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Nota sui dazi USA su

acciaio e alluminio
maggio 2018

Background
A fine marzo, Donald Trump ha ufficializzato l’imposizione di dazi sulle importazioni di acciaio e
alluminio, rispettivamente del 25% e del 10%. Le misure, ufficialmente giustificate da motivi di
sicurezza nazionale, promuovono un aumento della capacità produttiva americana. Alcuni
partner strategici, come Ue e i Paesi firmatari del NAFTA, Canada e Messico, sono stati inizialmente
esclusi dallo scopo dei dazi per circa un mese. Nella prima fase della crisi, la risposta della
Commissione, coadiuvata da una posizione ferma e unitaria del Consiglio, è stata tempestiva e
fondamentale per evitare il coinvolgimento delle importazioni europee. A maggio, l’esenzione è
stata prorogata fino al primo giugno, data ultima entro la quale Trump intende concludere un
accordo che garantisca condizioni più favorevoli per le esportazioni statunitensi e una quota che
limiti quelle europee di acciaio e alluminio.
Il contesto internazionale, i precedenti e gli effetti
Nonostante le dichiarazioni a mezzo stampa, le misure non colpiranno direttamente la
Cina. Dalla Repubblica Popolare, infatti, originano solo l’1% delle importazioni di acciaio e
alluminio americane. Almeno inizialmente a subirne maggiormente gli effetti saranno
alcuni fra gli alleati storici degli USA, Canada, Giappone, Corea del Sud e Unione europea.
Tuttavia, le misure colpiranno indirettamente anche la Cina. I regolamenti
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio prevedono infatti che, in seguito a un
innalzamento unilaterale dei dazi, i Paesi membri possano a loro volta alzare i propri,
tramite clausole di salvaguardia, per evitare un aumento delle importazioni causato dalla
chiusura di un mercato. A subirne gli effetti saranno, quindi, l’acciaio e l’alluminio cinesi
utilizzati nelle filiere di produzione in Europa e altrove.

Nel 2002, Bush propose dazi simili per le stesse categorie ma fu costretto a pochi mesi
dalla loro implementazione a ritirarli sotto la pressione degli stessi lavoratori a cui aveva
promesso protezione. Nel settembre del 2003, uno studio della Commissione Americana
per il Commercio internazionale certificò una perdita netta per il PIL americano.

Analogamente, uno studio sulle misure proposte da Trump di Harbor Alluminium, centro
di ricerca che monitora l’industria dell’acciaio USA, ha stimato che un dazio del 10% sulle
importazioni di alluminio permetterebbe all’industria correlata di crescere di circa 1,9
miliardi di dollari. A farne le spese sarebbe però il settore manifatturiero americano che
subirebbe un calo di profitto fra i 12 e i 45 miliardi di dollari nei prossimi 24 mesi. In termini
di posti di lavoro, i dazi su acciaio e alluminio, secondo uno studio realizzato da Trade
Partnership Worldwide, aumenterebbero l’occupazione nelle acciaierie creando circa 33
mila posti di lavoro. A farne le spese, anche in questo caso sarebbero gli operai
dell’industria manifatturiera che subirebbe una perdita di posti di lavoro di circa 180 mila
unità. Le misure, se implementate, determinerebbero, quindi, una perdita netta di 146
mila posti.

A questi effetti, si sommerebbero poi le conseguenze delle contromisure adottate dai


Paesi colpiti. Solamente le misure europee impatterebbero 2,8 miliardi di euro di export
USA. I prodotti colpiti dalle misure sono stati accuratamente scelti per non danneggiare le
industrie europee che impiegano nel proprio processo produttivo merci americane. Fra
essi rientrano: bourbon, riso, succo d’arancia, tabacco, tubi in acciaio e alluminio,
lavandini, griglie, ventilatori e altri prodotti finiti dell’industria dell’acciaio.
Le opzioni e le contromisure europee
Fonti del dipartimento al Commercio, per quanto passibili di smentita da parte di tweet
firmati dal Presidente USA, hanno ribadito che le opzioni per i partner attualmente
esentati dalle misure sono solamente due: i dazi o un auto-limitazione delle proprie
esportazioni per mezzo di una quota massima legalmente vincolante, il cui ammontare
dipenderebbe da altre concessioni. La strategia americana sembrerebbe riscuotere un
primo successo: dividere gli Stati membri. Gli interessi tedeschi, che godono di un
surplus particolarmente marcato verso il mercato USA e le cui auto sono l’obiettivo
dichiarato di Trump, potrebbero, infatti, sviluppare interessi diversi da quelli di altri
partner, francesi in testa.

Il Giappone ha preferito seguire la prima strada e rassegnarsi all’imposizione dei dazi. La


Corea del Sud, al contrario, ha concordato una quota massima sulle sue esportazioni che
scenderanno del 30%.

Nel caso Ue e USA non riescano a trovare un accordo entro giugno, nonostante le visite
di Malmstroem, Macron e Merkel a Washington, la Commissione ha già preparato una
strategia difensiva. Le misure USA colpirebbero l’1% della produzione annua europea. In
queste circostanze, l’Ue, in pieno rispetto delle normative internazionali, risponderà in
maniera proporzionata, ma ferma in modo da bilanciare i diversi interessi economici.

Prima di tutto, l’UE farà ricorso all’OMC insieme ad altri partner per chiedere
l’annullamento delle misure. Il procedimento legale, minacciato dalla mancata nomina
di giudici da parte della delegazione americana, potrebbe però chiedere fino a 3 anni.
Nel frattempo, la Commissione ha già notificato all’OMC il lancio di un’indagine tesa a
identificare un aumento delle esportazioni e, quindi, all’attivazione di clausole di
salvaguardia che ne prevengano un aumento. Il piano presentato dalla Commissione
prevedrebbe, poi, l’imposizione di contromisure, nella forma di dazi, che colpirebbero
2,8 miliardi di esportazioni USA nel mercato comune. I loro effetti si concentrerebbero
per un terzo sui prodotti del settore agroalimentare, come riso, burro d’arachidi, e
bourbon, e per la restante parte sui prodotti manifatturieri in acciaio e alluminio, come
griglie per barbecue, infissi, motociclette, e lavandini. Saranno invece esclusi i prodotti
intermedi utilizzati dall’industria europea.

A subirne maggiori effetti saranno i settori dell’economia agroalimentare rurale


americana degli stati meridionali e centrali, ove il sostegno a Trump è più manifesto, e le
aziende al fondo della catena produttiva di oggetti in acciaio e alluminio che, oltre a
dover sostenere prezzi più alti per la materia prima a causa della stretta sulle
importazioni, vedranno calare la loro competitività sul mercato europeo.

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