori:

« “Ora TokTok è una rivista sociale, umoristica e politica, ma è l’elemento umoristico il più
apprezzato dagli egiziani. Sono proprio le storie di strada ad influenzarci”.
Come è cambiato l’approccio degli egiziani alla stampa indipendente dopo le rivolte del 2011?
“Sono state rivolte visuali, la gente comune ha iniziato a fare disegni ovunque per mostrare i propri
problemi, e così la cultura visuale è migliorata dopo le rivolte”.
Chi ha scelto il nome TokTok?
“Proposi questo nome che ha subito convinto gli altri disegnatori. Il nostro è un magazine di strada: i tok
tok servono a spostarsi. Nei nostri fumetti usiamo il dialetto egiziano, in pochi casi ci sono testi brevi in arabo
classico semplificato. Tutti i nostri disegni sono contro la giunta militare, facciamo ricorso a personaggi in divisa
militare per mostrare l’ingiustizia dell’esercito” »34.

Anche se la rivoluzione ha portato la sostituzione del vecchio regime di Mubarak con


quello attuale autoritario-militare di al-Sisi e le rivendicazioni dei giovani arabi sono
scomparse dalla scena pubblica, rimane intimamente la speranza di una vita più libera che
trova sfogo nelle rappresentazioni artistiche.

• Tunisia
Il caso tunisino è l'unico in cui, seppure con molti aspetti controversi, sembra si sia
avviato un percorso di prassi democratica potenzialmente in grado di garantire un'accettabile
rappresentanza individuale e collettiva. In Tunisia infatti il processo di transizione a seguito
della deposizione di Ben Ali ha visto protagonisti oltre ai partiti politici anche alcune
istituzioni e associazioni. Il ruolo di queste ultime è stato riconosciuto con il Premio Nobel
per la pace nel 2015 al cosidetto “quartetto di dialogo nazionale”; si tratta dell'UGTT (Union

stesso poco influente dal punto di vista degli equilibri politici, ma efficace nel suo messaggio di rottura con il
regime e di richiesta di cambiamento. Durante le manifestazioni indette da Kifaya tra il 2004 e il 2006, per la
prima volta le strade del Cairo sono state testimoni di slogan apertamente anti-Mubarak, il che ha portato il
regime ad intensificare la campagna di repressione e censura.
S. M. Torelli, Il dilemma dell'Egitto tra spinte riformatrici e tradizione conservatrice, in La primavera
araba. Origini ed effetti delle rivolte che hanno cambiato il Medio Oriente, cit., p. 74-75.
33 http://www.toktokmag.com/home.htm .
34 http://ilmanifesto.info/toktok-la-satira-politica-in-strada/ .
Générale Tunisienne du Travaille), l' UTICA (Unione Tunisienne de l'Industrie, du Commerce
et du Travaille), l'LTDH (Ligue Tunisienne des Droits de l'Homme) e dell'Ordre national des
avocats de Tunisie.
Questo non stupisce se si pensa al ruolo, sempre in primo piano, dell'UGTT durante la
storia tunisina degli ultimi sessanta anni. Dalla sua nascita nel 1946 ha dapprima supportato e
poi, dagli anni Settanta, contestato come principale oppositore la politica di Bourguiba. Nel
1956, ad esempio, fu approvato dal governo con il sostegno del sindacato il Code du Statut
Personnel, un insieme di leggi piuttosto pregressiste con cui si garantirono alcuni diritti civili
nel rapporto tra uomo e donna: abolizione della poligamia e del ripudio, legalizzazione del
divorzio anche per la donna e dell'aborto, del matrimonio con uomini non musulmani, del
diritto di voto e di elezione delle donne.
Durante il regime di Ben Alì l'UGTT ha passato degli anni controversi tra accettazione
di ruoli politici e istituzionali anche piuttosto criticati. Eppure, malgrado le imposizioni del
regime, a partire dagli anni Novanta si è assistito ad una sorta di rivalsa di rivalsa democratica
reale in Tunisia. Proprio in quegli anni si radicalizzano e attivano molte associazioni, tra le
quali anche le protagoniste dell'attuale situazione politica tunisina. Nel 1998 nasce il CNLT
(Conseil National de Liberté en Tunisie), l' LTDH inizia a dare segnali di indipendenza con
iniziative a titolo individuale – come lo sciopero della fame di Ben Brick nel 2000- e
corporativistico. Nel 2001 viene fondato il partito CPR (Congrès pour la République) di
Marzouki e si assiste a dei tentativi di ricomposizione di al-Nadha e del PCOT (Partie
Communiste des Ouvriers de Tunisie). Così gli anni 2000 si prospettano come politicamente
vivaci, in cui si cristallizza un'atmosfera contestataria che malgrado le sconfitte inizia ad
accumulare esperienze, costruire reti e connessioni militanti informali di cui, probailmente, la
rivoluzione tunisina del 2011 è il prodotto. In quegli anni si contano numero scioperi e
manifestazioni diffuse a vari livelli della società; dagli studenti ai disoccupati, dagli impiegati
pubblici a quelli del tessile e del turismo. Nel 2008 nella regione mineraria di Gafsa si
struttura un movimento, composto principalmente da disoccupati, che durò sei mesi prima di
essere represso a seguito di frequenti scontri con la polizia.
Da questo preludio, nel 2010, a seguito dell'immolazione di Mohammed Bouzizi,
iniziano le prime mobilitazioni di tutta la Primavera araba. Alle manifestazioni nelle piazze
parteciparono sempre più fasce sociali mentre all'interno delle forze repressive e nelle
istituzioni si determiniarono divisioni e atti di dimissioni.
L'illustratore e vignettista Othman Selmi, nato a Tunisi nel 1972, ha raccontanto alcuni
degli eventi accaduti dall'inizio delle proteste nel dicembre 2010 alla caduta di Ben Ali il 14
febbraio successivo in alcune tavole di fumetti, pubblicate nel numero 885 della rivista
settimanale Internazionale. Lui stesso racconta di quei fatti in un'intervista con Serenella Di
Marco:

«L'ingiustizia sociale, la corruzione, laviolenza della polizia sono


il pane quotidiano dei tunisini. Io, ad esempio, ho visto abusi da
parte della polizia e sono stato interrogato una notte intera da
dodici agenti! Ho quindi deciso di raccontare questa disavventura.
Avevo già iniziato a lavorare sulla storia di un giovane che si
cuicida ben prima del caso Bouzizi. Un amico editore al corrente
di questo progetto mi aveva raccomandato a Francesco Boille, il
responsabile della sezione fumetti di Internazionale, che mi aveva
chiesto un paio di tavole sulla Tunisia... È stato in qualche modo in
continuità con il mio progetto iniziale. Per il momento lavorare
sulla Tunisia è sempre interessante. Ci sono ancora tante cose da
raccontare.»35

In effetti in questi ultimi anni Othman Selmi ha pubblicato altre tavole sulle vicende
tuni-
sine: sempre su Internazionale, nel numero di
novembre 2011, racconta delle violenze dei
gruppi salafiti contro la tv privata e laica
Nessma, colpevole di aver trasmesso il film
animato Persepolis di Marjane Satrapi36, e nel
2013 illustra i giorni successivi all'omicidio di
Chokri Belaid37. Come egli stesso dichiara in
un'intervista con Serenella Di Marco,
nonostante l'arte in Tunisia sia stata,
specialmente negli ultimi venti anni, stru-
mentale alla propaganda di Ben Ali e dunque al servizio del potere.

35 Serenella Di Marco, Fumetto e animazione in Medio Oriente, cit., p. 164.


36 http://othmanselmi.tumblr.com/post/129942366094/cartoline-da-tunisi-the-reaction-of-fundamentalist .
37 Il 6 febbraio 2013 è stato assassinato il leader del Fronte popolare tunisino, Chokri Belaïd, uno dei
principali oppositori del governo. Questo evento ha avuto pesanti ripercussioni nella società, scatenando
manifestazioni in tutto il paese, e ha aggravato la già difficile crisi politica in cui versava il governo di Jebali,
costretto poi alle dimissioni.
Nella stessa intervista citata poco avanti, Selmi ammette che però qualcosa sta
cambiando nella scena artistica tunisina. Gli eventi degli ultimi anni hanno fatto si che si
possa riscontrare un interesse di artisti, creativi e disegnatori su quanto sta accadendo in
Tunisia.
È forse il caso di Zoo-PROJECT, pseudonimo di Bilal Berreni, street-artist franco-
algerino deceduto prematuramente a 23 anni nel luglio 2013, in un triste episodio di cronaca a
Detroit38. I suoi entusiasmanti lavori hanno affrontato vari temi in un'ampia gamma di stili, in
quest'ambito, è da notare l'istallazione che ha creato a Tunisi nel marzo 2011 e con la quale ha
ricoperto i muri della città, di piazze
e scuole, con le sagome a dimensioni
reali di giovani, uomini e donne,
protagonisti della rivolta. Sono i
martiri, dai più noti come Bouzizi ai
meno conosciuti, della rivoluzione
contro il tiranno Ben Ali.
Nel suo sito Bilal Berreni aveva
scritto:

«Sono arrivato a Tunisi all'inizio di


marzo. Franco-algerino di
vent'anni, residente a Parigi, sono
partito senza nulla di definito,
semplicemente perché pensavo che
la rivoluzione tunisina -come tutte
quelle che sono scoppiate nel
mondo arabo- fosse un
avvenimento unico, portatore di
grandi speranze. Da Parigi seguivo
la situazione giorno per giorno, sperando che il 17 gennaio non restasse lettera morta e che la rivoluzione non
perdesse il suo spirito. Finché, un giorno, non ho retto più: sono venuto direttamente io in piazza per
testimoniare, agire, alla mia maniera. Dovevo assolutamente portare il mio modesto contributo al popolo
insorto.»39

La semplicità delle sagome in bianco e nero rimanda all'essenza ordinaria delle persone

38 http://www.lemonde.fr/culture/article/2014/03/29/l-artiste-zoo-project-retrouve-mort-a-
detroit_4392050_3246.html .
39 Zoo-Project, su http://zoo-project.com/tunis/ .
che Zoo-Project ha voluto rappresentare. Non sono dei fantasmi da celebrare post-mortem
bensì figure del presente, compagni di lotta che chiedono giustizia. Ma ciò che più colpisce è
la scelta di restituire uno spazio reale a queste figure che si appropriano delle strade e delle
piazze per le quali hanno lottato e perso la vita. La città è di nuovo luogo di circolazione di
immagini, di idee, di significati nuovi, è lo spazio dell'incontro delle identità e dei corpi che
vogliono appropriarsene collettivamente.
Certamente sarebbe stato interessante poter seguire il percorso di transizione tunisino
ancora con gli occhi di Zoo-Project. Nelle complesse dinamiche politiche, tra l'approvazione
della Costutizione nel 2014, l'ascesa dei gruppi jihadisti, l'avvicendarsi al governo del partito
laico Nidaa Tounes e la invece costante povertà, sembrano riaccendersi, negli ultimi giorni,
dei fuochi di rivolta, specialmente nelle regioni più povere del paese 40, sostenuti da ampie
fascie di popolazione41.

3. Agire nella rivoluzione

Il brevissimo “viaggio” appena terminato, nel tentativo di offrire una panoramica


generale sul rapporto tra storia contemporanea e produzione artistica in alcuni paesi
mediterranei, pone l'attenzione su degli aspetti che possono essere notati a disverse
prospettive. Se da una parte i poteri politici e militari hanno mantenuto fuori dai giochi i
giovani e le rivendicazioni che animarono le piazze del 2010-2011, dall'altra, si può

40 «Dal 20 gennaio in poi un presidio permanente per il diritto al lavoro e allo sviluppo si è installato davanti
alla sede del governatorato di Kasserine e gli scontri si sono susseguiti nel capologo e nella regione. Nel
villaggio di Feriana un agente di polizia è deceduto durante i dordini. Nel frattempo, sempre a partire da
martedì, il movimento di protesta si è esteso in tutto il paese, raggiungendo le altre regioni marginali
dell'interno e infine anche le città costiere più sviluppate. In diverse regioni, tra cui Kasserine, Jenouba, Beja,
Tunisi, Mahdia, i manifestanti hanno fatto irruzione nelle sedi del governatorato. In molte città, negozi e
centri commerciali sono stati saccheggiati e posti di polizia presi d'assalto».
Lorenzo Fe, Chiusi dentro – La Tunisia nell'era delle rivolte, in “GlobalProject.info”, 25 gennaio 2016,
http://www.globalproject.info/it/mondi/chiusi-dentro-la-tunisia-nellera-delle-rivolte/19819 .
41 «Per quanto riguarda la composizione politica del movimento, si è trattato di un’ondata di moti spontanei che
però hanno visto anche la partecipazione di soggetti organizzati. Le banlieues popolari di Tunisi sono un
bastione degli islamisti più o meno radicali ed è plausibile immaginare che abbiano partecipato ai disordini
qui come altrove, senza però poterli dirigere. Tuttavia un po’ ovunque si vedono militanti di sinistra assumere
un ruolo di primo piano. Si tratta soprattutto degli attivisti del sindacato dei disoccupati UDC, il sindacato
studentesco UGET, e l’ala sinistra della confederazione sindacale UGTT. Sul piano partitico, le maggioranze
di tali gruppi fanno di fatto riferimento al Fronte Popolare, coalizione di partiti Marxisti-Leninisti e
nazionalisti arabi. Ci sono poi molti attivisti di ispirazione più libertaria che però non sono organizzati in
strutture stabili o di ampia estensione.»
Ibid.
riscontrare ovunque la tenacia di chi non vorrebbe rassegnarsi. Si è accennato come nel
milieux artistico e nel sottobosco urbano continuino a farsi avanti voci critiche, voci isolate
che si fanno megafoni se si scoprono in grado di rappresentare i sentimenti, le difficoltà, le
speranze di una collettività.
Nel corso della storia la produzione artistica è stata, talvolta, in grado di essere
comunicativa per intere compagini sociali e motore di cambiamenti cultrali e politici. Il lavoro
di Serenella Di Marco si muove proprio in questa direzione, nel tentativo di individuare le
potenzialità che alcune forme artistiche possono rivestire nella comunicazione di tali
messaggi.

«I fumetti e i disegni animati creati in Medio Oriente si configurano come mezzi particolarmente adatti
per raggiungere i diversi stari della compagine sociale di queste regioni, in quanto prodotti facilmente reperibili
(poiché a basso costo) i quali, grazie al carattere narrativo, ai dialoghi, ai disegni, possono essere facilmente
assimilati, stimolando l'immaginazione»42.

Per questo le diverse prospettive di cui si è parlato possono cooperare nella


costruzione di uno spazio delle possibilità in cui rinnovare le proposte e le riflessione su
proprio paese e su quelli circostanti. Il lavoro di Zoo-Project in questo è esemplare perché
trova la sua applicazione nella piazza, la stessa che è stata cuore pulsante e teatro delle
rivoluzioni arabe. La stessa che, rinvigorita anche dall'ingresso di mezzi tecnologici, ha
innescato un processo di effetto domino nella trasmissione delle idee e dei nuovi contenuti
delle rivendicazioni.
Si è analizzata con molto interesse negli ultimi anni la funzione dello spazio, della
piazza, del comune, della città come possibilità in cui mettere in discussione il presente e
sviluppare nuovi diritti. Questi processi si articolano nella dinamiche di una dialettica tra
utopia e distopia in cui l'oppressione, la censura e la negazione individale mettono in
discussione l'appartenenza ad una realtà comune e si configurano come esclusione dalla
patecipazione ai flussi (di capitali, di informazioni, di relazioni sociali...), come negazione
della “simultaneità” che caratterizza uno spazio appropriato.
In questo spazio non pubblico né privato ma usufruibile e fluido, tramite l'incontro, lo
scambio di valori individuali e collettivi, si gioca la costruzione di un'identità collettiva.
Piazza Tahrir in Egitto, le piazze tunisine, più tardi Gezi Park sono portatrici di segni, ferite e
voci di popoli in aigtazione che rivendicano un'autodeterminazione collettiva. Questi luoghi si

42 Serenella Di Marco, Fumetto e animazione in Medio Oriente, cit., p. 170.


configurano come agorà e necessitano quindi di essere investiti di segni e significati nuovi e
adeguati rispetto al passato.
È forse per questo che nei paesi del sud del Mediterraneo, lo spazio d'espressione
individuale costantemente negato, imprigionato nelle maglie del potere, non si è disperso ma
ha trovato nelle piazze il luogo reale in cui presentarsi ai regimi e al mondo. E sempre per
questo risulta quanto meno interessante l'analisi di Serenella Di Marco che propone l'arte
come uno degli strumenti in grado di fungere da collante tra la varietà di corpi e
rivendicazioni che si sono espressi durante le rivoluzioni. L'arte come strumento in grado di
esprimere messaggi importanti di comunicazione politico-culturale in grado di rafforzare i
legami e far circolare idee.

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