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KAI ZEN & AA.VV.

La Potenza ! Eyme"ch

ROMANZO TOTALE
KZ 001

BACCHILEGA EDITORE

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Introduzione di Valerio Evangelisti

La vitalità e la credibilità di un personaggio letterario può


essere verificata anche attraverso un fenomeno non nuovo: il
tentativo di persone diverse dall’autore di farlo agire per pro-
prio conto. Ciò è abbastanza normale se i media impiegati sono
diversi. È’ piuttosto raro se il medium è uno solo: la narrativa.
Questa sorte è toccata al mio inquisitore Nicolas Eyme-
rich, che già vantava due apocrifi: un romanzo mai pubblicato,
Altereymerich, compilato su mio spunto da un gruppo di ap-
partenenti alla mailing list dei lettori più fedeli, e un’antologia
di racconti – I segreti di Eymerich, Delos Books, 2003 – frutto
di un concorso indetto dal sito Grimalkin, specializzato in gio-
chi di ruolo. Sono poi reperibili in rete ulteriori apocrifi, per lo
più in chiave satirica.
Ed ecco questo La Potenza di Eymerich del collettivo Kai
Zen, dopo del quale potrei dirmi soddisfatto. Ho avuto in vita
la sorte toccata, dopo il decesso, ad autori immensamente più
popolari di me, come Ponson du Terrail, Emilio Salgari, Mau-
rice Leblanc, Arthur Conan Doyle, Rex Stout, Ian Fleming e
non molti altri. Vi è chi ha ripreso il mio personaggio più noto,
quasi fosse indipendente da me, e gli ha fatto vivere nuove av-
venture. Cosa che tanti scrittori, finché viventi, non accettereb-
bero mai, e anzi considererebbero un oltraggio.

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In realtà, il mio caso (per meglio dire: il caso di Eymerich)
è molto diverso da quello degli autori che ho elencato. Se la
scintilla che è alla base è indubbiamente la fama che si è con-
quistato il protagonista di otto dei miei romanzi – e presto di un
nono – lo svolgimento successivo ha poco a che fare con le re-
gole del feuilleton e dei suoi derivati, incluso il cinema di gene-
re. Discende piuttosto dal tenermi a contatto con la società in
cui vivo, fino a essere io stesso a sollecitare la proliferazione di
apocrifi.
Mi spiego. L’esistenza di Internet può facilmente parago-
narsi, ai miei occhi, al passaggio dal manoscritto alla stampa. In
quella fase storica, l’unicità o l’esistenza in poche copie di un
originale andò perduta. Le opere di un autore prima miscono-
sciuto ai più poterono moltiplicarsi in tutto il mondo civile, e
apparire, sia pure a distanza di tempo, in svariate edizioni e
traduzioni.
Va da sé che anche i contenuti cambiarono. Ora l’autore
scriveva con la consapevolezza che i parti del suo ingegno era-
no in grado di raggiungere un pubblico vasto e cosmopolita,
ancorché minoritario. Si adeguò. Se prima dell’invenzione della
stampa il testo poteva toccare solo tematiche destinate a una
élite, o addirittura a una singola comunità, adesso era d’obbligo
passare ad argomenti di interesse generale, anche al di là delle
frontiere regionali o nazionali. Un bell’incentivo, per chi aveva
qualcosa da comunicare.

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Si passò rapidamente dai codici contenenti solo libri sa-
cri, canti o preghiere, oppure trascrizioni diligenti di opere gre-
che o latine (siano benedetti i benedettini), a un ventaglio te-
matico molto più largo: filosofia, poesia, narrazioni epiche o
leggendarie, scritti profetici, resoconti storici. Furono per la
prima volta divulgati contenuti proibiti: esoterici, alchemici,
erotici, eretici. Tenere sotto controllo questa letteratura divenne
uno dei primi scopi dell’Inquisizione.
Non seguirò il processo dell’allargamento progressivo
della fascia dei lettori, legato non solo al grado di alfabetizza-
zione, ma anche al raffinarsi e allo sveltirsi dei processi di stam-
pa. Sostanzialmente, si trattò dell’espansione nei secoli di ten-
denze già attive in età medievale, e di un’evoluzione tecnica
dagli immediati risvolti sociali. L’unica vera accelerazione si
ebbe con il romanzo d’appendice che, attraverso la lettura col-
lettiva (con i portinai che leggevano le puntate de I misteri di
Parigi al condominio riunito; come sarebbe successo, meno di
un secolo dopo, ai primi utenti televisivi radunati al bar), de-
mocratizzò enormemente la fruizione letteraria.
Per capire quanto ciò fosse legato al perfezionamento del
medium, basta leggere Illusioni perdute di Balzac, che quei
processi analizza con straordinaria perspicacia.
Il quadro cambia radicalmente solo con l’avvento di In-
ternet, paragonabile, per portata storica, al passaggio dal ma-
noscritto alla stampa. Siamo ancora nel mezzo del processo ed
è difficile scorgerne tutte le evoluzioni. Difficile soprattutto per

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gli editori, che, con la goffa scommessa sui cosiddetti “e-books”,
hanno per un attimo cercato di mantenere l’antica priorità in
nuovi abiti. Senza considerare che ogni cambiamento di por-
tata così ampia del comunicare investe necessariamente aspetti
contenutistici (solo un pazzo leggerebbe on line il “Don Chi-
sciotte”: sarebbe come leggerlo da un televisore), ruolo dell’au-
tore, modalità di fruizione.
Ciò che si è anzitutto ampliato enormemente è il bacino
degli utenti, sia in qualità di lettori passivi che di creatori (o
anche rielaboratori) attivi. Lo scrittore dotato di cervello sa che
non deve temere questo fenomeno, né che testi suoi circolino in
maniera selvaggia. Come la televisione non abolì il cinema, né
tantomeno la radio, così la dimensione web non intacca per
nulla la quota di diritti spettanti all’autore di un libro cartaceo.
Al contrario, la dilata. Tanto che, se ha un alleato fedele, quello
è proprio la “pirateria”. Con buona pace dello scrittore imbe-
cille che, da un anno in qua, ha messo la propria immagine al
servizio di una campagna contro le contraffazioni cinemato-
grafiche.
Ma lasciamo perdere gente del genere. Sta di fatto che, a
mio parere, chiunque scriva deve tenere presente il nuovo as-
setto mediatico che si sta profilando. L’opera cui ha dato vita,
nell’immediato futuro, non sarà soltanto sua. I personaggi che
ha creato potranno finire in mani altrui.
Che problema c’è? Emilio Salgari non fu affatto danneg-
giato dai figli Omar e Nadir, che ne seguirono le tracce. Non è

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difficile riconoscere l’unicità di uno stile. Se poi Sandokan o il
Corsaro Nero passano ad altri, be’, per l’autore è un segno solo
confortante. Nella peggiore delle ipotesi, dovrà lottare per ren-
dere le proprie creature ancor più singolari e ancor più vinco-
late all’identità di chi, per primo, le ha fatte vivere. Un sfida
magnifica e stimolante, in tempi di Internet.
Tutto ciò per dire che apprezzo enormemente questo La
Potenza di Eynerich, frutto di una sfida in rete lanciata dal col-
lettivo letterario Kai Zen, e ripresa da un gruppo di autori che
hanno deciso di chiamarsi “Emerson Krott”. Non so in quale
misura il loro Eymerich somigli al mio (lo decideranno i lettori).
Certo è che “Emerson Krott”, singolare parto di un web usato
al meglio, ha saputo riprendere con bravura una delle idee di
fondo che ispiravano il mio ciclo sul terribile inquisitore: fare
riemergere in ambito letterario, sotto le mentite spoglie del ro-
manzo “di genere”, i temi di portata sociale, politica, economi-
ca che la narrativa corrente trascura.
Kai Zen ed Emerson Krott hanno, secondo me, rag-
giunto lo scopo. Preso atto di questo, la somiglianza del loro
Eymerich al mio risulta irrilevante. Il mio auspicio è che, grazie
a Internet, cento Eymerich sboccino, cento visioni critiche del
presente gareggino.
Ogni passo in questa direzione lo sentirò come mio, alla
faccia del diritto d’autore.

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La Cura

Anno del Signore 1365, nella città di Potenza. Convento dei Frati Francescani,
alla ora prima.

Seduto nella cella di Fernando, il frate guardiano del con-


vento, Eymerich fissava le macchie d’umido sulla parete a set-
tentrione. Una cimice, immobile nell’esoscheletro a scudo, ne
attirò lo sguardo facendogli provare un moto di repulsione. Si
volse dando le spalle all’insetto e infilò le braccia nelle maniche
della tonaca. Poteva quasi percepire lo sfrigolio delle antenne, il
ticchettio delle zampe. Cercò di liberare la mente, di concentra-
re i pensieri sui dettagli della missione, ma la presenza dell’im-
monda creatura era come una spina di legno dolce nel palmo
della mano: intollerabile.
L’aria mattutina, immobile e freddissima, annunciava
l’inverno. Eymerich provò l’impulso di stringersi nel saio per
trattenere il calore delle membra, ma respinse subito quel desi-
derio. Il mutare del tempo non è irragionevole capriccio di na-
tura, ma espressione della volontà di Dio, che dispensa secondo
ragione il benessere dell’anima e la penitenza del corpo.
E di penitenza si trattava, anche se comminata per tra-
mite del non necessariamente degno Vicario di Cristo in Terra.
Urbano V lo aveva inviato in tutta fretta in territorio angioino,

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zona pericolosa per un inquisitore aragonese, per dirimere le
controversie che alcune incredibili e incresciose vicende aveva-
no suscitato. Dalle confuse spiegazioni del messo papale e dalla
comunicazione sibillina pervenutagli per lettera, sembravano
possibili perniociose influenze maligne. Bambini nati deformi,
teste abnormi, prive d’occhi, mutazioni grottesche e repentine
in donne gravide e altre simili, terribili manifestazioni.
Il frate guardiano aveva invocato l’intervento di Eyme-
rich: la sua fama era giunta fino in quelle lande, e Papa Urbano
V non aveva esitato a mettere in gioco il proprio alfiere. Tale
prontezza si sarebbe potuta attribuire al giusto zelo da impiega-
re nella lotta contro Satana; ma Eymerich sapeva esserci dietro
ben altro. Il Vicario di Cristo non nutriva simpatia per il dome-
nicano, e non avrebbe male accolto un fallimento che desse
modo al Giustiziere di Basilicata di arrestarlo e metterlo a
morte. Sorte certa, se si fosse scoperto che esercitava le prero-
gative di inquisitore e rappresentante d’Aragona proprio sul
suolo nemico.
Per questo aveva viaggiato in incognito. Avrebbe svolto il
suo dovere nella maniera più riservata possibile.
L’Inquisitore scacciò quei pensieri oziosi, inutili al com-
pito che lo attendeva. In quell’istante entrò Fernando, accom-
pagnato da tre frati di corporatura minuta, specie se paragonati
alla pienezza del guardiano.
“Fratelli, permettetemi di introdurvi alla conoscenza di
padre Nicolas Eymerich, mio antico sodale e uomo assai

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esperto nella valutazione di prodigi nefasti simili a quelli che
hanno funestato la nostra regione e a cui voi avete direttamente
assistito.” I tre fecero un gesto col capo. Eymerich ricambiò ap-
pena.
“E questi, padre, sono i fratelli Modesto da Melfi, Mi-
chele da Altamura e Severo da Benevento. Come vi ho antici-
pato, hanno aneddoti assai interessanti da riferire.”
“Aneddoti non è termine che si addica a una manifesta-
zione del Maligno,” lo interruppe con pacata durezza Modesto.
Eymerich non poté che dargli silenziosamente ragione. La luce
imperfetta che filtrava dalla stretta bifora della cella conferiva
tratti diafani ai volti dei tre. Gli occhi spiccavano dalle orbite,
come spiritati, specie quelli del frate che aveva appena parlato.
Tutto nel loro aspetto denunciava la condizione di Spiri-
tuali, intransigenti e malvisti interpreti della regola del Santo di
Assisi. Un aspetto che li allontanava dalla figura florida e ben
pasciuta di Fernando, un’impostazione dottrinale che li poneva
al di fuori dell’ortodossia.
Scomoda, interessante posizione.
Eymerich cominciò a capirè perché il guardiano avesse
insistito per presentargli subito quegli uomini. Chissà che, con
l’aiuto dell’Inquisitore e l’imperversare delle orride manifesta-
zioni, non potessero servire da capro espiatorio. La prospettiva
non era da scartare, ma il Cane del Signore non era solito rag-
giungere conclusioni affrettate. L’intuizione doveva prima farsi
ipotesi logica e verificabile, e infine divenire certezza. Anche in

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quel caso, non avrebbe certo potuto istruire personalmente un
processo, in terra ostile, tanto meno una o più eventuali esecu-
zioni.
Fernando rimase interdetto di fronte alla precisazione di
Modesto, ma non dette a vedere alcun risentimento. Anzi, ac-
comodò le membra sul bordo del proprio giaciglio e fece cenno
ai tre di raccontare i terribili fatti di cui erano stati testimoni.

Novembre 2054, Scanzano Ionico, Repubblica di Lucania, Federazio-


ne degli stati d’Europa.

Le olocamere di Euronet, disposte a cerchio in attesa,


sembravano fenicotteri con una zampa nell’acqua pronti a
spiccare il volo. Tutto era predisposto per la festa nella tenso-
struttura riscaldata. Si trattava di un preludio celebrativo, tanto
per far crescere l’attesa e gonfiare l’evento: la vera inaugurazio-
ne, con la messa in funzione dell’impianto, si sarebbe tenuta di
lì a qualche giorno. Anche in quel piccolo anticipo di cerimo-
nia, però, i vip non mancavano. Il governatore con la fascia
argento e azzurra chiacchierava nei pressi del podio con perso-
nalità politiche e dell’industria petrolchimica. Il rappresentante
della Ailleurs - Anderwohin G.m.b.H. sorrideva mostrando la
dentatura smerigliata e stringeva mani a destra e a manca.
Pochi minuti prima, nell’air caravan del trucco, si era fatto mas-
saggiare i palmi con una crema dermorestringente, onde elimi-
nare ogni traccia di sudore. Ora la pelle tra un dito e l’altro

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tirava da morire. Il manager continuava a sorridere dietro l’ab-
bronzatura e a grattarsi nervoso tra una stretta e l’altra, spe-
rando di non essere scorto.
L’autorità religiosa del luogo, l’Imam di Matera, una
delle prime donne a rivestire un simile ruolo, aveva declinato
l’invito. Seguiva la cerimonia d’inaugurazione dell’innovativo
impianto di smaltimento, attraverso il datacom del suo salotto.
Il té alla menta fumava sul tavolino di legno e ottone. Alcune
voci rumoreggiavano al piano inferiore.
Ricordava ancora quando, a scuola, aveva studiato sui
libri di storia delle prime schermaglie tra la popolazione lucana
e l’allora governo italiano sulla questione delle scorie radioatti-
ve. La protesta all’inizio del millennio, forte, inaspettata, radi-
cata nel cuore della gente, fece in modo che la decisione venisse
procrastinata. Dieci anni più tardi, un nuovo tentativo di stoc-
care le scorie nel cuore della roccia suscitò una sommossa e,
mentre l’equilibrio stesso dell’unità europea fu in bilico, la po-
polazione riuscì ancora una volta a impedire che la federazione
scaricasse i rifiuti nucleari. E infine, c’era da giurarci, l’attacco
conclusivo: a quasi mezzo secolo di distanza. La AA G.m.b.H.
aveva messo a punto un nuovo sistema di smaltimento a im-
patto zero, basandosi sulla teoria degli psitroni di Frullifer e
Dobbs.
L’Imam aprì una finestra sul video del datacom e, mentre
le immagini dell’inaugurazione scorrevano, consultò il database
scientifico: Frullifer. Dobbs. Psitroni.

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Il datacom trasmetteva immagini di fanfare e strette di
mano. Un megaschermo in piazza intratteneva la moltitudine
con gag pubblicitarie.
Trattati di fisica, formule, effetto redshift, teoria della re-
latività.
Immagini di calici alzati e del governatore con la fascia
bicolore che taglia il nastro. “Il futuro ci sorride, oggi, qui.”
Statistiche, iperboli, grafici, esperimento Michelson
Morley.
Immagini di sorrisi a trentadue denti, di panciuti signori
in doppiopetto, di avvenenti signore dal lifting impeccabile, di
calciatori elettrostimolati e cyber veline.
Dipartimento di astrofisica dell’università del Texas, foto-
ni, Cosmic background explorer.
La donna fece scorrere, irritata, la barra all’angolo del
database: nulla di familiare. Le scritte scivolavano sempre più
veloci. Poteva assimilare una parola ogni sei, sette in scorri-
mento. Era certa che non le sarebbe servito a nulla continuare
a cercare, eppure voleva vederci chiaro. Nessuno aveva mai
spiegato l’esatto funzionamento dell’impianto di smaltimento.
Nessuno aveva chiesto in modo esplicito. Nessuno si era preso
la briga di dimostrare. Eppure tutti festeggiavano.
D’un tratto le sue pupille percepirono qualcosa di noto
tra le parole in rapida successione. Fermò la corsa della barra e
tornò su di una quindicina di argomenti. Il nome di uno scono-
sciuto, un fisico probabilmente, accanto alla parola ilozoismo.

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Prese la tazza di tè (ormai tiepido) dal tavolino e incrociò le
gambe sull’ampio divano di softex imbottito. Sullo schermo,
ridusse le dimensioni della cerimonia e ingrandì quelle del da-
tabase.

Anno del Signore 1365, nella città di Potenza. Convento dei Frati Francescani.

Frate Severo era agitato, quasi rivivesse nella propria


anima i momenti in cui aveva prestato soccorso alle partorienti,
e riflettesse attraverso le orbite gonfie l’orrenda immagine di
quegli sventurati. La voce tremava, pareva segnata da sincera
sofferenza. Eymerich, immobile, scrutava il francescano dalla
bizzarra peluria rossastra. Sincera sofferenza o perfetta dissi-
mulazione: l’Inquisitore aveva imparato a non escludere nessu-
na possibilità. L’esperienza serviva a rendere attenti. Mai fret-
tolosi.
“Le portammo a ricovero nell’ospedale di San Domenico,
nella speranza che cura e riposo potessero dare loro serenità e
forza d’animo. Io e gli altri fratelli arrivati in soccorso non sa-
pevamo come dare pace alle due giovani donne. Erano in pre-
da al panico e urlavano come ossesse, mentre sulla pelle tesa dei
loro ventri deformi qualcosa di immondo disegnava dall’inter-
no forme grottesche.”
Frate Severo rivolse lo sguardo smarrito verso Modesto,
con insistenza. Cercava sostegno morale e consenso in colui

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che, con tutta evidenza, era dotato di maggior carisma e di-
scernimento. Eymerich colse lo scambio di occhiate, e lo trovò
significativo. A cosa alludesse, ancora, non poteva dirlo.
Modesto prese la parola. Lo sguardo parve ammonire il
fratello per un non gradito coinvolgimento.
“Le trame del Maligno sono imprevedibili, spesso imper-
cettibili, come tutti i cristiani sono tenuti a sapere. Il male è in
ogni cosa terrena e in niuna. È la capacità dell’anima umana,
guidata dalla fede, a scorgere il diabolico segno che si nasconde
nelle insidie del mondo. Tali rivelazioni sono dono e supplizio
per pochi pastori, sofferenti e smarriti, del gregge di Dio.”
“Siete voi uno di questi pastori, frate Modesto?” La do-
manda di Eymerich spezzò la cantilena del frate, incerta e de-
bole come il suo aspetto. Gli occhi spaventosi del religioso si
rivolsero alla sua figura, grossi e tondi come palle di fuoco. “Io
sono un servitore di Dio, padre. Fuggito in silenzio dalla mise-
ria del mondo, per condurre un’esistenza di sofferenza e penti-
mento. I miei occhi vedono, le mie orecchie ascoltano e la mia
anima si affligge per non poter intervenire.”
Fernando avvertì la tensione crescere nell’aria fredda
della cella. “Fratelli, padre, è giunta l’ora della preghiera. Ci
ritroveremo al termine delle funzioni per continuare la discus-
sione. Propongo una visita ad alcune delle vittime di questi se-
gni del male, per poter valutare di persona. Padre Nicolas,
permettetemi di guidarvi fino alla cella a voi assegnata per il
soggiorno nella nostra comunità.”

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I tre frati uscirono rapidi e presero il buio corridoio di
pietra che conduceva agli alloggi individuali. Fernando tratten-
ne l’avambraccio di Eymerich, che lo ritrasse bruscamente,
mentre varcava la soglia bassa della stanza. “Vi prego di avere
pazienza con questi nostri tre fratelli, padre. Tutti noi qui ab-
biamo remore circa la loro condotta morale, ma non vorrei che
questo pregiudichi il vostro lavoro. Dopo la visita alle creature
avrete le idee più chiare, ne sono certo.”
L’Inquisitore apprezzò il gesto del guardiano, pur intuen-
do l’intelligenza tattica di Fernando nel lasciare i tre frati al
centro dell’attenzione. Il suo istinto non era in grado di intuire
molto altro oltre a questo: di certo frate Modesto conservava
dentro di sé qualche indicibile segreto.

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La Missione

Anno del Signore 1365, nella città di Potenza. Convento dei Frati Francescani.

Mentre Fernando lo conduceva verso la cella, Eymerich


chiese se le gestanti di cui aveva parlato il giovane francescano
si trovassero ancora all’ospedale. Il frate guardiano annuì: “Una
di esse potrebbe partorire a momenti.”
“Bene. Voglio recarmi là. Qual è la strada?”
“È un po’ difficile da spiegare, padre Nicolas. Se avrete la
compiacenza di attendermi, fra un’ora vi ci porterò io stesso:
ho alcune incombenze da sbrigare.” Il frate guardiano affettò
un sorriso che irritò Eymerich quasi più della risposta.
“Padre Fernando, ascoltatemi bene. Voi mi avete chia-
mato perché verificassi la presenza del Maligno e la estirpassi
da questi luoghi. Sono qui da poche ore e voi, anziché mettere
il convento a mia disposizione, già due volte mi avete fatto
aspettare, rallentando l’indagine. Chi mi ha inviato potrebbe
pensare che i vostri scopi siano differenti da quanto avete di-
chiarato, e che forse non volete neppure che io porti a termine
il compito assegnatomi.”
“Mai, padre, mai mi permetterei,” la voce di Fernando si
fece querula. Eymerich lo interruppe: “Vi aspetterò. Sappiate

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tuttavia che d’ora in avanti non voglio più sentire risposte come
questa.”
Entrò nella cella, mentre Fernando se ne andava frettolo-
so. Rimasto solo, ispezionò l’ambiente alla ricerca di insetti.
Non ne trovò, e ne fu sollevato. Rifletté quindi sulla sua situa-
zione. In terra nemica, e senza poter nascondere il proprio no-
me, né l’appartenenza all’ordine dei frati predicatori. Si do-
mandò quanto ci sarebbe voluto perché tutto il convento sco-
prisse chi fosse in realtà. C’era poi il mistero del Papa. L’Abate
di Grimoard era stato sempre in buoni rapporti con lui; eppure,
una volta asceso al soglio pontificio, gli aveva dimostrato un’o-
stilità sorda e inspiegabile. Si sentì solo, d’improvviso desiderò
la presenza al suo fianco di un collaboratore fidato. Ma fu solo
per un attimo, che superò irritandosi con sé stesso per la pro-
pria debolezza.
Fernando tornò dopo mezz’ora. Ha sbrigato in fretta le
sue faccende, pensò Eymerich, soddisfatto di essere riuscito a
chiarire subito il tipo di collaborazione che si aspettava. Si in-
camminarono verso l’ospedale. Lungo la strada, Eymerich do-
vette fermarsi diverse volte per aspettare il frate guardiano e
lanciargli occhiate spazientite. Faticava a nascondere il disprez-
zo per questo frate flaccido e molle: il suo corpo era lo specchio
di una vita che indulgeva in atti da cui si sarebbe dovuto aste-
nere.
Giunto all’ospedale, si fece condurre subito da una delle
due gestanti. La donna, sui vent’anni, era in preda agli spasmi.

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Il volto era giallastro; il ventre rigonfio era percorso da movi-
menti innaturali che provenivano dall’interno. Lo strano rac-
conto del giovane Severo corrispondeva dunque a realtà.
Fin dai primi istanti Fernando aveva distolto lo sguardo
dalla puerpera. Eymerich lo ignorò, e impassibile si mise a os-
servarla, aspettando il momento per rivolgerle delle domande.
Questa, con la bava alla bocca, riusciva a malapena ad artico-
lare parole miste a grida e a suoni gutturali. Eymerich riuscì
comunque a sapere che fin dall’inizio della gravidanza era stata
vittima di continui incubi popolati da demoni, in cui l’unica
presenza amica era una donna dagli occhi tristi e vestita di ne-
ro, la Madonna, lei diceva.
Nelle sue frasi non notò nulla che potesse essere collegato
a culti blasfemi, ma le poche parole scambiate non potevano
fornirgli certezze, e si ripromise di interrogarla più a fondo in
un altro momento.
Infine le chiese: “Conoscevi per caso qualcuno dei frati
che ti hanno assistita?”
“No.”
“Conosci altri frati del convento dei Francescani?”
“No.”
“Non conosce nessuno di noi, né noi l’avevamo mai vista,
prima di prestarle soccorso.”
Eymerich si voltò.
Dietro di lui non c’era più il padre guardiano, al suo po-
sto era comparsa la figura ossuta di frate Michele da Altamura.

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“Avete scoperto qualcosa, padre?” continuò Michele.
“Ho scoperto che se si ha pazienza questa donna può
rispondere anche da sola, quindi vi prego di non interferire,”
ribattè Eymerich stizzito. “Cosa ci fate qui, fratello Michele?”
“Quello che fate anche voi: dare un poco di conforto a
questa povera donna. E cercar di comprendere.”
“Questa povera donna potrebbe essere sotto l’influsso di
Satana, ed è questa la circostanza da appurare, prima di stabili-
re se le si debba dare conforto religioso.” Eymerich reagì con
durezza al tentativo conciliante del francescano, che tuttavia
continuò a parlare con voce sommessa.
“Sono qui anche per trovare tracce delle cause dell’orrore
che abbiamo sotto gli occhi e darne una spiegazione accettabi-
le, secondo i preziosi insegnamenti di Raimondo Lullo da
Maiorca.”
“Non conosco l’uomo di cui parlate, e non ho intenzione
di disquisire sui vostri metodi di indagine,” mentì Eymerich.
Conosceva bene l’Ars Magna di Lullo, nella quale già da tempo
aveva ravvisato il seme dell’eresia. Altrove, avrebbe potuto bru-
ciare come eretico l’incauto frate soltanto per quella frase ap-
pena pronunciata. Ma qui non era possibile; quindi tagliò cor-
to. “Che elementi avete raccolto?”
Michele fu rinfrancato da questa inattesa richiesta. “Pare
che il fenomeno interessi essenzialmente le donne incinte e le
creature che esse portano in grembo. Se ci fosse un piano nefa-
sto dietro tutto ciò, penserei che il Maligno voglia colpire con

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questa piaga l’immagine divina della Madonna Madre di Dio,
molto venerata in questa città.”
Eymerich si morse la lingua. Aveva colto nelle parole di
Michele una forte enfasi verso la figura della Madonna che lo
qualificava senza dubbio come frate spirituale, ma anche come
potenziale eretico, di una blasfemia simile a quella dei lucife-
riani. Di nuovo si trattenne e non rispose, anche perché d’un
tratto sulla porta comparve padre Fernando, paonazzo in volto,
che gridava: “Venite! Il, il... è nato.”
I due religiosi si precipitarono nella cella vicina, dove vi-
dero un neonato privo di occhi e di braccia, e con le gambe
spaventosamente corte. Era vivo, ma non lo sarebbe rimasto a
lungo. La madre giaceva sulla branda, lo stesso colorito terreo
dell’altra donna, gli occhi spalancati e le pupille rovesciate.
“In questa città abita il Demonio.” Eymerich si rivolse
con rabbia ai due frati. “Accompagnatemi da Modesto.”
I tre si recarono alla ricerca dell’anziano frate, attraver-
sando vicoli e strade insolitamente affollate di uomini e merci in
esposizione; proprio in quei giorni infatti si teneva la locale
fiera di San Gerardo. Lo trovarono seduto sul gradino di una
porta, in apparenza confuso ed esausto, e subito lo misero al
corrente degli ultimi eventi. Finito il racconto, Modesto si alzò
con energia insospettata e cominciò a gridare. “È il segno, ecco
le schiere di Satana.” Si fermò. Gli occhi spiritati oltrepassaro-
no i confratelli, e prese a delirare. “Guidami, tu sola puoi indi-
carmi la via.” Poi crollò a terra, farfugliando parole sconnesse,

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fra le quali ai presenti parve di cogliere vita e morte. Infine perse
i sensi del tutto.

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Lacrime di Paura

Anno del Signore 1365, nella città di Potenza. Convento dei Frati Francescani.

Al risveglio, frate Modesto non ricordava nulla di quanto


gli era accaduto; le orecchie ronzavano, la testa girava: la senti-
va inerte, quasi svuotata. Poi, all’improvviso, una ridda d’im-
magini gli affollò la mente, e ricordò la visione che l’aveva còlto
fino a qualche attimo prima. Rivide il lago, le acque agitate,
illuminate da una luna piena che campeggiava nel cielo senza
nuvole, senza stelle. Rivide la donna camminare sulle acque,
avvolta da un alone di luce verdastra, senza vita. Era vestita di
nero. Si dirigeva verso di lui. Le onde crescevano a ogni passo,
e l’alone che la circondava si affievoliva. Modesto era incapace
di muoversi, le membra intorpidite da una sorta di stupefatto
timore che legava le articolazioni e i muscoli, impedendo ogni
gesto. Poi vide con gli occhi della mente il volto della donna.
Un ovale perfetto. Occhi neri, come abissi che lo fissavano, e
frugavano fino al fondo dell’anima. Aveva mosso le labbra sen-
za emettere suono: le parole erano nate dentro di lui e avevano
inondato la mente come un fiume in piena, ripetendo in un
crescendo incessante: La morte viene dalla vita. La morte viene dalla
vita.

27
“Frate Modesto, tornate in voi!” Il timbro autoritario di
Eymerich si sovrappose alla voce femminile, richiamando Mo-
desto alla realtà. Gli ci volle un po’ di tempo prima di rendersi
conto di essere disteso sul tavolo di una povera stanza, dove
l’avevano trasportato le braccia nerborute di due facchini. Volse
appena la testa e vide i suoi confratelli piegati su di lui, quindi
scorse l’alta figura del domenicano che lo sovrastava con aria
severa.
“Che cosa vi è accaduto, frate Modesto?”
“Una visione, padre; una terribile visione.”
Con la bocca impastata e la fronte imperlata di sudore,
cercò di raccontare ciò che aveva visto. L’Inquisitore lo ascoltò
senza interrompere, pur se una ruga si andava via via appro-
fondendo sulla sua fronte, col procedere del racconto. Alla fine
domandò:
“Vi capita spesso di avere questo genere di visioni?”
“Abbastanza. Negli ultimi tempi sono diventate più fre-
quenti.”
“E come avviene?”
“Come oggi, all’improvviso; nonostante preghi di conti-
nuo e faccia penitenza.”
“Fate bene a pregare, Modesto, potrebbe essere opera di
Satana. Al Maligno piace tentare i servi di Dio.”
Modesto lesse la nota di sarcasmo nelle parole del dome-
nicano, ma era troppo prostrato per ribattere. Si levò a sedere
sulla tavola, aiutato dai confratelli, quindi si asciugò la fronte

28
con la manica della tonaca. Quella delle visioni era una storia
lunga, che durava fin da quando era giovane, e anzi era stato
proprio a causa delle visioni che si era convinto a prendere la
via del chiostro. In convento sarò al sicuro, aveva pensato. Per-
ché anch’egli era convinto che fossero opera del Maligno, an-
sioso di riprendersi ciò che credeva suo; perché il passato non è
mai passato del tutto, e spesso ritorna per chiudere i conti.
Modesto aveva la mente confusa, come ogni volta che
accadeva un episodio del genere. Per un momento aveva pen-
sato di parlarne con Eymerich, ma era stato solo un lampo.
Eymerich era un inquisitore, questo lo aveva intuito, e se con
Satana non si scherza, con l’Inquisizione si scherza ancora me-
no.
Dal canto suo, il domenicano lo osservava e rifletteva. La
donna che cammina sulle acque gli ricordava troppo da vicino
le teorie ermetiche di Raimondo Lullo, in particolare il simbolo
dell’acqua mercuriale che Lullo descrive nel suo Vade Mecum
come sede dello Spirito della Quintessenza, che fa tutto, onde
senza di essa nulla può essere fatto. Chi era dunque questo
francescano, e quali i suoi legami con la magia naturale del ter-
ziario di Maiorca?

29
Novembre 2054, Scanzano Ionico, Repubblica di Lucania, Federazio-
ne degli stati d’Europa.

Il nome del professor von Marka apparve al centro dello


schermo, accanto a un articolo dal titolo a prima vista incon-
gruente: “Le distorsioni spazio-temporali nella logica dell’ilo-
zoismo”.
Karima, l’Imam di Matera, si chiese che cosa avessero a
che vedere due concezioni così distanti come lo spazio-tempo e
l’ilozoismo, una di matrice scientifica e l’altra filosofica. Le an-
davano affiorando alla memoria vecchie letture e reminiscenze
scolastiche: Talete di Mileto e Einstein, energia vitale e teoria
della relatività. Le sovvenne che per la teoria dell’ilozoismo esi-
ste un’unica intelligenza animatrice dell’universo, una forza
vitale insita nella materia, animata e inanimata, che muove
tutte le creature esistenti ed è fondamento dell’origine dell’uni-
verso.
Aprì l’articolo. Si trattava di un’analisi della teoria degli
psitroni di Frullifer in funzione degli interventi sulle dimensioni
spazio-temporali, ma lo straordinario era che il professor von
Marka citava Stratone da Lampasco a piene mani. Pescato da-
gli anfratti della memoria, il filosofo peripatetico, detto il fisico
poiché si era dedicato allo studio delle scienze naturali, le tornò
allora in mente. L’ilozoismo, appunto, che ricopriva un ruolo di
primo piano nello scritto del fisico tedesco.

30
Si mise a leggere. Teorie fisiche e dissertazioni filosofiche
si incrociavano intimamente, connettendosi in un unicum sem-
pre più stretto che catturava l’attenzione di Karima, facendo
pian piano sorgere nella sua mente l’impressione che qualcosa
non funzionava come avrebbe dovuto. Forse le teorie su cui si
basava l’impianto di smaltimento dei rifiuti, che si stava inaugu-
rando, non erano state testate a sufficienza, forse i margini d’in-
certezza erano più ampi di quanto i tecnici della AA G.m.b.H.
fossero disposti ad ammettere.
Fino a quando non le capitò sotto gli occhi una frase di
Stratone: Ma infiniti mondi nello spazio infinito della eternità, essendo
durati più o men tempo, finalmente sono venuti meno, perdutisi per li conti-
nui rivolgimenti della materia, cagionati dalla predetta forza, quei generi e
quelle specie onde essi mondi si componevano, e mancate quelle relazioni e
quegli ordini che li governavano. Né perciò la materia è venuta meno in qual
si sia particella, ma solo sono mancati que’ suoi tali modi di essere, succe-
dendo immantinente a ciascuno di loro un altro modo, cioè un altro mondo,
di mano in mano.
Distorcere lo spazio-tempo poteva forse mettere in comu-
nicazione due diverse dimensioni della stessa materia, due
momenti diversi dello stesso mondo? Poteva aprire una finestra
fra l’universo attuale e un universo che non c’è più?
L’impressione che, nella fretta d’inaugurare l’impianto,
non tutto fosse stato considerato e che qualcosa di catastrofico
stesse per intervenire le attanagliò d’un colpo lo stomaco.
Si fermò, con lo sguardo perso nel vuoto; a riflettere.

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32
Il Culto

Anno del Signore 1365, nella città di Potenza. Convento dei Frati Francescani.

“Vi consento di beneficiare ancora per qualche momento


delle sollecitudini dei vostri confratelli, Modesto, mentre mi riti-
ro per le orazioni.” La voce di Eymerich era sempre più secca e
tagliente. “Ma esigo che bussiate alla mia porta senza indugio
non appena le avrò terminate. Non fatemi attendere invano,
frate, o avrete una mancanza in più di cui pentirvi.” La mano
ossuta di Eymerich estrasse dalle pieghe della tonaca una mi-
nuta clessidra che consegnò a Modesto, indirizzandogli nel
contempo un affilato sguardo. “Lasciate che la sabbia prenda a
scorrere in questo istante.”

Novembre 2054, Scanzano Ionico, Repubblica di Lucania, Federazio-


ne degli stati d’Europa.

Mettere in comunicazione due momenti diversi dello stes-


so mondo.
L’Imam di Matera sedeva sui morbidi cuscini tessuti con i
caldi colori della terra di sua madre, buttati alla rinfusa sul di-
vano in softex. Davanti a lei, sullo schermo del Faskon Smk,
datacom di ultima generazione, le informazioni fornite dal da-

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tabase scientifico scorrevano sulle immagini senza audio dell’i-
naugurazione del nuovo impianto di smaltimento. Concentrata
sul significato di quelle cifre, si passava una mano tra i nerissimi
capelli gettandoli all’indietro. Il destino aveva deciso che una
delle menti più argute e sensibili del nostro secolo, guida dei
fedeli al verbo di Maometto in terra mediterranea, trovasse di-
mora in una splendida donna.
“Dammi una comparazione con i dati forniti dalla
C.I.R.C.E.”
Il datacom partoriva decine di tabelle in ordinate sequen-
ze, all’interno di una finestra che ingombrava solo in parte lo
spazio a disposizione, mentre una seconda finestra occupava la
zona bassa dello schermo: una lista composta da sette nomi,
che la donna analizzava con cura cercando di ricollegarli alle
informazioni raccolte in giorni di duro lavoro.
Non il soffio lieve dell’apertura pneumatica, posta a pro-
tezione dell’intimità del capo religioso, ne destò l’attenzione,
ma il sentore di un profumo, raffinato e caro al ricordo, quando
due labbra si accostarono alla sua guancia destra.
“Peter, caro, sei arrivato!”
Peter Stanton era un vecchio amico e uno scienziato se-
rio, poco incline ai compromessi con le grandi compagnie che
finanziavano la ricerca: un uomo a cui non dispiaceva cammi-
nare in salita.

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“Karima! Come hai fatto a riconoscermi subito? Ho fati-
cato tanto per convincere il tuo apparato di sicurezza a farmi
entrare senza annunciarmi.”
“Il tuo profumo, Peter. È inconfondibile.”
Senza attendere un formale invito, l’uomo si sedette ac-
canto alla sua ospite.
“Cosa è successo? Come mai hai insistito perché venissi di
persona e non hai voluto discutere al visore?”
Sul piccolo tavolo davanti al sofà, vapori profumati alla
menta fuoriuscivano da una teiera di raffinata porcellana. Ac-
canto alla teiera, una zuccheriera e delle tazze. L’Imam poggiò
un piede nudo sul tappeto a terra e sporgendosi in avanti prese
tra le mani la teiera e una tazza.
“I visori sono ormai molto sofisticati ma per niente sicu-
ri.”
“Sicuri?”
“Un cucchiaino di zucchero, vero?”
La donna, porgendo all’amico la tazza fumante, indicò
con un delicato cenno del capo la parete su cui stava il grande
schermo del Faskon Smk.
“Quelle che vedi sullo sfondo sono le immagini di una
delle manifestazioni celebrative che preludono all’inaugurazio-
ne del nuovo impianto di smaltimento rifiuti della AA
G.m.b.H.”
“Lo so, si terrà fra pochi giorni, e non hanno certo ri-
sparmiato in pubblicità istituzionale, con tutte quelle fasce bi-

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colori ed esponenti politici raggianti. Che Dio ce la mandi
buona, sempre che esista, un Dio.”
L’Imam, corrucciando il naso alla provocazione scherzosa
dell’amico, portò la sua attenzione a una delle due finestre del
database scientifico.
“Qualcuno dei nomi di quella lista ti dice qualcosa?”
La risposta del dottor Stanton, un sorriso.
“Conosco da anni ognuno di quei musoni.”
“Correggimi se sbaglio: in questo elenco sono citati tutti i
più grandi ricercatori che si occupano o si sono occupati delle
teorie di Frullifer e Dobbs.”
“Be’… Tutti i più grandi non direi. Ci sono in mezzo
anch’io.”
Il sorriso, questa volta, la risposta della donna.
“Com’è che nessuno di voi ha mai prodotto uno studio
che si conclude con un si può fare oppure con un non si può fare?”
Sul viso dello scienziato si disegnò un’espressione in equilibrio
tra il dubbio e il ridicolo.
“Intendi dire porre in formule e bulloni le teorie di Frul-
lifer e Dobbs?”
“Esatto.”
“Perché sono teorie che presentano troppe lacune che
non sono mai state colmate.”
“Che ne pensi allora del sistema di smaltimento della AA
G.m.b.H.? Loro dicono che è basato proprio sulla teoria degli
psitroni di Frullifer e Dobbs, dicono di aver riprodotto con suc-

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cesso l’esperimento di Michelson Morley e il loro impianto pi-
lota di Nuova Bruxelles è in funzione da quasi un anno.”
L’uomo si sollevò dal divano, poggiando sul tavolino la
sua tazza di tè alla menta.
“Quelle bestie se ne fottono di cosa può succedere, io non
ho idea di quali conseguenze può avere far funzionare un im-
pianto di quel tipo e ti assicuro, nemmeno loro. Hanno realiz-
zato l’impianto pilota nel sultanato di Tabor Hasset proprio
perché quel dittatore da quattro soldi gli permette di agire sen-
za nessun controllo, e quello è solo un pilota ma questo...”
Stanton indicò il visore che sullo sfondo mostrava facce
sorridenti e donne in abiti eleganti.
“...Questo è di dimensioni cento volte maggiori e sarà a
sua volta senza controllo.”
L’Imam di Matera si mise a osservare la seconda delle
due finestre del database.
“Guarda quei dati...”
Al dottor Stanton non era necessaria molta attenzione
per interpretare le sequenze di dati e i grafici, con i loro picchi
troppo alti nelle posizioni sbagliate.
“Allora?”
“Sono analisi dei luoghi attorno all’impianto pilota di
Nuova Bruxelles che ho commissionato a un’équipe della Co-
munità Indipendente per la Ricerca e il Controllo sull’Ener-
gia.”

37
“Scherzi? Quelli sono riferiti a un sito con forte attività
radioattiva! Se fosse così tutti se ne sarebbero accorti da tem-
po.”
Le parole dello studioso non sorpresero l’Imam.
“Confrontali con quelli che vedi a fianco, Peter.”
Altre sequenze e grafici.
“Sono di un sito tutto sommato sano e soprattutto senza
ombra di radioattività. Da dove provengono?”
“Dal medesimo sito.”
“Vuoi dire che la radioattività è iniziata non appena quei
porci hanno attivato il loro impianto pilota?”
“Non proprio.”
“Allora?”
“Credo che l’emissione abbia avuto davvero inizio quan-
do hanno attivato l’impianto, ma la radioattività è più vecchia;
abbastanza recente come età di un elemento radioattivo ma
piuttosto vecchia se riferita a noi esseri umani.”
“Non sono sicuro di riuscire a seguirti Karima.”
“Le emissioni paiono essere di sostanze che sono attive da
almeno sei-settecento anni.”
“Le emissioni sono cominciate meno di un anno fa da
elementi vecchi di settecento anni?”
“Così pare.”
“Allora sono stati prodotti da qualche altra parte e poi
scaricati lì.”

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Erano giorni che l’Imam tentava di far accordare questa
e mille altre teorie con quei maledetti dati.
“Impossibile. Guarda le spettrografie delle rocce. Pare che
l’attività sia diffusa, insediata nel tempo e non puntuale, come
dovrebbe essere nel caso in cui qualcuno avesse semplicemente
scaricato del materiale là.”
L’osservazione era rigorosa.
“Vero, allora cosa significa?”
“Sino a qualche ora fa non ne avevo assolutamente idea,
Peter, ma adesso...”
La donna rivolse il viso verso il Faskom.
“Dammi le pagine su von Marka.”
Una terza finestra si sovrappose alle prime due.
“Mai sentito parlare del professor von Marka? Delle sue
teorie sulle distorsioni spazio-temporali e delle connessioni con
l’ilozoismo?”
L’uomo senza dire una parola fissò il volto dell’Imam.
“Credi sia possibile distorcere lo spazio-tempo sino a
mettere in comunicazione due luoghi diversi nel medesimo
istante, oppure due punti differenti lungo la linea del tempo?
Credi che quelli della Ailleurs - Anderwohin siano riusciti a tro-
vare la maniera di scaricare i rifiuti radioattivi non in un certo
luogo, ma in un certo tempo?”
Peter Stanton scorse il suo nome inserito in quella lista
nella parte superiore dello schermo; su tutta la superficie del

39
pianeta lui era uno dei sette uomini più adatti a rispondere a
una domanda come quella.

Anno del Signore 1365, nella città di Potenza.

Le premure di Michele e Severo erano state di ben poco


conforto per Modesto, che lanciava occhiate sempre più ansiose
ai granelli della clessidra in caduta libera. “Suvvia fratello, cosa
sarà mai un incontro a quattr’occhi nella dimora del nostro ca-
ritatevole ospite?” La voce dai toni ancora primaverili di Severo
fece quasi sorridere Modesto, ma non gli impedì di registrare
con una stretta al cuore la sedimentazione dell’ultimo granulo
di sabbia. “La pace sia con voi, fratelli cari.”
Il francescano non fece nemmeno in tempo a fermarsi
davanti alla porta dell’Inquisitore per fare un’ultima invocazio-
ne prima di bussare, che dall’interno tuonò un “Avanti Modesto
da Melfi.” Eymerich scostò l’uscio con impazienza e gli indicò
con un cenno del mento di prender posto sull’unica seggiola
della stanza. “Non è mia abitudine dissipare il tempo accorda-
tomi dall’Altissimo per offrirgli i miei umili servigi in quisquilie
ed esercizi dialettici, dei quali lascio fare ampio uso ai portavo-
ce del Maligno.” La figura di Eymerich troneggiava su Mode-
sto, contrito nel suo saio che si piegava ad angolo retto sul bor-
do della sedia. “Credi che non abbia intravisto fra le trame
della tua veste monacale l’ombra fosca dell’eresia? Tu, melfita-

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no, sei discepolo di un perverso invasato che non è nemmeno
degno di essere nominato, ma lascerò sia il tuo infido essere a
parlarmi in dettaglio dei legami con quelle losche dottrine.”
L’Inquisitore si stagliava furente sulla povera sagoma del frate,
lo sguardo bruciante ne scrutava i più piccoli spasmi del volto,
per meglio tratteggiarne la natura e l’entità delle reazioni emo-
tive. Nel corso dell’operato al servizio della Sacra Inquisizione,
aveva imparato che il metodo più efficace per ottenere una
confessione era di simulare da subito furore e disprezzo nei
confronti dell’inquisito – cosa che gli riusciva alquanto naturale
– e fingere di essere già al corrente di tutto ciò che il malcapi-
tato si risolveva in genere a raccontare di spontanea iniziativa.
“Ebbene padre onorabilissimo...” esordì Modesto con un
tremulo fruscio di voce, “negli anni della fanciullezza fui disce-
polo di Khalid de la Fuente, a sua volta seguace di Raimondo
Lullo, ho da confessarlo. De la Fuente faceva parte della schiera
di infedeli che Lullo era riuscito a convertire alla fede cristiana.
Seguendo i dettami del maestro, egli aveva insegnato a me e
allo sparuto gruppo di adepti che gli si erano raccolti attorno a
parlare correntemente la lingua araba. Prima di continuare gli
occhi di Modesto saettarono dall’Inquisitore alla finestra, poi la
testa si abbassò repentina sul petto incavato. “De la Fuente ci
aveva inoltre introdotto alle arti magiche e all’alchimia, condu-
cendoci nei luoghi dove magie e stregonerie venivano praticate
da tempo immemore; luoghi in cui si trovavano anche le fucine
di preziosissimi elementi alchemici.” Modesto appariva ora

41
prostrato, mentre Eymerich lo incalzava con un ghigno da lu-
po. “Quali luoghi, melfitano? Parla, peccatore, parla per la tua
anima.”
Il crescendo di accuse e di dolorosi mea culpa aveva sor-
tito un effetto drammatico sul francescano. L’espressione as-
sente e la postura irrigidita erano ora intaccate da un bagliore
insano, il viso e le membra parevano attraversati dagli echi di
cataclismi interni. Bofonchiava schegge di nenie che Eymerich
aveva udito pronunciare in ben altri luoghi, da bocche corrotte
e ripugnanti.
“Fu allora e mai prima d’allora e sempre dopo d’allora,
sublime o terrifica, che ella mi apparve.” D’un tratto Modesto
aveva innalzato volto e braccia al soffitto, in un tremore ispirato
e vitale. “...Giù al lago la croce oscurava il cielo e il mio volto,
ed ella dalle acque incontro mi volse e con il suo splendore mi
colse e trafisse. Ai piedi calzava sandali dorati e aveva il capo
ornato da un manto corvino, dagli occhi dardeggiava arabiche
formulazioni e dalla gola in lucano pronunciava invocazioni. La
sua mano protesa mi offriva le ctonie corna lunari della seleni-
te...”
L’Inquisitore non aveva fino a quel momento interrotto o
indirizzato l’onda di onirica veggenza del penitente: quel flusso
estatico gli stava rivelando molte, preziosissime informazioni. I
luoghi dove Modesto aveva appreso i poteri naturali che tanto
lo tormentavano ospitavano esseri in cui certo si annidava la
blasfemia e il peccato, ma essi soltanto potevano fornire a

42
Eymerich gli elementi atti a sciogliere l’impenetrabile mistero
delle acque nefaste. “Mantieni in te accesa la fiamma della vi-
sione, Modesto, e conducimi in quei luoghi, abbiamo atteso già
troppo a lungo.”

43
44
Una Proporzione Certa

26 novembre 2054, Matera, Repubblica di Lucania, Federazione degli


stati d’Europa.

“Diamine,” esordì Peter Stanton, mentre dal Faskom co-


minciavano a scaricarsi sulla parete schermo i diagrammi tem-
porali che aveva digitato dal suo braincomputer. Essere tra i
pochi che potevano dare risposte a quel tipo di quesiti significa-
va poter elaborare in tempi per altri impensabili un numero
infinito di dati, trasformarli in calcoli e intesserli in ragnatele di
linee.
“Se vuoi, questo materiale posso passartelo, ne ho copie a
sufficienza qui.” E sorrise, indicandosi la fronte, dove un infini-
tesimale settore di pelle era occupato da una sostanza trasluci-
da.
“Osserva questo.” Stanton indicò un diagramma in alto a
destra. “Le linee formano una sorta di tunnel, per effetto degli
psitroni; nel momento in cui il tunnel sarà completato, potrà
avvenire il passaggio del pensiero e… di ogni altro materiale. È
davvero possibile che i rifiuti vengano incanalati nel tunnel e
inviati in altri tempi, sulla scia della memoria dell’acqua. Hai
mai approfondito la teoria dell’ilozoismo?
L’Imam osservava con meticolosa attenzione, mentre cer-
cava di dominare il tremore delle mani stringendo la tazza an-

45
cora bollente di tè alla menta. Chiese a Stanton di darle ancora
qualche spiegazione, qualche elemento di conferma. Non
avrebbe potuto muovere un passo, se non avesse avuto la cer-
tezza della tragedia che stava per verificarsi o che, non le riusci-
va di dirlo, si era già verificata. Un orrore indicibile le strinse lo
stomaco e la fece sollevare dai cuscini. Si avvicinò all’altro gra-
fico, su cui lampeggiavano numerosi cursori.
La voce nasale di Stanton anticipò il pensiero dell’Imam:
“Non mi è possibile intervenire dall’esterno, tu potresti farlo.
Sei un’autorità, per quanto guardata con sospetto, sei sempre
un’autorità. Potresti intercedere presso il Presidente, o meglio
ancora far sì che si manometta l’impianto.”
Lo sguardo della donna si fece pensieroso. Stanton corre-
va veloce. Per lui tutto era semplice. Manomettere l’impianto,
fare pressione sul Presidente scavalcando il governatore e chi
c’era dietro di lui, il Basilisco. Le implicazioni politiche erano
molte e l’equilibrio delicato. Per agire, avrebbe dovuto trovare
qualcuno disposto a farlo senza coinvolgere troppa gente.
Qualcuno di cui fidarsi a occhi chiusi. Fare saltare tutto senza
fare rumore, ma come?
“Ci sarebbe un modo, Karima” disse Peter, dopo qualche
minuto di silenzio.
“C.I.R.C.E. o DIOTIMA2, i database della documenta-
zione storica. Potresti ricercarvi notizie su zone temporali con-
taminate dalla radioattività, potresti scoprire qualcosa di im-
mani disastri o fenomeni straordinari. Negli archivi della me-

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moria c’è spesso la chiave dei misteri, oltre che quella della sto-
ria…”
Storia, memoria, tempo: la domanda nella mente di Ka-
rima assunse un altro volto. Non come, ma quando farlo? Se qual-
cuno, in un’altra epoca avesse svolto il lavoro sporco, lei avreb-
be dovuto soltanto guidarlo.
“Peter, ti sembrerà assurdo ma... C’è un modo per comu-
nicare con il passato? Magari proprio attraverso la tecnologia
dell’impianto?”
Stanton si rabbuiò, intuendo in modo vago ciò che l’ami-
ca pensava. Si passò una mano sul mento irsuto e disse: “Tecni-
camente penso si possa fare. Ma, se fosse possibile, dovresti tro-
vare dall’altra parte qualcuno che ti ascolti.”

Anno del Signore 1365, nella città di Potenza.

La lastra di pietra si sollevò stridendo. Un flusso d’aria


maleodorante si allargò nella chiesa.
Modesto, in preda a un violento tremito, cercò per l’ulti-
ma volta di trattenere Eymerich dal percorrere le strade di Sa-
tana. Sperava di dissuaderlo, ed era inconsapevole di ottenere
l’effetto contrario: il domenicano era sempre più deciso a get-
tarsi nella lotta da cui sarebbe dipeso il loro destino e il trionfo
dell’Unica Verità. L’eco della predizione continuava a tuonare
nelle sue orecchie: La morte viene dalla vita. La morte viene dall’acqua.

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Non poté resistere a lungo agli imperativi di Eymerich.
La furia puntuta dei suoi occhi trapassava le esili forme di Mo-
desto, e la volontà indebolita dalle visioni era preda dell’energia
del domenicano.
La città mostrò le viscere agli inconsueti pellegrini. Una
luminescenza indefinibile riempiva gli spazi cunicolari, ne dise-
gnava le rozze volte e le pareti insozzate da escrescenze fungi-
formi. Eymerich fu preso da una strana inquietudine. Sentì con
sorpresa la sua forza indebolirsi. Risoluto, strinse i denti e spin-
se il frate avanti a sé.
La struttura delle catacombe non era diversa da altre che
aveva già percorso alla ricerca del Maligno. Teschi ammassati
in nicchie scavate in modo approssimativo disegnavano percorsi
a ritroso nella storia del convento. Crani di dimensioni inusita-
te, con parti orribilmente deformi e dentature feline parlavano
di eventi straordinari ancora più antichi. Modesto percorreva i
cunicoli, silenzioso e sicuro. Lasciò che Eymerich osservasse
quei resti e ne traesse le inevitabili conclusioni.
Depositi di statue spezzate, istoriate di ripugnanti concre-
zioni, si aprivano in improvvisi slarghi, dove la luminescenza si
faceva più rarefatta e vaga. I tentacoli della città sotterranea
sembravano non avere fine.
Un debole mormorio d’acqua bloccò Eymerich. I suoi
sensi erano tesi allo spasimo. La luce si intensificò impercetti-
bilmente.
Modesto sussurrò appena: “Siamo giunti.”

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La sorgente sotterranea si stendeva per una superficie
non vasta. Le acque risplendevano nel buio come infinite lam-
pade a olio dal bagliore bluastro. Una nenia aleggiava tra le
rocce argentee dove si intuiva la presenza di sagome sfuggenti.
Infine gli apparve una visione di straordinaria potenza.
Sul volto bruno splendevano due ardenti occhi neri. Una
bocca di fanciulla si aprì lentamente: La morte viene dalla vita. La
morte viene dall’acqua. La profonda cicatrice che segnava la sua
fronte lasciava scorrere un liquido fluorescente che si versava
inesauribile nel lago. Una quiete profonda si impossessò dell’a-
nimo pur sempre vigile di Eymerich. Quella bellezza sembrò
togliergli il fiato e le forze. Cercò di indietreggiare sperando di
sfuggire in qualche modo alla visione, cui non sapeva attribuire
i contrassegni del bene o del male. La nenia si interruppe.
Echeggiò un grido: “Eymerich.” Le sagome si fecero sempre
più nitide. Fogge diverse, mani dalle lunghe dita inarcate, occhi
acuti nello sforzo della predizione, volti segnati a fondo dalla
coscienza del male previsto e pur inevitabile.
Eymerich… quel nome pronunciato sovente con odio e
terrore, sembrava ora così stranamente dolce.
Reagire, pensò Eymerich, resistere si ripeteva, inquieto
per essersi lasciato trascinare in quell’ovvio tranello. Le mani di
lei sfiorarono appena il suo volto, ammaliandolo ancora. Fu
invitato a sedersi nel cerchio disegnato dai loro corpi.
“Non viene da qui il male che cerchi, sappilo, qui è solo il
porto del male, da qui si spandono i miasmi che generano neo-

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nati mostruosi e gli altri eventi raccapriccianti. Questo è il
porto del male, non la fonte. Come te, che pur vivendo alla luce
del sole rimani nel buio di un’incognita identità, così noi, maghi
e streghe di questa terra, possiamo solo nel buio cercare le ori-
gini del morbo. Una ricerca comune, Eymerich. I nostri nemici
non sono poi così diversi. Mammona governa, ora e sempre. Il
Pastore devia seguendo Mammona. Trovare il mostro dai mille
occhi di luce e dal corpo d’argento che troneggia nelle nostre
visioni, questo è ora il compito…”
“Bevi alla fonte dei giusti, Eymerich, e unisciti a noi.” La
voce della donna bruna risuonò come voce di sirena.
Eymerich non replicò, ormai preda di una debolezza in-
dicibile.

26 novembre 2054, Matera, Repubblica di Lucania, Federazione degli


stati d’Europa.

Fu DIOTIMA2 a rispondere prontamente alla richiesta


di Karima. Ai numeri che nei diagrammi continuavano a lam-
peggiare corrispondevano lunghe schermate di documenti dagli
archivi della memoria. Scorrerli tutti sarebbe stato impossibile,
se Stanton non le avesse fornito una formula adatta a indivi-
duare il certo nel probabile. Alla fine delle operazioni di sele-
zione, rimasero poche schermate da esaminare. Due documenti
la colpirono. Le ultime due cifre delle date coincidevano: 1854,

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1354. Attivò il traduttore simultaneo e lasciò che le parole fluis-
sero nella sua mente.

Nel corso del XIX secolo il colera miete un gran numero di vittime.
Il morbo compare in Basilicata negli anni 1836-1837, nel 1854 e ancora
tra il 1865 e il 1867. Per fronteggiare la situazione, al primo manifestarsi
dell’epidemia in Europa, l’Intendenza di Basilicata […] mostra una forte
preoccupazione verso le infime classi, verso quegli spiriti deboli facilmente
esaltabili dal timore concepito di un morbo non conosciuto. Subito si diffon-
dono tra il popolo voci generali di non esser questa una malattia naturale,
ma l’effetto di un avvelenamento.

1854 DOCUMENTO N. 8/A

Archivio di Stato di Potenza, Processi di valore storico, b. 131, fasc.


1, cc. 18 e 19.
1854 agosto 22, Abriola
…abbiamo fatto venire alla nostra presenza Valentino Picerno di
Pietrangelo, di circa anni otto, che nel giorno di sabato 19 corrente, stando
a custodire gli animali di Nicola Verga dentro un terreno del capitano don
Gennaro Passatelli che fiancheggia il piccolo torrente così detto Vallone del
Gambero, vide verso le ore venti due persone di statura piuttosto giusta ve-
stite con gilè, e pantalone bianco, con cappello puntuto, li quali domandaro-
no dove fosse la fontana che in quel vallone si trova. Il cennato ragazzo loro
l’additò, ed esse dopo essersi piegate, e bevuto dentro alla medesima se ne
andarono verso il basso del Vallone istesso. Indi di tutto ciò fe’ consapevole

51
il suo zio Pasquale Siesto […] Noi quindi in conseguenza della sopra-
scritta dichiarazione abbiamo fatto venire alla nostra presenza il nominato
Pasquale Siesto di Francesco di anni venti, contadino domiciliato in
Abriola, il quale dietro a opportune domande ha risposto. Che avendo egli
appreso dal suo nipote Valentino Picerno che due persone sconosciute si
erano poco prima avvicinate al fonte esistente nel Vallone del Gambero, vi si
portò anch’esso a oggetto di osservare che cosa mai vi avessero lasciato. In
effetti ritrovò in un tonfano tre passi circa distante dal fonte medesimo, un
volume di grossezza quasi di un uovo, composto di un materiale piuttosto
giallastro. Visto ciò ne fe’ partecipe il suo padrone Nicola Verga, il quale
era nel suo orto ivi sottoposto a circa un tiro di fucile distante dal cennato
fonte, e con esso lui tornò al testè mentovato tonfano, e raccolse da quel
volume una porzione di quella sostanza; la pose dentro una foglia di tossi-
lagine ricoverta con altra di zucca e se la portò al paese per farla osservare
alle autorità che cosa si fosse…

“Volevi una prova, Karima, ora ce l’hai,” si disse. Abban-


donò la tazza di tè ancora fumante sul tavolo di alabastro. I
cuscini erano diventati anch’essi di pietra. Chiese un aerotaxi.
L’aspettava un difficile compito. DIOTIMA2 continuò a se-
gnalare la presenza di altri documenti in memoria. Karima
pensò di aver letto già abbastanza.

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Anno del Signore 1365, nella città di Potenza. Convento dei Frati Francescani.

Severo da Benevento ricevette l’emissario di Urbano V


nella sua cella. Padre Fernando l’aveva condotto da lui con un
certo rispetto, ma anche con fastidio. Un emissario del Papa nel
suo convento poteva essere un segno di stima, ma un colloquio
privato con un suo confratello lo escludeva ingiustamente, svi-
lendo il suo ruolo di frate guardiano.
“Vigilare, Fernando,” si disse, mentre con fare cerimonio-
so si congedava dal messo papale.
Severo, che da tempo aveva smesso i panni del politico,
sedotto dalla visione estrema di Modesto e Michele, i suoi mae-
stri, aveva ben presto intuito che i tempi non erano loro favore-
voli. Covava in lui il tormento della natura ambigua, che gli
aveva fatto odiare la sua precedente vita. I maneggi della corte
papale lo avevano visto giovanissimo preda ora dell’uno ora
dell’altro partito, carissimo a tutti e odiato un istante dopo. Il
convento era stato la scelta estrema per salvare la sua anima.
Ma il tarlo della doppiezza covava, alimentato dalle notti di
insonnia. Aveva pregato che nessuno mai si ricordasse di lui,
perché sapeva che non avrebbe potuto resistere al richiamo
delle vecchie, odiose abitudini. Quando aveva visto Modesto e
Eymerich procedere cauti nella chiesa silenziosa e aveva cap-
tato le parole dure e imperiose di quest’ultimo, aveva capito che
Dio gli aveva offerto l’ultima possibilità di peccare o di redimer-
si per sempre. Il demone dell’ambiguità gli pose di fronte la giu-

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sta argomentazione: era giovane abbastanza per rimandare al
domani il destino della sua anima, ora era il tempo del piacere
sottile del tradimento.
La sua nota era giunta a Urbano V pochi giorni prima in
Avignone, proprio mentre questi discuteva con il Cardinale se-
gretario il diffondersi in misura sconveniente delle notizie di
fenomeni raccapriccianti e di terribili deformazioni di feti, che
stavano facendo la fortuna delle mammane.

Anno del Signore 1365, Avignone, Santa Sede.

“Padre Eymerich,” insinuò il cardinal segretario, “non è


dunque lì, dove i fenomeni sono più diffusi? Quali notizie da
parte sua? Sua Santità ne conosce pregi e difetti. Forse è lì per
questi ultimi?”
Urbano V sorrise stizzito. Nessuna notizia, da quando
aveva inviato il terribile inquisitore a Potenza. Una speranza
segreta lo pervase.
“Inviamo un messo, cardinale, ma che nulla ne venga a
sapere Eymerich, né si informi il padre guardiano, poco di
buono ricattabile con due dolcetti di mandorle. Sarà invece
Severo, lo ricordi, il giovane chierico allevato nella diocesi di
San Paolo, il nostro informatore al convento.”

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Manovre orchestrali nell’oscurità

Anno del Signore 1365, nella città di Potenza.

Voci.
La morte viene dalla vita.
Acqua fosforescente.
Non posso muovermi.
Unisciti a noi.
Bevi alla fonte dei giusti.
Non sento la mia voce.
Luce accecante.
Bevi alla fonte dei giusti.
Chi sei, donna? Non sento la mia voce.
La morte viene dall’acqua.
Bevi.
Luce accecante.
Unisciti a noi, bevi.
La morte viene dall’acqua.
Buio.

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Eymerich si svegliò sudato. Era nella sua cella. Come ci
era arrivato? Dalla luce che filtrava capì che il sole era già alto,
e questo non fece che aumentare il suo nervosismo.
Era furibondo. Con Modesto, certo, e con sé stesso per
essersi fatto abbindolare come un ingenuo. Cercò di riordinare
la confusione che popolava la mente.
“Creature del Demonio. Quel frate indegno mi ha por-
tato in un covo di creature del Demonio. Mi hanno fiaccato
con i loro malefici e ridotto in loro potere, per chissà quanto
tempo. Mi hanno fatto bere l’acqua di quel lago, ricettacolo del
male. L’ho poi bevuta? Non ricordo.”
Uscì dalla cella, risoluto a trovare Modesto ed estorcergli
la verità. Fu inutile. Del frate, nemmeno l’ombra.
Arrivato al portone del convento, sentì bussare. Aprì, e
vide di fronte a sé una giovane, isterica. “Devo parlare con frate
Fernando!”
“Femmina impura, come osi rivolgerti in questo modo a
un ministro di Dio,” le urlò in faccia Eymerich, ma la donna
non se ne diede per inteso.
“Per pietà. Sono gravida, e contagiata dal morbo oscuro.
Al lazzaretto è morta un’altra donna oggi, io non ci voglio an-
dare. Fernando non può rifiutarmi il suo aiuto!”
“E perché mai non potrebbe?”
“Per tutte le volte che mi ha cercata...” La donna esitò,
timorosa.

56
Il manrovescio fu così forte da farla stramazzare a terra.
“Bada, non aggiungere altri peccati a quelli che già pesano
sulla tua anima! La menzogna è la musica di Satana!”
“È la verità!” rispose in lacrime.
“Vattene, e ringrazia, ché ben misero castigo hai avuto
per la tua impudenza.”
L’Inquisitore richiuse il portone. La sua ira non era anco-
ra sbollita, ma quest’ultimo incontro poteva innescare sviluppi
inattesi e interessanti. Quella donna sarebbe stata un’arma
formidabile.
Voltandosi, vide Severo che si avvicinava. Troppo lontano
per essersi accorto di qualcosa, pensò Eymerich, pronto a sfo-
gare la sua rabbia su una nuova vittima.
“Severo, dove sono i tuoi confratelli?”
“Non so, padre. È da stamani che non li vedo.”
“Bene. Allora, se non ti dispiace,” dapprima calma, la
voce divenne sempre più rabbiosa, “me lo spiegherai tu, cosa
succede in questa città, dove nascono mostri, dove sottoterra si
celebrano riti pagani, e dove i frati francescani anziché onorare
Nostro Signore bestemmiano il Suo Nome insieme a megere
serve di Satana.”
Severo cascò dalle nuvole. “Cosa succede, padre? Io non
so nulla di quello che dite.”
L’Inquisitore era livido e stava per saltare alla gola del
francescano, che però continuò a parlare, molto più loquace del
solito. Disse che Modesto e Michele spesso lo tenevano all’oscu-

57
ro di quello che facevano. Perché era quasi un ragazzo, da poco
arrivato in città, mentre gli altri due avevano passato insieme
buona parte della loro vita. Sapeva, questo sì, che entrambi i
suoi confratelli erano seguaci di Lullo, ma anche su questo non
avrebbe saputo aggiungere altro, ignorante com’era in materia.
Eymerich si placò. Quel giovane frate da subito gli era
parso mal assortito coi suoi confratelli, e in effetti il suo rac-
conto era plausibile. Severo se ne accorse, e approfittò per
chiedergli dettagli su ciò che aveva scoperto. Ma l’Inquisitore
rimase vago, e subito dopo si congedò.

Anno del Signore 1365, Napoli, Maschio Angioino.

Seduta sul suo scranno Giovanna I d’Angiò aprì la missi-


va che il messo papale le aveva recapitato.
C’era scritto il nome del nuovo emissario pontificio, un
francescano di nome Severo; e la richiesta di tenersi all’erta, in
attesa di istruzioni.
La Regina doveva molti favori a questo Papa, non ultimo
l’appoggio alle recenti nozze con Guglielmo d’Aragona. Scelta
eccellente: il prode principe consorte aveva già gentilmente
liberato Napoli dalla sua presenza, partendo in guerra al se-
guito di Enrico di Trastamara.

58
Giovanna si sedette allo scrittoio. Poco dopo un cavaliere
usciva dal castello, recando due lettere: la prima era indirizzata
al Giustiziere di Basilicata, l’altra a frate Severo da Benevento.

Anno del Signore 1365, nella città di Potenza.

Il frate guardiano fece cenno a Eymerich di entrare nella


cella. “Stamani non eravate alle laudi, padre. Qualcosa di gra-
ve?”
“Dormivo. Ma dovrei piuttosto dirvi dove sono stato ie-
ri.”
Per sommi capi gli raccontò la sua esperienza del giorno
precedente. Il frate era sbalordito.
“Fernando, in città vengono celebrati riti blasfemi, e nes-
suno ne sa niente. Perfino voi volete farmi credere di esserne
all’oscuro! Mi chiedo quale sia il vostro modo di vigilare contro
i nemici di Cristo. O forse dovrei chiedermi quale motivo ab-
biate per lasciare alla mercè di Satana il gregge di cui un giorno
dovrete rispondere.”
“Oh no, padre, perdonate la mia negligenza,” squittì il
frate.
Eymerich sogghignò: Fernando ormai era un libro aper-
to. Per farlo crollare non c’era stato neppure bisogno di accen-
nare alla donna di poco prima – cosa che in ogni caso non ave-

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va intenzione di fare, almeno per il momento. Disse invece:
“Ho incontrato Severo, poco fa.”
“Ah, il ragazzino borioso,” sospirò il frate. “Viene dai pa-
lazzi, e si vede. Sapete? L’ultimo inviato papale giunto qui non
ha chiesto né di me, né di voi. Invece voleva parlare proprio
con Severo. Assurdo. Chissà poi di cosa. Beghe di nobili, pro-
babilmente.”
“Probabilmente,” ripeté Eymerich a voce bassa. Ma in
realtà era sconvolto dalla notizia: era evidente che il Papa in-
tendeva scavalcare sia lui che Fernando. Mentre salutava rapi-
do il frate, non poté fare a meno di pensare: ecco perché oggi il
ragazzo era così amichevole. E questo imbecille ancora una
volta non ha capito nulla, e ciarla incautamente. Davvero l’uo-
mo ideale cui affidare incarichi delicati.
Uscito dalla cella, decise di ripercorrere da solo il cammi-
no sotterraneo fatto con Modesto. Per riordinare la memoria.
Era giorno pieno, e ormai sapeva cosa aspettarsi: stavolta
nulla l’avrebbe preso alla sprovvista.

Novembre 2054, Scanzano Ionico, Repubblica di Lucania, Federazio-


ne degli stati d’Europa.

L’Imam raggiunse infine l’amico, nel suo laboratorio.


Stanton aveva terminato alcune prove empiriche sul processo di
trasmissione, e ora i due stavano ricapitolando i punti salienti,

60
come per abituarsi a una situazione così terribile da non sem-
brare reale.
“Quindi, se ho capito bene, l’idea è di inviare il messaggio
verso le coordinate spazio-temporali in cui è più probabile che
andranno a finire le scorie, e cioè a Potenza nel 1365.”
“Sì, Karima, è pressappoco così. Anche se, stando ai miei
calcoli, il flusso percorre cammini obbligati: se quest’anno viene
inviato da qui un fascio di psitroni nel 1365, esso troverà a Po-
tenza il suo luogo naturale di destinazione; se invece lo man-
diamo nel 1854, allora la destinazione naturale sarà Abriola, e
così via, come mostrava il diagramma.”
“...E come confermano i documenti storici. A proposito,
il fatto che quasi tutte le epidemie registrate dalle cronache
fossero localizzate vicino a piccoli fiumi o laghi, secondo te può
avere qualche importanza? Non so, l’acqua potrebbe fungere
da catalizzatore per la ricezione...”
“Sì, può essere. L’acqua è un conduttore essenziale per
certi tipi psitronici. Ma non posso essere sicuro che togliendola
dal luogo di arrivo interromperemo lo scarico delle scorie.”
“Dobbiamo sperare che sia così, visto che è forse l’unica
strada che possiamo tentare.”
I due si guardarono. Karima continuò: “Bisognerà modificare
l’impianto in modo che trasmetta il messaggio, e dirigerlo pro-
prio verso la data-obiettivo.”
“Oh, fosse solo per quello… Ho elaborato un algoritmo
in grado di provocare e indirizzare la trasmissione. È già confi-

61
gurato per il 1365. Esiste un certo rischio di dispersione, ma ho
stimato una varianza assai ridotta: in parole povere, una piccola
parte del flusso giungerà in momenti imprecisati fra il 1351 e il
1380, ma la maggior parte arriverà nell’anno prestabilito.
Il vero problema sarà accedere al quadro generale di
controllo dell’impianto. Come sai, non sono stato invitato all’i-
naugurazione; inoltre tutti i responsabili del progetto mi cono-
scono, e presentandomi là potrei alimentare sospetti. Allo stesso
tempo, mi spaventa l’idea di far compiere simili operazioni a
un’altra persona, seppur fidata. Dovrei andarci io.”
“Infatti ci andrai tu, Peter. Ma non al ricevimento.” La
donna aprì la mano, dove teneva un piccolo disco di silicio.
“Questo è il pass riservato al personale tecnico di manutenzio-
ne straordinaria. Non chiedermi come ho fatto ad averlo.
Quelli che lo usano vanno all’impianto molto di rado, quindi
non dovresti dare nell’occhio. Il nome registrato nel pass è Peter
Hammill, spero ti faccia piacere.”
Stanton sorrise: adorava quella donna.

62
Icona

Anno del Signore 1365, nella città di Potenza.

Padre Nicolas Eymerich faticò non poco a spostare da


solo la pesante lastra che il giorno prima aveva fatto ruotare sul
pavimento della chiesa con l’aiuto di Modesto. Il cammino si
era impresso molto bene nella mente di Eymerich. Ogni sasso,
ogni fenditura, ogni mattone. Tutto era lì dove lo ricordava.
La grotta era deserta. Niente streghe e stregoni. Niente
apparizioni sull’acqua. Da qualche parte, filtrava la luce del
sole. Visto così, poteva anche sembrare un luogo di pace.
Eymerich si avvicinò di più all’acqua, fece per chinarsi.
Un lampo accecante gli balenò davanti agli occhi. La donna in
nero apparve al centro del bagliore. Eymerich ne sentì la voce
insinuarsi nella sua testa, come nel sogno: La morte viene dall’ac-
qua…
L’Inquisitore barcollò per un istante, poi si riprese subito.
Non era nulla, si forzò di pensare. Solo strascichi dell’incubo
della notte precedente. Respirò a fondo.
Ancora quella frase, e quella donna. C’era qualcosa di
indefinibile in lei. Perché si manifestava sempre in quel modo?
Non era la prima volta che assisteva a prodigi del genere:
c’era stato quel culto pagano dedicato alla dea Diana, tredici

63
anni prima. Donne che, riunite presso un lago, evocavano
l’immagine di una dea pagana. Allora aveva sradicato quella
blasfemia facendo sì che le donne potessero vedere ciò che
realmente adoravano: Satana. In una qualche misura timorate
del Signore, molte di loro avevano infine capito il loro errore e
se ne erano pentite. Non poteva però sperare lo stesso da parte
di stregoni e fattucchiere, in quelle circostanze. La cura doveva
necessariamente confondersi con la punizione.
Un getto d’acqua alimentava il lago, cadendo incessante
dall’alto della grotta. L’acqua sembrava poi seguire un suo per-
corso sotterraneo, e sparire nelle profondità della terra. Doveva
essere in quel modo che l’acqua malefica infettava il suolo di
quelle terre. L’Inquisitore rabbrividì. Forse l’aver visto la donna
in nero apparire era un segnale della contaminazione. Scacciò
il pensiero dalla mente.
Era lì per sconfiggere il Maligno, non per farsi spaventare
dalle sue macchinazioni.
L’aria insalubre di quel luogo lo stava nauseando. Sentiva
di dover uscire, ma non da dove era venuto: se della luce entra-
va da qualche parte, probabilmente c’era un’altra uscita. Eyme-
rich seguì la luminiscenza del sole per un lungo tratto e trovò
ciò che cercava.
L’imboccatura della grotta si apriva sul lato di una colli-
na, appena fuori dal centro abitato. Respirò soddisfatto l’aria
fresca della mattina, e lasciò che il sole scacciasse i soffocanti
vapori della visione dalla sua mente. Poi si mise in cammino.

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Non gli ci volle molto a rintracciare il corso d’acqua che
scorreva sottoterra: era un piccolo torrente addossato a un ver-
sante sassoso, che pochi uomini armati di pale avrebbero po-
tuto far franare con facilità per bloccare il flusso d’acqua. Una
volta che il lago fosse stato asciugato, forse la visione – che pa-
reva così legata all’acqua – non si sarebbe più manifestata. E
anche se così non fosse stato, il peso dei detriti avrebbe fatto
franare il soffitto della grotta, trasformando quel luogo in una
tomba per gli eretici e il loro culto.
Eymerich fece una smorfia simile a un sorriso, mentre
tornava al monastero. Era un buon piano. Ora si trattava solo
di posizionare le pedine nel modo più corretto per portarlo a
termine, ma doveva restare vigile. Un solo sbaglio e avrebbe
attirato su di sé molta più attenzione di quanta ne desiderasse.
Quella del giovane e imprudente francescano che lo ave-
va seguito fino alla grotta, credendosi inosservato, era già oltre i
limiti della tollerabilità.

Anno del Signore 1365, Napoli, Maschio Angioino.

Giovanna I d’Angiò ascoltò il messo, di ritorno dal con-


vento dei francescani, senza dire una parola. Lo congedò con
un semplice gesto della mano. Era ormai tarda sera e di lì a
poco sarebbe giunto in Napoli anche il messo inviato al Giusti-
ziere di Basilicata.

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La Regina mise da parte le altre incombenze e cominciò
a scrivere una missiva da recapitare al pontefice. Le accadeva
ormai troppo di frequente, pensò, di spendere le proprie ener-
gie seguendo vicende del tutto estranee al governo di Napoli.

Anno del Signore 1365, Avignone, Santa Sede.

Urbano V non attese oltre che il cardinale segretario si


decidesse a parlare. “Allora, quali notizie da Potenza?”
“Il messo inviato da Napoli ha incontrato frate Severo da
Benevento e le notizie non sono incoraggianti; padre Eymerich
si muove con prudenza. Il messo ha però riferito a Severo il vo-
stro desiderio, Santità.”
“Bene! Attenderemo e vedremo se le ambizioni di un gio-
vane francescano riusciranno a liberarci da questo peso sullo
stomaco.”
“Conosco bene quel tipo di persona, Santità, e il vostro
incarico di trovare delle ombre nell’agire di Nicolas Eymerich
sarà per Severo più un ristoro per la propria sete di potere, che
un peso sulla coscienza!”

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Novembre 2054, Scanzano Ionico, Repubblica di Lucania, Federazio-
ne degli stati d’Europa. Vigilia dell’Inaugurazione.

Dentro l’impianto gli operai e i tecnici si muovevano co-


me formiche impazzite. Erano le otto, solo quattro ore li sepa-
ravano dall’inaugurazione ufficiale, e c’era ancora molto da
fare. I primi test, la settimana precedente, erano andati piutto-
sto bene, ma quella notte sarebbe stato diverso. Avrebbero
trattato una quantità di scorie pari a un anno di produzione di
energia da parte di una centrale di medie dimensioni: un erro-
re, anche piccolo, e non si sarebbe mai più sentito parlare della
Lucania.
Gli occhi del mondo erano puntati sul corpo scintillante e
luminoso dell’impianto di smaltimento. C’era da esserne fieri,
aveva sentenziato il manager della AA G.m.b.H. quando era
passato a salutare tecnici e operai, qualche ora prima.
Wurtz era molto poco fiero, al contrario, e piuttosto in-
quieto. Certo, che poteva saperne lui? Era solo un tecnico non
specializzato. Aveva lavorato a parti secondarie dell’impianto,
niente che avesse a che vedere con il pezzo grosso, il Pozzo. Il
Pozzo era il cuore dell’impianto: sprofondava per decine di
metri nel cuore della terra, attraverso gli strati di terreno argil-
loso. Al suo interno, le scorie venivano bombardate di psitroni e
poi svanivano nel nulla. Era questo che inquietava Wurtz.
Si era reso conto durante i test che qualcosa non andava.
Quella macchina non aveva alcun tipo di scarico, non produce-
va nessun prodotto di scarto. Le scorie non venivano trattate:

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sparivano. Aveva studiato attentamente i progetti e ne era sicu-
ro: non c’era abbastanza spazio nel pozzo per immagazzinare
rifiuti. Il pozzo era soltanto un condotto.
Wurtz era un fisico. Sapeva benissimo che nulla si crea e
nulla si distrugge. Da qualche parte, quelle scorie dovevano
finire. Ma dove?

Anno del Signore 1365, nella città di Potenza.

Severo guardò nuovamente la lettera e il sigillo. Tutto


autentico. Le gambe gli tremavano. Con Eymerich non aveva
interpretato la parte del ragazzo spaventato da cose più grandi
di lui: lo era davvero. Ma l’ordine impartitogli nella missiva era
chiaro: lui, giovane francescano, avrebbe dovuto causare la
caduta del magister Nicolas Eymerich, Inquisitore del Regno di
Aragona.
Aveva passato la mattina seguendo Eymerich, nel suo
cammino sotterraneo. Lo aveva visto barcollare sulla riva del
lago. Quando era uscito dalla grotta, si era avvicinato anche lui
all’acqua. Non aveva provato nulla di particolare, solo un vago
senso di inquietudine. Era tornato al convento facendo il cam-
mino a ritroso, immerso nei pensieri. Solo ora, mentre osserva-
va dalla finestra della sua cella Eymerich rientrare, un’idea ini-
ziava a insinuarsi nella sua mente. Lo avrebbe fatto accusare di
commercio con il Demonio. Secondo quello che gli aveva rife-

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rito quella mattina, l’Inquisitore aveva assistito a un oscuro
rituale sotterraneo, e ora era tornato nello stesso luogo. Atti
sufficienti ad attirare l’interesse dei messi papali.
Forse sarebbe bastato denunciare l’attività inquisitoria di
Eymerich sul territorio angioino per farlo catturare, ma l’idea
di vedere un tale arrogante inquisitore seppellito dall’infamia
era troppo eccitante per lasciarla perdere. Sorrise. Nascose la
lettera dentro una borsa e uscì dalla cella. Era certo che sareb-
be riuscito a ottenere qualche informazione utile da Modesto.

Novembre 2054, Scanzano Ionico, Repubblica di Lucania, Federazio-


ne degli stati d’Europa. Il giorno dell’Inaugurazione.

Pochi minuti dopo le otto e trenta, Peter Stanton entrò


nell’impianto. Le guardie all’ingresso non trovarono nulla da
ridire sul pass.
Il respiro della macchina che riposava sostituì gli ultimi
echi del sit-in ecologista che si era radunato fuori dall’impianto.
Peter si sentì di colpo minuscolo.
La AA G.m.b.H. aveva costruito qualcosa di spaventoso,
di tremendo. Una mostruosità tecnologica di lucido acciaio e
luci abbaglianti, rigurgitante tubi e condutture, attorcigliati at-
torno a un cilindro dal diametro di almeno sei metri, conficcato
nel suolo. Era di lì che sarebbero passate le scorie.
Cercò di non mostrarsi stupito da quello che vedeva, non
doveva sembrare che fosse lì per la prima volta. Il suo scopo era

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di confondersi tra gli altri addetti, cercando di non attirare
l’attenzione.
Il suo piano: aprire l’impianto per un istante. Far fuoriu-
scire una quantità minima di psitroni, di modo che attraversas-
sero le menti dei presenti all’inaugurazione mentre Karima
avrebbe spiegato che l’impianto era pericoloso, e che c’era un
rischio di avvelenamento delle falde acquifere.
Una volta fatto questo, loro non avrebbero potuto fare
più niente. Forse Karima avrebbe pregato, lui incrociato le dita,
al massimo.
Dovevano sperare che il messaggio arrivasse là dove sta-
bilito. Che qualcuno ne capisse il senso e agisse di conseguenza,
togliendo l’acqua che fungeva da connettore tra le due epoche.
Ammesso, e non concesso, che la sua teoria fosse corretta.
Fanculo il dubbio scientifico, pensò Stanton; se rinasco
faccio anch’io il prete, e tanti saluti al relativismo.
Come se avesse avuto il tempo per scherzare.

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Nuovo Ordine

Anno del Signore 1365, strada sterrata nei pressi della città di Potenza.

La bava densa e schiumosa si era raggrumata ai lati del


morso, nel punto in cui le briglie si agganciavano al metallo.
Il giovane francescano era stato categorico: la missiva
doveva essere recapitata nel minor tempo possibile.
Conosceva il tragitto a memoria per averlo percorso, ne-
gli ultimi tempi, innumerevoli volte.
Napoli era la destinazione finale.
Le ore notturne avrebbero regalato il meritato riposo a
cavallo e cavaliere ma ORA, bisognava correre…

Anno del Signore 1365, nella città di Potenza.

La mattina non era ancora tarda, quando padre Nicolas


giunse al monastero. Il suo passo era lento e controllato, a ogni
occasione volgeva indifferente lo sguardo alle spalle per con-
trollare padre Severo; gli aveva permesso di seguirlo per tutta la
mattina ma ora era necessario liberarsene. Doveva parlare con
padre Fernando e gli argomenti della discussione non erano
certo adatti a orecchie ostili come quelle di Severo. Il frate
guardiano, nonostante l’ora non propizia, bighellonava per le

71
cucine del refettorio, quando finalmente Nicolas Eymerich
riuscì a scovarlo. “Padre! Che fate qui?”
Fernando ebbe un sussulto, cercò di ingoiare in fretta,
senza averlo ancora masticato a dovere, un boccone di propor-
zioni non trascurabili.
“Padre Eymerch?! Mi assicuravo che tutto, ehm… che
tutto fosse in ordine, ecco...”
“Devo parlarvi, è una faccenda urgente.”
“Dite pure, padre.”
“Non qui,” disse Eymerich, volgendosi verso una delle
porte che davano sul chiostro.
“Seguitemi. Vi parlerò di una certa femmina,” aggiunse
gelido. Fernando abbassò il capo e seguì docile l’Inquisitore.

Novembre 2054, Scanzano Ionico, Repubblica di Lucania, Federazio-


ne degli stati d’Europa.

“Comunicate al governatore che interverrò all’inaugura-


zione.” La voce dell’Imam appariva pacata, ma il tono era sec-
co e lo sguardo inflessibile. “Nonostante avessi in precedenza
declinato l’invito.”
Aveva deciso di non aggiungere altro per il momento, le
linee dei vertici organizzativi erano già abbastanza intasate da-
gli olomessaggi provenienti da tutti gli angoli della Federazione
e dai vari presidi extra-federali. Inoltre, il governatore non sa-
rebbe di certo riuscito a raccogliere molte informazioni ag-

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giuntive, impegnato com’era a mantenere un sorriso irrepren-
sibile di fronte al mondo, mentre si lisciava compulsivo la fascia
argento e azzurra. Si trattava senza dubbio della cerimonia in
diretta più lunga e pomposa della storia della Repubblica;
quella che avrebbe potuto portare a lui e alle varie personalità
politiche e industriali i più alti riconoscimenti, o la più deva-
stante sconfitta.
“Grazie per il passaggio, cari.” La guida spirituale rivolse
un sorriso allo schermo che avvolgeva tutto il veicolo e con un
lieve balzo toccò terra. “Dirigete pure la telenavetta verso casa,
io credo che tornerò con altri mezzi.”
Si trovava già all’interno dell’area di sicurezza, un brivido
di raccapriccio le percorse la schiena quando vide l’impianto. Il
datacom aveva potuto svelarle gran parte dei dettagli strutturali
di quel mostro, ma non era riuscito a trasmetterle nemmeno
un’eco delle orrende vibrazioni che provenivano dal suo cuore.
Si fermò per un istante, fingendo di sistemarsi la lunga veste di
cotone grezzo e la stoffa colorata che le cingeva i fianchi, per
poi salire sinuosa ad avvolgerle collo e spalle. Aveva deciso di
indossare l’abito tradizionale somalo, non solo perché era sua
abitudine in tutte le grandi occasioni, ma anche perché le con-
sentiva di celare più agevolmente il microtrasmettitore che la
teneva in contatto con Peter Stanton: “Approdata.”
Prese quindi ad avviarsi, con passo lento e cadenzato, ver-
so i due funzionari che la stavano attendendo con un sorriso

73
asettico dall’altra parte della pista, gli stessi che l’avrebbero
scortata fino al palco delle autorità.

Anno del Signore 1365, nella città di Potenza. Convento dei Frati Francescani.

Severo stava camminando con circospezione lungo l’an-


gusto corridoio che conduceva alla cella di Modesto, quando
un fruscio lievissimo percorse la penombra dietro di lui. Da
ragazzino agile e nevrile qual era, riuscì a percorrere alcuni
metri a ritroso e a svoltare l’angolo così rapido da intravedere
l’ombra di Modesto, che si insinuava furtiva nella stanza di Mi-
chele. D’impulso, decise di acquattarsi contro il muro e di ori-
gliare la loro conversazione. Era convinto che avrebbe raccolto
molte più informazioni così, piuttosto che interrogando diret-
tamente i confratelli. Ormai sapeva che in sua presenza i due
finivano sempre per eludere certi argomenti, limitandosi a di-
scorrere di mansioni e occupazioni di normale amministrazio-
ne al convento.
“Michele, lo so che non hai mai voluto avvicinarti al la-
go.” Il frate di Altamura fissava stupito Modesto, che a dispetto
di tutti i codici francescani, si era intrufolato nella sua stanza
senza nemmeno annunciarsi all’uscio. “Il passato è passato,
come dici sempre.”
Michele capì dallo sguardo scosso del compagno che
qualcosa di grave doveva essergli accaduto. Eppure non c’era

74
terrore nei suoi occhi, ma una vena di eccitazione e rapimento
estatico. “Il Maligno è tra noi, Michele. Ricorda le profezie del
Maestro.”
Michele lo fulminò con lo sguardo: da quando erano en-
trati a far parte di quel convento, nominare certe parole era
divieto assoluto. Ma Modesto continuò imperterrito: “E i miei
incontri giù al lago, la Madonna bruna sempre più ossessiva e
insistente, e tutti gli adepti. Loro, loro erano con me e me
l’hanno sospirato: Modesto ritorna con il Malvagio, perché a
noi e alle nostre parole va consegnato.” Il frate melfitano rac-
contò quindi, in maggior dettaglio, di come l’Inquisitore l’aves-
se costretto a condurlo giù al lago, e di come in quei luoghi egli
paresse già atteso. “Fratello, tutto è stato predisposto, ciò che è
scritto sta per compiersi. Piani che sfuggono al nostro discerni-
mento, ma che porteranno la divina giustizia a trionfare. Perché
il male venga estirpato, perché quelle parole smettano di risuo-
nare, la morte viene dall’acqua, è necessario che lo spirito di molti
sia presente, giù al lago. Il messaggio si sta diffondendo in tutti i
vicoli, gli antri e le vallate qui attorno. E tu, Michele, non po-
trai sottrarti al grande disegno, tu che più di tutti ti sei tenuto a
distanza da Eymerich e dalle sue sferzate inquisitorie. Quando
il raduno avrà luogo, dovrai aiutarci ad affrontare quel sinistro
domenicano. La sua presenza è necessaria, ma dobbiamo fare
in modo che con il suo operato non avveleni il nostro supremo
rito.”

75
Severo, immobile come un sasso fino a quel momento,
ebbe un sussulto di gioia e guizzò via. Doveva affrettarsi, aveva
molte cose da raccontare al Giustiziere e ben poco tempo per
preparare il piano d’attacco, insieme ai suoi uomini.

Novembre 2054, Scanzano Ionico, Repubblica di Lucania, Federazio-


ne degli stati d’Europa. Impianto di smaltimento della AA G.m.b.H.

Mordechai Wurtz completò l’ennesimo controllo delle


apparecchiature, segnò dati e orari nella sua cartella. Già co-
minciava a pregustare il piacere della pausa, dopo le prime
quattro ore di lavoro, quando vide il dottor Peter Stanton, che
procedeva spedito nella sua direzione.
“Peter! Che cazzo ci fai tu qui?”
“Ho bisogno del tuo aiuto, Mordechai.”

Anno del Signore 1365, Napoli, Maschio Angioino.

Ancora una volta Giovanna I d’Angiò si ritrovò ad ascol-


tare un messo che portava nuove sui fatti di Potenza. Ancora
una volta, si mise allo scrittoio e cominciò una missiva indiriz-
zata a Urbano V.
Anno del Signore 1365, Avignone, Santa Sede.

Il cardinal segretario entrò concitato nello studio in cui


Urbano V era occupato da faccende amministrative.

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“Il vostro piano ha funzionato, Santità.”
“Di che state parlando, cardinale?”
“Il giovane francescano ha le prove di traffici illeciti tra il
frate guardiano e Nicolas Eymerich.”
Un sorriso si stampò sul viso del Santo Padre.
“Traffici di che natura?”
“Commercio carnale, Santità! Pare che i due abbiano a
che fare con una donna disposta a vendere il suo corpo in cam-
bio di favori o denaro.”
Urbano V sapeva quanto fosse improbabile che Nicolas
Eymerich si fosse macchiato di quel tipo di sozzo commercio,
soprattutto in maniera così sciocca, ma quello che contava era
che la parola di Severo da Benevento potesse mettere in dubbio
la sua credibilità.

Anno del Signore 1365, Potenza. Palazzo del Giustiziere.

In piedi al centro della sala, la spada che gli pendeva al


fianco, il Giustiziere di Basilicata guardava Severo con
un’espressione indecifrabile. Possibile che l’uomo con cui dove-
va concordare le sue azioni, segnalato dalla Regina come emis-
sario del Papa, fosse quel frate gracile e quasi adolescente? Ep-
pure gli parlava con sicurezza e autorità, e quello che gli aveva
mostrato era proprio il sigillo di Urbano V.
“Le vostre parole sono molto gravi, fratello Severo.”

77
“I fatti sono gravissimi, signore, e dovrebbero convincervi
più delle mie parole.”
“L’Inquisitore di Aragona... La Regina mi aveva infor-
mato della sua presenza, ma voi ora vorreste che lo imprigio-
nassi addirittura per eresia!”
“Lui, frate Modesto e tutti coloro che partecipano alle
orge del Maligno.”
“Il Maligno, certo.” Il massiccio uomo d’armi sogguardò
il frate. “Ma cosa succederebbe se non riusciste a provare la sua
colpevolezza? Io rimarrei colui che ha emesso l’ordine di arre-
sto. Il rischio è molto alto.”
Il Giustiziere era un uomo pratico, e Severo capì che do-
veva cambiare registro: “C’è solo un modo, signore: se li coglie-
remo sul fatto, nessuno potrà dirci nulla.”
“Sta bene, frate. Cercate dunque di scoprire quando sarà
la prossima di queste orge.”
“E voi allertate i vostri uomini. Non avremo una seconda
possibilità, dovranno essere pronti a tutto.” Si fermò un attimo.
“Sapete, padre Nicolas è un uomo molto energico. Potrebbe
tentare di sottrarsi alla cattura.”

78
Anno del Signore 1365, nella città di Potenza, Convento dei frati francescani.

Nicolas Eymerich misurava a grandi passi il pavimento


del chiostro. Doveva assicurarsi la piena collaborazione di Fer-
nando, e nello stesso tempo tenerlo sotto stretto controllo. Non
si fidava di quel frate debole e corruttibile, ma stavolta aveva
bisogno di un suo aiuto attivo, e non poteva eccedere con le
minacce. Cominciò a parlargli con tono calmo ma risoluto:
“Siamo finalmente arrivati alla resa dei conti con Satana e i
suoi servi. Domattina mi servono una ventina di uomini robu-
sti, che conoscano bene la zona.”
”Ma, padre...”
“E utensili da scavo per ciascuno di loro. E bestie per
trasportare uomini e attrezzature. Partiremo all’alba.”
“All’alba? Ma in così poco tempo non sarà possibile repe-
rire tutte queste persone.”
“Nel caso non l’abbiate capito, bisogna agire in fretta, e
quello che vi sto dando è un ordine.”
“Sarà fatto, padre” balbettò il frate, abbassando lo sguar-
do, “e, posso sapere...”
“Vi spiegherò tutto domani, strada facendo. Adesso il
tempo è prezioso.”
“Ma... devo partire anch’io? Chi controllerà il convento?”
“Voglio essere chiaro, Fernando.” Eymerich, senza altera-
re la voce, fissò lo sguardo nelle pupille del frate guardiano.
“Ho incontrato ieri una giovane donna, che dice di conoscervi

79
molto bene. Molto più di quanto non sia consentito a una don-
na conoscere un ministro della Fede.”
Fernando spalancò bocca e occhi, senza riuscire a dire
una parola.
“Ovviamente non ho prestato fede alle sue menzogne.
Ma altre orecchie le sentiranno, e di certo si troverà chi vorrà
ritenerle vere. E voi non siete in condizioni di sostenere una
simile accusa, dico bene?”
Eymerich sogghignò, al vedere il viso terreo del frate.
“Certo, se verrete con me, a salvare la città dal Maligno, la vo-
stra situazione potrebbe cambiare.”
“Grazie, padre. Farò tutto quello che mi avete chiesto,”
riuscì a farfugliare Fernando, ormai quasi senza una volontà
propria.
“Bene. Potete andare.”
L’incontro si era risolto nel migliore dei modi. Rimasto
solo, Nicolas Eymerich poteva già progettare la prossima mos-
sa.

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Menti Semplici

Anno del Signore 1365, nella città di Potenza.

Albeggiava appena nelle campagne attorno al monastero.


La pioggia batteva così forte da impedire quasi la vista, e il
rombo dei tuoni pareva giungere dal cuore della terra invece
che dal cielo. Un folto gruppo di uomini si dirigeva compatto,
con gli arnesi da lavoro in spalla, verso una piccola ansa dove il
fiume, prima di tuffarsi sottoterra, veniva quasi coperto da una
formazione rocciosa; le acque si insinuavano all’ombra del co-
stone e poi venivano inghiottite dal suolo.
Nicolas Eymerich aveva guidato il gruppo fino al punto in
cui l’ansa del fiume diventava visibile. Quindi, con poche dure
parole aveva indicato a Fernando il da farsi, non mancando di
minacciare la punizione per un eventuale fallimento o ritardo.
Il lavoro doveva essere fatto entro Compieta, ordinò, prima di
andarsene nella pioggia con passo deciso.
Il frate guardiano si fermò a pochi metri dalla sponda,
resa scivolosa dall’acqua. “Dovete salire sopra il costone e farlo
franare,” disse ai braccianti che lo avevano seguito sotto la
pioggia sferzante. Gli uomini, in piedi dall’alba senza saperne
ancora il perché, parvero non comprendere il significato di
quello strano ordine.

81
“Ma... crollerà tutto!” si lamentò uno, interpretando il
sentimento dei suoi compagni.
“Non discutete e fate come vi dico. Iniziate a lavorare.
Per questa notte tutto deve essere compiuto.” Come avrebbe
potuto padre Fernando spiegare qualcosa che non aveva com-
preso neppure lui? Bestemmiando a denti stretti per il freddo e
la pioggia, gli uomini si misero al lavoro. Fernando restò a
guardare, in una nicchia rocciosa, tremando di freddo e paura.
Masticava di nascosto una pagnotta ancora calda di forno.

Novembre 2054, Scanzano Ionico, Repubblica di Lucania, Federazio-


ne degli stati d’Europa. Inaugurazione dell’Impianto di smaltimen-
to della AA G.m.b.H.

Al centro della grande tensostruttura, un piccolo gruppo


di eleganti signore, intente a sorseggiare costoso e raro cham-
pagne GMO-free, ammirava l’abito argento e oro di Sua Emi-
nenza cardinal Luchini, intento a discutere con un’altra perso-
nalità religiosa: l’Imam di Matera.
“Credo davvero che lei stia esagerando,” disse il prelato.
Nonostante i due rappresentassero i vertici locali delle
religioni con maggior numero di fedeli nella Repubblica di Lu-
cania, l’argomento della loro discussione poco aveva a che fare
con il divino.
“Questo impianto, cara signora, darà lavoro a centinaia
di persone, e porterà ricchezza. La vostra religione non vede di

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buon occhio il progresso scientifico, lo so bene. Fosse per voi,
vivremmo tutti nelle caverne, come i vostri santoni in New
Texas, vero?”
Karima contò fino a dieci. Non poteva dire lì quello che
pensava del New Texas e delle sue leggi. Si calmò al pensiero di
dover resistere in quella situazione ancora per poco, fino al
messaggio di Peter. Aveva pensato che insinuare il dubbio in un
discreto numero di menti, chiacchierando, fosse una buona
idea, ma si era scontrata subito con il cardinal Luchini – uno
dei più retrogradi cristiani che avesse mai conosciuto in vita
sua. Il religioso da anni combatteva un’anacronistica guerra
privata contro l’Islam in generale, e contro di lei nello specifico.
“La pensi come vuole, Eminenza,” disse, “solo, rifletta
sulle mie parole. Questa mostruosità non è progresso, non è
vita per le nostre terre. Porterà invece la morte.” Non rimase ad
attendere la risposta di Luchini. Si fece largo tra le signore in-
gioiellate e sparì verso il buffet.

Anno del Signore 1365, Potenza. Palazzo del Giustiziere.

Nella sala deserta, il Giustiziere di Basilicata sedeva pen-


sieroso sullo scranno dal quale ogni giorno decideva sulle colpe
o sui meriti degli individui. Ma stavolta ciò che lo tormentava
non riguardava fatti e persone comuni. La prospettiva di far
trascinare davanti a sé in catene l’Inquisitore Nicolas Eymerich

83
non era cosa da prendere alla leggera; lui e le persone che lo
proteggevano erano pericolose come serpi. Sospirò e scosse la
testa, rileggendo per l’ennesima volta la missiva pontificia. Era
tutto inutile. Il volere di Urbano V era inequivocabile. Il dome-
nicano doveva cadere, in un modo o nell’altro.
Il suono dei passi nel corridoio lo distolse dai suoi pensie-
ri. Come alzò lo sguardo, vide avvicinarsi la sagoma massiccia e
inconfondibile del capitano della guardia.
“Mi avete fatto chiamare, signore?”
“Sì, Giovanni, entra pure. Ho delle istruzioni da darti.”

Anno del Signore 1365, Convento dei Frati Francescani, Potenza.

Eymerich aveva fatto appena in tempo a rientrare nella


sua cella e a liberarsi del mantello grondante di pioggia, quan-
do Modesto bussò alla sua porta. Eymerich aprì e rimase sulla
soglia, fissandolo seccato:
“Ah, siete voi, Modesto.”
“P-perdonate il disturbo...” balbettò il francescano.
“Che volete? Convincermi della bontà vostra e dei vostri
compari? Perdete tempo. Ho già visto abbastanza. Domani
stesso ripartirò per la mia sede, e informerò chi di dovere. Mi
spiace solo che non potrò vedervi ardere come meritate.”
Eymerich fece per chiudere la porta.

84
“No, padre, vi prego… ascoltatemi,” lo implorò Modesto,
afferrandolo per la veste.
“Come osate toccarmi!” Modesto ritirò le mani terroriz-
zato, poi continuò a parlare: “Capisco la vostra diffidenza, ma
vi prego, non giudicate in modo frettoloso. Quello che è acca-
duto l’altra notte può avervi lasciato sgomento, ma è normale,
la prima volta. Vi prego, tornate stanotte, sapendo che cosa
aspettarvi. Tornate e vi renderete conto di dove sia il Male da
sconfiggere. Poi, potrete fare ciò che volete.”
Eymerich rimase in silenzio, guardando a terra. Il suo
piano procedeva a gonfie vele.
“E sia,” disse infine, “sappiate comunque che manderò
oggi stesso una missiva al Santo Padre, con alcune mie osserva-
zioni sui fatti di queste demoniache terre. Se dovesse accadermi
qualcosa, voi e i vostri compari sarete ritenuti colpevoli.”
Modesto si inginocchiò davanti a Eymerich. “Sapevo che
avreste capito, padre. Grazie. Passerò a chiamarvi questa not-
te.”

Novembre 2054, Scanzano Ionico, Repubblica di Lucania, Federazio-


ne degli stati d’Europa. Impianto di smaltimento della AA G.m.b.H.

“Peter, perché me l’hai detto solo adesso?”


Mentre spiegava a Mordechai Wurtz cosa aveva in mente,
Peter Stanton non poteva evitare di darsi dello stupido. Cono-
sceva Wurtz dai tempi dell’università, e negli anni, seppure di

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rado, si erano sempre tenuti in contatto. L’ultima volta che si
erano parlati, quasi un anno prima, l’amico gli aveva anche
raccontato del suo nuovo lavoro nel Sud Italia. Avrebbe dovuto
pensare a lui subito, dopo aver parlato con Karima. E invece
pareva rendersi conto soltanto adesso, guardandolo armeggiare
con la consolle dei comandi del reattore.
“È una storia lunga… So che sei molto in gamba, Mor-
dechai… Puoi aiutarmi?”
“Mein Gott, Peter, è pazzesco... Avevo capito che c’era
qualche distorsione nel bilanciamento energetico dell’impianto,
ma questo… è peggio di quanto potessi immaginare. Come
hanno potuto arrivare a tanto?”
“Bisogna riuscire a fermarli…”
“Sehr Gut.” Gli occhi di Mordechai brillavano di entusia-
smo. “Finora mi hai solo spaventato, ma adesso… Mi sembra
di vivere in uno di quei romanzi d’avventura che leggevo da
ragazzo!”
“Magari lo fosse, almeno saremmo sicuri del lieto fine.
Ma la mia domanda è: puoi farlo?”
“Sì, Peter. Sono responsabile tecnico di uno dei reattori
psitronici. Potremo eseguire e controllare tutte le operazioni
direttamente dalla mia postazione.”
“Splendido!”
“Ma ci vorrà un po’ di tempo: tutti i parametri del flusso
psitronico vanno riconfigurati secondo le tue specifiche, e di
certo la modifica non passerà inosservata ai controlli automatici

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di sicurezza dell’impianto. Ci toccherà entrare anche nel siste-
ma centrale di gestione dei controlli, e ridefinire tutte le impo-
stazioni di tollerabilità. E se risulterà impossibile, dovremo di-
sattivare il controllo, o almeno il dispositivo di segnalazione.
Insomma, potrebbe essere un lavoro lungo. Quanto tempo ab-
biamo?”
“Poco: una ventina di minuti.”
“Stai scherzando?! Dobbiamo raggiungere subito la po-
stazione. Ti mostrerò il pannello di monitoraggio del raffred-
damento, così mentre io sarò impegnato nelle modifiche, tu
potrai tenerlo d’occhio. Come sai bene, alcuni componenti
devono essere portati a incandescenza per provocare il flusso.”
“Certo. Muoviamoci.”

Anno del Signore 1365, nella città di Potenza, Convento dei frati francescani.

La lettera al Papa era scritta: concisa, puntuale, permeata


di corrosiva lucidità. Prima di apporre il sigillo, l’Inquisitore si
era assicurato che tra le varie considerazioni spiccassero per
asprezza quelle indirizzate proprio a Urbano V. Non aveva
certo intenzione di consegnare ad alcun messo quella lettera:
l’avrebbe recapitata lui stesso al Vicario di Cristo.
Eymerich era immerso nei pensieri, mentre esaminava gli
affreschi del chiostro. Immaginava che Severo stesse vagando
per il convento, cercandolo con quella sua aria da ragazzino

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mansueto; dunque dove attenderlo se non lì, al riparo dalla
pioggia battente? Dopo pochi minuti, lo vide camminargli in-
contro. Giovane e prevedibile sciocco, pensò, mentre gli faceva
cenno di fermarsi. Per completare la farsa, Eymerich si avvicinò
al frate e gli parlò quasi sussurrando. “Frate Severo, non può
che essere la Divina Provvidenza a farci incontrare in un mo-
mento tanto propizio.” Severo annuì enfatico, compiaciuto in
segreto per la sua scaltrezza. “Sappiate che stanotte Modesto e
Michele intendono celebrare un rito molto significativo, nei
pressi del lago ipogeo. Io stesso sarò presente...” Lo sguardo
puntuto di Eymerich non faceva trapelare alcuna emozione o
sottinteso di sorta. “...E fareste bene a trovare il modo di parte-
cipare anche voi, se volete essere tenuto in maggior considera-
zione dai vostri confratelli.” Severo annuì in silenzio. Entrambi
si allontanarono soddisfatti.

Novembre 2054, Scanzano Ionico, Repubblica di Lucania, Federazio-


ne degli stati d’Europa. Inaugurazione dell’Impianto di smaltimen-
to della AA G.m.b.H.

Dopo il breve e acuminato scambio di battute con quel


megalite di arroganza e pregiudizio che era il cardinal Luchini,
l’Imam si sentiva alquanto alterata. Per fortuna, nulla trapelava
dai suoi gesti misurati e armoniosi, frutto di lunghi anni di fer-
rea disciplina interiore. Le molte battaglie affrontate le avevano
insegnato l’importanza di mantenere la concentrazione focaliz-

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zata solo sull’obiettivo. “Respira, prendi la mira, crea il vuoto e
quando è il momento scocca la tua freccia. Nient’altro che il
bersaglio deve starti a cuore,” si ripeté con l’abbozzo di un sor-
riso, mentre allungava il braccio per versarsi del succo di pre-
giato lampango.
Il rappresentante della AA G.m.b.H. le si avvicinò, an-
nunciato dall’aroma plasticato che lo avvolgeva e dalla sua risa-
tina sincopata.
“Quale onore illustrissima Signora! Siamo lusingati di
avere anche Lei tra i nostri pregiati ospiti in questa grande,
grandissima occasione.” Un’asciutta stretta di mano, permeata
di falso calore, andò a completare la recita.
La guida spirituale ribatté con un elegante attacco fron-
tale, moderato nei termini ma feroce nella sostanza. “Il piacere
è tutto mio. Sono davvero colpita dal vedere come la raffinatez-
za del progresso ci conduca per mano verso orizzonti sempre
più vasti, degni dei deserti più aridi e inospitali. Una cinquanti-
na d’anni fa intendevano seppellire le scorie radioattive a centi-
naia di metri di profondità, nelle stesse miniere da cui proviene
il prezioso elemento che sempre mi accompagna” la donna
estrasse dalle pieghe della veste un piccolo amuleto opalescente
in forma di mezzaluna “ci volevano far credere che in quel
modo la loro carica distruttiva sarebbe stata neutralizzata. Che
idea grossolana.”
Il risolino al vetriolo del rappresentante della AA
G.m.b.H. non si era fatto attendere. Polemiche e invettive non

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lo scalfivano affatto, aveva affrontato ben di peggio negli ultimi
anni che una meticcia religiosa in vena di moralismo. Lui era la
faccia dell’azienda. Sorridente, gentile, inattaccabile. Aveva giu-
stificato azioni anche peggiori dell’installazione di un impianto
di smaltimento di scorie radioattive basato su una tecnologia
sperimentale non del tutto chiara; e davanti a un pubblico infi-
nite volte più ampio. In caso di malfunzionamento, la Ailleurs -
Anderwohin avrebbe fatto causa al progettista e si sarebbe di-
chiarata parte civile. Ne sarebbero usciti puliti e, se possibile,
ancora più ricchi.
L’Imam lo incalzò, ormai sempre più proiettata verso il
discorso che avrebbe fatto sul palco, di lì a poco. “Oggi volete
addirittura convincerci di aver trovato la formula che farà
scomparire le scorie in modo definitivo, senza lasciare traccia
alcuna nell’intero Creato. Ma i miracoli non fanno parte della
scienza, e la vostra è blasfemia allo stato puro.”
Stava per aggiungere dell’altro, i pensieri le affioravano a
fiotti: falde acquifere contaminate, malformazioni nei neonati,
aumento dei casi di tumore, mutazioni incontrollate, povertà,
morte, malattia e desolazione, il suolo violentato, l’aria appe-
stata, l’acqua avvelenata… Ma in quel momento i suoi occhi
incrociarono quelli del governatore, che – data un’occhiata fur-
tiva al pneumorologio – le lanciava sguardi carichi di appren-
sione e fretta, pur mantenendo intatto lo smagliante sorriso che
tanta fama gli aveva dato. Si congedò rapida dal manager. “Vo-
glia scusarmi egregio, ma credo sia ora che mi avvicini al pal-

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co.” Lui cercò di trattenerla per un baciamano, ma la donna si
stava già avviando spedita verso la struttura argentata, circon-
data dagli occhi elettronici di decine di olocamere.

Anno del Signore 1365, Potenza. Palazzo del Giustiziere.

“Chiedo permesso, signore.”


“Ah, siete voi. Venite avanti.” Dallo scranno, il Giustiziere
fece cenno di entrare al frate che stava sulla porta. “Ebbene,
frate Severo?”
Il francescano, fradicio di pioggia per il gran temporale, si
avvicinò ansimando. Doveva essere arrivato di corsa, e la fretta
non è mai di buon auspicio.
“È per stanotte,” sussurrò, “dopo Compieta, nel luogo di
cui vi ho parlato.”
“Capisco. È prima di quanto pensassi, e non vorrei com-
mettere qualche imprudenza. Siete certo di quello che dite?”
“Più che certo. Lo stesso Eymerich mi ha confermato la
sua presenza. Quanti uomini potrete avere a disposizione?”
Quest’ultima singolare notizia non tranquillizzò affatto il
Giustiziere, che tuttavia rispose alla domanda senza tradire i
propri dubbi. “Venti uomini, comandati dal capitano della mia
guardia. In due ore saranno pronti.”

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Severo, sollevato, si lasciò sfuggire un sorriso. “Bene. Se
mi permettete, penso che sia giunto il momento di decidere i
dettagli.”

92
UltravoX

Anno del Signore 1365, nei pressi della città di Potenza.

Le operazioni di scavo procedevano. La sagoma infred-


dolita di Fernando tremava sotto la pioggia. Non vedeva l’ora
che tutto finisse. La tentazione di lasciare gli uomini da soli per
trovare riparo nel convento svanì al solo pensiero dello sguardo
di Eymerich. Osservò i lavori battendo i denti. Sul lato destro
del costone, una slavina di pietre e fango corse rapida verso
l’imboccatura attraverso cui il fiume si tuffava nella roccia. Per
riempire il lago sotterraneo di detriti e ostruire la falda acquife-
ra ci sarebbe voluto ancora molto tempo. Il frate guardiano
alzò lo sguardo al cielo e, scuotendo il capo, cercò invano un
sollievo. Le nubi ostruivano i raggi del sole, come volessero im-
pedire a Dio di illuminare tutto quel grigiore. Gli uomini pro-
seguivano con le schiene curve a spostare massi, a scavare e a
picconare. Visti dalla roccia sulla quale si trovava il francesca-
no, sembravano un’enorme lumaca ferrigna, dai movimenti
impercettibili.
Una voce scosse il monaco opulento, che si asciugò il viso
con un lembo della tunica per osservare l’ombra tra le colonne
d’acqua.

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L’Inquisitore, incurante, non lo degnò di una parola,
continuando a guardare gli uomini al lavoro.
Gli scavi andavano più lenti sul lato sinistro, dove la pie-
tra faceva da sponda. Lì si concentrarono picconate e invettive,
a lungo, finché una fenditura non cominciò a scuotere la roccia,
che prese a sbriciolarsi. D’un tratto alcuni uomini rovinarono a
terra e vennero ingoiati dalla frana, tra le urla e il panico. Altri
scivolarono ma riuscirono ad afferrare le mani dei compagni
rimasti.
Dalla falesia, Eymerich si sporse sul limite della china per
capire cosa stesse accadendo. Un lampo balenò nella mente di
Fernando: una piccola spinta e tutto sarebbe finito. Nessuno, in
quel momento di confusione, ci avrebbe fatto caso. Un inci-
dente: padre Nicolas era scivolato mentre cercava di portare a
compimento una sacra quanto segreta missione. Il frate guar-
diano si avvicinò di un passo, tese una mano verso la schiena di
Eymerich, ma fermò il gesto a mezz’aria. Fece due passi indie-
tro. Strinse i denti e sospirò in silenzio. E se non fosse morto
dopo la caduta? Se per qualche divina fatalità padre Nicolas
fosse sopravvissuto, che ne sarebbe stato di lui? Tremò come
una foglia al solo pensiero. Codardo fino in fondo.
Le parole dell’Inquisitore sovrastavano lo scroscio delle
acque. “Continuate a lavorare, questa è una battaglia contro il
Demonio, e chiunque doni la vita per una causa giusta si gua-
dagnerà il Regno dei Cieli. Continuate a scavare. Seppelliremo
il male insieme.”

94
Dentro di sé non credeva a una sola parola. Quegli uo-
mini erano una massa di peccatori destinati al fuoco infernale,
ma doveva riportare l’ordine tra loro prima che la situazione
degenerasse.
Si voltò di scatto, sicuro che sotto di lui gli scavatori aves-
sero ripreso a spaccarsi la schiena sotto le sferzate della pioggia.
Fernando fece un leggero balzo all’indietro, terrorizzato. Eyme-
rich non disse nulla e lo fissò per un istante negli occhi. Con un
leggero sorriso, passò oltre. “Scendiamo!”
L’uomo balbettò: “C-come scendiamo? Dove?”
“Gli uomini sono spaventati, la perdita di alcuni di loro
ha insinuato il dubbio nei loro cuori. Dobbiamo sostenerli con
la nostra presenza.”
L’Inquisitore si diresse sicuro verso il sentiero scivoloso,
che scendeva nei pressi dell’ansa. Fernando mosse le pupille sul
terreno, in ogni direzione, come se cercasse delle parole tra i
ciottoli. Non trovandole, seguì disperato Eymerich.
Tra le espressioni di sorpresa degli uomini, Eymerich,
inzaccherato e fradicio, sferrava colpi poderosi di piccone,
mentre Fernando con la vanga sudava e ansimava. Ogni sin-
golo uomo si mise a scavare incurante della stanchezza e del
pericolo, come se la vicinanza dell’Inquisitore avesse fatto spari-
re del tutto la paura.
Scavare, pensava, scavare fino a seppellire il lago sotto un
crollo della volta naturale. Scavare fino a sgretolare le fonda-

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menta su cui poggia il convento, travolgere tutti quei peccatori,
fornicatori, maghi, traditori. Estirpare il Male.

Novembre 2054, Scanzano Ionico, Inaugurazione dell’Impianto di


smaltimento della AA G.m.b.H.

Peter Stanton fremeva accanto all’amico ritrovato, im-


merso nelle delicate operazioni di modifica del flusso psitronico
sul pannello di controllo. Quali maledette circostanze avevano
determinato il loro nuovo incontro… Stavano giocandosi il
tutto per tutto, ed era l’unica cosa da fare. Wurtz non sembrava
rendersene conto, indaffarato a impartire comandi al sistema
centrale con il proprio datacom. Peter invece sentiva il battito
cardiaco devastargli il petto e compromettere la lucidità. L’a-
zione è ciò che serve in questi frangenti per non impazzire, ri-
fletté Stanton, e iniziò a scrutare lo schermo. Il sistema di raf-
freddamento… Avrebbero dovuto inibirlo in qualche modo,
per pochi secondi soltanto, durante il discorso di Karima.
Questione di istanti, ormai. Controllò gli schermi sopra le
loro teste: l’Imam si stava avvicinando al palco. Per un miracolo
era riuscita a preservarsi il diritto di parlare in pubblico. Nono-
stante fosse chiaro che si sarebbe trattato di un intervento criti-
co, l’avrebbero lasciata fare. Il mondo era cambiato, nel 2054,
ma non così tanto: una donna musulmana avrebbe solo rinfor-
zato la posizione delle autorità, dopo le sue invettive contro il
progresso. Nessuno avrebbe preso sul serio una sola sua parola.

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“Mordechai, ci siamo.”
Wurtz sembrava non aver sentito, barricato nel suo mon-
do di calcoli ed elaborazioni. Le sue labbra bisbigliavano pro-
babilità e impostazioni. Stanton attese, aggrappato alla sua po-
stazione, poi ripeté con maggiore volume e severità.
“Amico, Karima è sul palco. Lo capisci che dobbiamo
entrare in azione adesso, vero? Non abbiamo più tempo!”
Wurtz levò una mano dalla tastiera olografica e la mostrò
aperta verso il socio, sbattendogli il palmo in faccia, senza in-
terrompere alcuna operazione. Il segnale di attesa bastò per
qualche secondo ancora, poi Wurtz anticipò Stanton solo di
una frazione di secondo.
“Richtig. Dimmi quando vuoi che il flusso venga aperto.
Conosci il discorso di Karima?”
Stanton cadde dalle nuvole, sentì un orrendo freddo nel
petto, si guardò intorno e cercò di tranquillizzare l’amico con
una mano sulla spalla. Lui stesso non era tranquillo. Non aveva
idea di cosa Karima avrebbe detto di preciso. Ma il flusso an-
dava aperto durante la menzione di parole chiave come acqua,
vita e morte.
L’Imam osservò la sterminata platea, pensando a tutta la
gente che in quel momento si trovava davanti agli schermi. Un
leggero tremolio delle mani impedì che fosse la sua voce a rive-
lare lo stato di tensione.
“Oggi a Scanzano Ionico succede qualcosa che non avrei
mai voluto accadesse in alcuna parte del nostro mondo. Oggi si

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celebra la vittoria definitiva degli interessi economici e politici
sui diritti della gente. È un giorno triste, signori, un giorno che
potremmo evitare, se aprissimo gli occhi.”
Ti prego Peter, dimmi che sei pronto, vero che sei pronto?
“Oggi la vita subisce una sconfitta. La vita di noi tutti, la
sopravvivenza dell’umanità intera. La vita, sì…”
“Merda, ci siamo Mordechai, ci siamo!”
Wurtz digitò l’ultima password, una finestra si aprì sullo
schermo: [Are you sure?]
“La morte viene dalla vita. La morte viene dall’acqua.
L’acqua come fonte di esistenza, come essenza dello spirito che
prende forma e vive. L’acqua inquinata, impregnata di veleno,
che semina morte, orrore, disperazione. L’acqua impestata da
questa malefica invenzione.”
Un tremendo scossone spezzò il discorso dell’Imam, in un
silenzio irreale. Ogni cosa e ogni persona fu spostata di un me-
tro e più. Qualcosa accadde nel mezzo della festa d’inaugura-
zione. Un flusso venne aperto. L’inizio della fine.
L’Imam Karima non si spaventò, non interruppe il suo
discorso.
“La morte che avete sotto gli occhi viene dall’acqua av-
velenata. Prosciugate quell’acqua, interrompetene il flusso.
Adesso! Non aspettate, non fatevi ingannare.” Prese l’amuleto a
mezzaluna dalle pieghe del vestito scuro e lo brandì alto in cie-
lo. “In nome di Dio, del nostro Dio, del vostro, dell’unico Dio
di questa terra, che protegge il Creato e combatte il male. La

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morte viene dall’acqua. Prosciugatela, interrompetene il flusso.
Fatelo adesso, in nome di Dio.”

Anno del Signore 1365, nel ventre della città di Potenza.

Una fila di ombre dall’incedere silenzioso si inoltrava


nell’oscurità. Passò attraverso un accesso naturale alla grotta del
lago ipogeo, nascosto in un piccolo bosco a qualche miglio dalle
mura della città. Al convento, intanto, Severo si stava consu-
mando in attesa della Compieta quando fra’ Michele gli si av-
vicinò, sorreggendo Modesto che pareva fluttuare in un limbo
ovattato.
“Gli officianti stanno attraversando in questo momento i
cunicoli sotterranei, dobbiamo raggiungerli.”
Severo ebbe un sussulto. “Non dovremmo aspettare pa-
dre Nicolas, fratello?”
Michele corrugò la fronte. “Modesto potrebbe non resi-
stere a lungo, è allo stremo delle forze, come puoi vedere... Pa-
dre Eymerich ha detto a Modesto che verrà, e sono sicuro che
lo farà. È un uomo integerrimo e manterrà la promessa. Ora
avviamoci. Non ci resta molto tempo.”
Il giovane frate indugiò qualche secondo, il pensiero di
trovarsi con quei due invasati e una manica di eretici, da solo
nel cuore della roccia, lo paralizzava come un veleno, ma l’an-
tidoto dell’ambizione gli fece muovere le gambe d’istinto. Il

99
pensiero della cattura di Eymerich, dei riconoscimenti che ne
avrebbe ricavato.
Le tre figure sparirono, ingoiate dal pavimento del con-
vento.
Lo scroscio dell’acqua copriva ogni cosa, i visi erano ma-
schere di fango su cui guizzavano gli occhi. La pioggia non
dava cenno di smettere. Fernando, appoggiato a una roccia,
non aveva più fiato. Un suono ovattato e cupo giunse alle orec-
chie di Eymerich, che si fermò voltando la testa in direzione
della città. Sollevò una mano e gli uomini, uno dopo l’altro,
come se avessero ricevuto un ordine perentorio, smisero di la-
vorare. Divennero statue immerse nel nulla. Il frate guardiano
stava per aprire bocca, l’Inquisitore sollevò l’indice, lasciandolo
con le labbra mute.
Un ragazzo, poco più che un bambino, ruppe il silenzio:
“Le campane, è Compieta...”
Eymerich diede il piccone a un uomo alla sua destra e
con voce ferma urlò: “Tornate a casa. Abbiamo finito.”
Fernando lo guardò sbigottito mentre gli uomini, dopo un
attimo di indecisione, si incamminarono grigi sotto lo stillicidio.
Un paio di sassi rotolarono vicino all’imboccatura, ancora
pochi colpi e sarebbe crollata, poi il martellare della pioggia
incessante avrebbe portato a termine il lavoro. L’Inquisitore
infilò le mani nelle maniche e si avviò con passo sicuro verso il
convento.

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Novembre 2054, Scanzano Ionico, Inaugurazione dell’Impianto di
smaltimento della AA G.m.b.H.

Nonostante l’imprevisto, il manager della Ailleurs - An-


derwohin Gesellschaft mit beschränkter Haftung non si scom-
pose. Una volta allontanata l’Imam, avanzò con determinazio-
ne verso il palco, afferrò la piccola ascia da cerimonia, spinse il
governatore di Lucania di lato e con un fendente secco ruppe il
cavo metallico a cui era collegato il meccanismo di attivazione,
secondo un antico rituale di varo navale. L’impianto di smalti-
mento dei rifiuti radioattivi andava subito messo in funzione.
Persino alcuni funzionari dello staff tecnico, forse spaventati
dalle dure parole di Karima, cominciavano a ventilare qualche
dubbio, proponendo di posticipare. Ma per il lussemburghese
l’inaugurazione doveva avere luogo in ogni caso, con tutto
quello che gli sponsor avevano scucito per gli spazi pubblicitari.
La cupola del mostruoso macchinario si aprì all’improvvi-
so, un ologramma con lo stemma argento e azzurro con la
mezzaluna di Lucania si materializzò secondo copione, i denti
smaltati del businessman risplendettero in un sorriso di vittoria.
Ma l’immagine cominciò a desintonizzarsi e le labbra dell’uo-
mo si serrarono di colpo. Qualcosa non funzionava, alcune sca-
riche d’energia cominciarono a circondare la base del macchi-
nario, per poi propagarsi come saette. D’un colpo la sommità
prese fuoco, vomitando turbini di fiamme e pezzi di lamiera
incandescente.

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L’intero impianto cominciò a distruggersi. Forse l’apertu-
ra del flusso psitronico e il messaggio di Karima avevano avuto
effetto. Forse l’acqua era stata davvero prosciugata nell’altra
epoca, pensò Peter Stanton, mentre osservava sullo schermo le
scene della disfatta.
Attimi di panico strinsero in una morsa tutti i presenti, in
fuga verso ogni direzione, chi scavalcando cancelli, chi corren-
do e gridando, calpestando i più deboli. La tribuna delle auto-
rità divenne la gabbia delle bestie feroci, con alti funzionari e
politici pronti a eliminarsi a vicenda, pur di fuggire per primi.
Le olocamere riprendevano ogni istante dello spaventoso scena-
rio, con gusto morboso per i particolari più raccapriccianti.
Il cardinale si fece largo con forza, passando sopra a chi
lo circondava. Il governatore di Basilicata, ferito alla testa, fu
circondato da due uomini in nero che, sollevandolo di peso, lo
trascinarono all’esterno verso il flyer che attendeva fuori.
Karima fu protetta dalle sue guardie del corpo, una delle
quali venne colpita da un oggetto incandescente durante la
fuga e rimase a terra esanime. L’Imam conservò una calma e
un autocontrollo irreali, in quell’orrore, grazie ai pensieri rivolti
al passato, al suo messaggio giunto a destinazione. Non aveva
certezze, ma l’istinto le diceva che giustizia era stata fatta.
Tra le fiamme e le urla strazianti, mentre il megaschermo
cominciava a sciogliersi a causa dell’altissima temperatura rag-
giunta dall’intero sito, apparve l’immagine di un frate incap-

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pucciato, le sue parole tuonarono possenti nella mente di chi
era ancora in vita e correva disperato.
“Vae vobis, monstra nostra vestra monstra erunt...”
Stanton e Wurtz erano immobili davanti ai rispettivi
schermi ormai da lunghi secondi, senza emettere alcun suono.
L’immagine multipla del frate negli infiniti monitor sembrava
scrutare ogni loro movimento. Entrambi sapevano che
quell’uomo veniva dal passato, che il flusso psitronico era a
doppia direzione. Era la conferma all’ipotesi che la figura di
Karima fosse apparsa allo stesso modo, nel passato. Si sentirono
osservati, come sotto controllo. D’un tratto Stanton si rese
conto che era necessario interrompere il flusso psitronico. La
missione era compiuta. Ora si trattava di salvare la pelle.

Anno del Signore 1365, Nel ventre della città di Potenza.

Un leggero bagliore, riverberato dalle pareti incastonate


di quarzi, dipingeva le forme degli officianti in modo grottesco.
Modesto si avvicinò alla sponda e con le sue ultime forze alzò le
braccia e intonò una litania, che alle orecchie di Severo suona-
va come una lugubre preghiera pagana. La piccola folla giunta
dalle viscere della terra rispose con un coro sommesso. Il giova-
ne frate allungò d’istinto una mano verso la tunica di Michele,
come per trovare un sostegno contro la paura. Il monaco lo

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guardò con un sorriso amichevole. “Invocano la Madonna Ne-
ra.”
Quelle strane sagome non sembravano avere nulla di
umano, il giovane sperava in un rapido intervento degli uomini
del Giustiziere, ma non prima dell’arrivo di Eymerich. Si guar-
dava intorno ansioso, quando un rumore stridulo lo fece voltare
di scatto. Le voci dei convenuti si fermarono per un istante, per
riprendere poi a salmodiare a voce sempre più alta. Modesto
cadde all’indietro, con gli occhi rovesciati, e fu subito sostenuto
da Michele. Severo sentì un rivolo caldo scorrergli lungo le co-
sce, giù fino alle caviglie. Una donna in nero si ergeva in mezzo
al lago, circondata da ombre e da mostruosi animali d’acciaio
con un unico occhio di vetro. “La morte che avete sotto gli oc-
chi viene dall’acqua avvelenata. Prosciugate...” L’immagine
tremolò e alcune parole si persero in un orribile suono metalli-
co. “...Flusso. Adesso! Non aspettate... Ingannare.” La visione
ebbe un sussulto, gli uomini si gettarono in ginocchio, urlando
le loro preghiere.
Una voce tonante giunse dal pertugio dietro Severo, la
Madonna Nera sollevò al cielo una mezzaluna, mostrando le
braccia decorate di simboli. Eymerich emerse dall’oscurità.
“Vae vobis, monstra nostra vestra monstra erunt...”

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Novembre 2054, Scanzano Ionico, Inaugurazione dell’Impianto di
smaltimento della AA G.m.b.H.

L’imponente sagoma di un frate dallo sguardo cupo e fe-


roce riempì d’un tratto il gigantesco schermo, sulla piazza gre-
mita. Aveva le sembianze di un’aquila pronta a ghermire gli
agnelli al pascolo. Il terreno vibrava ancora, c’era spavento e
agitazione tra la gente, urla, oggetti che piombavano a terra da
grande altezza. L’apertura del flusso psitronico e il conseguente
sconquasso dell’area avevano creato il panico, causando la
proiezione nei circuiti interni di immagini strane, lugubri, che
parevano arrivare dal passato.
“Vae vobis, monstra nostra vestra monstra erunt.” La
voce grave e severissima risuonò nell’immenso spazio, amplifi-
cata, come se fosse quella di Dio nel giorno del giudizio finale.
“Vae Satan, fuge ad Inferos, hoc est Domini regnum!”
Qualcosa nell’intonazione, nel suono emesso, era miste-
rioso e indecifrabile. Come se provenisse da un altro mondo o
da epoche remote. Tutti si bloccarono nell’udire quelle parole.
Attimi di silenzio e immobilità quasi innaturali interruppero il
trambusto.
Il cardinale Luchini soffocò un grido, segnandosi in con-
tinuazione. Cercò in tutti i modi di abbandonare la tribuna, tra
la gente impietrita. Era teso come una corda e sputava saliva
per la concitazione. L’oscuro frate stava terrorizzando i presen-
ti, con quei grossi occhi magmatici e l’aspetto minaccioso. La
sua imponenza non sembrava avere limiti.

105
Stanton e Wurtz rimasero imprigionati all’interno delle
sale operative dell’impianto, insieme agli altri funzionari di tur-
no. Wurtz si appiccò come una torcia, urlò e corse disperato
per i corridoi ardenti, poi si persero le sue tracce da qualche
parte nel cuore dell’inferno di fuoco. Peter Stanton fu lambito
da un fascio di cavi ottici incandescenti, colpito di striscio a un
braccio e a una gamba, prima di riuscire a buttarsi fuori da una
finestra. L’incubo di quel giorno non avrebbe mai più smesso di
oscurare le sue iridi, in ogni sguardo, come un’ombra perma-
nente.

Anno del Signore 1365, nella città di Potenza. Convento dei Frati Francescani.

Fernando non riuscì a dire nulla davanti al sigillo del Giu-


stiziere e si fece da parte. Giovanni, il capitano della guardia, e
un manipolo di uomini tutti infangati entrarono. Si fecero gui-
dare verso il passaggio sotterraneo, senza troppe formalità.
Prima di inoltrarsi, sguainarono le spade.
I lampi squarciarono il cielo. La pioggia si fece copiosa.
L’ansa del fiume cominciò a franare lenta, muovendosi come
una massa di mota e sassi, per poi ingrandirsi e raccogliere la
terra smossa e le pietre scavate dagli uomini.
I bagliori ondeggianti delle torce e la luminescenza inna-
turale dell’acqua donavano alla figura di Eymerich una presen-
za ancor più maestosa e sinistra del solito, mentre ripeteva con

106
voce ferma formule di esorcismo. Quella era ormai l’unica voce
che risuonava nell’antro.
Il tuono, la collera della Vera Fede.
Modesto, ormai debolissimo, si era accasciato a terra,
scosso da violenti spasmi. L’intervento dell’Inquisitore sembra-
va aver sortito un effetto risolutivo: la Madonna Nera era
scomparsa, muta la folla di maghi e fattucchiere.
Dal cunicolo d’accesso alla fonte sotterranea giunse un
clangore di metalli, seguito dal baluginio di spade ed elmi.
“Nessuno osi muovere un passo! Per ordine del Giustizie-
re di Basilicata, chi si muove verrà passato a fil di spada!” Gio-
vanni, il capitano della guardia, urlò il suo avviso, poi incrociò
lo sguardo di Severo, che subito gli fece segno verso Eymerich.
L’Inquisitore parve scuotersi dal torpore di una visione. Si
accorse appena in tempo che tre soldati gli si avvicinavano.
La superficie del lago si fece ribollente come magma e di
nuovo apparve la Madonna Nera, circonfusa di un alone
fiammeggiante. Galleggiava senza peso sopra l’acqua, gli occhi
infossati e invisibili, la voce dolente ma ferma: La morte viene
dall’acqua. impregnata. malefica.
I soldati si bloccarono atterriti, alcuni di loro fuggirono
verso l’imboccatura del cunicolo, insensibili alle maledizioni e
ai richiami del loro comandante. Eymerich ne approfittò per
scomparire in un anfratto che conduceva all’esterno, dall’altra
parte della parete di roccia. Vedendolo, Severo cercò di attirare
l’attenzione delle guardie, ma il panico serpeggiava incontrolla-

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bile fra gli uomini del Giustiziere. La folla oscura, intanto, ave-
va ripreso la sua cantilena, rinvigorita dalla nuova apparizione
della Madonna. Il frate spirituale decise di seguire l’Inquisitore,
non poteva permettere che tutto finisse così.
Fu trattenuto per la manica da una stretta leggera, frutto
di volontà e non di muscoli.
“Unisciti a noi, ragazzo mio!” Gli occhi di Modesto erano
fuochi fatui di pazzia. Severo lo colpì con il dorso della mano.
“Lasciami, idiota!” Si avviò nell’oscurità.
Michele sorresse il suo compagno di fede e di filosofia.
“Ognuno ha il suo destino oggi. Lascia che si compia anche il
suo.” Modesto chiuse gli occhi.
Appena fuori, l’aria fredda gli sferzò il viso come uno
staffile di cuoio bagnato. Severo si volse al bosco, dove immagi-
nava che Eymerich si fosse rifugiato, poi qualcosa gli fece per-
dere l’equilibrio e una morsa invincibile gli attanagliò la gola,
sollevandolo. Con gli occhi appannati di lacrime riconobbe la
figura alta e possente dell’Inquisitore, che lo teneva fermo.
“Sei dove ti volevo, Severo. Bene.” Nessuna emozione
nella voce. Eymerich teneva il frate per il collo con una sola
mano. Lo aveva inchiodato al tronco di un albero, i piedi che
galleggiavano a dieci centimetri da terra. Senza sforzo appa-
rente.
“D-de-monio!”
“Non io, Severo, ma di certo il Maligno è fra noi stanotte.
Esso si annida nelle menti semplici e in quelle presuntuose, che

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credono di riconoscerlo altrove, e non dentro di sé. Negli ipo-
criti come te, piccolo arrogante... È per questo che muori.”
Le dita di Eymerich gli penetrarono la pelle del collo co-
me burro, appena sopra la clavicola, ghermirono la carotide e
la strapparono fuori con uno strattone secco. Il fraticello si ac-
casciò gorgogliando, negli occhi un’espressione di sorpresa, che
l’Inquisitore non vide nemmeno. Stava già arrampicandosi sul
costone, fino al punto prestabilito.
Modesto alzò le mani alla volta della grotta e ripeté più
volte, seguito da tutti gli altri: “Tanit Tanit, il tuo potere è il
nostro potere!” Dall’oscurità che incombeva su di loro, giunse
un rumore sordo, preceduto dal rotolare di ciottoli.
Eymerich abbatté l’ultimo diaframma di roccia che anco-
ra sosteneva la volta del lago sotterraneo, fino a lasciare solo
una sottilissima colonna di pietra: avrebbe ceduto al peso so-
prastante in pochi minuti. Infine si allontanò. Il cavallo lo at-
tendeva, assicurato al ramo di un abete.
Avvertì il crollo più per le vibrazioni del suolo che per il
rumore. Il cavallo scartò a destra. Eymerich controllò l’animale
senza difficoltà.
A quel punto nessuno di quei miscredenti poteva essere
ancora vivo, a meno che la volontà del Signore non avesse al-
trimenti predisposto. Quella sorgente malefica, però, era di
certo prosciugata, insieme ai suoi tossici effetti. Ma ciò che più
lo pacificava era l’esito dei patetici intrighi di Urbano V e la
sorte degli emissari che il pontefice gli aveva scatenato contro.

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Vanificati i primi, annientati senza pietà i secondi.
Eymerich arrestò la sua cavalcatura a ridosso di un pic-
colo promontorio, che aggettava sulla valle. Ripensò alla visio-
ne avuta al lago: la torre di lucido metallo, il fuoco e tutta
quella gente vestita in modo strano, che fuggiva. Persino un
uomo di chiesa, gli era sembrato, ancor più terrorizzato degli
altri. E la donna in nero, addolorata e intensa...
Guardò il cielo viola, ormai presago dell’alba, che si ap-
pressava ancora una volta sulla Terra. E spronò il cavallo.
A maggior gloria di Dio.

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Peccatori et Eretici

KAI ZEN: Jadel Andreetto, Bruno Fiorini, Guiglielmo Pispisa,


Aldo Soliani

Emerson Krott: Franco Ardito, Simona Ardito, Mara Mar-


chesan, Mario Moi, Paolo Porrà, Anna Luisa Santinelli, Giu-
seppe Scapola, Alessandro Vicenzi

Laboratorio Scripta Volant: Lorenza Colicigno, Rina de


Robbio, Paola Masella, Rosanna Santagata, Maria Carmela
Tetto

Paghiamo pegno a: Valerio Evangelisti, Wu Ming 5, Massimo


Lovisco, Federica Corbellini, Amnesiac Arts, Ver Sacrum, Igor
Falcomatà (Kobaiashi), Paolo Bernardi, Andrea Bianchi

www.kaizenlab.it
info@kaizenlab.it

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Reliquie

Illustrazioni: Maurizio Geminiani, Giulio Giordano, Silvio


Giordano, Claudio Madella, Francesco Mattioli, Nicola Picchi,
Giovanni Simoncelli

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