multimediali
Domus A, di cui restano solo due ambienti, ma la cui estensione è sicura sia verso Sud che verso Est, dove
forse è da collocare l’ingresso. Quanto ora visibile della sistemazione interna risale alla fase di ristrutturazione
tardoantica, quando è sicuramente identificabile come Domus.
mosaico del tricliinium della
Domus A. Parzialmente
ricostruito virtualmente.
attraverso una soglia in marmo
proconnesio si accede forse a
un piccolo triclinio, come fa
riferimento la presenza, nella
decorazione musiva del
pavimento, di un kantharos
circondato da foglie di vite.
Allestimento e progetto museale
L’elemento multimediale coadiuva e diventa strumento di lettura imprescindibile per il visitatore. Una volta
entrato nel palazzo e sceso nei sotterranei potrai accedere alla domus, rendendoti subito conto che si tratta di
un sito archeologico piuttosto insolito. Il percorso non mostra solo rovine, ma grazie a tecnologie multimediali
come proiezioni grafiche e giochi di luce è stato possibile ricostruire ambienti, mosaici, statue, piscine,
giardini e molto altro. Non mancano neanche effetti speciali come pioggia o addirittura il terremoto. Tutto ciò
non è frutto della fantasia ma di attenti studi da parte di archeologi e storici dell’arte. Una voce celebre, quella
di Piero Angela, guida il percorso illustrando gli ambienti e le abitudini della ricca famiglia patrizia che un
tempo abitava in questa casa e che l’abbellì con dipinti, decorazioni, marmi pregiati, intonaci colorati, colonne,
capitelli.
Grazie agli effetti multimediali portai visitare i vari ambienti della domus: il triclinium dove veniva servito
il pranzo sulla tavola a raggiera, l’atrio con l’impluvium per raccogliere l’acqua piovana, la Sala delle Absidi
dove venivano accolti gli ospiti, la biblioteca, gli ambienti di servizio come la cucina, i depositi, i magazzini,
le stalle. E poi ancora il piano superiore con le piccole stanze da letto che si affacciavano sull’esterno
mostrando il panorama della città.
Le tecnologie multimediali sono uno strumento di grande efficacia al servizio della comunicazione museale.
Ma la loro utilizzazione è stata spesso motivo di contrasto tra gli esperti. Nei primi anni ’90 si era diffusa la
convinzione, almeno in alcuni ambienti, che le tecnologie dovessero invadere il mondo dei musei. Fino al
punto che qualcuno aveva previsto che le visite virtuali avrebbero sostituito le visite reali. Questo entusiasmo
iniziale ha lasciato il posto, nel corso del tempo, ad analisi meno ingenue, più caute e articolate, che hanno
messo in luce quanto sia delicata la questione relativa alla presenza degli strumenti multimediali e della realtà
virtuale all’interno di percorsi museali, in sostituzione o a supporto delle opere esposte.
L’idea particolare di questo progetto è stata quella di mettere le tecnologie al servizio della realtà, per
esaltarla e non per sostituirla, attraverso una nuova tecnica, credo sviluppata per la prima volta almeno in
Italia. La tecnica è quella di “raccontare” i reperti con l’aiuto di particolari effetti di luce proiettati sui reperti
stessi, che servono ad apprezzare i particolari e a ricostruire le lacune.
Un aiuto a capire meglio l’esistente e quindi ad apprezzarne il valore, sottolineando l’unicità e la sacralità
dell’autentico. Abbiamo fatto attenzione a “calmierare” la presenza delle tecnologie e delle immagini virtuali
per non rovinare la magia del luogo, anzi per esaltarla: abbiamo, in un certo senso, dovuto proteggere i reperti
dalla nostra invasione, che infatti è stata trasparente al massimo grado. Quando si accendono tutte le luci, non
appare nessun elemento tecnologico a disturbare i luoghi. Abbiamo numerosi segnali che indicano che il
risultato è di soddisfazione per i visitatori. Questa bellissima esperienza ci ha insegnato che è necessario uno
studio attento delle specificità del luogo per individuare la migliore strategia narrativa che non stravolga il
contesto. Si tratta di rendere “soft” l’utilizzo delle tecnologie multimediali che, solo in questo modo, possono
contribuire all’arricchimento dell’esperienza del visitatore, fornendogli le chiavi di lettura e di
contestualizzazione che rendono la visita più efficace, significativa e, perché no, più piacevole e divertente
Ci sono una serie di effetti immersivi, suoni, voci, rumori, che portano a vivere un’atmosfera coeva a quando
le domus erano abitate. La ricostruzione, dove è documentata (siamo in un ambiente termale) con tutta la
stesura pittorica ricostruita e integrata è suggestiva e il pubblico ha mostrato di gradire; la visita si fa su
prenotazione, con una guida e sono 7 le lingue di riferimento. L’informazione è data dalla voce di Piero
Angela. C’è una notevole attenzione all’uso di espressioni.
Critiche gli impianti, pur essendo abbattuto il costo, sono molto costosi e hanno bisogno di manutenzione e
tecnici. Dopo c’è l’operatore e il custode del museo, ma quasi mai sanno come intervenire. Lo scenario di
blackout, dove tutto si perde, e col tempo non si conserverà mette molta angoscia.
MUSEO ACROPOLI DI ATENE
Il partenone non è ancora completamente greco. Fin dalle incursioni turche e venete, è stato bimbardato
attaccato e ancora prima divenuto Chiesa e Moschea. Solo con la fine della turcocrazia, nel 1830, la Grecia ha
potuto pensare a costruire di nuovo la propria individualità, e lo ha fatto selezionando opere, eventi, tradizioni
dalle radici del passato, della Grecia Classica, innalzando come totem sacri le immagini di opere di quella
cultura. Un passato che non ancora del tutto è tornato a casa, perché i British Museum ha ancora una 80ina di
metri di fregio e una 15 di metope, acquistate dal museo, quindi per gli inglesi non rubate. Almeno però, dal
2009 , sepur in ritardo di 5 anni, un degno contenitore per questo grande passato c’è. Il museo dell’acropoli
costruito da Bernard Tschumi. Nel nuovo clima repubblicano, la voglia di avvicinarsi ai modelli delle città
europee era notevole: ecco che viene aperto un concorso internazionale per un progetto museale per il nuovo
museo dell’acropoli. I primi 3 concorsi, fatti nel 76, 79, 89 vengono invalidati; L’area era già stata selezionata,
a 300 m di distanza dal partenone, alle pendici dell’Acropoli. Viene selezionato nel 200 Tschumi, che crea su
100 pilastri un’enorme costruzione galleggiante sulle rovine e gli scavi sottostanti. I materiali più usati sono
acciaio, vetro e cemento.
Una delle iniziative più rilevanti in campo archeologico, che si attendeva da molti anni. E’ completamente
nuovo. Finalmente Atene raduna un contesto spettacolare, incentrato sui monumenti dell’acropoli; è un evento
di grosso richiamo dal punto di vista della musealizzazione e dei criteri adottato. I finanziamenti speciali ci
sono anche per i beni culturali, per le olimpiadi di Atene, dando una cifra ben superiore al normale.
L’Olimpiadi del 2004 ha portato una ventata di innovazione e rinnovamento anche per Olimpia, Delfi e
Corinto. C’è stato una risistemazione dell’agorà di Atene e del museo del Pireo. Nel 2004 il museo non era
ancora finito e nel 2009 viene inaugurato. Il vecchio museo era incassato nella rupe, con la base in un taglio
nella roccia. Chi visitava i monumenti dell’acropoli vedeva un piccolo sentiero e entrava nel museo. Si poteva
anche non vedere, perché non era segnalato: c’era solo un architrave con scritto MOUSEION. La vecchia sede
risale al 1863 e completata nel 1874. La costruzione
era piccola: occupava il lato corto dell’acropoli; non
potevano ingrandirlo perché dopo c’era il dirupo. Si
pensò, in un’ottica coerente, di collocare lì tutto ciò
che era dell’acropoli, ma in situ non ci poteva stare. I
materiali più utilizzati sono vetro, acciaio e cemento.
Il museo organizza mostre temporanee, visite guidate
ed attività didattiche, e comprende
un auditorium, un negozio, una caffetteria ed un
ristorante con vista sull’Acropoli.
Il Museo dell’Acropoli è completamente accessibile
ai disabili.
Appena arrivati all’ingresso, siamo accolti da una grande scalinata che ci porta dritti alla visione
dell’Hecatompedon, il frontone del primo tempio sull’Acropoli.
Caratteristica del primo piano, all’ingresso , prima delle scale che danno
l’accesso all’hekatompedon, la parete: tutta in cemento, con dei fori
fonoassorbenti, che non sono piaciuti molto alla critica, definite da alcuni
“simili a tessere del domino”
Il pavimento è in pianta di cristallo, con grosse travi, con puntolini scuri,
che danno sì che la gente abbia capogiri perché cammina su una lastra
trasparente. Il vetro riflette il monumento in un gioco di riflessi. Il
percorso espositivo è spiraliforme, a salire. Concetto traslato di salire
verso la perfezione, punta massima.
L’accesso ha i varchi elettronici. Uno mette il
biglietto e entra. Il percorso iniziale è
concepito in salire, con una grande rampa di
accesso, all’inizio leggera; poi prevede una
gradinata che accede al frontone del
partenone, e deve dare l’impressione del
percorso che va a salire e che culmina nelle
parti alte dell’edificio. Le vetrine sono
incassate mentre i reperti di spicco, come
rilievi funerari, sculture in terracotta, korai.
Le didascalie sono fatte con placchette di
acciaio molto sintetiche e scarne.
2 PIANO Resti dall’acropoli arcaica (periodo durante il VII secolo aC, fino alla fine delle guerre persiane
(480/79 aC).)
2.1 Hekatompedon Il primo edificio sull'Acropoli era conosciuto con il nome di Hekatompedon o
Hekatompedos neos - che significa 100 piedi di lunghezza,
2.2 il bosco delle statue: korai, cavalieri e offerte votive Nel lato sud della Galleria, le
raffigurazioni delle giovani donne (Korai), dei cavalieri (gli Hippeis) e molti altri forniscono un quadro
impressionante dell'Acropoli nel periodo arcaico. Fin dal tempo di Pisistrato in poi, il sito dell'Acropoli
ha cominciato a riempire di offerte votive, dedicate alla Dea, sia come segni di pietà che come marchi
di sviluppo finanziario e artistico. Queste importanti offerte erano per lo più statue destinate a
soddisfare la Dea. Le offerte votive furono utilizzate dagli antichi greci per ringraziare gli dei per
averle concesso un desiderio e includevano frequentemente un riferimento al costo relativo. Il tipo, il
materiale e la dimensione delle dediche riflettevano il periodo, lo stato sociale e lo stato finanziario
del devoto. Insomma, compromesso dalla guerra persiana e dalla grande colmata la possibilità di
conoscere la reale posizione delle opere poste come offerta votiva, almeno in questo modo si restituisce
ai fruitori l’immediata suggestione del bosco di statue che doveva esserci in quel periodo. I pilastri
sono tutti in cemento bianco.
3 PIANO Sculture dell’acropoli In cima al nuovo museo è ubicata la galleria del Partenone, posta
attorno ad una corte scoperta e progettata per contenere i marmi che si potranno così vedere dall'Acropoli;
questo piano è condannato ad impolverarsi vuoto.
Come si può evincere dalle foto, fregio, frontone, metope, sono tutte collocate in maniera ottimale per la
visione del fruitore, cambiando la posizione originale in antico. Inoltre, le metope o le parti di fregio non
presenti, sono sostituite da calchi in gesso.
3.1 Il fregio l fregio era costituito da 115 blocchi. Ha una lunghezza totale di 160 metri ed era alto
1,02 metri. Nel processo vengono presentate circa 378 figure umane e divinità e più di 200 animali,
principalmente cavalli. Gru di cavalli e carri occupano gran parte dello spazio sul fregio. La
processione sacrificale segue, con animali e gruppi di uomini e donne che trasportano cerimonie e
offerte. La processione si conclude con il dono del peplo, il dono del popolo ateniese alla statua culto
della dea, un xoanon (statua di legno antico). A sinistra ea destra della scena siedono i dodici dèi del
monte Olympos. Dell'intero fregio che sopravvive oggi, 50 metri si trovano nel Museo dell'Acropoli,
a 80 metri nel British Museum, un blocco isolato nel
Louvre, mentre altri frammenti sono sparsi nei musei
di Palermo, Vaticano, Würzburg, Vienna, Monaco e
Copenaghen .