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Riassunto - libro "Psicologia dell'educazione"

Teorie e tecniche dello sviluppo socio-cognitivo (Università di Bologna)

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Psicologia dell’educazione
1: la psicologia fra storia e cultura
1.1 Individui e cultura in psicologia
Nel corso dei primi decenni della sua storia, la psicologia si è sempre concentrata sulla vita mentale
dell’uomo, con l’intento di descriverla tramite leggi generali, che non tengono però conto delle infinite
variabilità di culture, ambienti, classi sociali, ecc. I vari approcci (funzionalismo, comportamentismo,
cognitivismo..) hanno sempre isolato gli individui, riducendoli al ruolo di soggetti sperimentali.
Allo stesso modo, nella PSICOLOGIA DELL’EDUCAZIONE, l’enfasi è posta sui MECCANISMI GENERALI
DELL’APPRENDIMENTO, relativi ai processi cognitivi che guidano l’individuo ad acquisire nuove informazioni,
tralasciando gli effetti della cultura, delle condizioni sociali, della qualità delle interazioni quotidiane.
I RISCHI di questa metodologia sono che la psic ed si riduca ad una trasposizione della psicologia generale
alla situazione di apprendimento, e che diventi una semplice applicazione della psicologia clinica ai singoli
alunni.

1.2: le due psicologie di Wundt


Wundt, nel 1879 aveva auspicato alla nascita di due psicologie, con teorie e metodi separati proprio in virtù
dei diversi oggetti di studio: la PRIMA PSICOLOGIA avrebbe studiato la mente individuale e le sue FUNZIONI
ELEMENTARI, la SECONDA PSICOLOGIA (psicologia dei popoli) avrebbe studiato il ruolo della cultura e della
società nella costruzione delle FUNZIONI PSICOLOGICHE SUPERIORI (memoria volontaria, ragionamento,
linguaggio, apprendimento), ovvero quelle funzioni che si estendono oltre la consapevolezza individuale, e
non sono considerabili come fenomeni individuali, presupponendo l’attività congiunta di più individui.

Cultura
Solo tramite il contatto con altre culture si può, per contrasto, cominciare a osservare e a riflettere sulla
propria.
PROSPETTIVA STORICA DEL CONTATTO FRA CULTURE DIVERSE: -Erodoto sull’ostilità fra Greci e Persiani –
Aristotele suggli schiavi inferiori e Ippocrate sulle differenze tra i popoli dovute al clima e alle istituzioni
sociali in cui vivevano. – Scoperta dei “nuovi mondi”, fascino dell’esotico che si trasforma in giudizio
sull’inferiorità. – Darwin con la teoria dell’evoluzione: anche le società umane sono soggette a processi di
evoluzione socioculturale, che hanno profonde influenze sul funzionamento psicologico degli individui
(sviluppo a spirale, relazione stretta fra mente e cultura); le funzioni mentali inoltre seguono leggi universali,
quindi ad un certo livello di astrazione, sono tutte uguali (e qundi le differenze sono dovute alla superiorità
culturale). Prova del fatto che il pensiero degli adutli che vivono in società moderne industrializzate è
superiore. – DOTTRINA DELLA RICAPITOLAZIONE: l’ontogenesi ricapitola la filogenesi. XIX secolo, Stanley
Hall nei suoi studi sull’adolescenza. Dottrina che dà un forte supporto al concetto di RAZZA e a tuttel e sue
implicazioni. Primitivi come bambini.

1.3: quale significato dare al termine “cultura”?


Michael Cole è uno degli psicologi che parlano maggiormente di cultura. Per concettualizzarla, parte dai
concetti di “mediazione” e “artefatti”.

- MEDIAZIONE: le attività quotidiane sono possibili soltanto se “MEDIATE” da OGGETTI E PERSONE, e


strumenti di vario genere, sia materiali (cucchiai, matite, utensili), sia simbolici (linguaggio!).
- ARTEFATTO: è ARTEFATTO OGNI ASPETTO DEL MONDO MATERIALIE, MODIFICATO NEL CORSO
DELLA STORIA DELLA SUA UTILIZZAZIONE, ALL’INTERNO DELLE ATTIVITà UMANE DIRETTE AD UNO
SCOPO.

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GLI ARTEFATTI SONO I MEDIATORI DELLE ATTIVITà E DELLE INTERAZIONI SOCIALI DURANTE LA VITA
QUOTIDIANA! Ogni artefatto è sia “materiale” che “concettuale”. Utilizzando la componente concettuale di
un artefatto (ovvero la sua definizione, l’utilizzo della parole che lo definisce in un discorso strutturato) si
possono fare, o far fare sequenze di azioni complesse. Utilizzando invece la componente materiale, si
possono eseguire soltanto determinati comportamenti, in un certo ordine e in relazione a certi altri artefatti
o a certe altre persone (se uso un martello non lo userò contro un’altra persona, ma sopra ad un chiodo).
NB: anche il linguaggio può essere considerabile “materiale”, ad esempio quando sentiamo una lingua che
non conosciamo e quindi udiamo suoni ma non associamo ad essi nessun “concetto”.

3 livelli di artefatti:

1. Utensili pratici, ma anche strumenti di mediazione di tipo simbolico, come il linguaggio, le forme
della scrittura e della matematica, anche le persone stesse.
2. LE RAPPRESENTAZIONI DEGLI ARTFATTI DI PRIMO LIVELLO, i MODELLI DI AZIONI in cui gli artefatti di
primo livelli sono impiegati come parte di una sequenza più ampia. Ad esempio, norme generali (il
codice stradale, la Costituzione), e norme che regolano istituzioni sociali (regolamento scolastico).
3. INSIEME DI CONCETTUALIZZAZIONI SVINCOLATE DALLE ATTIVITà PRATICHE: sono SISTEMI DI
CREDENZE E RAPPRESENTAZIONI DELLE ATTIVITà UMANE, ad esempio ideologie, filosofie,
epistemologie, religioni, ecc. Ma anche le COGNIZIONI QUOTIDIANE, se non portano ad azioni
dirette ad uno scopo.

LA DEFINIZIONE DI CULTURA CHE CONSEGUE AL DISCORSO SULLA MEDIAZIONE E SUGLI ARTEFATTI: la


cultura è un insieme organizzato degli artefatti, così come sono prodotti, rappresentati e dotati di significato
nel corso delle attività umane che gli individui producono congiuntamente.

La “prima psicologia” concepisce la cultura come interna all’individuo, come insieme di rappresentazioni
mentali e credenze riguardanti la propria soicetà e le proprie credenze; la prospettiva che nasce da questa
visione di cultura come insieme di artefatti, invece, vede la CULTURA COME ESTERNA ALL’INDIVIDUO; quindi
per comprendere a fondo le origini delle forme di pensiero, non ci si può concentrare solo sulla persona
ignorando il fatto che il pensiero può costruirsi anche all’esterno di questa, nelle interazioni sociali e nel
contesto in cui vive.
PENSIERO E CULTURA DEVONO QUINDI ESSERE CONSIDERATI COME INTERCONNESSI.

1.4: Psicologia e cultura: una relazione ancora difficile


Approcci minoritari che portano avanti la “seconda psicologia” e l’interconnessione fra pensiero e cultura:
- Gestalt in alcuni filoni di ricerca –Durkheim in sociologia –primi lavori di Piaget –Carlo Cattaneo con la
psicologia delle menti associate –Judd, col concetto di “capitale culturale” – Mead, interazionismo
simbolico; concettualizza la Mente e il Sè come il risultato della trasformazione della conversazione di gesti
in conversazione vocale grazie al LINGUAGGIO, e, successivamente, della trasformazione della
conversazione vocale in PENSIERO SIMBOLICO. –SCUOLA STORICO-CULTURALE RUSSA: Vygotskij, Leont’ev e
Lurija

1.5: Differenze culturali o individuali?


La relazione fra cultura e pensiero individuale ha dato vita a 3 linee di ricerca. Una su SENSAZIONE E
PERCEZIONE, ovvero funzioni psicologiche elementari a cui ben si adatta il metodo sperimentale; una sulla
MEMORIA; una sull’INTELLIGENZA, considerata la funzione psicologica superiore per eccellenza.

I test di intelligenza
Binet e Simon creano il test di intelligenza BASATO SULLE DIFFERENZE INDIVIDUALI, commissionato loro dal
goerno francese, preoccupato per il fatto che certi alunni imparavano molto più lentamente di altri. I due
definiscono l’intelligenza come “Giudizio, buon senso, senso pratico, iniziativa, facoltà di adattarsi alle
circostanze. Giudicare bene, comprendere bene, ragionare bene.” I compiti su cui si basa il loro test
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richiedevano padroneggiamento delle abilità cognitive, abilità di controllo dell’attenzione e di


organizzazione strategica del comportamento.
I due autori dichiararono che era impossibile scegliere un campione adeguato di abilità richieste dalla scuola
“in generale”: c’erano troppe variabili da tenere in considerazione, e soprattutto troppe differenze fra
scuole, classi, singoli rapporti fra alunni e professori. Un test universale era impossibile. Tuttavia il loro test
diventa la base per la misurazione dell’intelligenza.

1.6: cultura e sviluppo umano: le ricerche interculturali


Negli anni ’60, agenzie di ONU e UNESCO promuovono interventi nei paesi divntati ex colonie, per portare
loro un’educazione “moderna”. 2 strumenti: EDUZAZIONE DI BASE, QUINDI ALFABETIZZAZIONE, e
EDUCAZIONE FORMALE, per uscire dal loro contesto culturale considerato ristretto, ed elaborare culture più
ricche ed articolate. Guarda caso gli interventi non funzionano: le ricerche interculturali che impiegarono
strumenti psicologici furono commissionate proprio per capire perchè gli interventi educativi non
funzionassero.

Cole e i Kpelle
Viene mandato in Liberia a capire perchè i bambini Kpelle non erano in grado di imparare la matematica.
Cole nota che i bimbi Kpelle scelgono sempre una strategia di apprendimento puramente mnemonica, non
comprendendo, ad esempio, come sia possibile che 3+5 faccia 8 quando la maestra aveva appena detto loro
che 8 era il risultato di “2+6”. Cole nota come fuori dalla scuola, nelle attività pratiche, i bimbi Kpelle sono
brillanti utilizzatori di matematica. Nota che anche gli adulti hanno difficoltà a risolvere i problemi dati a
scuola.
Cole sostiene quindi che la differenza culturale nelle attività cognitive fra Kpelle e bambini americani, ad
esempio, non dipende tanto da effettiva differenza di abilità cognitive, quanto dalle condizioni in cui queste
vengono attivate.
In sostanza i Kpelle rispondevano diligentemente ai compiti proposti, ma queste situazioni non si riferivano
per niente alla loro vita quotidiana.
Questi risultati mostrano che la “prima psicologia” non offre strumenti validi per le ricerche interculturali,
occorre individuare altre prospettive.

1.7: possibilità di incontro fra le “due psicologie”


Viene offerta da Cole, tramite le nozioni di SCRIPT E SCHEMA.

- SCRIPT: in psicologia cognitiva, sono sequenze di azioni tipiche di un determinato contesto, che si
attivano in automatico (es: al ristorante chiedo il tavolo, ordino, ecc). Il collegamento con la
“seconda psicologia” è dato dal fatto che questa nozione mostra come IL PENSIERO SIA DA
CONSIDERARE SPECIFICO E DIPENDENTE DAI CONTESTI IN CUI OPERA. Bruner sostiene che gli script
sono parit costitutive delle NARRAZIONI prodotte dagli individui riguardo alla loro vita quotidiana,
collegando eventi nel tempo e nello spazio, considerando le relazioni sociali che li caratterizzano.
- SCHEMA DI OGGETTI ED EVENTI: gli schemi cognitivi sono estesi da D’Andrade con la nozione di
SCHEMI CULTURALI, ovvero forme organizzate di significati caratteristiche di diversi gruppi sociali,
condivise dai membri di questi gruppi; modelli culturali che hanno la funzione di dare senso
all’esperienza e guidare l’azione nella vita quotidiana in società.
Bartlett parla di SCHEMI COME PRATICHE SOCIALI, da considerare quindi sia dentro che fuori dalla
testa degli individui. Gli schemi sono funzioni psicologiche, ma si concretizzano nella vita quotidiana
fatta di scambi, mediazioni e relazioni.

Se quindi si considerano schemi e script con un certo grado di indipendenza dalla mente dei singoli (script
diepndenti dai contesti e dalle relazioni, schemi culturali condivisi), li si possono vedere come ARTEFATTI: la
CULTURA quindi può essere vista come L’INSIEME DI ARTEFATTI (FRA CUI SCHEMI E SCRIPT) COSTRUITI E

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RICOSTRUITI NEL CORSO DELLA VITA DEGLI INDIVIDUI, ARTEFATTI CHE CONSENTONO DI PARTECIPARE ALLA
VITA SOCIALE E CULTURALE E DI DARE AD ESSA SIGNIFICATI CONDIVISI.

1.8: Il contesto culturale delle attività


Si sottolinea ancora L’INTERDIPENDENZA FRA QUALUNQUE ASPETTO DEL COMPORTAMENTO E LE
CIRCOSTANZE IN CUI ESSO VIENE PRODOTTO. Quando gli individui si mettono in relazione, ciò che fornisce
un significato alle loro esperienze personali è l’avere SCOPI CONDIVISI: si usa la metafora del TESSERE UNA
TELA.
Parlando di scuola, la tela è costituita appunto da scopi ed interessi condivisi fra INSEGNANTI ED ALUNNI, da
strumenti per comunicare i propri punti di vista: grazie a una prospettiva che lega il contesto ad ogni
comportamento individuale, non si può più considerare l’apprendimento come “inoculazione” di sapere in
un allievo passivo da parte di un insegnante; bisogna considerare il contesto dell’apprendimento, sia in
termini di ambiente-classe, sia in termini di relazione e presenza di scopi condivisi fra maestro e alunno.

2: la prospettiva storico-culturale
2.1: dalla prima alla seconda psicologia dell’educazione
La psicologia dell’educazione si caratterizza per avere come tema centrale le dinamiche di
APPRENDIMENTO-INSEGNAMENTO. Nasce nel 1910 con la pubblicazione del manuale “Educational
Psychology”. Alcuni pionieri della disciplina sono stati Stanley Hall (studio sull’adolescenza), Baldwin
(osservazione del comportamento infantile e introduzione di nozioni importanti ocme SUGGESTIONE,
IMITAZIONE, ASSIMILAZIONE, ACCOMODAMENTO). Anche in questo ambito si possono trovare due linee
parallele di ricerca che si rifanno alle due psicologie di Wundt.

La prima psicologia dell’educazione


Thorndike pubblica “educational Psychology” in cui sostiene che molti risultati ottenuti nel campo della
psicologia possono essere applicati in ambito educativo (ricorda “legge dell’effetto”). Il paradigma teorico
dominante al tempo è quello ASOCIAZIONISTA-COMPORTAMENTISTA. Studi su ISTRUZIONE PROGRAMMATA
(individuare le condizioni dell’ambiente in cui l’individuo fornisce risposte e comportamenti ottimali,
considerando individui tutti uguali, “tabule rase”) e ADDESTRAMENTO MILITARE ( il primo tentativo di studi
delle relazioni fra uomo e macchina, da cui prenderanno poi le mosse gli studi sulle prestazioni esperte e sul
ruolo del feedback).

Cognitivismo
Dopodichè compare l’approccio COGNITIVISTA, uomo come elaboratore di informazioni. Si concentra
sull’analisi della capacità cognitive del SOGGETTO ESPERTO (a causa di un interesse più generale della
psicologia cognitiva per i sistemi esperti), senza spiegare però come un soggetto novizio possa diventare a
sua volta esperto. Differenza fra CAPACITà (hardware per elaborare le informazioni, migliorabile ma con
limiti biologici insuperabili) e STRATEGIE (software, apprendibili e continuamente migliorabili, per
ottimizzare le risorse dell’hardware). Tre componenti fondamentali nell’esecuzione di un compito sono
quindi CAPACITà del sistema cognitivo, STRATEGIE utilizzate, ed EFFICIENZA nell’utilizzo di queste strategie.
La CRITICA è che il cognitivismo offre un’immagine di COGNIZIONE FREDDA, svincolata dagli aspetti
motivazionali, emozionali, contestuali, culturali. Concettualizzazioni esclusivamente INTRAINDIVIDUALI.

Sia la pionieristica psic ed di stampo associazionista, che quella di matrice cognitivista, che la prospettiva
COSTRUTTIVISTA di Piaget, mostrano un’INDIFFERENZA TEORICA E METODOLOGICA PER LE CONDIZIONI
STORICO-CULTURALI DELL’APPRENDIMENTO.

La seconda psicologia dell’educazione: Vygotskij


Arriva Vygotskij. Approccio STORICO-CULTURALE russo.
Vygotskij (1934) sostiene che le funzioni psicologiche superiori devono essere studiate tramite le ATTIVITà

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PRATICHE DELLA VITA QUOTIDIANA, MEDIATE DALLA CULTURA (e dagli ARTEFATTI CHE LA
CARATTERIZZANO), CHE SI SVILUPPANO SEGUENDO LE TRASFORMAZIONI DELLA CULTURA DURANTE IL SUO
SVILUPPO STORICO. 3 concetti chiave:

- ATTIVITà PRATICHE: nel corso di queste, gli individui vengono in contatto e sono in grado di
appropriarsi degli ARTEFATTI CULTURALI delle generazioni precedenti
- ATTIVITà MEDIATE CULTURALMENTE: tramite gli artefatti, gli individui si impossessano della cultura,
e sviluppano le proprie funzioni psicologiche superiori.
- SVILUPPO STORICO: gli uomini, oltre ad appropriarsi degli artefatti già prodotti dalle generazioni
precedenti, ne costruiscono di nuovi, o modificano quelli già esistenti trovando nuove modalità
d’uso, contribuendo così allo sviluppo della cultura, e di loro stessi, nel corso della storia.

DEFINIZIONE DI CULTURA IN PROSPETTIVA STORICO-CULTURALE: la cultura è l’insieme di artefatti costruiti,


utilizzati e accumulati dai gruppi sociali nel corso della loro sperienza storica: la cultura è la storia nel qui ed
ora del tempo presente.

LEGGE GENERALE DELLO SVILUPPO CULTURALE SECONDO VYGOTSKIJ: ogni funzione psicologica si presenta
due volte nel corso dello sviluppo culturale degli uomini (si può osservare nei bambini): inizialmente sul
piano interpsichico-suciale, e successivamente sul piano intrapsichico-individuale; inizialmente come
risultato di un’attività svolta fra persone e successivamente come attività padroneggiata dall’individuo che
opera da solo.

Il compito della psicologia diventa lo studio dell osviluppo della specie umana, dello sviluppo storico delle
culture, e dello sviluppo individuale. In ognuno di questi tre ambiti esistono dei FENOMENI CRITICI: per lo
sviluppo della specie, è L’USO DI STRUMENTI DA PARTE DELLE SCIMMIE ANTROPOMORFE; per lo sviluppo
storico delle culture, è l’inizio delle attività manuali e simboliche; per lo sviluppo individuale, è il
LINGUAGGIO.

2.2: la zona di sviluppo prossimale


Ne esistono due definizioni, la prima centrata sul livello di sviluppo, la seconda in riferimento alla relazione
fra insegnamento e sviluppo delle funzioni psicologiche superiori.

1. La ZOPED è la distanza fra il livello di sviluppo attuale, definito dal tipo di abilità mostrata da un
soggetto che affronta individualmente un compito, e il livello di sviluppo di cui un soggetto dà prova
quando affronta un compito del medesimo tipo, con l’assistenza di un adulto o di un coetaneo più
abile.

Riguardo a questa prima definizione, l’autore mette a punto il METODO DELLA DOPPIA STIMOLAZIONE, per
studiare come gli individui nella ZOPED utilizzano i loro strumenti cognitivi quando sono impegnati in attività
concrete: si presenta un compito considerato al di sopra delle attuali possibilità dei soggetti, e si offrono uno
o più oggetti osservando in che modo l’oggetto diventa parte della soluzione del compito. In questo modo si
capisce come il soggetto costruisce gli specifici significati del compito e come organizza la situazione allo
scopo di trovare una soluzione.

2. La ZOPED definisce i limiti superiori ed inferiori entro i quali l’insegnamento può avere efficacia.
L’insegnamento è utile solo quando si colloca oltre il livello di sviluppo attuale, conducendo il
bambino a intraprendere attività che lo spingono a superare sè stesso.

LA NOZIONE DI ZOPED ASSUME COME UNITà DI ANALISI L’INDIVIDUO IMPEGNATO IN ATTIVITà DI CUI CERCA
DI COSTRUIRE IL SIGNIFICATO ALL’INTERNO DI SPECIFICI CONTESTI SOCIALI.

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Nella ZOPED, insegnamento e apprendimento dipendono quindi dall’INTERAZIONE SOCIALE, che nei
contesti educativi si realizza soprattutto tramite il LINGUAGGIO, ARTEFATTO FONDAMENTALE NELLA
RELAZIONE DI INSEGNAMENTO/APPRENDIMENTO (non certo l’unico).

Due caratteristiche dell’attività di MEDIAZIONE svolta dall’insegnante all’interno della Zoped del bambino-
allievo, per ottenere apprendimento:

- Sviluppa consapevolezza e controllo volontario della conoscenza


- Richiede l’uso del linguaggio come strumento principale per la scolarizzazione e la costruzione di
concetti scientifici

DISTINZIONE FRA CONCETTI SCIENTIFICI E CONCETTI DELLA VITA QUOTIDIANA: i secondi sono appresi nelle
situazioni infromali e quotidiane della famiglia, e svolgono funzioni pratiche; i primi sono appresi nel
sistema formale dell’insegnamento e non hanno riscontri pratici nel quotidiano, perchè derivano da un
curricolo scolastico preparato ad hoc, di conseguenza necessitano di grandi capacità di astrazione per poter
essere appresi.

2.3: dall’interpsicologico all’intrapsicologico


Per vygotskij le funzioni psicologiche superiori sono da considerare come INTERAZIONI SOCIALI
INTERIORIZZATE.
Percorso di interiorizzazione degli artefatti culturali, trasformati in funzioni psicologiche superiori:

1. ARTEFATTI ESTERNI, usati dai genitori per accudire i bambini molto piccoli
2. Il bambino diventa capace di utilizzare ARTEFATTI per uno scopo, costruendo schemi mezzo-fine.
L’adulto stesso diventa per la prima volta un”artefatto” per il bambino.
3. Con l’aiuto dell’adulto (si potrebbe dire all’interno della ZPED) e l’acquisizione delle prime forme di
comunicazione pre-linguistica e linguistica, il bambmino INTERIORIZZA IL SIGNIFICATO DELLO
STRUMENTO, che ora si sgancia dalla presenza fisica di quest’ultimo, presentandosi sul piano
simbolico e astratto. Ora il bambino può governare il suo rapporto col mondo esterno.

2.4: Insegnamento, apprendimento e sviluppo


L’intento di Vygotskij è quello di delineare un modello teorico e un metodo di studio delle RELAZIONI FRA
INSEGNAMENTO, APPRENDIMENTO E SVILUPPO. SI possono individuare tre ipotesi sulla relazione fra questi
tre elementi:

1. IL CORSO DELLO SVILUPPO PRECEDE L’APPRENDIMENTO: l’insegnamento può soltanto essere


successivo alla costruzione dei processi psicologici (sviluppo), ad esempio la teoria stadiale di
Piaget.
2. LO SVILUPPO è L’APPRENDIMENTO: sono la stessa cosa.
3. L’INFLUENZA DELL’APPRENDIMENTO SULLO SVILUPPO NON è MAI SPECIFICA E PRODUCE EFFETTI
CHE SUPERANO LE CARATTERISTICHE DEL CAMPO CONSIDERATO IN UN CERTO MOMENTO:
posizione della Gestalt. C’è una relazione di stretta interdipendenza fra la maturazione del sistema
nervoso e l’apprendimento; un apprendimento in un ambito può avere forti effetti indiretti sullo
sviluppo di un’altra funzione.
- POSIZIONE DI VYGOTSKIJ: lo SVILUPPO è costituito da una serie di DINAMICHE che entrano in gioco
quando due sistemi-poli opposti (uno relativo all’insegnamento, è quello dell’educazione scolastica
derivante dal sistema storico-culturale di riferimento; l’altro relativo all’apprendimento, è quello del
bambino-alunno) entrano in TENSIONE. Il luogo immaginario di questa tensione è la ZOPED.
L’insegnamento, quindi, per generare sviluppo, deve CREARE UNA TENSIONE FRA ESTERNO
(insegnante) ed INTERNO (alunno), PONENDOLO IN SITUAZIONI NUOVE CHE EGLI NON
INIZIALMENTE IN GRADO DI RISOLVERE DA SOLO. DEVE SEMPRE ESSERCI UNA TENSIONE FRA
CAPACITà ATTUALI E CAPACITà POTENZIALMENTE ESPRIMIBILI.
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Nella ZOPED quindi si intersecano TRE SISTEMI: quello del SISTEMA STORICO-CULTURALE all’interno del
quale allievo e maestro entrano in relazione, quello dell’ADULTO COME INSEGNANTE e quello del BAMBINO
COME ALLIEVO.

2.5: Lo sviluppo implica sempre un processo inevitabile?


Nella teoria di Vygotskij, sembra che ad ogni apprendimento riuscito corrisponda l’acquisizione di una
funzione cognitiva, e quindi che “sviluppo” sia acquisizione delle funzioni psicologiche superiori (pensiero,
astrazione, linguaggio, ecc). Studiando l’acquisizione di concetti scientifici in modo transculturale, Vygotskij
e Lurija sostengono che questa acquisizione sia un criterio per distinguere società avanzate da società
primitive.
CRITICHE a questa visione:

- Habermas: crescente egemonia della razionalità tecnica occidentale (i concetti scientifici astratti)
come punto di arrivo massimo dello sviluppo, a scapito della RAZIONALITà PRATICA (i concetti
quotidiani di Vygotskij)
- Primato degli aspetti cognitivi della mente su quelli motivazionali e affettivi (sembra un problema di
traduzione dell’opera, perchè l’autore sottolinea spesso come il pensiero abbia origine nella
“consapevolezza motivante”)
- Il punto d’arrivo dello sviluppo dipende dagli strumenti e dalle pratiche disponibili ai soggetti: se gli
strumenti sono scarsi (se c’è quindi un ambiente inadatto all’apprendimento), si possono sviluppare
TRAIETTORIE DISTORTE, o che comunque non portano all’inevitabile punto finale del pensiero
razionale scientifico e decontestualizzato.

ENGESTROM: aspetti non considerati nella traiettoria dello sviluppo dalla teoria di Vygotskij:

1. La visione dello sviluppo come un progressivo padroneggiamento sempre maggiore del proprio
ambiente, comportamento, e sistema cognitivo, è troppo ottimisitca, e tralascia il fatto che, nel
corso dello sviluppo, ci possono essere RIELABORAZIONI DI VECCHI MODI DI PENSARE O DI AGIRE, O
DI MODI ALTERNATIVI, che vengono poi mantenuti o usati spesso. Lewin parlava di
COMPORTAMENTI REGRESSIVI. Si fa riferimento a comportamenti di ribellione o devianza: possono
essere visti come tentativi di ricercare un percorso di sivluppo diverso.
2. Non è stata concettualizzata una BIDIREZIONALITà dello sviluppo (anche il maestro può trarre
beneficio dal bambino), e uno SVILUPPO COME FENOMENO COLLETTIVO (molti possono trarre
beneficio da uno e viceversa).
3. Ruolo del CONFLITTO E DELLE CONTRADDIZIONE nella produzione di apprendimento. Kramsen parla
di ZONA DI CONTATTO per capire come si verifichino, in circostanze sociali ampie, occasioni in cui si
inducono comportamenti contradditori. Risolvere questi conflitti porta sicuramente ad
apprendimento.
4. La nozione di MEDIAZIONE CULTURALE: oltre agli artefatti precostituiti che passano alle nuove
generazioni, si assiste alla scoperta di nuovi scopi, e quindi alla creazione di nuovi strumenti per
raggiungerli; di conseguenza si configurano nuove opportunità di sviluppo che possono seguire
percorsi diversi da quelli prevedibili o richiesti nelle situazioni di apprendimento.

2.6: ZOPED: quali strumenti da parte degli adulti?


Quali strumenti possono essere utilizzato dagli adulti (oltre al metodo della doppia stimolazione) per
costruire una ZOPED? NB: sono tutti considerabili artefatti culturali.

- OSSERVAZIONE DI COMPORTAMENTI: l’adulto offre all’allievo, intenzionalmente o meno, un


comportamento da osservare ed eventualmente da imitare: si parla di PARTECIPAZIONE GUIDATA in
questo secondo caso.

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- UTILIZZO DELLA CONTINGENZA: INTERVENIRE durante l’esperienza concreta dell’allievo con premi o
sanzioni per fissare un comportamento o eliminarne un altro. Vygotskij non la inserisce nella sua
teoria originale, ma questo metodo di stampo comportamentista è compatibile con la costruzione
di una ZOPED, purchè si tenga conto che non si possono indurre comportamenti nuovi in questo
modo.
- FEEDBACK
- ISTRUZIONI SUL COMPITO: devono avvenire all’interno di un sistema di obiettivi condivisi, altrimenti
producono solo opposizione e resistenza.
- PORRE DOMANDE: non volte alla valutazione (in questo caso non si produrrebe ZOPED), ma a
comprendere in che modo l’allievo sta organizzando i concetti e gli strumenti a sua disposizione.
- STRUTTURAZIONE COGNITIVA: Si rendono disponibili all’allievo le MODALITà ADULTE DI
ORGANIZZAZIONE DEL PENSIERO E DELL’AZIONE. Si distingue fra STRUTTURE DI SPIEGAZIONI
(spiegazioni che contengono concetti, in base ai quali si possono riorganizzare informazioni già
apprese) e STRUTTURE CHE PERMETTONO DI ORGANIZZARE LE ATTIVITà COGNITIVE (suggerimenti
su come memorizzare, ecc)
- SCAFFOLDING: creare un’ “impalcatura” per consentire al bambino di risolvere autonomamente un
compito e quindi progredire nello sviluppo. Le sue funzioni fondamentali sono: COINVOLGIMENTO
DEL BAMBINO NELL’ATTIVITà, FACILITAZIONE, MANTENIMENTO DELL’ORIENTAMENTO
ALL’OBIETTIVO, SEGNALAZIONE (da parte dell’adulto) DELLE CARATTERISTICHE DELL’ATTIVITà,
CONTROLLO DELLA FRUSTRAZIONE. Studiando interazioni fra madri e bambini, si nota che ci sono
alcuni aspetti ricorrenti: tendenza a proporre compiti che richiedono abilità non del tutto disponibili
al figlio, tendenza a far esercitare l’abilità appena appresa in tanti compiti diversi l’uno dall’altro,
tendenza a togliere l’attenzione del bambino da comportamenti ormai consolidati su cui è inutile
continuare a lavorare. La madre opera CONTINUAMENTE AI LIMITI SUPERIORI DELLE ABILITà DEL
FIGLIO.
-Un’estensione dello SCAFFOLDING è la nozione di TUTOR. Modello di Wood: apprendimento inteso
come insieme di attività condivise fra adulto e bambino, in cui si presentano 5 livelli di istruzioni dati
dall’adulto, da una massima responsabilità al bambino ad una minima. La cotingenza dipende in
ogni momento dal successo o insuccesso del bambino. Se il bambino non ce la fa, occore togliere un
po’ di responsabilità, e viceversa.

RICERCHE SUL CAMPO: Wood ha dimostrato che il metodo di tutor basato su istruzioni contingenti funziona
di più rispetto a un metodo di semplici istruzioni verbali su un compito, svincolate dai risultati concreti
dell’alunno.
Studi sui soggetti sordi: esempio di come soggetti con cui non si possono negoziare significati condivisi
tramite il linguaggio possono soffrire di ritardi nello sviluppo. Spesso sono sottoposti a un IPER-CONTROLL,
non hanno autonomia, quindi ZOPED limitata. Quando questo accade anche nella relazione fra soggetti
udenti e insegnanti, si innesca un circolo vizioso che porta ad inibire l’attività di pensiero e le iniziative
ocmunicative degli alunni.

2.7: ZOPED fra coetanei


PARTNER NON ADULTI. Impiego di alunni della stessa età ai quali viene affidato il compito di insegnare
un’attività (ad esempio leggere) a compagni in situazione di insuccesso scolastico.

Molti autori documentano che, paradossalmente, i TUTOR traggono più profitto degli “allievi”, sul piano
della fiducia in sé, delle abilità sociali, dellimpegno. Ciò è associato alla funzione positiva dello status di
tutor, maggiormente responsabilizzato e coinvolto nell’organizzazione dell’insegnamento.

DUE TIPOLOGIE DI INTERAZIONI DIDATTICHE FRA COETANEI:

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- APPRENDIMENTO COOPERATIVO: A scuola si possono formare vari tipi di conflitti, a causa di attività
o pensieri incompatibili: CONFLITTI DI SVILUPPO (confronto del singolo col proprio ambiente),
CONFLITTI CONCETTUALI (incompatibilità fra differenti idee simultanee di una persona, o fra un
concetto appena appreso e uno già posseduto), CONTROVERSIE INTELLETTUALI (incompatibilità fra
idee di due persone diverse), CONFLITTI DI INTERESSE (quando le azioni fatte da una persona per
raggiungere i propri scopi disturbano o bloccano quelle fatte da un’altra).
i programmi di apprendimento cooperativo utilizzano controversie intellettuali per promuovere
sviluppo della responsabilità e autoregolazione degli alunni, tramite l’insegnamento di PROCEDURE
DI NEGOZIAZIONE. 3 fasi:
o NATURA DEI CONFLITTI: capire scopi, mezzi, e benefici connessi al raggiungimento degli
scopi, di ogni parte della controversia;
o IMPARARE A NEGOZIARE: sei tappe. DEFINIRE GLI INTERESSI DI CIASCUNO, DESCRIVERE I
SENTIMENTI, DESCRIVERE LE RAGIONI DI CIASCUNO, ROVESCIARE LE PROSPETTIVE (si
presenta ciò che si ha capito della posizione contraria alla propria), INVENTARE SOLUZIONI
CHE ASSICURINO UN BENEFICIO RECIPROCO, TROVARE UN ACCORDO SU UN
COMPROMESSO RAGIONEVOLE.
o IMPARARE A DIVENTARE UN MEDIATORE: si acquisisce la competenza per diventare un
mediatore, che si inserisca nei conflitti fra altre persone e le aiuti a percorrere tutte le
tappe, appena viste, della negoziazione.
- APPRENDIMENTO RECIPROCO: Palincsar e Brown (1984). Lavoro di gruppo, attività di leggere con lo
scopo di capire, ancora prima che i singoli possiedano le abilità individuali di comprensione del
testo. Questo porta a rapidi e consistenti miglioramenti nella lettura individuale.
Lave e Wenger: parlano di APPRENDIMENTO SITUATO. La conoscenza ha carattere relazionale e
dipende dal contesto in cui è appresa. IN ambito lavorativo, il far parte di una COMUNITà DI
PRATICHE porta alla PARTECIPAZIONE PERIFERICA LEGITTIMA (LPP), che permette di appropriarsi
progressivamente di linguaggi e rituali della propria comunità, diventandone poi protagonisti a tutti
gli effetti. In questa prospettiva SOCIO-CULTURALE dell’apprenidmento, due concetti fondamentali:
o PARTECIPAZIONE GUIDATA: con una guida interna alla comunità, permette la condivisione di
pratiche e scopi
o APPROPRIAZIONE PARTECIPATA: l’individuo sviluppa gradualmente forme più elaborate di
comportamento contribuendo di conseguenza di più allo sviluppo della ocmunità stessa.

2.8: Vita quotidiana e ZOPED


Nella vita quotidiana si sviluppano situazioni di apprendimento informali, invisibili, che neanche i
partecipanti definiscono come tali. Ad esempio, costruzione di oggetti di artigianato, o attività agricole o
casalinghe. In questi contesti, ancora prima della scuola, i bambini si trovano in ZOPED. Nelle culture dove
leggere e scrivere è uno strumento di sopravvivenza sociale, la conversazione è fondamentale nei primissimi
anni di vita: così i bambini vengono fin da subito socializzati al linguaggio. I genitori non insegnano
grammatica o sintassi, ma piuttosto insegnano ad esprimersi e a capire gli altri.

3: La prospettiva sociocostruttivista
3.1: Nozioni antiche, questioni attuali: individuo, società e rapproti fra di essi
In ogni individuo la società trova espressione di sè stessa (Baldwin). Tramite quali dinamiche la società viene
riportata all’interno dei suoi singoli membri?

- Ruolo di IMITAZIONE E CONFLITTO. L’imitazione è il primo strumento di apprendimento usato


dall’uomo (anche Piaget lo inserisce come strumento di costruzione del pensiero preoperatorio).
Nel periodo operatorio concreto piagetiano, invece, lo strumento principale è il conflitto (generato
dall’insuccesso del bambino nel raggiungere i propri scopi usando i propri schemi cognitivi).
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- Ruolo di COOPERAZIONE E COMPETIZIONE: la cooperazione è all’origine di alcune trasformazioni


del pensiero individuale, perchè porta a riflessione e presa di coscienza di sé, distingue il soggettivo
dall’oggettivo, è fonte di regolazione. Grazie ad essa ci si libera dell’EGOCENTRISMO. In Piaget non si
menziona la competizione, mentre la cooperazione compare nel quadro generale della logica dello
sviluppo.

Riprendendo Vygotskij e la relazione fra sviluppo e apprendimento, le interazioni fra partner adulto e
bambino possono essere caratterizzate rispettivamente da imitazione, conflitto, cooperazione,
competizione.

Posizione di Piaget
Già negli anni ’60 si mette in discussione l’universalità del suo modello: si conferma la sequenza dei periodi
di sviluppo del pensiero, ma l’acquisizione delle diverse operazioni logiche mostra variazioni. Si riformula il
quadro teorico piagetiano con l’obiettivo di INDIVIDUARE LE RELAZIONI FRA LE STRUTTURE COGNITIVE
GENERALI DEI BAMBINI (MACRO) E LE PROCEDURE CONCRETE CHE ESSI METTONO IN PRATICA (MICRO),
ALL’INTERNO DEL CONTESTO DI APPRENDIMENTO IN CUI SI TROVANO, TENENDO CONTO DEL TIPO DI
SOCIETà CHE SI STA INDIVIDUALIZZANDO NELL’ALLIEVO, E DELLE SUE MOTIVAZIONI.
Distinzione quindi fra MICROGENESI E MACROGENESI DELLE STRUTTURE COGNITIVE: quest’ultima fa
riferimento alle quattro forme generali del pensiero piagetiane (sensomotorio, preoperatorio, operatorio
concreto, operatorio formale), la prima fa riferimento alla costruzione di specifiche procedure di soluzione
dei problemi.
La MACROGENESI non può essere insegnata nè appresa, perchè segue lo sviluppo biologico, la
MICROGENESI invece consiste di strategie di risoluzione di problemi che POSSONO ESSERE INSEGNATE
ATTRAVERSO LA ZOPED.

NB: IN TUTTO Ciò LA PROSPETTIVA COGNITIVISTA HA INTERESSE PER LE MODALITà DI TRATTAMENTO DELLE
INFORMAZIONI, INDIPENDENTEMENTE DA STADI DI SVILUPPO O ALTRO.

3.2: come studiare i contesti


Prospettiva interazionista e costruttivista allo studio delle dinamiche di sviluppo e
apprenidmento individuali
CONTRIBUTO DELLA SECONDA PSICOLOGIA DELL’EDUCAZIONE (Vygotskij): la mente, il pensiero, lo sviluppo
umano hanno origine nelle condizioni storiche e sociali nelle quali gli individui vivono.
MEAD E L’INTERAZIONISMO SIMBOLICO: le interazioni fra due individui (prospettiva microsociale)
costituiscono la base per la costruzione del PENSIERO SIMBOLICO. I riti, le modalità di interazione tipiche
della società, prevedono spesso una sospensione fra pensiero e azione, ed è in questa sospensione, grazie
all’utilizzazione di GESTI e LINGUAGGIO, quindi SIMBOLI SIGNIFICATIVI (che assumono lo stesso significato
per tutti i membri di quella particolare comunità), che SI CREANO LE CONDIZIONI PER LO SVILUPPO DEL
PENSIERO.
Queste prospettive modificano il concetto di INTERAZIONE, se per Piaget era costituita da ude poli, il
soggetto e il mondo fisico, per gli interazionisti i poli sono TRE: soggetto, oggetto e l’Altro, che fornisce
MEDIAZIONE SOCIALE E CULTURALE fra soggetto e oggetto.

Prospettiva sociocostruttivista
La base teorica è il concetto di CAUSALITà A SPIRALE che collega il livello sociale e il livello individuale delle
persone: le INTERAZIONI SOCIALI SONO ALL’ORIGINE DELLA COSTRUZIONE DI ABILITà INDIVIDUALI; QUESTE,
QUANDO SONO PIù COMPLESSE, PERMETTONO DI PARTECIPARE A INTERAZIONI SOCIALI Più COMPLESSE, e
così via.
4 LIVELLI DI ANALISI DELLE DINAMICHE CHE PORTANO ALLA COSTRUZIONE DI ABILITà INDIVIDUALI
PARTENDO DALLE INTERAZIONI SOCIALI (Doise):

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1. LIV INTRAINDIVIDUALE: vedi Human Informaton Processing


2. LIV INTERINDIVIDUALE: interazioni fra partner e influenze di tali interazioni sui singoli
3. LIV POSIZIONALE: status dei partecipanti all’interazione e influenze dello status sui singoli
4. LIV RELATIVO ALLE NORME E ALLE RAPPRESENTAZIONI SOCIALI: concezioni generali derivanti dalla
cultura, norme sociali che regolano comportamenti, relazioni e contesti, e influenze di questi
elementi sui singoli.

Si utilizzano strumenti sperimentali che STUDINO LE ARTICOLAZIONI FRA QUESTI LIVELLI: ad esempio, si
pone il livello interindividuale come var indip (cambio il tipo di interazioni fra partner) e il livello intra come
var dip (vedo come ciò modifica le funzioni cognitive nei singoli). I paradigmi sperimentali cosistono sempre
di 3 fasi: PRE-TEST (si fa fare ai bambini una prova per valutare il livello iniziale di abilità), FASE
SPERIMENTALE (si suddividono in gruppi e si svolge la prova in condizioni diverse, modificando la var indip),
POST-TEST (test nuovamente sui soggetti singoli, per valutare l’effetto della fase speirmentale).
Ora si possono studiare le dinamiche tramite cui l’interazione produce apprendimento.

3.3: Studi di prima generazione


Hanno utilizzato alcune prove piagetiane classiche del periodo preoperatorio. SI utilizzano variabili sociali
articolando i diversi livelli di analisi di Doise: interazione diretta, manipolazione di attese di ruolo e di
rappresentaizoni di norme sociali. Alcuni risultati

- Coordinando le proprie azioni con quelle di coetanei al loro stesso livello su una determinata prova,
i soggetti costruiscono sturmenti cognitivi che ancora non padroneggiano a livello individuale:
abilità potenziali più ampie di quanto si possa pensare.
- Con certi tipi di interazioni sociali, i soggetti riescono a padroneggiare da soli i nuovi strumenti
cognitivi, che permettono la soluzione di un compito che non erano riusciti a risolvere al pre-test.
- Gli strumenti cognitivi costruiti in una certa situazione sociale e con a disposizione determinati
strumenti, sono parzialmente trasferibili ad altre situazioni e a strumenti diversi. Ciò significa che c’è
una generalizzazione e una capacità di transfer.

L’ipotesi che ha ispirato queste ricerche è la TEORIA DEL CONFLITTO SOCIOCOGNITIVO, che sostiene che i
CONFLITTI DI COMUNICAZIONE che si creano fra i partner siano fonti di progresso cognitivo. I risultati lo
confermano.

Difficoltà nell’attivazione del conflitto sociocognitivo


A volte si può sviluppare un conflitto non sul compito, ma sulla relazione interpersonale. In questi casi non
c’è progresso. Le difficoltà nell’attivare il conflitto sociocognitivo sono:

- Far percepire e riconoscere la differenza fra le risposte date: i bambini devono riuscire a decentrarsi
andando oltre il proprio proprio punto di vista, se no non prendono neanche in considerazione il
fatto che possano esserci idde diverse dalle sue, in relazione al compito. Si usano “sceneggiate” in
cui si interpretano concretamente i punti di vista differenti.
- REGOLAZIONE DEL CONFLITTO: dopo che il bambino accetta il confronto col partner, c’è il rischio
che il conflitto si risolva unicamente attraverso MODALITà RELAZIONALI; esempi sono
CONFORMISMO, CONDISCENDENZA, COMPIACENZA, ACCETTAZIONE ACRITICA DI UNA SOLUZIONE

Ricerche sulla connotazione sociale


Si parla di CONNOTAZIONE SOCIALE quando c’è una condizione in cui si realizza una corrispondenza fra
“disuguaglianza cognitiva” fra i due soggetti nella soluzione del compito, e “disuguaglianza sociale” dello
status degli stessi. Queste ricerhce mostrano come, soprattutto in ambiente soclastico, le relazioni sociali fra
pari e con gli insegnanti hanno un effetto importante sull’apprendimento.
Nelle condizioni sperimentali con connotazione sociale (articolazione dei livelli 3-4 e 1), i bambini produono
più risposte corrette, perchè l’esigenza di rispettare la norma sociale (la persona di status più alto ha dato
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una risposta diversa da quella del bambino) produce conflitto nel bambino, che ricercherà una soluzione
migliore.
In queste ricerche sono emersi tre risultati interessanti: in primis, le abilità cognitive acquisite non sono il
frutto di una semplice imitazione di comportamenti prodotti dal partner; in secondo luogo, i bambini in
situazioni di connotazione sociale possono progredire anche se lavorano da soli; infine, l'efficacia della
connotazione dipende dalla maniera in cui le norme evocate dall'adulto vengono comprese dai bambini
nelle situazioni specifiche. (esempio per connotazione sociale: i bambini falliscono spesso nel compito del
villaggio da risistemare, ma riescono se devono riordinare i banchi della classe).

3.4: Studi di seconda generazione


I compiti usati non sono più solo di tradizione piagetiana; inoltre la ricerca si estende anche all’acquisizione
delle abilità logico-formali, non solo operatorie concrete.

- RICERCA DI GILLY E ROUX: compiti di problem solving, organizzazione gerarchica secondo tre criteri
con due modalità per ogni criterio. Ragazzi 11 e 12 anni. 4 condizioni sperimentali: 1-sper spiega le
regole e propone esercizi 2-sogg deve scoprire le regole a partire da un esempio disegnato e poi le
applica lavorando da solo 3-due soggetti scoprono le regole e le applicano, lavorando da soli ma
possono osservare l’altro 4-due lavorano insieme sia nella scoperta che nell’applicazione,
discutendo delle loro soluzioni.
I risultati mostrano che la 4 porta MAGGIORI PROGRESSI AL POST-TEST INDIVIDUALE. Per produrre
un effetto positivo, quindi, OCCORRE CHE I RAGAZZI LAVORINO INSIEME E INTERAGISCANO
DURANTE LA SCOPERTA DELLE REGOLE. IL DIALOGO COGNITIVO CON Sè STESO PRENDE AVVIO DAL
DIALOGO CON L’ALTRO.
Gilly mostra che L’INTERAZIONE NON DEVE ESSERE NECESSARIAMENTE CONFLITTUALE PERCHè CI
SIA APPRENDIMENTO A CONDIZIONE CHE SI ATTIVI UN CAMBIAMENTO DELLE PROCEDURE INIZIALI
DI SOLUZIONE CHE I PARTNER ADOTTANO.
- STUDI SULL’ACQUISIZIONE DI NOZIONI SCIENTIFICHE: ragazzi fra 11 e 15 anni. 3 condizoni 1-gruppi
di 4 2-risolvere compito da soli poi questionario a scelta multipla per attivare una riflessione 3-
risposta individuale e basta. LA DISCUSSIONE IN GRUPPO SI MOSTRA Più EFFICACE ANCHE
NELL’ACQUISIZIONE DI CONCETTI SCIENTIFICI. i ragazzi prendono in considerazione i pdv diversi e
esplorano le nozioni più a fondo. LA QUALITà DELLA DISCUSSIONE FRA COETANEI SVOLGE UN
EFFETTO CAUSALE SUL CAMBIAMENTO COGNITIVO.
- ALTRE RICERCHE: Flieller sostiene che il livello di sviluppo può variare da una prova all’altra (vedi
microgenesi). Importante quindi controllare il livello per ogni compito. Utilizza un paradigma in cui i
soggetti hanno molte occasioni di conflitto e hanno interazioni che durano a lungo. Mostra anche lui
che I PROGRESSI DIPENDONO DALLA RISUOLUZIONE DEI CONFLITTI IN MODO COOPERATIVO. Un
importante fattore è la DURATA DELLE INTERAZIONI: GLI SCAMBI RIPETUTI E LUNGHI FAVORISCONO
LA COSTRUZIONE DI RISPOSTE CORRETTE.

Fenomeni-chiave delle interazioni


- La MODALITà DI NEGOZIARE GLI SCAMBI di opinione, giudizio, soluzione, fra i partner (conflittuale,
cooperativa, centrata sul problema, centrata sulla relazione)
- LA COSTRUZIONE E TRASFORMAZIONE DEL SIGNIFICATO DEL COMPITO (dal capire le regole al
trovare una soluzione)
- CONCATENAZIONE FRA I PRIMI DUE FENOMENI (il conflitto può far camibare la comprensione della
consegna, la risoluzione può portare alla comprensione condivisa e a prospettive di soluzione, altro
conflitto, altra risoluzione, ecc

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3.5:Studi di terza generazione


Presupposti teorici
I soggetti non costruiscono solo la risposta a un problema insieme al partner, ma anche il significato stesso
del problema, che quindi deriva da una co-interpretazione, una pratica sociale che tiene conto delle identità
sociali in gioco nella relazione. Per questo si può supporre che la situazione sperimentale venga interpretata
dai bimbi come una situazione SCOLASTICA, dove il proprio comportamento è VALUTATO.
La soluzione di un compito in questo contesto va considerata come una PRATICA SOCIALE, dove entrambi i
partner svolgono varie attività: costruzione di significati, costruzione di una relaizone, costruzione di
immagini sociali e personali di sé, attività cognitive.
Parlando di CONTRATTO, ci si riferisce a un insieme di pratiche sociali peculiare di un determinato ambiente
e di un determinato stile di negoziazione fra identità sociali di un certo tipo, con la funzione di definire le
coordinate entro cui i soggetti possono relazionarsi fra di loro e organizzare le proprie azioni in modo
consono alla situazione.
Il CONTRATTO SPERIMENTALE sottosta alle interazioni riguardanti lo studio di abilità cognitive; il
CONTRATTO DIDATTICO sottosta alle situazioni di trasmissione di conoscenze. Ci si chiede fino a che punto
la presenza dell’insegnante incida nei processi di costruzione della vita quotidiana a scuola e nei processi di
apprendimento. 4 norme base del contratto didattico:

1. La relazione fra insegnanti ed alunni è asimmettrica


2. Gli alunni si aspettanto che l’insegnante facciano domande a cui è possibile dare una risposta.
3. Gli alunni si aspettano che il maestro formuli la domanda in modo da indicare in modo implicito la
risposta corretta.
4. Gli alunni si aspettano che i dati di un problema siano necessari, sufficienti e pertinenti per
formulare la soluzione.

I risultati mostrano che i bambini dell’asilo riescono meglio se l’adulto non è connotato come “maestro”,
mentre nelle prime classi elementari accade il contrario.

I problemi assurdi
Si danno problemi con dati contradditori, insufficienti e non pertinenti. La maggior parte dei bambini, se il
problema è presentato loro dal maestro, rispondono con operazioni sui dati, senza accorgersi, o comunque
senza manifestare perplessità sul fatto che il problema è irrisolvibile. Sono in alcune classi in cui il contratto
specifico con il maestro pervede che questi a volte possa fare uno scherzo gli alunni si accorgono che il
problema non può essere risolto.
Si studia anche il ruolo dell’ESTORSIONE DELLA RISPOSTA: pressando un bambino a dare una risposta a un
problema impossibile, lui sarà portato a darla (ovviamente sbagliando).

Il CONTRATTO DIDATTICO fa capire che è necessario articolare le condotte cognitive degli individui con le
loro interpretazioni della situazione sociale, senza dimenticarsi che l’adulto (o insegnante o sperimentatore)
è parte attiva della situazione e genera aspettative diverse nel soggetto. Inoltre, la relazione fra i due è
articolata attorno al COMPITO, che fa da perno fra questi: come nel caso dei compiti impossibili, in cui il
bambino, in virtù della sua interpretazione della situazione in cui un adulto gli pone un problema, pensa di
essere all’interno di un contratto didattico, ma poi arriva un compito che viola almeno 3 delle 4 norme del
contratto; a questo punto i bambini o non se ne accorgono e agiscono come indicato dal contratto, oppure
diventano manipolabili perchè confusi (come nell’estorsione della risposta).

Ricerca: esperti e novizi


Ricerca francese, 4 fasi: pre-test, expertise, lavoro in comune, post-test. Nella fase di lavoro in comune si
accoppiano un novizio e un bambino che era risultato novizio al pre-test ma a cui è stato fatto expertise
(condiz 1), oppure un novizio e un esperto già al pre-test. I risultati, contrariamente all’ipotesi, mostrano
che i NOVIZI IN COPPIA CON GLI “EXPERTISED” PROGREDISCONO DI Più AL POST-TEST RISPETTO AGLI ALTRI
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NOVIZI, MA GLI EXPERTISED PROGREDISCONO MENO RISPETTO AI Già ESPERTI. Si ofrmano quindi
dinamiche di relazione diverse: in una il novizio “sfrutta” la conoscenza dell’expertised (che poco prima era
novizio, quindi non c’è differenza di status percepita) e progredisce di più rispetto a quest’ultimo, nell’altra
la leggera differenza fra il già esperto e il novizio permette una condizione più bilanciate delle risorse che
porta a un progresso simile in entrambi.

3.6: Studi sugli schemi pragmatici


Sono studi con lo scopo di ESPLORARE L’INFLUENZA DELLE PRATICHE SOCIALI QUOTIDIANE IN FAMIGLIA
SULLA COSTRUZIONE DI STRUMENTI COGNITIVI IN ETà PRESCOLASTICA. Lo SCAFFOLDING dato dai
caregivers porta alla costruzione di regolarità di comportamento, che col tempo diventano ROUTINE, ovvero
modalità abituali di afforntare una situazione. Queste routine vengono interiorizzate fino a diventare
SCHEMI PRAGMATICI: schemi di eventi fissi che contengono una rappresentazione della situazione e una
delle sue modalità di soluzione, già sperimentate come efficaci. Diversi studi su questi schemi hanno fatto
riferimento alle nozioni di collezioni insiemistiche (tutti i coltelli, tutte le forchette, tutti i cucchiai) e
collezioni identiche (coltello-forchetta cucchiaio, coltello-forchetta-cucchiaio), mettendo in evidenza come la
messa in atto dell'una o dell'altra dipenda strettamente dal contesto in cui si svolgono: in una condizione
con contesto “scuola” i bambini non usano collezioni, in una con contesto “camera da letto i bambini
utilizzano collezioni insiemistiche per mettere via vestiti di bambole. Ciò dimostra che GLI SCHEMI
PRAGMATICI HANO ORIGINE DA ROUTINE SOCIALI CONTESTUALIZZATE.

Schemi pragmatici di ragionamento


Sono forme organizzate di conoscenza a un certo livello di astrazione, ma prodotte tramite l’acquisizione di
regole di vita quotidiana. Ad esempio REGOLE DI PERMESSO E REGOLE D’OBBLIGO. Ad esempio, “se succede
X allora puoi-devi Y”...

3.7: compiti, conflitti e obiettivi di apprendimento: nuove linee di ricerca

- TEORIA DELL’ELABORAZIONE DEL CONFLITTO (Perez e Mugny): uno sviluppo della teoria del
conflitto sociocognitivo. Si propongono compiti in cui c’è un alto livello di implicazione sociale nel
fornire la risposta giusta: il conflitto quindi è da una parte legato alla conoscenza, dall’altra legato
alla relazione. In situazioni non minacciose per le competenze e lo status dei partner, prevale una
REGOLAZIONE EPISTEMICA DEL CONFLITTO, CENTRATA SUL COMPITO. Al contrario, in situazioni
minacciose prevale una REGOLAZIONE RELAZIONALE DEL CONFLITTO, CENTRATA SULLA RELAZIONE.
La prima porta progresso, la seconda quasi mai.
- STUDIO DEI COMPORTAMENTI ORIENTATI A UN RISULTATO: Due tipi di obiettivi possibili: OBIETTIVI
DI ABILITà (si vogliono acquisire nuove competenze) e OBIETTIVI DI PRESTAZIONE (si vuole mostrare
a sè stessi e agli altri che si è bravi). Si osserva in che modo questi due obiettivi modificano
l’apprendimento quando il soggetto è in interazione con un partner. Una situazione di CONFLITTO
con le idee del partner, c’è incertezza, quindi paura dell’insuccesso. Di conseguenza, il conflitto
dovrebbe avere EFFETTO POSITIVO in presenza di OBIETTIVO DI ABILITà, ed EFFETTO NEGATIVO in
presenza di OBIETTIVO DI PRESTAZIONE.
Inoltre, il conflitto in presenza di OBIETTIVO DI ABILITà produce REGOLAZIONE EPISTEMICA, mentre
in presenza di OBIETTIVO DI PRESTAZIONE produce REGOLAZIONE RELAZIONALE.

4: Le scuole
Se per diversi secoli l'alfabetizzazione poteva essere considerata un lusso solo per alcune categorie sociali
(solitamente persone facoltose, di sesso maschile, residenti in aree cittadine), dapprima il processo di
scritturazione delle attività (ovvero il mettere per iscritto ogni singolo passaggio di una prassi,
trasformandone i contenuti e le pratiche sociali che la caratterizzano in conoscenza astratta e simbolica) e in
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seguito la diffusione di saperi oggettivati (ovvero sottostanti ad una logica scientifica) hanno reso necessaria
la creazione della scuola. La scuola deve far rivivere, tramite la pratica dell’insegnamento, i risultati
dell’attività di altri. Uno degli effetti del processo di codificazione dei saperi e delle pratiche sociali è quello
di costruire un alunno che può imparare anche senza comprendere: l’alunno dovrebbe ragionare e fare
proprio ciò che gli viene insegnato, ma non essendoci un riscontro pratico, ciò non sempre si può sapere.
Nonostante la scolarizzazione sia lo strumento sociale di insegnamento per ecellenza al giorno d’oggi, non è
l’unico: ad esempio, l’APPRENDISTATO è una forma di istruzione ancora legata all’attività pratica, che
avviene, si potrebbe dire, con quei processi di partecipazione guidata e appropriazione partecipata di cui
parlavano Lave e Wenger.

4.2: Scuola e classi sociali


Nel XX secolo, in buona parte del mondo si è sostenuta l’EDUCAZIONE DI MASSA, con l’obiettivo principale
di ATTENUARE LE DIFFERENZE SOCIALI, offrendo a tutti simili possibilità di diventare cittadini eficaci e
responsabili. “cercano di costruire una società collettiva attraverso l’aumento dello sviluppo individuale”.

- NEGLI STATI UNITI: Turner descrive il sistema statunitense come caratterizzato da una MOBILITà DI
CONTESTO: gli individui competono fra loro sulla base di stesse opportunità a tutti; la
differenziazione avviene solo su base meritocratica.
- GRAN BRETAGNA: MOBILITà INCENTIVATA, ovvero c’è una selezione precoce degli studenti brillanti,
che vengono avviati in scuole prestigiose, mentre gli altri sono più trascurati.
- ITALIA: fino agli anni ’70 sicuramente MOBILITà INCENTIVATA; dal 1967 il sistema scolastico è stato
liberalizzato ed è diventato a MOBILITà DI CONTESTO.

Tre prospettive di relazione fra EDUCAZIONE E STRATIFICAZIONE SOCIALE:

- FUNZIONALISTA: le scuole devono insegnare le abilità necessarie per svolgere in futuro le


professioni, e legittimare i meccanismi di selezione, affinchè solo le persone migliori possano
occupare in futuro le posizioni sociali più elevate; in questo modo la scuola prepara gli individui ad
occupare ruoli ben precisi ed organizzati all’interno della società.
- PROSPETTIVA DEL CONFLITTO: la scuola tende a favorire la riproduzione delle disuguaglianze sociali
esistenti, poichè l’estrazione sociale influenza molto l’educazione e la socializzazione; di
conseguenza nella competizione scolastica gli alunni non gareggiano ad armi pari.
- PROSPETTIVA NEOMARXISTA: scuola come strumento di controllo sociale, trasmettono valori diversi
a seconda della classe sociale che le frequenta.

Una prospettiva intermedia fra le ultime due è quella offerta da Bordieu con la nozione di CAPITALE
CULTURALE: è un patrimonio che i genitori trasmettono ai figli nelle interazioni quotidiane; i figli di classi
ricche hanno un capitale culturale relativo ad argomenti che sono valorizzati a scuola, quindi vengono
premiati e questo li avvantaggia notevolmente. L’effetto del contesto familiare sul capitale culturale è
diretto, così come l’effetto di quest’ultimo (che media fra contesto familiare e successo scolastico) sul
successo scolastico.
Un altro fattore che influisce sulla relazione fra educazione e stratificazione sociale è la DISTANZA
SOCIOCULTURALE FRA INSEGNANTI ED ALUNNI, quindi L’ESTRAZIONE SOCIALE DELL’INSEGNANTE.
Quanto detto finora dimostra che le scuole non sempre realizzano l’obiettivo di attenuare le differenze
sociali, anzi speso tendono a riprodurle. Chiaramente tutto dipende dall’interazione complessa dei fattori
sopra elencati.
I sistemi scolastici possono dunque essere considerati come:

- STRUMENTI DI SELEZIONE E COMPETIZIONE


- STRUMENTI DI INTEGRAZIONE MULTICULTURALE
- RISORSE DI SVILUPPO E CRESCITA PERSONALE

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- RISORSA PER GARANTIRE AD OGNI ALUNNO LE ABILITà DI BASE

4.3: L’organizzazione dei sistemi scolastici


- USA: potere alle autorità locali, scuola decentralizzata che cerca di realizzare gli obiettivi educativi proposti
dalle comunità di cui le varie scuole fanno parte.
- ITALIA: alle singole unità scolastiche è attribuita AUTONOMIA DIDATTICA E AMMINISTRATIVA: significa che
le singole scuole hanno un certo grado di indipendenza dal Ministero dell’Istruzione. In particolare possono
FARE SCELTE CURRICOLARI (ogni scuola redige il suo Piano di Offerta Formativa), SCELTE ORGANIZZATIVE
(come distribuire il numero di ore fisso nei giorni della settimana), GESTIONE DEL PERSONALE (criterio della
funzionalità). La cornice a questa parziale autonomia è la presenza del SISTEMA DI GESTIONE COLLEGIALE,
che comprende rappresentanti di genitori, studenti, docenti, ecc, e ha lo scopo di governare
democraticamente il sistema scolastico. Si può parlare di scuola come ORGANIZZAZIONE BUROCRATICA
(gerarchie, specifiche mansioni), o meglio ORGANIZZAZIONI A LEGAMI DEBOLI: a differenza delle
precedenti, in queste i legami gerarchici e orizzontali sono chiari nella definizione dei ruoli, ma presentano
ampi margini di libertà per ogni ruolo (i docenti hanno poco controllo su studenti e genitori, i dirigenti
hanno poco controllo sui docenti); questo margine di gioco permette un funzionamento molto flessibile.

4.4: Obiettivi dei sistemi scolastici


IN Gran Bretagna c’è il Curricolo Nazionale per studenti da 5 a 16 anni, accompagnato dal Sistema di
Valutazione Nazionale. Lo Stato, oltre a definire le conoscenze da insegnare ed il modo in cui valutarle, dà
direttive per la pratica concreta dell’insegnamento, non lasciando tutto in mano ai singoli insegnanti.

Un equivalente italiano è costituito dalle INDICAZIONI NAZIONALI (2004), che vanno dalla materna alle
medie, con indicazioni sulla programmazione e sugli obiettivi delle varie discipline.

Indipendentemente dal tipo di riforma, la costante è L’ENFASI SU CONOSCENZE E ABILITà DI BASE: finita la
scuola primaria bisogna saper LEGGERE, SCRIVERE, E CONTARE.
Per le regole del linguaggio, le difficoltà sono tante, a partire dal trovare la corrispondenza tra suoni della
lingua e lettere scritte. Acquisendo con successo le regole linguistiche ci si distacca dagli schemi pragmatici
che si usano per comunicare prima dell’alfabetizzazione, grazie a una padronanza del sistema simbolico che
permette una comprensione ed una costruzione di significati più ampi, a livello di pensiero individuale e di
interazione sociale.
Un’altra difficoltà è imparare a scrivere in NOTAZIONE MATEMATICA, altro sistema simbolico per cui bisogna
apprendere la corrispondenza fra segni e significati.

4.5: Gli effetti della scolarizzazione


C’è CORRELAZIONE POSITIVA FRA ANNI DI ISTRUZIONE, LIVELLI SALARIALI E STATUS SOCIALE. Altra ricerca:
usando campioni di alunni della stessa età e provenienti dallo stesso contesto e status sociale (ma uno
scolarizzato e l’altro non ancora), si nota che il gruppo SCOLARIZZATO ha MIGLIORI ABILITà DI MEMORIA,
GESTIONE DEI FONEMI E PROBLEM SOLVING; in compiti di conservazione del numero non si manifestano
differenze; in compiti LEGATI A OPERAZIONI CONCRETE L’ABILITà SEMBRA INDIPENDENTE DALLA
SCOLARIZZAZIONE.

Si effettuano molte ricerche interculturali per confrontarsi con Paesi in cui l’istruzione non è diffusa su vasta
scala. Questi i risultati più importanti:

- ABILITà LINGUISTICHE: per quanto riguarda l’ORGANIZZAZIONE DEL SIGNIFICATO DELLE PAROLE, la
scolarizzazione permette di riconoscere i significati astratti delle parole e di stabilire relazioni più
complesse e ramificate fra le categorie semantiche; il significato delle parole è però compreso
anche da soggetti analfabeti, che riescono anche a organizzare in un certo grado le categorie
semantiche partendo dalla pratica e quindi usando strategie diverse dai soggetti scolarizzati.

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- ABILITà DI DECODIFICA: gli studi interculturali hanno mostrato quanto siano inadeguati, come
strumenti, gli esercizi tipici delle scuole occidentali. Tante volte infatti gli studenti scolarizzati si
dimostrano più capaci nel decodificare la richiesta del problema, nascosta sotto una formulazione
complessa linguisticamente e semanticamente, piuttosto che nell’abilità specifica richiesta per dare
la soluzione.
- ABILITà DI MEMORIA: sono generalmente superiori nei soggetti scolarizzati. Tuttavia, usando
compiti che evocano contesti significativi di vita quotidiana, le differenze scompaiono. (Rogoff,
1981).
- ABILITà METACOGNITIVE: migliori nei soggetti scolarizzati, in virtù della maggiore capacità di
astrazione.

In sintesi, non sembra che la scolarizzazione influenzi in modo profondo i PROCESSI COGNITIVI caratteristici
delle diverse fasce d’età, embra piuttosto che MODIFICHI L’UTILIZZO DI STRATEGIE SPECIFICHE PER LA
RISOLUZIONE DI PROBLEMI E IL TRATTAMENTO DI INFORMAZIONI (ricorda microgenesi e macrogenesi).

4.6: I contesti sociali delle scuole


Ogni scuola è parte integrante di una comunità sociale, in cui le RETI SOCIALI DI INFORMAZIONE che si
realizzano fra genitori e famiglie, e gli incontri fra le famiglie stesse e i dirigenti scolastici e i docenti, giocano
un ruolo importante nell’integrazione fra scuola e società.
CAPITALE SOCIALE: è un’istanza che si basa su FIDUCIA NELLE ISTITUZIONI, CONDIVISIONE DELLE NORME
CHE REGOLANO LA CONVIVENZA e ESISTENZA DI UNA RETE DI RELAZIONI STABILE CHE FORNISCE AIUTO
RECIPROCO, che ha la funzione di ammortizzare le differenze fra i membri di un gruppo, per renderli tutti
parte attiva di una collettività, una rete di relazioni e condivisione in cui esiste un “sentire comune”.
La scuola è una componente fondamentale del capitale sociale in quanto organismo che prepara le future
generazioni ad essere parte attiva della comunità.

4.7: Le condizioni di lavoro nelle scuole


In Italia è crescente il fenomeno degli ISTITUTI COMPRENSIVI, uniche strutture in cui confluiscono scuole
materne, primarie e secondarie di primo grado; tutti i diversi docenti e i diversi curricoli sono amministrati
da una dirigenza unica.

In ogni singola scuola, nella quotidianità, troviamo i 4 livelli di analisi proposti da Doise (intrapersonale,
interpersonale, posizionale, rappresentazioni sociali ampie) che si declinano nella varie interazioni fra
persone che popolano la scuola (studenti, insegnanti, dirigenti, ecc).

Attività decisionali
I dirigenti scolastici devono pestare attenzione ai PROCESSI DECISIONALI INDIVIDUALI E DI GRUPPO, molto
complessi in un sistema di stampo sempre più privatistico, con la figura del dirigente sempre più associata a
quella del “datore di lavoro”. Immagine del GARBAGE CAN per descrivere i processi decisionali
nell’organizzazione scolastica: spesso la scuola non ha controllo diretto sulle decisioni prese dai suoi vari
organismi (consiglio di istituto, sindacati dei professori, consiglio comunale, dirigenza, ecc) e si finisce per
“rovistare” fra problemi e soluzioni nel casino generale.
Negli USA si fa ricerca sull’argomento, studiando il rapporto fra decisioni e miglioramento delle condizioni di
apprendimento: Kannapel conduce il progetto SBDM (School Based Decision Making) delineando 3 diversi
modelli di funzionamento riscontrati nelle scuole americane osservate:

- MODELLO DELL’EQUILIBRIO: spesso le scuole più piccole e autonome, con meno pressioni, buoni
studenti e buoni finanziamenti. Il direttore non è autoritario, ci sono scopi comuni che vengono
condivisi e ci si basa su di essi per prendere decisioni;
- MODELLO CENTRATO SUGLI INSEGNANTI: il dirigente ha un forte controllo, ma gli insegnanti si
oppongono esplicitamente per rivendicare la propria autonomia, mettendo in difficoltà i genitori

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che adottano comportamenti remissivi per non dover sempre fare da mediatori o da decisori
determinanti
- MODELLO CENTRATO SUL DIRIGENTE SCOLASTICO: il dirigente propone e il consiglio approva, come
una routine; dietro a questo apparente funzionamento, in realtà i genitori sono passivi e gli
insegnanti hanno paura di ripercussioni, e le informazioni non ciroclano efficacemente.

Basandosi sul modello dell’equilibrio, si capisce che buoni processi decisionali sono legati a una cultura
condivisa all’interno della scuola, fatta di scopi comuni, con collaborazione fra docenti, famiglie e dirigenza,
dove le decisioni non si prendono nè per routine nè per risolvere conflitti “centrandosi sulla relazione”.
Da questo si capisce che il DECISION-MAKING SCOLASTICO NON PUò ESSERE VISTO COME UN’ATTIVITà
“MANAGERIALE”, PERCHè COINVOLGE TROPPE PARTI. Si parla di LEADERSHIP: IL DIRIGENTE SCOLASTICO
DEVE ESSERE UN LEADER, E IN QUANTO TALE HA BISOGNO DI UN GRUPPO FORTE E COESO CHE LO
SOSTIENE E LO LEGITTIMA.

Studi USA anni ’80, interventi per migliorare l’apprendimento degli alunni tramite la RIQUALIFICAZIONE
DEGLI INSEGNANTI, che passa tramite ESPERIENZE DI APPRNEDIMENTO INDIVIDUALI E DI GRUPPO,
ESPERIENZE DI OSSERVAZIONE E VALUTAZIONE, ESPERIENZE DI SVILUPPO E MIGLIORAMENTO DEL
PROCESSO EDUCATIVO, ESPERIENZE DI TRAINING SPECIFICO. Questa riqualificazione deve essere
accompagnata dal giusto ambiente scolastico: clima orgnaizzativo con obiettivi coerenti e chiari, forte
leadership del dirigente scolastico, azione congiunta fra dirigente e insegnanti, distribuzione funzionale degli
incarichi e dei tempi di lavoro degli insegnanti.

Le ricerche sul BURNOUT degli insegnanti mostrano che si tratta di un fenomeno molto diffuso: è
impossibile che gli insegnanti possano creare condizioni stimolanti per gli alunni se queste stesse condizioni
non vengono offerte a loro.

4.8: Efficacia delle scuole


È ciò che, nel concreto, distingue una buona scuola dalle altre. Due criteri per misurarla: EFFECTIVENESS
(l’efficacia della scuola nella quotidianità) e IMPROVEMENT (come e quanto una scuola migliora sè stessa
nel corso del tempo).

- EFFECTIVENESS: per misurarla ci si concentra su rapporti fra caratteristiche della scuola, processi di
insegnamento e risultati degli alunni. Due temi importanti che derivano da questi rapporti sono la
QUALITà DELL’ISTRUZIONE, e le PARI OPPORTUNITà EDUCATIVE.
- IMPROVEMENT: si considera la scuola come UN’ORGANIZZAZIONE CHE APPRENDE. Nel sistema
anglosassone, una spinta all’automiglioramento è stata data negli anni ’90 quando si creò un
contesto di libero mercato, permettendo alle scuole di elaborare un proprio curricolo, ciascuna
quindi con l’obiettivo quindi di “attirare clienti”.

Ricerche
Di due tipi: quelle sull’efficacia, basate sul rapporto fra livelli di ingrsso degli alunni e risultati al termine id
un ciclo scolastico; e le “ricerche-intervento” per l’improvement, basate su rapporto fra cambiamenti
introdotti in specifiche scuole e risultati degli alunni in un determinato perioro.

- RICERCHE DI PRIMA GENERAZIONE: Usa, Brookover, 5 FATTORI CHE CORRELANO CON LA QUALITà
SCOLASTICA: 1- forte leadership educativa 2-alte aspettative degli insegnanti per i risultati degli
alunni 3-enfasi sulle abilità di base (leggere, scrivere, contare) 4-clima sicuro ed ordinato 5-frequenti
valutazioni dei progressi degli alunni.
- SECONDA GENERAZIONE: anni ’90, critica agli studi precedenti che lavorano in medie e superiori,
dove molto può già essere stato determinato dagli ani di educazione precedenti. Si concentrano
quindi sulle SCUOLE PRIMARIE. I risultati CONFERMANO I 5 FATTOIR MA SONO INTEGRATI CON

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DIFFERENZE SPECIFICHE FRA CLASSI. In Italia nessuna ricerca importante ha accompagnato il


rinnovamento curricolare della scuola primaria in atto in quegli anni.
- TERZA GENERAZIONE: studi sulla “CULTURA DELLE SCUOLE”. Si vogliono unire effectiveness e
improvement in un modello complessivo multivariato. I risultati correlano con una serie di
microvariabili raggruppabili in tre ambiti: SINGOLE CLASSI (qualità di insegnamento, contenuti,
valutazioni con modalità condivise dagli alunni, istruzioni precise), SINGOLE SCUOLE (condivisone di
scopi e decision making equilibrato, leadership dirigenziale, buoni rapporti scuola-famiglia,
organizzazione logistica efficiente, rete sociale salda), COMUNITà SCOLASTICA O DI DISTRETTO
SCOLASTICO.
Parlando di CULTURA DELLA SCUOLA, ogni scuola ha la sua, caratterizzata da simboli, rituali,
condivisioni, storia, ecc. Hargreaves individua 4 TIPI IDEALI di cultura della scuola (la realtà è molto
più dinamica): CULTURA TRADIZIONALE (bassa coesione, alto controllo centralizzato, clima formale,
orientamento ai risultati), CULTURA DEL BENESSERE (alta coesione, basso controllo, clima rilassato,
orientamento al benessere), CULTURA DEL “FAR CRESCERE” (alta coesione, alto controllo, clima
competitivo, orientamento a incrementare costantemente l’offerta formativa), CULTURA DELLA
SOPRAVVIVENZA (bassa coesione, basso controllo, clima di insicurezza e di isolamento,
orientamento a sopravvivere giorno per giorno).

6: La vita morale nelle classi


Si evidenzia il FORTE LEGAME, in ogni Paese, fra SCUOLA, SISTEMA POLITICO E CULTURA. Ci si chiede se
nelle scuole italiane sia presente il senso della moralità, della legalità, il concetto di Stato e di appartenenza,
se valori come uguaglianza e senso della collettività abbiano resistito. Importanza della PREVENZIONE per
bloccare i piccoli segnali di perdita di tutti questi valori (teppismo, vandalismo, maleducazione,ecc). In Italia
la situazione è molto migliore che negli USA, dove situazioni estreme a scuola hanno fatto sì che Damon
parlasse di una situazione di DEMORALIZZAZIONE, intesa come “perdita dei valori morali a scuola”.

In contemporanea con la perdita di moralità negli alunni (e probabilmente concausa di questa) c’è un crollo
di valori nella professione dell’insegnante, sempre più slegato dalllesercizio della responsabilità e sempre
più professionista e dipendente che non dedica ai suoi alunni un minuto di più di quelli stipulati dal
contratto. Sempre Damon parla di AUTOREVOLEZZA DELL’INSEGNANTE, che si fonda su IMPARZIALITà,
SINCERITà E RESPONSABILITà, tre elementi che sembrano essere sempre più assenti.

In Italia, si nota come sia avvenuto il passaggio da FAMIGLIE ETICHE (centrate sull’importanza dei valori e
dei comortamenti che ne derivano) a FAMIGLIE AFFETTIVE (centrate sull’importanza della relazione affettiva
ristretta fra i componenti); ciò non giova alla moralità dei ragazzi, che scoprono, varcata la soglia domestica,
di doversi confrontare con un mondo che non sempre dispensa loro affetto e non sempre condivide le loro
stesse opinioni. Questo porta a casi di bambini che, pur venendo da famiglie “senza problemi”, manifestano
gravi problemi di comportamento a scuola, faticando a capire come funziona questo nuovo ambiente.

6.2: Riflessioni sull’educazione morale


Si ripercorre la prospettiva sullo sviluppo morale in un’ottica sociocostruttivista, partendo dalla posizione
piagetiana che, riletta negli anni ’70, ha portato a queste conclusioni: la moralità si sviluppa nei rapporti con
famiglia e amici; è di natura interattiva, risultato di partecipazione alle esperienze sociali; nella sua
formazione si comprendono quindi discussione e negoziazione di eventi. Il rispetto consente la
cooperazione, la quale interviene sulla possibilità di discutere, argomentare, criticare, negoziare; tutto ciò
genera cambiamenti nel ragionamento. Ecco che l’interpsichico è diventato intrapsichico.
Dopo Piaget, tre approcci che considerano i rapporti fra sviluppo e cultura nella formazione del senso
morale:

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- APPROCCIO COGNITIVO DI KOHLBERG: tre stadi (pre-convenzionale, convenzionale, post-


convenzionale), con due sottostadi ciascuno. Il punto di arrivo è la PROSPETTIVA DEONTOLOGICA
del livello post-convenzionale, svincolata dalla contingenza, che risponde a principi etici universal.
Per arrivarci è necessaria l’acquisizione di maggiori abilità cognitive che permettano la
rappresentazione delle situazioni in modo più articolato. Per misurare i livelli di moralità usava i
DILEMMI MORALI. Critiche a questi dilemmi: connotazione culturale e necessità di un certo livello di
padronanza linguistica per comprenderli. Per questo motivo NON SI PUò PARLARE DI STADI
UNIVERSALI DI SVILUPPO MORALE, come faceva Kohlberg.
- APPROCCIO SOCIOINTERAZIONISTA DI TURIEL: sostituisce i tre stadi di Kohlberg con tre ambiti di
esperienza (personale, convenzionale, morale). Fin dall’infanzia si cominciano a distinguere
l’OBBLIGO MORALE dalla REGOLA CONVENZIONALE, tramite l’APPRENDIMENTO SOCIALE, legato alle
esperienze che si fanno in comunità, alle interazioni con gli Altri significativi. Non sviluppo cognitivo
individuale dunque, ma apprendimento situato.
- TEORIA DELLA COMUNICAZIONE SOCIALE DI SHWEDER, MAHAPATRA E MILLER: i bambini, in
assenza di un ordine morale esplicito (come il sistema di caste di certe società), sviluppano la
nozione di OBBLIGO CONVENZIONALE (un obbligo dettato non dalla moralità, ma dalle convenzioni
che si riproducono nelle interazioni quotidiane). Questo obbligo convenzionale permette ai
bambini, col tempo di costruire il proprio codice morale all’interno di un processo più ampio di
socializzazione. Ovviamente ogni cultura decide che cos’è morale e che cosa no, quindi non si
possono confrontare in modo assoluto.

Nozione di morale
Tre aspeti secondo Damon e Hart:

- MORALITà COME RISPETTO DELLE REGOLE SOCIALI: prospettiva piagetiana, dove la regolazione
sociale è il primo strumento di comunicazione “morale” con gli altri. La teoria della comunicazione
sociale mostra gli aspetti socioculturali di questo aspetto.
- MORALITà COME GIUSTIZIA: prospettiva di Kohlberg. Superiore alle regole, quando una regola è
contraria a un diritto individuale è moralmente illegittima.
- MORALITà COME ORIENTAMENTO VERSO GLI ALTRI: prospettiva del “prendersi cura”, tracce in
Gilligan nel pregiudizio di genere.

NORMA MORALE: è una norma che si riferisce alle conseguenze di un’azione non sul piano individuale o
collettivo, ma piuttosto sul piano più ampio dei princìpi universali riguardanti l’uomo, i Diritti, la libertà. Ma
chi definisce la norma morale in quanto tale? Si fa quindi riferimento all’AUTORITà MORALE, che
permetterebbe appunto di definire le norme morali. L’autorità morale autentica si ha quando chi la mette in
atto offre alle peronse modi di comportarsi nell’interesse della collettività e dei principi superiori. Ci sono
però altre tipologie di rapporto fra potere e autorità morale:

- POTERE PATERNALISTICO: chi agisce non per il bene degli altri, ma per il proprio, senza però
esplicitarlo apertamente, anzi facendo credere il contrario; vuole mostrare autorità morale anche se
non ne è garante.
- AUTORITARISMO: disinteresse esplicito per gli altri, assenza totale di autorità morale.

Lo studio del decision making nelle scuole può essere inteso anche come rapporto fra autorità morale e
potere.

Le scuole possono essere esempi concreti di COMUNITà MORALI, intese come comunità in cui si
condividono linguaggi e aprticolari comportamenti, ma anche “discorsi valutativi” a proposito dei
comportamenti adeguati da tenere nelle diverse situazioni, Quando in esse si sceglie l’autorità morale come

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modalità di gestione del potere, e si riconoscono finalità educative comunia tutti i membri, che si esplicano
nell’attività quotidiana.

Secondo Wilson, ogni uomo possiede un SENSO MORALE, che si riafferma nel corso dello sviluppo e
influenza il comportamento. I 3 principi fondamentali sono RECIPROCITà, EQUITà ED IMPARZIALITà, principi
che sono chiamati in causa continuamente a scuola (si pensi a un richiamo dell’insegnante a un alunno ma
non a un altro, a una valutazione percepita come imparziale, ecc). Proprio dalle interazioni scolastiche
quotidiane si forma il senso morale dei ragazzi, tramite il CURRICOLO NASCOSTO della scuola (espressione
per intendere quei messaggi più o meno impliciti che la scuola veicola agli alunni sui valori della cultura di
riferimento.

6.3: scuole come comunità morali


KOHLBERG E HIGGINS, RICERCA SULLA COMUNITà GIUSTA: nel Bronx, in una scuola con tanti episodi di
violenza. Si cambiano i valori nelle relazioni quotidiane, incoraggiando alla responsabilità e alla condivisione
di obiettivi, cercando di far provare senso di appartenenza agli alunni.

RUOLO DEGLI INSEGNANTI NELLA COSTRUZIONE DI UNA COMUNITà GIUSTA. Devono far uscire gli studenti
dai loro ruoli nel gruppo, incoraggiandoli ad assumere divesi pdv. É importante richiedere agli studenti di
condividere lo scopo della lezione. Devono sempre prendersi le loro responsabilità, non agire in modo
utilitaristico, trasmettere conoscenze aiutando gli alunni a sviluppare sia abilità cognitive che pratiche, e
socializzando gli alunni alle caratteristiche della società in cui vivono (Tomlinson). E quando le società sono
multiculturali? Questo è un problema molto attuale.
APPROCCIO ETNOGRAFICO DI WOODS, mostra come in ogni classe ci sia un calderone di valori diversi,
rappresentati da diversi docenti in diversi momenti della giornata. Quindi l’apprendimento nelle classi è
anche un fatto di natura SOCIALE e MORALE, che si sviluppa nei singoli momenti della giornata.
Eimler e Reicher affrontano il TEMA DELLA REPUTAZIONE, considerata come conseguenza di azioni
effettuate. Come costruirla e mantenerla? A seconda dell’impianto morale della comunità-classe, si possono
mettere in pratica strategie diverse per migliorare (o peggiorare) il proprio rendimento e la propria
immagine.

6.4: Caratteristiche della vita morale nelle classi


Nelle classi le piccole trasgressioni, e quindi le questioni morali ad esse connesse, sono all’odine del giorno.
Non parlarne è un modo implicito per legittimarle, e gli alunni finirebbere per perdere fiducia nel senso di
giustizia dell’insegnante non impegnandosi più e cercando modi alternativi per aggirare gli ostacoli posti da
quest’ultimo.
Problema del RELATIVISMO MORALE: quando il ragionamento su un tema etico-morale si incentra sulle
singole persone implicate tralasciando i valori generali che riguardano l’umanità. Una delle funzioni
fondamentali della scuola, oltre all’istruzione scientifica e accademica, è la costruzione del “buon cittadino”,
quindi l’insegnante deve sempre avere presente una visione complessiva dell’Uomo e trasmetterla nelle
decisioni di tutti i giorni in riferimento ai suoi alunni, tenendo sempre presente il suo ruolo e l’immagine di
adulti che si è fatto dei suoi allievi.

Routine educative e organizzative


Sono le sequenze usuali di discorsi e spiegazioni tramite cui l’insegnante consegue il duplice obiettivo del
raggiungimento degli obiettivi curricolari e del mantenimento delle condotte adeguate da tenere in classe
da parte degli studenti.
La ROUTINE EDUCATIVA, con le sue regolarità, favorisce il processo di socializzazione dei nuovi alunni
all’ambiente scolastico, costituendo una sorta di “canovaccio della culutura degli adulti”.
Le ROUTINE ORGANIZZATIVE sono esempi particolari di routine educative, con lo scopo di regolare la
condotta degli alunni. Il loro scopo principale è quello di richiamare le norme generali che regolano la
condotta degli alunni. Alcune routine organizzative sono: -ROUTINE DEL CONTRIBUTO IGNORATO
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(l’inegnante ignora deliberatamente un alunno che vuole parlare, per far capire che non è il momento) –
ROUTINE DELL’ASSEGNAZIONE DEL TURNO –ROUTINE DELLA PARTECIPAZIONE (incitare i più silenziosi a
parlare).

Come entra il discorso sulle routine in quello relativo alla vita morale nelle classi? Tramite l’osservazione
sistematica delle routine educative ed organizzative si possono rintracciare nella pratica gli elementi del
CURRICOLO NASCOSTO in cui si riproduce il sistema morale della classe.

Osservando proprio le routine e la vita quotidiana delle classi, Jakson, Boostrom e Hansen individuano 5
categorie di interventi ESPLICITI degli insegnanti verso le condotte morali:

- Interventi diretti riguardanti discipline come educazione morale o civica


- Giudizi di valore su eventi storici o personaggi
- Discorsi durante “cerimonie istituzionali” (conferenze, ecc)
- Citazioni del regolamento, inviti espliciti al rispetto della natura, delle minoranze
- Commenti espliciti sul comportamento degli alunni

Tre categorie di interventi IMPLICITI:

- Regole in uso nella classe (alzare la mano, ecc)


- Rapporti di onestà fra insegnanti e alunni, soddisfazione pratica di aspettative implicite reciproche
- Espressioni non verbali dell’insegnante: sguardo, postura, ecc.

All’interno di queste categorie, ci sono fortissime DIFFERENZE FRA CLASSI nella modalità di intervento scelta
dall’insegnante, a conferma che il curricolo nascosto e il tipo di comunità morale sono estremamente
variabili di classe in classe.

6.5: Scelte e responsabilità come pratiche quotidiane


Questione morale del RAPPORTO FRA RESPONSABILITà INDIVIDUALE E COLLETTIVA. Legati alla nozione di
responsabilità sono l’EMPATIA e il COMPORTAMENTO PROSOCIALE.
Per quanto riguarda l’insegnante, il concetto di RESPONSABILITà DELL’INSEGNAMENTO diventa
fondamentale nelle scelte didattiche quotidiane, in cui l’insegnante deve mettere in luce i valori
fondamentali della convivenza, mostrando ai propri alunni la capacità di sapersi rendere cura di loro. Questa
è una responsabilità di insegnamento di natura ETICA, diversa dalla (comunque importante)
RESPONSABILITà COME CONTROLLO del lavoro eseguito.
Per quanto riguarda lo studente: Weiner parla di differenza fra RESPONSABILITà INTERNA ED ESTERNA nella
PERCEZIONE DELLA RESPONSABILITà: dipende dalla possibilità dell’individuo di avere controllo sulle cause
che sono ritenute all’origine di un evento. In ambito scolastico, ad esempio, l’impegno individuale è un
esempio di fattore interno di responsabilità, e quindi è considerabile un VALORE MORALE.
Importanza dell’ambiente familiare per la responsabilità: gli alunni, se riconoscono nei genitori dei BUONI
LEADER (persone che vale a pena ascoltare e seguire), acquisiranno una moralità molto simile a quella di
questi ultimi.

6.6: Rompere il contratto didattico: offese, aggressioni, violenze


Quando lo studente percepisce una RESPONSABILITà ESTERNA (e se ci sono altri fattori), ecco che può
avvenire la rottura del contratto didattico con una trasgressione. La violenza nelle scuole è un fenomeno che
è presente soprattutto in contesti dove gli insegnanti agiscono in maniera individuale e le pratiche educative
sono poco omogenee: il risultato della violenza è un aumento di sofferenza per tuti i partecipanti alla vita
scolastica. Si cerca di capire che cosa considerare violenza e che cosa no, e anche quali indicatori utilizzare
per dichiarare una scuola “a rischio di violenza”.
Charlot mostra che in Francia, maggiore è l’insoddisfazione e la rappresentazione di un futuro vuoto,
maggiore è la contraddizione percepita dagli alunni nell’istituzione scolastica (“perchè devo studiare se non
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serve a nulla?”) e MAGGIORE è LA VIOLENZA.


DIFFERENZE FRA SCUOLE NELLA GESTIONE DELLA TRASGRESSIONE: Ricerca di Ballion in Francia, almeno tre
categorie:

- ALTO SUCCESSO SCOLASTICO: gli alunni hanno un forte senso di appartenenza, condividono le
regole e le rispettano, alto impegno e buon rapporto con gli insegnanti.
- MEDIO SUCCESSO SCOLASTICO: genitori e alunni non si Perciò manca una cultura comune e
condivisa, di conseguenza impegno saltuario e scarso rispetto di regole
- SCARSO SUCCESSO SCOLASTICO: gli alunni non rispettano le regole scolastiche e trasportano quelle
extrascolastiche all’interno della scuola. Aggressioni, intimidazioni, ecc.

IPOTESI SULL’INNESCO DELLA VIOLENZA: -TEORIA DEL CONTROLLO SOCIALE: il rispetto delle regole è un
modo per mostrarsi parte integrante della società; gli alunni che non le rispettano non hanno senso di
appartenenza alla scuola, che è la causa delle violenze e ciò su cui lavorare. –TEORIA DELL’APPRENDIMENTO
SOCIALE di banduriana memoria, imitazione di modelli comportamentali negativi appartenenti ad altri
contesti; il ragazzo li riproduce a scuola. –APPROCCIO COGNITIVO: interpretazione pessimisitca delle
situazioni a causa di un sentimento di insoddisfazione.

6.7: Dal mercato della violenza agli alunni violenti


Negli stati uniti c’è un forte aumento di vilenza nelle scuole, che ha stimolato l’aumento della ricerca sui
fattori di rischio nell’insorgenza di episodi di violenza, ricerca viziata dalla forte FOCALIZZAZIONE
SULL’INDIVIDUO COME CAUSA PRIMA DELLA VIOLENZA (devine sottolinea l’incongruità di queste
interpretazioni rispetto alla complessità dei fenomeni sociali). Le ricerche indicano importanti pratiche di
prevenzione: sulla prevenzione si inserisce il ramo parallelo di questo argomento, ovvero il fiorente mercato
della sicurezza nelle scuole: metal detector, tv a circuito chiuso, eccetera.
Il lavoro di Smith sul bullismo è un buon esempio di questo approccio individualistico. Smith sostiene che
alcuni alunni sono più predisposti ad essere vitime, mentre altri provano una soddisfazione particolare ad
essere bulli. Propone poi linee programmatiche di intervento, distinguendo fra interventi centrati sulle
scuole e interventi centrati sugli alunni. Alla fine del suo lavoro, tuttaiva, Smith conclude sostenendo che le
differenze individuali giocano un ruolo importante nella predisposizione al bullismo, ma i fattori principali
sono di ordine sociale (che però non vengono da lui analizzati).
L’approccio sociale allo studio del bullismo è improntato alla ricerca di correlazioni fra caratteristiche
socioculturali di quartieri e scuole, climi scolastici (in sostanza, indici di precarietà sociale) e violenza a
scuola, operazionalizzata tramite il GRADO DI INSICUREZZA PERCEPITA DA ALUNNI E INSEGNANTI IN AMBIT
SCOLASTICO (Blaya). Si nota che in Gran Bretagna gli alunni, nonostante anche loro siano in una
percentuale simile a quella francese vittime di violenza, hanno una relativa migliore impressione della loro
scuola rispetto ai francesi. Questo indica che in Francia c’è una maggiore “violenza contro la scuola” dovuta
ad una percezione di ingiustizia nell rapporto insegnanti-alunni, scarsa qualità delle relazioni e dei locali
scolastici, STATUS DEGLI INSEGNANTI (in Gran Bretagna il rapporto è molto meno formale, e questo
permette una relazione più flessibile e sembrerebbe anche più RISPETTOSA).
Occorre trattare i fenomeni di violenza come prodotto dell’insieme delle condizioni di funzionamento del
sistema scolastico, senza ridurli come dipendenti da caratteristiche intraindividuali: in questo senso, bisogna
agire nel quadro di interventi progettati da un’équipe integrata di insegnanti ed esperti e col coinvolgimento
dei partner responsabili delle politiche sociali ed educative dei quartieri e delle città.

7: La valutazione
7.1: i precursori della valutazione a scuola
Per molto tempo, durante il XX secolo, si è creduto che le differenze individuali nella prestazione scolastica
fossero imputabili alla diversa distribuzione di una funzione psicologica superiore definita come

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INTELLIGENZA. Binet e Simon mettono a punto uno strumento di confronto tra ETà MENTALE ed ETà
CRONOLOGICA, anni dopo si creò la nozione di QI, derivante dal rapporto fra età mentale ed età cronologica
moltiplicato per 100. Gli stessi autori del test, però, specificarono che vari fattori contestuali e ambientali
potevano rendere alcuni bambini deficitari in questo test, e che quindi il QI era una misura relativa al
contesto della Francia scolarizzata di inizio ‘900. Tuttavia il loro test, e la procedura utilizzata per costruirlo,
sono stati esportati in tutto il mondo, e solo in tempi recenti si è raccolata la critica di Henmon che
sosteneva che i test misurano solo quella specifica intelligenza che è valorizzata e premiata a scuola. Dagli
anni ’70 in poi, tutti gli autori che si occupano di differenze individuali e di intelligenza riconoscono una
molteplicità di capacità distribuite in diversi domini, in modo disuguale negli individui.

7.2: Le pratiche quotidiane di valutazione


Differenze di metodi di valutazione nelle diverse culture scolastiche: negli Usa il criterio è la capacità degli
alunni, in Giappone è l’impegno e lo sforzo degli alunni. Di conseguenza maggiore variabilità fra i risultati
degli americani, sia attesa che ovviamente riscontrata. Una conseguenza dell’enfasi sulle abilità individuali è
che gli alunni americani sono più spesso controllati e valutati rispetto a quelli giapponesi.

FUNZIONI DELLA VALUTAZIONE SCOLASTICA: gli studi docimologici differenziano fra VALUTAZIONE
SOMMATIVA (con scopo di fornire un bilancio sulle abilità apprese) e VALUTAZIONE FORMATIVA (con lo
scopo di aiutare l’alunno a raggiungere l’obiettivo di apprendimento prefissato). Tutto dipende
dall’interpretazione che l’insegnante fa della prestazione dell’alunno. La funzione della valutazione
scolastica sarebbe preminentemente formativa, ma spesso la valutazione sommativa la contamina: basti
pensare a qualsiasi situazione di interrogazione o verifica in cui si ha “paura del voto”, situazioni che ormai
sono parte del contratto didattico. In questo contesto, si cita l’IMPORTANZA DEL FEEDBACK COME ESEMPIO
DI VALUTAZIONE FORMATIVA.
CONTRATTO DIDATTICO E VALUTAZIONE: il momento della verifica e dell’interrogazione è un momento di
NEGOZIAZIONE per entrambe le parti in gioco: gli insegnanti devono pilotare la classe nella sua interezza
verso un punto più alto del progresso nella conoscenza, e al momento dell’interrogazione sono in uno stato
di incertezza circa la riuscita del loro intento; incertezza che caratterizza anche gli studenti, che non sanno se
hanno acquisito le capacità volute dall’insegnante. In questo contesto c’è una FORTE ASIMMETRIA SOCIALE
E CONOSCITIVA in favore dell’insegnante, ma gli studenti hanno a disposizione STRUMENTI PER NEGOZIARE
CON LUI, indurlo a venire a patti con loro. Il VOTO è lo STRUMENTO DI NEGOZIAZIONE. Non si basa su
un’attenta valutazione docimologica, ma piuttosto sul fatto che deve costituire un MESSAGGIO AL SINGOLO
ALUNNO E A TUTTA LA CLASSE. Per questo motivo gli insegnanti stanno attenti a non dare voti nè troppo alti
nè troppo bassi, a non avere distribuzioni di voti troppo ampie, eccetera. I voti inoltre sono ovviamente
suscettibili delle aspettative degli insegnanti, delle loro credenze riguardo alle capacità e all’impegno degli
alunni, ecc.

Gilly ipotizza che gli insegnanti producano i giudizi sugli alunni facendo riferimento a tre diversi livelli di
informazione:

- LIVELLO DELLE INFLUENZE SOCIALI NORMATIVE: valori morali della società, immagine dell’uomo
moderno, caratteristiche istituzionali della scuola
- ATTEGGIAMENTI VERSO LA SCUOLA: comportamenti tipici degli alunni e attese di ruolo
- ESPERIENZE QUOTIDIANE: comportamento degli alunni nelle diverse situazioni scolastiche.

L’insegnante raccoglie informazioni sugli alunni a partire dalla situazione reale, ma poi se ne CREA UNA
RAPPRESENTAZIONE ASTRATTA, e, nella valutazione, si basa su questa piuttosto che sul dato di realtà.
In una ricerca sul campo, Gilly parla di due fattori che caratterizzano le rappresentazioni degli alunni negli
insegnanti: un FATTORE DI IMPRESSIONE GENERALE, basato su poci elementi, come metodo di studio,
perseveranza, intelligenza, e un FATTORE CONNESSO ALLA GESTIONE DELLA CLASSE, che tiene conto degli
aspetti sociali del comportamento.
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RICERCA DI SOLARI: si chiede agli insegnanti di fornire giudizi su alunni, in due compiti diversi (scrittura e
pittura). Durante il giudizio si focalizzano maggiormente sulle informazioni ottenute dall’osservazione del
compito di scrittura (perchè a valenza socioistituzionale maggiore), e generalizzano le abilità dimostrate in
quello specifico compito. Lo stesso non accade se l’allievo si mostra molto bravo in pittura (una MATERIA
DEBOLE): in questo caso diranno che ha abilità particolari, ma non daranno un buon giudizio generale.
Questa ricerca introduce bene l’argomento dei MODELLI DI STUDENTE condivisi da molti maestri: l’alunno
“mediocre in disegno, socievole e maturo”, l’alunno “bravo in disegno, impulsivo e con un temperamento da
‘artista’ “ e così via...

Tre nuclei sistematici attorno cui si organizzano i giudizi:

- MATERIE FORTI: matematica, lettura, espressione orale e scritta; abilità di base.


- FORMAZIONE: educazione morale, fisica e civile del ragazzo; buon cittadino.
- METODO: metodo di lavoro del ragazzo e sua partecipazione alla vita scolastica; bravo alunno.

TEORIA GIUSTIFICATRICE DELLA VALUTAZIONE: gli insegnanti tendono a valutare un medesimo errore in un
compito facendo ricorso a ragioni di ordine diverso da alunno ad alunno: lo stesso risultato può essere
conferma delle difficoltà di un alunno mediocre, o episodio trascurabile per un alunno brillante.

L’ATTO DEL VALUTARE è DUNQUE ATTIVITà SOCIO-COGNITIVA, GOVERNATA DA Ciò CHE IL VALUTATORE HA
Già IN TESTA.

7.3: Dalla spiegazione alla valutazione dei comportamenti


Ricerca sull’ATTRIBUZIONE CAUSALE di Heider: gli uomini sono portati a raffigurarsi una situazione come
relazione causa-effetto, anche quando magari non lo è, per poter organizzare cognitivamente l’ambiente nel
modo più stabile e coerente possibile. Lo stesso avviene in situazioni sociali: è per questo che l’uomo cerca
di costruirsi una rappresentazione della condotta altrui come il risultato di una convergenza di fattori
personali e ambientali. Qui nasce l’interrogativo riguardante l’attribuzione interna o esterna delle cause.
In ambito scolastico, la ricerca delle cause di un risultato a un test dovrebbe condurre ad una miscela
equilibrata fra i tre fattori soggetto che apprende, insegnante che media, e oggetto-compito. Gli insegnanti,
nel loro lavoro, sono “pressati a produrre inferenze”: anche per questo svolgono continue attribuzione
causali riguardo alle condotte degli alunni. In che modo?

Caratteristiche dei processi di attribuzione causale degli insegnanti


- Influenza delle caratteristiche dei soggetti valutati: le qualità disposizionali dei singoli alunni hanno
una forte influenza. Vedi studio di Deaux e Emswiller sul “pregiudizio” di genere. Inoltre, la “paura
della pubblicazione” del giudizio su un alunno induce gli insegnanti a fare attribuzioni situazionali,
mentre gli insegnanti di liceo sono più inclini a fare attribuzioni disposizionali.
- ERRORE FONDAMENTALE DELL’ATTRIBUZIONE CAUSALE: presente in generale nei processi cognitivi
umani, è presente anche in quelli degli insegnanti. È la tendenza a sovrastimare l’origine interna dei
comportamenti umani. Una spiegazione dell’errore fondamentale è la dottrina individualistica
occientale: si considera in questo modo l’attribuzione causale agli individui non come un errore
logico ma come una conseguenza culturale

7.4: Distribuzione delle cause, norma di internalità e successo scolastico


NORMA DI INTERNALITà: è LA VALORIZZAZIONE, SOCIALMENTE APPRESA, DELLE SPIEGAZIONI DEGLI EVENTI
PSICOLOGICI CHE ACCENTUANO IL RULO DELL’ATTORE COME FATTORE CAUSALE. È il concetto che permette
il passaggio dalla concezione di sovrastima di spiegazioni disposizionali come errore logico alla concezione di
questa sovrastima (l’errore fondamentale dell’attribuzione causale) come prodotto della cultura, appreso
sottoforma appunto di norma di internalità, che diventa strumento sociocognitivo di negoziazione rispetto
alle norme sociali. Nel mondo della scuola italiana e occidentale questa norma si manifesta chiaramente (lo
confermano varie ricerche che correlano il suo aumento col maggior numero di anni scolastici), e diventa
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uno STRUMENTO IMPORTANTE NELLA NEGOZIAZIONE DELLE RELAZIONI FRA STATUS SOCIALI ASIMMETRICI
(presentarsi come “interni” porta a giudizi sociali più favorevoli nei propri confronti).

Ricerche
- Dubois in Francia: quando gli alunni credono che un insegnante valuti le loro risposte, producono
attribuzioni interne, confermando la desiderabilità sociale di questo comportamento. La conferma
che gli alunni stessi ne comprendono la desiderabilità sociale si ha in un altro suo studio, in cui gli
alunni a cui si chiedeva di “rispondere come gli alunni mediocri” davano risposte meno interne.
- Bressoux e Pansu mostrano che gli insegnanti giudicano più favorevolmente coloro che emettono
risposte interne.

La conclusione degli studi è che gli alunni (a qualsiasi età) con i più alti punteggi di internalità riescono
meglio negli studi, ma non ci sono prove della superiorità intellettiva di questi alunni. Perchè allora vanno
meglio? Perchè, essendo la norma di internalità un prodotto socioculturale, anche gli insegnanti la
utilizzano, e hano un bias a favore degli alunni “interni”, che potrebbe portare a una profezia che si
autoavvera.

- Py e Somat, CONSAPEVOLEZZA NORMATIVA: è la consapevolezza dell’esistenza di una particolare


norma che regola il comportamento e il giudizio sociale, e del fatto che se non la si mette in atto la
si infrange. La loro ricera dimostra che già ad 11 si è consapevoli di poter influenzare negli altri
un’immagine di sé positiva o negativa attribuendo a sé stessi giudizi interni o esterni: quindi c’è già
consapevolezza normativa della norma di internalità.

7.5: Insuccesso scolastico e spiegazioni degli alunni


Le spiegazioni degli alunni circa i risultati scolastici di altri ragazzi tendono a riprodurre il fenomeno della
DIFFERENZIAZIONE CATEGORIALE: un ragazzo bravo a scuola, che frequenta ragazzi bravi a scuola, tenderà a
spiegare il basso rendimento di alunni appartenenti alla categoria dei “meno bravi” (e frequentanti un’altra
scuola) accentuando le differenze con l’ingroup e attribuendo al membro dell’outgroup caratteristiche
negative (non è intelligente, non si impegna, ecc).
Le Poultier indaga il rapporto fra attribuzione causale e valutazione dei compagni negli alunni, e trova una
correlazione positiva fra la sovrastima dell’attribuzione interna di responsabilità ai compagni, e la tendenza
a usare criteri valutativi (piuttosto che descrittivi) per caratterizzare i compagni. Ovvero, l’alunno che dice
che Gigi ha preso un brutto voto perchè “non si impegna, fa lo scemo”, sarà anche quello che per descrivere
Carlo dirà “è un casinista” o “è furbo” o “è intelligente”.
Guiongouain documenta che gli stessi programmi pedagogici “progressisti” esaltano e valorizzano le
caratteristiche interne, a conferma dell’importanza di queste nell contesto scolastico.

7.6: dall’internalità alla psicologizzazione


Insuccesso scolastico e norma di internalità vanno inseriti all’interno di un processo più ampio, caratteristico
delle nostre società, di PSICOLOGIZZAZIONE del comportamento: è la tendenza a considerare di più le
caratteristiche individuali per descrivere qualcuno e il suo comportamento, non solo per ricercarne le cause!
Questo la differenzia dall’errore fondamentale di attribuzione, che ne è una conseguenza.
Gli insegnanti sono grandi utilizzatori di questo processo, in quanto il loro compito è proprio di farsi
un’impressione degli alunni e valutarli: è stato dimostrato che basta la semplice consegna di farsi
un’impressione di una persona per mettere in moto processi di psicologizzazione nel’osservatore.

- Studio sull’effetto delle informazioni su un bambino sulla valutazione degli insegnanti che lo
osservano: quelli a cui è stato detto che è figlio di insegnanti utilizzano le cause esterne come
attenuanti per giustificare un eventuale scarso risultato a un test, mentre ciò non avviene in quelli a
cui è stato detto che figlio di agricoltori, i quali anzi tendono ad attribuire un eventuale insuccesso a
cause interne.

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IN SOSTANZA: LE PRATICHE DI VALUTAZIONE SONO STRUMENTI RISCHIOSI: PER L’INSEGNANTE PERCHè


RISCHIA DI FARE ERRORI DI GIUDIZIO, PER GLI ALUNNI PERCHè è UN MECCANISMO MICIDIALE PER I
MEDIOCRI. Come si può fare per cambiare? Si propone di indurre conflitto sociocognitivo negli adulti per
attivare processi di cambiamento e consapevolezza dei meccanismi che possono portare a errori di
valutazione.

7.7: La valutazione avanza


Il progetto PISA
Programme for International Student Assessment, è un’indagine internazionale promossa da OCSE, con lo
scopo di verificare in che misura gli alunni europei di 15 anni abbiano acquisito competenze giudicate
esenziali per svolgere un ruolo attivo e consapevole nella società e per continuare ad apprendere per tutta
la vita. Le prove proposte sono di APLICAZIONE DEI CONTENUTI CURRICOLARI A PROBLEMI DELLA VITA
QUOTIDIANA. I dati risultanti permettono un importante CONFRONTO INTERNAZIONALE, per comprendere
quali politiche scolastiche portano a efficacia maggiore dei processi formativi.

I risultati relativamente alla competenza matematica e scientifica vedono ai primi posti Giappone, Corea,
Finlandia; questi stessi Paesi sono anche quelli col divario minore fra bravi e scarsi, mentre la Germania, che
ha livelli complessivamente elevati, ha però un grande divario. In Italia, solo il 7% raggiunge (nel 2003) i
livello più alto della scala di competenza matematica del PISA; il problema è che il 31%non supera il primo
livello della scala (la media mondiale è il 21%). Forte disparità nord-sud.

8: Le differenze
DIBATTITO NATURA-CULTURA. Le differenze individuali sono imputabili a un insieme complesso di fattori
che comprende sia la genetica che l’ambiente. Riguardo al test del QI, si ricorda che non è uno strumento di
misura applicabile indiscriminatamente a diverse culture o fra categorie diverse di soggetti.
NB: L’EREDITARIETà SI APPLICA AI GRUPPI E NON AGLI INDIVIDUI. Quindi se si dice che l’ereditarietà di un
insieme di punteggi QI è del 50%, non significa che ciascun individuo misurato ha un QI che dipende per il
50% dai geni, ma significa che il 50% DELLA VARIABILITà DEI PUNTEGGI ALL’INTERNO DI UN GRUPPO DI
MISURAZIONI QI DIPENDE DA DIFFERENZE GENETICHE.

8.2: Deficit e handicap sociale


Ci si interroga sul processo che trasforma un DEFICIT IN HANDICAP SOCIALE. McDermott e Varenne
affrontano lo studio del rapporto fra cultura, sviluppo e disabilità riassumendo i 3 approcci che hanno
cercato di dare una spiegazione, nel corso del tempo, al problemma delle differenze fra gruppi e individui:

- APPROCCIO DELLA DEPRIVAZIONE CULTURALE: Le differenze fra le culture possono essere misurate
con i medesimi indicatori di sviluppo: c’è un confronto diretto fra chi possiede un certo tipo di
cultura e apprendimento e chi non lo possiede. In questo contesto, l’handicap è una “mancanza”,
un’inferiorità risultante da questo confronto col resto del gruppo. La scuola contribuisce a
sottolineare le differenze.
- APPROCCIO DELLE DIFFERENZE CULTURALI: differenti culture offrono percorsi di sviluppo diversi,
quindi non si possono usare prove universali per confrontare gli individui. Viene sancito il rispetto
per la diversità e l’handicap viene inteso come differenza. Il contesto in questa prospettiva è molto
importante.
- APPROCCIO DELLA CULTURA COME PRODUTTRICE DI INCAPACITà: la cultura e le istituzioni generano
una rigida e riproduttiva distribuzione dei ruoli sociali. Le culture sono quindi gli strumeti stessi per
costruire differenze al loro interno.

Studio di caso di Mehan, per approfondire il tema delle DIFFICOLTà SCOLASTICHE, ragionando nell’ottica del
secondo approccio sopra esposto. Si nota che, nel caso osservato, le valutazioni quotidiane di un

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insegnante a proposito di una bambina con grandi difficoltà è stato trasformato in valori assoluti da vari test
psicologici, permettendo alla bambina di entrare in un programma di sostegno diversificato; programma più
deleterio che vantaggioso, perchè la bambina viene separata dal gruppo e non può eneficiare
dell’interazione coi partner.

8.3: Deprivazione culturale e difficoltà di apprendimento


L’approccio della deprivazione culturale (il primo descritto sopra) è stato alla base delle politiche sociali
statunitensi degli anni ’60. L’idea era che le difficoltà scolastiche di alunni provenienti da ambienti popolari
erano dovute alla povertà culturale del contesto di provenienza. Su questa base si creò il PROGETTO HEAD
START, per la riduzione precoce delle differenze socioculturali. Il progetto, molto costoso, venne
abbandonato negli anni ’70 dopo che si verificò che i bambini erano incapaci di mantenere i miglioramenti
(misurati col QI, occhio...) a distanza di qualche anno dal loro ottenimento. Tempo dopo si scoprì che il
progetto aveva funzionato, permettendo, a lungo termine, a chi ne aveva usufruito una scolarizzazione
maggiore e un alto tasso di occupazione. Il progetto era buono, ma ciò che non è più onsiderabile valido ad
oggi e l’assunto teorico da cui partiva. A questo proposito si cita Labov, che dimostrò che bambini dei ghetti
considerati “averbali” a scuola, nel loro contesto CULTURALE (quindi una cultura ce l’hanno, è solo diversa
da quella richiesta e condivisa a scuola) erano capaci di utilizzare le abilità linguistiche richieste dalla scuola,
ma in forme comunicative diverse.

INSUCCESSO SCOLASTICO: anche questo è prodotto culturale, dovuto a un certo tipo di progressione del
sistema negli anni. Quando il futuro non dipendeva dal grado di qualifica scolastica raggiunto e si andava a
scuola per imparare a leggere e a scrivere, la nozione di “insuccesso scolastico” non aveva senso. Ora,
invece, la sempre più grande importanza data alla FORMA SCRITTURALE-SCOLASTICA (aspetti astratti,
cognitivi, linguistici) rispetto alla FORMA ORALE-PRATICA (orientata alla vita quotidiana e alla comunicazione
diretta) l’ha resa una nozione all’ordine del giorno.

Ricerca di Brice-Heath con approccio etnografico sulle due cittadine di Trackton (afroamericana) e Roadville.
Si analizzano la scrittura e la lettura in questi piccoli villaggi, e si nota che a Roadville non si scrive e si legge
solo per necessità (come invece accade a Trackton), ma anche per interesse e curiosità. In più, si scrivono
più contenuti, di diversi tipi. L’autrice mette in relazione questi risultati col fatto che i ragazzi di Trackton
vanno molto peggio a scuola rispetto a quelli di Roadville.
In uno studio sulla generazione successiva, emerge la visione della COMUNITà COME FATTORE DI
PROTEZIONE: lo spostamento da Trackton a una grande città ha agito come fattore di rischio, mentre il
rimanere nella propria comunità ha costituito un fattore di protezione.

8.4: Scolarizzazione e differenze


Come affrontare nella pratica a scuola il problemma delle differenze fra gli alunni?

- IN FRANCIA: le ZEP (Zones d’éducation Prioritaire) cercano di diminuire le differenze agendo sui
territori in cui l’insuccesso scolastico è altissimo. Ci sono alti costi è risultati sono inferiori a quelli
sperati, ma comunque permettono di tenere a scuola ragazzi che se no starebbero per strada.
- IN GRAN BRETAGNA: Education Action Zones, analoghe alle ZEP.
- STATI UNITI: TRACK (specifici per le materie) e ABILITY GROUPS per differenziare gli alunni
meritevoli dagli altri. Il concetto di fondo è che, con i track, si vuole MINIMIZZARE L’ETEROGENEITà,
raggruppando studenti con abilità e interessi simili e creare una situazione di competizione su base
meritocratica. Una critica è che il track offre opportunità di apprendimento maggiori agli studenti
già favoriti socialmente e culturalmente; lo strumento del track produrrebbe una gerarchia sociale,
producendo dunque differenze significative nell’apprendimento, invece che minimizzarle.

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8.5: Le minoranze etniche


Ogbu distingue fra MINORANZE VOLONTARIE (immigrazioni con una meta certa), MINORANZE
INVOLONTARIE (che da tempo vivono in un luogo circoscritto), e MINORANZE AUTONOME (furono portate
forzatamente lontano dal proprio Paese d’origine).
Tre aspetti da considerare dell’esperienza scolastica dei bambini appartenenti a minoranze VOLONTARIE
(che sono le uniche presenti in Italia):

- CONTESTO DI RIFERIMENTO: ne hanno due a disposizione; quello che avrebbero avuto nel Paese
d’origine in relazione al loro status, e quello che hanno in Italia, sempre in relazione al loro status,
diverso nel Paese ospitante.
- MODELLI CULTURALI: attraverso cui le persone comprendono i fenomeni del mondo sociale; anche
qui ce ne sono due o più tra cui districarsi a seconda del contesto.
- ASPETTI STRUMENTALI, RELAZIONALI E SIMBOLICI: insieme dei modi in cui le minoranze gestiscono
le differenze culturali nella nuova società in cui vivono.

Due modalità, sempre secondo Ogbu, che una minoranza può utilizzare per adattarsi: STRUMENTALE
(capisco come funziona la mobilità sociale qui e sfrutto tutte le occasioni), RELAZIONALE (attribuisco fiducia
alle persone del gruppo dominante, me le faccio amiche), SIMBOLICO (acquisisco i simboli della nuova
società).

Acculturazione
È il cambiamento che investe due o più persone appartenenti a culture diverse che si incontrano, nella
situazione asimettrica in cui c’è una cultura che “accoglie” l’altra. Il processo di acculturazione prevede
cambiamenti relativi a tutto il gruppo della cultura minoritaria (ambientali, biologici, economici, culturali,
sociali), e cambiamenti di identità individuale. Il processo di acculturazione può avere esiti diversi per ogni
individuo, a seconda del grado in cui questo decide di essere parte della nuova o della vecchia cultura. 4
possibilità: -MARGINALITà (non stabilisce buone relazioni con la cultura ospitante, ma perde anche la
propria identità culturale originaria), INTEGRAZIONE (mantiene la propria identità culturale, ma intreccia
buone relazioni con gli ospitanti), ASSIMILAZIONE (abbandona la sua cultura originaria per quella ospitante),
SEPARAZIONE (non stringe buone relazioni con gli ospitanti, ma mantiene salda la sua identità culturale
originaria).

8.6: Gli alunni stranieri


Se sono già abastanza grandi hanno sufficienti abilità comunicative (diverse da quelle linguistiche) per
stabilire relazioni migliori con il nuovo e difficile contesto scolastico. La socializzazione nel nuovo contesto
avviene con L’APPRENDIMENTO DEL LINGUAGGIO (ricorda Vygotskij). Gli insegnanti devono prestare
attenzione a non cadere nell’idea ingenua che, mettendo da parte l’alunno per fargli seguire corsi speciali di
italiano, gli si permetta di impararlo più in fetta. All’alunno straniero, infatti, non serve imparare tanto la
grammatica e la sintassi, quanto gli elementi della lingua necessari per capire e farsi capire, per entrare in
relazione con gli altri e poter godere di tutti i benefici che questo comporta.
Inoltre, spesso accade che nelle classi manchi una DIDATTICA DELL’ERROE (quella situazione educativa in cui
l’errore viene valorizzato come indicatore di un processo in corso di costruzione di conoscenza): questo
porterebbe gli insegnanti a scoraggiarsi facilmente davanti agli errori, ai loro occhi madornali, degli alunni
stranieri nel’uso della lingua.

Gli immigrati di seconda generazione


Sono quelli nati sul suolo del Paese ospitante, da genitori immigrati. Cesari suggerisce di affrontare il
problema della seconda generazione considerandone tre aspetti: la MIGRAZIONE, LA CONDIZIONE
SOCIOECONOMICA della famiglia, e la MEDIAZIONE CULTURALE fra genitori e figli, nel senso che i legami col
Paese d’origine sono trasmessi solo in modo orale dai genitori, senza nulla di concreto e tangibile. Gli

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immigrati di seconda generazione devono quindi trovare un punto d’accordo sul piano morale fra famiglia e
società.

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