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Piero Coda

«  LA CHIESA È IL VANGELO  »


alle  sorgenti  della  teologia 
di  papa  Francesco

LIBRERIA EDITRICE VATICANA


© Copyright 2017 - Libreria Editrice Vaticana
 00120 Città del Vaticano
Tel. 06.698.81032 - Fax 06.698.84716
commerciale.lev@spc.va

ISBN 978-88-266-0052-9
www.vatican.va
www.libreriaeditricevaticana.va
COLLANA
LA TEOLOGIA DI PAPA FRANCESCO 

Jurgen Werbick: La debolezza di Dio per l’uomo. La visione


di Dio di papa Francesco
Lucio Casula: Volti, gesti e luoghi. La cristologia di papa
Francesco
Peter Hünermann: Uomini secondo Cristo oggi. L’antropolo-
gia di papa Francesco
Roberto Repole: Il sogno di una Chiesa evangelica. L’ecclesio-
logia di papa Francesco
Carlos Galli: Cristo, Maria, la Chiesa e i popoli. La mariolo-
gia di papa Francesco
Santiago Madrigal Terrazas: “L’unità prevale sul conflitto”.
L’ecumenismo di papa Francesco
Aristide Fumagalli: Camminare nell’amore. La teologia mo-
rale di papa Francesco
Juan Carlos Scannone: Il Vangelo della Misericordia nello
spirito di discernimento. L’etica sociale di papa Francesco
Marinella Perroni: Kerigma e profezia. L’ermeneutica bi-
blica di papa Francesco
Piero Coda: “La Chiesa è il Vangelo”. Alle sorgenti della
teologia di papa Francesco
Marko Ivan Rupnik: Secondo lo Spirito. La teologia spiritua-
le in cammino con la Chiesa di papa Francesco

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ABBREVIAZIONI

Amoris Laetitia
AL  
DV Dives in Misericordia
Evangelii gaudium
EG  
EN Evangelii nuntiandi
ES Esercizi Spirituali
GD Gaudete in Domino
GS Gaudium et spes
LG Lumen gentium
LS Laudato si’
MV Misericordiae vultus
OT Optatam totius
PP Populorum Progressio

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PREFAZIONE  ALLA  COLLANA

Sin dal primo apparire in piazza san Pietro, la sera


della sua elezione, è stato chiaro ai più che il pontificato di
Francesco si presentava all’insegna di una novità di stile.
Il vestire sobrio, il chiamarsi vescovo di Roma, il chiedere
– nel “silenzio assordante” di una piazza gremita – la pre-
ghiera del popolo, il salutare con un semplice “buonasera”
i presenti … sono stati tutti segni eloquenti del fatto che
era in atto un mutamento nel “modo di porsi” e, dunque,
nel “linguaggio”.
I gesti e le parole che da lì in poi sono seguiti non
hanno fatto che confermare e consolidare la prima im-
pressione. Si potrebbe anzi dire che, in questi anni, l’im-
magine del papato ne sia uscita decisamente trasformata,
in un mutamento che investe anche le omelie tenute, i di-
scorsi fatti e i documenti promulgati.
Ciò – com’era prevedibile – ha ingenerato pareri anche
molto discordanti tra loro, specie per quel che concerne il
suo insegnamento. Se molti hanno infatti accolto con gran-
de entusiasmo e simpatia il suo magistero, sentendovi il fre-
sco soffio del Vangelo, alcuni lo hanno invece accostato con
distacco e, talvolta, con sospetto. Non sono mancati giudizi
anche molto perentori, giunti a mettere in forse l’esistenza
stessa di una teologia nell’insegnamento di Francesco.

5
Un tale sommario giudizio poteva far leva sulla dif-
ferente provenienza tra Francesco e il suo predecessore,
Benedetto XVI. Quest’ultimo, lo si sa, è stato uno dei più
illustri e rilevanti teologi del Novecento e ha indubbia-
mente fatto tesoro della sua personale elaborazione teolo-
gica nel ricco magistero papale, di cui non si finisce né si
finirà di apprezzare la profondità. Bergoglio ha alle spalle,
soprattutto e primariamente, la lunga e radicale esperienza
del religioso e del pastore.
Ciò non significa, però, che il suo magistero sia privo
di teologia. Il fatto che egli non sia stato, per lo più o sol-
tanto, teologo “di professione” non vuol dire che il suo
magistero non sia supportato da una teologia. Se così fos-
se, si dovrebbe con rigore dedurne che la maggioranza dei
suoi predecessori siano stati privi di teologia, dal momen-
to che Ratzinger rappresenta l’eccezione più che la regola.
In ogni caso, il fatto che si sia potuto discutere della
portata teologica del magistero di Francesco così come il
fatto che, molto spesso, alcune sue espressioni altamente
evocative e immediate siano state talmente abusate – in
ambiente giornalistico come in quello ecclesiastico – da
farne smarrire la profondità, rende sensata un’operazione
come quella cui intende rispondere la collana che ho l’o-
nore di presentare.
Avvalendosi della competenza e dello studio rigoro-
so di teologi provenienti da diversi contesti e dalla serietà
ormai assodata, si è inteso ricercare quale sia il pensiero
teologico che supporta l’insegnamento del Papa, quali ne

6
siano le radici, quale la novità e quale la continuità con il
magistero precedente.
Il risultato è racchiuso negli 11 volumi che vengono
a formare la presente collana, dal titolo semplice e imme-
diato: “La teologia di papa Francesco”.
Essi possono venire letti in modo autonomo l’uno
dall’altro, ovviamente; così come in modo autonomo sono
stati redatti dai singoli autori. L’auspicio, tuttavia, è che
la lettura dell’intera collana possa rappresentare non solo
un valido supporto per cogliere la teologia su cui si fonda
l’insegnamento di Francesco nei diversi ambiti del sapere
teologico, ma anche un’introduzione ai punti cardine del
suo pensiero e del suo insegnamento complessivi.
L’intento, dunque, non è di tipo “apologetico” né,
tanto meno, di aggiungere ulteriori voci alle tante che già
parlano del Papa. Lo scopo è quello di cercare di vedere e
di aiutare a vedere quale sia il pensiero teologico su cui si
basa Francesco e che si esprime, con novità di accento, nel
suo insegnamento.
Tra le molte scoperte che il lettore potrà fare, leggen-
do i volumi, ci sarà certamente quella di dover constatare
come nel magistero di Francesco confluisca tanto la be-
nefica novità dell’insegnamento conciliare, quanto quella
della teologia che lo ha preparato e che vi ha fatto seguito.
Dal momento che è forse ancora troppo presto perché
tutta questa ricchezza costituisca un patrimonio comune,
pacifico e pienamente recepito da tutti, non stupisce che

7
l’insegnamento del Papa possa risultare, talvolta, non im-
mediatamente comprensibile a tutti.
Allo stesso modo, nell’insegnamento di Francesco ap-
pare ormai come un punto di non ritorno ciò che tanto la
teologia recente quanto il magistero conciliare hanno inse-
gnato: che la dottrina, cioè, non è né può essere qualcosa
di estraneo rispetto alla cosiddetta pastorale. La verità che
la Chiesa è chiamata a custodire è quella del Vangelo di
Cristo, che deve essere comunicato alle donne e agli uomi-
ni di ogni luogo ed ogni tempo. Per questo il compito del
magistero ecclesiale deve essere anche quello di favorire
la comunicazione del Vangelo. E per questo, la teologia
non potrà mai ridursi ad un asettico esercizio da tavolino,
sganciato dalla vita del popolo di Dio e dalla sua missione
di far incontrare le donne e gli uomini del proprio tempo
con la novità perenne e inesauribile del Vangelo di Gesù.
Non sono mancati, in questi anni, coloro che ascol-
tando alcune espressioni critiche di Francesco concernen-
ti la teologia o i teologi, hanno pensato di doverne dedur-
re una sua personale incondizionata svalutazione. Forse,
uno studio più puntuale dell’insegnamento del Papa, come
quello offerto dalla presente collana, potrà essere anche
utile a mostrare che, se occorre rimanere sempre critici
rispetto ad una teologia che smarrisse il suo vitale anco-
raggio alla viva fede della Chiesa, è invece indispensabile
una teologia che assuma con “fedeltà creativa” il compito
di pensare criticamente quella stessa fede, affinché conti-
nui ad essere annunciata.

8
Di una tale teologia non è certo privo l’insegnamento
di Francesco; ed una tale teologia è certo auspicata da un
magistero come il suo, così desideroso che l’amore miseri-
cordioso di Dio continui a toccare il cuore e la mente delle
donne e degli uomini del nostro tempo.

Il curatore
Roberto Repole

9
INTRODUZIONE

Andare alla scoperta delle fonti del pensiero di papa


Francesco ha un fascino tutto suo. Perché non si tratta
d’indulgere a uno studio distaccato e asettico: quanto
d’immergersi in un vissuto in cui l’amore tenero e forte
per Cristo, per la Chiesa, per tutti e ogni volta per ciascu-
no, a partire dai più poveri e scartati, cerca la via di Dio
col suo Popolo, la mette in luce, la segue e aiuta a seguirla.
Così che in quest’impresa, a prima vista tutt’altro che
agevole, s’avverte alla fine di aver incontrato il Signore che
vive nel cuore di un uomo che la Sua grazia ha chiama-
to a essere Vescovo di Roma e così Pastore della Chiesa
universale. E vi vive con la luce del Vangelo e insieme
coi mille riflessi in cui essa si rifrange, nell’esperienza e
nell’intelligenza della fede lungo i secoli maturate in chi ha
conosciuto e seguito Gesù, ma anche in chi lo ha atteso e
desiderato e in qualche modo ha condiviso qualcosa del
suo messaggio e della sua vita, anche senza saperlo.
La teologia di papa Francesco è una teologia ecclesia-
le e insieme esistenziale, spirituale e insieme kerigmatica,
mistica e insieme sociale. Una sintesi originale e persona-
lissima, che sprigiona una grande attrattiva ed incisività.
Come mostrano la gioia e l’efficacia che irradia.
Di qui la dinamica che spontaneamente ho seguito
nello stendere queste pagine: partendo da Ignazio di Lo-

11
yola e Francesco di Assisi, interpreti vivi del Vangelo di
Gesù nella missione della Chiesa (cap. 1), per passare poi
alla tradizione teologica illustrata da quei testimoni che più
ho avvertito presenti in papa Francesco (cap. 2), per sof-
fermarmi, infine, su alcune delle linee teologiche più rile-
vanti – a proposito di Dio, dell’uomo, della Chiesa – che
risaltano nel suo magistero (capp. da 3 a 5).

12
Capitolo I
IGNAZIO DI LOYOLA
E IL “DI PIÙ” DEL VANGELO
IN UN PAPA CHE SI CHIAMA FRANCESCO

1.  Il Vangelo “sine glossa”


Colpisce, nell’Evangelii gaudium (EG), un’affermazione
che sembra semplicemente detta tra le altre, ma che invece
– se meditata e accolta in ciò che intende comunicare –
mostra d’avere un inusitato peso, anche per chi esercita il
ministero che gli compete in quanto successore di Pietro.
Papa Francesco parla dell’evangelizzazione con Spiri-
to e invita a guardare a Gesù per conformarsi al suo stile
nel rapporto con gli altri nella luce del Padre, siano essi
compagni di cammino nella fede o nella comune umanità,
al di là di ogni etichetta e di ogni improprio steccato. E
così rimarca quanto detto:
Questa non è l’opinione di un Papa né un’opzione pastorale tra
altre possibili; sono indicazioni della Parola di Dio così chiare,
dirette ed evidenti che non hanno bisogno di interpretazioni
che toglierebbero ad esse forza interpellante. Viviamole “sine
glossa”, senza commenti. In tal modo sperimenteremo la gioia
missionaria di condividere la vita con il popolo fedele a Dio
cercando di accendere il fuoco nel cuore del mondo. (EG 271)

13
Mi verrebbe da dire che qui c’è tutto papa Francesco:
il suo programma e il suo stile pastorale, certo, ma insieme
il cuore pulsante della sua esperienza e della sua intelli-
genza della fede. Esperienza e intelligenza. Sì: quel che
non lascia indenni, quando ci si pone in ascolto dell’in-
segnamento e in sintonia con la guida pastorale di papa
Francesco è proprio questo: una penetrante esperienza di
fede da cui si sprigiona un’incisiva intelligenza del farsi
storia dell’evento di Gesù Cristo nella storia dell’umanità
attraverso il ministero della Chiesa.
È nel Vangelo, dunque, che occorre cercare la fonte
originaria e permanente dello stile peculiare che informa
il ministero di papa Francesco. Il Vangelo, è ovvio, rice-
vuto dalle mani della Chiesa, custodito con fedeltà e in-
terpretato e incarnato con creatività, lungo i secoli, dalla
sua Tradizione vivente. Il Vangelo, proprio così, attraverso
la mediazione della Chiesa – « santa madre gerarchica »,
come Francesco ama chiamarla seguendo sant’Ignazio di
Loyola –, accolto, vissuto e annunciato nella sua fresca e
calzante attualità.1
In questo accesso al Vangelo nell’oggi della Chiesa e
del mondo ciò che salta per prima cosa agli occhi è il fatto
che Jorge Maria Bergoglio è il primo Papa gesuita della

1
 Cfr. W. Kasper, Il Vangelo: origine, fondamento e fonte della gioia,
in Id., Papa Francesco. La rivoluzione della tenerezza e dell’amore, Queri-
niana, Brescia 2015, pp. 37-47.

14
storia. Un figlio spirituale di Sant’Ignazio, dunque, che è
chiamato a esercitare quel ministero di unità, di guida e
di conferma nella fede che sappiamo quale importanza
rivesta per la Compagnia di Gesù. Tutto ciò non rappre-
senta un semplice dettaglio se vogliamo sintonizzarci sulla
lunghezza d’onda che ispira l’interpretazione e l’esercizio
del ministero petrino da parte di papa Francesco. Perché
– come illustra assai bene, nel Vaticano II, la Costituzione
sulla divina Rivelazione Dei Verbum (DV) – l’intelligenza e
la messa in opera del Vangelo proficit, viene avanti e cresce
nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti
la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse,
sia con la contemplazione e lo studio dei credenti che le medi-
tano in cuor loro (cfr. Lc 2,19 e 51), sia con intelligenza data
da una più profonda esperienza delle cose spirituali, sia per
la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale
hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. Così la Chiesa nel
corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità
divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio.
(cfr. n. 8)
In questa prospettiva, si può intuire quanto il cari-
sma di Sant’Ignazio – che è senz’altro uno di quei praeclara
charismata di cui parla la Costituzione del Vaticano II sulla
Chiesa Lumen gentium (LG) (cfr. n. 12), richiamandosi alle
fonti di esperienza e intelligenza spirituale della fede per il
Popolo di Dio cui fa riferimento la DV – si offra a papa
Francesco come una via pertinente e privilegiata di acces-
so al cuore pulsante del Vangelo nella sua incessante, e

15
anche oggi più che mai incidente, performatività storica.
La Compagnia di Gesù non viene chiamata nella Formula
di Giulio III « via ad Illum »?2 Una via che, in Cristo « la » via,
conduce al Padre nel soffio dello Spirito.

2.  “Nuestro modo de proceder”


C’è senz’altro un circolo virtuoso che così s’instaura,
spontaneamente ma con estrema fecondità, nell’esperien-
za e nell’intelligenza della fede che animano il ministero di
papa Francesco. E che – per dirla col Vangelo – fa sì che
quanto egli propone alla Chiesa in ascolto dello Spirito sia
fondato sulla roccia della Parola di Dio (cfr. Mt 7,24), ascol-
tata e accolta per ciò che è: « Non come parola degli uomini,
ma come Parola di Dio » (cfr. 1 Ts 2,13), viva dunque ed ef-
ficace quale spada a doppio taglio che giunge fino al punto
di divisione tra l’anima e il corpo (cfr. Eb 4,12). È il circolo
tra l’attestazione della Parola di Dio nella Scrittura e la sua
risonanza oggi qui per noi nella forza dello Spirito Santo.
Da un lato, infatti, è dalla Parola – che si è fatta carne
ed è stata innalzata sulla Croce in Cristo Gesù – che una
volta per sempre, senza misura e sempre di nuovo, si spri-
giona lo Spirito Santo che dà la vita; ma, dall’altro, è solo
grazie al dono dello Spirito Santo che la Parola è ricordata,
compresa in tutta la sua ricchezza, penetrata sino a co-

2
  Form. Inst. Jul. III, n. 1.

16
glierne il midollo e a comunicarne tutta la bellezza e verità
(cfr. Gv 14,26; 15,27; 16,8; 16,12-15).
È in questo circolo virtuoso che si gioca il ritmo
dell’esistenza cristiana e della missione della Chiesa: così
che la Parola di Dio, che ha preso carne nel grembo di
Maria per opera dello Spirito Santo, continui a prendere
carne in virtù dello stesso Spirito nella storia dell’umanità,
finché Cristo sia davvero « tutto in tutti » (cfr. Col 3,11;
1 Cor 15,28). La verità cristiana, che è vita per il mondo,
si consolida con gli anni, si sviluppa col tempo, si appro-
fondisce con l’età, secondo quanto recita l’effato di San
Vincenzo di Lèrins nel suo Commonitorium, cui spesso papa
Francesco si richiama.3
Sant’Ignazio di Loyola, per impulso dello Spirito, ha
appunto tracciato lungo il procedere di questo cammino
una via luminosa e robusta per la missione della Chiesa
nella stagione inedita e sfidante della modernità. La storia
non si fa con i “se” e con i “ma”: e tuttavia non si può non
pensare con una punta di sgomento a che cosa ne sarebbe
stato della Chiesa cattolica – nel passaggio esigente rap-
presentato dall’epoca della modernità, che solo ai nostri
giorni sembra aprirsi a un’epoca nuova – se in essa non si
fosse dispiegata l’opera della Compagnia di Gesù.
A tutti i livelli: dalla missione alla formazione del cle-
ro, dalla cultura accademica all’arte, dalla ricerca scientifica

3
  Commonitorium primum, 23: PL 50,668.

17
all’azione sociale. Ciò che Ignazio puntigliosamente decli-
na, muovendo da un rigoroso e permanente ascolto del
volere di Dio, è un « modo di procedere »:4 e cioè un me-
todo di conformazione ecclesiale alla missione di Cristo,
da Cristo trasmessa alla sua Chiesa in obbedienza al Padre
per la salvezza del mondo.
Non è la questione del metodo a livello filosofico
(Descartes) e a livello scientifico (Galileo) la quaestio prin-
ceps della modernità? E non è soprattutto a proposito del-
la svolta antropologica verso il soggetto, con lo stagliarsi
cruciale del senso e del destino della libertà, che si ven-
gono a giocare, nella modernità, le istanze decisive della
verità e del bene, della dignità individuale e della direzione
della storia?
« Nuestro modo de proceder ». È questo “metodo” che
Jorge Maria Bergoglio ha scelto e si è addestrato a far suo
dal momento in cui ha seguito la spinta interiore a entrare
nella Compagnia di Gesù. Questo metodo – senza esclu-
sivismi, è ovvio, nell’alveo sempre della grande e articolata
Tradizione della Chiesa – gli ha offerto una preziosa chia-
ve d’accesso al Vangelo nell’interpretazione esigente della
sua esistenza come partecipazione ed espressione della
missione della Chiesa di Cristo. E a tale metodo bisogna,

4
  « Questo Istituto o modo di procedere, come la chiama il
Padre Ignazio... »: Nadal, 3a Predica di Alcalà (1561), in Comm. de
Inst. 304.

18
penso, risalire e rifarsi per comprendere e valorizzare ap-
pieno lo stile del suo ministero come Vescovo di Roma,
le direttrici che lo innervano, il dono che rappresenta per
la Chiesa.5
Un metodo, si badi bene, perché il contenuto e l’o-
biettivo sono quelli di sempre: testimoniare e accendere
il « fuoco del Vangelo » al cuore del mondo di oggi. Nella
percezione spirituale e nella fondata convinzione, suffra-
gata dal magistero del Concilio Vaticano II e dagli ultimi
Papi e insieme dal cammino percorso in questi decenni dal
Popolo di Dio nelle varie parti del mondo, che è scoccata
l’ora di una nuova tappa nella storia di evangelizzazione
della Chiesa (cfr. EG 17).

3.  “Contemplativi in actione”


Decisiva fonte dell’esperienza spirituale, del pensiero
teologico e del ministero di papa Bergoglio è dunque il
carisma di Ignazio di Loyola. Ma di “quale” Ignazio? Non
ha conosciuto la storia stessa della Compagnia di Gesù
molteplici e talvolta anche un po’ dissonanti interpretazio-
ni del suo carisma di fondazione?
Entra qui in gioco un fatto importante, al di là del-
la spiccata sensibilità personale dell’uomo e del cristiano

5
  Cfr. il lucido saggio di A. Spadaro, La riforma della Chiesa
secondo Francesco. Le radici ignaziane, in « La Civiltà Cattolica », n. 3968
(24 ottobre 2015), pp. 114-131.

19
Jorge Maria Bergoglio per quanto si offre, nell’esperienza
ignaziana, di schiettamente e costosamente evangelico. Si
tratta di questo: il Vaticano II, proponendo una comples-
siva reimpaginazione della missione ecclesiale nel riman-
do alla sua sorgente e norma permanente in Gesù Cristo,
ha invitato anche le Congregazioni e gli Ordini religiosi
a ritornare all’ispirazione originaria di ciascuno per intra-
prendere con coraggio creativo la via dell’attualizzazione.6
Solo così, in effetti, poteva essere rimesso in movimento
il circolo virtuoso tra la Parola e lo Spirito di cui prima
s’è detto, al fine di decifrare con pertinenza i “segni dei
tempi” e immettere a piene mani il lievito del Vangelo nel-
la pasta della storia umana. Del resto, l’evento stesso del
Concilio si è giovato, e non poco, dell’apporto di grandi
teologi gesuiti come Henri de Lubac e Karl Rahner.
Come noto ciò è avvenuto, non senza tensioni e scos-
soni, anche per la Compagnia di Gesù. Jorge Maria Bergo-
glio, per tanti versi, è figlio e testimone di questa stagione
nuova della vita della Chiesa che ha spinto la Compagnia di
Gesù a rileggere la grazia dell’origine per illuminare di essa
la sua missione nell’oggi. Senz’altro è stato il P. Pedro Ar-
rupe, Preposito generale della Compagnia dal 1965 al 1983,
il grande artefice della messa in moto di questa imponente
operazione che, se già ad oggi ha prodotto sostanziosi frut-

6
  Cfr. Decreto Perfectae caritatis sul rinnovamento della vita
religiosa, n. 2.

20
ti, si può presumere ne abbia in serbo di più grandi e belli
per il futuro. Anzi, viene spontaneo pensare che esperien-
ze ecclesiali come quella illustrata dal Cardinal Carlo Maria
Martini nel suo ministero a Milano, così come quella illu-
strata oggi dal ministero di papa Francesco, rappresentino
la prova provata della bontà e della lungimiranza delle pro-
spettive e degli orientamenti promananti dal Concilio.
Dunque, l’Ignazio che offre a Jorge Maria Bergoglio il
suo « modo di procedere » nell’esperienza e nell’intelligen-
za di Cristo è quello per dir così riscoperto nella nitida e
robusta nervatura mistica che anima non solo gli Esercizi
spirituali (ES), ma – come scrive P. Arrupe – insieme, e
inscindibilmente, « il processo di conversione delle intui-
zioni originarie del Cardoner e della Storta in principi isti-
tuzionali, che non sono altra cosa se non le Costituzioni ».7
In questa linea già si erano mossi i fratelli Rahner: Hugo,
in una serie di conferenze sugli ES e le Costituzioni, Karl
nel suo richiamo alla sorgente propriamente mistica della
visione ignaziana.8

7
 P. Arrupe s.j., L’ispirazione trinitaria del carisma ignaziano, n.
53 (8 febbraio 1980), cfr. H. Alphonso, Il rinnovamento appropriato.
Del carisma dei gesuiti-ignaziano quale vissuto e proposto dal Padre Arrupe,
Apostolato della Preghiera, Roma 2009.
8
 Cfr. H. Rahner, Ignatius von Loyola und das geschichtliche Wer-
den seiner Frömmigkeit, Styria Verlag, Graz-Salzburg-Wien 1947;
K. Rahner, Discorso di sant’Ignazio ad un gesuita odierno, in Scienza e fede
cristiana, (Nuovi Saggi IX), tr. it., Paoline, Roma 1984, pp. 522-574;

21
Papa Francesco, in diverse occasioni,9 ha esplicita-
mente richiamato come suoi ispiratori alcuni dei rappre-
sentanti dell’interpretazione del carisma ignaziano che ne
hanno valorizzato la scaturigine e la dimensione essen-
zialmente mistica. Innanzi tutto, Pietro Favre, il primo
compagno d’Ignazio, che egli stesso ha canonizzato il 17
dicembre 2013, sottolineando in lui « il vero e profondo
desiderio di “esser dilatato in Dio”: era completamente
centrato in Dio, e per questo poteva andare, in spirito di
obbedienza, spesso anche a piedi, dovunque per l’Europa,
a dialogare con tutti con dolcezza, e ad annunciare il Van-
gelo ».10 È assai significativo, poi, che papa Francesco si
richiami ad altri illustri esponenti dell’interpretazione mi-
stica del carisma ignaziano, come Louis Lallement e Jean-
Joseph Surin nel ’600, sino a giungere, nel ’900, a Gaston
Ferrard e Michel de Certeau.
Si tratta, in fondo, di cogliere dal vivo la performati-
vità evangelizzatrice del « modo di procedere » disegnato
da Sant’Ignazio che si può riassumere nella formula da lui
stesso forgiata: contemplativi in actione, a significare il pro-
gramma e l’impegno di centrare e immergere in Dio, ade-

Id., La mistica ignaziana della gioia del mondo, in Saggi di spiritualità, tr.
it., Paoline, Roma 1969, pp. 203-230.
9
  Cfr. ad es. A. Spadaro, Intervista a Papa Francesco, in « L’Os-
servatore Romano », 21 settembre 2013.
10
  Papa Francesco, Omelia nella ricorrenza del Santissimo Nome
di Gesù, Chiesa del Gesù, Roma, 3 gennaio 2014 .

22
rendo nella fede a Gesù Cristo e in diuturno ascolto dello
Spirito Santo, la propria esistenza, impregnando della sua
luce e della sua forza un agire nella storia indirizzato ad
maiorem Dei gloriam, e cioè a ricapitolare gratuitamente e
liberamente in Cristo ogni realtà. Affinché Egli, il Cristo,
tutto alla fine riconsegni trasfigurato al Padre, ciò che dalla
sua infinita misericordia è stato creato e redento.
Contemplativi in actione. La formula ignaziana, a ben ve-
dere, sembra portare a un compimento che è, al tempo
stesso, inedito e atteso l’intenzionalità più profonda e au-
tentica che da sempre dinamizzano la missione e la storia
della Chiesa. La contemplazione di Dio in Cristo, infatti,
è l’incipit e il cantus firmus dell’esperienza cristiana, secon-
do quanto afferma il prologo del quarto vangelo: « E noi
abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di Unigenito
dal Padre, pieno di grazia e di verità » (Gv 1,14). Ma questa
contemplazione, proprio in quanto introduce, attraverso il
Verbo incarnato, nelle profondità di Dio (cfr. 1 Cor 2,10-
16), proprio così rende partecipi dello sguardo d’amore del
Padre attraverso il suo Verbo sul mondo, coinvolgendo il
discepolo, per la fede, nella sua stessa missione: « Come il
Padre ha mandato me, anche io mando voi ... Ricevete lo
Spirito Santo » (Gv 20,21-22).
La contemplazione di Dio in Cristo non sfocia dun-
que nell’oscurità della caligine, ma l’attraversa, passando
per la notte del Crocifisso, sino ad attingere la luce senza
tramonto del Dio tre volte Santo e per comunicarla, in-
carnandola, nei giorni e nelle opere degli uomini e delle

23
donne. Al cuore del medioevo – che è l’alba della moder-
nità, preparata dalla straordinaria opera d’inculturazione
della fede messa in opera dai Padri della Chiesa – era stata
questa la grande intuizione, ciascuno con la propria ori-
ginalità, di San Francesco e di San Domenico: contemplata
aliis tradere, trasmettere i frutti più intensi e saporosi della
contemplazione di Dio a tutti, nel cuore della città degli
uomini. E per questo, come sperimenta San Francesco,
conformarsi al Cristo crocifisso sino a ricevere nel proprio
corpo le stigmate della sua passione che continuano a pia-
gare anche oggi la carne dell’umanità.
È questo il « modo di procedere » che Ignazio fa suo.
Egli – scriveva l’Arcivescovo di Buenos Aires Jorge Maria
Bergoglio –
come Santa Teresa, comprende che l’unica via di accesso si-
cura alla divinità è la santissima umanità di nostro Signore.
E, trattandosi della passione, dobbiamo addentrarci in questa
umanità, in quest’uomo Gesù, che è Dio, ma che soffre come
uomo, nel proprio corpo, nella propria psiche. E questo non è
un racconto folcloristico, bensì storia reale, unico cammino per-
corribile, tangibile, attraverso il quale tutti dobbiamo passare
per contemplare il Padre che si rivela con il Figlio. Contem-
pleremo la passione nella carne di Gesù, nella nostra carne.
Non c’è altra via se davvero vogliamo professare che Gesù è
vivo, risuscitato nella sua stessa carne, con le piaghe aperte e la
trascendenza del volto del Padre.11

11
 J.M. Bergoglio (Papa Francesco), Aprite la mente al vostro
cuore, Rizzoli, Milano 2013, p. 235. A proposito di Santa Teresa

24
4.  Il discernimento nello Spirito
Con la formula contemplativi in actione non solo è trac-
ciata la via della circolarità esistenziale (e teologica) tra
l’unione con Dio e il servizio dell’uomo così com’essi
sono indissolubilmente per sempre congiunti nella divino-
umanità di Cristo, ma è anche individuato e proposto il
metodo che deve operare da snodo tra i due, continua-
mente traghettando l’intelligenza e la deliberazione dall’u-
no all’altro: il discernimento nello Spirito. Ecco la parola
chiave che racchiude il cuore del carisma ignaziano e lo
stile teologico e pastorale di papa Francesco.
Non si tratta di una tecnica: bensì della via – nell’e-
sperienza e nell’intelligenza della fede – per partecipare
alla missione di Cristo nella Chiesa. Non v’è dunque nulla
d’individualistico e di privato nell’arte esigente del discer-
nimento come la tratteggia Sant’Ignazio, anche se – ed
è ovvio, nella prospettiva dell’antropologia illuminata da
Gesù Cristo – il discernimento appella e coinvolge come
nient’altro il centro e il destino della persona. Ma: in Cri-
sto, con la Chiesa, per l’umanità. Il punto è scoprire la pro-

d’Avila, San Giovanni della Croce, Santa Teresa di Gesù Bambino


– i Tre Dottori della Chiesa del Carmelo – occorre ricordare che
un testo di riferimento della spiritualità e della teologia di papa
Francesco è senz’altro lo straordinario libro del P. Marie-Eugène
de l’Enfant Jésus, Je veux voir Dieu (pubblicato in due volumi, poi
riuniti, nel 1949 e nel 1951, tr. it., Libreria Editrice Vaticana, Città
del Vaticano), il cui Autore papa Francesco ha beatificato nel 2016.

25
pria missione nella missione di Cristo che si produce nella
Chiesa a servizio dell’umanità. E poi, passo dopo passo,
evento dopo evento, in ogni diversa situazione, scoprire
– in ascolto dello Spirito – la decisione da assumere e il
sentiero da intraprendere in concreto. Dunque, il discer-
nimento è opera che, essendo la più personale, è per ciò
stesso comunitaria ed ecclesiale. Non esorta Sant’Ignazio
a sentire cum Ecclesia?
Non si tratta di un fatto sopraggiunto ed esteriore, si
tratta della natura stessa del discernimento, in quanto esso
è il « modo di procedere » attraverso il quale, per la missio-
ne dello Spirito, il discepolo di Cristo orienta decisamente
la sua sequela nel contesto della missione della Chiesa nel
qui e nell’ora della storia dell’umanità. Così che l’anima
forgiata dal discernimento diventa in tutta verità – per dir-
la coi Padri della Chiesa – “anima ecclesiale”. Tanto che
l’aggettivo “comunitario” che, peraltro opportunamente,
oggi sempre più si accosta al sostantivo discernimento,
potrebbe apparire persino pleonastico.
Il discernimento, infatti, è per sé un fatto che implica
la comunità ecclesiale. Se una ragione vi è – e ben fondata
– per esplicitarne oggi questa essenziale dimensione, essa
va ricondotta alla necessità d’imparare a frequentare le vie
per la messa in atto dell’ecclesiologia disegnata dal Vatica-
no II, l’ecclesiologia del Popolo di Dio e della comunione
per la missione. È evidente, infatti, che perché questa ec-
clesiologia non resti un’intenzione sulla carta, occorrono
momenti e luoghi e soprattutto l’apprendimento di un

26
metodo tali da permettere di gestire comunitariamente,
con la partecipazione di tutti e nell’esercizio sinfonico dei
rispettivi doni e ministeri, il cammino della missione della
Chiesa, ai vari livelli in cui si esprime – locale, regionale,
universale.
In fondo, quando papa Francesco, con lungimiranza
e decisione, afferma che « quello che il Signore ci chiede,
in un certo senso, è già tutto contenuto nella parola “sino-
do” »,12 non solo impegna la Chiesa a un coraggioso passo
in avanti nell’attuazione del rinnovamento della sua figura
e della sua missione indicato dal Vaticano II, ma attualizza
il disegno di Dio sulla Chiesa di Cristo così com’è attestato
dalle pagine del Nuovo Testamento ed è stato progressi-
vamente profilato dalla Traditio vivens della Chiesa. Metten-
do in ciò a frutto il grande dono che il carisma ignaziano
ha focalizzato nel patrimonio della fede cristiana.
Anche questo è un guadagno teologico ed ecclesio-
logico del Vaticano II. Come si rimarca nel recente do-
cumento della Congregazione per la Dottrina della Fede
Iuvenescit Ecclesia, se è indubbio che sin dagli inizi della sua
storia la Chiesa ha sperimentato la presenza attiva e fecon-
da, nel suo grembo e nella sua missione, di carismi anche
straordinari dello Spirito Santo che son venuti a integrare

12
 Cfr. Papa Francesco, Discorso in commemorazione del 50°
anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, Aula Paolo VI, 17 ot-
tobre 2015.

27
e corroborare il ruolo e l’azione insostituibile del mini-
stero ordinato, è soltanto sulla base dell’insegnamento del
Vaticano II che si è giunti a riconoscere che i “doni gerar-
chici” e i “doni carismatici” sono co-essenziali nella vita e
nel cammino della Chiesa.13
Per un esempio, che non è semplicemente un esem-
pio tra i tanti ma riveste un peculiare e forse persino de-
cisivo momento, la lettura dei “segni dei tempi” confidata
a tutto il Popolo di Dio dal Vaticano II, nel linguaggio
stesso che è impiegato dalla Costituzione pastorale sulla
Chiesa nel mondo odierno, la Gaudium et spes (GS, nn. 11
e 44), chiede precisamente l’esercizio di un discernimento co-
munitario che, da un lato, sia illuminato dalla Parola di Dio
e, dall’altro, proprio in grazia di ciò, permetta di sceverare
nelle istanze, nei problemi e nelle sfide, nelle conquiste
e persino nelle derive del nostro tempo i veri segni della
presenza dello Spirito di Dio che riempie la faccia della
terra (cfr. n. 26).
Occorre dunque – come ha scritto papa Francesco
nella EG – diventare contemplativi « della Parola e del Po-
polo » (n. 154). Avere cioè gli occhi dell’anima spalancati
in avanti verso gli orizzonti d’infinito dischiusi dallo Spiri-
to, e allo stesso tempo impegnarsi con tutto se stesso nel

13
 Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Let-
tera sulla relazione tra doni gerarchici e carismatici per la vita e la
missione della Chiesa Iuvenescit Ecclesia, 15 maggio 2016.

28
gestire la realtà quotidiana. Non coerceri a maximo, contineri
tamen a minimo, divinum est: non esser costretto da ciò che è
più grande, essere contenuto in ciò che è più piccolo, que-
sto è divino, come recita il verso di un anonimo gesuita in
onore di Sant’Ignazio che sembra fotografare lo spirito e
lo stile di papa Francesco.

5.  La povertà “forma Ecclesiae” e “missionis”


Ma non è solo il carisma di Ignazio di Loyola a ispi-
rare – direi di più: a innervare e intenzionalizzare – il
suo ministero. C’è tutta la grande tradizione spirituale
della Chiesa che confluisce nell’insegnamento di Ignazio
e che da questo insegnamento, in una peculiare visione
prospettica, viene riproposta e attualizzata. Del resto, è
sempre così nella storia della Chiesa: ogni grande cari-
sma non è una monade isolata e a se stante, ma è inse-
rito – per vie dirette e per vie indirette, propiziate dalla
connaturalità tra i carismi che loro deriva dallo scaturire
dalla stessa fonte che è lo Spirito Santo – nel concerto
della sinfonia ecclesiale.
C’è senz’altro un altro straordinario carisma che, a
suo modo, vivifica l’esperienza e l’intelligenza di fede che
si esprimono nel ministero di Papa Bergoglio: il carisma
di San Francesco d’Assisi. Il fatto stesso che egli, primo
Papa gesuita nella storia, si sia sentito spinto a scegliere
tra tutti questo nome al momento della sua elezione alla
cattedra di Pietro, la dice lunga sul suo modo di vivere e
comprendere la sequela Christi e di esercitare il ministero

29
a cui la grazia di Dio l’ha chiamato. Non c’è in gioco, in
questa sintomatica scelta, soltanto il sogno di « una Chiesa
povera e dei poveri » registrato nella EG (n. 198), né c’è
soltanto la volontà di mettere in primo piano l’impegno
improcrastinabile per la cura della casa comune, come il-
lustrato nella Laudato si’ (LS). C’è, a mio avviso, nella luce
del carisma di San Francesco in ciò pari pari ripreso da
Sant’Ignazio, l’andare al cuore dell’esperienza e dell’intel-
ligenza del Vangelo.
Il Cristo povero, che di tutto si svuota, persino del-
la sua eguaglianza in divinità col Padre (cfr. Fil 2,7) per
arricchirci con la sua povertà (cfr. 1 Cor 8,9), è la via di
Dio verso di noi, di noi verso Dio, di noi gli uni verso gli
altri. È questa la via « nuova e vivente » (cfr. Eb 10,19-20)
che Francesco d’Assisi ha ricevuto in dono dallo Spirito
e ha offerto alla Chiesa: « Nemo intrat recte in Deum nisi per
Crucifixum », scandisce nell’Itinerarium San Bonaventura,
additando a tutti il Poverello come exemplum verae contempla-
tionis.14 Una contemplazione che, radicata nella partecipa-
zione alla povertà di Cristo, è fonte di fraternità e sororità
universale, con gli uomini e con le donne, con gli animali,
con le piante e con le cose inanimate, come San Francesco
canta nel Cantico di frate Sole.

14
  Bonaventura da Bagnoregio, Itinerarium mentis in Deum,
Prologus, 3: « Nessuno in verità entra in Dio se non attraverso il
Crocifisso ».

30
Ora, lo stesso Sant’Ignazio, quando si trova impegna-
to nell’opera decisiva – in ordine alla configurazione defi-
nitiva da dare, secondo l’ispirazione divina, alla Compagnia
di Gesù – della redazione delle Costituzioni, conferma la
volontà di seguire il Cristo nella sua assoluta povertà sen-
za rinunciare alla « oblazione di maggiore importanza »:15
« Imitarlo nel sopportare ogni tipo di povertà, tanto attua-
le quanto spirituale ». È per questo – come ha mostrato
P. Arrupe a partire dal Diario di Ignazio (febbraio 1544 –
febbraio 1545) – che egli s’immerge nella contemplazione
del mistero più vertiginoso di Dio in cui la fede in Cristo
c’introduce, quello della SS.ma Trinità, trovandovi infine
la conferma cui con tutto se stesso anelava: « Il Figlio pri-
ma inviò gli apostoli a predicare in povertà, poi lo Spirito
Santo li confermò comunicando loro la propria forza in
lingue di fuoco; così, dal momento che il Padre e il Figlio
inviarono lo Spirito Santo, tutte e tre le divine Persone
confermarono quella missione ».16
La povertà, dunque, ricevuta da Cristo – direbbe
Dante Alighieri17 – quale diletta Sposa, come tale è accolta
e scelta da San Francesco e da Sant’Ignazio a nome della
Chiesa come forma missionis, la forma principe e irrinun-
ciabile della missione della Chiesa sulle orme del Cristo
povero e crocifisso. Prospettiva che la LG, al n. 8, fa sua

15
  ES, n. 98.
16
  Diario, 11 febbraio 1544.
17
 Cfr. Divina Commedia, Paradiso, canto XI.

31
con un’ampia e articolata descrizione che riporto per inte-
ro perché è cruciale per decifrare l’ispirazione che anima il
ministero di papa Francesco:
Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà
e le persecuzioni, così pure la Chiesa e chiamata a prendere la
stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza.
Gesù Cristo “che era di condizione divina... spogliò se stesso,
prendendo la condizione di schiavo” (Fil 2,6-7) e per noi “da
ricco che era si fece povero” (2 Cor 8,9): così anche la Chiesa,
quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mez-
zi umani, non è costituita per cercare la gloria terrena, bensì
per diffondere, anche col suo esempio, l’umiltà e l’abnegazione.
Come Cristo infatti è stato inviato dal Padre “ad annunciare
la buona novella ai poveri, a guarire quelli che hanno il cuore
contrito” (Lc 4,18), “a cercare e salvare ciò che era perduto”
(Lc 19,10), così pure la Chiesa circonda d’affettuosa cura
quanti sono afflitti dalla umana debolezza, anzi riconosce nei
poveri e nei sofferenti l’immagine del suo fondatore, povero e
sofferente, si fa premura di sollevarne la indigenza e in loro
cerca di servire il Cristo. […] La Chiesa “prosegue il suo
pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni
di Dio”, annunziando la passione e la morte del Signore fino
a che egli venga (cfr. 1 Cor 11,26). Dalla virtù del Signore
risuscitato trae la forza per vincere con pazienza e amore le
afflizioni e le difficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal
di fuori, e per svelare in mezzo al mondo, con fedeltà, anche se
non perfettamente, il mistero di lui, fino a che alla fine dei tempi
esso sarà manifestato nella pienezza della luce.
Si produce in queste parole un salto di qualità – pre-
parato e propiziato carismaticamente – nell’autocoscienza
che la Chiesa ha di sé e della sua missione. Ma solo quando

32
questa affermazione ha cominciato a risvegliare la con-
sapevolezza ecclesiale e a diventare carne e sangue nella
vita pastorale della Chiesa – penso, in particolare, al cam-
mino percorso del Popolo di Dio in America-Latina –, si
è cominciato a intuirne e misurarne la portata teologica,
ecclesiale, sociale e culturale.
Il magistero di papa Francesco si colloca con nitidez-
za e vigore su questa linea ormai irrinunciabile. E lo fa con
slancio profetico.

33
Capitolo II
FEDELTÀ CREATIVA: LA TRADIZIONE
TEOLOGICA, IL VATICANO II,
LA RILETTURA DEL VANGELO NELL’OGGI

1.  Nello spirito di Tommaso d’Aquino


Che San Tommaso d’Aquino sia il teologo di gran
lunga più presente nell’Amoris laetitia (AL) ma anche – a
ben vedere – nella Evangelii gaudium (EG), è un dato di
fatto. Con buona pace di chi, appellandosi a un’interpre-
tazione rigida e pietrificata del Doctor communis, fatica a co-
glierne lo spirito e l’afflato al di là dei riferimenti puntuali
a questo o a quel suo scritto.
Perché Tommaso, che non a caso l’Optatam totius
(OT), il Decreto sulla formazione presbiterale del Vatica-
no II, addita come la guida sicura di un ministero teologi-
co ecclesialmente responsabile e fecondo (cfr. n. 16), è un
teologo straordinariamente vivo e attuale, se non in tutti
gli apporti che ha dato e in tutte le affermazioni che ha
fatto (e come lo potrebbe?), senz’altro nell’intenzionalità e
nella metodologia di fondo che ne hanno ispirato l’opera.
Tommaso in realtà – sembra scontato dirlo, ma spes-
se volte non lo è – non è un cocciuto e arrabbiato to-
mista. È un teologo (e un filosofo) flessibile e aperto, in

35
cui si combinano armonicamente (e costosamente) la fe-
deltà al depositum fidei e la creatività nel discernimento del
linguaggio concettuale più adatto, in ascolto della verità
e dei segni dei tempi, per esprimere in modo intelligibile
e apprezzabile all’uomo del proprio tempo il messaggio
della Rivelazione. Basta, per rendersene conto, rileggere
gli studi di chi, come Marie-Dominique Chenu1 o Jean-
Pierre Torrell,2 ci ha aiutato a ricollocare con pertinenza
l’Aquinate nel suo contesto culturale e a gustarne la genu-
ina ispirazione.
Dunque, non è un caso che Tommaso d’Aquino rap-
presenti anche per papa Francesco un sicuro punto di ri-
ferimento teologico, e non solo perché la Compagnia di
Gesù così sempre ha fatto, sia pure impegnandosi – nello
spirito stesso di Tommaso – a una continua reinterpre-
tazione e a un continuo aggiornamento del suo insegna-
mento; e non solo perché, negli studi teologici impartiti in
Argentina, prima e dopo il Concilio, la teologia di Tom-
maso costituiva la chiave di volta della formazione. Ma,
ripeto, in ascolto, nella libertà dello Spirito, di quanto di
essenziale egli continua a insegnarci nel fare teologia.
Ed è proprio per questa fedeltà intelligente e aperta
alla teologia di Tommaso d’Aquino che la teologia che nu-

1
  M.D. Chenu, St. Thomas d’Aquin et la théologie, Editions du
Seuil, Paris 1959.
2
  J-P. Torrell, Initiation à Saint Thomas d’Aquin. Sa personne et
son œuvre, Editions Universitaires, Fribourg Suisse 1993.

36
tre e orienta il ministero di papa Francesco esibisce due
specifiche caratteristiche anche già solo se si guarda alle
sue fonti: da un lato, la pluralità di riferimenti, e dunque
non la monotonia di un solo autore e di un’unica scuola,
ma quella sinfonia ampia di voci che è propria dell’espe-
rienza ecclesiale, con uno spettro di richiami e interessi
che spaziano dai Padri della Chiesa, passando attraverso il
grande Medioevo per giungere alla modernità e spingersi
sino ai giorni nostri, senza limitarsi ai teologi di professio-
ni ma frequentando anche quegli “stili laicali”, per dirla
con von Balthasar, che declinano la verità del Vangelo col
linguaggio delle lettere, dell’arte, delle scienze; dall’altro
lato, l’assunzione come chiave di lettura – sia del patrimo-
nio custodito e trasmesso dalla Tradizione sia delle sfide
del presente – del magistero del Concilio Vaticano II, an-
che in questo caso recepito non come definitivo punto di
arrivo, ma come promettente pedana di lancio.

2.  Agostino e il primato della grazia e della carità


Tra i Padri della Chiesa è Sant’Agostino d’Ippona
quello più caro a papa Francesco. E non solo dal punto
di vista letterario: nel senso che la perenne modernità del
suo stile umano e spirituale non poteva non avvincere un
temperamento artisticamente atteggiato e coltivato come
quello del giovane Jorge Maria Bergoglio. Basti pensare
all’inimitabile musica dello spirito che risuona nelle pagine
delle Confessiones. No, c’è anche qualcos’altro. È l’itinera-
rio di Agostino come parabola della ricerca esistenziale

37
dell’uomo d’ogni tempo e d’ogni luogo, pilotata con pa-
zienza e con sapienza da Dio stesso che si fa presente,
chiama, attrae, perdona, accoglie, ricerca, invia ai fratelli.
Se c’è una parola che riassume l’itinerario di Agostino e
che ritorna nella definizione della teologia che a lui s’ispira
– una parola cara a papa Francesco tanto da esprimere nel
suo sentire il respiro della vita cristiana – questa è il verbo
quaerere, cercare.
Un cercare vero, reale, e dunque struggente e inquieto
nell’esplorare il mistero dell’esistere e dell’orizzonte a par-
tire dal quale esso si staglia, ma, al tempo stesso, un cer-
care che prende il via e procede perché, in qualche modo,
già da sempre intuisce che la meta che cerca, l’approdo
cui mira, la quiete cui anela non sono una chimera o un’il-
lusione ma una realtà, “la” realtà. « Chaque soif a son eau »,
ogni sete ha la sua acqua.
Dunque, per un verso, è vero – come scrive Agostino
– che « inquietum est cor nostrum donec requiescat in te », ma è
altrettanto vero che la quies cui perviene il quaerere animato
dall’infinito desiderium che abita l’uomo è tutt’altro che un
tranquillo possesso dato una volta per tutte e che esime
dal cercare ancora.
Ed ecco l’altra formidabile formula in cui Agostino
compendia il dinamismo dell’esistenza di fede: « Quaera-
mus inveniendum, quaeramus inventum. Ut inveniendus quaeratur,
occultus est; ut inventus quaeratur, immensus est », che possiamo
tradurre così: dobbiamo cercarlo per trovarlo, e dobbia-
mo continuare a cercarlo anche quando lo abbiamo trova-

38
to. Cerchiamolo dunque per trovarlo, perché è nascosto;
cerchiamolo anche quando lo abbiamo trovato, perché è
immenso.3 Se la fides è la risposta, di grazia, al quaerere del
desiderio umano d’infinito, essa stessa, in sé e da sé, spri-
giona un ulteriore quaerere che è tutt’uno con l’esistenza
di fede, la quale, se ha una dimensione intellettuale, inve-
ste però tutte le dimensioni dell’esperienza umana. Ecco,
dunque, il vero senso della teologia: non possedere la ve-
rità, ma essere posseduti dalla Verità che dona Se stessa e
che, nello Spirito Santo, invita e guida a camminare verso
la sua pienezza. Fides quaerens intellectum, fides che è deside-
rium videndi quod credidi.4
La lezione di Agostino che – non dimentichiamolo –
è insieme teologo e pastore, e pastore… con l’odore delle
sue pecore!, come si evince anche solo dalla lettura delle
sue omelie stenografate dai fedeli che l’ascoltavano, è una
lezione che accompagna il cammino spirituale, pastorale
e teologico di Jorge Maria Bergoglio. Una lezione in cui,
forse, brillano soprattutto due perle di sapienza evangelica
di cui il grande Vescovo e Dottore di Ippona ci fa dono:
la grazia e la carità.
La grazia, innanzi tutto. Mi pare che la percezione del
mistero della grazia sia determinante nella performance esi-
stenziale e pastorale di Agostino, per un verso, ma anche

3
  In Johannis Evangelium, LXIII, 1.
4
 Cfr. Agostino, De Trinitate, XV, 28.51.

39
di papa Francesco, per l’altro, e ne plasmi da cima a fondo
la Weltanschauung, e cioè la visione e l’accesso al senso ul-
timo della realtà in Cristo. Come si evince, in particolare,
dal libro ottavo delle Confessiones, dove Agostino racconta
la sua conversione, la grazia di Cristo irrompe imprevista
(anche se da sempre attesa) nella vicenda turbolenta e feri-
ta della nostra vita e rende possibile quella decisione della
libertà che, per sé, non potrebbe prodursi e che, una volta
per dono prodotta, si apre all’esperienza di una sinergia
inedita e misteriosa, viva ed efficace, tra le mozioni che
vengono da Dio e il discernimento del cammino dell’esi-
stenza che procede dal cuore dell’uomo.
Sono pagine che – come poche altre – descrivono dal
vivo il mistero, la dinamica, i frutti dell’incontro con la
grazia di Cristo di cui parla con parole incancellabili l’apo-
stolo Paolo nella lettera ai Romani e che richiamano la fe-
nomenologia dell’esistenza disegnata da Maurice Blondel
nella sua Action, non a caso un altro grande autore caro a
papa Francesco.
Il quale proprio da qui, penso, da questa fondamenta-
le esperienza e intelligenza dell’evento della grazia in Cri-
sto per noi, deriva la messa in guardia, ricorrente nel suo
magistero, dalla permanente tentazione del pelagianismo,
nei cui confronti Agostino per primo, e in forma paradig-
matica, ha tenacemente messo in guardia la Chiesa. Pre-
sumere, infatti, di poter fare a meno della grazia di Cristo,
se non nell’affermazione di principio di fatto però nella
gestione della propria vita e della missione della Chiesa,

40
significa in concreto non solo non riconoscere il chi sono
io e il chi è Dio, nell’esistenza personale e di comunità,
non solo non aver coscienza del peccato da cui Cristo ci
redime obliando la gratitudine in cui s’esprime il debito
insolvibile contratto con la fede, ma significa anche smar-
rire il criterio decisivo dell’evangelizzazione: e cioè della
proposizione del contenuto e della forma in cui il lieto
annuncio del Vangelo dev’essere comunicato e trasmesso.
Con misericordia e con tenerezza. « Gratuitamente avete
ricevuto, gratuitamente date » (Mt 10,8).
Di qui l’altra perla che brilla nella lezione di Agosti-
no e che direttamente attinge all’insegnamento del Nuovo
Testamento, in particolare alla prima lettera di Giovanni:
la carità. La carità – agápe, nel lessico neotestamentario –
non come un attributo tra gli altri del Dio che a noi s’è
rivelato e comunicato escatologicamente in Cristo, ma
come l’essenza stessa del suo mistero. E, di conseguenza,
la carità come la qualità che determina la vita nuova del
discepolo di Cristo il quale, per definizione, è ho agapón,
uno che ama: perché da Dio per primo, in Cristo, è stato
amato, per cui, in risposta, è chiamato ad amare il fratello
muovendo il primo passo.
Come non si stanca di ripetere – coi gesti e con le pa-
role – papa Francesco, dall’evento di Gesù scaturisce dun-
que un’ontologia della grazia, e cioè un’esperienza d’esistenza
nuova tutta segnata dal dono di Dio, che per sé s’esprime
in un’esigente e liberante ethos della carità che esibisce, in-

41
dissolubilmente, una dimensione personale e una dimen-
sione sociale, una radice spirituale e un’efficace politica.
Agostino, Dottore della grazia e della carità, non a
caso ha donato alla Chiesa due insostituibili opere: in cui,
nella prima, il De Trinitate, contempla l’insondabile mistero
di Dio che è Amore e che abita, insieme, in interiore homine
e nella caritas ad invicem; mentre, nella seconda, il De Civitate
Dei, rilegge la storia dell’umanità e il suo destino escatolo-
gico alla luce del principio agapico nella dialettica tra amor
sui e amor Dei.
Il magistero sociale della Chiesa, in fondo, evolve in
concreto questo principio. Penso, ad esempio, a quanto
scrive la Gaudium et spes (GS) al n. 24, là dove propone
un’ardita similitudine tra l’unità d’amore delle tre divine
persone e l’unità nella verità e nella carità tra i figli di Dio,
sottolineando che ciò mostra che « l’uomo, il quale è in
terra la sola creatura che Dio ha voluto per se stessa, non
si può ritrovare se non attraverso il dono sincero di sé ».
Papa Francesco riassume l’intuizione della rilevanza so-
ciale della fede cristiana facendo sua un’affermazione del
Compendio della dottrina sociale della Chiesa: « Dio in Cristo
non redime solamente la singola persona, ma anche le re-
lazioni sociali tra gli uomini » (EG 178).

3.  Basilio Magno e lo Spirito Santo artefice di armonia


Agostino non è l’unico tra i Padri della Chiesa che
ispirano il magistero di papa Francesco. Al di là dei rife-
rimenti espliciti. Si tratta infatti di uno stile, di una intelli-

42
genza e di un modo di proporre il tenore centrale e deci-
sivo del messaggio cristiano in un linguaggio e con degli
accenti che lo rendono oggi incisivo ed apprezzabile. Tra
i Padri della Chiesa che danno un’impronta peculiare all’e-
sperienza e all’intelligenza della fede di papa Francesco, è
sufficiente richiamare Basilio Magno e la sua teologia dello
Spirito Santo.
In effetti, se si esaminano con attenzione e puntualità
i grandi testi del magistero di papa Bergoglio, ma anche i
suoi interventi più ordinari nella catechesi e nella liturgia,
e se ci s’impegna a decifrare il senso profondo delle sue
scelte pastorali e dei suoi gesti, non è difficile costatare il
costante e decisivo richiamo alla presenza e all’azione del-
lo Spirito Santo nella missione della Chiesa. Del resto, nel
Simbolo niceno-costantinopolitano è proprio l’articolo di
fede concernente lo Spirito Santo che introduce all’arti-
colo di fede sulla Chiesa e sul destino escatologico della
creazione.
Se qualcuno, giustamente, ha potuto lamentare una
certa carenza di pneumatologia nel dettato del Vaticano II,
il successivo magistero pontificio – penso per tutti alla
Domunum et vivificantum di Giovanni Paolo II – si è via via
impegnato a colmare tale carenza, senza dubbio anche per
il benefico influsso della spiritualità e della teologia dell’O-
riente cristiano. Così che l’auspicio espresso da Papa Gio-
vanni – che il Concilio rappresentasse una “nuova Pen-
tecoste” per la Chiesa – sembra via via poco per volta
concretizzarsi nella storia della sua recezione e dei suoi

43
effetti. E il magistero di papa Francesco ne costituisce
un’indubbia conferma e un efficace impulso.
Ora, Basilio Magno, cui papa Francesco si richiama
per illustrare lo stile dell’azione di Dio, nel Perì toû Haghíon
Pneûmatos, il suo grande libro sullo Spirito Santo, ha offer-
to alla Chiesa un’opera di spessore carismatico e di signifi-
cato duraturo, che tra l’altro è stata di decisivo rilievo nella
celebrazione del secondo Concilio Ecumenico, quello di
Costantinopoli I, in quanto esso ha prodotto, sulla scorta
appunto della teologia di Basilio, il Simbolo della fede che
tutti i cristiani congiuntamente ancor oggi professano. Da
notare che Basilio Magno scrive la sua opera solo qualche
anno prima che Agostino iniziasse a scrivere il De Trinitate.
Così che anche un legame temporale collega tra loro due
scritti che resteranno fondamentali nell’illustrazione della
dottrina della fede.
Ciò che papa Francesco attinge dall’opera di Basilio
non è tanto o soltanto l’affermazione dell’eguaglianza
nella divinità – nell’essere trinitario di Dio – dello Spirito
Santo con il Padre e con il Figlio, dato centrale nella fede
cristiana, quanto piuttosto la dinamica della sua azione
nella missione della Chiesa e nella storia dell’umanità. Lo
Spirito Santo, infatti, « soffia dove vuole » (cfr. Gv 3,8), dis-
seminando la diversità dei suoi doni per arricchire di ogni
verità, bontà e bellezza i popoli, le culture, le Chiese locali,
per condurli poi, nella logica del reciproco riconoscimen-
to e del reciproco scambio dei doni, all’unità dell’unico
Corpo del Cristo che – direbbe Agostino – è il Christus to-

44
tus, il Cristo « tutto in tutte le cose ». Così, lo stesso Spirito
è, al contempo, il principio della molteplicità e il principio
dell’unità, il principio, cioè, di un’unità che non è monoli-
tica ma armonica: sinfonia e riconciliazione delle diversità.
Una centrale verità di fede come quella dell’azione di-
vinizzatrice dello Spirito del Padre e del Figlio, permette
dunque a Francesco, facendo tesoro della lezione di San
Basilio, d’illuminare, discernere e guidare la missione della
Chiesa secondo una logica che è sino in fondo teologica
e persino trinitaria. Con tutte le rilevanti implicazioni che
ciò comporta nell’immaginare questa nuova tappa dell’e-
vangelizzazione, con la conversione spirituale e pastorale
che ciò comporta.

4.  I perenni pilastri della teologia di San Tommaso


Ma passiamo, rapidamente, al medioevo e poi subito
alla modernità. Non vi sono rotture o contrapposizioni
ideologiche, in effetti, nel mondo in cui papa Francesco
mostra di leggere, recepire e valorizzare la grande tradizio-
ne teologica della Chiesa.
L’insegnamento perennemente valido di San Tomma-
so d’Aquino, ad esempio, è accolto, al di là dell’evidente
diversità di sensibilità psicologica e di contestualizzazione
culturale che lo distinguono da Sant’Agostino, attraverso
l’assunzione dei grandi principi ispiratori della sua opera.
Proprio nel senso in cui Tommaso, andando certo oltre,
su molti fronti, rispetto ad Agostino, è però consapevole
di custodirne e ulteriormente approfondirne e sviluppar-

45
ne i preziosi e insostituibili apporti, Anche questo è un
buon criterio di sana, aperta e creativa Tradizione. Eb-
bene, nelle principali linee architettoniche, per così dire,
che disegnano il cammino e la proposta pastorale di papa
Francesco sono facilmente riconoscibili alcuni degli inse-
gnamenti chiave del Doctor Communis : non assunti come
dogmi statici, ma come principi ispiratori dinamici, in sin-
tonia, ad esempio, con la rilettura filosofica del tomismo
proposta da Alberto Methol Ferré, uno dei più fecondi
e originali intellettuali latinoamericani del secolo scorso,
assai apprezzato da Jorge Maria Bergoglio.
Penso, innanzi tutto, a quella correlazione tra onto-
logia della grazia ed ethos della carità che è il nerbo della
intelligentia fidei tomasiana. San Tommaso, in effetti, arti-
cola con grande attenzione il rapporto tra gratia e natura,
secondo il noto effato per cui gratia non tollit sed supponit et
perficit naturam,5 affermando così un principio ancor oggi
irrinunciabile per una pertinente ed efficace coniugazione
dell’evangelizzazione con la promozione umana, dell’an-
nuncio, cioè, del cuore del messaggio evangelico con la
sua effettiva assunzione storica nelle dinamiche e nelle
forme dell’esistenza umana, personale e comunitaria.
Penso, in secondo luogo, al principio della caritas for-
ma omnium virtutum,6 che traduce persuasivamente, a livello

5
  S.Th., I, 1, 8 ad 2: « la grazia non distrugge la natura, ma la
perfeziona .
6
  S.Th., I-II, 62, 4: « Sic enim caritas est mater omnium virtu-
tum et radix, inquantum est omnium virtutum forma (Infatti la

46
del processo concreto dell’agire morale quel vertiginoso
principio, derivato pari pari dall’insegnamento neo-testa-
mentario, secondo cui lo Spirito Santo stesso è « lex Novi
Testamenti ».7 Se non si tiene adeguatamente conto della
specifica ermeneutica dell’agire morale in Christo che così
Tommaso propone non si penetra nell’autentico e perfet-
tamente tradizionale insegnamento che viene proposto da
papa Francesco, ad esempio, nell’AL. Ma non si riesce
neppure a cogliere la portata costruttiva, anche a livello
sociale, di una visione della carità che è al contempo, e in-
dissolubilmente, virtù personale e virtù relazionale, prin-
cipio cioè – come scrive la GS al n. 38 – di vera « trasfor-
mazione sociale ».8 Benedetto XVI, del resto, sia nella Deus

carità è la madre e la radice di ogni virtù in quanto è la forma di


tutte le virtù) ».
7
  S.Th., I-II, 106, 1: « Unaquaeque res illud videtur esse quod
in ea est potissimum, ut philosophus dicit, in IX Ethic. Id autem
quod est potissimum in lege novi testamenti, et in quo tota virtus
eius consistit, est gratia Spiritus Sancti, quae datur per fidem Chris-
ti. Et ideo principaliter lex nova est ipsa gratia Spiritus Sancti, quae
datur Christi fidelibus. (Secondo il Filosofo [Ethic 9,8], “ogni cosa
viene definita in base a ciò che in essa vi è di principale”. Ora, ciò
che nel Nuovo Testamento è principale, e in cui si trova tutta la sua
virtù, è la grazia dello Spirito Santo, derivante dalla fede in Cristo.
Perciò la legge nuova principalmente è la stessa grazia dello Spirito
Santo, concessa a coloro che credono in Cristo) ».
8
 « Il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato,
fattosi carne lui stesso e venuto ad abitare sulla terra degli uomi-

47
Caritas est sia nella Caritas in veritate ha evoluto, in forma
teologicamente persuasiva, questa specifica prospettiva.
È infine custodito e trafficato come un talento pre-
zioso, nell’esperienza e nell’intelligenza della fede di Papa
Francesco, quello che appare come il cuore della teologia
tomasiana: la centralità del mistero eucaristico. L’adora-
zione e la celebrazione dell’Eucaristia sono, per l’Aquina-
te, il punto di partenza e il punto di arrivo dell’esistenza
cristiana e della missione della Chiesa. Quando parla della
necessità che la teologia, per essere un autentico opus Dei a
servizio della Chiesa per il mondo, venga fatta “in ginoc-
chio” – richiamandosi così forse anche all’affermazione
fatta da Hans Urs von Balthasar – papa Francesco pensa
senz’altro allo stile di vita e di pensiero che qualifica il ma-
gistero teologico di Tommaso. Come ci ricorda la tradi-
zione agiografica, non soleva egli sostare in preghiera, con
intima partecipazione, davanti al Santissimo Sacramento
per ricevere da esso luce e soffio d’ispirazione dall’alto in
ciò che doveva poi approfondire e scrivere intorno alle ve-

ni, entrò nella storia del mondo come uomo perfetto, assumen-
do questa e ricapitolandola in sé. Egli ci rivela “che Dio è carità”
(1 Gv 4,8) e insieme ci insegna che la legge fondamentale della
umana perfezione, e perciò anche della trasformazione del mondo,
è il nuovo comandamento dell’amore. Coloro pertanto che credo-
no alla carità divina, sono da lui resi certi che la strada della carità è
aperta a tutti gli uomini e che gli sforzi intesi a realizzare la frater-
nità universale non sono vani » (GS 38).

48
rità della fede? E non è forse a seguito della celebrazione
dell’Eucaristia in San Domenico Maggiore a Napoli, il 6
dicembre del 1273, che egli « mira mutatione commotus », ces-
sò di scrivere e di dettare (e stava in dirittura d’arrivo nel-
la redazione della Summa Theologiae!), rispondendo al fido
Reginaldo, che ne chiedeva la ragione: « Non posso…non
posso, perché tutto ciò che ho scritto mi sembra paglia,
rispetto a ciò che ho visto e che mi è stato rivelato »?9
Non è semplice umiltà quella che spinge Tommaso
a compiere questo gesto e a pronunciare queste parole.
O, meglio, è quell’umiltà vera che dice la realtà delle cose:
l’oltre-misura del mistero di Dio e della vocazione dell’uo-
mo e del creato a partecipare, mediante l’Eucaristia, alla sua
stessa vita divina. La Res del sacramento dell’Eucaristia, in-
fatti, come spiega Tommaso, è in Cristo Gesù l’unione con
Dio e l’unità di noi tutti.10

5.  San Bonaventura e le “vestigia” della Trinità


Ma guardando alla grande teologia del medioevo, tra
le fonti del pensiero di papa Francesco, non possiamo non
ricordare anche San Bonaventura da Bagnoregio, il Dotto-
re Serafico. E non solo perché egli è una e forse la più in-

9
  Processus, n. 79, 376ss.
10
  Cfr. S.Th., III, 73, 2: « Eucharistia est sacramentum eccle-
siasticae unitatis (l’Eucaristia è il sacramento dell’unità ecclesiale) »;
III, 73, 3: « Res sacramenti est unitas corporis mystici (l’effetto di
questo sacramento è l’unità del corpo mistico) ».

49
signe – insieme al beato Duns Scoto – delle conseguenze
teologiche del carisma di San Francesco. Ma anche perché
San Bonaventura rappresenta uno stadio nuovo della teo-
logia nella storia della Chiesa. Come già, per altri versi, lo
era stato Tommaso d’Aquino, il Dottore Angelico.
L’ha illustrato assai bene Joseph Ratzinger nel suo stu-
dio su La teologia della storia di San Bonaventura,11 e l’ha riba-
dito una volta diventato Papa. Sino a Bonaventura infatti
– ha spiegato – si era portati a pensare che nella storia della
Chiesa l’essenziale della dottrina e della teologia scaturite
dal Vangelo si trovasse ormai alle nostre spalle, espresso
nei Concilii dei primi secoli e nella teologia dei Padri della
Chiesa. L’apparizione degli Ordini mendicanti, al cuore del
Medioevo, cambia però le carte in tavola. Per impulso, in
modo tutto speciale, del carisma di Francesco, senza nulla
perdere del depositum prezioso della Tradizione, lo sguardo
comincia a dirigersi anche in avanti, nella tensione dinamica
tra fedeltà e creatività. Anzi, Francesco stigmatizzato a La
Verna si mostra – agli occhi dei suoi continuatori – non solo
come exemplum verae contemplationis, ma anche come suggesti-
va ed eloquente “ icona teologica ”.
È così che San Bonaventura, guardando al Crocifisso
di e in Francesco, inaugura la via di una teologia che è,
insieme, affettiva e cosmica. Affettiva, perché scaturente

11
  J. Ratzinger, San Bonaventura. La teologia della storia (1959),
tr. it., Nardini Editore, Firenze 1991.

50
dalla com-passione con la carne di Cristo e la sua esten-
sione nella carne dei fratelli e delle sorelle. Cosmica, per-
ché volta a rintracciare e ad armonizzare, in ascolto dello
Spirito, le vestigia del Dio Uno e Trino in tutto il creato, nel
canto delle sue bellezze e nel grido delle sue piaghe. Di qui
le prime tracce di quella cosmovisione trinitaria che vede
non solo riflessa, ma presente e attiva, la forza creatrice
e redentrice del Dio Trinità d’amore nella relazione che
tesse in un unico disegno, che è un arcobaleno di colori,
la Luce bianca – la Claritas – che irraggia sul mondo dal
cuore di Dio.
Quest’ispirazione di teologia francescana e trinitaria
dà luce e colore alla Laudato si’ (LS) di papa Francesco. E
dischiude orizzonti che intuiamo affascinanti e concreta-
mente decisivi per il domani dell’umanità.

6.  I precursori del rinnovamento e Romano Guardini


Tommaso d’Aquino, in verità, come hanno persua-
sivamente mostrato Johannes Baptist Metz nel suo Chri-
stliche Anthropozentrik12 e Ghislain Lafont nella sua Histoire
théologique de l’Eglise Catholique,13 pur essendo pienamente
uomo e teologo del Medioevo, è già moderno o, se non

12
  J.B. Metz, Christliche Anthropozentrik. Über die Denkform
des Thomas von Aquin , Kösel, München 1962.
13
  G. Lafont, Histoire thélogique de l’Eglise catholique. Itinéraire et
formes de la théologie, Editions du Cerf, Paris 1994.

51
altro, decisamente pre-moderno. Certamente è teocentrica
la sua lettura della fede cristiana, ma proprio così è tale da
mettere al centro e valorizzare al massimo la consistenza
delle cose create e temporali e la dignità dell’uomo. In que-
sto senso, è una grande operazione d’inculturazione del
messaggio evangelico in categorie concettuali tali da per-
mettere d’esprimerne al massimo la valenza umanizzante
quella che egli persegue.
È per questo che Tommaso non teme di compiere
una scelta ardita che, se gli permetterà di raggiungere rile-
vanti risultati, di cui la Chiesa cattolica beneficerà a lungo,
dal cuore del Medioevo sino a giungere ai giorni nostri, gli
attirerà anche, soprattutto all’inizio, aspre critiche e tenaci
incomprensioni. Egli, infatti sceglie Aristotele, che aveva
imparato a conoscere sin dai tempi in cui frequentava lo
Studium voluto da Federico II a Napoli, come l’esponente
principe di quella recta ratio che la fides è chiamata ad assu-
mere, redimere e illustrare. Scelta epocale, se solo si pensa
che del tutto preminente nell’ambito d’esercizio della in-
telligentia fidei era stata per secoli e secoli la filosofia d’im-
pronta platonica, pur nella diversità delle sue declinazioni.
Se infatti – come dipinto da Raffaello Sanzio nella sua ce-
lebra rappresentazione della Scuola di Atene, in Vaticano
– Platone ha lo sguardo rivolto in alto alla contemplazione
delle Idee e del Bene, Aristotele guarda invece in basso,
alla natura e alla città.
La scelta strategica di Tommaso d’Aquino sancisce
quanto di più tipico vi è nella fede cristiana: l’alleanza con

52
la retta ragione, che è chiamata ad aprirsi e per così dire a
transustanziarsi nella luce purificatrice e rischiarante della
Rivelazione, e insieme il discernimento dei segni dei tempi
e il processo, impervio ma intrinseco al suo stesso svi-
lupparsi, dell’inculturazione. La fede cristiana è fede nel
Logos, sì, ma nel Logos che carne si è fatto ed ha issato
la sua tenda tra gli uomini (cfr. Gv 1,14). Anche di questo
Tommaso è guida ed esempio prezioso per papa France-
sco, così come lo è stato per il Vaticano II che, a prima
vista paradossalmente, proprio nell’impegno a essere fe-
dele allo spirito di San Tommaso ha compiuto una netta
cesura nei confronti dell’irrigidita e sterile ripetizione di
alcune espressioni desunte alla lettera dal suo pensiero, e
scleratizzate, da parte della neoscolastica.
Il cammino rapido, sino a diventare a tratti convulso,
della modernità, ha spinto la teologia e la cultura d’ispira-
zione cristiana a un profondo aggiornamento del suo lin-
guaggio e dell’espressione performativa del suo messaggio
per continuare e, in alcuni casi per recuperare, il rapporto
con le correnti culturali e sociali che via via assumevano
le redini del cammino della società. Nascono le scienze,
si autonomizzano i saperi, si afferma la tecnica, si scopre
il “nuovo mondo”… Come già si è accennato nel prece-
dente capitolo, in questo immane compito l’esperienza e
l’intelligenza della fede si giovano in casa cattolica, tra il
XVI e il XVII secolo, di ispirazioni di intensa profondità
e di vasta portata come quelle di Sant’Ignazio di Loyola,
di Santa Teresa d’Avila e di San Giovanni della Croce. La

53
teologia, in verità, fatica maggiormente e solo tra il XIX e
il XX secolo riuscirà infine a precisare le linee maestre di
un suo nuovo orientamento complessivo, mettendo a se-
gno il suo più importante e duraturo risultato col Concilio
Vaticano II.
Ma è interessante notare che tra i teologi che han-
no costituito oggetto di più assidua meditazione da parte
di Jorge Maria Bergoglio, diventando ora che è Papa an-
che oggetto di esplicito richiamo nel suo insegnamento,
vi siano alcuni dei più lucidi precursori e, in alcuni casi,
protagonisti di tale rinnovamento. Penso, tra i primi, a
John Henry Newman, col suo concetto esistenziale e di-
namico di fede di contro a una concezione meramente
intellettualistica, e con la sua ripresa e illustrazione altret-
tanto dinamica e storicizzata del concetto di Tradizione e
di sviluppo dogmatico, arricchito dalla valorizzazione del
significato dogmatico del sensus fidei del Popolo di Dio di
contro a una visione gerarcologica – per dirla con Y. Con-
gar – della Chiesa; ma anche ad Antonio Rosmini, che è
presente assai più di quanto si creda nel pensiero di Papa
Francesco,14 con la proposta – di sconcertante attualità –
della riforma della Chiesa in alcune delle sue cruciali di-

14
  Come ha mostrato Fulvio De Giorgi nel suo Quale ri-gene-
razione della Chiesa nel rosminianesimo di papa Francesco?, in F. Bellelli
– E. Pili (Eds.), Ontologia, fenomenologia e nuovo umanesimo. Rosmini
ri-generativo, Città Nuova, Roma 2016, pp. 205-219.

54
mensioni di vita nel suo Le cinque piaghe della santa Chiesa,15
e con il complessivo disegno di una rivoluzione coper-
nicana dell’architettura dei saperi e delle espressioni della
cultura tracciata con profetico vigore e con speculativo
rigore nella Teosofia.16
Ma, più vicino a noi, nel XX secolo, a immediata
preparazione di quell’avvenimento ecclesiale di epocale
significato che è stato il Vaticano II, colui che – come da
lui stesso più volte riconosciuto – più ha positivamente
e durevolmente influito nel plasmare la sua visione del
cristianesimo è stato senz’altro Romano Guardini, che
qualcuno non ha esitato a definire un “Padre della Chiesa
del XX secolo”. Al centro del perseverante e vastissimo
impegno di questo geniale teologo e uomo di cultura, vi
è stato il desiderio di aiutare i cristiani del nostro tempo,
in specie i giovani, a « vedere con occhi nuovi », mettendo
a fuoco l’incontro metodico tra la fede e il mondo, assu-
mendo la fede non solo sotto il profilo della sua rilevanza
intellettuale nella teologia, ma in concreto anche culturale,
artistica, antropologica, sociale. Non è un caso che molti
dei nomi che si possono ritrovare tra le frequentazioni più

15
  A. Rosmini, Delle cinque piaghe della santa Chiesa, Istituto di
Studi Filosofici – Centro di Studi Rosminiani – Città Nuova Ed.,
Roma 1981.
16
  A. Rosmini, Teosofia, Istituto di Studi Filosofici – Centro
Internazionale di Studi Rosminiani – Città Nuova Ed., 6 volumi,
Roma 1998-2002.

55
rilevanti che arricchiscono il bagaglio teologico e culturale
di papa Bergoglio, si ritrovino prima nei magistrali stu-
di che Guardini ha confezionato e ci ha offerto facendo
uso della chiave d’interpretazione dell’incontro positivo e
vitale tra fede e cultura che qualifica il cristianesimo: Ago-
stino, Bonaventura, Dante Alighieri, Pascal, Kierkegaard,
Dostoevskij, Newman, Rilke… Senza dire che è proprio
di Guardini quell’affermazione profetico-programmatica,
già del 1922, che annuncia l’opera del Concilio: « Si è ini-
ziato un processo di incalcolabile portata: il risveglio della
Chiesa nelle anime », un fatto che non ha solo conseguen-
ze spirituali e religiose, ma antropologiche e sociali, in
quanto – scrive Guardini – la Chiesa « è per il singolo il vi-
vente presupposto del suo personale perfezionamento ».17
In questo ampio contesto, in cui il meglio del Van-
gelo dischiuso e incarnato nella luce dello Spirito Santo
diventa principio di una logica nuova capace di sostenere
e promuovere la relazione tra l’identità della persona e l’al-
terità, tra le comunità, tra i popoli e le culture, s’intuisce
il peso che il principio dell’ « opposizione polare », formu-
lato da Guardini già nel 1923,18 viene ad assumere nella
visione di papa Francesco. Guardini vi esprime una logica
del pensare, dell’agire e del gestire che non è quella dia-

17
 R. Guardini, Il senso della Chiesa (1922), tr. it., Morcelliana,
Brescia 2007.
18
 Nell’opera Der Gegensatz. Versuche zu einer Philosophie des
Lebendig-Konkreten, Matthias Grünewald Werlag, Schöningh 19984.

56
lettica di matrice hegeliana, in cui la sintesi assorbe in sé,
distruggendole nella loro identità e autonomia relazionale,
le identità che sono tra loro in opposizione polare, ma
le conserva in un’armonia in cui ciascuna può esprimere
se stessa dando spazio, nel reciproco riconoscimento, a
quel di più (il magis ignaziano) che si sprigiona proprio dal
e nel loro rapporto. Non un’ontologia dialettica, dunque,
ma un’ontologia relazionale, anzi trinitaria, per dirlo con le
parole già usate nel 1968 da Jean Daniélou in quel piccolo
gioiello che è La Trinité et le Mystère de l’Existence.19
Di qui l’immagine che papa Francesco predilige, quel-
la del poliedro. A differenza della sfera, dove ogni punto
è equidistante dal centro e non ci sono differenze tra un
punto l’altro, il poliedro è « una figura geometrica che ha
molte facce diverse » e così « riflette la confluenza di tutte
le parzialità che in esso conservano l’originalità. Nulla si
dissolve, nulla si distrugge, nulla si domina, tutto si inte-
gra ».20 Si tratta di un modo di vedere e di agire che – lo si
percepisce subito – ha delle formidabili conseguenze sul

19
  Desclée de Brouwer, Paris 1968.
20
  Discorso ai partecipanti all’incontro mondiale dei movimenti popola-
ri, Aula Vecchia del Sinodo, 28 ottobre 2014; cfr. EG 236: « Il mo-
dello non è la sfera, che non è superiore alle parti, dove ogni punto
è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e
l’altro. Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le
parzialità che in esso mantengono la loro originalità ».

57
modo di vivere la Chiesa e la sua missione, ma anche la
vita sociale e politica.
Si possono menzionare anche altri nomi tra le fonti
teologiche di papa Francesco più a noi vicine. Basti pen-
sare a tre gesuiti che, in modo diverso l’uno dall’altro per
il vero, hanno però lasciato una traccia duratura nel cam-
mino della Chiesa nella seconda metà del secolo scorso.
Innanzi tutto, Henri de Lubac, anch’egli un « Padre della
Chiesa del XX secolo », con la sua visione della Chiesa
in cui si evidenziano « gli aspetti sociali del dogma » e si
mette in guardia dalla tentazione sempre risorgente della
« mondanità » (un tema che ricorre nel magistero di papa
Francesco). Ma anche Theilhard de Chardin, che, se è in
controluce in qualche modo già presente tra le righe della
GS, ha sperimentato un perseverante ostracismo da parte
di tutto un filone della teologia cattolica, per essere poi per
la prima volta esplicitamente citato, in un documento pa-
pale, nella LS di papa Francesco. E infine, il già ricordato
Michel de Certeau che nel suo La fabula mistica,21 con fer-
vente passione e indomito vigore, ha riletto, nello spazio
della modernità, la questione ecclesiale dello spostamen-
to dinamico e fecondo dei confini tra teologia, religione,
mistica, storia e politica22, mettendo a fuoco la questione

21
  M. de Certeau, La fable mystique (XVIe-XVIIe siècle),
Editions Gallimard, Paris 1982.
22
  Id., Politica e mistica. Questioni di storia religiosa, Jaca Book,
Milano 1975.

58
cruciale dell’altro23 e la sfida epocale dello straniero come
appello all’unione nella differenza.24
Temi, questi, sulla frontiera dei quali abita e c’interpella
con forza il magistero di papa Francesco.

7.  Il Vaticano II e Paolo VI


Qualcuno è giunto a dire che papa Francesco è il pri-
mo Papa “postmoderno”. E questo, penso, è fondamen-
talmente vero se non altro per il fatto che egli appare a suo
agio nella temperie culturale così sfaccettata e sfuggente a
ogni precisa categorizzazione, eppure al tempo stesso così
sfidante e promettente, come quella del tempo che attra-
versiamo. A suo agio: non nel senso che vi s’accomodi o
voglia pervenire a qualsivoglia compromesso, intendiamo-
ci, ma nel senso che ci vive dentro con la pace vigile che
gli vengono dall’essere in Cristo, nel grembo della Chiesa,
a servizio della promozione del Regno di Dio.
Un’altra cosa, in ogni caso, è assodata: che papa Fran-
cesco è il primo Papa che non ha partecipato al Concilio
Vaticano II. L’insegnamento conciliare scorre nelle sue
vene, illumina i suoi pensieri, accende i suoi sogni, ispira le
sue decisioni. In altri termini, non vi è più per lui conflitto

23
  Id., Mai senza l’altro. Viaggio nella differenza, Edizioni Qiqa-
jon, Magnano (BI) 1993.
24
  Id., L’Etranger ou l’union dans la difference, Desclée de
Brouwer, Paris 1969.

59
d’interpretazioni… nell’interpretazione dell’ultimo Conci-
lio. Lo ha affermato egli stesso, a tutto tondo, nell’inter-
vista rilasciata ad Antonio Spadaro nel 2013, a pochi mesi
dalla sua elezione:
Il Vaticano II è stata una rilettura del Vangelo alla luce della
cultura contemporanea. Ha prodotto un movimento di rinno-
vamento che semplicemente viene dallo stesso Vangelo. I frutti
sono enormi. […] ci sono linee di ermeneutica di continuità
e di discontinuità, tuttavia una cosa è chiara: la dinamica di
lettura del Vangelo attualizzata nell’oggi che è stata propria
del Concilio è assolutamente irreversibile .25
Più chiaro di così! Da un punto di vista teologico si
può dire che il Vaticano II rappresenta, agli occhi di papa
Francesco, un’attualizzazione del messaggio di Gesù of-
ferto alla storia degli uomini dalla Chiesa di Cristo che
così assume, con fedeltà creativa e in ascolto dello Spi-
rito, il compito della sua missione nello sfidante conte-
sto planetario del nostro oggi. Non è questo il luogo per
delineare fino a che punto e in quali principali direzio-
ni il magistero conciliare dia forma al ministero di papa
Francesco, non solo perché in altro luogo lo si è fatto,
ma anche e soprattutto perché esso tutto lo innerva (dalla
visione ecclesiologica alla liturgia, dal concetto della mis-
sione a quello dell’ecumenismo, dal dialogo interreligioso
alla definizione dell’impegno dei cristiani nella trasforma-

25
  A. Spadaro, Intervista a Papa Francesco, in « L’Osservatore Ro-
mano », 21 settembre 2013.

60
zione del mondo) come nei prossimi capitoli cercherò in
breve di mostrare. Più utile, a questo punto del percorso,
mi pare indicare come la recezione creativa del Concilio
sia avvenuta, in Jorge Maria Bergoglio, gesuita, Vescovo e
ora Papa, soprattutto grazie alla mediazione di due realtà:
da un lato, il magistero pontificio postconciliare, in specie
quello di Paolo VI; dall’altro, l’esperienza del Popolo di
Dio nella Chiesa latino-americana, in specie in Argentina.
Paolo VI, innanzi tutto. Il magistero di Papa Montini,
in effetti, soprattutto ora che lo possiamo interpretare e
valutare a una certa distanza e tenendo conto dell’effet-
tiva storia dei suoi concreti effetti (Wirkungsgeschichte), ha
offerto le grandi direttrici entro cui incanalare concreta-
mente, sia pure in forma solo iniziale, l’interpretazione del
Concilio e la sua recezione nella coscienza e nella prassi
del Popolo di Dio. Non è un caso che la prima e perciò in
qualche modo programmatica enciclica di Papa Bergoglio
nel suo stesso titolo, EG, sembri voler cogliere in uno e ri-
lanciare lo spirito che ha animato Papa Montini a scrivere
l’Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975) e la Gaudete in Domi-
no (GD) (9 maggio 1975). Se la prima, l’Evangelii nuntiandi,
risulta nel panorama del magistero postconciliare – a detta
di papa Francesco stesso – come il documento pastorale
più significativo, ciò accade perché in essa, tenendo con-
to della situazione effettiva e delle esperienze vissute dal
Popolo di Dio all’incirca nel primo decennio dopo il Va-
ticano II, Paolo VI riesce a leggere con penetrante discer-
nimento evangelico le vie che la missione della Chiesa è

61
chiamata dallo Spirito a intraprendere nel contesto plurale
del nostro tempo. E se la seconda, la GD, risulta altrettan-
to significativa per papa Francesco, è perché in essa Paolo
VI, lui, il Papa “moderno” intimamente tormentato dal
dramma dell’uomo e della storia, svela senza più pudore
la sorgente interiore e la meta dell’esistenza dell’uomo e
della missione della Chiesa: la gioia di Cristo, quella che il
mondo non conosce né può dare (cfr. Gv 15,11).
È di qui che papa Francesco riparte: dalla gioia del
Vangelo, dove il genitivo è sia soggettivo che oggettivo,
essendo a un tempo la gioia che è frutto del Vangelo e la
gioia per cui il Vangelo è ciò che è – annuncio appunto
di gioia perché annuncio dell’amore senza misura di Dio
per l’uomo e la creazione. In questo binomio – la gioia del
Vangelo – è compendiato il messaggio del Vaticano II che
mette a fuoco il mistero della Chiesa non in sé e per sé, ma
appunto in quanto essa nasce dal Vangelo e sperimenta la
gioia che ne sgorga per testimoniarla e annunciarla a tutti.
È questo il frutto specifico dell’aggiornamento che Gio-
vanni XXIII aveva auspicato dal Concilio e che papa Pao-
lo VI, nel crogiuolo delle traversie sperimentate dall’assise
conciliare e poi nella recezione dei suoi risultati, rimette in
luce come stella polare del cammino della Chiesa.
Sì, Paolo VI: lui che, scegliendo come suo nome da
Papa quello dell’Apostolo delle genti, voleva appunto
esprimere lo slancio nuovo nell’annuncio del Vangelo che
il Vaticano II propiziava; lui che, ancora una volta, ha spe-

62
rimentato come pochi altri, nella sua sequela di discepolo
di Cristo e di pastore della Chiesa universale, che la beati-
tudine del Vangelo è promessa dal Signore a chi è povero,
mite, puro di cuore, costruttore di pace, a chi piange ed è
perseguitato. Papa Francesco, ripeto, riparte da qui. E su
questa lunghezza d’onda riprende anche lo slancio di due
altri grandi testi di Paolo VI, che il magistero di Giovanni
Paolo II e di Benedetto XVI ha successivamente arricchi-
to di nuovi e preziosi accenti: l’Ecclesiam suam e la Populo-
rum progressio (PP). Due testi capitali.
L’Ecclesiam suam, con una lucidità che ancora sorpren-
de, mette a fuoco le tre direttrici dell’aggiornamento in cui
confluisce il movimento spirituale, teologico, sociale spe-
rimentato dal cattolicesimo e, in genere, da tutto il mondo
cristiano nel XX secolo e che il Concilio persegue con
profetica determinazione: il risveglio della coscienza che la
Chiesa ha di sé come creatura e ministra di Cristo, il Ver-
bo incarnato, che nella forza dello Spirito Santo vive al
suo cuore; il rinnovamento cui con urgenza essa è chiamata
per conformarsi più pienamente al suo Sposo e Signore;
il dialogo come via privilegiata della sua missione nel mon-
do contemporaneo. In fondo, l’appello e i passi concreti
di riforma della Chiesa in cui è impegnato con tenacia e
con spirito il ministero di papa Francesco vanno in questa
direzione.
E poi la PP, il documento pontificio che forse più
di ogni altro, nel periodo postconciliare, ha fermentato la

63
prassi dei credenti e insieme ha travalicato i confini della
Chiesa e ha raggiunto la coscienza degli uomini e delle
donne del nostro tempo, rendendo a tutti evidente e tangi-
bile, sulla scia del cammino inaugurato dalla Pacem in terris
di Papa Giovanni XXIII, che la missione della Chiesa è a
servizio della promozione universale della giustizia, della
pace, della solidarietà e della fraternità. La Chiesa « ma-
estra di umanità », serva degli uomini, la Chiesa – come
dice papa Francesco – « povera e dei poveri ». Con la PP il
magistero sociale della Chiesa ha espresso incisivamente
e, direi, in modo irreversibile, l’opzione che è l’unica evan-
gelicamente pertinente: quella di stare dalla parte di tutto
l’uomo e di tutti gli uomini, il che significa, in concreto,
dalla parte di chi abita le periferie sociali ed esistenziali
del mondo o che, addirittura, dal mondo è emarginato e
scartato.
La LS di papa Francesco riprende questo slancio e
vive di questo soffio profetico: è un gesto di soprassalto
della coscienza umana, illuminata dal Vangelo di Cristo,
che lacera il velo che copre i nostri occhi e ci rende consa-
pevoli che la sfida del deterioramento globale del pianeta
è collegata a doppio filo con la sfida della povertà e dello
scarto, perché entrambe le sfide chiedono di affrontare
con coraggio e lungimiranza la questione cruciale del cam-
bio del paradigma culturale tecnocratico che governa lo
sviluppo della nostra società.
Così che oggi occorre – come papa Francesco affer-
ma senza tanti giri di parole – una « rivoluzione culturale ».

64
8.  Il cammino della Chiesa e della teologia in America-Latina e in
Argentina, il documento di Aparecida
Ma papa Francesco ha la lucidità e il coraggio di tirare
queste conseguenze dal Vangelo, riletto a fronte delle sfide
dell’oggi nella prospettiva del Vaticano II, non solo per il
carisma di cui gode in quanto successore di Pietro (il che,
certo, non è una piccola cosa), ma anche perché ha vissuto
con passione e, da quanto è dato sapere, anche pagando di
persona, i decenni della recezione travagliata e creativa del
messaggio conciliare di cui è stato protagonista il Popolo
di Dio in America-Latina. Non si tratta di far spazio a una
nota esotica per finire di completare il quadro delle fonti
spirituali, culturali, teologiche da cui attinge il magistero di
papa Francesco. Si tratta di qualcosa di essenziale.
Non è qui il luogo, né peraltro ne ho la necessaria
competenza, per esaminare in dettaglio la consistenza e
le linee di sviluppo che l’esperienza ecclesiale e teologi-
ca latinoamericana ha propiziato nel pensiero e nello stile
pastorale di Papa Bergoglio. Altri l’ha fatto egregiamente,
penso per non fare che un nome a Juan Carlos Scannone
nel suo recente La teología del pueblo. Raíces teológicas del papa
Francesco,26 e a lavori come questo con piacere rimando. È
sufficiente fare questa costatazione: il messaggio del Con-
cilio, come rilettura del Vangelo nello specchio delle sfide
del mondo contemporaneo, ha trovato nel Continente la-

26
  Editorial Sal Terrae, Maliaño (Cantabria) 2017.

65
tinoamericano un terreno privilegiato di recezione, a mo-
tivo senz’altro della drammaticità, del peso e dell’urgenza
degli impegni che la Chiesa qui si trovava e si trova ad af-
frontare, ma anche perché il processo di recezione ha dato
qui vita a un grande movimento che ha coinvolto vaste fa-
sce del Popolo di Dio. Generando un fenomeno di Chiesa
– se così posso esprimermi – che, pur tra luci ed ombre,
tra alti e bassi, e con frutti di diverso valore, rappresenta
una testimonianza effettiva e ricca di promesse del rin-
novamento messo in atto a livello universale dal Vatica-
no II. L’elezione a Vescovo di Roma di un latinoamerica-
no come primo Papa non europeo rende particolarmente
evidente quel principio ecclesiologico della cattolicità, con
ampie risonanze sociali, che la Costituzione sulla Chiesa
del Concilio, Lumen gentium (LG), così esprime:
In virtù di questa cattolicità, le singole parti portano i propri
doni alle altre parti e a tutta la Chiesa, in modo che il tutto e le
singole parti si accrescono per uno scambio mutuo universale e
per uno sforzo comune verso la pienezza nell›unità. Ne consegue
che il popolo di Dio non solo si raccoglie da diversi popoli, ma
nel suo stesso interno si compone di funzioni diverse. (n. 13)
Si tratta, a ben vedere, di quella logica espressa dall’im-
magine del poliedro che è cara a papa Francesco perché
esprime la dinamica profonda delle relazioni, nella Chiesa
universale, tra le Chiese locali, e in ogni Chiesa locale tra
le sue diverse componenti. Nel testo citato dalla LG sono
da evidenziare, in particolare, almeno due cose: innanzi
tutto, il fatto che ogni specifica esperienza di Chiesa, in

66
virtù della sperimentazione di inculturazione del Vangelo
in essa realizzata, esprime un volto particolare dell’unica
Chiesa ed è perciò portatrice di un dono peculiare per
l’arricchimento di tutti; e, in secondo luogo, che la Chie-
sa universale è un Popolo, il Popolo di Dio, che vive nei
diversi popoli della terra, i quali sono ciascuno per la sua
parte espressione dell’unico Popolo di Dio.
Ecco le due grandi direttrici di cui si è nutrita l’espe-
rienza e l’intelligenza della fede, alla luce del Vaticano II,
di papa Bergoglio nel vivo dell’esperienza della Chiesa
in America-latina. Da un lato, il cammino segnato, come
da altrettante pietre miliari, dalle assemblee generali dei
Vescovi del Continente: dalla prima a Rio de Janeiro (nel
1955) a quelle, nella scia del Vaticano II, svoltesi a Medel-
lín (nel 1968), a Puebla (nel 1979), a Santo Domingo (nel
1992) e infine ad Aparecida (2007), dove l’arcivescovo di
Buenos Aires, Bergoglio, è stato Presidente della Commis-
sione di redazione del testo conclusivo conosciuto appun-
to come Documento di Aparecida. Dall’altro, l’esperienza di
Chiesa condotta in Argentina, dove la corrente teologica
della teologia della liberazione che, in diversa forma e con
diversi esiti, a partire dal famoso libro programmatico del
peruviano Gustavo Gutiérrez, Teologia de la liberacíon,27 ha
conosciuto una declinazione originale. Si tratta di quella
teologia del popolo (o dal popolo) e della cultura, che ha

  Teología de la liberación, Centro de Estudios y Publicaciones,


27

Lima 1971.

67
avuto in Lucio Gera28 il suo ispiratore e principale espo-
nente, e che, per il suo forte radicamento nel vissuto eccle-
siale del Popolo di Dio, ha battuto in breccia la tentazione
di lasciarsi catturare dalla ideologia dialettica della lotta di
classe.
Si può anzi dire che il documento di Aparecida costi-
tuisce l’incontro riuscito e aperto a promettenti sviluppi
di queste due linee del percorso che la Chiesa in America-
latina ha intrapreso nei decenni postconciliari: quello che
ha coinvolto la Chiesa di tutto il continente e quello che
è germinato, in specifico, nella Chiesa dell’Argentina. Un
frutto di questo evento e dello stile pastorale che lo espri-
me è percepibile nel discorso tenuto da papa Francesco
a Rio de Janeiro, il 28 luglio 2013, nella riunione con i
Vescovi responsabili del CELAM, che intende in qualche
modo esprimere e rilanciare in concretezza pastorale il
messaggio della Conferenza di Aparecida. Ne sottolineo
tre spunti significativi.
a)  Il richiamo allo « sguardo del discepolo » e « del disce-
polo missionario » come impegno a realizzare un’ermeneu-
tica d’interpretazione evangelica della situazione socio-
culturale del nostro tempo e della missione della Chiesa
non “da fuori”, ma “da dentro” del messaggio evangelico

  Cfr. Escritos Teológicos-Pastorales de Lucio Gera, a cura di


28

V. Azcuy, C.M. Galli, M. González, J.C. Caamaño, 2 voll.,


Agápe-Facultad de Teología de la UCA, Buenos Aires 2006-2007.

68
e della comunità cristiana: per sventare il pericolo della
ideologizzazione e del riduzionismo, in qualunque forma
esso si presenti, e per poter discernere invece con perti-
nenza e incisività « il cammino che Dio vuole per questo
“oggi” », senza sterili ripiegamenti sul passato e senza uto-
piche fughe in avanti.
b)  L’invito al rinnovamento interno della vita della Chie-
sa come un « entrare in processo » del Popolo di Dio nel suo
insieme, nell’ottica di una « conversione pastorale » che sia ef-
fettivamente incisiva perché interpellante in prima istanza
gli atteggiamenti e la riforma della vita, ma anche di un
« discernimento pastorale » che sia effettivamente coinvolgente
tutte le componenti della vita ecclesiale rintuzzando così il
pericolo di un ritornante clericalismo, nonché di una ricer-
ca aperta e non pregiudicata di risposte apprezzabili e pra-
ticabili alle domande esistenziali soprattutto dei giovani.
c)  Il richiamo, nell’esercizio del dialogo con le istanze
della società, alle due categorie pastorali che riproducono
« le modalità con cui Dio si è rivelato nella storia »: la vi-
cinanza e l’incontro, perché « la vicinanza acquisisce forme
di dialogo e crea una cultura dell’incontro », innescando
quella « rivoluzione della tenerezza » che connota l’espe-
rienza antropologica nel segno dell’avvento di Dio all’uo-
mo nella carne di Cristo.
Ebbene, queste indicazioni pastorali, suggerite dalla
scelta della « missione paradigmatica » fatta ad Aparecida,
s’impegnano a esprimere la vitalità storica del principio
trinitario della circolarità virtuosa tra Dio e l’uomo, in Cri-

69
sto, che è il frutto maturo propiziato nella coscienza cri-
stiana dal Vaticano II. Suggerendo, anzi, mostrando così
in atto la reciproca appartenenza di spiritualità, teologia,
pastorale, cultura e impegno sociale nella missione della
Chiesa. Con ciò dando testimonianza del peculiare e ori-
ginale apporto che la Chiesa dell’America-latina, nella sua
prassi pastorale e nella sua teologia, offre a tutta la Chie-
sa nell’ottica dell’incarnazione del messaggio del Conci-
lio Vaticano II: sia sotto il profilo della questione sociale nel
decisivo orizzonte antropologico-sociale ed ecologico in
cui va oggi posta, sia sotto il profilo della strategia pedagogico-
pastorale che è necessario immaginare e implementare per
maturare in questa prospettiva le coscienze e i comporta-
menti.

70
Capitolo III
DIRE DIO OGGI NEL SUO DIRSI
COL VANGELO DI GESÙ

1.  Ripensare il pensiero


Scrive papa Francesco nella Laudato si’ (LS):
Si attende ancora lo sviluppo di una nuova sintesi che superi
le false dialettiche degli ultimi secoli. Lo stesso cristianesimo,
mantenendosi fedele alla sua identità e al tesoro di verità che
ha ricevuto da Gesù Cristo, sempre si ripensa e si riesprime nel
dialogo con le nuove situazioni storiche, lasciando sbocciare così
la sua perenne novità. (n. 121)
Dopo aver passato in rassegna, nei capitoli preceden-
ti, alcune tra le principali fonti dell’esperienza e dell’intel-
ligenza della fede che ispirano il ministero di papa France-
sco, in questo e nei due prossimi più brevi capitoli vorrei
mettere in luce come tali fonti siano all’opera nel suo im-
pegno a riesprimere il Vangelo in dialogo con le situazioni
storiche e le sfide epocali del nostro tempo.1

1
  Cfr. i contributi contenuti in K. Appel – J. Helmut Deible
(Eds.), Barmherzigkeit und zärtliche Liebe. Das theologische Programm von
Papst Franziskus, Verlag Herder, Freiburg im Breisgau 2016.

71
Prendo le mosse, in questo capitolo, dalla sfida
senz’altro centrale: quella di sentire, di pensare e di parlare
di Dio.2 Qualche tempo fa, un amico mi riportava la co-
statazione di un Vescovo che svolge un compito di tutto
rispetto a servizio della Chiesa universale: « Quel tale te-
ologo – diceva – parla ancora di Dio … è una cosa oggi
troppo spesso più unica che rara ». Forse la valutazione
è eccessivamente severa, ma fotografa una situazione in
cui la teologia e, più latamente, la cultura d’ispirazione
cristiana faticano non poco a trovare le parole giuste per
comunicare la novità e la gioia del Dio che Gesù Cristo ci
fa toccare col cuore e con la mente.
Quello della teologia non è un caso isolato. Il fatto è
che – come afferma Edgar Morin – la sfida decisiva del
nostro tempo è nientemeno che quella di « ripensare il
pensiero ».3 In quest’albeggiare indeciso, liquido e trava-
gliato della dopo-modernità, si tratta di ripensare la forma,
lo stile, il ritmo in cui abbiamo esercitato il pensiero e in-
terpretato la prassi. Ora, se è vero che il pensiero di Dio
scaturente dal Vangelo di Gesù ha mantenuto una distan-
za critica e conservato una riserva di verità e di senso altra
dal mainstream del pensiero dominante, è altrettanto vero

2
 Cfr. A. Cozzi – R. Repole – G. Piana, Papa Francesco. Quale
teologia?, Cittadella, Assisi 2016.
3
 Cfr. E. Morin, La tête bien faite, Seuil 1999; tr. it., La testa ben
fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Raffaello Cortina
Editore, Milano 2000.

72
che non ha potuto non avvertirne i contraccolpi e patirne
le tentazioni. La sfida a « ripensare il pensiero » costituisce
dunque un invito e una chance per il pensiero che si nutre
del Vangelo e che è chiamato a misurarsi sul volto di Dio
che il Vangelo annuncia.
In altre parole, sentire, pensare e dire Dio in modo
nuovo non è un’esigenza che viene soltanto dal contesto
socio-culturale ma urge dalle viscere stesse della fede. È
senz’altro vero, pertanto, che la nuova tappa evangelizza-
trice cui la Chiesa è chiamata è la ragione che spinge a
ritrovare la gioia dell’incontro con Dio, il Dio di Gesù,
per poterlo annunciare e testimoniare con pertinenza, co-
erenza, incisività; ma questa ragione è intrinseca al Van-
gelo stesso, essendo il sentire e pensare Dio il criterio e la
verifica dell’evangelizzazione, e cioè di un’esistenza che si
qualifichi come quella dei discepoli missionari.
Chi, infatti, se non il volto del Dio di Gesù, la Chiesa
può e deve testimoniare e annunciare perché con Lui s’è
incontrata e da Lui è stata trasfigurata?

2.  L’incontro con Gesù Cristo come principio e come misura


Ma che cosa significa o, meglio, prima ancora, che
cosa implica ripensare Dio secondo la logica del Vangelo
di Gesù?
Implica, innanzi tutto, come condizione e come for-
ma del suo pertinente realizzarsi, aprirsi a Dio per acco-
glierlo nel pensiero e comunicarlo nelle parole e nei gesti
secondo la Sua misura: una misura che non è misurata

73
dalla nostra misura, ma dalla misura ch’Egli è a Se stesso.
E già il fatto che – in presa diretta col pensiero che pulsa
nella Evangelii gaudium (EG) – si possa e si debba fare una
tale affermazione, è di decisiva portata. Perché significa
prendere sul serio l’evento singolare che determina il dirsi
di Dio in Gesù il Cristo: il superamento di ogni astratta
dialettica tra uno schiacciante teocentrismo e un suppo-
nente antropocentrismo.
No! Il luogo del dirsi di Dio è Gesù Cristo, ed è l’in-
contro con Lui il punto di partenza e l’orizzonte d’eserci-
zio del pensare Dio secondo la misura di Lui nello spazio
dell’esistere dell’uomo. « All’inizio dell’essere cristiano –
papa Francesco richiama con gratitudine le parole di papa
Benedetto – non c’è una decisione etica o una grande idea,
bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona,
che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione
decisiva » (n. 7).4
Questo fatto implica una grazia e una responsabilità:
quella di lasciar plasmare il nostro pensiero di Dio dal e
nel pensiero di Cristo in ascolto del soffio del suo Spiri-
to. Come insegna l’apostolo Paolo: « Chi conosce i segreti
dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così
anche i segreti di Dio nessuno mai li ha conosciuti se non
lo Spirito di Dio. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito

 Cfr. Benedetto XVI, Lettera enciclica Deus caritas est, 25


4

dicembre 2005, n. 1.

74
del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che
Dio ci ha donato. (…) noi abbiamo il pensiero (noûs) di
Cristo » (1 Cor 2,11-12.16b).
Papa Francesco batte spesso su questo tasto: lo fa,
ad esempio, al n. 94 della EG, e vi è tornato nel discorso
al Convegno nazionale della Chiesa in Italia a Firenze nel
novembre del 2015. Si tratta – dice – di liberare il pensiero
di Dio, con tutto ciò che fatalmente ne consegue a livello
pratico, dalle derive del pelagianesimo e dello gnosticismo,
« manifestazioni di un immanentismo antropocentrico » in
cui la fede si dissolve perché « il soggetto in definitiva ri-
mane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o
dei suoi sentimenti ».
La diagnosi è calzante: il pensare Dio è contradditto-
rio, fuorviante e persino blasfemo se pretende di catturare
Dio nello spazio chiuso del soggetto. La ratio Dei attinge
la sua verità quando si nutre della oratio coram Deo e quan-
do s’immerge nella adoratio del suo mistero:5 quando cioè
transita da un fassendes Denken al lassendes Denken, da un
pensiero afferrante a un pensiero ospitale,6 quando non

5
 Cfr. M. Cacciari, Il pregio dell’ascolto, in Martini e noi, a cura di
M. Vergottini, Ed. Piemme, Milano 2015, pp. 36-37.
6
  L’espressione è di K. Hemmerle, Das Heilige und das Denken.
Zur philosophischen Phänomenologie des Heiligen, in Id., Auf den göttlichen
Gott zudenken (Ausgewählte Schriften, Band 1), Herder, Freiburg-Ba-
sel-Wien 1996, pp. 111-17.

75
cede all’illusione della definitività e della perfezione ma si
riconosce aperto, incompleto, inquieto.7
Il che accade là dove, per « l’incontro con l’amore di
Dio, che si tramuta in felice amicizia, siamo riscattati dalla
nostra coscienza isolata e dall’autoreferenzialità », così che
« giungiamo ad essere pienamente umani quando siamo
più che umani, quando permettiamo a Dio di condurci al
di là di noi stessi perché raggiungiamo il nostro essere più
vero » (EG 8). Ma perché ciò si realizzi ci sono due tenta-
zioni da battere in breccia.
La prima è quella sempre risorgente della esteriorità
del pensiero rispetto al farsi presente ad esso di Dio: come se il
pensare e il dire Dio restassero in definitiva esterni e altri
rispetto all’incontrare e al sentire Dio in Gesù, vale a dire
rispetto all’esperienza in atto della fede e dell’amore con
cui a Lui si aderisce.
No! Il pensare e il dire Dio secondo la logica del Van-
gelo sono interni all’atto di fede e di amore con cui a Lui
mi consegno perché Lo incontro e da Lui sono attratto.
Ciò significa che il pensare e il dire Dio coinvolgono non
solo la mente ma il cuore, non soltanto l’esercizio di scien-
za ma l’esperienza della sapienza, non essendo solo parola
(lógos) ma anche « spirito e vita » (pneûma e zoé). Il che non
significa derogare alle esigenze della ragione, ma trasfigu-

 Cfr. Papa Francesco, Omelia nella Chiesa del Gesù, 3 gennaio


7

2014.

76
rarla, la ragione, di continuo immergendola nelle profon-
dità della pasqua di morte e di risurrezione del Cristo. In
definitiva, « la tentazione è quella di spostare la ragione dal
luogo dove l’ha posta Dio nostro Padre. Ci è stata data per
gettare luce sulla fede ».8
Di qui una seconda tentazione: quella dell’esteriorità
del pensiero rispetto al farsi presente di Dio nella relazione con
l’altro e con la storia in Gesù. Dio non lo si pensa in verità
– come il Dio di Gesù Cristo, l’Emmanuele, il Dio-con-
noi – quando lo si pensa al di qua del suo farsi presente
e operante nell’atto con cui mi rivolgo all’altro, comunico
con lui, lo accolgo, cammino con lui, con lui faccio storia.
Il pensare Dio, il Dio di Gesù Cristo, è per sé relazionale e
relazionante, efficace e performativo.
Questo criterio – scrive papa Francesco – è legato all’Incarna-
zione della Parola e alla sua messa in pratica […]. Il criterio
di realtà, di una Parola già incarnata e che sempre cerca di
incarnarsi, è essenziale all’evangelizzazione. […] ci spinge a
mettere in pratica la Parola, a realizzare opere di giustizia
e carità nelle quali tale Parola sia feconda. Non mettere in
pratica, non condurre la Parola alla realtà, significa costruire
sulla sabbia, rimanere nella pura idea e degenerare in intimismi
e gnosticismi che non danno frutto, che rendono sterile il suo
dinamismo. (EG 233)

8
  J. Bergoglio (Papa Francesco), Nel cuore di ogni padre. Alle
radici della sua spiritualità, Bur Rizzoli, Milano 2014, p. 163.

77
3.  Al cuore del kerygma con un linguaggio nuovo
Il battere in breccia queste due tentazioni di esterio-
rità tra il pensiero che esercitiamo e proponiamo di Dio e
il Dio con cui Gesù Cristo ci mette in relazione, conduce
a due impegni che papa Francesco invita a onorare con
vigore e audacia.
Il primo è quello di andare al centro del kerygma cri-
stiano e di prendere le mosse sempre e solo di lì: « Dove
sta la tua sintesi, lì sta il tuo cuore », dice Francesco con
uno dei suoi felici slogan (EG 143).9 Più volte troviamo
nel suo magistero dei tentativi di formulazione di questa
sintesi. Penso al n. 4 della EG, dove si legge: « Dio (è) un
centro luminoso di festa e di gioia che vuole comunicare
al suo popolo questo grido salvifico (…): “Il Signore, tuo
Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te,
ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di
gioia” (Sof 3,17) ». O al n. 128, dove si propone « l’annun-
cio fondamentale » del Vangelo in questi termini: « L’amo-
re personale di Dio che si è fatto uomo, ha dato se stesso

9
  Il principio cui, secondo papa Francesco, occorre ispirarsi
in linea ad es. con il disegno architettonico che ha presieduto alla
stesura del Catechismo della Chiesa Cattolica, è il principio della « ge-
rarchia delle verità » formulato dal Vaticano II nel Decreto Unitatis
redintegratio: « Nel mettere a confronto le dottrine si ricordino che
esiste un ordine o “gerarchia” nelle verità della dottrina cattolica,
in ragione del loro rapporto differente col fondamento della fede
cristiana » (n. 11) .

78
per noi e, vivente, offre la sua salvezza e la sua amicizia ».
O, ancora, al n. 164, dove si rimarca che il « kerygma, che
deve occupare il centro dell’attività evangelizzatrice e di
ogni intento di rinnovamento ecclesiale » è « il kerygma tri-
nitario »: « Il fuoco dello Spirito che si dona sotto forma di
lingue e ci fa credere in Gesù Cristo, che con la sua morte
e resurrezione ci rivela e ci comunica l’infinta misericordia
del Padre ».
Ciascuna di queste “formule brevi”10 meriterebbe
un’attenta analisi. Basti almeno annotarne alcuni tratti ca-
ratteristici. Innanzi tutto, la centralità della misericordia
in quanto in essa è il cuore di Dio che si squaderna per
accogliere, sanare e trasfigurare la storia dell’uomo. Di qui
la sua essenziale connotazione mistagogica (cfr. EG 166),
quale introduzione al mistero di Dio e accompagnamen-
to a entrare e dimorare in esso, in quanto « la situazione
di ogni soggetto davanti a Dio e alla sua vita di grazia è
un mistero che nessuno può conoscere pienamente dall’e-
sterno » (n. 172). E insieme l’altrettanto essenziale conno-
tazione comunitaria e sociale, in quanto « il contenuto del
primo annuncio ha un’immediata ripercussione morale il
cui centro è la carità » (n. 177). Il che non significa soltanto
ribadire il carattere per sé socialmente performativo della

10
  L’espressione, come noto, è di K. Rahner, Per una « formula
breve » della fede cristiana, in Nuovi Saggi III, Edizioni Paoline, Roma
1969, pp. 175-189; Id., Problemi su una formula breve di fede, in Nuovi
Saggi IV, Edizioni Paoline, Roma 1973, pp. 313-352.

79
conoscenza di Dio trasmessa dal kerygma, ma anche richia-
mare la necessità di maturare – come scrive Paolo VI in
Evangelii nuntiandi (EN), 43 – « una vera sensibilità spiritua-
le per saper leggere negli avvenimenti il messaggio di Dio »
(EG 154) e di discernere con attenzione l’« appello che
Dio fa risuonare nella stessa situazione storica: anche in
essa e attraverso di essa Dio chiama il credente » (ivi).11
Il secondo impegno da onorare concerne lo stile e la
formulazione con cui l’annuncio del Dio di Gesù Cristo
va fatto.
La centralità del kerygma – precisa papa Francesco – richiede
alcune caratteristiche dell’annuncio che oggi sono necessarie in ogni
luogo: che esprima l’amore salvifico di Dio previo all’obbligazione
morale e religiosa, che non imponga la verità e che faccia appello
alla libertà, che possieda qualche nota di gioia, stimolo, vitalità,
ed un’armoniosa completezza che non riduca la predicazione a
poche dottrine a volte più filosofiche che evangeliche. Questo esige
dall’evangelizzatore alcune disposizioni che aiutano ad accogliere
meglio l’annuncio: vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, ac-
coglienza cordiale che non condanna. (EG 165)
Di qui il richiamo al criterio ermeneutico enunciato
da Giovanni XXIII nel discorso di apertura del Vatica-
no II che non cessa di pungolarci come una benefica e
provvidenziale spina nella carne nell’esercizio di ripensare
e ridire Dio: nel deposito della dottrina cristiana « una cosa

11
  Si tratta di un’affermazione di Giovanni Paolo II, Esort.
ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 25 marzo 1992, n. 10.

80
è la sostanza (…) e un’altra la maniera di formulare la sua
espressione » (EG 41).12
Bastino anche in proposito due annotazioni. La pri-
ma: papa Francesco invita a prestare « una costante atten-
zione per cercare di esprimere le verità di sempre in un
linguaggio che consenta di riconoscere la sua permanente
novità » (EG 41). Questo non significa solo, in negativo,
che il rischio più grave è quello di essere formalmente fe-
deli a una formulazione della dottrina senza più trasmet-
terne la sostanza (cfr. ivi), ma anche, in positivo, che la for-
mulazione dottrinale per sé è intenzionata a trasmettere
nell’hic et nunc del rapporto interpersonale l’evento dell’in-
contro con la verità misericordiosa e liberante di Dio in
Cristo. « Gli apparati concettuali – nota papa Francesco
– esistono per favorire il contatto con la realtà che si vuole
spiegare e non per allontanarci da essa » (EG 194). Non si
tratta solo di ribadire il realismo della fede,13 ma di propi-

12
 Cfr. Giovanni XXIII, Discorso nella solenne apertura del Concilio
Vaticano II (11 ottobre 1962): AAS 54 (1962), 786: « Est enim aliud
ipsum depositum fidei, seu veritates, quae veneranda doctrina nostra
continentur, aliud modus, quo eaedem enuntiantur (altro è infatti il
deposito della fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra
veneranda dottrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate,
sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione) ».
13
 Cfr. Tommaso d’Aquino, S.Th., II-II, q.1, a. 2, ad 2: « Ac-
tus fidei non terminatur ad enuntiabile, sed ad rem (l’atto del cre-
dente non si ferma all’enunciato, ma va alla realtà) ».

81
ziare l’apertura degli occhi del cuore all’incontro vivo con
gli occhi di Cristo che accade per opera dello Spirito.
Lo insegna in forma plastica San Giovanni della Cro-
ce, il Dottore della fede, nel suo Cantico spirituale, dove
chiama « riflessi inargentati » le verità dottrinali che la fede
propone, mentre ciò che in esse è contenuto e da esse
è comunicato è paragonato all’« oro ».14 A significare che
le verità trasmesse dalla fede, rivestite con l’argento della
dottrina, rimandano all’oro della loro sostanza – che è Dio
stesso.
Ora – ed è a questo che l’essere umano anela, argo-
menta Giovanni della Croce – se queste verità ricoperte
d’argento, a un certo punto, d’improvviso, con sommo
stupore, diventassero il luogo dell’incontro con gli occhi
che con tutto se stessi si brama di vedere! Quando ciò
accade, la sorpresa è che il desiderio di contemplare quegli
occhi rivela il suo segreto: da quegli occhi, a propria vol-
ta e in prima battuta, esser guardati con tenerezza e con
amore.
È questa la conoscenza di Dio che il Nuovo Testa-
mento descrive come conoscenza « faccia a faccia »: ri-
conoscere come anche io sono ri-conosciuto (cfr. 1 Cor
13,12; 1 Gv 3,2). È il transitare dalla conoscenza dottrinale
che semplicemente rappresenta la realtà, alla conoscenza
esistenziale che accade tra le persone: occhi negli occhi.

14
 Cfr. Giovanni della Croce, Cantico Spirituale, Strofa 11 e 12.

82
A partire di qui possiamo declinare con qualche rapido
tratto tre linee direttrici che il magistero di papa Francesco
ci propone di percorrere per raggiungere questo obiettivo.
4.  La carne e il mistero
Ecco due delle parole chiave del suo magistero: per-
ché è attraverso la carne di Cristo, che si prolunga nella
carne dei fratelli, che il mistero di Dio ci viene incontro
così che possiamo a Lui aprirci, accoglierlo, fare amicizia,
comunicarlo. Non s’incontra Dio « senza carne e senza
croce » – afferma papa Francesco – e spiega:
il Vangelo ci invita sempre a correre il rischio dell’incontro
con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella,
col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in
un costante corpo a corpo. L’autentica fede nel Figlio di Dio
fatto carne è inseparabile dal dono di sé, dall’appartenenza alla
comunità, dal servizio, dalla riconciliazione con la carne degli
altri. Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato
alla rivoluzione della tenerezza.
Non si tratta di semplice parenesi, ma di efficace
ostensione dell’ontologia della grazia che fiorisce nell’ethos del-
la carità. Sì, perché per l’incarnazione del Verbo di Dio,
nel soffio dello Spirito, siamo resi partecipi del mistero
stesso di Dio. Quello per cui non solo egli è interior intimo
meo, essendo al contempo superior summo meo, per dirla con
Sant’Agostino;15 ma – di converso – quello per cui l’uomo

  Agostino, Confessioni, III, 6.11.


15

83
stesso, ognuno di noi, diventa in un certo senso vero inti-
mo a Dio: « Confessare che il Figlio di Dio ha assunto la
nostra carne umana significa – afferma Francesco – che
ogni persona umana è stata elevata al cuore stesso di Dio »
(n. 178).
La carne dell’uomo, per Cristo, nel cuore di Dio: ecco
l’ontologia della grazia. « Ogni essere umano è oggetto
dell’infinita tenerezza del Signore, ed Egli stesso abita nel-
la sua vita » (EG 274). Facendone così l’oggetto ogni vol-
ta di nuovo privilegiato della sua tenerezza: ecco l’ethos
evangelico dell’amore per il fratello.
C’è qui una direzione di marcia irrinunciabile nel sen-
tire, pensare e dire il mistero di Dio che si squaderna nella
storia dell’uomo in Gesù. Sappiamo come con Francesco
d’Assisi, con Ignazio di Loyola, con Teresa d’Avila si sia
registrato, nell’autocoscienza cristiana e nella sua conse-
guente configurazione storica a livello di spiritualità e di
prassi, un essenziale guadagno: quello della scoperta della
carne di Cristo come unica via alla partecipazione al mi-
stero di Dio Trinità.
In sintonia con questa tradizione spirituale, con l’in-
segnamento del Vaticano II nella Gaudium et spes (cfr. n.
22: « Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo
modo a ogni uomo ») e di Giovanni Paolo II nella Redem-
ptor hominis (l’uomo « via della Chiesa »), papa Francesco
compie un passo ancora più in là e afferma:
La Parola di Dio insegna che nel fratello si trova il permanen-
te prolungamento dell’Incarnazione per ognuno di noi: “Tutto

84
quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli,
l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Quanto facciamo per gli altri ha
una dimensione trascendente: “Con la misura con la quale misu-
rate sarà misurato a voi” (Mt 7,2); e risponde alla misericordia
divina verso di noi: “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è
misericordioso” (Lc 6,36). (EG 179)
Che cosa implica tutto ciò, nel sentire, nel pensare e
nel dire Dio? Implica non solo imparare da Dio, in Cristo,
lo sguardo e l’atteggiamento giusto e vero nei confron-
ti dell’altro, ma essere responsabilmente e creativamente
coinvolti nello stare di fronte all’altro come colui al quale
Dio s’è unito in Cristo e si comunica nello Spirito.
Significa, in una parola, imparare « a togliersi i sandali
davanti alla terra sacra dell’altro », come papa Francesco
scrive in EG 169, con un rimando che a tutta prima non
può non sorprendere: Esodo 3,5. In questo passo risuona
infatti la parola di Dio a Mosè: « Togliti i sandali dai piedi,
perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo! ». Di Dio,
dunque, qui si tratta. Ma Dio s’è incarnato in Cristo, e la
carne di Cristo si prolunga nella carne d’ogni essere uma-
no. Dunque…
A partire da questa ontologia cristica (e trinitaria)
si può percepire lo sguardo etico che guida Francesco
nell’accompagnamento del cammino del matrimonio e
della famiglia (vedi l’Amoris laetitia), così come nelle sue
nette prese di posizione nel campo della dottrina sociale:
« L’etica – scrive ad esempio, a proposito dell’economia
– rimanda a un Dio che attende una risposta impegna-

85
tiva, che si pone al di fuori delle categorie del mercato.
Per queste, se assolutizzate, Dio è incontrollabile, non ma-
nipolabile, persino pericoloso, in quanto chiama l’essere
umano alla sua piena realizzazione e all’indipendenza da
qualunque tipo di schiavitù » (EG 57).
È il rapporto con Dio in Cristo, in definitiva, il ripen-
sare e il ripensar-si in comunione con questo Dio a partire
dal Vangelo, dunque, che comanda l’ethos cristiano a li-
vello personale e sociale. L’essenziale è che ogni azione e
ogni progetto porti « il sigillo di Cristo incarnato, crocifis-
so e risuscitato » (EG 95).

5.  Il tempo come kairós e come processo


Per papa Francesco, che cita in proposito Pietro Fa-
vre, « il tempo è il messaggero di Dio » (EG 171). Tanto
che ripensare Dio significa contemplare e vivere il mistero
del tempo, in cui e attraverso cui Dio si annuncia e si fa
presente in Gesù Cristo.
In filigrana, si intuisce una concezione sacramentale
del tempo di marca schiettamente evangelica, che diven-
ta critica di quella « accidia pastorale » (EG 82) e di quel
« grigio pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa »
(EG 83), che deriva dal voler « dominare il ritmo della
vita » precludendosi l’accesso all’irruzione di Dio nella
sorpresa con cui ci visita, e alla paziente presenza di ac-
compagnamento con cui si prende cura di noi. Il Dio di
Gesù è il Dio di cui è messaggero il tempo: nel kairós della
sua irruzione, che invita all’incontro e interpella alla deci-

86
sione; e nel processo che guarda all’« orizzonte che ci si apre
dinanzi » e alla « pienezza » come « causa finale che attrae »
(n. 222).
Questa sana esperienza e concezione del tempo è –
prima che un criterio di incisività pastorale – l’attestazione
d’un vero pensiero di Dio secondo la logica del Vangelo
che, appunto, annuncia il kairós dell’avvento del Regno
(cfr. Mc 1,14-15) e l’oggi dell’incontro della salvezza, e in-
sieme invita alla fiducia e alla pazienza nella semina che
solo a tempo debito, e in diverse misure, offre il suo frutto
(cfr. Mc 4,3-9; 26-29) e, persino, gratifica con impensata
generosità – secondo le regole umane – l’operaio dell’ulti-
ma ora (cfr. Mt 20,1-16).
La concezione spirituale e teologica del tempo, quale
sacramento del farsi stesso del Regno di Dio nella storia,
dunque, criterio e verifica esigente del ripensare Dio e il
suo agire nella nostra esistenza di « discepoli missionari ».
Di qui alcuni principi pastorali che tornano come un
leitmotiv nel magistero di parole e di gesti di papa France-
sco: « dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare
processi più che di possedere spazi », per cui « si tratta di privile-
giare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società
e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno
avanti » (EG 223); accompagnamento personale nei pro-
cessi di crescita (n. 169ss); con la fiducia, in Dio sempre di
nuovo riposta, che « la vera speranza cristiana, che cerca il
Regno escatologico, genera sempre storia » (n. 181).

87
6.  L’armonia delle differenze
Ripensare il Dio di Gesù, Padre, Figlio e Spirito San-
to, spinge infine a ripensare il paradigma dell’unità e della
molteplicità, dell’identità e del dialogo, dell’espressione di
sé e della convivialità con gli altri. La letteratura teologica
sulla Trinità di questi ultimi decenni ci ha offerto in pro-
posito abbondante materia di riflessione.
L’unità di cui si parla contemplando il mistero del Dio
di Gesù non è quella del monolitismo e dell’uniformità.
Ma neppure la valorizzazione della diversità può andare
nella direzione della disintegrazione relativistica della ve-
rità. In questo contesto, papa Francesco offre due impor-
tanti indicazioni di marcia.
Non è un caso – ecco la prima, su cui già abbiamo
avuto occasione di soffermarci richiamando la lezione di
San Basilio – che egli insista sul ruolo specifico e indispen-
sabile dello Spirito Santo, e dunque dell’obbedienza vigile
a attiva al suo agire, nell’evento della libera convergenza
in Cristo delle relazioni di cui e in cui viviamo: essendo
proprio Egli il garante e il promotore, insieme, della liber-
tà creativa e della ricapitolazione conviviale. « È lo Spirito
Santo – nota papa Francesco –, inviato dal Padre e dal
Figlio, che trasforma i nostri cuori e ci rende capaci di
entrare nella comunione perfetta della Santissima Trinità,
dove ogni cosa trova la sua unità » (EG 117). E ancora:
« La diversità dev’essere sempre riconciliata con l’aiuto
dello Spirito Santo; solo Lui può suscitare la diversità, la

88
pluralità, la molteplicità e, al tempo stesso, realizzare l’u-
nità » (n. 131).
Di qui la seconda direttrice: l’azione libera e misterio-
sa dello Spirito, sempre trascendente il nostro pensiero, le
nostre aspettative, i nostri progetti, assume la carne delle
azioni e dei drammi della storia accettando di « sopportare
il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di colle-
gamento di un nuovo processo » (EG 227). L’azione del-
lo Spirito passa infatti attraverso la contraddizione della
Croce, la assume e la riapre nella logica dell’incontro, della
riconciliazione, dello scambio dei doni.
Dal volto di Dio che ci interpella nel Crocifisso che
consegna lo Spirito « senza misura » (cfr. Gv 3,34), scaturi-
sce dunque « uno stile di costruzione della storia, un ambi-
to vitale dove i conflitti, le tensioni e gli opposti possono
raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita.
Non significa puntare al sincretismo, né all’assorbimento
di uno nell’altro, ma alla risoluzione su di un piano su-
periore che conserva in sé le preziose potenzialità delle
polarità in contrasto » (EG 228).

89
Capitolo IV
NELLA SEQUELA GIOIOSA DEL VANGELO
PER “GENERARE RELAZIONI NUOVE”
NEL MONDO

1.  Col Cristo pasquale al cuore del mondo


Non possono non attirare l’attenzione le parole che
Papa Francesco spende nel secondo capitolo della Evange-
lii gaudium (EG) sulle « relazioni nuove generate da Gesù Cristo »
(cfr. nn. 87-92). Egli proietta così il nostro sguardo nella
direzione del centro infuocato della storia e del cosmo:
il Cristo pasquale. Ci coinvolge anzi, d’impeto, nel movi-
mento dell’inabissarsi del cuore e della mente in questo
centro vivo per riemergerne nuovi, a fianco dei più poveri,
degli esclusi e degli scartati, per farci testimoni e attori
insieme dell’annuncio del mondo nuovo che ogni giorno
nasce dal Vangelo:
La risurrezione di Gesù non è una cosa del passato; contiene
una forza di vita che ha penetrato il mondo. Dove sembra che
tutto sia morto, da ogni parte tornano ad apparire i germogli
della risurrezione. È una forza senza uguali. [...] Ogni giorno
nel mondo rinasce la bellezza, che risuscita trasformata attra-
verso i drammi della storia. I valori tendono sempre a riappari-
re in nuove forme, e di fatto l’essere umano è rinato molte volte
da situazioni che sembravano irreversibili. Questa è la forza

91
della risurrezione e ogni evangelizzatore è uno strumento di tale
dinamismo.  (EG 276)
Gesù il Cristo è crocifisso, oggi, nelle croci dell’uma-
nità e sempre di nuovo risorge, oggi, al cuore del mondo.
Da Lui s’irradiano i raggi di vita nuova che saettano dal
suo Spirito effuso « senza misura » (cfr. Gv 3,34) su ogni
carne (cfr. At 2,17). È questa la visione dell’uomo nuovo
in Cristo che papa Francesco propone nel suo ministero,
di più: l’esperienza stupita e grata dell’incessante cristo-
genesi che accade al cuore del mondo, trasformando da
dentro e da sotto l’abisso delle umane tragedie e fiorendo
dalle piaghe più purolente e infette dell’umana vicenda.
Questa fede e questa speranza trasfigurano di luce e
di tenerezza lo sguardo di papa Francesco sull’umanità.
È questa l’antropologia scaturente dal Vangelo, dalla Tra-
dizione della Chiesa, dal Vaticano II, che egli vive e an-
nuncia. La « nuova tappa dell’evangelizzazione » alla quale
sprona la Chiesa altro non è che « uno strumento di tale
dinamismo », un servizio all’espansione al di là di ogni
confine della « forza della risurrezione » (EG 276).
Certo, in tutto ciò riconosciamo gli accenti e lo spirito
del Vaticano II. Ma c’è qualcosa di più. Il messaggio che
papa Francesco ci rivolge è come il fuoco di una lente che
concentra i raggi del sole sì che da essi, infine, si sprigio-
ni e avvampi la fiamma. La lezione del Vaticano II, con-
centrata e assimilata da papa Francesco nel crogiuolo del
cammino della Chiesa nel post-concilio, si fa principio di

92
vita nella coscienza e nel cammino della Chiesa. Innescan-
do quella « rivoluzione della tenerezza » che – nel sentire
del Papa e con lui, in intima e spontanea corrispondenza,
del sensus fidei del Popolo di Dio – vuole investire ogni di-
mensione della vita e ogni espressione della missione della
Chiesa « in uscita ».
« Sì » dunque, qui ed ora, « alle relazioni nuove generate da
Gesù Cristo ».

2.  La maieutica della “nuova creazione”


Si tratta, in radice, di « non fuggire mai da una relazio-
ne personale e impegnata con Dio, che al tempo stesso ci
impegna con gli altri » (EG 91). Perché im-pegno dice appunto
relazione personale. Il darsi in pegno, l’esporsi, l’offerta di sé,
si dà solo nella relazione inter-personale: « Si tratta di im-
parare a scoprire Gesù nel volto degli altri, nella loro voce,
nelle loro richieste » (EG 91).
La relazione personale che decide « l’im-pegno comu-
nitario » nella Chiesa e per il mondo passa per Gesù. Si
genera da e in Lui nelle e attraverso le relazioni personali.
Non è né un semplice punto di partenza, né un definiti-
vo punto d’arrivo. È evento, accade, si dà ogni volta in
quell’uscire da sé in cui ci si offre in pegno a Dio offren-
dosi in pegno al prossimo.
Ciò può apparire scontato. Ma non lo è. Perché que-
sta concreta esperienza della risurrezione di Gesù ha da
diventare soffio e stile di vita quotidiana: perché già lo
è per dono, come seme pregno di novità e come attesa

93
dell’avvento del Regno nascosto nel cuore di ogni essere
umano. Tutto si gioca nelle relazioni personali. È in e per
esse che lo sguardo di Dio si fa in Cristo il nostro sguardo.
Scriveva Simone Weil:
Il vero scopo non è vedere Dio in ogni cosa, ma che Dio attraverso
noi veda le cose che noi vediamo. Dio dev’essere dalla parte del
soggetto e non dell’oggetto in tutti gli intervalli di tempo in cui
abbandonando la contemplazione della luce noi imitiamo il movi-
mento discendente di Dio per volgerci verso il mondo. Non si deve
soccorrere il prossimo per (pour) Cristo, ma attraverso (par)
Cristo. Che l’io sparisca in modo tale che il Cristo per mezzo
dell’intermediario costituito dalla nostra anima e dal nostro corpo
soccorra il prossimo.1
L’EG traccia tre grandi traiettorie per vivere quest’e-
sperienza: la riconciliazione con la carne degli altri (cfr. n.
88), l’allargamento della nostra interiorità (cfr. n. 272), il
senso del mistero (cfr. n. 279). Si tratta di dischiudere il rit-
mo e il senso dell’accadere delle « relazioni nuove generate
da Gesù Cristo » in un atto perseverante di discernimento
comunitario che diventa maieutica della nuova creazione che la
risurrezione di Gesù partorisce dalle viscere del mondo.

3.  La carne è la via di Dio


Francesco innova il lessico ecclesiale, quello alme-
no degli ultimi secoli, con il suo costante riferimento alla

1
  S. Weil, Quaderni, II, tr. it. a cura di G. Gaeta, Adelphi
Edizioni, Milano 20084, p. 321.

94
“carne”. Il fatto è che l’esperienza e l’intelligenza della
fede cristiana hanno peccato nei confronti della carne in
termini di diffidenza e sospetto, quando non di oblio e
rimozione. La metánoia donata e chiesta dal Vangelo ha si-
nora fatto solo un tratto della sua lunga strada nei cuori e
nelle menti. Non è ancora diventata sino in fondo cultura.
Non s’è fatta cioè stile di vita e di pensiero.
Una linea significativa nella ricerca della filosofia, del-
le scienze umane e naturali dell’oggi, in verità, inaugura
ed esplora i sentieri di un nuovo sentire. Si percepisce –
come scrive ad esempio Maurice Merleau-Ponty – che la
carne ci avvolge esprimendo l’essere che siamo e in cui
siamo, in quanto essa è la condizione reale di possibilità
della comunicazione in cui accade la relazione di sé con
sé, con gli altri, col mondo. Tanto che il senso dell’essere
si dà appunto solo nella trama onniavvolgente della carne
e s’affaccia, da essa, sulla soglia ambigua – e cioè indecisa,
e come tale da decidere in libertà – dell’incontro ogni volta
nuovo tra l’io e l’a/Altro nel mondo ma anche al di là di
esso, in un gioco inesauribile d’accesso alla trascendenza
nel prodursi stesso dell’immanenza.2
L’esperienza e l’intelligenza della sequela di Gesù
hanno da giocare – nell’acquisizione e nella trasfigurazio-
ne di questo sentire – un singolare talento. Perché la carne

2
 Cfr. M. Fogarty, Corpo e mondo in Maurice Merleau-Ponty. La
carne e il suo senso tra unità e ambiguità, Istituto Universitario Sophia,
Figline e Incisa Valdarno (Firenze) 2015, in corso di pubblicazione.

95
è la via di Dio. La fede cristiana non è centrata forse in un
Logos che « carne si è fatto » (Gv 1,14)? Tanto da far dire
a Tertulliano che « caro cardo salutis est »?3 Ci sono chiesti il
coraggio, la semplicità e il rischio di percorrerla anche noi,
la via della carne. Sino in fondo. Senza fermarci troppo
presto per pavidità o falsa prudenza.
Ciò implica, innanzi tutto, la ridefinizione della rela-
zione tra il femminile e il maschile, la prima tra le « relazio-
ni nuove generate da Gesù ». Lo squilibrio, nell’intelligenza
e nella prassi ecclesiale, è a tutt’oggi così pronunciato da
farsi ormai intollerabile. Solo per la relazione nella propria
carne con la carne dell’altro/a, si percorre la via del risa-
namento della scissura tra anima e corpo, spirito e carne,
affetto e ragione.
Ma ciò invoca, a più larga gittata, la presa in carico
del discernimento di quanto la tecnica predispone per
l’espansione della carne dell’uomo, in riferimento a sé e
alla custodia della « casa comune ». Seguendo la traiettoria
della « riconciliazione con la carne » s’intuisce la portata
dell’« ecologia integrale » tratteggiata nella Laudato si’ (LS).
Il decisivo apporto del Vangelo al superamento del
paradigma dominante – androcentrico per un verso, tec-
nocratico per l’altro –, non può inoltre farsi fruibile né
diventare efficace senza il radicale ripensamento del mo-
dello interpretativo della “legge naturale”, astrattamente

3
  Cfr. De resurrectione mortuorum, VIII, 6-7.

96
pensato a prescindere della coscienza storica propiziata
dalla rivelazione, con cui una certa teologia si ostina ad
affrontare le questioni legate all’antropologia e alla sessua-
lità, all’ecologia e alla tecnologia.

4.  Allargare l’interiorità


Anche in questo caso l’espressione è pregnante e pro-
vocatoria. Perché chiama all’interiorità come al luogo in
cui il cuore e la mente s’immergono in Dio: ma invita al
tempo stesso a dilatarne i confini, a dischiuderne gli oriz-
zonti, a estenderne l’ospitalità.
L’espressione « allargare l’interiorità » – quasi un ossi-
moro – vuol infatti esprimere una figura specifica dell’inte-
riorità: quella evangelica provocata dall’avvento del Regno
e generata dalla risurrezione di Gesù. Così viene descritta
da papa Francesco:
Quando viviamo la mistica di avvicinarci agli altri con l’intento
di cercare il loro bene, allarghiamo la nostra interiorità per ri-
cevere i più bei regali del Signore. Ogni volta che ci incontriamo
con un essere umano nell’amore, ci mettiamo nella condizione
di scoprire qualcosa di nuovo riguardo a Dio. Ogni volta che
apriamo gli occhi per riconoscere l’altro, viene maggiormente
illuminata la fede per riconoscere Dio. (EG 272)
Cattura l’attenzione il riferimento alla mistica non
come esercizio di un’interiorità coltivata dall’individuo a sé
stante e in sé soltanto per dir così sussistente, ma come l’e-
sperienza del “noi” generato da Cristo risorto nell’incon-

97
tro di sé con gli altri.4 Il concetto di mistica, in tal modo,
con una decisa virata semantica rispetto al suo significato
consueto, viene ricollocato con pertinenza entro lo spazio
di luce e di esercizio descritto dal Vangelo di Gesù.
Designa infatti lo spazio nel quale la relazione con Dio
accade – e senza cessare d’essere tale s’intensifica, nel pro-
dursi efficace della sua comunicazione – attraverso la rela-
zione in Gesù con gli altri nel mondo. Così che l’interiorità si
può e deve dire « allargata » – agli altri – e come tale inverata
nella sua qualità di luogo d’incontro con Dio e, in Lui, con
tutti e con ciascuno. Il « castello interiore » – senza dimet-
tere la sua qualità d’interiorità ma anzi potenziandola – si
dilata così nel « castello esteriore ».5 Dio che in Gesù, per lo
Spirito, abita in me, abita anche dove due o più sono riuniti
nel suo Nome (cfr. Mt 18,20) e cioè nell’incontro con l’altro
come esperienza di « fraternità mistica » (EG 92).

4
 Cfr. J. C. Scannone, Il soggetto comunitario della spiritualità e
della mistica popolari, in “La Civiltà Cattolica”, n. 3950 (17 gennaio
2015), pp. 126-141.
5
  Il collegamento tra il « castello interiore » di cui parla Teresa
d’Avila e il « castello esteriore », che designa la presenza di Cristo
tra gli uomini, è di una mistica del nostro tempo, Chiara Lubich:
cfr. J.C. Cervera ocd, Il castello esteriore – il “nuovo” nella spiritualità
di Chiara Lubich, a cura di F. Ciardi, Città Nuova, Roma 2011; e
gli Atti del Seminario teologico dell’Istituto Universitario Sophia
(12-13 giugno 2014) pubblicati in A. Clemenzia – V. Di Pilato –
J. Tremblay (Eds.), Castello interiore e Castello esteriore. Per una gramma-
tica dell’esperienza cristiana, Città Ideale, Prato 2015.

98
Mistica, dunque, senz’altro: in quanto d’esperienza
personale di unione con Dio in Cristo si tratta. Ma di Dio
lì dov’Egli in Cristo è venuto e viene. Nella carne dell’al-
tro. Dal che deriva una formidabile conseguenza: « Il reali-
smo della dimensione sociale del Vangelo » (EG 88):
Confessare che lo Spirito Santo agisce in tutti implica ricono-
scere che Egli cerca di penetrare in ogni situazione umana e in
tutti i vincoli sociali (...) L’evangelizzazione cerca di cooperare
anche con tale azione liberatrice dello Spirito. Lo stesso miste-
ro della Trinità ci ricorda che siamo stati creati a immagine
della comunione divina, per cui non possiamo realizzarci né
salvarci da soli. Dal cuore del Vangelo riconosciamo l’intima
connessione tra evangelizzazione e promozione umana, che deve
necessariamente esprimersi e svilupparsi in tutta l’azione evan-
gelizzatrice. (EG 178)
La mistica quale esperienza del Dio veramente divino
nel suo accadere in Gesù non strappa dalla storia per an-
negare l’io nell’indefinito che resta indefinibile: ma è la lin-
fa che fa scorrere il sangue di Dio nella carne del mondo.
Il governo dell’oíkos e della pólis, l’economia e la politica,
così come la custodia della casa comune e l’esercizio della
scienza e della tecnica, non sono affare tutt’altro dall’av-
vento del Regno: ma nella loro irrinunciabile autonomia
ne sono piuttosto il luogo e il veicolo d’attuazione nel
concreto della storia degli uomini e del cosmo.
Tra le opposte tentazioni della fuga mundi e della chri-
stianitas teocratica, prende così figura l’alternativa socia-
le del Vangelo: il lievito, il sale, la luce che danno forma,
e sapore, e orientamento alla vicenda del mondo. Il co-

99
mandamento dell’amore reciproco è infatti la « prassi del
Cielo »6 che si fa prassi della terra. Di qui le assi portanti
dell’insegnamento di papa Francesco nella logica del con-
tinuo aggiornamento della dottrina sociale della Chiesa in
dialogo con le sfide del presente:
l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta; la con-
vinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso; la critica
al nuovo paradigma e alle forme di potere che derivano dalla
tecnologia; l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia
e il progresso; il valore proprio di ogni creatura; il senso umano
dell’ecologia; la necessità di dibattiti sinceri e onesti; la grave
responsabilità della politica internazionale e locale; la cultura
dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita. (LS 16)

5.  Il senso del mistero


La terza traiettoria che si può cogliere dal magistero
di papa Francesco nel segno delle « relazioni nuove » gene-
rate in Cristo, ne esprime forse anche il ritmo più profon-
do, quasi il basso continuo. Anche in questo caso egli parla
dalla sua personale esperienza delle « relazioni nuove » là
dove esse, per l’irruzione del mondo nuovo che si spri-
giona dalla risurrezione del Figlio fatto carne nello Spirito,
s’inabissano nel Mistero che avvolge le relazioni trinitarie

6
  L’espressione è di R. Pesch, Von der ‘Praxis des Himmels’.
Kritische Elemente im Neuen Testament, Styria, Graz-Wien-Köln 1972;
tr. it., Cristianesimo critico e prassi dell’amore alla luce del Nuovo Testamen-
to, Morcelliana, Brescia 1972.

100
di Dio in Dio e di Dio con noi e di noi in Dio. Perché è lì,
dal Dio Trinità d’amore, che tutto comincia. È lì che tutto
vive. È lì che tutto è accolto, redento e trasfigurato.
Il « senso del mistero » è per papa Francesco « fiducia
nell’invisibile » che in Gesù s’è fatto visibile e s’è reso a
noi disponibile. Tale fiducia – confessa – « può procurarci
una certa vertigine: è come immergersi in un mare dove
non sappiamo che cosa incontreremo. Io stesso l’ho spe-
rimentato tante volte » (EG 280). Quando ho letto queste
parole, la mente subito è corsa a quanto il Papa – inaspet-
tatamente, e quest’unica volta a ciò che m’è dato di sapere
– ha confidato in un’intervista a un intellettuale in diutur-
na ricerca come Eugenio Scalfari, fondatore del quotidia-
no La Repubblica, a proposito dell’esperienza da lui vissuta
nell’elezione a Papa:
Prima dell’accettazione chiesi di potermi ritirare per qualche
minuto nella stanza accanto a quella con il balcone sulla piaz-
za. La mia testa era completamente vuota e una grande ansia
mi aveva invaso. Per farla passare e rilassarmi chiusi gli occhi e
scomparve ogni pensiero, anche quello di rifiutarmi ad accettare
la carica come del resto la procedura liturgica consente. Chiusi
gli occhi e non ebbi più alcuna ansia o emotività. Ad un certo
punto una grande luce mi invase, durò un attimo ma a me sem-
brò lunghissimo. Poi la luce si dissipò io m’alzai di scatto e mi
diressi nella stanza dove mi attendevano i cardinali e il tavolo su
cui era l’atto di accettazione. Lo firmai, il cardinal Camerlengo
lo controfirmò e poi sul balcone ci fu l’“ Habemus Papam”.7

7
  Intervista pubblicata in “La Repubblica”, 1 ottobre 2013.

101
Il « senso del mistero » è, per papa Francesco, abitare
il mondo sapendosi accolti sempre di nuovo nell’abisso
d’amore e misericordia che è Dio, per essere da Lui inviati
ai fratelli. È imparare da Gesù a « riposare nella tenerez-
za delle braccia del Padre in mezzo alla nostra dedizione
creativa e generosa » (EG 279), è « lasciarsi portare dallo
Spirito rinunciando a calcolare e a controllare tutto, e per-
mettere che Egli ci illumini, ci guidi, ci orienti, ci spinga
dove Lui desidera. Egli sa bene ciò di cui c’è bisogno in
ogni epoca e in ogni momento » (n. 280).
Immersione in Gesù nel suo rapporto d’amore con
l’Abbà per il soffio di vita, di libertà e di comunione dello
Spirito. Preghiera, dunque, che accadendo in Gesù non
« lascia fuori gli altri », con la loro carne e la loro croce.
Sarebbe, se così fosse, un inganno (cfr. EG 281). Preghie-
ra che è « ricolma di persone », preghiera d’intercessione e
di ringraziamento per gli altri (cfr. n. 281-283). Preghiera
che è relazione e comunione: come un « lievito nel seno
della Trinità (...), un addentrarci nel Padre e scoprire nuo-
ve dimensioni che illuminano le situazione concrete e le
cambiano » (n. 283).
Questa forma di preghiera richiama l’intensità e l’in-
tenzionalità della « orazione mentale » insegnata da Teresa
d’Avila e Giovanni della Croce. Accreditandosi – sulla scia
dell’insegnamento di Ignazio di Loyola e della dottrina del
Vaticano II – come matrice di un nuovo pensare e agire al
di là della razionalità calcolante e strumentale.

102
6.  Lo stesso modo di sentire, pensare e agire di Gesù
Questa meta-morfosi della ratio, propiziata dall’oratio e
attinta nell’adoratio come uno “svuotarsi” nell’ascolto di sé
e nell’accoglienza dell’A/altro, diventa in papa Francesco
la cifra d’un esercizio del pensiero a partire dalla sua di-
mora nel luogo ove la mistica della « fuga da solo a solo »8
s’intreccia ormai con la mistica del « come tu, Padre, sei in
me e io in te, siano anch’essi uno in noi » (Gv 17,21).
L’apofasi del silenzio sboccia nella pericoresi della comunica-
zione « corpo a corpo » (cfr. EG 88) nello Spirito. È il « senso
del mistero » che definitivamente abita e incessantemente
lievita la storia:
È sapere con certezza che chi si offre e si dona a Dio per amore,
sicuramente sarà fecondo (cfr. Gv 15,5). Tale fecondità molte
volte è invisibile, inafferrabile, non può essere contabilizzata.
Uno è ben consapevole che la sua vita darà frutto, ma senza
pretendere di sapere come, né dove, né quando. Ha la sicurezza
che non va perduta nessuna delle sue opere svolte con amore,
non va perduta nessuna delle sue sincere preoccupazioni per gli
altri, non va perduto nessun atto d’amore per Dio, non va per-
duta nessuna generosa fatica, non va perduta nessuna dolorosa
pazienza. Tutto ciò circola attraverso il mondo come una forza
di vita. [...] Lo Spirito Santo opera come vuole, quando vuole e
dove vuole; noi ci spendiamo con dedizione ma senza pretendere
di vedere risultati appariscenti. Sappiamo soltanto che il dono
di noi stessi è necessario ». (EG 279)

  Plotino, Enneadi, VI, 9,11 (a cura di G. Faggin, Rusconi,


8

Milano 1992, pp. 1362-1363).

103
La dinamica interiore del dono – a Dio e agli altri –,
poiché è esodo da sé ed espropriazione di sé, è svuota-
mento che apre al riempimento, kénosi che apre alla plérosi.
Come leggiamo in Filippesi 2,7, dove – troppo poco
vi si bada – la kénosi d’obbedienza nell’amore è proposta
da Paolo come la forma delle « relazioni nuove generate da
Gesù Cristo ».9 È in Lui infatti – spiega l’Apostolo – che i
Filippesi sono costituiti comunità: « Pensate e agite tra voi
ciò che (è) anche in Cristo Gesù ». La phrónesis (il modo
di sentire, pensare ed agire) tra essi vigente ha da essere
quella ricevuta in Cristo, e descrive la dimensione perso-
nale e insieme sociale dell’essere diventati in Lui « nuova
creazione ». Informando e regolando l’una e l’altra, tanto
che l’una senza l’altra non si può dare.
È la stessa phrónesis di Gesù, che sussistendo nella for-
ma di Dio se n’è « svuotato » ricevendo dal Padre il Nome
che è al di sopra d’ogni altro nome. Il Nome che – insegna
il quarto vangelo – il Figlio fatto carne (cfr. Gv 1,14) ha
ricevuto dal Padre e in cui i discepoli da Lui sono custoditi
nell’unità (cfr. Gv 17,11).

9
 Cfr. S. Noceti, « Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo »
(Fil 2,5-11), in Aa.Vv., Chiesa in Italia. Annale 2014, Supplemento a
« Il Regno » n. 11 del 15/12/2015, pp. 17-21.

104
Capitolo V
QUATTRO PAROLE
PER LA RIFORMA DELLA CHIESA

1.  La Chiesa, un Popolo a servizio dell’avvento del Regno di Dio


Con papa Francesco abbiamo parlato sin qui di Dio
e dell’uomo, e ovviamente ne abbiamo parlato guardando
a Gesù Cristo oggi. È così che nell’esperienza e nell’intel-
ligenza della fede di papa Francesco sono vivi e si fanno
attuali il Vangelo di Gesù e il patrimonio della Tradizione
cristiana. Parliamo ora, con qualche rapido tratto, della sua
visione teologica della Chiesa nel solco del Vaticano II.
E la prima cosa da dire è che, per papa Francesco, a
più di cinquant’anni dall’ultimo Concilio, « la Chiesa sen-
te il bisogno di mantenere vivo quell’evento ».1 Con e per
esso, ci siamo inoltrati, infatti, sospinti dallo Spirito, in una
fase nuova di quel bimillenario cammino di cui il Vaticano
II segna una tappa nuova e provvidenziale.
Paolo VI lo diceva addirittura tanto importante quan-
to il Concilio di Nicea, mentre altri – penso a un maestro
della teologia italiana come Luigi Sartori – s’è spinto anco-
ra oltre, sino a raggiungere il cosiddetto Concilio di Geru-

1
  Papa Francesco, Misericordiae vultus (MV), 11 aprile 2017, n. 4.

105
salemme. A significare che – nel Vaticano II come a Nicea
e a Gerusalemme – ciò che è in gioco (e come altrimenti
potrebbe essere?) sono ancora una volta l’identità e la mis-
sione dell’evento di Gesù Cristo, attraverso la sua Chiesa,
nella storia del mondo oggi: il dispiegarsi cioè, nel nostro
qui e nel nostro ora, del disegno universale d’amore di Dio
per l’umanità e il creato che nel Signore Gesù trova il suo
centro vivo ed scatologicamente decisivo.
Papa Francesco, l’abbiamo già detto, il primo Papa
che non ha partecipato al Vaticano II, non guarda indie-
tro: ne dà per scontata la recezione nella coscienza della
Chiesa. E in questa logica vive il Concilio come un punto
d’arrivo, certo, di tutto un cammino di rinnovamento che
in esso ha trovato parola; ma soprattutto come un punto
di partenza e una pedana di lancio per proseguire avanti.
Perché lo Spirito Santo incalza e, straziata dalle sue innu-
merevoli e lancinanti piaghe, l’umanità grida.
Dunque, la sfida che papa Francesco lancia alla Chie-
sa, perché gli brucia nel cuore e nella mente da Dio, è di
rompere gl’indugi e iniziare l’esodo. Del resto, basta rileg-
gere l’Ecclesiam suam di Papa VI per sentir bruciare la stes-
sa urgenza o riandare al « duc in altum » di Giovanni Paolo
II all’alba del terzo millennio.2 Tutto, in qualche modo, è
virtualmente racchiuso nella nitida e stringata descrizio-

 Cfr. Papa Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, 6 gen-


2

naio 2001, n. 1.

106
ne del mistero della Chiesa che troviamo nell’incipit della
Lumen gentium (LG): « La Chiesa è, in Cristo, come il sacra-
mento e cioè il segno e lo strumento dell’intima unione
con Dio e dell’unità di tutto il genere umano ».
Questa descrizione invita a guardare alla missione
della Chiesa con l’occhio di Gesù, al fine di con-formare
la Chiesa, appunto, alla forma di Lui. Non è questione
della Chiesa come societas perfecta che attinge i suoi para-
metri di comprensione e di azione da una figura di società
storicamente definita una volta per tutte, né è semplice-
mente questione di rapporto tra potere spirituale e potere
temporale nell’ottica del progetto storico della cristianità:
è guardare alla Chiesa nell’ottica dell’avvento del Regno di
Dio tra gli uomini come un Popolo chiamato a dissemina-
re il lievito e il sale che rendono presente alla storia la vita
che non muore, la vita che solo da Dio scaturisce e solo in
Dio si compie.
Tutto, nella Chiesa, è a servizio di questo: la Parola
annunciata, i Sacramenti celebrati, i « doni gerarchici » e i
« doni carismatici », l’impegno sociale, culturale e politico
dei fedeli laici. Si tratta d’essere « segno » e cioè, in tutte le
espressioni della vita e della missione della Chiesa, dalla
più piccola alla più universale, di vivere esperienze perce-
pibili e credibili di unione con Dio e di unità tra i fratelli.
E si tratta di diventare – con un’azione di annuncio e testi-
monianza che ne sia irradiazione coerente e affascinante
–, « strumento » efficace che da dentro lievita e dà il sapore
della vita che non muore alla vita del mondo.

107
La Chiesa come il Popolo che è « germe e inizio del
Regno » (cfr. LG 5) dunque e che, guardando a Cristo, ri-
vivendo anzi Cristo nella luce e nella forza dello Spirito,
esiste e opera non per sé ma per gli altri. Tenendo acceso
e alimentando il desiderio di cieli nuovi e terra nuova quale
soffio di vita e di speranza nell’impegno per la costruzione
storica della libertà, della giustizia e della fraternità fra le
persone e i popoli.
E questo nel mondo di oggi: quando il terrorismo,
le persecuzioni, l’ingiustizia sociale, la guerra, la fame, un
fenomeno migratorio di proporzioni bibliche come quello
sotto i nostri occhi, la dittatura dell’ideologia tecnocratica
e del profitto, la crisi ambientale ... deturpano il volto della
famiglia umana e della casa comune sino al punto di met-
terne a rischio l’esistenza stessa.
Non è difficile intuire come sia proprio l’“idea” di
Chiesa e della sua missione secondo il cuore di Gesù, mes-
se a fuoco dal Vaticano II, quella che pulsa nei sentimenti
e nei pensieri, nelle vene – direi persino – di papa Fran-
cesco. Secondo il cuore di Gesù. Non è stato infatti sempre
scontato, e ancora non lo è, che la Chiesa, in tutto, abbia
da esprimere la forma e lo stile di Gesù. Perché sempre
sottile è stata, ed è, la tentazione di pensare la Chiesa, sì,
come l’araldo del Vangelo ma, in quanto istituzione anche
umana, necessariamente costretta a scendere a qualche
patto con la logica del mondo (a livello politico, economi-
co, culturale). Così che, se il Vangelo non conosce com-
promesso, la Chiesa – purtroppo, si finisce col pensare – è

108
costretta ahimé a cedere almeno su qualche punto: e non
per la fragilità dell’umano, ma per la necessità delle cose,
per Realpolitik, per avere i piedi per terra.
Ciò implica prendere in decisa evidenza e sviluppa-
re con coraggio alcune direttrici di rinnovamento che lo
Spirito Santo indica alla Chiesa a partire dal Concilio.
Esse, progressivamente, tra luci e ombre, si sono via via
precisate nell’autocoscienza ecclesiale degli ultimi de-
cenni attraverso il Magistero dei Papi e delle Conferenze
Episcopali e sono lievitate come sentire profondo nel
cammino del Popolo di Dio nei suoi diversi contesti di
esistenza.
Papa Francesco le raccoglie e le mette insieme di
fronte ai nostri occhi: con determinazione profetica, con
persuasività comunicativa, con incisività pastorale, quali
piste irrinunciabili da percorrere sino in fondo, con fe-
deltà al Vangelo e alla dottrina della Chiesa e insieme con
la creatività che nasce dall’obbedienza agli impulsi dello
Spirito Santo, in ascolto degli interpellanti segni dei nostri
tempi. Le riassumerei in quattro parole che ricorrono con
frequenza nel parlare di papa Francesco e che ne illumi-
nano i gesti nella prospettiva esigente della riforma della
Chiesa:3 misericordia, sinodalità, povertà, incontro.

3
  Cfr. sul significato e le implicazioni di questa direttrice pri-
oritaria del ministero di papa Francesco, A. Spadaro – C.M. Galli
(Eds.), La riforma e le riforme nella Chiesa, Queriniana, Brescia 2016.

109
2.  « La medicina della misericordia »
È la prima parola-chiave che illumina il ministero di
papa Francesco: il primato della « medicina della miseri-
cordia », per dirla con Giovanni XXIII nel descrivere il
tono del Vaticano II e della stagione nuova nella sua mis-
sione che la Chiesa è chiamata a vivere. Si tratta – dice
papa Francesco – di « un processo, da anni, nella Chiesa.
Si vede che il Signore chiedeva di risvegliare nella Chiesa
questo atteggiamento ».4
Attingendo al mistero stesso di Dio Padre che si squa-
derna in Cristo e nell’azione incessante dello Spirito nella
storia del mondo, la misericordia intenziona infatti e de-
scrive il realismo, l’incisività e la profezia della visione cri-
stiana. Perché esprime la percezione vitale e performativa
che la verità del Vangelo è l’amore di Dio per l’uomo, per
l’uomo concreto, per l’uomo come è e non come dovreb-
be essere secondo una teoria astratta, per accompagnar-
lo a diventare ciò che è chiamato a diventare nel disegno
di Dio secondo la legge saggia della gradualità: accolto,
guarito, accompagnato e sollecitato dall’amore del Padre
« ricco di misericordia » (Ef 2,4), del Figlio fatto carne e
morto in croce per noi, dello Spirito Santo effuso senza

4
  Papa Francesco, Dialogo con i Vescovi della Polonia (Krakòw,
27 luglio 2016), 02.08.2016. Cfr. W. Kasper, Papa Francesco. La rivo-
luzione della tenerezza e dell’amore, cit..

110
misura nei nostri cuori dove geme interiormente invocan-
do l’adozione a figli.
La misericordia è il prisma da cui guardare e testimo-
niare la verità gioiosa e liberante e la forza trasformatrice
del Vangelo. Non significa metterne tra parentesi la verità
e la giustizia, tutt’altro! Significa centrarne e comunicarne
l’essenza: l’amore. « La misericordia – così P. Raniero Can-
talamessa – non è un surrogato della verità e della giusti-
zia, ma è una condizione per mettersi in grado di trovarle.
Non è un indice di debolezza, ma di forza ».5 Essa, al mo-
mento giusto, esige di manifestare la bellezza e la pienez-
za della verità: quando questa, anche nella sua vertiginosa
altezza, può essere colta e desiderata e raggiunta. Il che è
possibile solo e sempre con la grazia di Dio che lavora nel
cuore d’ogni uomo. Non scriveva Sant’Agostino che sin
quando non s’è compreso che il significato d’ogni verità
e comandamento espresso dalla Sacra Scrittura è carità,
ancora si è lontani dall’averla compresa, la verità?6
Il primato della misericordia come stile di vita e di
missione proposto da papa Francesco è prima di tutto un

5
  R. Cantalamessa, Il valore politico della misericordia, in « L’Os-
servatore Romano », 30 marzo 2008.
6
 Cfr. Agostino, De Doctrina Christiana, I, 36.40: « Chi crede
d’aver capito le divine Scritture o una qualsiasi parte delle medesi-
me, se mediante tale comprensione non riesce a innalzare l’edificio
di questa duplice carità di Dio e del prossimo, non le ha ancora
capite » (tr. it., a cura di V. Tarulli, Città Nuova, Roma 1992).

111
crogiuolo di purificazione per la vita della Chiesa e per il
discernimento delle vie della sua presenza alla storia. Essa,
infatti, rinasce ogni giorno immacolata dal lavacro del bat-
tesimo e dal sacrificio generatore di convivialità dell’Eu-
caristia, ed estende e trasmette quest’esperienza di grazia,
da cui sempre di nuovo è ricreata dallo Spirito del Signore
risorto, nelle mille forme del suo essere e del suo agire
nell’amore a servizio dell’uomo: dal perdono del peccato
alla cura dei sofferenti e degli emarginati, dall’impegno per
la giustizia alla promozione del bene comune alla carità
intellettuale del pensiero e della cultura.
È qui, a ben vedere, la vera chiave di volta dell’esorta-
zione apostolica Amoris laetitia (AL). Non si tratta di fare
sconti sulla verità della chiamata alla perfezione evangelica,
ma di farsi uno con ogni persona per dischiudere con l’a-
more, dall’interno di ogni situazione, la via che porta a Dio
secondo il proposito dell’apostolo Paolo: « Mi son fatto de-
bole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tut-
to a tutti, per salvare a ogni costo qualcuno » (1 Cor 9,22).7
Papa Francesco, con un’immagine che a tutta pri-
ma può prendere in contropiede, parla della Chiesa come
« ospedale da campo ». È una metafora che traduce lo stile
di Gesù espresso in quella parabola del buon Samaritano
che Paolo VI ha fatto propria per esprimere che cosa ha

7
 Cfr. Papa Francesco, Discorso ai rappresentanti del V Convegno
nazionale della Chiesa italiana, Firenze, 10 novembre 2015.

112
voluto essere e fare, col Vaticano II, la Chiesa. Ecco le sue
parole:
L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiri-
tualità del Concilio […]. Riprovati gli errori, sì; perché ciò esige
la carità, non meno che la verità; ma per le persone solo richiamo,
rispetto ed amore. Invece di deprimenti diagnosi, incoraggianti
rimedi; invece di funesti presagi, messaggi di fiducia […]. tutta
questa ricchezza dottrinale è rivolta in un’unica direzione: servire
l’uomo. L’uomo, diciamo, in ogni sua condizione, in ogni sua
infermità, in ogni sua necessità.8
Di fronte alle immani tragedie e agli enormi proble-
mi che affliggono l’umanità di oggi, non è forse quella
dell’« ospedale da campo » un’immagine eloquente per dire
il cuore di madre della Chiesa – segno e strumento, in
Gesù, dell’unione con Dio nel fare la sua volontà e della
prossimità ai fratelli? Le ferite oggetto di cura, in questo
ospedale, non sono infatti soltanto quelle fisiche e mate-
riali, ma insieme quelle che infettano il cuore, l’anima, lo
spirito, l’intelligenza, la volontà. Parlare di « ospedale da
campo » fa intuire la gravità della situazione in cui versa
l’umanità, dilaniata da una guerra ideologica in cui sono
in gioco la verità e la bellezza stessa dell’immagine di Dio
nell’uomo, creato come maschio e femmina per riflettere

8
  Papa Paolo VI, Allocuzione nell’ultima sessione pubblica del
Concilio Ecumenico Vaticano II, 7 dicembre 1965; riportato da papa
Francesco nella Bolla di indizione del Giubileo straordinario della
misericordia, MV, n. 4.

113
nelle trame della creaturalità la vita di comunione feconda
della SS.ma Trinità.
« Ospedale da campo », sì, per far fronte, con la me-
dicina più forte, che è la misericordia in quanto testimo-
nianza della verità dell’amore, a uno dei pericoli più gravi,
forse, della storia dell’umanità dal suo inizio sino ad oggi:
quello di stravolgere – come ha detto papa Francesco ai
Vescovi della Polonia, citando papa Benedetto – il disegno
di Dio Creatore sulla sua creazione.9
Senza dire di ciò che la misericordia – interiorizzata
nella mente e nel cuore e assunta a criterio di giudizio e
di azione – ha da diventare nel contaminare, con reali-
smo e visione, politica, economia e diritto. Là dove ciò
accade, cambia la faccia del mondo. In campo politico,
ad esempio, la misericordia porta a non considerare mai
niente e nessuno come definitivamente perduto, ma ad
essere aperti allo spiraglio di cambiamento appena appe-
na intuibile in ogni situazione, all’elasticità delle soluzioni
imprevedibili, al farsi carico dei conflitti per trasformarli
in anello di una costruzione comune (cfr. EG 227). Sino
alla vertiginosa e scandalosa apertura evangelica alla forza
storicamente più efficace, perché in essa agisce, attraverso
la croce di Cristo, la novità della sua Risurrezione: quella
del perdono e dell’amore al nemico (cfr. Lc 6,27).

  Le parole di papa Benedetto riportate da papa Francesco


9

sono: « È l’epoca del peccato contro Dio Creatore! ».

114
3.  Sinodalità: ciò che Dio si aspetta dalla Chiesa
« Sinodo è nome della Chiesa » – ha sottolineato papa
Francesco, citando Giovanni Crisostomo, nel discorso in
occasione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo
dei Vescovi –, e ha precisato: « Il cammino della sinodali-
tà è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo
millennio ». Il che significa, in concreto: che nella Chiesa,
« come in una piramide capovolta, il vertice si trova al di
sotto della base »; che l’« unica autorità » è quella di Gesù
ed è « l’autorità del servizio »; che una Chiesa sinodale è
una Chiesa dell’ascolto: « Ascolto di Dio, fino a sentire con
Lui il grido del Popolo; ascolto del Popolo, fino a respirar-
vi la volontà a cui Dio chiama ».10
È uno dei temi, delicato e impegnativo, su cui sta at-
tualmente lavorando la Commissione Teologica Interna-
zionale. Si tratta d’immaginare e percorrere le vie per dare
incarnazione anche istituzionale, in fedeltà alla Tradizio-
ne, all’ecclesiologia del Popolo di Dio e della comunione
del Vaticano II. Non bisogna andare con la mente troppo
presto o unicamente alla questione canonica e alla pratica
procedurale dei sinodi diocesani o provinciali o dei Vesco-
vi. Ma piuttosto bisogna guardare alla sinodalità come a
uno spirito e a uno stile pervasivo e permanente di essere
Chiesa: in cui i discepoli di Gesù camminano insieme –

10
  Papa Francesco, Discorso in commemorazione del 50° anniver-
sario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015.

115
questo vuol dire “sinodo”: dal greco sýn = con e hodós =
via – tra gli uomini per testimoniare la novità, la bellezza e
la forza dell’avvento del Regno di Dio.
Qui si gioca una priorità nella presa di coscienza e
nell’impegno di tutta la Chiesa: a partire dai Vescovi, che
debbono mettere in moto e guidare il processo. Altrimen-
ti, il soggetto della nuova tappa dell’evangelizzazione che
siamo chiamati a vivere non decolla. Tale soggetto, infatti,
è l’intero Popolo di Dio nella sua varietà e unità, in cui e at-
traverso cui Gesù risorto manifesta ed esercita oggi la sua
exousía, la sua potenza e sapienza di salvezza in rapporto
agli uomini. La specifica e irrinunciabile autorità aposto-
lica esercitata dai Pastori è posta e va esercitata a servizio
della manifestazione di questa exousía del Risorto che si
rende presente, nella Chiesa, in molteplici forme: nel sensus
fidei dei fedeli, nei doni carismatici che la vivificano, nella
competenza nelle cose temporali dei laici…L’autorità dei
Pastori è quella di promuovere, vagliare, guidare e orien-
tare l’exousía del Risorto nel suo manifestarsi variegato e
convergente attraverso gli apporti irrinunciabili di tutti i
membri e di tutti gli stati di vita nel Popolo di Dio.
Si tratta di mettere in circolo tutti i doni, piccoli e
grandi, che tutti abbiano la possibilità di dire con parresia
e umiltà, dialogando nella carità, la loro parola e che, sotto
la guida dei Pastori, in comunione tra loro e con il succes-
sore di Pietro, si sappia discernere insieme che cosa lo Spi-
rito dice oggi alla Chiesa. A ogni Chiesa locale, alle Chiese
che vivono in una stessa regione, alla Chiesa universale.

116
Ecco la sinodalità. È un processo di riforma – e, pri-
ma, di conversione spirituale – che chiede tempo, pazien-
za, impegno di tutti, formazione. Basti pensare alla figura
di Vescovo e di presbitero che la messa in moto di questo
processo e il suo perseverante orientamento esigono: non
s’improvvisa un vescovo, non s’improvvisa un presbitero
capace, con sapienza evangelica, con capacità di discer-
nimento, con autorevolezza di governo, d’essere l’anima
viva e la guida sicura di questo esodo da una forma di
pensare e costruire la Chiesa a un’altra, più conforme alla
vocazione del Popolo di Dio. E di farlo in comunione coi
suoi fratelli nell’episcopato e nel presbiterato e con tutto
il Popolo di Dio. Ma un analogo discorso vale per la vita
consacrata, per i movimenti e le nuove comunità, per il
laicato, per le donne.
C’è davvero tanto da fare, come ha rimarcato – con
una punta di voluta provocazione – papa Francesco nella
sua Lettera al card. Marc Ouellet, Presidente della Ponti-
ficia Commissione per l’America Latina: « Ricordo la fa-
mosa frase: “è l’ora dei laici”, ma sembra che l’orologio si
sia fermato »!11 È senz’altro difficile e rischioso camminare
in questa direzione. Ma occorre avere fiducia in Dio e nei
doni che Egli dissemina con larghezza nel Popolo di Dio.
Se è venuto il momento della sinodalità, come ci dice papa

11
  Papa Francesco, Lettera al Cardinale Marc Ouellet, Presidente
della Pontificia Commissione per l’America Latina, 19 marzo 2016.

117
Francesco, significa che il terreno è pronto. Bisogna aver
coraggio e prudenza, serenità e decisione, lungimiranza e
vigilanza.

4.  « Chiesa povera e dei poveri »


È la terza parola che si staglia dal magistero e dalla
testimonianza di papa Francesco. Non è pauperismo: è la
verità del Vangelo, la forma Ecclesiae da cui deve tralucere,
sempre più vivida e luminosa, la forma Christi. L’opzione
per i poveri – insegnava Giovanni Paolo II – è « una for-
ma speciale di primato nell’esercizio della carità cristiana,
testimoniata da tutta la Tradizione della Chiesa ».12 Questa
opzione – sottolineava Benedetto XVI – « è implicita nella
fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi,
per arricchirci mediante la sua povertà ».13
Anche a questo proposito è un segno e un messag-
gio preciso quello che ci è venuto dal momento stesso in
cui, eletto alla cattedra di Pietro, Jorge Maria Bergoglio ha
sentito nel cuore la chiamata ad assumere questo nome:
Francesco. Nel Concilio se n’era parlato, della « Chiesa po-
vera e dei poveri », e con parole vibranti, ma alla fin fine

12
  Papa Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Sollicitudo rei
socialis, 30 dicembre 1987, n. 42.
13
  Papa Benedetto XVI, Discorso alla Sessione inaugurale della
V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinamericano e dei Caraibi, Apa-
recida, 13 maggio 2007.

118
in modo ancora marginale.14 Mentre Paolo VI, nell’Eccle-
siam suam, accanto alla carità come qualità specifica della
Chiesa nel nostro tempo aveva voluto segnalare con forza
proprio la povertà.15 Dopo il travaglio acuto della teologia
della liberazione, ma prima ancora e in modo decisivo a
partire dall’esperienza di sofferenza e condivisione di tutta
la Chiesa dell’America Latina (e non solo), non a caso dal
primo Papa venuto “dalla fine del mondo”, a cinquant’an-
ni dal Concilio, questo messaggio risuona chiaro e alto.
Ma di quale povertà si tratta? È presto detto: quella
della Chiesa « povera » e « dei poveri ». E cioè della Chiesa
che vive l’« altissima povertà » di cuore, di mente, di mezzi
che la conforma, direi anzi che la crocifigge alla Croce
stessa del suo Signore: perché da Lui, attraverso la Chiesa,
possa zampillare nel mondo la ricchezza della grazia di
Dio. La povertà che è dono di sé, amore, la povertà che
si vive nella vita di comunione della SS.ma Trinità, dove –
come dice Gesù – « omnia mea tua sunt » (cfr. Lc 15,31), e da
cui rifulge la gloria del Dio Crocifisso.
Ma non solo della Chiesa che vive di e in questa po-
vertà, si tratta, sganciandosi da ogni idolatrica sicurezza di
umano potere e ricchezza, bensì anche di una Chiesa che

14
  Cfr., ad esempio, sul contributo del card. Giacomo Lecaro
all’inserzione di questo tema nella redazione della LG al n.8; cfr.
M. Donati, Il sogno di una Chiesa. Gli interventi al Concilio Vaticano II
del Card. G. Lercaro, Cittadella, Assisi 2010.
15
 Cfr. Ecclesiam suam, nn. 55-56.

119
si vuole e si fa Chiesa « dei poveri ». E cioè che vive con
loro, per loro, in loro: ovunque lo stigma della povertà –
materiale, morale, spirituale – piaga la carne, il volto, il
cuore dell’uomo. Lì è il posto di Cristo. Lì è il posto della
Chiesa. Che è con e per tutti, e per questo non può che
essere con e per i poveri. Anche sotto questo profilo la
conversione e la riforma a partire dal cuore sono chiamate
a coinvolgere gli stili di vita, le strutture, le aspirazioni, i
metri di giudizio e i programmi della Chiesa in missione.

5.  La profezia della « cultura dell’incontro »


Papa Francesco infine, nel solco dell’Ecclesiam suam di
Paolo VI, parla spesso del dialogo come la via decisiva
dell’annuncio del Vangelo. Rivolgendosi ai Vescovi degli
Stati Uniti ha esortato:
Il dialogo è il nostro metodo, non per astuta strategia, ma per
fedeltà a Colui che non si stanca mai di passare e ripassare
nelle piazze degli uomini fino all’undicesima ora per proporre
il suo invito d’amore (Mt 20,1-16). […] Non abbiate paura
di compiere l’esodo necessario ad ogni autentico dialogo! Altri-
menti non è possibile comprendere le ragioni dell’altro né capire
fino in fondo che il fratello da raggiungere e riscattare, con la
forza e la prossimità dell’amore, conta più di quanto contano
le posizioni che giudichiamo lontane dalle nostre pur autentiche
certezze.16

16
  Washington D.C., 23 settembre 2015.

120
Queste parole dicono bene la conversione di cuore, di
mente e di stile che ci è chiesta. E che, del resto, discende
come un tutt’uno coerente e persuasivo dall’assunzione
dello stile sinodale e dall’atteggiamento di misericordia
come qualificanti la missione ecclesiale.
Ma Francesco usa spesso anche un’altra parola per dire
la stessa cosa, forse con un accento più ricco e più concreto:
« Incontro, cultura dell’incontro ». Incontro, infatti, dice che
nel dialogo si ha a che fare con l’altro, con il diverso, verso il
quale si esce, appunto, per venirgli incontro, per accoglierlo,
per scoprirlo, per camminare insieme con lui e fare qual-
cosa di giusto e di bello insieme. Con attesa, con desiderio,
con gioia, anche se bisogna mettere in conto in partenza
che dall’incontro con l’altro potranno venire delle ferite
alle nostre sicurezze, ai nostri consolidati punti di vista e
costumi. Ma in un processo di reciproco arricchimento, in
cui si finisce per sorprendersi di sé e sorprendersi dell’altro
nella sorpresa delle sorprese: che è l’amore di Dio per tutti
i suoi figli. Antonio Rosmini usa un eloquente neologismo
per esprimere questo imperativo etico in cui si traduce la
vocazione della persona umana: inaltrarsi.
Il cristianesimo, in fin dei conti, è la religione che –
contemplando Dio che è Uno e Trino ed è Creatore – af-
ferma a tutto tondo: « È bene che l’altro sia! ».17 Il Padre
e il Figlio, il Creatore e la creatura, l’uomo e la donna, i

17
  L’espressione è di H.U. von Balthasar nella sua “Teo-dram-
matica, V, tr. it., Jaca Book, Milano 1996, p. 70.”

121
diversi popoli, le diverse culture e tradizioni. L’alterità e la
diversità, ben intese, non sono principio del relativo, ma del
relazionale, non dell’anarchia ma dell’armonia nella ricchez-
za e nella gioia dello Spirito Santo. Anche qui, non c’è una
chiave di volta per riformare lo sguardo e l’agire della Chie-
sa e renderli più conformi allo sguardo e all’agire di Gesù?
Con un esempio semplice e netto, papa Francesco ta-
glia corto: o si costruiscono ponti o si alzano muri! Tertium
non datur. È questo il principio pratico – psicologicamente
e spiritualmente di evidenza lampante – dell’antropologia e
della sociologia cristiana in quanto esse sono, per definizio-
ne, essenzialmente e profeticamente trinitarie. Non è nep-
pure il caso di sottolineare quanto questo principio sia rivo-
luzionario – dal punto di vista religioso, ma anche culturale,
sociale, politico ed economico – per il contributo decisivo
che la Chiesa è chiamata a offrire, sulla scia della Gaudium
et spes e della dottrina sociale della Chiesa dalla Popolorum
progressio di Paolo VI passando per la Caritas in Veritate di
Benedetto XVI per giungere alla Laudato si’ di Francesco, al
fine di determinare le linee-guida per il cambio di paradig-
ma culturale complessivo nella cui gestazione è impegnata
oggi – senza possibilità di rinvio – l’umanità intera. Un pa-
radigma che ha da investire il modo d’immaginare e gestire
le relazioni sociali, politiche, economiche con uno sguardo
che muove dai poveri, dagli emarginati, dagli scartati, dalle
periferie geografiche ed esistenziali, e di guidare e plasmare
lo sviluppo tecnico-scientifico secondo una logica determi-
nata dalla cura della casa comune.

122
Senza dimenticare che la questione oggi decisiva per
poter fare tutto questo – come abbiamo sottolineato – è
quella di « ripensare il pensiero ». La cultura d’ispirazione
cristiana e il genio pedagogico che ispira la Chiesa non
possono restare ai margini né debbono giocare soltanto
di rimessa in quest’impresa decisiva, ci esorta papa Fran-
cesco. Occorrono fede risoluta nella potenzialità umani-
stica senza pari del Vangelo, assunzione responsabile di
una straordinaria eredità di pensiero e di azione, lucidità
di visione e coraggio d’intraprendere con responsabilità e
guidati dallo Spirito Santo vie nuove e rispondenti al kairós
di Dio nel nostro oggi.

***
Misericordia, sinodalità, povertà, incontro. Ci sono altre pa-
role nel messaggio che lo Spirito oggi ci rivolge come im-
pulso della riforma e della conversione spirituale e pasto-
rale. Ma senz’altro queste parole invitano con illuminata
intelligenza della fede a un esame di coscienza e a un salto
di qualità. « La riforma della Chiesa – ha detto papa Fran-
cesco – non si esaurisce nell’ennesimo piano per cambiare
le strutture. Significa invece innestarsi e radicarsi in Cristo
lasciandosi condurre dallo Spirito. Allora tutto sarà possi-
bile con genio e creatività ».18

18
  Papa Francesco, Discorso ai rappresentanti del V Convegno na-
zionale della Chiesa italiana, cit.

123
INDICE

Abbreviazioni . . . . . . . . . . . . . . 4
Prefazione alla collana . . . . . . . . . . . 5
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . 11
Capitolo I
Ignazio di Loyola e il “di più” del Vangelo in
un Papa che si chiama Francesco . . . . . . 13
1.  Il Vangelo “sine glossa” . . . . . . . . . . 13
2.  “Nuestro modo de proceder” . . . . . . . . . 16
3.  “Contemplativi in actione” . . . . . . . . . . 19
4.  Il discernimento nello Spirito . . . . . . . . . 25
5.  La povertà “forma Ecclesiae” e “missionis” . . . . 29

Capitolo II
Fedeltà creativa: la tradizione teologica, il Va-
ticano II, la rilettura del Vangelo nell’oggi 35
1.  Nello spirito di Tommaso d’Aquino . . . . . . 35
2.  Agostino e il primato della grazia e della carità . . . 37
3.  Basilio Magno e lo Spirito Santo artefice di armonia . 42
4.  I perenni pilastri della teologia di San Tommaso . . 45
5.  San Bonaventura e le “vestigia” della Trinità . . . 49
6.  I precursori del rinnovamento e Romano Guardini . . 51

125
7.  Il Vaticano II e Paolo VI . . . . . . . . . . 59
8.  Il cammino della Chiesa e della teologia in America-
Latina e in Argentina, il documento di Aparecida 65

Capitolo III
Dire Dio oggi nel suo dirsi col Vangelo di
Gesù . . . . . . . . . . . . . . . . 71
1.  Ripensare il pensiero . . . . . . . . . . . 71
2.  L’incontro con Gesù Cristo come principio e come misura 73
3.  Al cuore del kerygma con un linguaggio nuovo . . . 78
4.  La carne e il mistero . . . . . . . . . . . 83
5.  Il tempo come kairós e come processo . . . . . . 86
6.  L’armonia delle differenze . . . . . . . . . . 88

Capitolo IV
Nella sequela gioiosa del Vangelo per “genera-
re relazioni nuove” nel mondo . . . . . . 91
1.  Col Cristo pasquale al cuore del mondo . . . . . 91
2.  La maieutica della “nuova creazione” . . . . . . 93
3.  La carne è la via di Dio . . . . . . . . . . 94
4.  Allargare l’interiorità . . . . . . . . . . . 97
5.  Il senso del mistero . . . . . . . . . . . . 100
6.  Lo stesso modo di sentire, pensare e agire di Gesù . . 103

126
Capitolo V
Quattro parole per la riforma della Chiesa . 105
1.  La Chiesa, un Popolo a servizio dell’avvento del Regno
di Dio . . . . . . . . . . . . . . . . 105
2.  « La medicina della misericordia » . . . . . . . 110
3.  Sinodalità: ciò che Dio si aspetta dalla Chiesa . . . 115
4.  « Chiesa povera e dei poveri » . . . . . . . . . 118
5.  La profezia della « cultura dell’incontro » . . . . . 120
Indice . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125

127
TIPOGRAFIA VATICANA

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