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20/2/2018 Attualità di un poeta illeggibile.

Paul Valéry oggi • Le parole e le cose

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Attualità di un poeta illeggibile. Paul Valéry oggi
17 marzo 2015 di Le parole e le cose | 17 commenti

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di Pierluigi Pellini

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Nel periodo fra le due guerre, Il cimitero marino era probabilmente la


poesia contemporanea più celebre in Europa; il suo autore, Paul COMMENTI RECEN TI
Valéry, senz’ombra di dubbio l’intellettuale più omaggiato del
Deconstructed Harry su
continente. Perfino una sua raccolta di articoli sul presente, gli Sguardi Le donne, sconfitte
sul mondo attuale, composta di pezzi d’occasione per lo più dalla rivoluzione
sessuale?
pensosamente superficiali (e alquanto reazionari: non manca un elogio
chris su Le donne,
dell’Idea di dittatura, ispirato da un libro d’interviste di Salazar, e datato sconfitte dalla
sinistramente 1934), ha potuto essere per anni, in Francia, poco meno rivoluzione sessuale?
che un best seller. Vate incensato, maître à penser, emblema del ritorno Simone de Beauvoir su
Le donne, sconfitte
all’ordine dopo il carnevale delle avanguardie, l’uomo che per più di
dalla rivoluzione
vent’anni si era quasi completamente negato alla parola pubblica, sessuale?
concentrandosi
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scrittura privata dei Quaderni, assurge improvvisamente con La
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giovane Le donne, sconfitte

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Parca, nel 1917, al rango di poeta ufficiale; e si costringe fino alla dalla rivoluzione
sessuale?
morte, avvenuta nel 1945, a alimentare, con rare pubblicazioni
Vincenzo Cucinotta su
poetiche – per l’essenziale, la raccolta Charmes (Incanti), del 1922 – e Le donne, sconfitte
innumerevoli interventi di circostanza, spesso su commissione, la dalla rivoluzione
sessuale?
figura mummificata del classico vivente.
chris su Le donne,
sconfitte dalla
Oggi, i versi di Paul Valéry sono certamente i meno vivi fra quelli di rivoluzione sessuale?
tutti i poeti laureati del Novecento europeo. Li condanna con poche Paolo Ottaviani su
eccezioni all’obsolescenza, se non addirittura all’illeggibilità, proprio Negazionismo di Stato.
La Polonia e lo
quell’ambizione di coniugare la modernità di un linguaggio poetico
sterminio degli ebrei
intransitivo e l’impeccabile versificazione del grand siècle (Racine
Ennio Abate su Le
redivivo!), proprio quell’innesto sistematico di oscurità mallarmeana e donne, sconfitte dalla
di fulgido formalismo classicista che a suo tempo ne giustificò la rivoluzione sessuale?

canonizzazione, ad opera del cenacolo raffinato (e spesso miope) della Simone de Beauvoir su
Le donne, sconfitte
«Nouvelle Revue Française». Un altro classicismo, quello modernista e dalla rivoluzione
paradossale di Eliot e di Montale, capace di riscattare poeticamente le sessuale?

rovine della storia e gli oggetti poveri della quotidianità, nutrirà quel Francesco Pecoraro su
Le donne, sconfitte
che conta della poesia del Novecento (e oltre); non avranno domani,
dalla rivoluzione
invece, la censura di ogni contingenza, l’aristocratico sprezzo della vita sessuale?
di ogni giorno (delle sue occasioni e soprattutto «della massa» che la
popola), l’epurazione lessicale di ogni scoria contaminata dal tempo
umano, i capisaldi, insomma, della poetica degli Incanti. A rileggerla ARTICOLI PIÙ LET T I
oggi, la stroncatura sbarazzina di Nathalie Sarraute, che fece scandalo
Le donne, sconfitte dalla
nel 1948 (Paul Valéry e l’elefantino, tradotto da Einaudi nel 1988, oggi rivoluzione sessuale?
purtroppo esaurito), sembra addirittura ovvia. Il senso della fine:
"Melancholia" di Lars von
Eppure, uno stesso punto di partenza storico e teorico accomuna Trier

l’autore della Giovane Parca e i poeti maggiori del primo Novecento: la La centralità di Pier
Vittorio Tondelli
convinzione controintuitiva, che Valéry meglio di chiunque altro ha
La memoria e lo
saputo esprimere in un saggio memorabile su Baudelaire, che «ogni sperpero. Su "La grande
classicismo presuppone un romanticismo anteriore», perché «l’essenza bellezza" di Paolo
Sorrentino
del classicismo è di venir dopo», e «l’ordine presuppone un certo
Roberto Bolaño, poeta
disordine che esso ha il compito di ridurre». Idea di cui si appropria
Lettura di "À une
tempestivamente, in Italia, un ammiratore e emulo di Valéry –
passante" di Charles
poeticamente, diciamolo pure, assai più dotato di lui – come Giuseppe Baudelaire ("Les Fleurs du
Ungaretti, per motivare la svolta restauratrice che dall’Allegria conduce Mal", XCIII)

a Sentimento del tempo. Come per Baudelaire l’effusione sentimentale Francesco Sole e la
#poesia
dei romantici è al tempo stesso presupposto imprescindibile e oggetto
Perché sono su
di polemico rifiuto, così la rottura avanguardista, lo scardinamento Instagram/1. Francesco
delle forme tradizionali, lo sberleffo all’istituzione letteraria sono Pecoraro

ineludibile pietra di paragone (per emulazione o per antitesi) di ogni Chi siamo

poesia che si voglia, negli anni immediatamente successivi alla Grande La faccia del mio vicino
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La consapevolezza di «venir dopo», appunto, è il primum della scrittura: LPLC SU FACEBOOK

solo il provincialismo dei nostri ermetici potrà rimuoverla tout court,


Le parole e
nella velleità di una poesia sedicente pura. I modernisti la integrano 19 mila "Mi piace
invece, questa consapevolezza, nella sostanza stessa dei loro testi: così
nella poetica del correlativo oggettivo; così nella rifrazione degli
eteronimi in Pessoa; così nell’ostentata, artefatta naturalezza di Saba Ti piace
(gli esempi, diversissimi e convergenti, si potrebbero moltiplicare).
Valéry segue un percorso diverso: espunge quasi ogni riverbero di Piace a te e ad altri 92 am
creaturale impurità dai suoi rari, algidi versi, peraltro sempre mirabili
per levigata fattura, e affida al contrario alla prosa saggistica, e più
ancora alle pagine tormentate dei Quaderni, una riflessione inquieta e
spregiudicata, che ha tratti di vertiginoso acume e di assoluta
modernità. Quasi, si direbbe, con una sorta di lucida schizofrenia:
LPLC SU TWIT TER
come se rifiutasse di spezzare il cristallo polito della metrica regolare, il
vieto simulacro del bello tradizionale, pur riconoscendone l’intima,
Tweet di
insostenibile vacuità di «piccolo monumento forse funebre», fatto delle @Leparoleelecose
«parole più pure» e delle «forme più nobili» della lingua francese – e
non senza intuire, forse, che i suoi confusi brogliacci avrebbero trovato Le parole e le …
@Leparoleelec…
grazia, presso i posteri, assai più degli aridi frutti del labor limae.
bit.ly/2CxDEgL Roberto
Bolaño, poeta - di Frances
Per questo conviene salutare con gratitudine il lavoro immenso che ha Brancati @assaggiletterar
consentito a Maria Teresa Giaveri di offrire, per la prima volta in Italia,
e con cura editoriale impeccabile, una corposa silloge di Opere scelte («I Roberto …
di France…
Meridiani», Mondadori, 2014, pp. CIII + 1782, euro 80), capace di
leparolee…
restituire, in sei ampie sezioni (Poesia, Prosa poetica, Modelli e strumenti
del pensiero, Dialoghi, Teatro, Saggi: traduzioni tutte rigorosamente
3
nuove), l’immagine complessa e sfaccettata di uno scrittore molto
diverso da quello canonizzato negli anni Trenta e, al contrario di Ritwittato da Le parole
quello, in parte ancora incontestabilmente vivo: non solo (non tanto) e le cose

nella levigata lentezza, punteggiata di squarci illuminanti, dei dialoghi Guanxinet networ
@guanxinet
socratici (in specie i celeberrimi Eupalinos o L’architetto, e L’anima e la
Roberto Bolaño, poeta
danza); ma anche (forse soprattutto) nella prosa giovanile di Monsieur
leparoleelecose.it/?p=3119
Teste e nello sterminato cantiere dei Quaderni: al tempo stesso via @Leparoleelecose
traboccante zibaldone di pensieri e ascetica ginnastica della mente, cui
Roberto …
sono dedicate ogni mattina le energie più fresche; e, ancora, nella
di France…
tendenziosa lucidità dei saggi letterari, che costruiscono una
leparolee…
genealogia della lirica moderna con cui rimane inevitabile fare i conti
(la linea Baudelaire, Mallarmé, Valéry), anche se è viziata da un’ottica
nazionale angusta – questo scrittore come pochi intimamente franco-
francese (ancorché di origini italiane per parte di madre, e di costumi Le parole e le …
cosmopoliti) elegge a testa di turco un romanticismo sentimentale di @Leparoleelec…

cui fa mostra d’ignorare la complessità filosofica sviluppata oltre Reno. bit.ly/2CxDEgL Roberto
Bolaño,
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Del Valéry poeta, invece, Giaveri propone un’integrale traduzione in


metrica, certo ammirevole come tour de force, ma spesso
svantaggiosamente infedele. Un solo esempio: il celebre «Le vent se
lève!… il faut tenter de vivre» del Cimitero marino, che nella nuova
versione italiana suona: «S’alza il vento!… Affrontiamo la vita». La Le parole e le …
scelta, indubbiamente coraggiosa, di trasporre Valéry in metrica @Leparoleelec…

regolare italiana è motivata dal desiderio di non perdere quel che il Roberto Bolaño, poeta
leparoleelecose.it/?p=3119
poeta riteneva essenziale, cioè la musica della parola, anche a costo di
sacrificarne il significato. E tuttavia quella che conduce della metrica
francese al suo supposto equivalente italiano – come mostrano molti
tentativi anche illustri, e quasi sempre assai problematici: da ultimo, il
Baudelaire feltrinelliano di Antonio Prete – è strada accidentata e
spesso intransitabile (in particolare, ma non solo, per la statutaria
irriducibilità dell’alessandrino sia al cantabile martelliano sia al più
denso endecasillabo; ma anche il decasillabo francese, come mostra
l’esempio del Cimitero marino, fatica nella nostra lingua a indossare Le parole e le …
@Leparoleelec…
veste endecasillabica). Il verso appena citato è forse l’unico, o uno dei
Le donne, sconfitte dalla
pochissimi, di Valéry, a essersi imposto nella memoria culturale
rivoluzione sessuale?
contemporanea anche al di fuori dell’istituzione scolastica francese: ne Intervista a Eva Illouz a cur
è prova il suo esibito ri-uso in un successo globale del 2013 come il di Martin Legros
bit.ly/2EDZeGe #femminism
film di animazione Si alza il vento (Kaze tachinu) del regista giapponese
#feedly
Hayao Miyazaki. E se si è imposto, è precisamente per la connotazione
pre-esistenzialista di quel tenter de vivre, “tentare di vivere”, che la Le donn…

traduzione Giaveri perde completamente – risolvendosi peraltro (a Intervista…


leparolee…
meno di forzare la logica e le consuetudini della metrica italiana,
escludendo la sinalefe) non in un endecasillabo, ma in un decasillabo
manzoniano (del tipo «Soffermati sull’arida sponda / Vòlti i guardi al
varcato Ticino, / Tutti assorti nel novo destino, ecc.»: il secondo e il LOGIN
terzo verso hanno la stessa scansione di prima, terza, sesta e nona),
che volge la sospensione metafisica e la perplessità esistenziale del Nome utente

Cimitero marino quasi in fanfara (poco avendo in comune il nostro


decasillabo con il décasyllabe francese), peraltro intonata al Password

volontarismo un po’ marziale dell’«Affrontiamo la vita».


Ricordami
Ma di Valéry, si diceva, reggono oggi soprattutto i Quaderni: esercizio di Login →
scrittura inaugurato, non a caso, nel 1894, dopo che, due anni prima, si
è incrinata – fra le ambasce della celebre notte di Genova, e non solo –
la fiducia nel platonismo del maestro riverito, Stéphane Mallarmé, e
nella possibilità, per la parola poetica, di attingere l’ideale. L’interesse CATEGOR IE

della ricerca si concentra ormai sui meccanismi di funzionamento della Seleziona una categoria
mente; il valore della scrittura diventa meramente gnoseologico: non
più l’opera perfetta, ma la conoscenza di sé, ne sarà il fine. Accanto a
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quello di Mallarmé, s’impone il modello di Edgar Allan Poe, da cui
se non interessato. Esci ARC HIVI

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Valéry mutua l’imperativo dell’autocoscienza, e alla cui filosofia della Seleziona mese
composizione vota un autentico culto. Rari gli altri interlocutori di
questo «Robinson intellettuale», che sfiora l’egotismo forgiando di
volta in volta i concetti di cui si serve, e fingendo d’ignorare il
contemporaneo dibattito culturale – i riferimenti alle scienze esatte
sono più pregnanti di quelli all’attualità filosofica o letteraria. E, di
quaderno in quaderno, delinea, con puntiglioso rigore razionale,
l’abbozzo di una dottrina della creazione artistica, per poi offrirne un
compendio, a partire dal 1937, nel corso di Poetica al Collège de
France, di cui Giaveri regala al lettore italiano la traduzione di tre
lezioni (due inedite anche in francese).

Quella dei Quaderni è una nebulosa di appunti, aforismi, formulazioni


parziali che non trovano mai (e probabilmente non potevano trovare)
definitiva sistemazione; ma pochi altri testi contengono un insieme più
fecondo di intuizioni disparate, capaci di nutrire gli studi letterari (e
non solo) dei decenni a venire. Il catalogo è impressionante (e
incompleto). Il formalismo e lo strutturalismo degli anni Sessanta e
Settanta, prevedibilmente, hanno potuto vedere in Valéry un
precursore – al punto che le due riviste parigine più significative di
quella stagione, «Tel Quel» e «Poétique», gli sono debitrici del titolo. Il
ruolo riconosciuto, nella genesi del testo letterario, a «non so qual
presentimento delle reazioni esterne», e la consapevolezza che l’opera
d’arte vive solo «in atto», nella concreta singolarità della lettura («è
l’esecuzione della poesia che è poesia»), anticipano – ed era cosa molto
meno scontata – le tesi della critica della ricezione. La volontà di
promuovere la «fabbricazione dell’opera» a «cosa principale» (perché
«fare una poesia è poesia»), lo studio instancabile dei processi mentali
che presiedono alla creazione artistica (intesa «come danza, come
scherma»), l’assioma per cui «l’opera non è mai finita interiormente», e
anche il fascino per i manoscritti del passato (di Stendhal, di Hugo), lo
predisponevano a diventare il nume tutelare, oltre che un oggetto
d’indagine privilegiato, della critique génétique (versione francese,
teoricamente più agguerrita, della nostrana critica delle varianti e degli
scartafacci). Infine, l’odierna voga degli studi cognitivi può trovare
stimolo e riscontro in quell’instancabile autoanalisi del pensiero, e dei
suoi più sottili meccanismi, che sembra fare dell’impresa intellettuale
di Paul Valéry il rovescio difensivo, ma non per questo meno
grandioso, dell’opera di Sigmund Freud. Perché davvero, come
l’avanguardia è l’implicito antimodello della sua poesia, così la
psicanalisi pare il rimosso – o, se si preferisce, il bersaglio nascosto –
della sua personale filosofia della mente: che dei sogni, della memoria,
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dell’attenzione, dell’immaginazione, e in genere dei meccanismi
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psichici, cerca ostinatamente di descrivere il funzionamento facendo


economia di ogni ipotesi d’inconscio.

Una postura intellettuale, questa, che non poteva non entrare in rotta
di collisione con il movimento surrealista, a lungo egemone sulla scena
letteraria francese; ma che sul medio e lungo periodo si è rivelata più
produttiva dell’opera in versi anche in termini di discendenza
letteraria, come mostra bene un esempio italiano. È infatti alle prose e
ai Quaderni, assai più che agli Incanti, che ha guardato un poeta come
Valerio Magrelli: non solo nel saggio einaudiano che ha dedicato
all’autoscopia di Monsieur Teste e alla ripresa del mito di Narciso
(Vedersi vedersi, 2002), ma anche nelle tematiche e nelle forme delle
raccolte in versi degli anni Ottanta. I due episodi maggiori della
ricezione italiana di Valéry – Ungaretti e Magrelli, appunto – disegnano
esemplarmente il destino di un’opera: da monumentale cauzione di un
irrigidimento classicista, a stimolo seminale, e disperso nell’infinibilità
del work in progress, di un’autorappresentazione fluida, metamorfica,
aporetica. Anche se poi quell’Inesausta volontà di autocostruzione, che
dà il titolo all’elegante introduzione di Maria Teresa Giaveri, quel rifiuto
di oggettivare sé stesso nella materialità finita dell’opera («Gli altri
fanno libri. Quanto a me, io faccio la mia mente»), quel subordinare la
conoscenza e la scrittura stessa alla trasformazione di sé (per cui
l’opera di Paul Valéry, in definitiva, è Paul Valéry), se per un verso è
lascito di stupefacente, quasi situazionista modernità, per un altro –
ancora un paradosso – affonda le sue radici nell’humus del dandysmo
fin de siècle, si ammanta di pretese estetizzanti, e insomma rivela
Accetto
insospettabili parentele con l’auto-mitologizzazione di un altro, più
pacchiano vate: ovviamente, il nostro d’Annunzio, cui infatti l’autore
della Giovane Parca non manca di render visita e omaggi. Per l’allievo
più dotato dello schivo Mallarmé, del poeta moderno più
autenticamente alieno da esibizionismo, per il poeta metafisico che nel
finale del Cimitero marino ha offerto un precoce emblema ai dilemmi
dell’esistenzialismo – il già citato «Le vent se lève!… il faut tenter de
vivre» – pare l’ennesima ironia della sorte.

[Immagine: Paul Valéry]

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Categorie: Interventi | Tag: Charles Baudelaire, Charmes, Critica genetica, Edgar Allan
Poe, Eugenio Montale, Giuseppe Ungaretti, Hayao Miyazaki, Il cimitero marino,
Letteratura francese, Maria Teresa Giavieri, Monsieur Teste, Paul Valéry, Pierluigi Pellini,
Poesia, Si alza il vento, Stephane Mallarmé, Valerio Magrelli | Permalink

17 COMMENTI

Rispondi →

gabrielefratini
17 marzo 2015 a 07:36

Saggio interessante ma che dà per acquisite idee del tutto arbitrarie


dell’autore, dimenticando che nell’arte e nella poesia le mode vanno e
vengono. Nel Novecento italiano non esistono poeti all’altezza di Valery.
Anche questa è un’opinione, come quella di Pellini. Non “reggono” oggi i
Quaderni di Valery, reggono le poesie. Come spesso capita i professori
universitari, che forse un tempo erano anche “lettori” di poesia, sono
preda di attacchi di fenomenite, a volte acuta a volte fulminante. Un
saluto.

Daniele Lo Vetere
17 marzo 2015 a 16:03

I Meridiani sono arrivati ad 80 euro. Tra poco neanche i tre quarti degli
accademici (che sono precari) potranno più permetterseli.
Figurarsi noialtri.

rino genovese
17 marzo 2015 a 18:02

Caro Lo Vetere, però non perdiamo molto, spesso sono fatti male (e poi
non diamo i soldi alla Mondadori).

Clotilde Bertoni
18 marzo 2015 a 13:07

Commenti di questo tipo non finiscono mai di sorprendermi (tanto più


quando arrivano da persone serie come Genovese e Lo Vetere, che sanno
di solito
Questo scrivere
blog utilizza cose tecnici.
cookie di grande interesse aenavigare
Continuando arricchire
su davvero
Le parolelee le cose acconsenti al loro uso. Clicca su Esci
discussioni): perché distolgono l’attenzione dal pezzo e dal suo argomento,
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perché, deliberatamente o meno, gli sottraggono peso, e perché in


generale non risultano di nessuna utilità.
Provo a spiegarmi. Da un lato, questa è un’edizione di grande spessore;
l’articolo di Pellini è molto denso e illuminante; e, anche se, certo, i
Meridiani non sono tutti della stessa qualità, il gruppo che li porta avanti
(lo dico per esperienza diretta) lavora davvero, con passione e competenza
abbastanza rare. D’altro lato, verissimo, i Meridiani costano troppo; è un
brutto guaio che siano nelle mani dell’impero berlusconiano; e dovremmo
evitare di foraggiare questo impero, anche se, visto quanto è esteso,
riuscirci sempre è un’acrobazia.
Possiamo pensare a come fare, possiamo scriverci sopra, possiamo
promuovere una discussione in merito. Non sarà facile trovare una
soluzione, forse non a caso finora non c’è riuscito nessuno. Ma
sicuramente liquidare un meridiano interessante (che comunque si potrà
leggere e consultare pure in quei posti squallidissimi fatti per gli
universitari sfigati e pedanti, come si chiamano, biblioteche), silenziare
subito la potenziale discussione su un bel pezzo, e dimostrare, magari
involontariamente, scarsa considerazione per il lavoro altrui, allo
strapotere della Mondadori e all’impero berlusconiano non nuocerà per
nulla. Semmai prima o poi contribuirà a promuovere una bella, ardente,
coraggiosa battaglia contro la letteratura, la critica, le edizioni, lo studio
serio. Battaglia che, mi sa, troverebbe Berlusconi entusiasta in prima linea.

Daniele Lo Vetere
18 marzo 2015 a 18:14

Cara Bertoni, mi dispiace se il mio intervento è sembrato svilente nei


confronti del pezzo di Pellini, che è, come di solito i suoi, davvero bello, ha
ragione. Mi scuso, naturalmente, anche con Pellini stesso.
Il mio amaro sarcasmo era però talmente circoscritto (al prezzo di questo
Meridiano) che, spero ne converrà, davvero difficilmente può essere
considerato offensivo verso il lavoro di Pellini o della curatrice (che
immagino non abbia potere di contrattazione sul prezzo del volume) o
addirittura, e se pur alla lontana, una forma di involontaria intelligenza col
nemico.

Saluti

Lettore
19 marzo 2015 a 00:10

“L’idea di dittatura” non è affatto un elogio della dittatura, ma una


lucidissima ed equilibrata analisi, ancor oggi valida, intorno al modo in cui
le dittature nascono, come ognuno può facilmente verificare
(http://classiques.uqac.ca/classiques/Valery_paul/regards_monde_actuel_au
Oltre alla “fenomenite fulminante”, i docenti universitari hanno anche il
brutto vizio di citare, a volte, libri che non hanno letto, pensando che non li
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abbia letti nessuno. Sui gusti letterari di chi considera “illeggibili” le poesie
di Valéry, poi, meglio sorvolare.

gabrielefratini
19 marzo 2015 a 08:51

Non c’è bisogno di spendere 80 euro, i versi di Valery sono pubblicati da


Guanda per 30 euro (500 pagine, una ampia scelta) con testo francese e
traduzioni di Magrelli e Cescon. Personalmente li ho letti gratis dalla
biblioteca. Saluti.

Pierluigi Pellini
19 marzo 2015 a 23:41

Mi scuso se non sono intervenuto prima. Avrei scritto esattamente le


stesse cose che ha scritto Tilli Bertoni: perciò non le ripeto. Aggiungo solo
che la percentuale di Meridiani curati male, in questo secolo, è molto
bassa: non superiore a quella delle Pléiades curate male nello stesso
periodo. La collana ha subito una riduzione molto forte (escono oggi molti
meno Meridiani che dieci anni fa) perché non rende: ha ancora una
redazione di alto livello, che costa, mentre la cura di altre collane, non
meno care (per esempio i Millenni) è affidata in outsourcing, con risultati
catastrofici. Mi pare, questo delle esternalizzazioni editoriali, un tema
politico e culturale molto più serio e importante della polemica dura e
pura contro l’impero berlusconiano: che getta il bambino con l’acqua
sporca. (Naturalmente qualcuno griderà al conflitto di interessi, perché sto
curando dei Meridiani : amen).
Dalle difese della poesia di Valéry sono favorevolmente sorpreso, quasi
commosso. I gusti sono legittimi: mi limito a constatare che oggi la sua
idea di poesia è del tutto inerte (lo dico perché sono un lettore di poesia, a
prescindere da ogni ruolo istituzionale – sono dieci anni che non pubblico
studi ‘accademici’ sulla poesia).
Ho pubblicato qui un modesto ma argomentato articolo di giornale: che
avrebbe il diritto, credo, di essere discusso, o ignorato, come tale. È molto
sgradevole, invece, essere ascritto, da non so quale demagogico
risentimento, alla generalizzate categoria degli ‘universitari’.
Rassicuro comunque l’anonimo lettore: ho letto il saggio di Valéry sull’idea
di dittatura e ho perfino sfogliato, in biblioteca naturalmente, il libro di
Salazar che il Nostro definisce parfaitement sage. Che avesse simpatie di
destra non è certo uno scoop: andò perfino a trovare Mussolini (ma fu
deluso dalla istrionica rozzezza del duce…). In ogni caso grazie per il Link:
gli altri lettori, se ne avranno voglia, potranno verificare da sé. Un saluto
cordiale, pp

gabrielefratini
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20 marzo 2015 a 09:43
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“inerte”…
Mi dispiace per Cucchi, Valduga, Pontiggia, Magrelli, Sereni, Lamarque e
tanti altri che hanno perso il loro tempo a tradurre poesie “inerti”.
Talmente inerti che tre quarti dei poeti e francesisti italiani se ne sono
occupati.
Vi lascio demagogicamente con una poesia inerte tradotta da Cucchi che
non sa di aver perso il suo tempo e vado a “risentirmi” un po’.
(Nel Novecento italiano fatico a trovare un testo che eguagli il seguente in
bellezza. Capisco che qui preferiamo Rosselli e i geroglifici di Zanzotto…
non tutti però…)

LE VANE BALLERINE

Quelle che sono fiori leggeri son venute,


figurine d’oro, bellezze minute
dove iride diviene, debole luna… Eccole
fuggire melodiose nel bosco rischiarato.
Di malva e d’iris e di notturne rose
le grazie nella notte, sotto la loro danza, schiuse.
Che velati profumi, da quelle dita d’oro!

Ma si sfoglia l’azzurro in questo morto bosco


e riluce a fatica un filo d’acqua sottile,
riposata, come tesoro pallido di antica
rugiada, da cui il silenzio in fiori sale. Eccoli
melodiosi fuggire nel bosco rischiarato.

Graziose quelle mani verso gli amati calici;


un po’ di luna dorme sulle devote labbra
e le loro braccia splendide, dai gesti addormentati
dipanano piacevolmente sotto gli amici mirti
i fulvi loro vincoli, carezze… Ma talune
del ritmo meno schiave e delle arpe lontane
verso un sepolto lago vanno con passo lieve
a bere dai gigli la gracile acqua in cui dorme l’oblio.

rino genovese
20 marzo 2015 a 11:52

Cari amici, mi associo alle scuse di Lo Vetere (non intendevo offendere


nessuno, e soltanto perché “Le parole e le cose” è un sito ultraserio non si
è notato il senso volutamente rozzo del mio brevissimo intervento). Resta il
fatto che per lo più i Meridiani sono volumi da non comprare, sia per il
prezzo sia per come talvolta sono fatti (ne posseggo uno che è una vera e
propria antologia frammentaria di un autore). Il guaio è che, con le attuali
difficoltà, le stesse biblioteche dovranno pensarci su due volte prima di
acquisire quei volumi. E se poi destinassero i soldi all’acquisto di libri che
non si trovano nel circuito delle librerie, non sarebbe meglio?
Riguardo al merito dell’articolo di Pellini, che ho apprezzato, sarei tra quelli
Questo
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Poeticamente e le cose
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ciò che posso capirne, il suo è una specie di classicismo modernista, e non
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20/2/2018 Attualità di un poeta illeggibile. Paul Valéry oggi • Le parole e le cose

vedo perché contrapporlo, eventualmente, a quello di uno come Eliot. Dal


punto di vista filosofico è un autore ricco di notevoli intuizioni, sul piano
estetico soprattutto (per dirne una, l’idea dell’opera d’arte come
“apparition”, cioè come una rottura nel corso ordinario delle cose, viene da
lui). Sul piano politico è stato certamente un filofascista. Ma quanti tra gli
anni venti e trenta del secolo scorso lo sono stati! E, visto che sto scrivendo
da Lisbona, anche Pessoa…

filippo
20 marzo 2015 a 22:27

Pezzo il cui taglio polemico è stimolante, e a mio modo di vedere


condivisibile. Dopo averlo letto sono andato a rileggermi un testo che, in
passato, ho molto amato, La Jeune Parque. Devo ammettere che, pur
rimanendo ammirato dalla concezione e fattura incredibilmente rigorose
ed esigenti di quei versi, ho provato il sentimento, bene argomentato da
Pellini, di trovarmi di fronte a una materia poetica inerte. Resterebbe da
chiedersi cosa significa, nel nostro presente, l’inerzia di una poesia a
proposito della quale un lettore come Adorno, a suo tempo, poteva
scrivere: “Non lasciarsi istupidire, non lasciarsi addormentare, non essere
complici: queste sono le condizioni sociali che si sono sedimentate
nell’opera di Valéry, opera che si rifiuta di stare al gioco della falsa
umanità, del consenso sociale alla degradazione dell’uomo. Costruire
opere d’arte per lui significa rifiutarsi all’oppiaceo in cui la grande arte
sensoriale si è trasformata dall’epoca di Wagner, di Baudelaire, di Manet;
rifiutarsi all’onta che rende le opere mezzi di comunicazione e dei
consumatori fa delle vittime della trattazione psicotecnica. (…) L’arte che
arrivasse a se stessa traendo le conseguenze della concezione di Valéry,
oltrepasserebbe l’arte stessa e si adempirebbe nella vita giusta degli
uomini”. Per i lettori il cui orecchio, come il mio, è diventato sordo ai versi
di Valéry, credo si tratti di un interrogativo non liquidabile.

Lettore
21 marzo 2015 a 02:27

C’è poco da fare. Chi considera illeggibile o inerte Valéry (senza il quale, a
tacer d’altro, l’Ungaretti più maturo, lo stesso Montale di gran parte degli
“Ossi”, Luzi, Magrelli sarebbero inconcepibili) è uno che di poesia non
capisce un accidente, e farebbe meglio ad occuparsi d’altro. Non è
questione di gusti. Ci sono valori storicamente oggettivi.

Humblement, tendrement, sur le tombeau charmant


Sur l’insensible monument,
Que d’ombres, d’abandons, et d’amour prodiguée,
Forme ta grâce fatiguée,
Je meurs, je meurs sur toi, je tombe et je m’abats,
Mais à peine abattu sur le sépulcre bas,
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Dont la close étendue aux cendres seme
nonconvie,
interessato. Esci

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20/2/2018 Attualità di un poeta illeggibile. Paul Valéry oggi • Le parole e le cose

Cette morte apparente, en qui revient la vie,


Frémit, rouve les yeux, m’illumine et me mord,
Et m’arrache toujours une nouvelle mort
Plus précieuse que la vie.

Ripeto: “L’idea di dittatura” non è un elogio della dittatura, come ognuno


può verificare. Né basta, per sostenere il contrario, citare due parole fuori
contesto. Quanto alle “simpatie di destra”… Legga il “Mon Faust”: difficile
trovare una più ferma condanna dell’orrore dittatoriale.

Pierluigi Pellini
21 marzo 2015 a 18:18

Naturalmente Lo Vetere e Genovese non avevano nulla di cui scusarsi.


Sono stati come sempre correttissimi – una qualche semplificatoria
ruvidezza è del resto intrinseca alla forma-blog, e anche al mio pezzo.
Ringrazio tutti i commenti civili: anche quello che ha offerto la traduzione
di Cucchi, bruttina come tutte le sue (compreso purtroppo lo Stendhal dei
Meridiani; di Cucchi salverei solo Il Disperso).
A Genovese rispondo che di classicismo modernista molto si è parlato, e a
ragione, negli ultimi anni. A me pare che gli sia consustanziale la
compromissione con le rovine della storia, con la prosa del quotidiano, con
l’effimera contingenza dell’oggetto povero. Per questo credo che la poetica
di Valéry vada catalogata altrove. Ma altre discriminanti storiografiche
sono possibili (e non certo quelle ideologiche, fascistissimo essendo stato,
per tacere di altri, un Pound).
Naturalmente non rispondo invece a chi approfitta dell’anonimato per dire
sciocchezze (che è suo diritto) e per insultare (che non lo è).
Grazie ancora. E per quanto mi riguarda il post è chiuso.

Lettore
21 marzo 2015 a 20:34

Ognuno è libero di trovare, senza troppa fatica, le tracce (lampanti e già da


tempo segnalate dalla critica, e che certo un poeta illeggibile e inerte non
avrebbe lasciato) di Valéry in Ungaretti Montale Luzi Magrelli Giancarlo
Pontiggia, così come di leggere l'”Idée de dictature” e il “Mon Faust”, e
capirà da sé chi è che dice schiocchezze. Non so quali poeti prediliga
Pellini. Aldo Nove, Scarpa e Lello Voce (in linea con l’ideologia di questo
sito) , temo. Né vedo cosa il classicismo, di per sé aulico e, come dite voi
accademici nelle vostre masturbazioni seminariali, “autotelico”, abbia a che
vedere con la “prosa del quotidiano” e l'”oggetto povero”. Giocate meno
con le formule, e leggeteli sul serio, i poeti (anche se non vedo come, se
per voi sono illeggibili).

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Bibliomante
18 maggio 2015 a 03:03 se non interessato. Esci

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20/2/2018 Attualità di un poeta illeggibile. Paul Valéry oggi • Le parole e le cose

L’Esimio Professore, il quale ritiene che le “Notes sur l’idée de dictature”


siano un elogio della dittatura, sostiene di avere addiritura sfogliato in
biblioteca il libro “di Salazar”, o “di interviste di Salazar”, cui quelle note
(che NON erano un elogio, ma un’analisi, della dittatura) facevano da
introduzione.
Non so che libro abbia sfogliato, dato che il testo in questione non è di
Salazar, bensì un saggio SU Salazar, opera di Antonio Ferro (“Salazar, le
Portugal et son chef”).
Mai citare ciò che non si è letto. Non si fa una bella figura.
Peraltro, tipicamente accademica è l’arte di non leggere, se è vero che nei
concorsi universitari (noto esempio di giustizia ed equità) nessuno dei
commissari legge i titoli presentati dai candidati, dato che si sa già chi deve
vincere.

erotokritos moraitis
28 agosto 2015 a 22:13

non mi pare corretto valorizzare i grandissimi guaderni’ vareraliani per


disprezzare la sua poesia. Valery, nonostante la sua metrica e non direi
poetica claccicista e un poeta doctus e nella totalita della sua opera che e
ancora da leggere, e una delle piu acute coscienze europpee. Il populismo
recente che ammette solo opere politicamente corrette non fornisce critica
contro l’ incoprensibilita del Valery, sebbeme contro tutta la litteratura del
millenio passato. Essere modeno non e lo stesso con il servilismo
moderno, che una malatia intelletuale, molto diffusa nel academia. Valery
e un grand maitre moderne. Che si dirrebe di un non- moderno poeta
comme John Donne eppure Dante ? Non sono italiano, pero commenti di
questo genere farebbero ridere quanto studiavo litterature europpee anni
fa,.

Fulvio Venturi
20 luglio 2017 a 09:17

Un giorno, magari, faremo la critica alla leggibilità della critica

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