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Paolo De Luca
Centro Studi Confindustria
Viale dell’Astronomia 30
00144 Roma
Tel. 06 5903273
Fax 06 5918348
E-Mail p.deluca@confindustria.it
Abstract
JEL Classification: J 31
Indice
1. Introduzione……………………………..………………..5
3. Le retribuzioni……………………………….……………8
4. La contrattazione decentrata…………….…………….….10
7. I redditi da lavoro…………..…………………………….17
8. Conclusioni………………………………………………18
Appendice metodologica…………………..………………….22
Riferimenti bibliografici…………………………..…………...25
1. Introduzione
5
fenomeno di slittamento salariale legato alla contrattazione decentrata
e alla riforma del sistema di inquadramento del personale attuata nel
1999.
2. Il numero di dipendenti
Tra il 1992 e il 1999, per la prima volta dopo più di venti anni
di ininterrotta crescita dei dipendenti, passati da 2.365.000 unità del
1970 a 3.569.000 nel 1992, la pubblica amministrazione ha visto una
riduzione di circa 174.000 unità di lavoro, pari a una variazione del
5% (tab. 1). Un risultato ottenuto grazie alle politiche di
contenimento delle assunzioni che erano state avviate già da alcuni
anni, ma all’inizio senza successo, all’interno di un generale disegno di
riduzione della spesa pubblica. Fin dal 1988, nelle leggi di
programmazione economica, erano state previste regole per
contenere la crescita dei dipendenti, soprattutto attraverso la
indicazione di limiti percentuali alla possibilità di sostituire il
personale cessato dal servizio. All’atto pratico, le numerose deroghe
concesse al divieto di assunzione, che peraltro già prevedeva
numerose eccezioni, avevano del tutto vanificato gli obiettivi di
contenimento del personale pubblico.
A partire dal 1992, venivano adottati criteri più stringenti, in
particolare attraverso una complessa operazione di aggiornamento
delle piante organiche, sulla scorta di un sistema di misurazione dei
carichi di lavoro, che interessò tutte le amministrazioni pubbliche.
Tale intervento, accompagnato da maggiori vincoli nella possibilità di
ricorso a deroghe al divieto di assunzioni, determinò una sostanziale
invarianza del numero complessivo del personale della pubblica
amministrazione nel 1992 e, nei sette anni successivi, una lenta ma
continua riduzione di personale. Va sottolineato che in nessuno di
questi anni è stato attuato un blocco totale del turnover; il tasso di
assunzione (Ministero del Tesoro, 1998) si è mantenuto infatti
mediamente sopra il 3%, equivalente all’ingresso di circa 100.000
6
nuovi dipendenti l’anno, pur restando, evidentemente, al di sotto del
tasso di cessazione.
2
A questo incremento percentuale, hanno contribuito (Ministero per la
Funzione pubblica, 2002) per lo 0,6% le Forze dell’ordine, con 10.727
dipendenti in più rispetto al 2000 (anno in cui si era però avuto un calo di
9.735 dipendenti rispetto al 1999). E’ proseguita invece la diminuzione,
0,2%, dei dipendenti dei ministeri e degli enti pubblici non economici, grazie
anche al decentramento amministrativo che ha comportato, nel solo biennio
7
3. Le retribuzioni
8
anche ricordare che nel 2003 sono in corso, e dovrebbero completarsi
entro l’anno, i rinnovi contrattuali, relativi al biennio economico
2002-03. I contratti già rinnovati (ministeri scuola e enti pubblici non
economici) stabiliscono aumenti percentuali del 6-7% compresa
l’erogazione degli arretrati relativi al 2002, ed è plausibile che i rinnovi
in corso per gli altri
9
contrattuali in corso. Tra le amministrazioni locali, risulta più elevata
la dinamica delle retribuzioni del personale della sanità (+6,3%)
rispetto a quella di regioni province comuni (+5%).
Per queste ultime, il Conto Annuale (Ministero del Tesoro,
1994, 1999) consente un’analisi più approfondita, anche se con dati
meno aggiornati, di quanto non sia possibile fare con i dati Istat
finora analizzati. Le due fonti si basano su dati parzialmente diversi
(in particolare il Conto Annuale fa riferimento a dati di cassa, l’Istat a
dati di competenza); le differenze tendono comunque ad attenuarsi
ove si considerino non gli scostamenti da un anno all’altro, ma le
variazioni di un periodo temporale più ampio. Nella tabella 3, si vede
innanzitutto come, tra il 1994 e il 1999 (la scelta del periodo è stata
condizionata dalla disponibilità di dati sufficientemente omogenei), il
contributo maggiore alla crescita delle retribuzioni pro capite, 5% nel
totale dell’aggregato degli enti territoriali, venga dai comuni4, con un
variazione percentuale media annua del 5,2 rispetto al 4,7% delle
province e al 3,7% delle regioni.
4. La contrattazione decentrata
10
Tab. 3 Composizione retribuzioni di fatto pro capite*
1994 1999 1995-1999
euro euro Var % media
annua periodo
Regioni province comuni
totale retribuzione 15.899 19.860 5,0
di cui fissa 13.958 16.729 4,0
di cui accessoria 1.942 3.131 12,3
Regioni
totale retribuzione 20.247 23.949 3,7
Di cui fissa 17.710 19.542 2,1
Di cui accessoria 2.536 4.406 14,7
Province
totale retribuzione 15.556 19.213 4,7
Di cui fissa 13.723 16.516 4,1
Di cui accessoria 1.832 2.696 9,4
Comuni
totale retribuzione 15.397 19.414 5,2
Di cui fissa 13.516 16.392 4,3
Di cui accessoria 1.880 3.022 12,1
Unità sanitarie locali
totale retribuzione 22.264 27.726 4,9
di cui fissa 15.519 20.286 6,1
di cui accessoria 6.745 7.440 2,1
Ministeri
totale retribuzione 18.552 22.007 3,7
di cui fissa 14.427 17.144 3,8
di cui accessoria 4.125 4.863 3,6
*Al netto degli arretrati
Fonte: elaborazioni su dati Conto Annuale RGS
11
Nel totale dell’aggregato regioni province comuni, la
retribuzione fissa ha avuto (tab. 3) una variazione media annua del
4%. La variazione del totale della retribuzione risulta però più alta,
5%, poiché l’altra parte della retribuzione, quella accessoria, è
cresciuta con incrementi molto superiori, 12,3% in media annua.
Con la riforma del sistema contrattuale del pubblico impiego
del (legge 29 del 1993), è stata data maggiore autonomia alle singole
amministrazioni anche nella gestione delle politiche retributive e sono
state introdotte, per la prima volta nel pubblico impiego, forme di
contrattazione decentrata. Dai dati dell’aggregato regioni province e
comuni, emerge che, nel periodo considerato, non c’è stato una
diversa distribuzione tra retribuzione stabilita a livello centrale e
quella erogata a livello decentrato, ma un effetto addizionale, con il
risultato di dinamiche sensibilmente più alte di quelle degli altri
comparti.
Per quanto riguarda il ruolo della retribuzione accessoria, e
quindi della contrattazione decentrata, la situazione degli altri settori
si inverte rispetto a quella dell’aggregato regioni province comuni. Gli
esempi riportati nella tabella 3 mostrano come sia stata la retribuzione
contrattata a livello nazionale a contribuire maggiormente alla crescita
del totale delle retribuzioni di fatto, tanto nella sanità, che fa parte
delle amministrazioni locali, che nei ministeri compresi nelle
amministrazioni centrali.
12
Analizzando non più l’aggregato, ma i dati distinti per regioni
province e comuni, emergono andamenti diversificati. Le regioni
hanno avuto infatti una crescita percentuale della parte fissa della
retribuzione, 2,1% l’anno, molto più bassa degli altri enti territoriali.
Nella tabella 4, sono indicati gli importi dello stipendio, la voce
retributiva su cui incidono gli aumenti del contratto collettivo
nazionale. Come si vede, tra il 1994 e il 1999 gli stipendi sono
aumentati con importi sostanzialmente eguali; gli importi degli
aumenti contrattuali nel periodo sono infatti stati gli stessi per regioni
province e comuni. Importi eguali hanno inciso percentualmente
meno nelle regioni che si caratterizzavano per retribuzioni medie
molto più elevate. Al contrario, gli stessi aumenti hanno determinato
una crescita sensibilmente più alta della retribuzione fissa nelle
province e nei comuni, rispettivamente, 4,1% e 4,3% (tab. 3). A
questa crescita si è aggiunta una dinamica piuttosto sostenuta della
parte di retribuzione accessoria, come per altro avvenuto nelle
regioni, con il risultato di dinamiche della retribuzione complessiva
più alte nelle province e nei comuni rispetto a quelle delle regioni.
Il ritardo con cui vengono resi noti i dati del Conto Annuale,
attualmente l’ultimo anno disponibile è il 2000, non consente di
estendere al periodo 2000-02, l’analisi delle componenti della
dinamica retributiva delle amministrazioni locali. Come già detto, in
tale periodo le retribuzioni del comparto hanno avuto, secondo i dati
Istat (tab. 2), una forte crescita, addirittura superiore a quella del
periodo 1993-1999, anche in questi anni. In parte questa crescita è
attribuibile all’ultimo rinnovo (2000-01) del contratto nazionale per la
sanità che ha previsto forti aumenti per tutto il personale medico
(18% nel biennio) e il passaggio automatico al livello di
inquadramento superiore per circa la metà del personale
infermieristico. Anche regioni province e comuni hanno segnato una
dinamica delle retribuzioni di fatto molto più forte di quella media
delle amministrazioni centrali. Contrariamente però a quanto
13
avvenuto per il comparto sanità, la maggiore crescita retributiva nel
comparto regioni province e comuni non è attribuibile al rinnovo dei
contratti nazionali che hanno stabilito aumenti (mediamente circa il
2% annuo nel triennio5) in linea con quelli degli altri comparti. Una
quota consistente, circa tre punti percentuali, dell’aumento medio
annuo (5%) delle retribuzioni delle autonomie territoriali è quindi
dovuta alle politiche retributive delle singole amministrazioni.
La causa dello slittamento retributivo a livello di singole
amministrazioni, è legato a due fattori. Da un lato il riproporsi, per
regioni province e comuni, del problema, già evidenziato per il
periodo precedente, di un’elevata dinamica della retribuzione
accessoria per gli aumenti stabiliti in sede di contrattazione
decentrata. Quest’ultima è stata resa meno soggetta a vincoli nella
determinazione delle risorse da destinare agli aumenti
retributivi dalle leggi sul decentramento amministrativo6. In questi
ultimi anni si è anche aggiunto l’effetto di slittamento
nell’inquadramento del personale, conseguente ad alcune innovazioni
nella normativa contrattuale. Con il rinnovo dei contratti collettivi
relativi al periodo 1998-01, è stato infatti introdotto un nuovo sistema
di classificazione del personale pubblico basato su tre o quattro
(secondo i comparti) aree, caratterizzate per un insieme di contenuti
14
(profili) professionali, ciascuna articolata in più posizioni
economiche7.
Generalmente, la collocazione del personale in un nuovo
sistema di inquadramento comporta di per sé un innalzamento della
retribuzione media. Il nuovo sistema attribuisce inoltre un ruolo
significativo alla contrattazione integrativa, come già detto ora
sottoposta nelle autonomie locali a minori vincoli di natura
economica, nell’individuare i criteri per la progressione economica del
personale all’interno delle aree. Il comparto delle autonomie
territoriali è stato tra i primi a sperimentare il nuovo sistema di
inquadramento (ccnl 31 marzo 1999): l’Aran, l’agenzia negoziale per il
pubblico impiego, ha stimato (Aran, 2002) che nel periodo 1999-01,
rispetto a un aumento complessivo delle retribuzioni di fatto del
personale delle autonomie territoriali, pari secondo le stime Aran al
16,2%, circa il 7% sia attribuibile all’effetto sulle medie retributive di
passaggi di personale in posizioni economiche più elevate.
Anche gli altri comparti della pubblica amministrazione sono
interessati al novo sistema di inquadramento e potrebbero quindi
essere oggetto di analoghi effetti di slittamento nelle retribuzioni di
fatto; è quanto sembra essere già avvenuto per gli enti previdenziali (i
relativi dati non sono riportati nelle tabelle, cfr. nota 1) nei quali le
retribuzioni pro capite sono cresciute del 26% tra il 1999 e il 2002.
15
netta prevalenza della quota di retribuzione decisa nel contratto
nazionale. Nel settore pubblico non esistevano infatti forme di
contrattazione decentrata, istituto solo di recente introdotto nella
pubblica amministrazione, o politiche retributive individuali. Nel
1993, la retribuzione del personale degli enti locali definita a livello
decentrato era ancora pari all’8% (4% nel 1985) della retribuzione
media di fatto e percentuali analoghe si ritrovavano negli altri
comparti pubblici; nel settore metalmeccanico, sufficientemente
rappresentativo dell’industria privata, era pari al 29% (De Luca P. e
Rossi F., 1997).
Evidentemente, quello della pubblica amministrazione
poteva essere definito come un sistema retributivo poco propenso al
riconoscimento della specifica professionalità legata al lavoro svolto e
del merito individuale. Rispetto alla situazione di dieci anni fa, la
situazione è decisamente cambiata anche per l’eliminazione degli
automatismi retributivi, l’indennità di contingenza e anzianità che
avevano un forte peso nel pubblico impiego. Con la riforma del
rapporto di lavoro pubblico decisa dalla legge 29/1993, è stato poi
introdotto il secondo livello di contrattazione collettiva e i successivi
interventi legislativi legati al decentramento amministrativo ne hanno
ampliato la portata. L’obiettivo della legge era proprio quello di
rendere il sistema retributivo più adeguato alle specifiche esigenze di
ciascun comparto della pubblica amministrazione. L’insieme di queste
misure contrattuali e legislative ha contribuito ad assicurare maggiore
spazio alle singole amministrazioni, soprattutto quelle territoriali, nel
determinare le retribuzioni del personale. Nel 1999 (tab. 3) la
retribuzione del personale di regioni province e comuni legata a
politiche delle singole amministrazioni rappresentava circa il 16% del
totale rispetto alla percentuale decisamente inferiore (8%) del 1993.
Resta però da verificare se questo elemento di novità nella struttura
retributiva si sia effettivamente tradotto anche in politiche retributive
maggiormente incentivanti, o non sia stato in realtà, come invece
sembrerebbe8, adoperato come mezzo per aggirare i vincoli decisi a
8La Corte dei conti nella Relazione sul rendiconto generale dello Stato 2000,
ha elencato, tra le patologie della contrattazione integrativa, la distribuzione
16
livello nazionale continuando a erogare aumenti svincolati da obiettivi
di maggiore efficienza.
7. I redditi da lavoro
17
Tab. 5 Redditi da lavoro (var % annue media del periodo)
1993-1999 2000-2002 1993-2002
Amministrazioni pubbliche 2,8 4,5 3,3
di cui:
Amministrazioni centrali 1,9 4,0 2,5
di cui: Stato 1,9 4,0 2,5
Amministrazioni locali 4,5 4,9 4,6
di cui: Regioni, province, comuni 2,5 2,3 2,5
di cui: Enti locali sanitari 3,4 6,9 4,4
Fonte: elaborazioni su dati Istat
8. Conclusioni
18
decentramento amministrativo. Un blocco generalizzato del turnover
determinerebbe certamente anche effetti indesiderati quali
l’invecchiamento del personale e l’impossibilità di reperire sul
mercato nuove figure professionali. Come si è visto però per il
periodo 1993-1999, anche una parziale mancata sostituzione del
personale in uscita può determinare effetti apprezzabili sul numero di
dipendenti.
D’altra parte, forme di controllo delle dinamiche
occupazionali che tengano conto da un lato delle compatibilità di
bilancio e dall’altro delle esigenze dettate dalla funzionalità degli
uffici, diventano problematiche in una situazione in cui restano
sostanzialmente irrisolti il problema della mobilità del personale tra
amministrazioni e quello dell’attuale sistema dei concorsi, che rende
di fatto molto difficile una efficiente programmazione degli organici.
La ripresa, negli ultimi anni, della crescita nel numero dei dipendenti
pubblici è certamente anche riconducibile a specifiche esigenze. Ad
esempio nella sanità è nota la carenza di personale infermieristico;
così anche il forte aumento del personale della scuola nel 2001 può
trovare una giustificazione nell’esigenza di regolarizzare il personale
precario. Sta di fatto che è inevitabile che questi interventi su specifici
settori, attuati al di fuori di una politica organica di gestione di tutto il
personale della pubblica amministrazione, comportino aumenti nel
numero complessivo dei dipendenti, con le relative conseguenze sui
livelli della spesa pubblica.
Per quanto riguarda il controllo delle dinamiche retributive,
negli anni recenti le difficoltà sembrano avere interessato
prevalentemente le autonomie territoriali e la sanità. Differenze nelle
dinamiche retributive dei diversi comparti possono essere motivate
anche dalla necessità di tenere conto di specifici contenuti
professionali e responsabilità, così come è avvenuto nella sanità con il
contratto collettivo 2000-01. Il forte slittamento delle retribuzioni di
fatto nel comparto degli enti locali risulta invece meno comprensibile.
Aumenti superiori alla media di quelli concessi negli altri comparti,
non pienamente motivati da specifiche esigenze, rischiano anche di
dare luogo a rincorse salariali tra comparti. Presentano inoltre aspetti
19
problematici le modalità con cui si vanno definendo i rinnovi dei
contratti nazionali relativi al biennio 2002-03 per circa 2,9 milioni di
dipendenti pubblici su un totale di 3,4. I contratti finora rinnovati
hanno infatti stabilito aumenti per il biennio mediamente nell’ordine
del 6% e di più del 7% per la scuola, superiori non solo a quelli
dell’inflazione programmata, ma anche a quelli dell’inflazione
realizzata.
Dopo circa dieci anni di applicazione della riforma del
sistema contrattuale introdotta con la legge 29/1993, sarebbe forse
opportuno avviare una riflessione sugli effetti da questa determinati.
La riforma ha puntato alla privatizzazione del rapporto di lavoro
pubblico con l’obiettivo di una maggiore efficienza. In parte sono
stati mutuati istituti propri del settore privato, in particolare cercando
di introdurre meccanismi che collegassero la retribuzione dei
dipendenti a obiettivi di produttività. Nello stesso tempo, la riforma
doveva dare una risposta all’esigenza di un maggior controllo delle
dinamiche retributive che negli anni precedenti erano state
particolarmente alte, e questo sembra spiegare qualche eccesso di
centralizzazione contenuto nel sistema.
Si sono però manifestati alcuni problemi, oltre a quello già
segnalato della difficoltà a legare gli incrementi retributivi ad obiettivi
di produttività, che, più che essere attribuibili alle nuove disposizioni
della riforma, sono legati alla concreta attuazione che di questa si è
data. Soprattutto nelle ultime due tornate, si sono avuti forti ritardi,
rispetto alle scadenze fissate, nei rinnovi dei contratti nazionali.
Questa prassi potrebbe non comportare eccessivi problemi se non
fosse per il fatto che, nel settore pubblico, i rinnovi comportano
comunque l’erogazione, in misura piena, degli arretrati relativi al
periodo intercorrente tra la scadenza naturale del precedente
contratto e il momento in cui viene firmato il rinnovo. Nei fatti, si
finisce così per vanificare anche i principi del nuovo sistema di
contrattazione stabiliti nell’accordo del 1993. Appare infatti poco
realistico, e i rinnovi contrattuali in corso sembrano confermarlo, che
gli aumenti retributivi possano essere decisi sulla scorta dell’inflazione
programmata nel Dpef, quando in realtà gia si conosce il dato
20
dell’inflazione realizzata; la corresponsione degli arretrati di uno o
addirittura due anni, non possono non determinare tensioni sulla
dinamica dell’inflazione; gli aumenti sono così determinati senza
poter tener conto dell’effettiva situazione economica che si presenta
al momento del rinnovo contrattuale.
Rispetto al sistema stabilito dalla legge 29, sono state
introdotte due importanti novità: per via legislativa, una maggiore
autonomia per le amministrazioni locali nella contrattazione di
secondo livello; per via contrattuale la riforma del sistema di
inquadramento. Forse è ancora presto, ma qualche dubbio è stato già
manifestato, per giudicare se queste innovazioni abbiano prodotto
risultati positivi in termini di maggiore efficienza e motivazione per i
dipendenti pubblici; dai dati relativi alla dinamica retributiva delle
autonomie territoriali appare certo che hanno comportato, almeno in
questo comparto, dinamiche retributive non in linea con quanto
stabilito nell’accordo sulla politica dei redditi del 1993.
21
Appendice metodologica
22
e la loro retribuzione media. Questo è stato reso possibile dai dati del
Conto annuale della Ragioneria Generale dello Stato, scontando
peraltro alcune inevitabili approssimazioni: i dati sul personale del
Conto annuale sono infatti espressi come numero di dipendenti,
quelli dell’Istat sono unità di lavoro dipendente; il valore delle
retribuzioni medie è riferito a dati di cassa nel Conto annuale e di
competenza nei dati Istat. Per consentire una valutazione degli effetti
delle correzioni effettuate sono riportate di seguito le tabelle A.1 e
A.2 costruite direttamente sui dati resi noti dall’Istat.
Nella tabella 4 sono stati utilizzati i dati del Conto annuale:
l’aggregato regioni province comuni è stato calcolato, per rendere
omogenei i dati con quelli Istat, come media ponderata dei tre
comparti, dato che il comparto “Regioni ed autonomie locali” del
Conto annuale comprende anche altri enti, come ad esempio le
Camere di commercio, considerati tra le altre amministrazioni locali
nei dati Istat.
23
Tab. A.1 Unità di lavoro
var % cumulata periodo
1993-1999 2000-2002 1993-2002
Amministrazioni pubbliche -5,0 2,7 -2,3
di cui:
Amministrazioni centrali -10,3 6,8 -3,5
di cui: Stato -10,3 7,1 -3,3
Amministrazioni locali 2,8 -2,7 0,1
di cui: Regioni, province, comuni -7,6 -9,5 -17,1
di cui: Enti locali sanitari -2,9 1,7 -1,2
Fonte: elaborazioni su dati Istat
24
Riferimenti bibliografici
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25
Working Paper pubblicati
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4. La mobilità territoriale delle imprese dal 1970 ad oggi, di Fabrizio Traù e Massimo
Tamberi, Ottobre 1996
8. Stock e costo del capitale con misure di deprezzamento non geometrico, di Paolo
Annunziato e Ioannis Ganoulis, Febbraio 1997
13. Scambi con l'estero e posti di lavoro: l'industria italiana nel periodo 1980-95, di
Sergio de Nardis e Francesco Paternò, Settembre 1997
26
14. A decade of regulatory reform in Oecd countries: progress and lessons learned, di
Scott H. Jacobs e Marco Malgarini, Marzo 1998
15. Un approccio "interattivo" alla teoria del reddito permanente, di Edoardo Gaffeo,
Giugno 1998
16. Dalle politiche passive alle politiche attive del lavoro: il ruolo della formazione
professionale, di Andrea Montanino, Ottobre 1998
19. La discontinuità del pattern di sviluppo dimensionale delle imprese nei paesi
industriali: fattori endogeni ed esogeni di mutamento dell' "ambiente competitivo", di
Fabrizio Traù, Settembre 1999
20. Investigating the credit channel: a parallel between the US case and the italian
one, di Francesco Paternò, Febbraio 2000
22. Regulation in Europe: justified burden or costly failure?, di Sandrine Labory e Marco
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24. Can tax progression raise employment?, di John P. Hutton e Anna Ruocco,
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26. Employment protection, growth and jobs, di Giampaolo Galli, Aprile 2001.
27
27. Allargamento a Est dell’Unione Europea: gli effetti sul mercato dei beni, di Stefano
Manzocchi e Beatrice Pierluigi, Maggio 2001
33. Judicial branch, checks and balances and political accountability, di Nadia Fiorino,
Fabio Padovano e Grazia Sgarra, Dicembre 2002
34. Tax credit policy and firms’ behaviour: The case of subsidies to open-end labour
contracts in Italy, di Piero Cipollone e Anita Guelfi, Marzo 2003
37. Misure del potere di mercato degli esportatori italiani di beni tradizionali, di Sergio
de Nardis e Cristina Pensa, Giugno 2003
38. Le transizioni dimensionali nelle piccole imprese italiane nel periodo 1995-2000:
un’analisi sui dati Aida e Mediocredito Centrale, di Francesca Sica, Giugno 2003
39. Effects of exchange rate changes on the Italian trade balance: the J-curve, di
Daniele Antonucci, Giugno 2003
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40. Coordinamento della tassazione dei redditi d’impresa nell’Unione Europea, di
Giovanni Rolle, Anna Ruocco e Piergiorgio Valente, Giugno 2003
41. La tassazione dei redditi d’impresa in Italia: La legge delega per la riforma fiscale,
di Fabrizio Carotti e Anna Ruocco, Giugno 2003
42. Hiring Incentives And Labour Force Participation , di Piero Cipollone, Corrado di
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29