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IL MODELLO CIRCUITALE
Pagina
1.1 Introduzione 1
1.2 I circuiti 4
1.3 La carica elettrica 10
1.3.1 Legge della conservazione della carica elettrica 12
1.4 La corrente elettrica 14
1.4.1 Legge della conservazione della carica per sistemi 19
elettricamente aperti
1.5 La tensione elettrica 23
1.5.1 Legge dell’induzione elettromagnetica (legge di Faraday- 25
Neumann)
1.6 Il modello circuitale 27
1.6.1 Bipolo, corrente e tensione 28
1.6.2 Leggi di Kirchhoff 40
1.7 Potenza e energia elettrica 50
1.8 Bipoli elementari 53
1.8.1 Resistore lineare 54
1.8.2 Generatore ideale di tensione e di corrente 60
1.8.3 Corto circuito e circuito aperto 63
1.8.4 Interruttore 64
1.8.5 Resistori non lineari 65
1.8.6 Bipoli statici passivi e attivi 67
1.8.7 Condensatore 67
1.8.8 Induttore 72
1.8.9 Generatori “reali” 78
2
1.1 Introduzione
1 Le celle solari, che usano l’effetto fotovoltaico per produrre energia elettrica, non fanno
altro che trasformare, attraverso un processo fisico estremamente complesso, parte
3
così prodotta, viene trasportata e distribuita attraverso una fitta e complessa rete
di conduttori in tutti i luoghi in cui essa necessita (reti ferroviarie,
metropolitane, industrie, uffici, stazioni per le telecomunicazioni, laboratori,
ospedali, scuole, università, abitazioni), dove viene impiegata per fare
funzionare apparati di svariata natura (la locomotiva di un treno, la stazione
trasmittente di un canale televisivo, il computer che abbiamo sulla scrivania, il
telefono portatile che abbiamo in tasca, il frigorifero, il televisore, ... ).
Tipicamente una centrale per la produzione di energia elettrica è in grado di
produrre, almeno come ordine di grandezza, l’equivalente del fabbisogno
energetico medio di milioni di abitazioni ad uso civile. Provate a immaginare
quanto sarebbe lo spreco di energia e quale sarebbe l’impatto ambientale se non
fosse possibile trasportare energia sotto forma di energia elettrica, e quindi
ciascuno utente fosse costretto a produrla in proprio in prossimità della propria
abitazione. Anche nelle auto, navi, aerei ci sono macchine che convertono parte
dell’energia prodotta dai motori in energia elettrica, e reti di conduttori più o
meno complesse che trasportano l’energia elettrica nei luoghi dove serve.
Attraverso l’elettricità è possibile rappresentare suoni e immagini con un
elevato grado di accuratezza. I suoni e le immagini così rappresentati possono
essere:
• elaborati attraverso apparati elettronici;
• registrati su supporti magnetici, ottici, ferro elettrici, a semiconduttore;
• diffusi in ambienti di qualsiasi tipo e dimensione;
• trasmessi su distanze, oramai, interplanetarie.
Si pensi, ad esempio, ad un sistema costituito da un lettore di compact disk,
amplificatore e casse acustiche, o al sistema di diffusione delle trasmissioni
radio e televisive, o a una rete per la telefonia (sia fissa che mobile), o a un
sistema di trasmissione di immagini e suoni via satellite.
In realtà, attraverso l’elettricità è possibile rappresentare, elaborare e
trasmettere informazioni di qualsiasi tipo: basti pensare alle informazioni che
sono elaborate da un qualsiasi microprocessore di un qualsiasi calcolatore
elettronico, o che viaggiano in internet. Oramai attraverso un qualsiasi
calcolatore è possibile elaborare anche suoni e immagini !!!
dell’energia trasportata dal campo elettromagnetico associato alla luce del sole, che oscilla
sinusoidalmente con frequenze dell’ordine di 1014 Hz, in lavoro di un campo elettrico
stazionario.
4
1.2 I circuiti
3 Esistono componenti che hanno una superficie limite fatta di materiale conduttore con
elevata conducibilità elettrica; in questi componenti la superficie limite funge anche da
terminale.
6
Osservazione
Sia il generatore di segnali che lo strumento di misura sono essi stessi circuiti
estremamente complessi, costituiti da tantissimi componenti. Ciononostante,
ciascuno di essi interagisce “prevalentemente” attraverso due terminali con gli
altri componenti del circuito - il transistore, il condensatore, il resistore, la pila
e il trasformatore. Per questa ragione sia il generatore di segnale che lo
strumento di misura possono essere considerati come se fossero essi stessi due
“componenti” con due terminali, estremamente complessi nella loro
costituzione fisica, ma altrettanto semplici nelle funzioni da essi espletate.
Tuttavia, le loro caratteristiche di funzionamento sono più “complesse” se
confrontate con quelle dei componenti che abbiamo definito mattoni elementari
dei circuiti.
♦
t t t
Queste due proprietà sono di fondamentale importanza e sono alla base del
modello circuitale.
La proprietà (a) assicura che il funzionamento dei singoli componenti di un
dato circuito (in condizione di corretto funzionamento), dipenda esclusivamente
dalla loro costituzione fisica e non dal particolare circuito in cui sono inseriti.
Ciò ne consente la costruzione indipendentemente dall’uso che poi se ne farà. Si
provi a immaginare come sarebbe complicato costruire un circuito se le leggi
che governano il funzionamento dei singoli componenti dipendessero
sensibilmente dal particolare circuito in cui essi sono inseriti.
La proprietà (b) assicura che il funzionamento del circuito dipende solo dal
modo in cui i componenti sono collegati e non dalle loro posizioni (spaziali)
relative. Questo è un prerequisito fondamentale per la robustezza di un circuito
8
5 Ciascuna particella elementare (elettrone, protone, neutrone, ...) si comporta come se fosse
un magnete elementare. Di conseguenza gli elettroni e protoni oltre ad avere una carica
elettrica hanno anche un momento magnetico proprio, detto momento magnetico intrinseco.
11
[Q] = C . (1)
(In questo note con il simbolo [F ] indichiamo l’unità di misura della generica
grandezza fisica F .)
Un coulomb è un valore di carica estremamente grande se lo confrontiamo con
la carica di un singolo elettrone o di un singolo protone. Infatti, si ha che
Qt = Q+ + Q− (3)
Il ruolo del momento magnetico intrinseco degli elettroni è fondamentale in tutti i materiali
ferromagnetici.
12
Qt = Q+ − Q− . (4)
Esempio
S0
S1
Ω1
Ω2
Fig. 1.3 Sistema elettromagnetico chiuso: attraverso la superficie S0 non c’è passaggio
di cariche elettriche.
S S
qS ( t; ∆T )
iS (t ) = lim IS (t;T ) = ; (8)
T →∆ T ∆T
dQS
∆QS ≅ ∆T . (10)
dt
Il segno “≅ ”, a rigore, può essere sostituito con quello di eguaglianza solo nel
limite ∆T → 0 . Comunque, se la funzione QS (t ) varia lentamente in ogni
intervallo temporale di ampiezza ∆T (e ciò è certamente vero per come è stata
definito l’intervallo fisicamente infinitesimo ∆T ), possiamo, senza sbagliare di
molto, sostituire nella (10) il segno “≅ ” con il segno “ = ”.
Sostituendo la relazione (9) e la relazione (10) (con il segno “= ” al posto del
segno “≅ ”) nella relazione (8), otteniamo
dQS
iS ( t ) = . (11)
dt
QS (t1 ,t 2 ) = ∫t iS (t )dt .
t"
(13)
1
[ i] = A . (14)
C = A ⋅s . (15)
Osservazione
Come già saprete dal corso di Fisica, l’intensità della corrente elettrica
attraverso una generica superficie orientata S può essere espressa in funzione
delle grandezze che descrivono il moto delle singole cariche. Il caso più
semplice si ha quando le cariche sono tutte della stessa specie (ad esempio, tutti
elettroni) e si muovono tutte con la stessa velocità macroscopica. In questo caso
l’intensità della corrente elettrica attraverso la superficie orientata S è data da
J = ρv , (17)
valutabile punto per punto e istante per istante nella regione di interesse, è il
campo di densità di corrente elettrica; ρ è la densità volumetrica della carica
19
J = ρ+ v + + ρ− v − . (18)
[ J ] = A/m 2 . (19)
n̂
Σ
Fig. 1.5 La carica totale contenuta nella regione Ω varia nel tempo in presenza di una
corrente elettrica attraverso la superficie chiusa Σ .
QΩ (t + ∆t ) − QΩ (t)
iΣ (t ) = − . (22)
∆t
dQΩ
iΣ (t ) = − . (23)
dt
iΣ = 0 , ovvero ∫∫ J ⋅ ndS = 0 .
Σ
(24)
della corrente elettrica attraverso una generica sezione S del conduttore (al suo
interno), si ha
iA = iB . (25)
vuoto
Sl
SA J
conduttore SB
vuoto
Fig. 1.6 In condizioni stazionarie l’intensità della corrente elettrica attraverso una
generica sezione di un conduttore filiforme non dipende dalla particolare
sezione scelta.
Osservazione
Come già saprete dal corso di Fisica, l’equazione (23) può essere espressa come
(se sono assenti distribuzioni superficiali di carica e correnti)
d
∫∫ J ⋅ ndS = − dt ∫∫∫
Σ Ω
ρdv , (26)
23
A
Fig. 1.7 Cammino lungo cui viene definita la tensione elettrica.
24
[ v] = V . (27)
Osservazione
Come già saprete dal corso di Fisica, la tensione vγ può essere espressa come
integrale di linea del campo elettrico E lungo la curva orientata γ ,
v γ = ∫γ E ⋅ tdl . (28)
v γ = E0 L cosα ,
E Γ = ∫ΓE ⋅ tdl .
♦
25
dΦΓ
EΓ = − , (29)
dt
[Φ] = W b . (30)
SΓ
Γ
n̂
Osservazione
Come già saprete dal corso di Fisica, il flusso del campo magnetico concatenato
con una linea chiusa Γ può essere espresso come
26
dove SΓ è una qualsiasi superficie aperta che ha come orlo la linea chiusa Γ e
nˆ è il versore normale al generico punto della superficie SΓ orientato in
maniera tale che il verso di Γ e quello di nˆ siano tra loro legati,
rispettivamente, come il senso di rotazione e quello di avanzamento di una vite
destrogira, Figura 1.8. È evidente che 1 Wb = 1 T ⋅1 m 2 = 1 V ⋅ s .
La possibilità di associare il flusso del campo magnetico alla linea chiusa γ si
basa, come già sapete dal Corso di Fisica, sulla fatto che il campo di induzione
magnetica B è conservativo rispetto al flusso, cioè per qualsiasi superficie
chiusa Σ si ha
∫∫ B ⋅ ndS = 0 .
Σ
d
∫ E ⋅ tdl = − dt ∫∫ B ⋅ ndS .
Γ SΓ
(32)
In questa situazione la tensione elettrica lungo una linea aperta dipende solo dai
punti estremi della linea e non dalla particolare percorso definito dalla stessa
(Figura 1.9),
vγ 1 = vγ 2 ≡ v AB . (34)
γ1
γ2
Fig. 1.9 Due percorsi diversi che hanno gli stessi estremi.
a a
a
ia Sa ia′
S∗
superficie
limite
ib ib′
b b
(a) (b) (c)
Fig. 1.11 (a), (c) Componente con due terminali con diversi versi di riferimenti per le
correnti; (b) ingrandimento del terminale “a”.
Corrente elettrica
∗ dQ∗
ia − i = (35)
dt
i∗ ≅ ia . (36)
Qm Qm
ω << Ω ct = ≅ ∗ , (39)
Im Im
Come tra poco vedremo sono diverse le approssimazioni che sono alla base del
modello circuitale, quella descritta dalla relazione (36) è solo una di esse. Più
avanti, quando discuteremo l’approssimazione alla base delle leggi di
Kirchhoff, formuleremo un criterio abbastanza grossolano ma molto semplice
da utilizzare che consente di determinare la frequenza caratteristica al di sopra
della quale il modello circuitale non riesce più a prevedere, nemmeno
qualitativamente, ciò che accade nel circuito fisico.
In conclusione, se le condizioni di funzionamento del circuito sono lentamente
variabili possiamo associare in modo univoco, quindi senza alcuna ambiguità,
un’unica corrente a ciascun terminale di ogni componente.
Si consideri l’intensità della corrente elettrica che attraversa il terminale “a” del
componente in esame, Figura 1.11. Due sono le possibili orientazioni della
generica superficie Sa : abbiamo indicato con ia l’intensità della corrente
elettrica orientando Sa con la freccia entrante nella superficie limite del
componente, Figura 1.11a; se indichiamo con ia′ l’intensità della corrente
elettrica ottenuta orientando Sa con una freccia uscente dalla superficie limite,
Figura 1.11c si ha
dQl
ia + ib = , (41)
dt
dove Qt è la carica elettrica netta che istante per istante si trova all’interno del
componente. In condizioni stazionarie abbiamo
dQl
<< ia ≅ ib . (43)
dt
Questa è un’altra condizione che deve essere verificata affinché sia valido il
modello circuitale. Se essa è verificata abbiamo
ib′ ≅ ia . (44)
Tensione elettrica
+ −
a a a
A A A
γ γ γ∗ γ′
v v′
B B B
b b b
− +
(a) (b) (c)
Fig. 1.12 (a), (c) Componente con due terminali con diversi versi di riferimenti per le
tensioni; (b) due possibili cammini esterni alla superficie limite.
La tensione vγ non varia al variare del punto A lungo il terminale “a” e del
punto B lungo il terminale “b”, perché il campo elettrico nei terminali si può
ritenere praticamente nullo.
35
Si consideri, ora, un’altra curva γ ∗ orientata che parte dal punto A e termina
nel punto B , sempre esterna alla superficie limite del componente, Figura
1.12a. Sia vγ ∗ la tensione lungo γ ∗ .
Il funzionamento di un componente con due terminali è, allora, caratterizzato
da tante tensioni elettriche (una per ciascuna linea esterna al componente che
collega i due terminali) tutte diverse tra di loro? La risposta è no e ora vedremo
perché.
Si consideri la linea chiusa Γ ottenuta dall’unione delle linee aperte γ e γ ∗ , e
si orienti Γ concordemente con l’orientazione di γ ; si ha l’identità
∫ E ⋅ dl = ∫ E ⋅ dl − ∫
Γ γ γ∗
E ⋅ dl = vγ − vγ ∗ . (45)
dφΓ
vγ − vγ ∗ = − , (46)
dt
vγ = vγ ∗ . (47)
dφ Γ
<< vγ ≅ vγ ∗ . (48)
dt
36
Questa è ancora un’altra condizione, che si aggiunge alle (35) e (43), che deve
essere verificata affinché siano trascurabili gli errori introdotti dalle
approssimazioni alla base del modello circuitale. Quando è verificata la (49)
abbiamo:
vγ ∗ ≅ vγ . (49)
a +
A
i
a +
i
γ
v v
b −
B
b −
(a) (b)
Fig. 1.13 (a) Componente con due terminali; (b) simbolo del bipolo
v ′ = −v . (50)
Bipoli
Queste due proprietà del “componente ideale” sono definite con precisione,
mentre nei componenti reali, che essi rappresentano, sono verificate
approssimativamente (sono verificate esattamente solo nel regime stazionario).
Per distinguerli da quelli reali, i componenti ideali con due terminali che
verificano le due proprietà innanzi enunciate saranno chiamati bipoli. In Figura
1.13 è illustrata la rappresentazione schematica di un generico bipolo. La
corrente i è la corrente nel terminale “a” del componente reale che il bipolo
rappresenta, con il verso di riferimento entrante nella superficie limite; il verso
di riferimento per la tensione v parte dal terminale “a” e punta verso il
terminale “b”.
38
a + a + a a
i i
v v v ′ = −v v ′ = −v
−i = i ′ −i = i ′
b − b − b b
(a) (b) (c) (d)
Fig. 1.14 (a) e (d) Convenzione dell'utilizzatore (o convenzione normale); (b) e (c)
convenzione del generatore.
Osservazione
Per ciascun bipolo, possono essere fatte due possibili scelte per il verso di
riferimento della corrente, e due per quello della tensione. In totale, ne
risultano quattro possibili combinazioni, così come è illustrato in Figura 1.14.
Come si vede nella Figura 1.14, le quattro possibilità (a, b, c, d) possono essere
raggruppate a due a due: nella (a) e nella (d) la freccia che indica il verso di
riferimento per la corrente parte dal terminale contrassegnato con il segno “ + ”
e punta verso il terminale contrassegnato con il segno “ − ”; nella (b) e nella (c)
la freccia che indica il verso di riferimento per la corrente parte dal terminale
39
Esempio
altri nodi). Facendo uso della definizione di intensità della corrente elettrica di
un bipolo si ottiene la relazione
dQ5
i4 − i5 − i6 = − , (51)
dt
dove Q5 è la carica elettrica netta addensata sulla giunzione tra i terminali dei
bipoli “4”, “5” e “6” corrispondente al nodo 5 . Ricordiamo che la giunzione è
realizzata con lo stesso materiale conduttore con cui sono realizzati i terminali.
La carica nasce perché la giunzione è immersa nel campo elettrico che pervade
il circuito.
La corrente i4 compare con il segno positivo perché il suo verso di riferimento
è uscente dal nodo 5 , mentre le correnti i5 e i6 compaiono con il segno
negativo nella somma a primo membro della (51) perché i loro versi di
riferimento sono entranti nel nodo 5 .
In condizioni stazionarie abbiamo
i4 − i5 − i6 = 0 . (52)
dQ5
<< i4 ≅ i5 ≅ i6 . (53)
dt
Questa, insieme a quella che illustreremo tra poco, è una delle approssimazioni
fondamentali che sono alla base del modello circuitale; essa si aggiunge a quelle
descritte dalle relazioni (35), (43) e (48). Quando la (53) è verificata si ha
i4 − i5 − i6 ≅ 0. (54)
42
∑ (±)i
k k ≅ 0. (55)
In ogni nodo la somma algebrica delle correnti è istante per istante uguale a
zero, cioè
∑ k (± )ik (t ) = 0 . (56)
dφ1
−v1 − v2 − v3 + v 4 + v 6 = − , (57)
dt
+ v6
1 5 5
6
+ + + −
v1 1 M1 v4 4 v4 4 M2 5 v5
− 3 − − +
2 3
2 4 4
+ v2 + v3
+ v6
1 5
6
+ −
v1 1 M1 5 v5
− 3 +
2 3
2 4
+ v2 + v3
−v1 − v2 − v3 + v 4 + v 6 = 0 . (58)
dΦ
<< v1 ≈ v 2 ≈ v3 ≈ v4 ≈ v6 . (59)
dt
−v1 − v2 − v3 + v 4 + v 6 ≅ 0 .
∑ (±)v
k k ≅ 0. (60)
In ogni maglia la somma algebrica delle tensioni è istante per istante uguale a
zero, cioè
∑ k (± )v k (t ) = 0 . (61)
Nella (61) intervengono con lo stesso segno le tensioni i cui versi di riferimento
sono concordi con il verso di percorrenza scelto, arbitrariamente, per la maglia,
e con il segno contrario le tensioni con versi di riferimento opposti. Ad
esempio, la tensione vh deve essere sommata con il segno + se il suo verso di
riferimento è concorde con il verso di percorrenza della maglia, e con il segno
− se è discorde. Possiamo fare anche la scelta opposta, cioè sommare con il
segno + le tensioni che hanno il verso di riferimento discorde con il verso di
percorrenza della maglia e con il segno − le tensioni che hanno il verso di
riferimento concorde con la maglia. Ciò è conseguenza del fatto che
46
Esempio
v2 v3
v1 + v2 − v3 − v4 = 0
ovvero
−v1 − v2 + v3 + v 4 = 0
v1 v4
A differenza delle relazioni (55) e (60), le leggi di Kirchhoff sono definite con
precisione, perché descrivono il funzionamento di un circuito idealizzato, il
circuito di bipoli. Esse costituiscono le due (e sole) leggi fondamentali della
Teoria dei Circuiti. Le leggi di Kirchhoff descrivono le interazioni tra i diversi
componenti del circuito. Esse non dipendono né dalla natura, né dalle posizioni
spaziali relative dei componenti, ma solo dal modo in cui essi sono connessi.
Dunque la condizione (b) discussa nel § 1.2 è ampiamente verificata quando lo
sono le leggi di Kirchhoff.
Le (56) e (61) vanno anche sotto il nome di prima legge di Kirchhoff e seconda
legge di Kirchhoff, rispettivamente. Le equazioni che si ottengono applicando le
leggi di Kirchhoff prendono il nome di equazioni di Kirchhoff.
Il modello circuitale rappresenta una buona approssimazione del circuito fisico
se valgono le limitazioni (35), (43), (48), (53) e (59). A questo punto siamo in
grado di stabilire con precisione cosa intendiamo per “condizione di
funzionamento lentamente variabile”. Diciamo che il circuito è in condizioni di
funzionamento lentamente variabili se sono verificate tutte le suddette
condizioni. I componenti e i circuiti sono nella maggior parte dei casi progettati
in maniera tale che in condizioni di funzionamento nominali le condizioni (35),
(43), (48), (53) e (59) sono sempre verificate con un ampio margine.
47
Osservazione
Le tensioni e le correnti di un dato circuito non possono variare nel tempo con
una velocità qualsiasi ed essere ancora verificate le leggi di Kirchhoff e le altre
condizioni che sono alla base del concetto di bipolo. Come già abbiamo
commentato nel precedente paragrafo, dove è stato introdotto il concetto di
bipolo, il modello circuitale è corretto solo se le pulsazioni (frequenze) che
caratterizzano il contenuto armonico delle variabili circuitali (correnti e
tensioni) non superano certi valori che sono proprie del circuito. Come già
abbiamo osservato il calcolo di queste pulsazioni è estremamente complesso,
richiede tecniche matematiche e numeriche molto avanzate e può essere fatto
solo specificando in dettaglio il circuito in esame. Tuttavia è possibile stimare
in maniera semplice un limite superiore che se superato mette in crisi l’intero
modello circuitale.
Il modello circuitale, che si basa sulle condizioni (35), (43), (48), (53) e (59),
non è in grado di prevedere il fenomeno della propagazione elettromagnetica.
Le condizioni (35), (43) e (53) equivalgono a trascurare gli effetti della
corrente di spostamento e le approssimazioni (48) e (59) equivalgono a
trascurare il fenomeno dell’induzione elettromagnetica. Di conseguenza non è
possibile attraverso il modello circuitale descrivere il fenomeno della
propagazione per onde.
In quali condizioni non sono trascurabili gli effetti della propagazione in un
dato circuito? Si intuisce che certamente non è possibile trascurare gli effetti
della propagazione se il ritardo temporale caratteristico (più grande) introdotto
dalla velocità finita della propagazione per onde elettromagnetiche è più grande
o confrontabile con l’intervallo di tempo caratteristico (più piccolo), Tc , in cui
le tensioni e le correnti variano in modo apprezzabile. Il tempo di ritardo
caratteristico più grande dovuto al valore finito della velocità di propagazione
può essere stimato come
Lc (62)
trc ≈ ,
c
1
Tc ≈ , (63)
fc
Lc 1 c
trc ≈ ≥ Tc ≈ ovvero fc ≥ . (64a)
c fc Lc
1 L c
Tc ≈ >> trc ≈ c , ovvero fc << (64b)
fc c Lc
ovvero
c
λc = >> Lc . (65)
fc
nodo 1 : i1 + i6 = 0,
nodo 2 : − i1 + i 2 = 0,
nodo 3 : − i2 + i3 = 0, (66)
nodo 4 : − i3 − i4 + i5 = 0,
nodo 5 : i4 − i5 − i6 = 0.
M1 : v1 + v2 + v3 − v4 − v6 = 0,
M2 : v4 + v5 = 0, (67)
M3 : v1 + v2 + v3 + v5 − v6 = 0.
Le equazioni dei sistemi (66) e (67) non sono tutte indipendenti (una analisi per
ispezione diretta mostra che, è possibile estrarre solo sei equazioni indipendenti,
quattro dal sistema (66) e due dal sistema (67)); questo argomento verrà trattato
ampiamente in seguito.
In un circuito con 6 bipoli le grandezze elettriche da determinare sono le sei
correnti i1 ,...,i6 e le sei tensioni v1,...,v6 , quindi le incognite sono dodici. Il
sistema di equazioni (66) e (67) contiene solo sei equazioni indipendenti, quindi
non è sufficiente a determinare la soluzione del circuito, perché le incognite
sono 12. Di conseguenza, per ottenere un sistema chiuso e ben posto abbiamo
bisogno di altre sei equazioni tra loro indipendenti e indipendenti anche da
quelle ottenute tramite le leggi di Kirchhoff. Le equazioni che mancano sono le
sei equazioni che descrivono il funzionamento dei singoli bipoli, cioè le
relazioni caratteristiche dei sei bipoli.
50
ˆ (t;t + T ) = −w (t;t + T ) .
w (68)
[w ] = J . (69)
Il rapporto
w(t;t + T )
P(t;T ) = (70)
T
quindi
dw (t0 ;t )
p(t ) = . (74)
dt
[ p] = W . (75)
dove, ora, i versi di riferimento della tensione e della corrente sono stati scelti
in accordo alla convenzione del generatore (Figura 1.14b e 1.14c).
La dimostrazione della relazione (76) (o (77)) richiede strumenti e teorie
avanzate che saranno oggetto di corsi della laurea specialistica. Noi, nel
prossimo paragrafo, ci limiteremo solo a verificarla per alcuni bipoli dei quali
conosciamo le proprietà energetiche dal corso di Fisica.
Le potenze elettriche assorbite dagli elementi di un circuito si conservano.
Dimostreremo questa importante proprietà nel prossimo Capitolo.
Si ha
1 J = 1 W ⋅1 s e 1 W = 1 V ⋅1 A . (78)
Osservazione
elettrica di quella assorbita. I bipoli (così come tutti gli altri elementi circuitali)
vengono classificati in due tipi: bipoli attivi e bipoli passivi, a seconda se
possono erogare più energia elettrica di quella assorbita in precedenza o
possono erogare una quantità limitata di energia elettrica che non può superare
mai quella assorbita in precedenza.
Un bipolo si dice passivo se, per ogni condizione di funzionamento, non può
erogare più energia elettrica di quanto ne abbia assorbita in precedenza. Se
esiste almeno una condizione di funzionamento in cui il bipolo eroga più
energia elettrica di quanto ne abbia assorbita in precedenza, allora si dice che
esso è attivo.
♦
Spesso nel linguaggio tecnico si fa uso dello stesso termine per indicare sia il
componente che concretamente realizza una certa relazione caratteristica, sia il
componente “ideale” che ritroviamo negli schemi circuitali. Naturalmente,
mentre nel primo caso, la relazione caratteristica è da intendersi come
approssimazione che descrive in maniera soddisfacente il comportamento del
componente in certe condizioni di funzionamento, nel secondo caso essa è la
legge esatta che descrive il comportamento di un componente ideale
opportunamente estrapolato da quello reale. Anche se questa ambiguità di
linguaggio non può comportare confusione, in quanto sono sempre ben chiari i
limiti del modello entro cui si intende operare, è importante mentre si sta
costruendo una teoria operare la distinzione tra il componente fisico e il
componente ideale che lo rappresenta nel modello che si sta costruendo. Per
questa ragione useremo per indicare il componente ideale il termine elemento
circuitale.
L’elemento circuitale è solo un modello e ogni modello costituisce una
approssimazione. A seconda dell’applicazione, lo stesso componente può essere
rappresentato da diversi elementi circuitali. Il modello di un componente può
essere, in generale, anche un oggetto complesso costituito da più elementi
54
v = Ri , (79)
[ R] = Ω . (80)
55
Si ha
1 Ω = 1 V /1 A . (81)
Per un resistore lineare, il valore della resistenza è indipendente dal valore della
corrente e della tensione applicate; essa dipende solo dalla costituzione fisica del
componente che esso descrive, ad esempio, dalla resistività del materiale e dalle
dimensioni del conduttore se si tratta del modello di un resistore ohmico.
i +
α
R v
i
−
(a) (b)
Fig. 1.17 (a) simbolo del resistore lineare e (b) relativa curva caratteristica.
La relazione (1) è una relazione lineare 6. Essa non sarebbe lineare se vi fosse
anche un termine additivo costante. In conseguenza di ciò la curva caratteristica
del resistore è una retta passante per l’origine; la tangente dell’angolo che
questa retta forma con l’asse delle ascisse è uguale alla resistenza elettrica R ,
R = tgα ⋅1 Ω. Per R → 0 (corto circuito) la curva caratteristica del resistore
tende a coincidere con l’asse delle ascisse, mentre per R → ∞ (circuito aperto) la
curva caratteristica del resistore tende a coincidere con l’asse delle ordinate.
Il resistore lineare è un bipolo simmetrico perché la sua curva caratteristica è
simmetrica rispetto all’origine del piano (i, v ) : se si scambiano i terminali di un
resistore lineare il funzionamento del circuito in cui esso è inserito non cambia.
Se R è indipendente dal tempo il resistore si dice che è tempo invariante.
Il resistore lineare è controllato sia in tensione che in corrente, cioè per ogni
valore di tensione c’è un solo valore di corrente e viceversa.
1 (82)
G= .
R
i = Gv . (83)
[G ] = S . (84)
Si ha
1 S =1 Ω −1 . (85)
p = vi = Ri 2 = Gv 2 . (86)
Osservazione
l
R=η , (87)
A
dove η è la resistività del filo, A è l’area della sezione trasversale del filo e l è
la sua lunghezza. La resistività del filo, che nel sistema internazionale si misura
in Ω ⋅ m, è una costante che dipende dalla composizione del materiale e dalla
temperatura.
Il fatto che il componente resistore abbia una relazione caratteristica del tipo
(79) richiede che siano verificate delle condizioni abbastanza stringenti e che il
moto delle cariche nel dispositivo stesso sia regolato da leggi particolari. Non
stupisce, quindi, il fatto che un resistore reale si comporti come tale solo in un
determinato campo dei parametri che caratterizzano le sue condizioni fisiche.
Un parametro fisico che, per esempio, condiziona il comportamento di un
resistore è la temperatura. Infatti, la resistività η di un materiale è, in generale,
dipendente dalla temperatura. In Figura 1.18 sono riportati andamenti tipici
della resistività in funzione della temperatura per due diversi materiali; come si
vede la resistività può sia aumentare che diminuire al crescere della
58
Fig. 1.18 Resistività del rame e della grafite in funzione della temperatura.
alla potenza che essi sono in grado di dissipare senza che il valore della
resistenza valichi i limiti della precisione garantita, o, al limite che il resistore
stesso si deteriori irreversibilmente. Naturalmente per consentire ad un resistore
di dissipare una maggiore potenza, mantenendo la sua temperatura entro limiti
accettabili, il metodo più semplice è quello di aumentare la superficie di
scambio con l’ambiente circostante, di modo che aumenti la quantità di calore
ceduta nell’unità di tempo. D’altra parte superfici più grandi comportano
volumi maggiori e quindi, in generale, la dimensione del resistore è indice della
sua capacità di dissipare potenza.
Un altro fattore che può influire sulle dimensioni di un resistore è la tensione di
lavoro per cui esso è costruito. Questo parametro è particolarmente significativo
per resistori progettati per elevate tensioni. Fino ad ora abbiamo implicitamente
assunto il resistore immerso in un mezzo isolante di modo che il moto delle
cariche fosse obbligato a svilupparsi esclusivamente attraverso il resistore
stesso. In effetti qualsiasi mezzo isolante si comporta come tale solo se la forza
dovuta al campo elettrico che agisce sulle cariche in esso presenti - si pensi alla
sua struttura molecolare e atomica - non supera determinati limiti. Per valori di
campo elettrico troppo elevati l’isolante perde le sue caratteristiche, si sviluppa
una “scarica” al suo interno ed il passaggio di cariche non è più interdetto. Il
campo di “breakdown” al di sopra del quale si sviluppa la scarica dipende in
modo significativo dalle condizioni fisico - chimiche del mezzo (composizione,
umidità, temperatura, etc.); per l’aria, ad esempio, in condizioni normali il
campo di breakdown è di circa 25 kV / cm . Di conseguenza le dimensioni del
resistore devono essere tali da garantire che, per i valori di tensione per cui esso
è progettato, in nessun punto dell’isolante in cui è immerso può essere superato
il campo di breakdown. Come si diceva questo fattore è particolarmente
importante per i resistori per alte tensioni.
In generale tutte queste caratteristiche dipendono dal modo in cui il resistore è
realizzato. Da questo punto di vista una classificazione a grandi linee può essere
la seguente: resistori a filo avvolto, resistori a lamine, resistori a film sottile,
resistori a strato e resistori massivi. Le caratteristiche specifiche di ognuna di
queste classi dipendono, naturalmente, dalle diverse tecnologie impiegate per la
loro realizzazione e non saranno ulteriormente approfondite in questo articolo.
Esistono numerosi manuali che affrontano in dettaglio questi argomenti.
Un’altra classificazione utile è quella che vede i resistori distinti in due classi:
resistori fissi e resistori variabili o potenziometri. Nella prima classe possiamo
distinguerli in: resistori a bassa potenza - tipicamente da 0,05 a 2 W -, resistori
60
v = e(t ) . (88)
Fig. 1.19 (a) simbolo del generatore indipendente di tensione e (b) relativa curva
caratteristica; (c) simbolo del generatore ideale di corrente e (d) relativa curva
caratteristica.
61
p = ei . (89)
i = j (t ) . (90)
p = vj . (91)
+
i
e(t ) R j (t ) R v
−
(a) (b)
e(t ) (92)
i( t) = .
R
e 2 (t ) (93)
p(t ) = ;
R
essa coincide con la potenza erogata dal generatore di tensione. Il lettore risolva
il circuito semplice illustrato in Figura 1.20b.
v v
+ +
i i=0
v =0 v
i i
− −
Fig. 1.21 (a) simbolo del corto circuito e (b) relativa curva caratteristica; (c) simbolo del
circuito aperto e (d) relativa curva caratteristica.
cioè per qualsiasi valore della tensione v la corrente che in esso circola è nulla.
Un tale bipolo si potrebbe realizzare frapponendo tra i terminali un materiale
perfettamente “non conduttore”, cioè un isolante ideale. Per questo motivo il
bipolo prende il nome di “circuito aperto”. Il simbolo del bipolo circuito aperto
è illustrato in Figura 1.21c e la sua curva caratteristica in Figura 1.21d. Si
osservi che la caratteristica di un generatore ideale di corrente coincide con
quella del circuito aperto quando la corrente j = 0, cioè quando il generatore è
spento.
Il corto circuito è controllato soltanto in corrente e l’unico valore ammissibile
di tensione è v = 0, mentre il circuito aperto è controllato soltanto in tensione e
l’unico valore ammissibile di corrente è i = 0 ; entrambi questi bipoli verificano
la proprietà di linearità.
Le potenze elettriche assorbite da un corto circuito e da un circuito aperto sono
entrambe uguali a zero.
1.8.4 Interruttore
+ +
i i
v v
− −
(a) (b)
Fig. 1.22 (a) Interruttore aperto e (b) interruttore chiuso.
+
v
−
Fig. 1.23 Interruttore periodico.
I resistori non lineari sono bipoli statici che hanno una relazione caratteristica
espressa da una relazione algebrica non lineare. Il simbolo di un generico
resistore non lineare (e non simmetrico) è rappresentato in Figura 1.24.
+
i
−
Fig. 1.24 Simbolo di un generico resistore non lineare non simmetrico.
66
Esistono molti tipi di resistori non lineari. Siccome l’analisi dei circuiti non
lineari si allontana dal nostro principale obiettivo, qui ci limiteremo solo a
descrivere due esempi molto importanti.
Un esempio tipico di resistore non lineare è il diodo a giunzione pn. In Figura
1.25a è riportato il simbolo e in Figura 1.25b è riportata, qualitativamente, la
curva caratteristica. Questo bipolo statico è non lineare, non simmetrico, tempo
invariante, controllato sia in tensione che in corrente. Esso rappresenta il
dispositivi fisico diodo a giunzione pn nel funzionamento lentamente variabile.
+
v
+
v
Fig. 1.25 (a) Simbolo del diodo tunnel e (b) curva caratteristica.
Il diodo tunnel è il bipolo statico non lineare descritto dalla curva caratteristica
rappresentata in Figura 1.25b; in Figura 1.25a è riportato il suo simbolo. Esso è
un esempio di bipolo controllabile solo in tensione. A differenza della curva
caratteristica del diodo pn, la curva caratteristica del diodo tunnel è non
monotona. Per i1 < i < i2 il bipolo non può essere controllato in corrente perché
esistono tre possibili valori di tensione che verificano la relazione costitutiva.
67
p = vi > 0 i i
p = vi > 0
p = vi < 0
(a) (b)
Fig. 1.27 (a) Curva caratteristica di un bipolo statico passivo e (b) di un bipolo statico
attivo.
Se la curva caratteristica del bipolo non lineare passa anche per il secondo o il
quarto quadrante, allora esistono condizioni di funzionamento in cui la potenza
assorbita dal bipolo è negativa, Figura 1.27b. In queste condizioni il bipolo
effettivamente erogare potenza elettrica e quindi può erogare, senza alcun
limite, energia elettrica al circuito a cui esso è collegato. Ciò significa che un
bipolo di questo tipo è attivo.
1.8.7 Condensatore
Q = Cv (95)
+
i
C v
v
−
(a) (b)
[C ] = F . (96)
Si ha
1 F = 1 C/1 V . (97)
69
dQ
i= , (98)
dt
o l’equazione integrale
dv
i=C . (100)
dt
v(t = 0) = V0 . (101)
1 t
C ∫0
v(t ) = i(τ )dτ + V0 . (102)
70
Da questa equazione è evidente che v(t ) dipende dalla storia della corrente
nell’intervallo (t0 , t) e dal valore iniziale della tensione. Per questa ragione si
dice che il condensatore è un bipolo a memoria, cioè il suo comportamento al
generico istante t dipende anche da ciò che è accaduto al suo interno negli
istanti precedenti. Invece il resistore non è un bipolo a memoria, perché la
tensione ad un generico istante dipende solo dal valore della corrente in
quell’istante e non dalla storia precedente. Attraverso la condizione iniziale
(101) si porta in conto l’influenza della storia del condensatore, precedente
all’istante iniziale t = 0 , sul suo comportamento nell’intervallo (0,t ) .
Si consideri, ora, la potenza assorbita dal condensatore lineare tempo-
invariante. Si ha
dv d Cv 2 dWe
p = vi = vC = = , (103)
dt dt 2 dt
dove
1 2
We (t ) = Cv (t ) . (104)
2
Sappiamo dal corso di Fisica che We (t) è proprio l’energia immagazzinata nel
condensatore all’istante t , associata al campo elettrico in esso presente. Essendo
C una grandezza definita positiva, l’energia immagazzinata è positiva.
L’energia assorbita dal condensatore nel generico intervallo (t0 , t) è data da
d Cv 2
w (t0 ,t ) = ∫t p(τ)dτ = ∫t dτ =We (t ) − We (t0 ).
t t
(105)
0 0 dτ 2
w ( t ∗ , t) = ∫
t
p(τ)dτ ≥ 0, (106)
t∗
Osservazione
Pur essendo il condensatore con capacità positiva passivo, perché non può
erogare più energia elettrica di quanta ne abbia assorbita in precedenza, si ha
che la potenza assorbita è positiva quando l’energia immagazzinata cresce ed è,
invece, negativa quando l’energia immagazzinata diminuisce. È una
caratteristica degli elementi conservativi il fatto che, pur essendo passivi,
possono erogare effettivamente potenza elettrica al circuito in cui sono inseriti,
ovviamente per un intervallo di tempo limitato
♦
A
C=ε , (107)
d
Osservazione
1.8.8 Induttore
Φ = Li (108)
i +
L v
i
−
(a) (b)
[ L] = H . (109)
Si ha
1 H = 1 Wb /1 A . (110)
74
dΦ
v= , (111)
dt
o l’equazione integrale
di
v=L . (113)
dt
i(t = 0) = I0 . (114)
1 t
L ∫0
i( t) = v(τ )dτ + I0 . (115)
75
Da questa equazione è evidente che i(t) dipende dalla storia della tensione
nell’intervallo (t0 , t) e dal valore iniziale della corrente.
Come il condensatore, l’induttore è un bipolo a memoria, cioè il suo
comportamento al generico istante t dipende anche da ciò che è accaduto al suo
interno negli istanti precedenti. Attraverso la condizione iniziale (113) si porta
in conto l’influenza della storia dell’induttore, precedente all’istante iniziale
t = 0 , sul suo comportamento nell’intervallo (0,t ) .
Si consideri, ora, la potenza assorbita da un induttore lineare tempo invariante.
Si ha
di d Li 2 dWm
p = vi = iL = = , (116)
dt dt 2 dt
dove
1 2
Wm (t ) = Li (t) . (117)
2
d Li 2
w (t0 ,t ) = ∫t p(τ)dτ = ∫t dτ =Wm (t) − Wm (t 0 ) .
t t
(118)
0 0 dτ 2
effettivamente fornita dal bipolo al resto del circuito. In ogni caso, però, se
l’induttore è inizialmente scarico l’energia assorbita è certamente positiva,
w (t, t0 ) = Li2 (t ) / 2.
Tutte queste considerazioni portano a conclusioni del tutto analoghe a quelle
che abbiamo già fatto per il condensatore:
• l’induttore lineare (tempo invariante), come il condensatore lineare (tempo
invariante), è in grado di assorbire o fornire energia elettrica;
• l’energia effettivamente assorbita è immagazzinata sotto forma di energia
associata al campo elettrico, a differenza di quanto accade nei resistori
passivi, nei quali tutta l’energia assorbita viene trasformata in calore;
• in ogni istante il livello della sua energia immagazzinata è pari a Li 2 (t ) / 2 ;
• l’energia che esso può erogare in un determinato intervallo non è mai
superiore a quella che ha assorbito nella storia precedente.
w ( t ∗ , t) = ∫
t
p(τ)dτ ≥ 0, (119)
t∗
Osservazione
Pur essendo l’induttore con induttanza positiva passivo, perché non può erogare
più energia elettrica di quanta ne abbia assorbita in precedenza, si ha che la
potenza assorbita è positiva quando l’energia immagazzinata cresce ed è,
invece, negativa quando l’energia immagazzinata diminuisce, analogamente a
quanto accade per il condensatore.
♦
N2S
L=µ , (120)
l
i = I0 sin(k 0 Φ) , (121)
78
Ri i i
+ +
ev v jcc Ri v
− −
(a) (b)
Fig. 1.31 Modelli di un (a) generatore reale di tensione e (b) di un generatore reale di
corrente.
v = −Ri i + ev , (122)
v i
ev jcc
perog < 0 perog > 0 perog < 0 perog > 0
ev / Ri i jcc Ri v
perog < 0 perog < 0
(a) (b)
Fig. 1.32 Curve caratteristica (concorde con la convenzione del generatore) del (a)
generatore reale di tensione e (b) del generatore reale di corrente; le rette
tratteggiate sono le curve caratteristiche dei rispettivi componenti considerati
ideali.
ev
i << , (123)
Ri
perog = vi = ev i − Ri i 2 . (124)
80