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Mercoledì, 29 Settembre 2010


Mercoledì 21 Dicembre 2005 17:01
La meditazione Kabbalistica
Pubblicato da Giorgio De Stefanis

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La meditazione Kabbalistica

(praticata nell'ebraismo)

La preghiera è l’espressione della volontà di entrare in relazione con la Sorgente della luce!

In ebraico, meditare si dice lehitboeded, verbo che deriva da badad, che significa “essere solo”.

La parola meditazione, hitbodent, ha molti significati tra cui “isolamento fisico” e “solitudine
interiore”.

Tuttavia l’uomo non è solo. Perché secondo la Kabbala (dall’ebraico, lekabel, che significa
“ricevere”) “dall’altra parte di questo vuoto dell’universo, Dio stesso prega”.

La mistica ebraica, la Kabbala, raccomanda, più che un’unione a Dio, una comunione con lui: essa
è tensione, cammino, itinerario dell’anima condotta da Dio. È ritorno alla sorgente della realtà, alla
vita della vita.

Infatti il kabbalista rifiuta ogni identificazione del Creatore con la creatura , considerandola come
una deificazione dell’uomo. Egli sa che la sua meditazione non è solitaria: la si pratica all’interno di
un gruppo di meditanti, questo almeno nella linea della tradizione.

Lungamente nascosta, a volte rifiutata, esiste una mistica meditativa ebrea (qabalah chél kavanot),
praticata presso gli hassidim (uomini pii) i cui primi circoli fiorirono in Germania nel XII secolo.

Più tardi, nel XVIII secolo fu sviluppata dall’hassidismo polacco di Baal Chem Tov.

Il rappresentante più conosciuto della meditazione Kabbalistica è rabbi Abraham Aboulafia (1240-
1292). Maestro spagnolo, creò un sistema di meditazione fondato sull’alfabeto ebraico.

Le 22 lettere dell’alfabeto ebraico vi sono considerate come delle vie reali verso la sorgente sacra
che è in noi.

Esse detengono le forze della creazione.

Il corpo è implicato nell’esperienza della meditazione. Poco importa la postura. Uno che è agli inizi
può usare anche la posizione coricato a terra, sul dorso.

Il meditante inizia con degli esercizi di respirazione preliminari simili a quelli della respirazione
yoga: inspirazione, ritenzione del respiro, espirazione. Anche qui l’espirazione deve durare almeno
il doppio dell’inspirazione.

Questa respirazione meditativa prosegue con un esercizio di vocalizzazione.

L’espirazione si accompagna con l’emissione di un suono, in generale una delle 10 vocali, che ha
come scopo di regolare la lentezza ed il ritmo del respiro producendo delle vibrazioni particolari.

Aboulafia utilizza soltanto 5 vocali: holam (O), qamats (A), hinq (I), tséré (E’), qoubouts (OU).

L’esercizio consiste nel fare 5 respirazioni mormorando ogni volta un suono differente dopo la
ritenzione del respiro. Bisogna concentrarsi sull’emozione che viene risvegliata dalla vocale.

Così il corpo è energetizzato, come le lettere che gli danno fondamento.

Nel pensiero ebraico il mondo non preesiste al linguaggio, si forma in lui e per mezzo di lui.

Sia che si tratti di una seduta di respirazione o di vocalizzazione dedicatele al massimo dieci minuti.

Per il kabbalista, prima di avere un senso, in lettera, “cavallo di fuoco”, è un grafismo. Private la
lettera della sua funzione di lettera che appartiene al linguaggio e consideratela soltanto come una
forma grafica.

Si produce allora un fatto decisivo: in presenza di questa lettera voi provate un sentimento
differente. Tutto comincia con il meravigliarsi.

Appaiono un’altra lingua, un senso vivo. Avete dato una nuova forma al vostro sguardo ed avete
rotto con la percezione classica.

Per alcuni Kabbalisti questo cambiamento di significato permetterebbe di percepire il brusio


dell’assoluto.
Di fronte alla nuova lettera, sfuggite ai significati stereotipi. L’uomo si inventa man mano che
inventa nuovi significati.

La meditazione ebraica è uno sforzo costante di emancipazione e di ritrovamento del sé.

Una tradizione ebrea tramanda che : “Ogni brano della Torah ha 600.000 volti, significati, secondo
il numero dei figli di Israele che si trovavano sul Sinai. Ogni volto è visibile soltanto per uno di
loro, rivolto verso lui solo, non può essere aperto che da lui.”

Aboulafia raccomanda vivamente di utilizzare le forme delle lettere come supporto della
meditazione: “Nella calma e nella penombra, prendete una penna, dell’inchiostro ed un foglio”.
Tracciate una serie completa di lettere dell’alfabeto ebraico e lasciatevi impregnare da esse. Scrivete
le lettere fino a poterle memorizzare.

Gli occhi chiusi, meditate visualizzando tutto ciò che quella lettera evoca per voi a livello
individuale e collettivo.

Occorre mettersi nella situazione mentale di aleph, bèt, guimel, ecc.

Potete praticare ciò da solo o in gruppo.

Se siete gruppo discutete tra voi le evocazioni risvegliate da queste lettere; se siete soli, annotatele
in un quaderno.

Quando si scopre l’esercizio, ci si concentra su una sola lettera (ed una sola vocale) per seduta.

In seguito fate la stessa cosa meditando sulle lettere del vostro nome ebreo, poi su quelli dei vostri
ascendenti, poi su quelli dei vostri figli in modo da iscrivervi in un valore temporale vivente che
riassume passato e futuro.

Per la tradizione ebraica non esiste futuro senza passato.

Non dedicate a questo più di due ore al giorno.

Questo esercizio sui nomi è un preliminare al lavoro sui nomi divini. L’uomo fonda la sua energia
sul nome di Dio.

I meditanti esperti consacreranno numerose sedute al nome di Dio.

L’uomo attinge la sua energia dal nome di Dio, il tetragramma YHVH (Yod-Hé-Vav-Hé), dal quale
derivano tutti gli altri nomi e parole, applicandovi le diverse tecniche di respirazione.

Attenzione bisogna dissociare la visualizzazione mentale dalle lettere della vocalizzazione: il


tetragramma, quattro consonanti senza vocale, è impronunciabile e non può essere vocalizzato.

È scritto, non per essere detto; ma può essere commentato, meditato, tradotto con altre lettere, con
altri nomi (Aboulafia).

Ma potete andare più lontano. In ebraico ogni lettera ha un valore numerico: la lingua è il risultato
di combinazioni infinite (così, per esempio, aleph vale 1, bét vale 2, vav vale 6, yod vale 10 ecc.)

Ogni associazione di lettere può divenire parola e numero.


L’analisi combinatoria praticata dai kabbalisti consiste nello scoprire e nello spiegare tutte le
combinazioni possibili. Il kabbalista erra all’interno di una parola: si parla di livello zero del senso.

“Il senso comune di una parola abita al pianterreno, si può salire e scendere il gradino di una
parola” (G. Bachelard).

Queste parole che non vogliono più dire nulla parlano per dire il nulla.

Il linguaggio diviene silenzio ugualmente potrà mettere in relazione ed interrogare filosoficamente


delle parole aventi pari valore numerico.

Si tratta di un punto di partenza mistico per il pensiero per aiutarlo ad andare “al di là del versetto”.

Gioco di destrezza di lettere,di cifre, di parole, queste combinazioni di lettere e di cifre sono un
esercizio preparatorio all’estasi, una delle scale dell’anima alla ricerca dell’Uno.

La pratica ne è progressiva ed orientata, per passare per balzi successivi da una sfera ad un’altra.

Permutando le lettere che compongono una parola, cercandone il valore numerico cambiando,
sostituendo, combinando, separando le parole e le cifre il kabbalista è trascinato in una lunga
meditazione che lo conduce al cuore dell’energia che risiede nelle lettere.

Per l’hassidismo, l’uomo non esiste, egli deve inventarsi ugualmente, i testi sacri, sempre nuovi,
debbono liberare per ogni scintilla spirituale, il suo potenziale di senso e di santità.

Perciò, dobbiamo educarci ad uscire da noi stessi, a superarci, ad iscriverci in un movimento


creatore.

La meditazione diviene allora un’arte di lettura e di interpretazione dei testi dove il linguaggio
esplode per introdurci maggiormente nell’infinito.

Fare

Non cercate di comprendere il testo, ma di comprendere voi stessi davanti al testo.

Lo studio dei testi: Bibbia, Talmud, Zohar è uno dei livelli più alti della meditazione. Senza di esso,
spirito e meditazione si disseccano.

NON FARE

Praticare la meditazione troppo in solitudine.

Cadere nella trappola del simbolismo delle lettere.

Ad ogni meditazione esse debbono avere un’interpretazione differente.

Fermarsi ad una sola interpretazione.


Continuare la meditazione anche se porta alla tristezza.

Ultima modifica Domenica 10 Gennaio 2010 09:36


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Giorgio De Stefanis
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Esperto di comunicazione e di Marketing.


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