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cielo di cartapesta, diamanti di vetro, oro di carta stagnola, il rosso sulla guancia,
un sole che esce da sotto terra. Ma è il paese del vero: ci sono cuori umani dietro le
quinte, cuori umani nella sala, cuori umani sul palco.”
(Victor Hugo)
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Indice
Introduzione
Conclusioni
Riferimenti Bibliografici
INTRODUZIONE
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Arrivato al termine di questi tre anni di corso di laurea in scienze dell’educazione,
ho scelto di concentrare l’attenzione del mio elaborato finale su una componente
fondamentale della mia vita: il teatro.
Sono sempre stato appassionato alla musica e al cinema, e, proprio durante la mia
adolescenza, sono riuscito ad avvicinarmi alla realtà dinamica e variopinta del
teatro, entrando a far parte di una piccola compagnia di musical creata dalla scuola
di canto che frequentavo a quel tempo. Da quel momento capì che il palco scenico
era un luogo sicuro, libero, e sorprendente attraverso il quale è possibile esprimere
qualcosa di sé che va oltre alla consapevolezza che già crediamo avere di noi stessi e
delle nostre capacità. Il teatro, mi ha insegnato ad esplicitare le mie emozioni in
maniera diversa, migliorando la mia sensibilità, il mio modo di riflettere sugli eventi
della vita e della società, facendomi capire sempre di più quanto sia importante il
valore della collaborazione e dell’amicizia.
Tre anni fa decisi di frequentare questo corso di laurea perché mi sono sempre
sentito in dovere di dare qualcosa di me stesso alle altre persone che mi circondano,
in particolare ai bambini e agli adolescenti. Tale sentimento di responsabilità nei
confronti di quest’ultimi deriva soprattutto dalla mia partecipazione attiva e
continuativa nel tempo al “Grest” (Estate Ragazzi), attività parrocchiale organizzata
durante l’estate. Durante tali periodi estivi, mi sono sempre impegnato, con l’aiuto
dei miei colleghi animatori, nella gestione di un laboratorio di teatro rivolto ai
bambini che vi partecipavano. Tale laboratorio era ideato e costruito, durante il mese
di Luglio, insieme ai bambini e agli adolescenti da noi seguiti, portando a termine
scenette di vario genere durante lo spettacolo finale. Essi non seguivano un copione
già preparato e non imitavano scene già predefinite, ma davano vita mano a mano,
supportati dalle nostre indicazioni, a battute e scene originali nel corso del
laboratorio.
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Inoltre, tale progetto veniva esposto anche agli stessi animatori, tutti impegnati nel
dover interpretare un ruolo all’interno della storia del “Grest”, ossia il suo filo
conduttore, su cui si basano tematicamente le altre attività ludico-educative. Grazie a
tale esperienza ho potuto essere testimone della potenza educativa ed espressiva. Ho
visto bambini e adolescenti timidi e insicuri trovare in sé capacità espressive ed
interpretative che nemmeno loro sapevano di possedere, e ho visto miei coetanei che
mai avrebbero indossato un costume in scena immedesimarsi in personaggi
particolari e complessi in modo naturale ed efficace. Il teatro che noi attuavamo non
era di certo un tipo di teatro professionale, anzi, era del tutto amatoriale e ludico, ma
era mirato non solo allo svago e al divertimento, ma a fornire messaggi morali ed
etici ai nostri ragazzi e contemporaneamente a noi stessi.
Ho quindi deciso di fondare le mie argomentazioni partendo da un approfondimento
riguardante il periodo evolutivo dell’adolescenza, considerata una crisi esistenziale
che ogni ragazzo è portato a vivere e superare per diventare, di conseguenza adulto.
Dopo ciò, sono passato a sottolineare in maniera diretta e dettagliata l’importanza
del tempo libero per gli adolescenti, in quanto rappresenta un notevole strumento di
espressione delle proprie capacità e delle proprie passioni.
La mia ricerca sul tempo libero si è estesa attraverso la delineazione di diverse teorie
da parte di vari autori che hanno provato a definirlo soprattutto da un punto di vista
empirico. Attraverso essa mi sono concentrato sulle diverse attività e progetti che
vengono proposte ai giovani da parte della società e anche della scuola. Dopo
l’attenzione posta sul tempo libero, ho incentrato l’intero secondo capitolo sul teatro
per ragazzi, esaminando il suo utilizzo e la sua promozione all’interno del tempo
libero, della scuola e anche delle carceri minorili. Le mie argomentazioni riguardo al
teatro si basano principalmente sul suo effetto educativo, collettivo, espressivo e
pedagogico nei confronti degli adolescenti, affermando quanto esso debba essere
maggiormente valorizzato, in quanto, secondo ulteriori ricerche di molti autori, e
secondo la mia semplice esperienza, il teatro rappresenta una forte risorsa che può
permettere ai ragazzi di superare attivamente la crisi adolescenziale.
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CAPITOLO 1
Adolescenza: la crisi e le sue sfide.
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Il gestaltista Kurt Lewin (1939), attraverso la sua sintesi operazionale, espresse
l’adolescenza sul piano metodologico affermando che questa fase dello sviluppo
fosse un “cambiamento nell’appartenenza a categorie sociali” (Palmonari, 2011,
pag. 26), poiché il soggetto non si considera più un bambino e non vuole essere
trattato come tale. Egli quindi si ritrova a fare i conti con la propria personalità, sia
dal punto di vista fisico e sia dal punto di vista sociale e morale. Il ragazzo prova a
entrare nell’età adulta in modo precoce, trovandosi davanti inevitabilmente ad
innumerevoli sfide. Lo sviluppo è infatti considerato come “capacità di far fronte
alle esigenze della vita” (Hendry e Kloep, 2002).
E’ stato quindi constatato che per promuovere lo sviluppo sia necessaria una crisi
che deve essere superata.
L’adolescenza si pone dunque come un periodo di crisi particolarmente delicata, la
quale mette in discussione ogni certezza acquisita in precedenza dal soggetto
riguardo la sua identità.
Erikson (1968), fu il primo a soffermarsi sul problema della crisi nella ricerca e
nella costruzione della propria identità, definendo la vita di ogni individuo suddivisa
in stadi, ognuno dei quali contraddistinto da un dilemma che deve essere chiarito per
riuscire a passare allo stadio successivo in maniera ottimale. Ciò, secondo Erikson, è
un fenomeno che si distingue spesso nell’età adolescenziale, nel quale i ragazzi
esprimono una certa tensione tra l’identità e la diffusione dell’identità (Palmonari,
2011). Lo psicologo clinico James E. Marcia (1966) dedicò, a tal proposito, gran
parte della sua carriera allo studio dell’acquisizione e della costruzione dell’identità
durante l’adolescenza, individuando quattro modalità di affrontare questo problema
da parte degli adolescenti, ossia quattro stati dell’identità.
Ciascuno stato del proprio io si definisce, secondo Marcia, a partire dalla
dimensione dell’esplorazione delle possibili alternative o scelte che l’individuo è
chiamato ad attuare in diversi ambiti della propria vita personale e sociale e a partire
dalla dimensione dell’impegno, al fine di intraprendere e seguire l’alternativa
individuata.
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Attraverso questo modello descrittivo, Marcia (1966) vuole mettere in evidenza il
fatto che è proprio l’evento critico che spinge attivamente l’adolescente ad avviare
processi di esplorazione di nuovi orizzonti, il quale risulta composto da una vasta
serie di cambiamenti (cognitivi, sociali e biologici), i quali caratterizzano l’avvio di
tale periodo, obbligando il ragazzo a riorganizzare in nuovi equilibri integrando gli
elementi precedenti infantili a nuovi elementi, nella definizione di un equilibrio più
avanzato.
La crisi che l’adolescente è costretto ad affrontare rappresenta un’inevitabile
insieme di sfide da dover superare per continuare il processo di sviluppo in modo
dinamico, attivo e consapevole. Il dover riuscire a superare queste sfide produce nei
giovani soggetti un notevole rafforzamento delle proprie risorse e della propria
volontà. A questo proposito, altri psicologi umanisti come Rogers (1961) e Maslow
(1970) sostengono fortemente il concetto del libero arbitrio nella formazione
dell’identità attraverso il superamento di questa fatidica crisi. Secondo Maslow
(1970) l’individuo cerca attivamente e progressivamente il modo adeguato di
soddisfare i propri bisogni, fino ad arrivare alla realizzazione di sé (Hendry, Kloep,
2002).
Ciò che alimenta la creazione della crisi nell’adolescenza è l’insieme dei continui
cambiamenti che il soggetto si ritrova a dover contrastare, affrontare ed accettare.
Lo psicologo comportamentista per eccellenza Skinner (1938), a tal proposito,
ritiene che lo sviluppo sia direttamente proporzionale all’apprendimento, considerato
come “un cambiamento permanente del comportamento” (Hendry, Kloep, 2002,
pag. 31).
Nel corso della sua vita e del suo sviluppo l’individuo incontra nuove situazioni e
stimoli e, di conseguenza, egli crea ed elabora nuove strategie di coping per
affrontare al meglio, a seconda delle proprie risorse e caratteristiche, queste
innumerevoli sfide socio-psicologiche e fisiche, dando luogo a risposte
comportamentali che si aggiungono al proprio bagaglio di apprendimento.
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Secondo questa teoria interattiva di Skinner gli individui agiscono direttamente sul
mondo e, modificandolo, vengono a loro volta cambiati dalle conseguenze delle loro
azioni, adattandosi ad esso (Skinner, 1957).
E’ quindi non solo il successo derivante dalla risoluzione personale di questi
compiti, ma sono le sfide stesse e il fatto di affrontarle attivamente, a rafforzare le
proprie risorse nello sviluppo.
Risolvere le sfide è quindi considerato generalmente in quanto “processo dialettico,
d’interazione che provoca cambiamenti nell’ambiente, nell’individuo, o in entrambi,
e, di conseguenza, stimola lo sviluppo” (Hendry, Kloep, 2002, pag. 40).
La risoluzione attiva delle sfide è resa possibile dal repertorio di risorse che si va a
delineare nel corso dello sviluppo fin dall’infanzia, periodo nel quale il bambino
esplicita diversi riflessi innati di coinvolgimento e affacciamento alla realtà
circostante.
Altre risorse sono invece strutturalmente determinate, come la nazionalità o la
classe sociale di appartenenza, e altre vengono empiricamente apprese grazie
all’educazione fornita dalla famiglia e da altri contesti sociali come la scuola o il
gruppo amicale. Ogni individuo quindi adatta le proprie risorse alle diverse
esperienze di vita, ampliandole e differenziandole a seconda della tipologia di sfida
affrontata (Hendry, Kloep, 2002).
Queste risorse personali e socialmente apprese sono determinate fondamentalmente
dalla serie di interazioni sociali che si vanno mano a mano a realizzare già a partire
dall’infanzia e durante tutto lo sviluppo nel ciclo di vita.
La rete di rapporti sociali che ogni individuo instaura vanno a delineare sempre di
più una modalità di coping per fronteggiare attivamente la crisi in adolescenza,
poiché la qualità delle relazioni sociali ed affettive promuove attivamente un
ulteriore rafforzamento della personalità, sempre in continua evoluzione,
dell’individuo.
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A tal proposito, si può fare riferimento a Bowlby (1969), psicologo che ha posto
l’attenzione sull’importanza della capacità di istaurare legami già forti durante
l’infanzia per poter poi costruire relazioni sociali più salde e significative nelle
successive fasi della vita. Attraverso la sua “teoria dell’attaccamento”, egli
sosteneva, infatti, che a seconda della qualità di attaccamento sviluppatasi durante
l’età infantile, si formano inevitabilmente nel bambino modelli operativi interni che
influenzano le strategie attraverso cui quest’ultimo si relazionerà con il resto del
mondo sociale in età adolescenziale e, conseguentemente, in età adulta.
Bowlby (1951) sosteneva, ad esempio, che un bambino con un attaccamento sicuro
rivolto al proprio care-giver durante i primi anni di vita, ossia un legame fondato
sulla fiducia nella figura materna nonostante i suoi temporanei allontanamenti,
generalizzasse tale fiducia anche alle persone con cui sarebbe entrato in relazione in
futuro. La concretizzazione di queste risorse sociali permette dunque al soggetto di
affrontare in modo sempre più efficace la crisi che lo accompagna durante
l’adolescenza.
Grazie alla costruzione di forti legami sociali, il ragazzo è spronato maggiormente a
interfacciarsi alla realtà in maniera costruttiva, trovando nuove possibilità di
esprimersi attraverso la messa in atto di proprie abilità personali. E’ quindi possibile
delineare un’altra tipologia di risorse per risolvere i problemi e affrontare le sfide
dell’adolescenza, ossia il possesso una grande varietà di abilità concernenti diversi
ambiti all’interno di vari contesti sociali, culturali, lavorativi, scolastici, artistici.
Queste abilità specializzate permettono ad ogni soggetto in via di sviluppo di dare
prova della propria valenza e della propria importanza (Hendry,Kloep, 2002).
Attraverso l’interazione con gli altri e con la società stessa, il soggetto può rendersi
conto maggiormente delle proprie potenzialità riguardanti ambiti specifici di
interesse come il senso del ritmo e la passione per la musica, le abilità psicomotorie
legate allo sport o alcune doti di versatilità e propensione per il teatro.
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Queste abilità, le quali si consolidano nella persona attraverso un determinato
interesse per un certo ambito in particolare, provengono essenzialmente da abilità di
base utili per la sopravvivenza sociale in cui vive l’individuo, che permettono ad esso
di adattarsi alla realtà circostante e che gli consentono di provare a trovare il proprio
posto nel mondo attraverso una vera e propria specializzazione. Le abilità di base di
cui parlano Hendry e Kloep (2002) nel libro “Lo Sviluppo nel ciclo di vita”, vanno
ad aggiungersi ad abilità superiori che essi definiscono“meta skills” , ovvero “tutte
le abilità generali che migliorano l’apprendimento di nuovi comportamenti e la
capacità di portare a termine nuovi compiti” (Hendry, Kloep, 2002, pag.48).
Queste abilità stanno quindi alla base di altre conseguenti capacità intrinseche nella
persona, che danno la possibilità ad essa di perfezionarle e adattarle a diversi e nuovi
contesti.
Esse sono quindi definite risorse potenziali, che aiutano l’individuo ad essere un
esploratore attivo che apprende continuamente e progressivamente nuove
potenzialità con sempre meno difficoltà, concretizzando queste abilità in diversi
campi sociali, cognitivi, sportivi e artistici e la possibilità di, appunto, specializzarsi
in almeno uno di questi settori di competenza (Hendry, Kloep, 2002).
Il fatto di sentirsi in grado di fare qualcosa di specifico per il soggetto è un dato di
fondamentale importanza, poiché permette ad esso di perseguire i propri interessi e le
proprie passioni, elementi che alimentano inevitabilmente la propria autostima.
Infatti il confronto con le sfide della crisi dell’adolescenza ha bisogno di una
specifica quantità di “self efficacy”, ossia della convinzione del soggetto di sentirsi
all’altezza di affrontarle e risolverle contando sulle proprie competenze, simile
all’idea di locus of control delineata da Rotter (1966).
L’autostima è data in parte dalla quantità e dalla qualità delle critiche o delle lodi
che rivolgono gli altri all’adolescente e in parte dall’esperienza diretta del successo e
dell’insuccesso ottenuto nel portare a termine vari compiti riguardanti gli ambiti di
interesse specifico, facendo riferimento alle proprie possibilità di prestazione.
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La crisi è quindi un processo difficoltoso e pesante, che presenta numerose sfide
riassunte in tanti cambiamenti che si susseguono continuamente nel corso del ciclo
di vita degli adolescenti e delle persone in generale.
Ma tale crisi è necessaria per permettere al soggetto in questione di dar prova al
mondo e alla realtà circostante di essere una persona in grado di poter superare gli
ostacoli attraverso varie e proprie risorse di diversa natura. E’ importante per gli
adolescenti combattere la crisi, ma è ancora più importante per loro che essa stessa
esista.
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Molti autori si sono impegnati nella ricerca di una definizione che potesse mettere in
luce l’essenza e l’importanza della possibilità di avere un tempo libero per la
persona, anche se, a quanto pare, non si sia mai riusciti ad arrivare ad una
conclusione effettiva.
Secondo un approccio globale, il tempo libero viene definito come tempo del non
lavoro, ovvero non occupato da un’attività con scopo di lucro.
Tale definizione ha quindi un’accezione negativa, poiché lo studio non si concentra
sul tempo libero in sé, ma sul tempo di lavoro, come se esso fosse esclusivo e l’unico
“tempo” importante perché garantisce un reddito e una sicurezza economica alla
persona (Niero, Diamanti, Noventa, 1989).
A questa teoria se ne affianca però una pseudo positiva, che afferma che il tempo
libero sia determinato da impegni produttivi legati alla persona in sé, ossia un tempo
basato su attività specifiche legate al consumo e al ciclo economico e viene definito
come variabile indipendente senza contenuto specifico in sé (Amaturo,1982).
E’ possibile affermare che però, il tempo libero ha una consistenza più corposa e
complessa. Esso infatti viene considerato frequentemente quale modalità di
realizzazione personale come fine ultimo, soprattutto per quanto riguarda i giovani.
Nell’esperienzialità giovanile è infatti importante notare che la ricerca della felicità e
dell’identità si concretizza principalmente tramite attività ludico-edonistiche e, allo
stesso tempo, mediante impegni di partecipazione altruistica ad alto contenuto
sociale, come ad esempio le attività di volontariato nelle parrocchie, i progetti estivi
per ragazzi (“Estate ragazzi”) o la partecipazione ad associazioni sportive
(Dumazedier, 1985). Questo stesso concetto sottolinea efficacemente la differenza
sostanziale che esiste tra il tempo libero e il tempo del lavoro, poiché:
“durante il tempo libero, il gioco, l’attività fisica, artistica, intellettuale o sociale
non sono al servizio di alcuno scopo materiale o sociale” (Dumazedier, 1985,
p.102), di conseguenza non sono attuate con scopo di lucro, ma al fine di soddisfare
un benessere personale, morale e psicologico.
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Dopo queste considerazioni, è possibile affermare che l’importanza del vivere al
meglio il proprio tempo libero ha un valore fondamentalmente soggettivo, in quanto
ognuno deve essere libero di poter scegliere, organizzare ed esplicitare le proprie
attività in base alla propria volontà e al proprio tempo di lavoro, diversificando le
due cose senza far si che quest’ultimo prevalga sul tempo libero stesso nella propria
quotidianità.
E’ per questo motivo che alcuni autori hanno utilizzato un approccio più
contenutistico per studiare il tempo libero, ossia come contenuto di attività
quotidiana, concentrando le proprie ricerche secondo le definizioni date dai giovani,
considerati attori protagonisti di strategie di realizzazione all’interno del proprio
tempo libero, inteso come raccolta esperienziale di diverse attività quotidiane (Niero,
Diamanti, Noventa, 1989).
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Grazie a queste diverse possibilità, gli adolescenti hanno modo di mettere in pratica
alcune loro capacità, che probabilmente farebbero fatica ad esternare senza una
piccola spinta da parte di una società già formata e pronta ad accoglierli nel proprio
spazio. Il fatto che esistano all’interno della società organizzazioni sportive,
associazioni culturali e circoli sociali che promuovano progetti di diverso genere per
l’integrazione e la realizzazione dei giovani, rappresenta per quest’ ultimi
un’importante risorsa.
Essi sono persone in fase di costruzione e ricerca della propria identità e hanno
bisogni specifici che si impegnano a soddisfare. Per questo motivo I giovani
desiderano prefigurarsi una propria autonomia, nel corso dell’adolescenza, cercando
attivamente di rispondere a domande e bisogni etici, simbolici, espressivi e personali
attraverso il loro svago e le loro attività nel tempo libero (Niero, Diamanti, Noventa,
1989).
Non è solo grazie agli adulti che i giovani possiedono un tempo libero ampio e
variegato, ma è anche e soprattutto grazie ai giovani stessi, che grazie a questa
sfrenata voglia di autonomia, sono in grado di crearsi il proprio spazio libero ed
espressivo.
Essi cercano la felicità nel tempo libero, ossia un’autorealizzazione che non è
sempre facile trovare soltanto con l’aiuto degli adulti, ma anzi, è necessario per loro
trovare secondo le proprie esigenze e volontà (Dumazeider, 1985).
“Il tempo libero si definisce così, in base alla maggior ‘governabilità’ da parte
dell’individuo, che ne può far uso, con minori condizionamenti, in rapporto alle
proprie scelte e alle proprie personali esigenze” (Niero, Diamanti, Noventa, 1989,
p.57).
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E’ importante affermare però, restando allacciati a questa teoria, che gli adolescenti
non possono avere il completo libero arbitrio sul tempo libero, poiché, in quanto
attori sociali, non sono protagonisti di uno scenario duttile e plasmabile a loro
piacere, ma sono invece inseriti in un sistema predefinito di strutture e iniziative
regolate da reti di relazioni, significati e norme configurate da altre persone già
presenti, da prima, nella società. Queste iniziative e queste strutture già costruite
possono essere però modificate sensibilmente e migliorate dai giovani, dalla loro
creatività e dalla loro voglia di autorealizzarsi (Berger, Luckman, 1969).
In questo modo, gli adolescenti possono sentirsi parte integrante di un sistema
sociale che sente il bisogno di nuove idee e nuove prospettive. Il tempo libero, grazie
alla sua grande valenza soggettiva, può essere quindi uno strumento positivo e una
risorsa propositiva e costruttiva per i giovani che gli consente di riconoscersi sempre
di più e dare alla propria persona un profilo sempre più delineato e soddisfacente, e
di conseguenza gli consente di affrontare al meglio la crisi adolescenziale.
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Autori come Anderson (1961) e Kaplan (1964), sostengono che il tempo libero
divenga una parte integrante e un comportamento stesso del soggetto nella sua
quotidianità, attraverso il senso specifico e personale che egli attribuisce al proprio
tempo libero, al modo in cui decide di organizzarlo e viverlo, prendendo in
considerazione anche quanto il contesto sociale in cui egli vive offre, per quanto
concerne le attività e i progetti ludici, formativi, creativi ma anche professionali ed
educativi. Viene quindi considerato una “dimensione trasversale” di diverse
situazioni durante le quali possono formarsi e susseguirsi momenti appunto di svago,
che consentono al soggetto di dargli il vero e proprio senso di libertà (Anderson,
1961).
E’ quindi importante delineare alcune attività importanti che danno modo ai giovani
di poter esprimere il proprio tempo libero in modo disinteressato.
Secondo alcune ricerche empiriche di Garelli (1984) le attività principali preferite
dai giovani variano sostanzialmente tra: attività “statiche” legate alla vita quotidiana,
come l’ascoltare musica o stare in famiglia, attività più “dinamiche” legate alla
socialità come uscire con gli amici, praticare uno o più sport o imparare a suonare
uno strumento musicale, attività “di impegno”, che sono collettive e organizzate
dagli adulti ma spesso anche e soprattutto dai giovani stessi, come ad esempio
l’affiliazione ad associazioni e manifestazioni culturali, solidali e sportive, o la
partecipazione a compagnie teatrali o a centri estivi parrocchiali (dove i giovani si
mettono al servizio di altri giovani). Sempre Garelli (1984) fa riferimento anche ai
comportamenti degli adolescenti durante queste attività, sia individuali che sociali,
facendo presente che essi alternano atteggiamenti che esprimono e si alternano tra
“domande e pratiche nel tempo libero dove prevale la spinta, ora all’autonomia, ora
alla delega, ora all’autosoddisfacimento, ora alla comunicazione espressiva”
(Niero, Diamanti, Noventa, 1989, p.59).
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Le diverse attività che i giovani svolgono nel tempo libero si presentano quindi
spesso finalizzati ad interessi specifici che rendono l’adolescente più sicuro di sé, più
coerente con sé stesso e più libero di costruirsi la propria identità e la propria
esperienza attraverso ciò che più gli piace fare.
Interessi questi che si differenziano principalmente tra i più variegati: dallo sport,
alla cultura, dalla solidarietà alla passione per la musica, dalla politica alla curiosità
nei confronti dello spettacolo e del teatro.
Inoltre sono importantissimi il senso dello stare in gruppo, sia attraverso queste
attività organizzate, sia tramite la gestione del tempo libero insieme agli amici da
parte dei giovani stessi, che passano, e desiderano passare, la maggior parte del loro
tempo “extrascolastico” insieme ai propri coetanei. Inerente a ciò, alcune indagini
nazionali e regionali riguardanti la vita quotidiana in età adolescenziale effettuate da
molti autori come lo stesso Garelli (1984) e Allum e Diamanti (1986), hanno messo
in luce in maniera esponenziale quanto le attività nel tempo libero dei ragazzi si
alternino moderatamente tra tempo trascorso in casa (ascoltare musica, leggere,
aiutare con le faccende domestiche, ecc..) e tempo impegnato insieme agli amici per
parlare dei propri problemi e per fare attività che mettano insieme più interessi
comuni, e quanto, quest’ultima tipologia di tempo libero, sia la più valorizzata dai
ragazzi.
Le attività nel tempo libero possono essere innumerevoli, proprio per il fatto che la
libertà in esso permette ai ragazzi di organizzarlo, gestirlo e rispettarlo nel migliore
dei modi, aumentando la possibilità di socializzazione e migliorando la fase di
costruzione della propria identità.
I giovani possono quindi scegliere cosa fare nel tempo libero secondo l’importanza
che loro attribuiscono a ciò che gli piace fare, a ciò che gli rende felici e secondo il
proprio carattere e il proprio modo di essere.
Questo però, come già ho accennato precedentemente, non è sempre e solo possibile
grazie alla loro soggettività, ma è anche possibile che gli adolescenti siano spinti a
scoprire cosa preferiscono fare e in che cosa sono bravi e capaci.
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Questa spinta la cercano e la possono trovare, oltre che nei genitori e possibilmente
nella scuola, soprattutto nel contesto sociale in cui vivono, il quale può offrire
attività di diverso genere, consentendo al soggetto di provare qualcosa di nuovo e,
appunto, scoprire la passione per qualcosa che prima non conosceva
dettagliatamente.
Prendiamo in esempio i diversi progetti e le varie attività educative, rivolte ai
ragazzi e ai bambini, da parte degli oratori presenti nelle diocesi italiane, in
particolare l’iniziativa socio-parrocchiale chiamata “Estate Ragazzi” (chiamata
anche “Grest” o “Centri Estivi” in altre parti d’Italia).
“Estate Ragazzi” è un’iniziativa estiva organizzata, a livello nazionale,
principalmente dalle parrocchie o dai comuni, dove i giovani adolescenti hanno il
compito di organizzare attivamente fra di loro una moltitudine di attività rivolte ai
bambini: dal gioco all’animazione, dallo sport alla musica e al teatro, legate tutte da
un filo conduttore di una storia scelta e costruita dagli “animatori”, ossia i giovani
stessi che si impegnano ogni giorno, per un periodo lungo circa un mese, a far
divertire i bambini, insegnandoli qualcosa allo stesso tempo (Campioni, Finelli,
Tagliaventi, 2008).
La bellezza e la forza di questa attività sta innanzitutto nel connubio di diversi
insegnamenti che si alternano e si susseguono continuamente “dai giovani ai
giovani”, e quindi dall’alto grado di responsabilità che si va via via ad alimentare
negli adolescenti “animatori”, e inoltre sta nella formazione nei ragazzi di una
fiducia in sé stessi sempre più forte. Ciò è reso possibile dalle innumerevoli attività
che si possono organizzare e proporre ai bambini da parte dei giovani.
Essi lavorano in gruppo costantemente, ogni giorno, per rendere felici i bambini e
sé stessi, grazie alla creazione collettiva di attività di gioco, di divertimento, di
coinvolgimento educativo.
E’ importante anche affermare che ogni “animatore” ha un ruolo da rivestire durante
l’Estate Ragazzi”, che sceglie a seconda di ciò in cui è più portato, ponendosi
nell’attività che rispetta maggiormente le sue capacità.
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La sua organizzazione divisa a gruppi specifici inerenti ognuno alle diverse attività
da svolgere permettono l’applicazione della libertà di scelta. Chi, per esempio, è
amante dello sport, si proporrà quasi sicuramente nell’organizzazione dei giochi nel
“gruppo giochi”, chi invece preferisce la musica e sa suonare uno strumento o ama
cantare, si proporrà di partecipare alle attività gestite dal “gruppo musica”; chi è più
interessato alla realizzazione della storia-filo conduttore e ha una predisposizione
alla recitazione e alla spontaneità si inserirà nel “gruppo teatro”.
Potrebbe quindi accadere che uno o più ragazzi non siano interessati a nessuna di
queste cose, e quindi potrebbero provare lo stesso ad inserirsi in un settore e scoprire
nuove passioni e nuovi interessi, oppure potrebbero proporre qualcosa di diverso,
all’interno dell’organizzazione produttiva e collettiva, e dare il proprio contributo
direttamente e attivamente.
Attività come “Estate Ragazzi” permettono dunque agli adolescenti e ai bambini di
investire il proprio tempo libero in una realtà produttiva e sempre rinnovabile, che
permette ad essi di essere parte integrante di un’iniziativa positiva, la quale
promuove la collettività, la responsabilità e la creatività dei giovani, essendo essi
stessi contemporaneamente gli attori e i registi di tutte le attività e progetti che
vengono consolidati al suo interno (Campioni, Finelli, Tagliaventi, 2008).
Per far intendere quanto sia efficace e molto amata tra i giovani, a titolo
esemplificativo, è utile citare una parte di ricerca attuata in Emilia Romagna,
riguardante le politiche dei giovani, le attività nel tempo libero e negli oratori:
“l’iniziativa “Estate Ragazzi” registra una presenza massiccia e consolidata di
bambini e animatori (spesso adolescenti) ed è attuata in media nelle diverse
parrocchie per un periodo di due/tre settimane. A questa si aggiungono altre attività
promosse specificamente in estate, quali campi scuola e campi parrocchiali”
(Campioni, Finelli, Tagliaventi, 2008, pag. 284).
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CAPITOLO 2
Il Teatro: una risorsa educativa per gli adolescenti
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La tecnologia troppo avanzata quindi, promossa oltre che dal contesto ambientale di
riferimento, anche dagli stessi genitori, potrebbe ostacolare negativamente quella
creatività magicamente teatrale, tipica del bambino che sogna e crea continuamente
qualcosa di nuovo, riducendo sempre di più le possibilità di ampliare il proprio
tempo libero con ulteriori attività maggiormente costruttive.
Buchner (1990) considera il fatto che i bambini di oggi compiono la transizione tra
infanzia ed età adulta molto prima rispetto a quanto avveniva all’inizio del
novecento. Oggi i bambini familiarizzano maggiormente con diversi stili e aree di
vita degli adulti, e vengono “incoraggiati” a parteciparvi attraverso i mezzi di
comunicazione di massa, il che non sembra essere sempre un male.
Se vengono utilizzati con il giusto controllo, soprattutto da parte degli adulti, i quali
possono accompagnare il bambino in maniera temperata alla scoperta di tali
strumenti, possono promuovere la scoperta di culture creative che potrebbero
occupare positivamente il tempo libero dei bambini, come ad esempio la musica, il
teatro e l’arte. A questo proposito, è quindi importante valorizzare, all’interno del
tempo libero dei bambini, e di conseguenza dei giovani, attività culturali e didattiche
che, in un certo senso, facciano in modo che essi si allontanino dalla “chiusura” che
possono provocare alcune tecnologie utilizzate in modo scorretto o altre attività
eminentemente praticate al chiuso, in solitudine, senza aver l’occasione di interagire
con il resto del mondo (come ad esempio l’utilizzo sfrenato e ossessivo dei
videogiochi). Il teatro è, da questo punto di vista, un’attività multiforme e dinamica,
piena di sfumature espressive che possono mettere i giovani in situazioni diverse,
originali e creative e che consentono ad essi di attuare esperienze più coinvolgenti e
intraprendenti.
Una delle componenti più interessanti del teatro per un adolescente è sicuramente
l’umorismo, il quale viene definito come “sentimento del contrario” poiché si basa
sugli squilibri fra due o più elementi di una realtà. L’umorismo analizza direttamente
l’immagine che prende in esame, scomponendola in maniera scherzosa e fortificando
l’interesse verso le personalità degli altri e verso la loro simpatia.
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L’umorismo quindi aiuta i ragazzi, soprattutto quelli meno disinvolti, ad aprirsi al
dialogo con gli altri e a capire quali sono i limiti tra lo “scherzo” e la realtà.
L’umorismo è direttamente proporzionale al gioco e al comportamento esplorativo
(Berlyne, 1976). Per questo motivo l’umorismo nel teatro può avere una funzione
benefica per l’adolescente, poiché “può spingere la persona ad esaminare il proprio
comportamento e a ricostruire la realtà con maggiore precisione” (Giancane, 1991,
p 23). Il teatro ha per queste ragioni delle potenzialità educative e formative poiché
permette ai ragazzi che vi si avvicinano di sviluppare un maggior pensiero critico e
problematico, portando essi a delineare una riflessione più profonda della realtà e
delle altre persone. In questo modo gli adolescenti imparano a meditare
maggiormente sulla propria vita e ad avere meno impulsività.
L’umorismo, nella sua produttività diretta nel teatro, permette ai ragazzi di mettere
in avanti i propri sentimenti in un modo più dinamico, semplice e autonomo.
Essi vengono sempre di più allontanati dai processi di omologazione di massa e
diventano maggiormente sensibili nei confronti degli altri e di sé stessi
(Giancane,1991). Secondo ciò, il teatro per i ragazzi, dotato della grande qualità
dell’umorismo appunto, possiede quindi un’altra importante caratteristica, quella che
riguarda la conduzione alla socializzazione.
Esso infatti rappresenta una realtà sempre fondamentalmente collettiva, nella quale
ogni individuo è parte integrante di un progetto che viene costruito e compattato
all’insegna della collaborazione e dell’aggregazione, mettendo in comune uno
medesimo scopo, ossia quello di creare e portare a termine uno spettacolo ottimale,
che coinvolga il pubblico e renda orgogliosi di sé coloro che ne hanno preso parte.
“Il teatro è socialità, in quanto scelta di stare insieme, (...) è conoscenza dell’altro,
vita dell’altro, esperienza dell’altro e al tempo stesso conoscenza di sé” (Attisani,
1978, p.56).
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Secondo queste teorie, l’attività del teatro è da considerare nella sua essenza, come
terapeutica per i giovani, poiché permette loro di dare sfogo ad una libertà
particolare, che sta nel mettersi nei panni di qualcun altro e provare l’emozione di
giocare con le proprie capacità espressive e con la propria emotività.
I ragazzi che scelgono di avviarsi ad attività che riguardino la recitazione e lo stare
sul palcoscenico, si trovano davanti alla possibilità di mettere in gioco attivamente il
proprio corpo e la propria anima, confrontandosi con i propri compagni e capendo
l’importanza dello stare insieme con lo scopo di una realizzazione comune
(Giancane,1991).
Essi imparano a sollecitare le proprie emozioni divertendosi, ridendo e facendo
ridere gli altri, non nel senso ridicolo del termine, ma nel suo significato più giocoso
e armonioso.
La risata è data dalla felicità di creare ed attuare di bello e soddisfacente insieme.
Il teatro, in tutte le sue forme, è quindi, per gli adolescenti, un’attività educativa e
costruttiva a tutti gli effetti, che è dotata di una valenza soggettiva, collettiva ed
espressiva molto forte e possiede, inoltre, numerose qualità dal punto di vista
emotivo, pratico, sociale e psicologico (Volpicelli, 1959).
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derivano da una grande valenza storica e culturale, valenza che si va ad amalgamare
perfettamente con la sua potenza socializzante e sociale e con l’affinamento della
sensibilità estetica ed etica che esso propone in sé.
Il teatro, costituito da vari elementi, da quelli scenici e scenografici, a quelli
contenutistici e morali, è in grado di insegnare ai ragazzi l’arte di agire con le
emozioni in maniera controllata, arricchendo anche la conoscenza linguistica e
l’utilizzo di un vocabolario maggiormente ricercato (Giancane, 1991).
Per questi motivi il teatro è un’attività ludica ed educativa che può riempire
positivamente il tempo libero dei ragazzi, mirando ad un divertimento che non si
attua come fine a sé stesso, ma li indirizza più dinamicamente verso la formazione e
la costruzione della propria personalità in modo armonico, soddisfacendo numerose
esigenze di carattere morale, etico, affettivo, sociale (Giancane, 1991).
L’importanza educativa che possiede in sé il teatro e le sue componenti permettono
alle istituzioni scolastiche di promuoverlo come attività scolastica ed extrascolastica
capace di promuovere un apprendimento e un approccio didattico-metodologico
diverso e più coinvolgente per gli adolescenti. Essi, spesso, vivono la scuola come un
ostacolo da sormontare soprattutto per il fatto che molte volte essa è costituita da
metodi e approcci educativi classici e statici, che possono spesso portare i giovani a
cadere nella noia, nemica primaria degli adolescenti stessi.
Per questo motivo il teatro costituisce una metodologia pedagogica adatta per i
giovani, che viene valorizzata dalla scuola stessa attraverso la promozione attiva di
laboratori teatrali o di piccole compagnie teatrali scolastiche.
Secondo Giancane (1991) il teatro per ragazzi, come il teatro stesso in generale, è
una categoria dell’arte difficile da analizzare nel suo insieme, poiché è ampliabile in
diverse modalità e accezioni. Per l’autore è appunto la scuola una delle istituzioni
socio educative a poter dare importanza in maniera sempre più esponenziale al teatro
e alle sue funzioni pedagogiche.
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Per questo motivo l’autore suddivide il teatro in due accezioni fondamentali:
1) “Il teatro per ragazzi”, ossia il teatro allestito e creato da compagnie
professionistiche di attori adulti, che mettono in scena spettacoli indirizzati
esplicitamente ed esclusivamente ad un pubblico giovanile. Questa tipologia di
teatro è quella promossa maggiormente all’interno dell’universo scolastico.
La scuola infatti si impegna nell’organizzazione di vere e proprie “gite a
teatro”, che permettono ai bambini e agli adolescenti di stare a stretto contatto
con il palco scenico e apprezzare un’arte storica che mette in scena la realtà in
maniera originale e senza barriere. Ciò consente ai giovani di sviluppare una
notevole sensibilità per l’osservazione, grazie al coinvolgimento scaturito dalla
visione di opere teatrali fatte su misura per la loro età. Nello specifico, gli
insegnanti hanno inoltre il compito di decodificare i messaggi proposti durante
l’esperienza a teatro una volta rientrati a scuola, creando dibattiti costruttivi tra
gli alunni. Quest’ultimi quindi sono spettatori attivi che sviluppano, grazie al
teatro, un pensiero critico sempre più forte, scaturito da un’attenta analisi di
ciò che hanno visto e sentito durante la visione dei suddetti spettacoli.
2) “Il teatro dei ragazzi”, vale a dire il teatro creato, ideato, organizzato e
realizzato dai ragazzi stessi, sotto la guida di un insegnante stesso o di un
educatore esterno ed esperto.
Questa tipologia di teatro viene proposta dalle scuole spesso sotto forma di
“laboratorio teatrale”, i quali vengono promossi in quanto progetti
extrascolastici che hanno come finalità l’allestimento di uno spettacolo finale
(chiamato comunemente saggio scolastico).
Questa attività permette ai giovani di essere attori veri e propri che si mettono
in gioco nell’interpretazione di ruoli prefissati all’interno di una storia già
prescritta o creata a partire da zero, seguendo una trama inventata da loro
stessi con l’aiuto appunto del regista-insegnante.
Ciò permette loro di trarne uno stimolo espressivo, imparando qualcosa di
nuovo su come stare sul palco, come utilizzare un linguaggio corretto, su come
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aver maggior padronanza del proprio corpo e delle proprie gestualità. I ragazzi
che decidono di prendere parte a questo tipo di teatro, sentono anche di
appartenere ad un gruppo che condivide obiettivi comuni. E’ inoltre
importante che spesso vengono scelti come filoni tematici su cui lavorare
teatralmente argomenti riguardanti la società, che vengono affrontati in modo
diretto da parte degli adolescenti, i quali si trovano ad essere rappresentanti
attivi di messaggi culturali e sociali importanti, come ad esempio la solidarietà
e l’uguaglianza.
Il teatro dei ragazzi, a differenza del teatro per ragazzi, secondo Giancane (1991),
non solo mette in pratica le qualità psicologiche e intellettuali dei giovani, ma
esplicita altre diverse capacità legate alla loro personalità in toto, nei loro
comportamenti e nei loro rapporti relazionali e sociali.
Anche dal punto di vista della didattica scolastica, il teatro può rappresentare una
grande risorsa, poiché stimola l’apprendimento in maniera originale e dinamica che
si contraddistingue fortemente dalle pratiche di insegnamento tradizionali.
Secondo ciò, è possibile prendere come esempio il progetto teatrale creato e
promosso da un maestro di scuola elementare di Roma, Francesco Gisondi (1976), il
quale diede vita, insieme ad una classe di quarta composta da quarantadue alunni, al
“teatro operativo”, che viene narrato e spiegato da sé stesso nel libro “I ragazzi
fanno il teatro” (1976).
Questo progetto mise all’opera l’intera classe, nessuno escluso, poiché ogni alunno
rivestiva un ruolo attivo al suo interno.
Essi sono stati chiamati in causa fin dall’inizio, diventando creatori e organizzatori
dell’idea che si voleva seguire nel corso del progetto teatrale, ricoprendo ruoli che si
articolavano dall’attore al regista, dallo scenarista all’autore, dal tecnico del suono al
costumista.
A tal proposito, lo stesso Gisondi espresse l’orgoglio per questo progetto scrivendo:
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“Questo libero volontario passaggio dal “mio” al “nostro” è uno degli aspetti più
umani, più affettuosi, più consistentemente educativi del teatro nella scuola. Così si
parla sempre della “nostra” commedia, del “nostro” spettacolo (…). Senza la
consapevolezza che il teatro è il mezzo più idoneo ed efficace per educare i ragazzi
alla collaborazione, alla solidarietà, alle iniziative collettive e alla libera creatività,
(…), mai mi sarei dedicato al teatro nella scuola” (Gisondi, 1976, pag.3).
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La recitazione, il lavoro sulla propria gestualità e sul proprio linguaggio, la
possibilità di interpretare storie e trame diverse, il sentirsi parte di un gruppo, il
possedere un incarico importante, che sia attoriale o tecnico, permette agli
adolescenti di fare i conti con la propria persona, sviluppando un maggior pensiero
critico, responsabile e problematicista e assumendo comportamenti che si adattano
maggiormente al lavoro di gruppo e all’interesse in qualcosa in cui credono davvero:
la realizzazione di uno scopo comune (Giancane, 1991).
I giovani cercano di costruirsi un’identità personale e sociale, il teatro è un’attività
che sia nel contesto scolastico che nel tempo libero, potrebbe agevolare
notevolmente tale impresa.
CONCLUSIONI
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Giunto al termine del mio elaborato finale, è possibile determinare numerose
conclusioni. Innanzitutto, si può dedurre attraverso la vastità di autori che hanno
studiato in maniera approfondita l’adolescenza, che essa rappresenta un periodo
evolutivo difficile, tortuoso e, per certi versi disturbante, ma allo stesso tempo un
ostacolo indispensabile ai ragazzi per riuscire a identificare sé stessi nella vita adulta.
Il contesto socio-affettivo che li circonda ha, esperienzialmente, un ruolo
fondamentale per l’adolescenza e deve essere formato da più attività e da più stimoli,
in modo tale che essi riescano a trovare il modo corretto di riuscire ad esprimere al
meglio le proprie capacità e i propri sentimenti. Il tempo libero, sotto questo punto di
vista, è una soluzione efficace, poiché esso fatto per essere organizzato e adattato a
seconda della volontà dei ragazzi, i quali diventano sempre più attori di una società
già formata, ma piena di possibilità ed occasioni di ogni genere da offrire e da
sfruttare al meglio. I ragazzi hanno bisogno di una propria libertà, che però deve
essere calibrata e modellata a seconda delle loro caratteristiche, delle loro esigenze,
delle loro passioni. Il teatro, sul quale ho posto parte integrante del mio lavoro, è
inteso come forte attività educativa e culturale all’interno del tempo libero, come
all’interno di altri contesti sociali (scuola, carceri, Estate Ragazzi, ecc..), in grado di
produrre diversi effetti positivi sugli adolescenti. Essi hanno la possibilità di portare
avanti il proprio cambiamento con prospettive più ampliate riguardo sé stessi e sugli
altri, riuscendo a mettere in gioco e a scoprire diverse potenzialità di carattere
artistico, tecnico-manuale, espressivo, musicale, realistico e creativo. Il teatro mette i
ragazzi nella condizione di poter imparare qualcosa di più della realtà utilizzando
come strumento fondamentale l’immaginazione e la creatività. Inoltre il teatro ha
anche una grande rilevanza pedagogico-didattica, e potrebbe essere valorizzato
maggiormente il suo utilizzo dagli insegnanti e dagli stessi genitori.
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meglio, possa rappresentare una vera e propria risorsa attiva ed educativa per il
fronteggiamento diretto ed ottimale, da parte dei ragazzi, della crisi adolescenziale.
A tal proposito, infine, mi sembra doveroso citare letteralmente una frase
esemplificativa di Daniele Giancane, che riassume perfettamente il mio pensiero
riguardo la plurime valenza e potenza dell’attività teatrale rivolta agli adolescenti:
“Il teatro così inteso, con gli obiettivi che si propone e i valori che sottintende,
cercando altresì di enucleare un diverso modo di insegnare e di relazionarsi con gli
altri, facendosi strumento di animazione socioculturale ma al tempo stesso ricerca
di sé e chiarimento della propria identità e del significato della vita, assume una
pregnanza educativa di altissimo livello, finendo per proporsi come luogo di
crescita umana, momento di cultura e di vita che si pone sulla linea della
valorizzazione delle risorse dei ragazzi, delle loro infinite possibilità troppo spesso
represse” (Giancane, 1991, pag100).
RINGRAZIAMENTI
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Mi sembra doveroso a questo punto fare dei ringraziamenti sinceri a persone, che mi
hanno supportato nella realizzazione della mia tesi finale e che mi hanno permesso di
vivere al meglio questi tre anni universitari di “Educatore sociale e culturale”.
Ringrazio la professoressa Giuseppina Speltini per aver appoggiato fin da subito le
mie idee e per le preziose indicazioni tecniche e contenutistiche a me rivolte.
Ringrazio di cuore, ovviamente i miei genitori, che mai una volta nella vita hanno
smesso di spronarmi in qualsiasi cosa io facessi, e sono sempre pronti a darmi forza
e fiducia con sorriso e positività, senza farmi mai mancare niente.
Ringrazio la mia ragazza, Gloria, che è sempre stata partecipe e vicina a me durante
il mio percorso universitario, e anche teatrale, e ha passato insieme a me
interminabili pomeriggi, ascoltando pazientemente i miei dubbi e i miei pensieri e
dandomi consigli sempre sinceri e costruttivi.
Ringrazio il mio miglior amico Federico, che ha contribuito anche lui a portare
avanti il mio lavoro ed è sempre stato il compagno più fidato nella promozione dei
progetti pensati da noi giovani della nostra zona.
Ringrazio i miei compagni di università, con i quali ho creato un legame di amicizia
speciale e solidale che ci ha permesso di superare al meglio questi tre anni insieme.
Ringrazio i miei compagni del corso “Musical-OFF B” dell’accademia di musical
BSMT di Bologna, i quali hanno ispirato notevolmente la decisione di focalizzare il
mio elaborato finale sull’importanza e sul valore del teatro.
Ringrazio tutti gli adolescenti, i bambini e gli animatori che hanno contribuito a
rendere il “Grest” un’importante attività educativa ed artistica, il quale è stato il
punto di partenza da cui sono scaturite numerose idee. Ringrazio infine il resto della
mia famiglia e dei miei amici, poiché credo che nella vita sia difficile portare a
termine qualcosa di bello utilizzando soltanto le proprie forze, ma che sia sempre
indispensabile l’aiuto delle persone che ci circondano e a cui vogliamo bene.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
35
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