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Giovanni Antonio Liotti è nato a Tripoli, in Libia, il 27 marzo 1945. Si è laureato in Medicina a
Roma e poi si è specializzato in Psichiatria (1962-1973). Subito dopo la laurea continuò a
frequentare l’università in qualità di borsista e poi di ricercatore. I principali interessi di Liotti erano
centrati sull’applicazione e integrazione della teoria dell’attaccamento di John Bowlby alla
psicoterapia e alla psicopatologia.
Liotti nel 1978 è stato socio fondatore della Società italiana di terapia comportamentale e cognitiva
(SITCC), di cui è stato presidente dal 2000 al 2006.
Nel 1983 scrisse insieme a Vittorio Filippo Guidano il libro “Cognitive processes and emotional
desorders“, che fu premiato come il miglior libro dell’anno sulla psicoterapia. Da allora il suo
interesse si è focalizzato sullo studio della connessione tra dissociazione psicopatologica e
attaccamento disorganizzato e nel 2005 Liotti ha ricevuto il premio Pierre Janet’s Writing Award.
Messaggio pubblicitario Liotti fin da subito cercò di unire la ricerca svolta in ambito evolutivo, le
neuroscienze, il funzionamento dell’affettività, al mestiere di psicoterapeuta, in un periodo in cui
l’unico paradigma psicoterapeutico accettato era quello psicoanalitico. Questo tentativo
d’integrazione è stata la sua grande innovazione ed evoluzione, in cui metteva insieme il nuovo,
risultati della ricerca, alla clinica per costruire un progetto psicoterapeutico rivoluzionario e
innovativo.
Liotti, studiò le emozioni, partendo dalla teoria di autori come Darwin, Ekman, Bowlby, Panksepp
e Gilbert. Bowlby e Panksepp, condividono essenzialmente la tesi centrale dell’esistenza di sistemi
psicobiologici frutto dell’evoluzione, omologhi negli animali e nell’uomo, che regolano sequenze
caratteristiche sia di comportamenti sia di emozioni, in vista del perseguimento di specifici obiettivi
adattativi.
La teoria evoluzionistica della motivazione di Liotti tiene in considerazione sia i processi alti sia i
processi bassi in un’organizzazione gerarchica tripartita in cui i vari sistemi motivazionali si
collocano al livello inferiore, intermedio o superiore in accordo con la loro successiva comparsa nel
corso dell’evoluzione. Si delinea, perciò, una ricorsività dell’informazione fra sistemi motivazionali
che unisce in maniera bidirezionale il livello arcaico, intermedio e il livello superiore
evoluzionisticamente più recente.
Il cervello umano ha una struttura evolutiva gerarchica organizzata su tre livelli: rettiliano, limbico
e neo-corticale. L’architettura dei sistemi motivazionali segue questa tripartizione, aumentando la
propria influenzabilità ambientale col salire di livello gerarchico.
Su queste sistemi non-sociali poggiano quelli appartenenti alla storia evolutiva più recente che
controllano l’interazione sociale caratteristica dei mammiferi. Questo secondo livello corrisponde
all’attività delle reti neurali localizzate nell’area limbica del cervello che comprende l’amigdala e il
giro del cingolo. Le condotte sociali messe in atto dai mammiferi rivelano alcune omologie
universali: la separazione identifica il sistema motivazionale dell’attaccamento, o richiesta di cura;
il contatto corporeo morbido e ripetuto quello dell’accudimento o offerta di cura; i rituali di
corteggiamento quello della sessualità; posture e mimiche di sfida e di resa identificano il
sistema competitivo di rango o agonistico e, infine, nei mammiferi più evoluti, come i primati, il
gioco sociale e l’attenzione congiunta riportano al sistema cooperativo paritetico.
Il terzo livello, prerogativa della specie umana, è localizzato nella neo-corteccia, riguarda la
dimensione cognitiva dell’intersoggettività e della costruzione di significati. Esso è responsabile di
combinazioni e variazioni individuali della loro espressione, in funzione della cultura di
appartenenza.
Ne consegue che nessuna influenza culturale sui contenuti della coscienza può annullare il
fondamento evoluzionistico e dunque universale sul quale la coscienza di ordine superiore poggia.
Ne discende che ogni emozione umana presuppone l’intervento dei processi cognitivi superiori
dell’uomo: le componenti fisiologiche delle emozioni sono trasformate in emozioni propriamente
dette soltanto grazie all’intervento delle regioni neocorticali e “cognitive” del cervello umano.
Gli SMI di base sono cinque e da ognuno di essi si generano emozioni diverse.
Il sistema dell’attaccamento
Il sistema di accudimento
Il sistema della sessualità è finalizzato alla formazione e al mantenimento della coppia sessuale. Il
sistema è attivato da segnali fisiologici interni all’organismo, come variazioni ormonali, più
importanti negli animali che nell’uomo, e da segnali comportamentali di corteggiamento emessi da
un altro individuo. Emozioni collegate all’attivazione del sistema sono il pudore, la paura del rifiuto
e la gelosia; la percezione dell’avvicinarsi della meta invece è collegata all’esperienza emotiva del
desiderio e piacere erotico. L’orgasmo pone termine all’attivazione del sistema, che può essere
disattivato anche dall’attivazione di altri SMI. All’interno della coppia sessuale può naturalmente
verificarsi l’attivazione di altri SMI (attaccamento-accudimento, agonistico, cooperativo) con il
conseguente arricchimento di forma e qualità della relazione.
Il sistema agonistico di competizione per il rango è finalizzato alla definizione dei ranghi di potere e
di dominanza/sottomissione per regolare all’interno di un gruppo il diritto prioritario di accesso alle
risorse. Una volta stabilita la gerarchia all’interno del gruppo, questa rimane presente ed attiva nel
tempo, con il vantaggio biologico di eliminare la necessità di continue lotte che potrebbero
sfiancare gli individui. La definizione dei ranghi avviene attraverso forme ritualizzate in cui
l’aggressività non è primariamente finalizzata a ledere l’antagonista ma ad ottenere da quest’ultimo
un segnale di resa. Il sistema agonistico è attivato (a) dalla percezione che una risorsa è limitata e
appetibile da più di un membro del gruppo sociale, (b) da segnali di sfida provenienti da un
conspecifico, (c) nell’uomo da giudizio, ridicolizzazione, colpevolizzazione e altri segnali di rango.
La disattivazione del sistema è determinata dal segnale di resa che comporta il riconoscimento della
propria subordinazione al vincitore. Questo sistema può essere disattivato da un altro sistema
motivazionaleche subentra.
Emozioni
Le emozioni giocano un ruolo intermedio fra la percezione della situazione, che attiva un dato
sistema motivazionale, e la condotta che mira alla meta del sistema. Le operazioni di regolazione
della condotta di ogni SMI sono radicalmente inconsce e le emozioni, dunque, sono le prime fasi
nell’attività del sistema che possono essere esperite dalla coscienza. Le emozioni sono parte delle
operazioni di un sistema motivazionale, e non hanno di per sé proprietà motivanti se non a livello di
causalità prossimale.
Alcune emozioni sembrano attivarsi solo in concomitanza di uno specifico sistema motivazionale e
non si manifestano mai durante l’attivazione di altri sistemi interpersonali. Altre emozioni, invece,
si possono attivare nell’ambito di più di un sistema motivazionale, all’interno di sequenze
emozionali molto diverse tra loro.
L’Analisi degli Indicatore delle Motivazioni Interpersonali nei Trascritti (AIMIT) ha lo scopo di
valutare le dinamiche motivazionali complesse, che potrebbero avere un ruolo importante nella
genesi e nel mantenimento dei disturbi psicopatologici.
Attaccamento e trauma
Messaggio pubblicitario Liotti evidenzia come l’attaccamento disorganizzato nel primo anno di vita
sia un potente predittore della dissociazione, più di quanto lo siano traumi successivi, avanzando
l’ipotesi che l’interazione fra ricordi traumatici e attaccamento disorganizzato possa essere il
necessario antecedente della dissociazione patologica.
Secondo Liotti, il possibile meccanismo alla base di ciò sembrerebbe risiedere nella particolare
interazione tra due sistemi motivazionali innati frutto dell’evoluzione: il sistema di difesa e il
sistema di attaccamento. Mentre in condizioni ottimali questi due sistemi funzionano in perfetta
armonia (il bambino scappa dal pericolo rifugiandosi dalla mamma, ed essendone confortato
disinnesca il sistema di difesa), nell’attaccamento disorganizzato la figura di attaccamento è nello
stesso tempo fonte di pericolo e di conforto, generando nel bambino un terrore senza sbocco.
La teoria polivagale di Porges aiuta a spiegare come la mancata inibizione del sistema di difesa da
parte del sistema di attaccamento una volta che l’evento traumatico sia terminato favorisca la
dissociazione: dato che attacco/fuga sono impossibili è probabile che l’unica difesa possibile sia la
finta morte, con l’attivazione del nucleo dorsale del vago che ostacola le funzioni integrative
superiori della coscienza.
Ma come mai non sono così evidenti e frequenti i sintomi dissociativi in bambini con attaccamento
disorganizzato? L’ipotesi è che la maggior parte di loro sviluppi delle strategie per controllare i
genitori senza attivare l’attaccamento, utilizzando altri sistemi motivazionali, come per esempio il
sistema di rango o quello di accudimento. Queste strategie controllanti funzionano bene finché una
sollecitazione troppo intensa del sistema di attaccamento non le faccia collassare, facendo emergere
il MOI disorganizzato.
Mentre le prime tre fasi dell’attivazione del sistema di difesa sono regolate dal sistema
ortosimpatico, la finta morte è regolata da una sezione del nucleo del vago, il nucleo vagale dorsale.
L’espressione facciale riflette in modo diretto lo stato polivagale della persona; attraverso un
processo di “neurocezione” (si tratta di un processo neurofisiologico) il sistema nervoso valuta il
rischio presente nell’ambiente circostante senza consapevolezza e, spesso, indipendentemente da
una narrazione cognitiva. In questo quadro, è possibile che la neurocezione del pericolo, in persone
che hanno vissuto esperienze traumatiche, si attivi in modo automatico anche quando non esiste un
pericolo “reale”. L’attivazione del nucleo dorsale del vago ostacola le funzioni integrative superiori
della coscienza.
L’importanza per i clinici di conoscere le implicazioni dell’attivazione del nucleo
dorsale del vago nelle esperienze traumatiche consiste nel fatto che tale attivazione può spiegare
molti sintomi osservabili nei pazienti che soffrono degli esiti di traumi psicologici: i sintomi
somatoformi di accasciamento e incertezza motoria, l’ottundimento e il tipico sentimento pervasivo
di impotenza personale.
Questa teorizzazione ha una ricaduta di primaria importanza nella relazione terapeutica con pazienti
traumatizzati: un terapeuta troppo accudente potrebbe far emergere i modelli operativi interni
disorganizzati, con la fobia dell’attaccamento e la fobia della perdita di attaccamento, favorendo
processi dissociativi. Un migliore assetto relazionale è invece garantito, secondo la teoria di Liotti,
da una posizione collaborativa, paritetica, fra terapeuta e paziente. La costruzione e la riparazione
dell’alleanza terapeutica ancora una volta, sembra essere uno dei principali strumenti del
trattamento, soprattutto per pazienti pesantemente traumatizzati.
Giovanni Maria Ruggiero intervista Gianni Liotti nel 2014 per State of Mind: