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Gianluca Braschi

LEGISLAZIONE, ISTITUZIONI, ORGANIZZAZIONE ARCHIVISTICA


NEL PERIODO NAPOLEONICO IN ROMAGNA
Se ordinamento, descrizione archivistica e, di conseguenza, inventariazione di un
fondo (o, come si dice adesso, un ‘complesso documentario’) sono senza dubbio un progetto
culturale e come fasi o aspetti dello stesso devono essere trattate, una fase fondamentale e
preliminare al progetto stesso è senza dubbio la ricostruzione di quello che una volta era
chiamato molto semplicemente il “quadro normativo” ovvero delineare il contesto storico e
amministrativo in cui la documentazione è stata prodotta.
Se possiamo assimilare l’ordinamento/inventariazione di un fondo alla sintassi della
comunicazione archivistica e la descrizione alla semantica, dobbiamo concludere che la
formalizzazione del contesto è, per così, la pragmatica della comunicazione archivistica.
Superfluo aggiungere che se in archivistica “il contesto è tutto” la pragmatica da emarginata
non può che essere emergente nella pratica e nella teoria archivistiche.
La riflessione sul contesto è sempre stata fondamentale nel corso della storia
dell’archivistica ed ha spesso assunto l’aspetto forma della storia delle istituzioni e
nell’archivistica tradizionale è comparsa spesso nelle premesse storiche e storico-
istituzionali agli inventari redatti in forma più o meno discorsiva tipici dell’archivistica
dell’800 e della prima metà del ‘900.
Oggi la formalizzazione del contesto è tipicamente concentrata nell’Area 2 ovvero
l’Area delle Informazioni sul Contesto nella scheda ISAD(G) che, a sua volta, prevede quattro
campi:
2.1. Denominazione del/dei soggetto/i produttore/i
2.2. Storia istituzionale/amministrativa, nota biografica
2.3. Storia archivistica
2.4. Modalità di acquisizione o versamento
sono quattro campi fondamentali tipicamente di ricerca e non automatici che, insieme al
campo dell’Area 3
3.1. Ambiti e contenuti
costituiscono i campi “archivistici per eccellenza” la compilazione dei quali quant’altri mai
la competenza, l’impostazione e gli interessi dell’Archivista.
Inevitabilmente, poi, il capo 2.1 è il tipico punto di intersezione fra la scheda ISAD(G)
e la scheda ISAAR (CFP) ovvero lo standard per la descrizione dei Soggetti Produttori
(d’archivi). In modo abbastanza ovvio anche la scheda ISAAR (CFP) ha un’intera area (la 2:
Area della Descrizione) dedicata alla formalizzazione del contesto, che comprende ben 8
campi:
2.1 Date di esistenza
2.2 Storia
2.3 Luoghi
2.4 Condizione giuridica
2.5 Funzioni, occupazioni e attività
2.6 Mandato/Fonti normative
2.7 Struttura amministrativa/Genealogia
2.8 Contesto generale

C’è, poi, un nuovo standard descritto che amplia le potenzialità dell’ISAD e dell’ISAAR
ovvero l’ISDF (International Standard for Describing Functions) il cui obiettivo è costituire “una
linea guida per l’elaborazione di descrizioni di funzioni degli enti associati con la creazione e la
conservazione degli archivi”, perché giustamente “l’analisi delle funzioni degli enti è fondamentale
come base per molte attività di archiviazione. Generalmente le funzioni sono riconosciute essere più
stabili rispetto alle strutture amministrative, che spesso sono fuse o scisse durante le fasi di
riorganizzazione.”
La soluzione di “estrarre” le funzioni dall’ente e classificare gli enti secondo le loro
funzioni è particolarmente utile nel caso di enti che si articolano in unità territoriali o
circoscrizioni che applicano le stesse leggi, eseguono gli stessi atti, rispettano le stesse norme
ma in un ambito – per esempio territoriale – più ristretto come può essere il caso di province,
regioni, dipartimenti, comarche, diocesi, distretti e così via. È anche possibile e, forse, utile,
poi, raggruppare tutti gli enti prodotti da una stessa norma che declinano a livello
territoriale una stessa funzione in un gruppo omogeneo. Secondo questi criteri è forse il caso
di delineare la storia e la normativa del ‘dipartimento’ come entità amministrativa astratta
e di come sia stata concretamente realizzata e abbia funzionato negli anni 1797-1814 nel
periodo cosiddetto napoleonico o francese nell’Italia preunitaria.

LA NASCITA DEL DIPARTIMENTO IN FRANCIA

L’idea di organizzare il territorio


(nazionale) in dipartimenti è in realtà
antecedente alla Rivoluzione Francese, ma è
con la Rivoluzione Francese che la furia
giacobina volta alla distruzione di ogni
legame e diritto feudale ed ogni
particolarismo locale (sentito come
privilegio) spinge i legislatori a organizzare il
territorio secondo criteri e metodi il più
possibile uniformi. Si riporta ad esempio la
proposta di Sieyès avanzata all’Assemblea
Nazionale il 7 settembre 1789 di divisione del
territorio del Regno in 81 dipartimenti,
ciascuno dei quali (escluso quello di Parigi)
costituito da un quadrato di 18 leghe di lato.
È con la legge del 22 dicembre 1789 che, infine, sono creati i dipartimenti. Le Province
d’antico regime sono dissolte e divise in dipartimenti molto più piccoli, che, volutamente,
non tengono alcun conto dei legami feudali tra un luogo e l’altro e fra i tanti obiettivi hanno
anche quello di cambiare la toponomastica locale in modo di fare tabula rasa dell’ordine
preesistente: per i nomi si privilegiano, infatti, corsi d’acqua e montagne. I dipartimenti sono
85, ogni dipartimento è diviso in distretti, ogni distretto in cantoni. In seguito intercorsero
alcune modifiche (come la divisione della Corsica in due dipartimenti o la divisione in sette
dipartimenti della regione parigina), ma l’impalcatura amministrativa della Francia si può
dire che rispecchi ancora in buona parte quella divisione (oggi i dipartimenti sul suolo
francese sono 96).
Con la Loi du 28 pluviôse an VIII (17 febbraio 1800), tuttavia, Napoleone, allora Primo
Console della Repubblica Francese apportò la più importante delle modifiche: l’istituzione
del Prefetto (col Consiglio Generale di Dipartimento e il Consiglio di Prefettura),
rappresentante del Governo e massima autorità dello Stato a livello locale. Al momento
della sua massima estensione l’Impero Francese arrivò a contare 130 dipartimenti (e, di
conseguenza, 130 prefetti, fedeli esecutori dei suoi ordini, nominati dall’Imperatore). Anche
gli altri stati napoleonici (come il Regno d’Italia e il Regno di Napoli) adottarono lo stesso
modello amministrativo, disegnando la loro struttura amministrativa sul modello francese
per dipartimenti e prefetture.
IL DIPARTIMENTO IN ITALIA: LE ISTITUZIONI

Il periodo napoleonico in Italia e, di conseguenza ovviamente, in Romagna è


caratterizzato dal punto di vista politico e amministrativo da un’estrema mutevolezza e
plasticità. Occupato dalle armate francesi fin dal 1796 il territorio che andò, poi, a costituire
il Dipartimento del Rubicone, fu parte di diversi compagini statuali.
Se la prima entità politica a cui furono aggregate formalmente le città della Legazione
di Romagna sottratte al Papa col trattato di Tolentino fu la Repubblica Cispadana (23 dicembre
1796-29 giugno 1797), fu la Repubblica Cisalpina, istituita il 29 giugno 1797 con capitale Milano,
si estendeva per buona parte della Lombardia, dell’Emilia, la Romagna fino al Montefeltro.
Fu una “repubblica sorella” di breve vita che, dopo avere suscitato, grandissimi entusiasmi
in tutt’Italia finì per scontentare quasi tutti fino al rientro il 28 agosto 1799 degli Austriaci a
Milano e la ritirata delle truppe francesi dall’Italia dopo la battaglia di Novi, ma già dal 26
maggio 1799 gli Austriaci avevano occupato Ravenna e da lì rapidamente Cervia, Lugo,
Forlì, Cesena e Imola per puntare sul Bolognese.
Le leggi ‘francesi’ sono abolite e si occupa dell’amministrazione nei territori del
Dipartimento del Rubicone un Governo Austriaco di Romagna (11 giugno 1799 - 13 luglio 1800),
interrotto da un breve ritorno del Prefetto del Rubicone e, poi, una Regia Cesarea Reggenza di
Romagna (8 dicembre 1800 - 21 gennaio 1801) le cui carte, finite nella Collezione Spreti sono ora
presso l’Archivio di Stato di Ravenna dopo l’acquisto (29 voll. di bandi ed editti e varie).
L’occupazione austro-russa fu di breve durata se il 17 giugno 1800 Napoleone era di
nuovo a Milano e si occupava della riorganizzazione della seconda Repubblica Cisalpina (17
giugno 1800 - 26 gennaio 1802). La repubblica fu ricostituita dopo il Trattato di Lunéville del
9 febbraio 1801 che modificò ancora una volta completamente la carta politica dell’Italia.
La Cisalpina fu ripristinata e con due importanti annessioni: includeva ora i territori
della ex-Repubblica Veneta (sottratti al dominio austriaco a cui erano stati attribuiti col
trattato di Campoformio) fino all'Adige e togliendo allo Stato Pontificio la Marca di Ancona,
che andò ad aggiungersi alla Legazione di Romagna, già parte della Repubblica.
Così ingrandita la Cisalpina si trasmutò rapidamente in Repubblica Italiana (26 gennaio
1802-26 maggio 1805) adottando così tutte le riforme costituzionali imposte da Napoleone,
che avevano impresso allo Stato una forte evoluzione in senso autoritario. La Repubblica
Italiana, nata, per la verità in Francia, ai Comizi di Lione, dove si riunì la Consulta della
Repubblica Cisalpina ivi chiamata dal Primo Console Napoleone Bonaparte e a cui presero
parte i più begli ingegni e i più alti notabili della Repubblica (da Alessandro Volta, al Melzi
d’Eril, all’Aldini, dal Prina al Marescalchi, ma anche — per esempio — cardinali e
arcivescovi come quello di Ravenna Antonio Codronchi e quello di Cesena Carlo Bellisomi)
fu più che una ‘repubblica sorella’ della Repubblica Francese: fu unita in una sorta di unione
personale con quella Francese dal momento che Presidente di entrambe era Napoleone
Bonaparte.
Quando questi da Primo Console divenne Imperatore fu giocoforza da Presidente farsi
incoronare Re il 26 maggio 1805 a Milano dal Papa. Il Regno d’Italia (17 marzo 1805-26 aprile
1814) fu il più lungo e stabile degli stati napoleonici. L’Impero Francese, con cui era in
unione personale, si annetteva Parma, la Toscana e Roma e, poi, l’Istria e la Dalmazia ex-
veneziana (“Province Illiriche”) e confinava col Regno sia ad Occidente che ad Oriente. Oltre
a condividere il sovrano (Imperatore dei Francesi e Re d’Italia) aveva la stessa struttura
amministrativa, in buona parte le stesse leggi e soprattutto la stessa politica. Si riproponeva
(e non casualmente) la stessa situazione del periodo carolingio, quando Carlo Magno era
Imperatore e re d’Italia. Nonostante Napoleone abbia, poi, lasciato scritto che la divisione
della penisola in soli tre stati (Impero Francese, Regno d’Italia e Regno di Napoli) fosse nei
suoi progetti transitoria e avrebbe dovuto portare alla riunificazione dell’Italia, i fatti
dimostrano proprio il contrario: l’occupazione diretta di buona parte della Penisola e la
creazione delle Province Illiriche, destinate ad isolare il Regno da contatti esterni, indicano
al contrario una precisa volontà di subordinare completamente e per sempre il Regno
all’Impero, considerato di questo parte integrante.
Particolarmente travagliata in Romagna fu la fase di rientro sotto la giurisdizione dello
Stato Pontificio. Le Romagna (divisa, poi, nelle Legazioni di Forlì e di Ravenna) fa parte delle
Province cosiddette di seconda recupera insieme alle Marche, Ferrara e Bologna, in quanto
restituite al Governo Pontificio solo nel 1815 a differenza dei territori appartenenti
all'Impero (Umbria e Lazio) restituiti già nel 1814 e quindi di prima recupera: in pratica i
territori pontifici restituiti dal Regno d’Italia sono di seconda recupera, di prima quelli
restituiti dall’Impero Francese. Alla ritirata dei Francesi qui avvenuta prima che in
Lombardia succedette un Governo Provvisorio Austriaco con sede a Bologna rappresentato
Delegato di Governo del Rubicone (1813-18 luglio 1815) la cui amministrazione fu interrotta ben
due volte da un’effimera rioccupazione murattiana (febbraio-marzo 1814 e marzo-giugno
1815).
Grosso modo cronologicamente si può delineare un quadro riassuntivo come segue:

Repubblica Cispadana 1796 1797


Repubblica Cisalpina 1797 1799
Governo Provvisorio Austriaco di Romagna 1799 1800
Repubblica Cisalpina 1800 1800
Regia Cesarea Reggenza di Romagna 1800 1800
Repubblica Cisalpina 1800 1802
Repubblica Italiana 1802 1805
Regno d’Italia 1805 1814
Governo Provvisorio/Commissione (con Prefettura murattiana) 1814 1815

Praticamente 18 anni (interrotti due volte nel 1799-1800) di “governo francese” che
pongono fine a 300 anni di “governo pontificio” a cui seguono, comunque, dopo un anno di
transizione, altri 44 anni di restaurazione pontificia prima dell’unificazione italiana.
Se dal punto storico-politico o, se si vuole, dal punto di vista storico-amministrativo o
ancora di storia delle istituzioni questi 18 anni sono stati estremamente fluidi e creativi, i
continui aggiustamenti territoriali e di confini non mettono in ombra quella che è,
comunque, la maggiore innovazione del periodo: l’istituzione del dipartimento. L’idea di
base del dipartimento è quella della regolarità e uniformità della gestione del territorio. Il
fine è quello del livellamento delle differenze specifiche (tipiche del regime feudale) e delle
peculiarità locali. Il dipartimento nella sua concezione originaria intende a replicare a livello
locale e amministrativo le forme del governo a livello statale o nazionale. Il successo
dell’iniziativa è tale che la successiva restaurazione pontificia in Romagna rielabora
l’esperienza del Dipartimento trasformandolo in Governo Distrettuale e, assimilando, il
Governatore del Distretto al Prefetto, ma soprattutto sarà l’Amministrazione del Regno
d’Italia unitario dal 1861 in poi replicherà con precisione l’esperienza napoleonica con
l’istituzione delle Prefetture, disegnando una trama amministrativa territoriale tuttora
valida nella compagine statale odierna con pochissimi ritocchi (Provincia/Prefettura di
Isernia del 1970, le otto nuove Province/Prefetture del 1992: Biella, Crotone, Lecco, Lodi,
Prato, Rimini, Verbania e Vibo Valentia, le 4 nuove province della Sardegna nel 2002:
Carbonia-Iglesias, Medio Campidano, Ogliastra ed Olbia-Tempio).

IL “QUADRO NORMATIVO” IN ITALIA

Trascurando l’esperienza troppo breve e magmatica della Repubblica Cispadana i


Dipartimenti compaiono nella storia istituzionale italiana nella Costituzione della Repubblica
Cisalpina dell’8 luglio 1797 (20 messidoro, anno V). Il Titolo I della Costituzione è proprio
“Divisione del territorio” e l’art. 4 recita: “La repubblica cisalpina resta per ora divisa in
undici dipartimenti. Essi sono i seguenti:

1 Dell’Adda. Capoluogo, Lodi (alternata con Crema).


2 Delle Alpi Apuane. Capoluogo, Massa.
3 Del Crostolo. Capoluogo, Reggio.
4 Del Lario. Capoluogo, Como.
5 Della Montagna. Capoluogo, Lecco.
6 Dell’Olona. Capoluogo, Milano.
7 Del Panaro. Capoluogo, Modena.
8 Del Po. Capoluogo, Cremona.
9 Del Serio. Capoluogo, Bergamo.
10 Del Ticino. Capoluogo, Pavia.
11 Del Verbano. Capoluogo, Varese.”

L’art. 5 recita, poi: “I confini de’ dipartimenti possono essere mutati, o rettificati dal corpo
legislativo.” E l’art. 6 specifica: “Ciascun dipartimento è diviso in distretti, ciascun distretto
in comunità. Le comunità conservano la loro attuale circoscrizione. Il corpo legislativo potrà
nondimeno cambiarla”. Il Titolo VII, poi, è denominato “Corpi amministrativi e municipali”
e molto semplicemente all’art. 174 recita: “Vi sarà in ciascun dipartimento
un’amministrazione centrale, ed in ciascun distretto almeno un’amministrazione
municipale.” E l’art. 177 specifica: “Ciascuna amministrazione di dipartimento è composta
di cinque membri, e sarà rinnovata per quinto in tutti gli anni.”
Facile dedurre che l’idea è chiaramente quella di ricreare a livello di dipartimento la
struttura centrale: come a capo della Repubblica Cisalpina il potere esecutivo è esercitato da
un Direttorio (sul modello francese) di 5 membri, a capo di ogni dipartimento vi è
un’“Amministrazione Centrale” di 5 membri. Particolarmente interessante è l’art. 199: “Le
amministrazioni così del dipartimento che del distretto non possono tra loro corrispondere
che sopra gli affari loro indicati dalla legge, e non sugl’interessi generali della repubblica.”
Essenziale alla concezione del dipartimento (e della prefettura) è che il Prefetto (o qui
l’Amministrazione Centrale) sia l’unico accreditato a comunicare col Governo nazionale:
tutti gli agenti governativi sul territorio fanno a capo a lui. Il Prefetto è, pertanto, l’unico
organo a rilevanza esterna all’interno del Dipartimento. Questa è l’impostazione di base
dell’amministrazione di tipo francese (ancora abbastanza ben conservata in Francia), ma
abbandonata, per esempio, in buona parte nel sistema italiano, dove la proliferazione dei
centri decisionali territoriali produce un flusso di comunicazione amministrativa non
strettamente gerarchica e policentrica.
Il 3 novembre 1797 (13 brumaio anno VI) una nuova legge modifica il numero dei
dipartimenti (in seguito all’annessione definitiva delle Legazioni), portandoli a 12, ed elenca
anche per ciascuno di essi i relativi distretti. L’articolo unico recita: “La Repubblica è divisa
in 12 dipartimenti secondo le unite tabelle e cioè: Agogna, Lario, Olona, Serio, Mella, Alto
Po, Mincio, Crostolo, Panaro, Basso Po, Reno e Rubicone”. All’indomani del trattato di
Tolentino compare finalmente negli elenchi il dipartimento del Rubicone; il capoluogo è
Cesena ed è diviso in sei distretti: Faenza, Forlì, Ravenna, Cesena (capoluogo), Rimini e
Pesaro. Nelle tabelle successive sono elencati tutti i comuni del dipartimento e le località; gli
elenchi del Rubicone sono particolarmente dettagliati, nominando, per esempio, per Cesena
Ponte Abbadesse, Lizzano, Paderno etc. ovvero quelle che adesso sono semplici frazioni.
Il 1 settembre 1798 (15 fruttidoro anno VI), dato il notevole aumento di popolazione
e di territorio, al fine di determinare il numero di rappresentanti ai due Consigli (240
membri divisi in due assemblee di 160 e 80 membri) da eleggere in ogni dipartimento in
proporzione alla loro popolazione è pubblicato il seguente elenco:

1 Adda Lodi (e Crema 160.147 12


2 Alpi Apuane Massa Carrara 70.822 6
3 Alta Padusa Cento 96.552 6
4 Alto Po Cremona 204.825 15
5 Basso Po Ferrara 154.000 12
6 Benaco Desenzano 150.895 9
7 Crostolo Reggio 172.587 12
8 Lamone Faenza 175.000 12
9 Lario Como 137.264 12
10 Mela Brescia 190.686 15
11 Mincio Mantova 123.649 9
12 Montagna Lecco 160.042 12
13 Olona Milano 193.819 15
14 Panaro Modena 211.448 15
15 Reno Bologna 199.309 15
16 Rubicone Rimini 150.000 12
17 Serio Bergamo 195.803 15
18 Ticino Pavia 156.472 12
19 Adda e Olio (da fissarsi) 169.410 12
20 Verbano Verese 166.842 12

3.239.572 240

La rilevazione è di estremo interesse, perché finalmente ci fornisce dati statistici


precisi sull’andamento demografico della popolazione Italiana del periodo. Il Dipartimento
con 150.000 elegge 12 rappresentanti al Gran Consiglio e ha come capoluogo Rimini.
Il 13 maggio 1801 con la legge 23 fiorile anno IX si determina che “la Repubblica è
divisa in dodici Dipartimenti secondo le unite tabelle, cioè: Agogna, Lario, Olona, Serio,
Alto Po, Mincio, Crostolo, Panaro, Basso Po, Reno, Rubicone” e il Dipartimento del
Rubicone (di nuovo con capoluogo Cesena) è diviso in sei distretti: Cesena, Forlì, Faenza,
Ravenna, Rimini, Pesaro. L’incertezza nella determinazione del capoluogo fra Forlì, Cesena
e Rimini sta ad indicare da una parte il sostanziale equilibrio in termini demografici ed
importanza fra le tre città, dall’altra l’affannosa ricerca di un vero baricentro geografico e
politico.
La vera legge fondamentale è il decreto della Repubblica Italiana del 6 maggio 1802
che istituisce le Prefetti e Prefetture e fa assumere all’amministrazione napoleonica in Italia
l’aspetto e la struttura per i quali è maggiormente nota. L’innovazione dovuta
all’introduzione della figura e della funzione del Prefetto ebbe talmente successo da essere
ripresa dallo stato unitario nel 1861 e da durare, pur con le dovute differenze, ancora oggi.
Il preambolo del Decreto (“Considerando che la pubblica amministrazione nei
Dipartimenti è notabilmente ineguale nei metodi e nelle competenze delle Autorità che li
presiedono”) contiene in nuce già tutto il bagaglio ideologico della politica napoleonica come
prima in Francia ora in Italia: il livellamento di ogni differenza e particolarità locale volto
ad assicurare un controllo pieno e incontrastato del territorio. L’istituzione delle Prefetture
imprime una svolta importante nell’azione di governo verso un certo regime di polizia (le
attribuzioni del Prefetto sono molto importanti in tale ambito) che tanto successo avrà per
esempio negli Stati e negli Ordinamenti politici della Restaurazione. Anche per questo,
forse, si nota una certa continuità negli istituti e nelle forme fra il Regime napoleonico e in
quello della Restaurazione che in questo assomiglia di più al suo diretto predecessore che
agli Antichi Regimi a cui dovrebbe più propriamente ispirarsi.
L’art. 1 del Decreto recita, infatti: “In tutti i Dipartimenti della Repubblica vi è una
Prefettura composta da un Prefetto e di due Luogotenenti con voto consultivo: l’uno
destinato alle ispezioni amministrative, l’altro alle legali e di polizia. Essa ha
provvisoriamente la sua residenza nei luoghi indicati in calce del presente decreto”.
Altrettanto notevole è l’istituzione all’art. 2 delle viceprefetture: “Nei Distretti pure indicati
qui sotto vi è un Viceprefetto, che nel rispettivo Circondario esercita le funzioni del Prefetto
sotto la direzione generale del medesimo”.
Sono istituiti altresì un Consiglio di Prefettura di 7 o 5 membri (art. 5) incaricati di
coadiuvare il Prefetto e un Consiglio Dipartimentale (art. 6) di 21 membri (“incaricato di ciò
che riguarda direttamente gli interessi generali del Dipartimento”) che si riunisce una volta
all’anno e determina l’imposta dipartimentale: si intravvedono in formazione le strutture di
un’Amministrazione Provinciale col Presidente, la Giunta e il Consiglio.
L’art. 8 è, poi, chiarissimo: “Prefetture e Vice Prefetture sono specialmente incaricate
di vegliare sull’osservanza delle leggi, degli ordini e regolamenti e di procurarne la piena
esecuzione. I Prefetti e Vice Prefetti nell’esercizio delle loro funzioni prendono norma dalle
particolari istruzioni che sono loro comunicate dal Governo”.
La sistemazione definitiva, però, e — oseremmo dire — la consacrazione
dell’ordinamento per Dipartimenti/Prefetture dopo la proclamazione del Regno d’Italia
avviene col Decreto n° 146 dell’8 giugno 1805.
Molto semplicemente l’art. 1 recita: “Il Regno è diviso in Dipartimenti, in Distretti, in
Cantoni ed in Comuni secondo la Tabella unita al presente decreto”. Le tabelle allegate sono
precise e chiare e riportano dettagliatamente tutte le suddivisioni amministrative e le
località col rispettivo numero di abitanti e con riepiloghi finali. Il Dipartimento del Rubicone
ha finalmente (e definitivamente) Forlì come capoluogo. Ha perso il territorio del
Montefeltro e del Pesarese (restituiti allo Stato della Chiesa) e ciò spiega, forse, perché il
baricentro sia arretrato sulla via Emilia in direzione di Bologna. Da notare che in tutte queste
oscillazioni in aperto contrasto con l’amministrazione pontifica della Legazione Ravenna
non sia mai stata presa in considerazione.
Il riepilogo finale della dettagliata tabella suddivisa in Distretti, Cantoni e Comuni
relativa al Rubicone riporta questi dati distinti per Distretti/Viceprefetture:

1 Distretto di Forlì 47.218


2 Distretto di Cesena 50.500
3 Distretto di Rimini 56.074
4 Distretto di Ravenna 48.834
5 Distretto di Faenza 54.097

256.723
da cui si evince che la scelta del capoluogo chiaramente non era determinata affatto dalla
popolazione, ma dalla posizione geografica ‘baricentrica’ di Forlì; anzi, proprio Forlì e
Ravenna sono i distretti meno popolosi, mentre Cesena è più popolosa di Forlì e Ravenna e
Faenza ha ceduto per la prima volta il primato fra le città della Romagna a Rimini.
Il decreto, il cui dettato legislativo, è finalmente chiaro e limpido descrive
minuziosamente la ripartizione territoriale del Regno, elenca composizioni e attribuzioni di
Prefetti, Vice Prefetti, Consigli di Prefettura e di Dipartimento, stabilendone composizione
e struttura. Stabilisce altresì compensi ed indennità dei Funzionari, organizza le
circoscrizioni giudiziarie e di polizia. Si tratta di un testo definitivo che rimarrà in vigore
fino alla caduta del Regno di Italia e le cui modifiche dipendono solamente dall’istituzione
di nuovi dipartimenti a mano a mano che le conquiste napoleoniche ampliano il territorio
del Regno (e dell’Impero) a spese soprattutto degli Stati preunitari superstiti e dell’Impero
d’Austria.
Se nel 1805 i Dipartimenti, mutuati dalla Repubblica Italiana sono:
1 Adda (capoluogo: Sondrio)
2 Adige (capoluogo: Verona)
3 Agogna (capoluogo: Novara)
4 Alto Po (capoluogo: Cremona)
5 Basso Po (capoluogo: Ferrara)
6 Crostolo (capoluogo: Reggio nell'Emilia)
7 Lario (capoluogo: Como)
8 Mella (capoluogo: Brescia)
9 Mincio (capoluogo: Mantova)
10 Olona (capoluogo: Milano)
11 Panaro (capoluogo: Modena)
12 Reno (capoluogo: Bologna)
13 Rubicone (capoluogo: Forlì)
14 Serio (capoluogo: Bergamo).

già l’anno dopo nel 1806, con la pace di Presburgo del 26 dicembre 1805, l'Austria cede
Gorizia e la Provincia Veneta (che aveva acquisito con la pace di Campoformio). Vengono
costituiti altri sette nuovi dipartimenti, portando il totale a ventuno:

15 Adriatico (capoluogo: Venezia)


16 Bacchiglione (capoluogo: Vicenza)
17 Brenta (capoluogo: Padova)
18 Istria (capoluogo: Capo d'Istria)
19 Passariano (capoluogo: Udine)
20 Piave (capoluogo: Belluno)
21 Tagliamento (capoluogo: Treviso)

Nel 1809, però, il Dipartimento d’Istria, che comprendeva i territori già veneziani
dell’Istria e della Dalmazia a prevalente popolazione italiana, ma anche i territori dell’ex-
Repubblica di Ragusa (per la prima e unica volta riuniti all’Italia) viene perso. Va a costituire
con altri territori sottratti all’Impero d’Austria le cosiddette Province Illiriche, che sono
annesse all’Impero Francese.
Sempre nel 1809 dopo l’ennesima soppressione dello Stato della Chiesa, spartito fra
Impero Francese e Regno di Italia nel 1808, le Marche sono annesse al Regno. Sono, pertanto,
aggiunti altri tre dipartimenti:

21 Metauro (capoluogo: Ancona)


22 Musone (capoluogo: Macerata)
23 Tronto (capoluogo: Fermo).

Sempre nell’ottica dell’inesausta pulsione all’aggiustamento e assestamento di confini


che contraddistingue l’operato politico (e militare) di Napoleone nel maggio 1810 il Regno
d'Italia ottiene dalla Francia, come compensazione per il passaggio dell'Istria alle Province
illiriche, i territori sottratti al Regno di Baviera (pur alleato di Napoleone) del Circolo
all'Adige e porzioni del Circolo all'Eisack (Isarco), costituendo un nuovo dipartimento:

24 Alto Adige (capoluogo: Trento).


Mentre paradossalmente nell’ottica napoleonica l’idea sottostante era la riproposizioni
in termini moderni dell’impero europeo di Carlo Magno, con le riforme di Napoleone in
Italia prende corpo quella forma istituzionale e amministrativa dell’Italia che (pur ancora
divisa fra Nord e Sud, fra Impero e Regno) sarà alla base di molti degli sviluppi storici
successivi e la cui ricostituzione sarà, in fondo, allala base della tensione ideale del
Risorgimento e della sua epopea.
Un altro effetto, forse, meno paradossale, ma più evidente è la continuità dello schema
dipartimentale/prefettizio/provinciale nella storia amministravi di Italia che farà sì che gli
archivi dei Dipartimenti (e delle Prefetture) napoleonici andranno a costituire la “base
documentaria” originale degli Archivi di Stato Italiani la cui organizzazione (attuale) è
ancora fortemente determinata ed esemplata su quello stesso schema.

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