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L’ARCHI
verso il Mediterraneo, le cui città,
paesaggi, architetture e produzione
artistiche, hanno per secoli attratto e
TETTURA
ispirato molti viaggiatori colti, studenti
e studiosi, architetti e artisti. Fra i vari
edifici e luoghi presenti in questo libro
-tra Spagna e Algeria fino alla Grecia e
MODERNA E
Turchia- vi sono in particolare modo le
isole greche, e quelle di Ibiza e Capri.
In questa isola del golfo di Napoli dove
ILMEDI
la Casa Malaparte assume il valore
di icona dell’architettura moderna e
contemporanea, si concentra il simbolo
del dialogo tra costruzione e paesaggio,
TERRANEO
tradizione e modernità, architettura e
letteratura.
Un libro denso tra storia, narrazione,
ricerca e divulgazione che non può
mancare nella biblioteca di ogni
architetto e progettista, nonché JEAN-FRANCOIS LEJEUNE
di ogni studioso. E MICHELANGELO SABATINO
0.1.1.Gottfried Semper. Villa Garbald, Castasegna (Svizzera), 1863-65. Foto Ruedi Walti, Basilea.
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Società Inglese dei Dilettanti limitò l’iscrizione a chi avesse Pierre-François Léonard Fontaine a Parigi a Mathurin Crucy in
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sche Lehrbuch, c.1820-1830 sulla base costruttiva e compositiva trasmissione, ibridazione e promozione di nuove invenzioni.
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ciste di pensiero e pratica, era, adesso in modo provocativo, neo-tradizionalismo, ma come iniziali carriere sperimentali con
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essere prodotte in serie, ad un’ architettura dove lo sche-
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Nord-Sud
Jean-François Lejeune e Michelangelo Sabatino
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0.2.1. Curzio Malaparte ed Adalberto Libera. Villa Malaparte, 1937-42. © Foto Jean-François Lejeune.
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La loro attività giocò un ruolo di primo piano nella trasforma- 1919. Si fondava su due tendenze apparentemente condraddit-
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cabilmente proposto nel programma della Bauhaus: “Architetti, Ad eccezione della Storia dell’architettura moderna di Bruno Zevi
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si basavano spesso sulle solide pareti della tettonica stereoto-
0.2.6. Herman Sörgel. “Nuova geografia per la sezione centrale del Mediterraneo. Italia collegata con la
Sicilia e l’Adriatico riempito. Collegamento ferroviario da Europa centrale a Città del Capo. © Herman
Sörgel, Verirrungen und Merkwürdigkeiten im Bauen und Wohnen, Leipzig, 1929.
0.2.7. Le Corbusier. Lettera al sindaco di Algiers, 1933. © Le Corbusier, La Ville radieuse, Paris, 1933.
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André Lurçat completato nel 1932 a Calvi in Corsica, trascu- discorsivo svolto dalla macchina era anche una risposta diretta
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INTRODUZIONE | Jean-François Lejeune e Michelangelo Sabatino
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crociera Patris II da Marsiglia ad Atene come parte del quarto simo secolo deve alla sopravvissuta tradizione vernacolare
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INTRODUZIONE | Jean-François Lejeune e Michelangelo Sabatino
0.2.12. Atelier 5. Vicolo nella Siedlung Halen, Svizzera, 1957-61. © Atelier 5, Terrace houses at Flamatt near
Bern, Switzerland, 1957, 1960, Tokyo : A. D. A. EDITA Tokyo, 1973.
0.2.13. Álvaro Siza. Vicolo nella Quinta da Malagueira, Évora, Portugal, 1977-1998. Foto Jean-François Lejeune.
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nismo mediterraneo” - architettura moderna che risponde alle impossessatisi di una tradizione che, per quanto estranea, riso-
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INTRODUZIONE | Jean-François Lejeune e Michelangelo Sabatino
0.2.16. Yona Friedman. La ville spatiale [La città spaziale], 1958-1962. Fotomontaggio con una fotografia di
Bernard Rudofsky (Architecture without Architects, MOMA, 1964). © Sabine Lebesque and Helene Fentener
van Flessingen, Yona Friedman – Structures Serving the Unpredictable, Rotterdam, NAi Publishers, 1999.
0.2.17. Jørn Utzon. Planimetria diagrammatica della Università di Odense (concorso, 1967). © Jørn Utzon
& Richard Weston, Additive architecture, Mogens Prip-Buss: Edition Blondal, 2009.
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del Ventesimo secolo. Diverse persone cercarono di reagire di Milano, Luigi Moretti pubblicava in Spazio un saggio similare
0.2.18. Cherubino Gambardella. Alloggi popolari, Piscinicola, Napoli, 2012. © Gambardella Architetti.
0.2.19. Álvaro Siza con Juan Domingo Santos. Edificio e Casa a Patio Zaida, Granada, 1993-2006. © El Croquís.
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clima e geografia erano la struttura portante per presentare la ricerca dove era stata lasciata da autori come Sartoris su
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della cultura quali Jean-Louis Cohen, Benedetto Gravagnuolo,
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nuova architettura e urbanistica moderna, che è il risultato E il importante testo di Franco Cassano Il pensiero meridiano
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Saverio Muratori, assieme alla tesi di Maurice Halbwachs
sulla “memoria collettiva”. L’interesse di Rossi nelle architet-
ture vernacolari esistenti sono state discusse nella
panoramica delle ansie teoretiche e nelle strategie di
progettazione: l’ar-chitetto spagnolo sottolinea “la nostalgia
della costruzione razionale dell’architettura vernacolare” di
Rossi in relazione al progetto di Borgo Ticino influenzato dalle
costruzioni locali sul lago40. Rafael Moneo continua la
discussione con l’interesse di Rossi verso “l’architettura
anonima” che lo portarono ad inclu-dere spazi urbani, dalla corte
di Siviglia alle case sul delta del Po. Infine, sono i disegni delle
cabine dell’Elba che ci mostrano come la riscoperta del
vernacolo ha dato a Rossi la possibilità di oscillare tra oggetto,
architettura e città.
0.2.24. Le Corbusier. Vista parziale, Il “Cabanon”, Roquebrune St. Martin, 1949. © Foto Jean-François Lejeune.
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dire, quello di riprendere alcuni principi basi del dialogo tra persiane, e di altri elementi mozarabici che aveva incontrato in
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L’architetto ungherese Marcel Breuer ha utilizzato muri di pietra Wasiutynski and Anne Dymond, Modern Art and the Idea of the Mediter-
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0.2.25. Joaquín Torres García. “La escuela del Sur”, Montevideo, 1935, Fundación Torres García
0.2.26/27. Curzio Malaparte ed Adalberto Libera. Villa Malaparte, 1937-42. Terrazza e scala exterior con
l’allestimento Fixierte Orte [Siti fissi] di Petra Liebl-Osborne, 1994-1999. © Petra Liebl-Osborne, München-Miami.
0.2.28. Joseph Beuys. “Capri-Batterie,” 1985. © Bild-Kunst, Bonn – Sammlung Schlegel, Berlin. Photo Heiner
Bastian.
0.2.29. Louis Kahn. Vista della città, nº 2, Positano, 1929. © Sue Ann Kahn.
0.2.30. Giorgio Grassi. Vista prospettica del progetto di residenze studentesche, Chieti, 1976-78. © Giorgio
Grassi Architetti.
0.2.31. Aldo Rossi. Fine d’estate, 1980. Foto: Jean-Claude Planchet. © Musée National d’Art Moderne, Centre Georges
Pompidou. CNAC/MNAM/Dist. Réunion des Musées Nationaux/Art Resource, New York.
SUD
Da Schinkel a Le Corbusier
Il mito mediterraneo nell’architettura contemporanea
Benedetto Gravagnuolo
01
Quando diciamo “Mediterraneo” dobbiamo intendere soprattutto lo stupore solare che
genera il mito panico e le immobilità metafisiche”1.
Con queste parole pregne di suggestioni esoteriche Massimo Bontempelli tenta una defini-
zione acrobatica del “mito mediterraneo”: un mito inventato nella piena consapevolezza della
sua improbabilità e che, tuttavia, esercitò una notevole forza magnetica sul dibattito artistico,
letterario e architettonico in Italia e in Francia nei primi decenni del Novecento. Lo attesta una
serie di testimonianze autobiografiche dei protagonisti di quell’esperienza, oltre alle pitture, alle
sculture, alle poesie, alle musiche e alle architetture imbevute di tale suggestione simbolica2.
Carlo Belli ha scritto a tal proposito:
Il tema della mediterraneità e grecità fu la nostra stella orientatrice. Scoprimmo presto
che un bagno nel Mediterraneo ci avrebbe restituito valori sommersi da sovrapposizioni
gotiche e da fantasie accademiche. Esiste uno scambio nutritissimo di lettere tra me, Pollini,
Figini e Terragni su questo argomento. Esistono i miei articoli su vari giornali, in polemica
specialmente con Piacentini, Calza Bini, Mariani e altri invasati di romanità littoria.... Stu-
diammo le case di Capri: come’ erano costruite, perché erano fatte a quel modo. Scoprimmo
la loro tradizionale autenticità, e capimmo che la perfetta realtà coincideva con l’optimum
dei valori estetici. Scoprimmo che soltanto nell’ambito della geometria si poteva attuare il
perfetto gemütlich dell’abitare.... Più tardi questo nostro innamoramento-rivelazione per
il Sud, venne a coincidere con le “posizioni” dei nostri amici di Prélude e ancora più tardi
con quelli di Plans3.
È indubbio insomma che la “mediterraneità”, da non confondere con la “romanità”, alla quale
fu spesso polemicamente contrapposta, rappresentò un’esplicita fonte di ispirazione cui attin-
se una ristretta cerchia di iniziati, italiani e francesi, in stretto contatto tra loro. Ma prima di
addentrarsi in una valutazione nel merito di questa ideologia, analizzando le alchimie verbali
e visive delle “muse inquietanti”, è forse non inutile porsi preventivamente alcuni interrogativi
essenziali 4. Innanzitutto: esiste una “cultura mediterranea dell’abitare”? E, se esiste, in che
misura essa è riconoscibile in sede storica? Ed infine: è possibile riproporla in termini proget-
tuali? Non è facile rispondere a queste domande, ma si può provare riducendo il discorso alla
sua essenza schematica.
E innegabile che il mare nostrum abbia rappresentato per secoli un bacino privilegiato di scambi
commerciali e di conflitti bellici, e dunque anche di trasmissione di cultura. Sulle sue sponde
fiorirono antichissime civiltà storiche (egiziana, cretese-micenea, fenicia, greca...) e sulle sue
acque furono fondati i primi imperi (cartaginese, romano, bizantino, islamico...). Molte affinità di
clima, di tradizioni, di toponimi e perfino di tratti etnici sono riscontrabili lungo le fasce costiere
dei paesi che affacciano sul Mediterraneo. E tra le varie manifestazioni antropologiche quella che
maggiormente registra e conserva i segni di una civiltà sovranazionale è l’architettura. Si badi
però: non l’architettura “colta”, bensì quella “anonima”, espressione di tecniche costruttive ripe-
titive e corali, collaudate da una cultura collettiva dell’abitare sedimentatasi nel corso dei secoli.
Ma una volta riconosciuta—con Fernand Braudel—la legittimità dell’assunzione della “civiltà
del Mediterraneo” come oggetto di analisi storica, resta da chiedersi se e fino a che punto tale
civiltà mostri tratti unitari5. Diviene allora altrettanto chiaro che—nonostante la presenza di
un bacino di scambi comune e nonostante la permanenza di tecniche e di forme legate a une
1.1. Gio Ponti. “Una piccola casa ideale”, 1939. Da Domus 138, 1939.
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longue durée—i villaggi e le costruzioni delle coste mediterranee si sono sviluppati in relazione stretti rapporti con Giovanni Battista Piranesi le cui incisioni dei bianchi ruderi sopravvissuti
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1.3. Karl Friedrich Schinkel. Casa di contadini a Capri, 1804. © Bildarchiv Preußischer Kulturbesitz/Art
Resource, Inv. SM 5.31. Foto J.P. Anders.
piano rinascimentale, le pareti d’intonaco bianco e la volumetria tendenzialmente cubica21. An-
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1.4. Karl Friedrich Schinkel. Pergolato nel giardino del Schloß Charlottenhof, Potsdam, 1826-29. Foto
Jean-François Lejeune.
1.5. Karl Friedrich Schinkel. Padiglione nel parco di Charlottenburg a Berlin, 1824. Foto Jean-François Lejeune.
La stessa infatuazione mistica per l’antica cultura del sud fu decisiva nella formazione degli
architetti neoclassici inglesi: i fratelli Adam, dei quali Robert venne in Italia nel 1764, e George
Dance il Giovane che vi giunse dieci anni dopo16. Ma è soprattutto nell’intérieur delle dimore
private che riusciamo ad ascoltare l’eco di una lontana nostalgia, simile a un canto racchiuso
nel guscio delle conchiglie. Si pensi alla casa di John Soane, prova esemplare dell’importazione
nel nord dell’Europa di moduli tipologici, compositivi e decorativi della domus latina, con la luce
solare che piove dall’alto in un vestibolo memore dell’antico impluvium, gli affreschi pompeiani
della sala da pranzo e la grande galleria a tre piani affollata di eroi, Dei e ogni sorta di reperti
marmorei delle magnifiche rovine17. Come non ricordare poi il salotto napoletano di Sir William
Hamilton dove lady Emma si esibiva in seducenti tableaux vivants ispirati ai dipinti ercolanensi
alla presenza di ospiti illustri provenienti da ogni parte d’Europa? Tra i tanti, vi capitò anche
Wolfgang Goethe, che con le sue entusiastiche descrizioni grafiche e verbali del viaggio in Italia
esportò in Germania il culto dell’apollinea serenità della cultura mediterranea. In una lettera
da Roma all’amico Humboldt, Goethe giunse a confessare che il desiderio di contemplare la
solare quiete visiva del paesaggio italiano era diventato per lui una “malattia dalla quale potevo
guarire soltanto con l’ammirazione”18. È lo stesso male “inguaribile” che costringerà i pittori
Koch e Carstens a non abbandonare più Roma e che indurrà molti giovani architetti tedeschi
ad eleggere l’Italia a terra promessa dell’Arte19.
E per Karl Friedrich Schinkel, che compì il suo Grand Tour nel 1803-4, all’età di ventidue anni,
così come per Gottfried Semper, che vi giunse trent’anni dopo, il viaggio in Italia fu soprattutto
un viaggio nel Classico20. Però, Schinkel non si limitò a disegnare, rivelare e reinventare i
ruderi della magnificenza romana: il suo sguardo si soffermò anche sull’edilizia meridionale
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anonima a lui contemporanea, indagandone la logica e i sistemi costruttivi. Così, quando nel
1828 riceverà da Friedrich Wilhelm III l’incarico di progettare una radicale ristrutturazione del
1.6. Josef Hoffmann. Pompei, 1896. © Archiv Josef Hoffmann, MAK, Vienna.
padiglione nel parco di Charlottenburg, opererà un vero e proprio “trapianto” di una tipologia
1.7. Josef Hoffmann. Casa a Capri, schizzo pubblicato in Der Architekt, 1898. Casa a Pozzuoli e schizzo per
architettonica napoletana, importando nel freddo clima tedesco i balconi e persiane, il tetto
una casa. Da Eduard Sekler, Josef Hoffmann: the Architectural Work, Princeton, 1985. © MAK, Vienna.
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gli scavi di Pompei e le vallate siciliane per trovare conferma alla sua tesi sull’importanza del
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Nelle Scene di pesca l’artista si è significativamente specchiato in un autoritratto immerso in
1.9. Hans von Marées. Affresco sul lato est della biblioteca della Stazione Zoologica (Acquario), Napoli, Realismi magici
1873. Dalla sinistra, i tre personaggi sono Anton Dohrn, fondatore della Stazione, Adolf von Hildebrandt
Nella cultura italiana e francese degli anni Trenta—o meglio in una piccola parte di essa raffinata
(progettista della struttura architettonica degli affreschi), e il pittore Hans von Marées. © Archivio
Stazione Zoologica, Naples. Foto Ralph Goertz / IKS. ed elitaria—ritroviamo distillate e insieme miscelate le suggestioni del filone pittorico e quelle
del filone architettonico. All’”Arte Mediterranea” verrà dedicata una Rivista bimestrale d’arte,
La brezza mediterranea spira ancora dal disegno della villa Fleichner, uno dei suoi ultimi progetti. letteratura e musica, diretta da Jolanda e Mario Pelegatti (edita a Firenze negli anni 1933-36 e, in
Loos avrebbe voluto utilizzare per questa casa sulla costa israeliana le piastrelle maiolicate mo- una nuova veste, tra il 1939 e il 1943), nonché numerose pagine della rivista Colonna, diretta da
nocrome che aveva ammirato nella casa italiana di De Finetti. Il tema dei terrazzi pergolati domina Alberto Savinio (edita a Milano tra il 1933 e il 1934). Sull’”architettura mediterranea” Gio Ponti
la composizione, altra espressione del leitmotiv costante nella sua opera e avviato fin dalla sua scriverà un pamphlet pubblicato a Milano nel 194134. Mediterranee è inoltre il titolo esplicito di
prima costruzione realizzata: la villa Karma sul Lago di Lemano in Svizzera (1904-06), ispirata una raccolta di poesie di Umberto Saba, pubblicata nel 1947.
alla villa edificata da Schinkel per Wilhelm von Humboldt a Tegel (1820-24), nei pressi di Berlino. Del resto, i semi di questa fioritura mediterranea erano già stati lanciati nei primi anni venti dalla
Per Loos dunque, come per Schinkel, i pergolati e i volumi bianchi non hanno confini climatici e rivista Valori Plastici, che costruì un ponte fra la cultura francese e quella italiana di cui l’arte-
regionali, ma rappresentano piuttosto la “moderna” epifania dell’eterno presente del Classico. fice principale fu Gino Severini35. Grazie alla mediazione di questo straordinario ambasciatore
A questo punto vale la pena di rintracciare il filo di Arianna di una linea di elaborazione pittorica dell’arte italiana a Parigi, fin dal primo numero la rivista ospitò interventi di Jean Cocteau, Paul
di notevole importanza storica, alimentata dal cosiddetto “circolo estetico” di Firenze, formato Dermée, André Breton, Louis Aragon, oltre ai saggi di Clavel e di Carrà su Picasso. E il legame
da artisti e teorici d’arte tedeschi della statura di Hans von Marées, Adolf von Hildebrand, The- tra l’artista spagnolo e la cultura storica del mare nostrum non richiede più dimostrazioni dopo
odor Heyse e Conrad Fiedler 32. Il nesso teorico che li legava era una comune riflessione sulle la documentatissima mostra a Villa Medici su “Picasso et la Méditerranée”36. È noto peraltro
leggi immutabili dell’arte, al di là delle mutevoli manifestazioni epocali. Ed è per questo forse che la visita che Picasso compì, insieme a Sergej Djaghilev, a Napoli e a Pompei giocò un ruolo
che essi mostrarono un’ostentata estraneità ai movimenti delle prime avanguardie, tenendo non secondario nel ripensamento pittorico che lo condusse a un ritorno alla figuratività classica.
lo sguardo fisso su uno spazio storico immobile nel suo incessante movimento, come le onde A modo suo Gino Severini si fece interprete del nuovo corso con il pamphlet Du Cubisme au
del mare che Böcklin osservò per ore e ore seduto su di un parapetto di Castel dell’Ovo, senza Classicisme, pubblicato da Povlozky a Parigi nel 192137. Non è questa la sede per addentrarsi in
dipingere, ma solo per comprenderne le leggi e il senso. una ricognizione dei temi teorici agitativi di questo testo denso di pensieri, che attraversa con
Ancora una volta possiamo riconoscere negli interni il lascito di quel pensiero che si è sedi- voli pindarici il cielo azzurro dell’aspirazione all’armonia, sorvolando gli steccati convenzionali
mentato nelle epidermidi parietali. Si pensi agli affreschi dipinti da Hans von Marées nelle della cronologia, senza nascondere le fonti; anzi enumerandole con l’infantile entusiasmo per
sale della Stazione Zoologica di Napoli, fondata nel 1872 dal naturalista tedesco Anton Dohrn. la scoperta: da Platone a Leon Battista Alberti, Luca Pacioli, Leonardo da Vinci, Albrecht Dürer
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DA SCHINKEL A LE CORBUSIER. IL MITO MEDITERRANEO NELL’ARCHITETTURA CONTEMPORANEA | Benedetto Gravagnuolo
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1.10. Giorgio de Chirico. L’enigma del giorno, 1914. © The Museum of Modern Art (MoMA), James Thrall
Soby Bequest / Licensed by SCALA / Art Resource, New York.
1.11. Giorgio De Chirico. Mythologie, 1934. Da Giorgio De Chirico and Jean Cocteau, Mythologie, Paris,
Editions des Quatre Chemins, collezione dell’autore.
1.12. Matila Ghyka. Intervalli pitagorici; Da Matila Ghyka, Le nombre d’or, rites et rythmes pythagoriciens
dans le développement de la civilisation occidentale, Paris, 1931.
1.13. Le Corbusier. Analisi della Villa Garches, 1927;
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fino a Ju!es-Henry Poincaré e Henri-Louis Bergson. Basterà ricordare che quelle riflessioni Regole, sulla magia del Numero. Vi è una sorta di determinazione storica in questo ritorno
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DA SCHINKEL A LE CORBUSIER. IL MITO MEDITERRANEO NELL’ARCHITETTURA CONTEMPORANEA | Benedetto Gravagnuolo
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1.16. Giovanni Pellegrini. Piazza del Villaggio Baracca, Libia, c. 1938. © Archivio Storico TCI, Milano.
1.17. Carlo Enrico Rava & Sebastiano Larco. Albergo agli scavi di Leptis Magna, Libia, 1928-29. Da Domus
44, Agosto 1931.
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spirito meccanico, ma agli eccessi di questo. Non all’impiego dosato, ma all’abuso dei materiali
lucidi, freddi, fragili (metalli cromati, specchi, cristalli colorati, ecc.) costosi, lussuosi. Ripresa
di contatto con i materiali nostri naturali”. E tutto ciò motivato dalla critica al fatto che “nel
tentativo di creare ex-novo il mondo degli oggetti e degli ambienti, si è trascurato di prendere
in esame quanto preesisteva, quanto poteva restare o trasformarsi”56.
Non va dimenticato, infatti, che nel dibattito architettonico italiano tra due guerre il tema della
“mediterraneità” viene agitato con esplicita consapevolezza teorica. Fin dal testo di Presentazione
alla Seconda Esposizione del MIAR (1931), la “tendenza mediterranea” viene scelta dagli architetti
razionalisti come cavallo di Troia per la vittoria della “modernità” contro gli orpelli falso-stori-
cistici della cultura accademica57. A questa Seconda Esposizione non aderì Carlo Enrico Rava,
che nei primi anni aveva rappresentato in un certo senso l’anima teorica del Gruppo Sette. Ma
le divergenze di opinioni non riguardavano la “mediterraneità”, della quale, anzi, Rava fu il più
ostinato osservatore58. Già in un saggio del 1927, egli aveva difeso l’architettura razionale italiana
dalla “accusa di imitazione degli stranieri”, sottolineando come “la naturale propensione all’equi-
librio dei piani ed alla riposata simmetria dei volumi, qualità caratteristica della nostra razza...,
ci distingua profondamente dalle altre nazioni”59. In questo stesso saggio viene inoltre auspicato
un ritorno al “completo riposo delle forme” e alla “creazione lieta, che è retaggio tutto classico
e nostro” proprio in polemica contrapposizione ai tentativi di eleggere le brutte copie dell’archi-
tettura romana come espressioni dello “spirito di un’Italia imperiale”60. I richiami allo “spirito
ellenico” assumono pertanto il senso d’un desiderio di semplicità, armonia, equilibrio di volumi
euclidei, arcaici e primordiali. Non mancano insomma in queste asserzioni motivi sciovinistici,
ma essi non vanno confusi con lo storicismo degli accademici d’Italia. Si obbietterà che si tratta
di sottili differenze all’interno di una comune cultura di “destra”, ma su queste differenze si giocò
una battaglia di linguaggio che assunse spesso i toni violenti dello scontro ideologico talvolta non
solo verbale. Le ragioni che condussero Rava a distaccarsi dal Gruppo Sette e aderire—insieme
all’amico Sebastiano Larco—al RAMI (Raggruppamento architetti moderni italiani fondato dal
Sindacato Architetti nel 1931) vanno ricercate, stando alle sue dichiarazioni, nella critica mossa
“agli errori e i pericoli di un razionalismo troppo spesso ridotto a sterile dogma”61. È evidente la
faziosità di questa critica. Al di là delle enunciazioni verbali, è la sua stessa produzione architet-
tonica che dimostra come la sua poetica, attestata in una prima fase su un intransigente purismo,
si era poi devoluta verso “ricerche di un’ambientazione modernamente coloniale”, elaborate
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“sulla base anti-novecentista di un razionalismo mediterraneo e quindi essenzialmente italico”.
Ne sono esempi probanti i progetti per la Chiesa a Suani Ben-Adem (1930), l’Arco di Trionfo di
1.14. Giuseppe Terragni, Edificio Novocomum, 1927-29. Cartolina, collezione Jean-François Lejeune.
Tripoli (1931), la Villa a Portofino (1933-34) o il Padiglione dell’Eritrea e Somalia (1933-34, tutti in
1.15. Adalberto Libera. Villini della Società Immobiliare Tirrenia, ad Ostia, con architetto sul balcone, 1932-34.
collaborazione con Sebastiano Larco), progetti che prefigurano la stilematica dell’”architettura
© Archivio Libera, Roma.
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coloniale” esportata dall’Italia nei paesi nord-africani e in alcune isole greche, ma che per altri
precedente, sulle tracce di un itinerario concordato con il suo maestro dell’Ecole d’Art di La
Sulle tracce di Giano: antico e moderno nell’Odissea mediterranea di Le Corbusier Chaux-de-Fonds—rappresenta nella sua formazione qualcosa di più di un rituale “petit-grand
“D’ora in avanti parlerò solo con gli Antichi; gli Antichi rispondono a chi sa interrogarli”: così tour”69. La visitazione attenta degli antichi monumenti, spinta fino all’osservazione “tattile” delle
scrive, con tono enfatico, il giovane Charles-Edouard Jeanneret in una lettera del 1908, indiriz- grane e dei colori dei materiali nella luce solare del loro paesaggio naturale, produce l’effetto
zata a Charles L’Eplattenier.68 Il viaggio in Italia—intrapreso tra settembre e novembre dell’anno di un bagno purificatore dalle scorie tardoromantiche dell’insegnamento ruskiniano, che pure
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continua a guidare i suoi passi nelle “matins à Florence”70. Ancor più decisivo in tal senso sarà
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ha già notato Gresleri—nel giardino di casa Jeanneret padre a La Chaux-de-Fonds80. Altrettanto di Istanbul in macchie violacee o verde marcio che si stagliano del mar di Marmara. Insomma
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staura tra gli elementi dell’architettura, ognuno di per sé razionale e simmetrico, ma disposti sul
Viaggi nell’armonia
L’eco mediterranea trova ancora risonanza internazionale nel congresso del CIAM del 1933,
“svoltosi su una bella nave, il Patris II, in crociera da Marsiglia ad Atene”98. Non sottovalutabile
è il valore simbolico che assume questa rotta nel mare nostrum, la cui meta terminale è la mi-
tica Atene. Il viaggio prese avvio il 29 luglio nel porto di Marsiglia, avvolto da un alone esotico
impresso sulla pellicola del film di bordo girato da Laszlo Moholy-Nagy. Gino Pollini ricorda:
Le riunioni avvenivano sui ponti, riparati da tende, in un’atmosfera ventilata, piena di sole
e di luce, sul mare calmo. Erano assenti Gropius, Breuer, e quasi tutto il gruppo tedesco....
1.22. Le Corbusier. Disegni al pastello sovrapposti su illustrazioni originali di John Flaxman dell’Iliade di Del gruppo italiano erano intervenuti Bottoni, Pollini, Terragni e, come appartenente agli
Omero (dialogo Paris-Elena, 1793, edizione Les Portiques, nº 35, November 1954). Da Mogens Krustrup, Amici dei CIAM, P.M. Bardi…. Vi erano inoltre… A. Roth, E. Weissmann, J.L. Sert, che ave-
Le Corbusier: L’Iliade Dessins, Copenhaghen, 1986. © Fondation Le Corbusier, Paris. vano lavorato con Le Corbusier e P. Jeanneret; erano intervenuti come amici: M. Badovici,
direttore de L’Architecture vivante, Bruno-Guardia, giornalista, Ch. Zervos, direttore dei
Lungo questi anni sono diventato un uomo di tutto il mondo. Ho viaggiato attraverso i conti- Cahier d’Art, F. Léger, pittore, A. Jeanneret, il fratello di L.C., musicista, Wintner, medico
nenti. Eppure, ho solo un profondo attaccamento: il Mediterraneo. Io sono un mediterraneo, e redattore di Prélude, ecc. Nel pomeriggio del primo di agosto sbarcavamo ad Atene; il
fortemente.... Il mare mediterraneo, regina di forma e luce. Luce e spazio.... Le mie ricre- giorno successivo era dedicato alla visita della città. Così salivamo sull’Acropoli—noi, con
azioni, le mie radici, devono essere trovati nel mare che non ho mai smesso di amare.... Il emozione, per la prima volta—con Le Corbusier che ricordava i 21 giorni passati lassù
mare è movimento, e infinito orizzonte92. molti anni prima. Su tale memoria egli introduceva, il giorno seguente, il suo discorso Air,
Ebbene, con molta probabilità la chiave dell’enigma va trovata in quel prologo— apparentemente son, lumière…. Il Tempio di Atena Nike, l’Eretteo, il Partenone; tutto ciò appariva regolato
fuori tema—che Le Corbusier pronunciò ad Atene il 3 agosto 1933 durante il IV CIAM: da leggi non scontate…. A capo Sunio, a Delfi, ad Epidauro potevamo nei giorni successivi
In ogni cosa che ho fatto avevo in mente, nel fondo del mio stesso ventre, questa Acropoli.... trovare una ulteriore conferma….99
La verità che avevo colto in questi luoghi ha fatto di me un provocatore, uno che ha qualcosa E più avanti sulla questione del vernacolare “mediterraneo”:
da proporre…. Così mi hanno accusato di essere rivoluzionario…. E stata l’Acropoli a fare di Anche nelle isole l’architettura appariva contrassegnata da regole valide, anche se non
me un ribelle… Lo spirito greco è rimasto simbolo di controllo: rigore matematico e legge sempre palesi, proprie delle tipologie e derivante tra l’altro dai fattori climatici e dai modi per
dei numeri sono alla base dell’armonia…. Questa parola esprime la vera ragion d’essere i singoli edifici di raggrupparsi, ponendosi in relazione col sito. Le popolazioni mediterranee
dell’ora presente…. In nome dell’Acropoli, invochiamo un’armonia forte, efficace, coraggio- apparivano così essersi espresse soprattutto ricercando un rapporto tra la loro povertà e
sa, senza debolezze. Costruisci con spirito netto. Questo è l’ammonimento dell’Acropoli93. un’azione essenzialmente razionale. Il sentimento della tradizione antica era certamente
Si badi: armonia e non simmetria. La parola ha un suo significato ampio, profondo, irriducibile nelle coscienze, ma non potevano affiorare alla superficie dei lavori del Congresso. Ciò,
ai banalizzanti esercizi accademici sulla simmetria bilaterale e assiale. L’ascesi sul colle sa- oltre che probabilmente fuori tema, sarebbe stato inconciliabile con un allora generale,
cro nel ripensamento dell’esprit grec diviene una sorta di percorso iniziatico proteso verso il diffuso ritegno100.
disvelamento del segreto dei numeri che sottende la bellezza delle forme visibili, dal quale Le Troviamo dunque confermata, dalla diretta testimonianza di un progettista, l’influenza che
Corbusier desumerà—a suo modo—i principi neopitagorici dei tracciati regolatori e del fasci- esercitò il fascino indiscreto del mito ellenico perfino su questo intransigente congresso che
no esoterico della sezione aurea: principi che saranno in seguito sviluppati, fino alle estreme sancì i principi della “moderna città funzionale”. Ma quel “diffuso ritegno” cederà il passo di lì
conseguenze logiche, nella teoria del Modulor 94. a poco ad una scoperta apologia dell’antica civiltà mediterranea. Animatore di questa infatua-
Ma forse è soprattutto la lettura delle straordinarie pagine dedicate all’Acropoli da Auguste zione fu soprattutto Le Corbusier, collaboratore in quegli anni, oltre che di Plans, una rivista
Choisy—“questo ingegnere des Ponts-et-Chaussées che ha scritto la storia dell’architettura inequivocabilmente di destra (1930-33), anche di Prélude, un organo “d’action régionaliste”
come nessun altro… che ha compreso ciò che è la vita stessa degli organismi costruiti”95—ad ambiguamente collocato lungo la “linea di demarcazione… tra fascismo et collettivismo” (1933-
indurre Le Corbusier a rivalutare il gioco complesso delle calibrate “dissimmetrie” che si in- 35). E proprio dall’alleanza culturale tra Prélude e Quadrante scaturì l’idea di un “pIan d’orga-
84 85
nisation européenne” tra Francia, Italia, Spagna ed Algeria sulla base di un riconoscimento di
86 87
zale”110. Se si considera che Quadrante di Bardi e Bontempelli, Casabella di Pagano e Domus “mediterraneo”. Ma seppure la relazione al vernacolare continuerà a marcare gli anni 50 (per
88 89
1.25. Luigi Cosenza e Bernard Rudofsky. Villa Oro, Napoli, 1934-37. Da http://www.luigicosenza.it.
1
Massimo Bontempelli, Introduzione e discorsi, Milano, Bompiani, 1945, p. 171. Non bisogna di- 1966; R. Rosenblum, Transformations in Late Eighteenth Century Art, Princeton, NJ, Princeton
92 93
32
Cristina Nuzzi (a cura di), Arnold Böcklin e la cultura artistica in Toscana, Roma, De Luca, 1980. 53
Carlo Belli, “Dopo la polemica,” Quadrante 3, nº 35, October 1936; Luigi Figini, “Novocomum,”
94 95
1987. Sul tema si veda in particolare il saggio di G. Gresleri, “Camere con vista e disattesi itinerari: 84
Stanislaus von Moos, Le Corbusier. Album La Roche, Paris-Milano, Fondation Le Corbusier-E-
96 97
Giulia Veronesi (a cura di), Edoardo Persico. Tutte le opere (1923-1935), Milano, Edizioni di Co- 114
“Ho disegnato iI paesaggio, risponde Malaparte, con un paradosso retorico al maresciallo
98 99
Le politiche della Mediterraneità
2.1. Luigi Figini & Gino Pollini. Villa-studio per un artista, Milan, V Triennale, 1933. Da Catalogo della V
nell’architettura moderna italiana
02
Triennale, Milano, 1933.
Michelangelo Sabatino
Il panorama politico dell’Italia agli inizi del Ventesimo secolo come emergente nazione-stato è stato
plasmato da una complessa interazione di forze reazionarie e democratiche1. Palmiro Togliatti,
che fu a capo del Partito Comunista Italiano dal 1927 al 1964, una volta descrisse il fascismo
come una “ideologia eclettica”, dove un programma sociale democratico poteva coesistere con
gli ideali totalitari2. In questo complesso contesto politico, dai primi anni Venti fino ai primi anni
Settanta in Italia la nozione di un “ideale mediterraneo” agiva da catalista creativo per gli archi-
tetti modernisti. L’ideale di Mediterraneità affondava le radici nel dialogo tra il passato classicista
italiano e l’architettura vernacolare, l’anonima tradizione costruttiva sopravvissuta per secoli
nelle diverse regioni della penisola italiana (e nel bacino del Mediterraneo). Molti degli architetti
che si dedicarono alla perpetuazione della Mediterraneità durante il periodo fascista aderivano
ad un approccio progettuale che rifiutava a priori gli stili tipici dello storicismo del Diciannove-
simo secolo a favore di un approccio “razionale” che considerava la funzione, il contesto e il sito
come catalisti per la progettazione. Si è sostenuto che la questione della Mediterraneità cessò
di essere una forza nell’architettura italiana dopo la caduta del regime di Mussolini3. Se è vero
che i termini del dibattito attorno alla Mediterraneità e a tutte le implicazioni regionali, nazionali e
internazionali cambiarono notevolmente fra gli anni Venti e gli anni Cinquanta, è altrettanto vero
che fosse presente, fra gli architetti che operarono in Italia dopo la seconda guerra mondiale, un
rinnovato interesse verso le tradizioni vernacolari.
Il movimento razionalista, galvanizzato dalle nuove opportunità degli anni della ricostruzione,
gettò le basi per La Tendenza o Movimento neo-razionalista degli anni Sessanta e Settanta, che
spronò una rivalutazione critica dell’eredità razionalista e ben oltre in una mostra alla XV Triennale
di Milano del 1973 4. Fra le critiche alla mostra, ironicamente, furono i commentatori stranieri,
svelti a cogliere la continuità formale fra i “nuovi” razionalisti (Aldo Rossi et alia) e l’architettura
fascista5. Peter Eisenman, nel corso degli stessi anni, incorporò l’architettura del razionalista
Giuseppe Terragni nella propria metafisica formale6. Voglio dimostrare che tale appropriazione—
che coinvolga il classicismo o gli precedenti vernacolari—punta alla continuità piuttosto che alla
rottura durante un periodo storico caratterizzato da tale conflittualità e complessità7.
Subito dopo la guerra, i contadini dell’Italia rurale cominciarono l’esodo dalle campagne per
insediarsi nelle città. Questo enorme influsso di nuova manodopera rese possibile il “miracolo
italiano”, una rapidissima crescita industriale che determinò la grande prosperità degli anni
Cinquanta, soprattutto nelle principali città del Nord. Gli architetti, grazie a pensatori all’a-
vanguardia, soprattutto di sinistra, continuarono ad impegnarsi nelle diatribe in incubazione
negli anni interbellici, come la relazione fra tradizione e modernità , lo scambio fra valori e
condizioni rurali e urbane e le tipologie costruttive per residenze, edifici pubblici e infrastrut-
ture urbane. Questo mio saggio affronta come il perseverante interesse verso le forme e la
materialità delle costruzioni vernacolari diede forma al movimento razionalista e all’ideale di
Mediterraneità sotto il Fascismo, come gli edifici tradizionali realizzati da anonimi capomastri
o contadini venissero “riscoperti” o ri-valutati e riappropriati da architetti educati formalmente
per costruire l’immagine modernista dell’Italia degli anni Cinquanta, e di come tale movimento si
trasformò nel Neo-razionalismo nel corso degli anni Sessanta e Settanta. In senso lato il saggio
traccia la complessa storia di una nazione combattuta fra la propria eredità pre-industriale e
il contemporaneo sviluppo di una nuova identità forgiata dall’intensa industrializzazione post-
bellica e dai profondi tumulti sociali che ebbero inizio con l’Autunno caldo del 1969, sfociati poi
nelle diffuse proteste della classe operaia contro gli industriali.
101
Scrivere del passato, ineluttabilmente, svela le problematiche attuali, e non è un caso che la
102 103
Il giornale Il Selvaggio di Mino Maccari pubblicato fra il 1924 e il 1943 e il giornale L’Italiano di Leo
104 105
la Casa del Sole di Carlo Mollino (1947–1955) nella cittadina alpina di Cervinia, sebbene non stereotomiche delle costruzioni a volta in pietra tipiche del bacino mediterraneo, ma predili-
Nord e Sud
La modernità del Nord fiorente in Germania, almeno finché il regime nazista ne ostacolò lo
sviluppo citando un’artificiosa distinzione fra “modernizzazione” e “modernismo”, era concet- 07
tualizzata attorno alla Industriekultur, un progetto che univa l’arte all’industria 34 . L’ideale
mediterraneo emergente nei paesi del Sud fra gli anni Venti e Trenta era meno definito da questa
sorta di fede nella tecnologia. Sebbene non opponesse resistenza all’innovazione, il modernismo
mediterraneo in Italia, Spagna, Grecia e Francia erano inclini all’utilizzo tanto delle nuove tecno-
logie costruttive e nuovi materiali quanto all’impiego di quelli tradizionali. Fatto salvo il futurismo
di Antonio Sant’Elia, un movimento bruscamente interrotto dalla sua morte prematura e dall’as-
senza di eredi convincenti delle sue idee visionarie, questi modernisti mediterranei erano meno
ansiosi di abbandonare del tutto l’artigianato e i modi tradizionali del fare35. La loro decisione era
tanto il risultato di proposizioni teoretiche quanto delle concrete possibilità disponibili all’epoca, 08 09
date le diverse velocità con cui i paesi del Mediterraneo introdussero l’industrializzazione e
l’industria della costruzione potesse tradurre in pratica tali cambiamenti. 2.7. Luigi Figini & Gino Pollini. Prospettiva, “Casa elettrica”, IV Triennale di Monza delle arti decorative e
industriali moderne, 1930. © Archivio Figini-Pollini, MART, Rovereto.
Nel meno industrializzato Sud, dove la manodopera era relativamente economica, gli architetti
2.8. Gio Ponti. Prospettiva, “Villa alla Pompeiana”, 1934. Da Domus 79, 1934.
tendevano all’esplorazione delle qualità scultoree del cemento armato o “pietra liquida” al
2.9. Luigi Figini e Gino Pollini. Assonometria della Villa-studio per un artista, Milano, V Triennale, 1933.
posto della più costosa controparte, l’acciaio 36. Non solo il cemento armato evocava le masse
© Archivio Figini-Pollini, MART, Rovereto.
106 107
un Razionalismo illuminato. Eppure, c’erano differenze fondamentali su come percepivano la
necessariamente reperibili in natura. Quando scelse l’intonaco rosso mattone per i muri di Casa
Malaparte (1938-1942) a Capri, Curzio Malaparte (con l’architetto Adalberto Libera e il muratore
Adolfo Amitrano) intendeva probabilmente creare un legame diretto con le non troppo distante
rovine di Pompei e le case multicolore dell’isola di Procida—un concetto lontano anni luce dall’a-
strazione dei puri blu, rosso e giallo della casa Rietveld-Schroeder a Utrecht (1924). A conclusione,
per i modernisti mediterranei che aderirono al Razionalismo, la tradizione mitigava la macchina
con la poesia e il liricismo42. È dovuto ai pregiudizi anti-materialisti di numerosi architetti italiani
addestrati alla scuola segnata dal Neo-idealismo di Benedetto Croce che il movimento del Raziona-
lismo sia stato distinto dal Funzionalismo43. Questi erano gli anti-funzionalisti identificati da Adrian
Forty: “La liberazione offerta dal funzionalismo ha avuto breve vita: a partire dalla fine degli anni
Trenta molti della prima generazione di modernisti europei erano ansiosi di non produrre nulla
che potesse venir descritto come ‘funzionalista’44. Sebbene condividessero molte similitudini, il 12
Funzionalismo venne abbandonato perché interpretato come termine che descriveva una risposta
al programma, laddove Razionalismo era idealmente associato ai “primi moderni” e implicava
una traiettoria che andasse dalla Rivoluzione Francese a Le Corbusier45.
Nel dopoguerra, l’ideale mediterraneo ricomparve fra gli architetti italiani, molti dei quali si
identificavano con il Razionalismo ed avevano già lavorato sotto il regime fascista. Invece delle
colonie estive e delle nuove città fasciste, i quartieri popolari per il proletariato operaio presen-
tavano nuove sfide per la professione. Le differenze di opinione sviluppatesi nel corso degli anni
Venti fra gli architetti estremisti del Nord e del Sud che presentavano attitudini ben diverse nei
confronti della tecnologia e della tradizione continuavano a caratterizzare la produzione post-
bellica. Anzi, i segni che il dibattito si andasse allargando fino ad includere diverse generazioni
di architetti cominciarono ad apparire in vari libri e riviste. Il vernacolare del Mediterraneo meri-
dionale cominciò ad essere discusso come fonte del Modernismo tout court nel corso di quegli
anni. Per esempio l’importante saggio di James Stirling su Regionalism and Modern Architecture
(Regionalismo e architettura moderna) pubblicato nel 1957 asseriva che:
13
I capitoli visivamente più stimolanti del recente libro di Kidder-Smith, Italy Builds, non erano
quelli sull’Italiano Moderno e sul Rinascimento italiano, ma quelli sull’architettura anonima
dell’Italia46.
Il saggio di Stirling sul Regionalismo e architettura moderna va compreso nel contesto dei suoi
precedenti articoli su Le Corbusier nei quali l’architetto inglese esaminava la cappella di
2.10. Giuseppe Vaccaro. Colonia AGIP, Cesenatico, 1938. © Archivio Giuseppe Vaccaro.
Ronchamp in relazione alla presunta “crisi del Razionalismo”47. Confrontato dalla perplessità
nata dalle referenze di Le Corbusier al vernacolare mediterraneo nella sua cappella Ronchamp, 2.11. Giuseppe Terragni, Casa Rustici, Milan, 1933-35. Da Domus 13, 1935.
Stirling si domanda: “se l’architettura popolare deve servire a rivitalizzare il movimento, sarà 2.12. Giuseppe Pagano, Franco Diotallevi, and Irenio Marescotti. “Città orizzontale”, 1940. Da Costruzioni-
Casabella, 148, 1940.
prima d’obbligo determinare che cosa è che si considera moderno nell’architettura moderna.”
2.13. Adalberto Libera. Case a patio nell’Unità di abitazione orizzontale a Tuscolano, Roma, 1950-54. Da
Il dibattito sulla “crisi del razionalismo” scatenato da un “irrazionale” Ronchamp (con la sua
Casabella-Continuità 207, 1955.
108 109
L’Italia serve da esempio della difficoltà di una nazione a reinventarsi quando le sue città
110 111
avanguardisti della pittura come il Cubismo e il Purismo. Figini rimproverava i critici per la loro Tradizione e “liricismo” erano ciò che permetteva a questi razionalisti di andare oltre il Funziona-
112 113
Il confronto di Paul Schultze-Naumburg fra un villaggio sull’isola greca di Santorini e il Weis-
Capri e i futuristi
Con l’inizio degli anni Venti Capri era divenuta una destinazione di pellegrinaggio per artisti e
architetti che guardavano con interesse alle sue forme vernacolari per diverse ragioni81. Il clima
di Capri, l’interazione fra architettura e paesaggio, assieme al fatto di essere remota, inspirarono
e rilassarono viaggiatori di tutto il mondo. Dopo la prima guerra mondiale, grazie agli sforzi
del carismatico sindaco Edwin Cerio, un ingegnere divenuto politico (1875-1960), l’isola (come
17 16
la riviera francese e altre destinazioni mediterranee inclusa Ibiza) divenne un rifugio di artisti,
architetti, intellettuali e attivisti della protezione del patrimonio storico ambientale da tutto il
2.15. Virgilio Marchi. “Primitivismi capresi”. Da Cronache d’attualità 6-10, 1922.
mondo. 82 In un discorso fatto nel 1922 al Convegno del Paesaggio a Capri, Filippo Tommaso
2.16. Angiolo Mazzoni, Edifizio postale, Sabaudia, 1934. Foto Jean-François Lejeune.
Marinetti elogiò lo “stile pratico” dell’architettura locale. Egli celebrò l’architettura locale
2.17. Fortunato Depero. Chiesa di Lizzana, 1923. © La Casa d’Arte Futurista Depero, Rovereto.
vernacolare dell’isola per le sue qualità razionali piuttosto che per quelle pittoresche e asserì:
Credo che questa sia un’isola futurista; la sento ricca di un’infinita originalità come se contemporaneo 88 . In copertina riprodusse il progetto di una centrale idroelettrica - uno dei tipi
fosse stata scolpita da architetti futuristi come Sant’Elia, Virgilio Marchi, dipinta da Balla, architettonici più moderni del Ventesimo secolo - che richiama le qualità scultoree e stereo-
Depero, Russolo, Prampolini, e cantata e resa musicale da Francesco Cangiullo e Casella83! tomiche che aveva riprodotto nei disegni delle coste vernacolari di Capri e d’Amalfi pochi anni
Nonostante il suo grido di guerra nel Manifesto del Futurismo del 1909 di “liberare questa terra prima. Nel suo libro così come nel suo Italia nuova, architettura nuova del 1931, Marchi espresse
[l’Italia] dalla puteolente gangrena di professori, archeologi, ciceroni e antiquari,” più di dieci la sua ammirazione per “l’ingegnosa spontaneità” dell’architettura di Capri89. Con questi volumi
anni dopo egli esonerò l’architettura vernacolare, risparmiando la sua ira anti-storicista e Marchi cercò di posizionarsi come l’erede vivente di Sant’Elia, promotore di un’architettura
proclamando che giacevano oltre il flusso della storia dello stile 84. Marinetti vide la bellezza futurista, dopo la prematura fine di quest’ultimo.
e la libertà nel drammatico e imprevedibile paesaggio di Capri perché rifiutava “ogni tipo di Il dialogo sulle tradizioni classiche e vernacolari fra gli artisti e architetti plasmò il modernismo
ordine reminiscente del classicismo”85. italiano interbellico incantato dalla Mediterraneità. Per esempio, l’influente artista e scrittore
I futuristi erano, paradossalmente, interessati sia nel mito della macchina sia nel presunto Carlo Belli fra i collaboratori nel circolo di Quadrante riflettendo sull’interesse nella Mediter-
carattere primitivo dell’architettura vernacolare e dell’arte paesana. L’uso del vernacolare non raneità e nel classicismo (da lui chiamato Grecità) scrisse:
implicava la fine dell’avanguardia, piuttosto un riquadramento dei suoi obiettivi; l’apparente Il tema della “mediterraneità” e “grecità” era la nostra stella polare. Scoprimmo presto
opposizione della macchina prodotta in massa senza un contesto e un paesaggio carico di storia che un bagno nel Mediterraneo ci avrebbe ancora una volta svelato i valori sommersi dalle
in realtà coincidevano e si influenzavano reciprocamente. Nel 1922, Virgilio Marchi (1895–1960), sovrimposizioni gotiche e dalle fantasie accademiche. C’è un importante scambio di lettere
un architetto e scenografo noto per il suo stile futurista-espressionista, in un breve saggio su questo tema tra me, Pollini, Figino e Terragni. Ci sono inoltre i miei articoli su diverse
illustrato, “Primitivismi capresi”86, pubblicato in Cronache d’attualità, la rivista avanguardista riviste, particolarmente polemici verso Piacentini, Calza Bini, Maraini e altri, posseduti dal
di Anton Giulio Bragaglia, elogiò l’architettura vernacolare di Capri e della costiera amalfitana culto per il littorio romano.... Abbiamo studiato le tecniche di costruzione del vernacolare
come ispirazione per i progettisti contemporanei87. di Capri, per capire perché erano costruiti in quel modo. Abbiamo scoperto la loro auten-
Due anni dopo nel suo Architettura futurista (1924), Marchi elaborò sulla “virtù innata dei costrut- ticità tradizionale e abbiamo capito che la loro razionalità perfetta coincideva con i valori
tori primitivi” nella sua discussione sulla relazione tra la tradizione vernacolare e il design estetici ottimali90.
114 115
Nonostante la piattaforma comune e l’apprezzamento per le tradizioni classiche e vernacolari,
18 19
116 117
invocavano alla Mediterraneità erano progettati con questi luoghi in mente. Un’eccezione a questi
118 119
Pavolini però non si limitò ad un’analisi della Toscana; egli elogiò il libro recente di Giovanni La città collinare italiana (e Mediterranea) rivisitata
2.24. Ludovico Quaroni, con Federico Gorio, Michele Valori, Piero Maria Lugli, Michele Agati. Centro del
nuovo villaggio La Martella, Matera, 1954. © IN-ARCH, Rome.
2.25. Vista di una strada nel quartiere INA-Casa Tiburtino, Lotto B, edificio 8, case con ballatoio. Mario
Ridolfi, con L. Quaroni, C. Aymonino, C. Chiarini, M. Fiorentino, F. Gorio, M. Lanza, S. Lenci, P.M. Lugli, C.
2.23. Carlo Levi, “Aliano sul burrone”, 1935. © Collezione privata. Melograni, G.C. Menichetti, G. Rinaldi, M. Valori. © Archivio INA-Casa.
120 121
cittadini proletari113. Cristo si è fermato ad Eboli di Carlo Levi è un racconto autobiografico di campi era volta a migliorare le scarse condizioni igieniche dei “sassi”, le dimore in precedenza
122 123
1
Per una sintesi della storia politica italiana si veda Norberto Bobbio, Profilo ideologico del Nove-
124 125
12
Edoardo Persico, “Punto ed a capo per l’architettura”, in Domus, Novembre, 1934. Ripubbli- 28
Vittorio Magnago Lampugnani, “Razionalismo e Italianità—L’architettura italiana moderna tra
126 127
44
Sul funzionalismo e i suoi critici si veda: Adrian Forty, Word and Buildings—A Vocabulary of La casa all’italiana, Milano, Edizioni Domus, 1933, pp. 7-11. Traduzione inglese in Gio Ponti, In
128 129
73
Lettere di Carlo Enrico Rava a Le Corbusier datata Marzo 1927, in Maria Lamberti, “Le Corbu- Age, Londra, The Architectural Press, 1960, pp. 127-137. Si veda Alessandro d’Amico e Silvia
130 131
18-21; Carlo Cresti, “Mediterraneità e ruralità”, in Carlo Cresti (a cura di), Architettura e fascismo, 118
Si veda Amerigo Restucci, Matera: I sassi, Torino, Einaudi, 1991.
132 133
Il moderno, il vernacolare
e il Mediterraneo in Spagna
Jean-François Lejeune 03
Ho attraversato tutta la terra di Spagna e, in tutti i suoi angoli, ho imparato quanto un’archi-
tettura anonima mi poteva insegnare. Mi sono riempito gli occhi di tutto ciò che l’uomo fa
per se stesso, con la saggezza della necessità sostenuta dalla tradizione locale. Passando
da una sorpresa all’altra, ho imparato a indovinare la misura e la funzione degli spazi che
l’uomo ha costruito per ospitare la sua vita e il suo lavoro, e come ha creato un ambiente
per la vita sociale. Così sono nati e sono stati costruiti i villaggi e le piccole città che ammiro
e da cui ho appreso le leggi nascoste dell’organizzazione spontanea1.
135
modernizzare le arti e l’architettura, per portare la cultura catalana alla pari con le altre culture
Città e campagna
Riassumendo le aspirazioni complesse e spesso contraddittorie dei Noucentistas, Josep Rovira ha
sostenuto che il ritorno alla classicità e alla tradizione mediterranea era in realtà “una maschera
ideologica”, “una copertura ideologica per i programmi, le strategie urbane e i progressi tecno-
logici necessari ad affrontare i problemi da risolvere nella metropoli industriale in tempi di
modernità e di presenza delle masse nelle strade”10. I Novecentisti favorivano la visione di una
Catalogna ben ordinata in cui la vita urbana eclissasse la ruralità. Eppure, quest’ambizione
collettiva non era priva di ambiguità. Si ricorda che, nel 1911, Eugeni d’Ors, allora segretario
dell’Instituto de Estudios Catalanes, pubblicava il romanzo più influente dell’inizio del Nove-
cento in Catalogna, La Ben Plantada. Il romanzo, metà opera di finzione metà saggio filosofico,
poneva la mujer catalana come analogia simbolica della futura società metropolitana: la donna
come dea mediterranea, come incarnazione del valore della terra, come madre e elemento
motore della società. Per d’Ors e per i suoi colleghi, la tradizione era equivalentemente radicata
sia in un ideale del Mediterraneo classico e urbano sia in valori comunitari popolari e rurali.
Ne conseguiva che nell’ambito del processo di modernizzazione della metropoli catalana le
strutture della campagna potevano essere ugualmente convocate per risolvere i problemi
dell’architettura urbana. Nelle parole di Antonio Pizza, questo significava “... un processo di
unificazione simbolica in cui non solo l’architettura sarebbe diventata ‘tellurica’ e la campagna
avrebbe acquisito una patina architettonica, ma anche la donna avrebbe dovuto essere naturale
e ben plantada, spontanea e costruita....”11. Quindi non sorprende che il Mediterraneo e la sua
architettura vernacolare fecero da sfondo alla geografia umana dell’influente romanzo di d’Ors:
... Ora vorrei parlarvi della Ben Plantada, che è sbocciata, più alta delle altre, in questi giorni
di calura e d’oro, in un villaggio estivo molto umile, piccolo e bianco, vicino al vasto azzurro
del Mediterraneo12.
E ancora:
Vedete, quindi, che non c’è nulla di speciale nel piccolo villaggio in cui la Ben Plantada
trascorre l’estate. Non è né rustico, né rozzo, né pittoresco. Non pare nemmeno alla moda,
né selvaggio. Dobbiamo amarlo, però, proprio per la sua modestia, nella quale risiede il
segreto della sua profonda grazia e verità13.
Anche Joaquim Folch i Torres, il grande storico dell’arte catalana, autore di Meditaciones sobre 3.2. Joaquim Sunyer. Cala Forn, 1927. © Museu Nacional d’Art de Catalunya, Barcelona.
3.3. Joan Miró. La Masía (La fattoria), 1921-22. © National Gallery of Art, Washington D.C., Artists Rights
la arquitectura (1916), ha sottolineato l’armonia delle case tradizionali col paesaggio, quando
Society (ARS), New York / ADAGP, Paris.
136 137
fondamentale dell’identità catalana. Come numerosi altri artisti, Joan Miró la usò come una
138 139
con case borghesi ispirate alla Sezession viennese con tratti vernacolari (Casa Trinxet, 1904;
140 141
modo da formare spazi urbani urbanisticamente corretti, senza distorsioni o riduzioni in scala. Il vernacolare e la casa popolare
3.7. Jean Claude Nicolas Forestier. Giardini di Montjuic (Miramar), Barcelona, 1919. Da J.C.N. Forestier,
Gardens; a Note-book of Plans and Sketches, New York, C. Scribner’s Sons, 1924-28.
3.8. Pueblo Español, Barcelona, 1929. Da Pueblo español, 1929, collezione dell’autore.
3.9. Manuel Cases Lamolla, J.M. Monravà Lòpez y Francisco Monravà. Casas Baratas [abitazioni sociali],
Tarragona, 1928-35. Da Ayuntamiento de Tarragona, Spagna.
142 143
per ricercare le condizioni ottimali di standardizzazione, normalizzazione e attuazione35. Come
144 145
per promuovere il suo progetto per un Club Náutico para una Ciudad Mediterranea—un progetto
3.11. Pagine del libro La casa popolare en España, 1930. Da Fernando García Mercadal, La casa popolare en
España, 1930.
3.12. Fernando García Mercadal. Museo-biblioteca Rincón de Goya, Zaragoza, 1927-28. Da www.c-
bentocompany.es.
3.13. Rafael Bergamín. Abitazioni nella Colonia El Viso, Madrid, c. 1934. Da Blanco-Solar, Bergamín, Abril,
Los arquitectos Blanco-Soler y Bergamín, Madrid, 1933.
14
3.14. Sinistra: pagine da A.C. 2, 1931: Confronto di J.L. Sert tra le case dei pescatori sulla costa catalana
(San Pol de Mar) con il complesso residenziale di J.P. Oud al Weissenhofsiedlung di Stoccarda, 1927.
Destra: A.C. 6, 1932: “In Ibiza non ci sono stili storici”. Da A.C., 1931 & 1932.
146 147
colleghi si resero conto che non c’erano contraddizioni reali né contrapposizioni tra modernità e vernacolare delle sue città e suoi villaggi48. Ibiza fu il passo successivo e lì Sert e i suoi amici si
3.15. Copertine dei numeri 1 a 25 del periodico A.C. Da AC Publicación del GATEPAC, Barcelona, Fundación
Caja de arquitectos, 2005.
3.16. José Luis Sert e J. Torres Clavé. Casa “Week-End,” tipo A, Costas de Garraf, Barcelona, 1935. Da
A.C. 19, 1935.
3.17. José Luis Sert e Luis Lacasa. Patio coperto del padiglione della Repubblica spagnola all’Esposizione
di Parigi, Paris, 1937 [“Le Pavillon de l’Espagne. Guernica, Picasso. Fontaine de Mercure, par Alexander
Calder”]. Da Cahiers d’Art 8-10, 1937. © The New York Public Library / Art Resource, NY. 16 17
148 149
Il primo numero di A.C. impostò il tono per la serie di 25 numeri pubblicati tra il 1930 e il 1937. ...Queste condizioni primitive e la struttura patriarcale della famiglia si riflettono in
150 151
molto paziente, riservato e legato alla vecchia tradizione di coraggio individuale di fronte alle
152 153
esibiti e pubblicati nel 42 in un documento analitico di grande qualità tecnica e grafica sotto razionalmente. I progettisti documentarono sistematicamente gli elementi architettonici della
21 22
3.20. Viste aeree di due città nuove dell’Istituto Nazionale de Colonizzazione (I.N.C.). Sinistra: Guadiana 3.21. Alejandro de la Sota (I.N.C.). Schizzo della facciata e della pianta di Esquivel, Sevilla, 1952.
del Caudillo (Francisco Giménez de la Cruz, 1948). Destra: Valdelacalzada (José Borobio Ajeda, 1945). © Fundación Alejandro de la Sota, Madrid.
Da I.N.C. – Memoria octubre 1939-diciembre 1965, Madrid, 1967. 3.22. Alejandro de la Sota (I. N. C.). Vicolo, Esquivel, Sevilla, 1952. © Fundación Alejandro de la Sota, Madrid.
154 155
l’Ebro, il Duero tra Salamanca e Palencia, e il fiume Segura vicino a Murcia. Presumibilmente,
156 157
GATCPAC degli anni Trenta. Allo stesso tempo, volevano dimostrare che il reticolo e l’isolato Coderch e il Gruppo R: il vernacolare da rurale a urbano
158 159
IL MODERNO, IL VERNACOLARE E IL MEDITERRANEO IN SPAGNA | Jean-François Lejeune
26 25
28
27
Le due architetture sono gli estremi opposti, collegati da innumerevoli passaggi continui,
3.25. José Antonio Coderch. Progetto per il complesso di case Las Forcas, Sitges, 1945. © Archivo dello stesso impulso che porta una a staccarsi, e a negare, le cose che non sono comple-
Coderch, Escuela Técnica Superior de Arquitectura del Vallés (ETSAV). Foto. Català-Roca. tamente controllate; nel caso di Gaudí, la rinuncia alla casistica volubile della natura, e
3.26. José Antonio Coderch e Santos Torroella. Vista parziale del Padiglione della Spagna alla IX
il rifugio all’interno del mondo controllato dello spirito, nel caso di Ibiza, l’abbandono di
Triennale di Milano, 1951. Inserite all’interno delle persiane Llambi sono fotografie di architettura
popolare in Ibiza e di Antoni Gaudí (fotografie di Joaquín Gomis). Da Spazio II, 1951. capziosi ragionamenti intellettuali e spirituali a favore del tradizionale, solido come gli
3.27. José Antonio Coderch. Casa di appartamenti de la Marina, La Barceloneta, Barcelona, 1951. oggetti della natura.... Insomma, una particolare architettura rifiuta ciò che l’altra prende
© Archivo Coderch, ETSAV. Foto F. Català-Roca. per buono. Questa di fatto è la legge della vera architettura ovunque, che porta veramente
3.28. José Antonio Coderch. Pianta principale e vista della Casa Ugalde, Caldes de Estrach, 1951.
il marchio del singolo e della collettività107.
© Archivo Coderch, ETSAV. Foto F. Català-Roca.
160 161
La prima fase dell’opera di Coderch-Valls consiste di una serie di residenze relativamente principalmente nel paesaggio urbano, la persiana era di fatto un elemento critico del verna-
162 163
Fisac e Cabrero saranno tra i ventiquattro firmatari del Manifiesto de la Alhambra, scritto sotto la
3.29. Oriol Bohigas, José M. Martorell. Abitazioni di tipo sociale, Calle Pallars, Barcelona, 1960. Da Carlos
Flores, Arquitectura española contemporánea, 1961.
3.30. José Luis Iñiguez de Onzoño e Antonio Vázquez de Castro. Vista di un vicolo, Caño Roto, Madrid,
1956-1957. Da Luis Fernández-Galiano, Justo F. Isasi, e Antonio Lopera, La quimera moderna: los Poblados
Dirigidos de Madrid en la arquitectura de los 50, Madrid, 1989.
164 165
proporzioni guidate da masse semplici, giochi di pieni e vuoti, il ritmo delle masse degli edifici case a due piani, le corsie pedonali strette e i campi da gioco quasi metafisici popolati dalle
166 167
1
José Luis Fernández del Amo, “Del hacer de unos pueblos de colonización”, Palabra y Obra: masía”, pp. 61-67; Joaquim de Camps i Arboix, La masía catalana: Historia-Arquitectura-Sociología,
168 169
34
Carlos Sambricio, Cuando se quiso resucitar la arquitectura, Murcia, Comisión de Cultura del 1933, p. 420. Di fatto, quegli intenditori eccentrici furono i pionieri di quello che sarebbe diventato
170 171
63
Enrique Granell Trías, p. 136. 80
José Moreno Torres, La reconstrucción urbana en España, Madrid, Artes Gráficas Faure 1945,
172 173
92
José Tamés Alarcón, “Proceso urbanistico de nuestra colonización interior”, p. 423. come Sert, dall’altra parte dell’Atlantico, fosse ugualmente interessato a Gaudí, si veda José Luis
174 175
Il vernacolare dal “Habitat Rural” al programma SAAL
La ricezione portoghese del Team X
Pedro Baía 04
Un esame del significato della ricezione delle idee e progetti del Team X sull’architettura porto-
ghese incontra una serie di difficoltà che Dirk van den Heuvel e Max Risselada hanno sottolineato
nell’introduzione del loro libro Team 10: Alla ricerca di una utopia del Presente. “La storia del
gruppo”, scrivono, “sfida la storiografia tradizionale, così come la storiografia più specifico
dell’architettura moderna”1. Si potrebbe dire che il contesto e le idee del Team X portoghese
hanno un rapporto obliquo. Tuttavia, ci sono alcuni segnali che confermano l’importanza e la
pertinenza della presenza del Team X in Portogallo.
Infatti, non c’è modo facile in cui avvicinarsi all’oggetto di studio. In primo luogo, la composizione
del Team X era diffusa, avente un nucleo centrale di diversi architetti che si sono distinte a causa
della loro maggiore presenza e militanza, e un numero di partecipanti invitati cui presenza sia
di natura più irregolare o occasionale. Come un gruppo eterogeneo, Team X ha riunito architetti
da una varietà di origini, con diverse preoccupazioni e punti di vista. In secondo luogo, Team X
era contrario ai dogmi, dottrine e le linee guida tecnocratiche. In quanto tale, la sua intenzione
non era di presentare una alternativa alla Carta di Atene, come la proposta molto discusso
di una Carta di Habitat, o di qualsiasi altro nuovo programma esplicito di azione. Si può dire
che l’assenza di risposte e il “diritto di essere vago”, come Aldo van Eyck lo ha definito, hanno
permesso un dibattito poliedrico, franco e aperto nei primi incontri del Team X 2.
In opposizione al modello burocratico e razionalista del CIAM, Team X ha ridefinito la semantica
del discorso architettonico, favorendo concetti antropologici e lo sviluppo di prospettive più
sensibile alle esigenze socio-psicologiche di identità, di quartiere e di appartenenza. Ha anche
sollevato questioni relative al contesto, la storia, la mobilità, la vita quotidiana, la spontaneità,
così come le domande relative alle abitazione su larga scala, la struttura di una comunità, il
processo partecipativo e il collegamento ad un luogo specifico.
Quindi, la ricchezza dell’eredità di Team X e le sue influenze può essere inteso in termini di
un’eredità open-source che permette una varietà di posizioni intellettuali, non solo per quanto
riguarda l’impatto del gruppo sui dibattiti del dopoguerra di architettura moderna, ma anche per
quanto riguarda il contesto portoghese. La qualità specifica dell’influenza del Team X è definita
dalla struttura del suo discorso. In un testo introduttivo al Team 10 Primer, Alison Smithson ha
scritto quanto sia stato importante lo scambio di idee per il gruppo:
In un certo senso si tratta di una storia di come le idee delle persone coinvolte sono cresciute
o modificate a seguito di contatto con gli altri, e si spera che la pubblicazione di queste idee
profonde, nella loro forma originale, spesso ingenua, permetterà loro di continuare la vita” 3.
I membri del Team X utilizzano spesso la parola idea per distinguersi dall’uso dei concetti
dottrinari del CIAM di norma o linea guida. Idea suggerisce qualcosa di più inclusiva, qualcosa
che può essere appropriato, qualcosa di aperto a derivazione e nuove interpretazioni. In questo
senso, il primo numero della nuova serie della rivista olandese Forum—chiamato “La storia di
un’altra idea”, e che fu distribuito tra gli architetti presenti al 1959 CIAM di Otterlo) rappresenta
un punto di svolta4. Questo numero in forma di manifesto segna un cambiamento programma-
tico sia nel discorso di Forum sia nell’approccio della sua redazione, guidato da Aldo van Eyck
e Jaap Bakema. La copertina del numero consiste in una serie di parole ritagliate e disposte
circolarmente, che illustrano alcuni dei concetti basilari del Team X come ‘gruppo’, ‘cambiamento
e crescita’, ‘identità’, ‘gerarchia di associazioni umane’, ‘come identificare dispositivi’, ‘mobi-
4.1. Copertina di , “The Story of Another Idea” (La storia di una altra idea), 7, 1959 (progettata da Jurriaan
Schrofer). © Foundation AetA.
177
lità’, ‘la plus grande reality du seuil’, ‘l’habitat pour le plus grande nombre’, tra gli altri. Questa
IL VERNACOLARE DAL “HABITAT RURAL” AL PROGRAMMA SAAL LA RICEZIONE PORTOGHESE DEL TEAM X | Pedro Baía
copertura riassunta quello che potrebbe essere considerato l’essenza del Team X—un insieme
di idee che gravitano intorno a un centro indefinito, lasciato vuoto e aperto all’appropriazione.
Quindi, quando parliamo dell’accoglienza del Team X, stiamo parlando dell’accoglienza delle
loro idee, sviluppate ed elaborate sia all’interno del gruppo e sia individualmente, nel più ampio
contesto di una revisione critica del movimento moderno. Team X è stato associato con i linguaggi
facilmente riconoscibili di movimenti come Brutalism e Structuralism, o il concetto di Mat-building.
Tuttavia, Team X non aspirava a qualsiasi tipo di modello specifico, stile o codice formale. Invece,
ha rappresentato una posizione etica socialmente impegnata basata su una profonda riflessione
critica, che ha permesso di soppiantare il carattere strettamente funzionalista del CIAM, la
Carta di Atene e l’architettura associato all’International Style5.
Come ha suggerito Peter Smithson, Team X ha rappresentato un cambiamento di sensibilità che
ha provocato una nuova comprensione delle città, i modelli umani e forme costruite collettive6.
In questo senso, si potrebbe sostenere che questa nuova sensibilità ha permesso una diffusione
del suo discorso nella cultura architettonica portoghese, in parallelo con l’influenza di moder-
nismi nordici e mediterranei. Quindi, se Team X potrebbe essere inteso in un senso più ampio,
come idea costruita nel tempo, su un palinsesto interpretativo collettivo, lo scopo di questo
approccio è quello di aprire un’ipotesi di riflessione della ricezione nei suoi vari sensi, come
cercare di capire il modo in cui Team X è stata interpretata criticamente, diffusa e assimilata
dalla cultura architettonica portoghese. 3
2
Dal ODAM al CIAM
La revisione del modernismo, come avviata da diversi membri Team X nelle riunioni CIAM del
dopoguerra, ha lasciato il segno sulla cultura architettonica portoghese nel 1950. In Portogallo,
l’Organizzazione degli architetti moderni (ODAM) ha fornito la prima occasione per entrare in
contatto con questa profonda revisione programmatica. ODAM, i cui membri includevano gli
ex-delegati CIAM in rappresentanza del Portogallo, è stata fondata a Porto nel 1947. Questo
gruppo giovanile, composto da circa 40 architetti nati tra il 1908 e il 1925, includeva alcuni degli
architetti più importanti e attivi a Porto nel 1950 sia in termini della pratica e l’insegnamento
come Armenio Losa, Viana de Lima, Agostinho Ricca, Mario Bonito, Octavio Lixa Filgueiras,
Fernando Távora e Jose Carlos Loureiro7.
ODAM ha svolto un ruolo fondamentale in Portogallo tra il 1947 e il 1956. Ha affermato lo spirito
di architettura moderna e si è opposto all’architettura monumentale e nazionalista promosso dal
regime autoritario di Oliveira Salazar. Nel 1972, Cassiano Barbosa, uno dei membri più anziani
del gruppo, pubblicò un libro che delineava gli obiettivi principali: “Per diffondere i principi
su cui l’architettura moderna dovrebbe basarsi, cercando di affermare, attraverso il lavoro
dei suoi membri, come la coscienza professionale dovrebbe essere formato e come creare la
necessaria comprensione tra architetti e altri esperti tecnici e artisti”8.
Questo ruolo è stato condiviso con un’ altra associazione, le Arti e le Iniziative Techniche Culturali
(ICAT), fondata a Lisboaa nel 1946 da Francisco Keil do Amaral, Celestino de Castro, Francisco
Castro Rodrigues, João Simões, Francisco Conceição Silva, tra gli altri9. Dal 1946 al 1957 ICAT
ha prodotto la seconda serie della rivista Arquitectura, e ha utilizzato la rivista per pubblicare
testi e opere dei principali autori del movimento moderno, come Le Corbusier, Walter Gropius,
Alvar Aalto, Eric Mendelsohn, Richard Neutra e Marcel Breuer. Inoltre, Arquitectura ha pubblicato
la versione integrale della Carta di Atene in una serie di dodici edizioni tra il 1948 e il 194910.
In questo modo, una nuova generazione di architetti si è riunita in questi due gruppi, a Lisboaa e
Porto, i quali erano ugualmente coinvolti nella promozione di idee di architettura moderna come
antidoto alle linee guida nazionalistiche del regime. Questo atteggiamento politico ha costituito
4.2/3. Pagine da Inquérito à Arquitectura Regional Portuguesa, vol. II, Lisboa: Sindicato nacional dos arqui-
il nucleo ideologico della loro architettura e identità. Nel 1948, entrambi hanno giocato un ruolo
tectos, 1961.
178 179
decisivo nel primo Congresso Nazionale di Architettura organizzato e promosso dall’Unione “manifesto del gruppo ODAM, letta al Congresso e distribuito come un opuscolo, sul problema
IL VERNACOLARE DAL “HABITAT RURAL” AL PROGRAMMA SAAL LA RICEZIONE PORTOGHESE DEL TEAM X | Pedro Baía
Nazionale degli Architetti11. Paradossalmente, l’incontro fu sponsorizzato dal governo, rivelando casa”. Teotónio Pereira osserva che il testo prevede l’attuazione di un programma di edilizia su
così l’ambiguità politica del congresso. Non solo il congresso espresse un forte sostegno per larga scala volto a coprire le esigenze delle persone che vivono in abitazioni precarie.
i moderni principi della Carta di Atene e l’impegno a risolvere il problema degli alloggi, ma Quattro mesi dopo il 1° Congresso Nazionale di Architettura, Viana de Lima scrisse una lettera
rappresentò anche un punto di svolta, un risveglio collettivo di quelli architetti che volevano a Sigfried Giedion, cercando di formare una delegazione portoghese ai congressi CIAM13. La
riconquistare la libertà di espressione e di esprimere una rinnovata e più intensa opposizione prima lettera, nel 1948, è rimasta senza risposta. L’8 marzo 1951 Viana de Lima contatta Giedion
alla dittatura di Salazar. ancora una volta14. Il secondo tentativo fu un successo, suscitando una conferma dell’interesse
Nel suo contributo al congresso, Viana de Lima, un architetto della vecchia generazione ODAM, del consiglio CIAM a ricevere il gruppo portoghese. In seguito di queste lettere, e dei contatti
se pronunciò a favore delle “unità abitative”, concludendo che “i principi guida espressi e defi- stabiliti in precedenza con André Bouxin e Le Corbusier, Viana de Lima e Fernando Távora
niti nella Carta di Atene dovrebbero essere seguite e non adottati solo nelle aree urbane e gli presero parte al CIAM 8, tenutasi a Hoddesdon nel luglio 1951, in qualità di osservatori.
edifici rurali, ma nei piani di sviluppo urbano per tutti i centri abitati”12. Nuno Teotónio Pereira,
nell’edizione in facsimile del verbale del congresso, recupera dal suo archivio personale un Fernando Távora e l’Indagine sull’Architettura Portoghese Regionale
Fernando Távora è stato uno dei 210 partecipanti iscritti al Congresso 194815. Tuttavia, va notato
che lui non ha dato un discorso, o non ha firmato il manifesto degli architetti ODAM. È impro-
babile che la giovane età di Távora fu la ragione per cui non ha partecipato attivamente al
Congresso, dato che nel 1945, aveva soltanto ventidue anni, quando ha pubblicato il suo testo
seminale O Problema da Casa Portuguesa (Il problema della casa portoghese) nel settimanale
Aléo, una pubblicazione tradizionalista con un’inclinazione monarchica e cattolica, a cui suo
padre sottoscriva16.
Il testo di Távora era parte di un più ampio dibattito sul tema della tradizione architettonica
portoghese. Un mese prima, lo stesso giornale aveva pubblicato un articolo intitolato A tradição
na Arquitectura e o ambiente regional (Tradizione in Architettura e ambiente regionale), di Carlos
da Silva Lopes, esperto di araldica. Quest’articolo chiamava per “un’architettura della nostra,
portoghese e regionale” e la creazione di un “movimento con direzione chiara, uno dei tanti, di
reaportuguesamento (inteso come ripristino di una portoguesità) del Portogallo”17. La reazione
di Távora fu di organizzare nei suoi diari le sue osservazioni come risposta a Silva Lopes18.
Il testo-manifesto fece il seguente appello:
Tutto deve essere rifatto, a partire dall’inizio.
05
Denunciava la “falsa architettura” del movimento nazionalista della “casa portoghese”, un
movimento teorizzato da Raul Lino19 e sostenuto dal regime di Salazar:
04
La casa portoghese, nato da questo movimento, non ha in alcun modo portato qualcosa di
nuovo al Portogallo; mentre le basi dell’architettura moderna venivano poste all’estero,
in Portogallo andavano restringendo le nostre attività, cercando di creare un’arte indipen-
dente, unico nel suo genere in questo paese, ma che era del tutto incompatibile con il modo
di pensare, di sentire e di vivere del nuovo mondo nascente. Si potrebbe dire che si trattava
di un’architettura di archeologi, e mai un’architettura di architetti20.
Leggendo l’articolo, Nuno Teotónio Pereira viaggiò da Lisboaa a Oporto per incontrare Távora, e
propose che l’articolo fosse pubblicato in una raccolta di brevi testi sull’architettura. Nel 1947,
Teotónio Pereira e Joao Manuel Leal rendevano omaggio alla importanza del saggio di Távora
con la pubblicazione di una versione riscritta e ampliata del testo in Cadernos de Arquitectura,
questa volta con una distribuzione più ampia e quindi un maggiore impatto21.
Secondo Manuel Mendes, Távora scrisse il suo testo sulla scia di una maturazione delle sue
riflessioni sulla questione della casa portoghese:
Per Fernando Távora, vale a dire a suo tempo della formazione tra il 1939 e il 1952, la casa
portoghese era un tema ricorrente nel suo processo personale di ricezione e di assimila-
06
zione del moderno; un processo segnato da ripetuti conflitti con le sue origini—formative,
4.4. Fernando Távora. Casa estiva Ofir, piano terreno, Ofir, 1957-58. © Fundação Instituto Marques da Silva (FIMS).
culturali e ideologiche, portoghesi, cattolici e monarchici [...] 22.
Jorge Figueira sottolineava che Tàvora aveva utilizzato il testo-manifesto per “posizionarsi … su
4.5. Fernando Távora. Casa estiva Ofir, piano terreno, Ofir, 1957-58. © FIMS.
una piattaforme estremamente insinuante e tattica”23. In effetti, Tàvora stava difendendo una
4.6. Fernando Távora, Casa estiva Ofir, Ofir, 1957-58. © FIMS.
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‘terza via’, una alternativa in posizione intermedia. La ragione è che c’erano due aspetti nella furono alla base dell’Inquérito à Arquitectura Regional Portuguesa [Indagine sull’Architettura
IL VERNACOLARE DAL “HABITAT RURAL” AL PROGRAMMA SAAL LA RICEZIONE PORTOGHESE DEL TEAM X | Pedro Baía
sua affermazione che “la casa popolare ci fornisce con grandi lezioni se correttamente studiata, Portoghese Regionale] per l’indagine sull’architettura portoghese regionale promossa dall’U-
in quanto è la più funzionale e meno fantasiosa …”24 . Da un lato, esprimeva il bisogno di una nione Nazionale degli Architetti25. L’indagine—una missione ambiziosa composta di sei gruppi
ricerca per una vera architettura portoghese, e, dall’altro, affermava che l’architettura porto- distribuiti geograficamente in tutto il paese per intraprendere uno studio scientifico dell’archi-
ghese avrebbe, “se correttamente studiata”, rivelato un grande debito alla logica funzionalista. tettura vernacolare portoghese—è stata lanciata ufficialmente nel 1955 e se terminò cinque anni
Queste preoccupazioni, in linea con un testo pubblicato nel 1947 da Francisco Keil do Amaral, dopo26. I suoi risultati sono stati pubblicati nel 1961 in due volumi titolati Arquitectura Popular
em Portugal27. Fernando Tàvora ha guidato la squadra per la regione del Minho, accanto al suo
collega Octavio Lixa Filgueiras, responsabile del team regionale Trás-os-Montes. Queste due
gruppi del nord hanno condiviso un particolare apprezzamento per le preoccupazioni antropo-
logiche, attestata dalla loro attenzione sul rapporto tra associazioni umane e i loro stanziamenti
spaziali28. Così, è interessante notare che queste domande relative ad identificare i dispositivi
e le strutture comunitarie erano in linea con quelli discussi dal Team X 29.
182 183
creativo più intuitivo, al contrario di un approccio eccessivamente metodico. A Hoddesdon, le In questo contesto, è pertinente ricordare un testo fondamentale in cui Távora ha spiegato il
IL VERNACOLARE DAL “HABITAT RURAL” AL PROGRAMMA SAAL LA RICEZIONE PORTOGHESE DEL TEAM X | Pedro Baía
nuove generazioni che in seguito avrebbero svolto un ruolo centrale nelle sfide interne al CIAM suo approccio progettuale per la casa estiva che costruì a Ofir (1957-58)45. Il progetto si rifaceva
erano ancora disperse, senza alcuna posizione collettiva chiaramente definita. Dunque l’inter- alla “terza via” difesa dieci anni prima nel suo testo del 1947. Tuttavia, come ha ricordato Távora
vento di Le Corbusier incarnava lo spirito di una nuova sensibilità che cominciava a emergere: stesso nel 1986, “l’indagine sulla architettura portoghese regionale era decisiva, poiché ha avuto
Ecco la mia conclusione: bisogna aprire tutto ciò che è spontaneo. Dobbiamo preparare un effetto immediato e diretto sulla casa estiva a Ofir”46. Nel suo testo 1957 Távora ha paragonato
dappertutto elementi molto semplici, luoghi e spazi molto semplici da offrire a che vuole la casa ad un “composto chimico”, in cui sarebbe coinvolto un numero infinito di fattori, fattori
prenderli e dare alle persone l’opportunità di farsi avanti e di fermentare lo spirito moderno con valori variabili, dove tutti vengono presi in considerazione”47. Per l’autore, alcuni fattori non
che può sorgere ora37. sono “nell’ambito delle responsabilità dell’architetto mentre altri appartengono al campo della
Valorizzando la natura spontanea degli spazi informali, Corbusier anticipava il movimento formazione dell’architetto, nonché alla sua personalità”48. Elencando questi fattori—la famiglia
reattivo che prenderebbe maggiore forma nei congressi successivi. Riconoscendo gli errori del stessa, il terreno, il clima, i materiali del luogo, la manodopera locale, la cultura dell’archi-
passato, suggeriva una nuova direzione nella visione programmatica del CIAM: tetto—Távora ha segnalato in un tono autobiografico che “l’architetto ha la sua cultura, plastica
Bisogna evitare di fare architettura preconcetta; dobbiamo lasciare fare il tempo, dobbiamo e lo sfondo umano (per quanto lo riguarda, la casa è più di un semplice edificio)”. Egli conosce il
lasciare fare la vita stessa.... Perché sarete d’accordo con me che non c’è un ‘diktat’ che significato delle parole, come organicismo, il funzionalismo, neo-empirismo, cubismo, ecc., e
possa fare l’architettura. Dovunque è stato tentato ed è stato recentemente provato in allo stesso tempo sperimenta una sensazione profonda di amore senza precedenti per tutte le
diversi paesi. Tutto ha fallito di un capo all’altro. Non credo che andrà meglio continuando manifestazioni architettoniche spontanee che trova nel suo paese”49. In questo modo, secondo
... non ci credo molto 38. la logica del raggruppamento sviluppato da Távora, vari fattori sono stati filtrati criticamente,
Sebbene la relazione del Távora sul congresso di 1951 non sia stata trasmessa ai lettori della portando a diverse forme di appropriazione adattate all’impostazione portoghese.
rivista Arquitectura fino al venti anni dopo, le sue ripercussioni si faranno sentire appena tornato
in Portogallo, nei tertulias, nei caffè e nel suoi contatti con la Scuola Superiore di Belle Arti L’influenza del CIAM 9
di Porto. Scriveva: “Sono convinto che, nonostante tutto, il mio lavoro di insegnante ha reso Il nono Congresso, dedicato al tema Carta del Habitat, si è tenuta a Aix-en-Provence nel 1953,
possibile per la mia esperienza al congresso di essere di una certa importanza per le giovani con la più alta partecipazione del ciclo: 3000 partecipanti, tra delegati, membri e osservatori.
generazioni: chiaramente, essendo stato importante per me, ha avuto ripercussioni anche per Quasi tutte le persone che sarebbero poi andate a formare Team X erano presenti: Aldo van
loro”39. La dichiarazione di Távora era significativa in quanto confermava l’importanza di un Eyck, Jaap Bakema, Georges Candilis, Shadrach Woods, Alison Smithson e Peter Smithson.
processo di trasmissione intergenerazionale. La delegazione portoghese era composta da Viana de Lima, Fernando Távora, António Matos
Veloso, Arménio Losa, Luís Praça e Abelha. Gli architetti portoghesi che sono state coinvolte
Ricezione critica di Fernando Tàvora nelle diverse commissioni e sottocommissioni del CIAM 9 hanno avuto l’opportunità di frequen-
Il giovane Álvaro Siza ha collaborato con Távora tra 1949 al 1955. Siza ricorda che Távora, tare i vari dibattiti segnati dalle attività dei futuri membri del Team 10. Alla luce delle nuove
come membro del CIAM, sentì un forte bisogno di condividere le sue esperienze 40 . La sua preoccupazioni che stavano emergendo, più sensibili allo spazio della comunità, più consape-
appropriazione critica del dibattito sull’avvenire del CIAM negli anni Cinquanta è stato di vitale
importanza per la formazione della Scuola di Architettura di Porto. Secondo Siza, Távora “ha
avuto informazioni dirette e personali che ha trasmesso alla scuola, soprattutto a quelli che
hanno lavorato con lui”41. Non è un caso che alcuni membri della scuola, come Arnaldo Araujo e
Octavio Lixa Filgueiras, riflettevano sulle preoccupazioni sollevato durante gli ultimi congressi
CIAM, quali l’identità, la sociologia o il ruolo sociale dell’architetto. Come afferma Jorge Figueira,
questo “è stato decisivo per la creazione di una sorta di sincronizzazione culturale, via Porto,
tra l’avanguardia europea e la tradizione ideologica fragile dell’architettura portoghese”42.
Nel 1961, Nuno Portas, una figura chiave nella ricezione critica portoghese del dibattito interna-
zionale degli anni Cinquanta, ha sottolineato la posizione privilegiata di Távora come mediatore
di idee tra la Scuola di Porto e il Team X. Nella rivista Arquitectura, Portas scrisse che Távora,
“avendo partecipato alle quattro congressi CIAM negli ultimi dieci anni, [... ] ha avuto l’opportu-
nità di seguire, dal vivo, la crisi che si è verificato nel cuore del movimento moderno (all’interno
dell’indottrinamento che la ha formato), in quanto, non essendo parte dell’opposizione del
Team X al ‘funzionalismo ortodosso’ o il ‘revisionismo italiano’, fu in grado di ottenere una
migliore comprensione delle cause profonde che li separavano”43. Siza ha confermato questa
interpretazione, quando ha ricordato che “dal ultimo CIAM, [Távora ] ha seguito il pensiero di
Coderch sulle case Catalane, e non quella di Candilis sulle nuove città; del ribelle Van Eyck e
dei nuovi italiani, e non di Bakema e della ricostruzione trionfalistica”44. Questa affermazione
rivela l’importanza della ricezione critica di Távora e illustra i diversi gradi della discussione
di permeabilità innescate dal Team X.
4.9. Fernando Távora,Mercato in Vila da Feira, 1953-1959. © FIMS.
184 185
la legislazione e le questioni sociali51. La commissione n.1, dedicata alla pianificazione urbana,
IL VERNACOLARE DAL “HABITAT RURAL” AL PROGRAMMA SAAL LA RICEZIONE PORTOGHESE DEL TEAM X | Pedro Baía
è stata presieduta da José Luis Sert. Jaap Bakema era a capo di una sottocommissione52 che ha
esaminato il rischio di perdere “l’identità dell’uomo” nella tendenza emergente di costruzione
di massa di abitazioni:
La moltiplicazione delle abitazioni è limitata da varie condizioni—sociologiche, economiche,
geografiche, politiche e plastiche. Eventuali proposte architettoniche o urbanistiche che
ignorano tali condizioni e non danno all’uomo la sua identità non riescono a soddisfare i
requisiti della ‘vita’. Questa identità si trova nella abitazione stessa—nell’unità residen-
ziale—nell’unità comunità—nella città e nella regione—in altre parole, in tutte le fasi di
moltiplicazione53.
Questa sottocommissione ha evidenziato la necessità di una maggiore differenziazione delle
funzioni, al fine di soddisfare le attuali esigenze spirituali, emozionali e materiali dell’uomo.
In questo senso, la questione di identità e di appartenenza ad una comunità svolgevano un
ruolo prioritario:
L’appartenenza è un bisogno emotivo di base—le sue associazioni sono di ordine più
semplice. Da ‘appartenenza’—identità—arriva il senso di arricchimento di vicinato. La strada
corta e stretta degli baraccopoli riesce dove spesso la spaziosa riqualificazione non riesce54.
E’ in questo contesto che la nozione di ‘gruppo visivo’ sorse, uno degli argomenti più tardi
presentati sulla copertina del Forum n.7, insieme con il concetto di “identità”:
L’occhio è una misura della dimensione umana. Che cosa si può vedere a colpo d’occhio
è immediatamente riconosciuta come entità; da qui l’importanza del riconoscimento del
gruppo visivo all’interno del quartiere. Ma dove il quartiere ha prima una base funzionale
[... ] il gruppo visivo ha in primo luogo una base emotiva”55.
La commissione n.2, presieduta da Sigfried Giedion assistito da Aldo van Eyck, era dedicata alla
sintesi delle arti. La commissione ha discusso il ruolo dell’estetica nell’abitazione moderna, e
ha individuato le tendenze comuni nell’obiettivo di risolvere i due problemi “ fondamentali”: la
preservazione della scale umana contra le meccanizzazione; l’attitudine da adattare davanti
alla situazione “naturale” e agli civilizzazioni arcaiche56. Per quanto riguarda le implicazioni
estetiche di questa nuova sensibilità, la commissione affermava quanto segue:
Siamo convinti che solo un nuovo linguaggio estetico—la continuazione di quella già a nostra
disposizione—può effettivamente spingere la ‘molteplicità’ e la ‘quantità’ di un’armonia
dinamica parallela all’armonia classica. Quindi abbiamo bisogno di un grado estetico capace
di “ritmare” molteplicità e ripetizione57.
4.10. Fernando Távora, Mercato in Vila da Feira, 1953-1959. Da Antonio Esposito & Giovanni Leoni, Per quanto riguarda il ruolo dell’arcaico, la commissione ha sostenuto che il contatto con le
Fernando Távora: opera completa, Milano, Electa, 2005. civiltà primitive ha il potenziale per espandere la gamma di possibili approcci per l’architettura
4.11. Aldo van Eyck. (Due tipi di centralità), diagramma che illustra i fenomeni gemelli, pubblicato in , 426, contemporanea—e di conseguenza, un “atteggiamento umile” è necessario:
Maggio 1965. Da Francis Strauven, , Amsterdam, 1998.
L’atteggiamento del nostro approccio alle civiltà straniere è umile. Non guarda le civiltà
voli dell’importanza di imparare dagli altri, e più attenta alle questioni profonde dell’identità, primitive dal punto di vista dello sviluppo tecnico. Riconosce anche nei bassifondi le ultime
gli architetti di Porto cominciarono ad apprezzare la possibilità di una modernità diversa, più vestigie di una civiltà equilibrata. Impara da queste forme come trattare le condizioni speci-
inclusiva e permeabile alla realtà culturale circostante. fiche, territoriale, sociale e cosmiche, che la confrontano 58.
Ne resulta che il CIAM 9 è stato il palcoscenico per un cambiamento di sensibilità che ha L’influenza di Aldo van Eyck era nettamente visibile nelle conclusioni della commissione: nelle
modificato la prospettiva degli architetti moderni portoghesi. Secondo Jorge Figueira, questo sue preoccupazioni socio-antropologiche, nell’apertura a nuove prospettive, nell’approssi-
cambiamento è stato cruciale per la “sincronizzazione culturale” accennato in precedenza: mazione all’altro. In modo simile a Bakema, Van Eyck stava contribuindo alla definizione di un
La ricerca dell’identità è diventato la cornice principale di riferimento—e con questa nuovo modo di pensare, oppure di un atteggiamento, che avrebbe poi caratterizzato il pensiero
conquista, il concetto di luogo è stato liberato dalla atopia/utopia che era stato imposto e l’azione del Team X.
su di esso da un’avanguardia radicale. Dopo innumerevoli battute d’arresto, la strada era
ormai aperta per il dialogo illuminato tra gli architetti moderni e la cultura portoghese50. Habitat rurale, una nuova comunità agricola al CIAM 10
L’organizzazione del congresso comprendeva la creazione di commissioni per esplorare sei In una comunicazione scritta al IX Congresso, Viana de Lima aveva posto la seguente domanda:
aspetti relativi alla Carta del Habitat: urbanistica, estetica, educazione, tecniche di costruzione, “non ci può arrivare ad una conclusione perfetta senza sapere se sarà l’architetto che, attra-
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verso il progetto, dovrà definire un ‘modo di vivere’, o se, per contro, sarà il ‘modo di vivere’ Gli autori privilegiavano una collaborazione franca e reciproca tra i vari partecipanti: “Noi
IL VERNACOLARE DAL “HABITAT RURAL” AL PROGRAMMA SAAL LA RICEZIONE PORTOGHESE DEL TEAM X | Pedro Baía
che influenzerà la concezione dell’architetto?59. Questa domanda illustra la direzione in cui una crediamo che tutti gli uomini, e non solo architetti e urbanisti, hanno il diritto e il dovere di
particolare comprensione del ruolo dell’architetto stava evolvendo negli anni Cinquanta. Le partecipare e collaborare (comunione), nella creazione e nello sviluppo del loro habitat”64. In
alternative erano: sé l’architetto dovrebbe assumere un ruolo eroico, imponendo la sua conce- questo senso, la progettazione del layout prevedeva una struttura in continua evoluzione. Per
zione ideale del mondo, oppure dovrebbe umilmente incorporare le lezioni del mondo reale? Per esempio, il numero di camere nelle case poteva essere aumentato per riflettere l’incremento
un architetto come Viana de Lima, che aspiravano alla modernità, questi problemi non poteva del numero dei componenti del nucleo familiare. Affermavano che:
essere più preoccupante. Come nota finale, in un tono intimo, Viana de Lima aggiungeva: “Per L’architetto non è più il dittatore che impone la sua forma, ma il semplice e naturale, uomo
fortuna siamo qui per discutere di questi temi amichevolmente”60. umile, dedicato ai problemi dei suoi coetanei; non deve servire se stesso, ma deve servire
Al decimo congresso CIAM, organizzato a Dubrovnik nel 1956, gli echi dei dibattiti tenutisi a loro, creando un lavoro che può essere anonimo, ma è soprattutto intensamente vissuto65.
Aix-en-Provence si riflessero nella partecipazione della delegazione portoghese. Viana de Questa preferenza per una postura “umile” per quanto riguarda il ruolo dell’architetto verso la
Lima, insieme a Fernando Távora, Octavio Lixa Filgueiras e Arnaldo Araujo, presentarono un comunità è di fondamentale importanza per comprendere il cambiamento di sensibilità che era
progetto per una nuova comunità rurale situata nelle zone di confine nord-est del Portogallo, già stato annunciato nella seconda commissione del CIAM IX. Come Távora ha notato, “ricordo
tra Bragança e il piccolo villaggio di Rio de Onor61. Secondo gli autori, il progetto cercava di che [il progetto] è stato accolto con entusiasmo da Aldo van Eyck”66.
contribuire alla formulazione della Carta del Habitat: “Se il CIAM intende le sue proposte di per Nello stesso periodo, alcuni studenti presso la Scuola Superiore di Porto di Belle Arti scelsero
essere veramente universale, non può ignorare l’importanza della Habitat Rurale”62. le terre di confine nord-est del Portogallo come luoghi dove sviluppare i loro progetti di tesi,
Lo studio dei riferimenti vernacolari durante tutto il processo d’Inquérito à Arquitectura Regional basandoli sullo studio della struttura delle comunità rurali e dei loro metodi tradizionali di
Portuguesa (1955-1961) serviva di base per la progettazione delle abitazioni rurale. Ispirato alla costruzione e tecniche. Octávio Lixa Filgueiras presentò la sua tesi, Urbanistica, un tema rurale,
configurazione degli insediamenti esistenti lungo la valle, la nuova comunità di 40 abitazioni, nel 1953. Arnaldo Araújo, come collaboratore del gruppo CIAM portoghese, presentò la sua,
un centro civico, una chiesa e una cooperativa agricola si sviluppava su entrambi i margini di Forme di Habitat rurale nel nord di Bragança, contributi alla struttura della Comunità, nel 1957,
un piccolo fiume. Come Távora ricorda nel 1971, il piano rifletteva “un progetto molto specifico, sulla base del progetto consegnato alla CIAM X. Sergio Fernandez, che lavorava con Viana de
regionalizzato e in nessun modo internazionale”63. Usando materiali locali, come l’ardesia, il scisto Lima (1957-1965), fece un viaggio di ricerca tra 1963 e 1965, per studiare in dettagli la comunità
e il legno, le case erano organizzate attorno a un grande camino che costituiva un punto focale di Rio de Onor: “La fine del progetto ha naturalmente fornito l’occasione per il coinvolgimento
per la vita familiare. La scelta del camino come elemento centrale della casa suggerisce una personale in questi argomenti, così come, in parallelo, la possibilità di osservare le conseguenze
connessione con il discorso di Le Corbusier a Hoddesdon, sottolineando l’importanza di “fuoco che potrebbero derivare dalla presenza di un architetto in una nuova comunità all’interno del
come elemento di convivialità domestica”. Il terzo pannello della presentazione mostra un’im- paese in un isolamento quasi estremo”67.
magine isolata di un focolare, che illustra il suo profondo significato per la struttura del progetto. In questo contesto, gli architetti hanno cercato di espandere il loro campo d’azione ad altre
discipline, quali l’antropologia, etnografia e sociologia. In un momento in cui l’architettura
moderna era in un vicolo cieco, un “atteggiamento umile” e il contatto con le “civiltà primitive”
hanno permesso una moltiplicazione dei possibili approcci alla disciplina. José António Bandei-
rinha, in una riflessione sull’esperienza di Sergio Fernandez a Rio de Onor, ricorda le escursioni
antropologiche di Aldo van Eyck, mettendoli in relazione alle preoccupazioni del Team X:
L’interesse di Aldo van Eyck nelle strutture sociali del Dogon, in Sudan, così come la loro
risonanza nel contesto del dibattito che ha caratterizzato l’aura di Team X, sono sintomatici
di quel desiderio di estrarre significati sottostanti da comportamenti della comunità, che
possano rivelare se stessi insegnamenti validi alla luce di un mondo contemporaneo sempre
più complesso e caotico68.
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regionalista. La Casa Ofir, che per noi è estremamente importante, è stato il culmine della Nuno Portas da Arquitectura al programma SAAL: “la città come architettura”
IL VERNACOLARE DAL “HABITAT RURAL” AL PROGRAMMA SAAL LA RICEZIONE PORTOGHESE DEL TEAM X | Pedro Baía
modernità. E’ stata il salto da Le Corbusier alla cosiddetta architettura autentica. Ma con Nel 1963, quando la dichiarazione di Távora a proposito di Royaumont fu pubblicata in Arqui-
quei piccoli tetti, la gente non l’ha realmente capita70. tectura, una nuova generazione aveva assunto la rivista (Terza serie, 1957-1974). Questa nuova
Per quanto riguarda il mercato Vila da Feira, fu l’occasione di una discussione “sulle possi- ondata svoltò un ruolo centrale nella revisione critica del movimento moderno in Portogallo,
bilità insite nell’architettura di trascendere la sua semplice esistenza tridimensionale come sulla base della collaborazione di molti architetti tra cui Carlos Duarte, Pedro Vieira de Almeida,
spazio, per diventare un elemento che potrebbe favorire l’incontro spontaneo e la mescolanza e, in particolare, Nuno Portas. Alla fine del 1950, Portas aveva studiato l’evoluzione delle diverse
di persone” 71. La progettazione del mercato fu al centro di questo dibattito, in cui Aldo van posizioni ideologiche che convergevano in Arquitectura e oltre. In un testo del 1959 Portas definì
Eyck suggerì che “la nozione di spazio e tempo non portava più il suo impatto originale e che un atteggiamento di base, “la responsabilità di una nuovissima generazione del movimento
dovrebbe essere sostituito con il concetto più vitale del luogo e occasione” 72 E’ interessante moderno in Portogallo per interrogare una nuovissima generazione—non solo le sue idee e
notare che questi commenti da Van Eyck avrebbero potuto descrivere il suo progetto per il intenzioni, ma soprattutto la sua opera”83.
Orfanotrofio Municipale di Amsterdam (1955-1960), dal momento che ci sono somiglianze tra Il suo primo libro, A arquitectura para hoje (Una architettura per oggi), pubblicato nel 1964,
la configurazione spaziale di entrambi i luoghi, soprattutto in vista al luogo di ritrovo come conferma la volontà di prendere le distanze dalle questioni di forma, favorendo invece la ricerca
elemento centrale73 . In entrambi i progetti, l’elemento centrale—una panchina pubblica— di un’oggettività scientifica. Tuttavia, verso la fine del libro, Portas cita una serie di esempi che
fornisce un luogo di incontro e di riposo. Entrambi i casi possono essere analizzati attraverso “con la novità e l’originalità del loro contributo ... costituiscono una risposta alla ‘crisi’: il britan-
il diagramma disegnato da Aldo Van Eyck in cui illustra il fenomeno della doppia relazione con nico ‘movimento Brutalista’, per esempio, identificato con Team X, che ha catalizzato l’agonia
due tipi di centralità:
Due gruppi concentricamente sedute di persone, uno in una conca e l’altro su una collina. In
un caso, tutti gli occhi sono diretti verso il centro, e nell’altro tutti guardano verso l’orizzonte74.
Nel caso dell’Orfanotrofio, la panca circolare permette ai bambini di riunirsi in un gruppo,
parlare o giocare. Nel caso del mercato, la panchina ottagonale permette a più persone di
riunirsi per parlare o semplicemente contemplare la fontana al centro. Tuttavia, un confronto
del gradiente pavimento in entrambi i progetti rivela che lo spazio centrale creato da Távora
converge verso il centro, e dunque corrisponde meglio al disegno concavo del diagramma.
Jaap Bakema, durante la sessione finale del Congresso ad Otterlo, ha espresso un voto di
fiducia nella partecipazione del Portogallo: “Tra i pannelli c’è qualche buon lavoro. I piani
portoghesi ... sono esempi di alcuni lavori in cui mi sembra che ci sia una forza che sta conti-
nuando su una buona linea”75. Questa osservazione, così come l’entusiasmo di Aldo van Eyck sul
mercato di Vila da Feira, ha probabilmente portato all’invitazione ufficiale di Fernando Távora
ad attendere la conferenza di Royaumont nel settembre 1962, uno dei primi incontri del Team X
successivamente allo scioglimento del CIAM. Fernando Tavora, ‘il portoghese metropolitano’,
fu presente alla riunione insieme a Pancho Guedes, ‘il portoghese africano’76.
Pancho Guedes, cresciuto nell’ex-colonia portoghese in Mozambico, ha studiato architettura
in Sud Africa77. Nel 1950, ritornò in Mozambico per lavorare come architetto, pittore e scul-
tore. Guedes fu introdotto al Team X da Peter Smithson, che venne in contatto con lui nel 1960,
durante una visita a Londra, dove incontrò anche Reyner Banham, l’assistente direttore per
The Architectural Review, e il sudafricano Theo Crosby, direttore tecnico di Architectural Design.
Guedes ha ricordato che a Royaumont Távora “ascoltò tutto in silenzio, e divenne turbato”78.
Infatti, dopo il suo ritorno in Portogallo, Tàvora fu invitato a scrivere una dichiarazione in Arqui-
tectura in cui condivise:
Il fatto che non abbiamo raggiunto una conclusione a Royaumont, neppure cercato di
raggiungere uno, mi sembra profondamente significativo. Ci sono momenti [... ] quando
l’unica conclusione possibile è ... che nessuna conclusione è possibile79.
Távora sapeva che i tempi stavano cambiando. “Si può sentire”, ha scritto “che questo è un
momento di indagine e di dubbio, di riunificazione, di dramma e di mistero. Come, allora, conclu-
dere con chiarezza?”80. Di fronte all’impossibilità di giungere a una conclusione, espresso il
desiderio di continuare: “Questo desiderio di continuare e sopravvivere è la più significativa
conclusione del nostro incontro, e ci incoraggia a tenere ulteriormente incontri nel futuro”81.
Eppure, Tàvora non ha partecipato a nessuna delle riunioni successive del Team X, nonostante
4.13. Fernando Távora, Quartiere di abitazioni sociale SAAL (Serviço de Apoio Ambulatório Local), Mira-
sia stato invitato alla riunione di Berlino del 1965 82.
gaia, Porto, 1975-77, non costruito. © FIMS.
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IL VERNACOLARE DAL “HABITAT RURAL” AL PROGRAMMA SAAL LA RICEZIONE PORTOGHESE DEL TEAM X | Pedro Baía
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4.14. Alvaro Siza, Schizzo preliminare, Quartiere di abitazioni sociale (SAAL), Bouça, Porto, 1974-76.
© Alvaro Siza Vieira.
4.15. Alvaro Siza, Pianta del quartiere SAAL, Bouça, Porto, 1974-76. © Alvaro Siza Vieira.
4.16. Alvaro Siza, Vista parziale del quartiere SAAL, Malagueira, Evora. Foto Jean-François Lejeune.
4.17. Alvaro Siza, Schizzi, Quartiere di abitazioni sociale SAAL, Malagueira, Evora,
del CIAM, e da cui è emerso il lavoro di Lasdun, Smithson, Stirling-Gowan, il team di Sheffield,
l’olandese Van Eyck e il ‘Francese’ Candilis-Woods”, insieme alle nuove generazioni italiane e 17
spagnole, così come Fernando Távora, Nuno Teotonio Pereira e Álvaro Siza84. Nel 1969, Portas
pubblica il suo secondo libro, A cidade como arquitectura (La città come architettura), che elabora Nella sua prefazione alla traduzione portoghese pubblicata nel 1970 della Storia dell’architettura
la linea di pensiero seguita nel libro precedente. Tuttavia, un cambiamento nel modo di pensare moderna di Bruno Zevi Portas ha identifica “due tendenze, con obiettivi quasi opposte, anche se
può essere rilevato. Mentre il libro del 1964 esplorava questioni relative alla costruzione per entrambi derivanti da uomini caratterizzati dal razionalismo”85. Da una parte, c’era il lavoro di Team X:
mezzo di critica architettonica, il libro del 1969 utilizzava un approccio metodologico per esami- La tendenza più positiva era ricetttiva alle principali problemi urbani, proponendo l’integra-
nare le problematiche della città e pianificazione urbana. Il titolo illustra chiaramente questo zione di architettura e urbanistica in un unico sistema, tradotta in nuove forme di habitat e
cambiamento: se il primo propone una “architettura per oggi”, il secondo si muove un ulteriore di far rivivere le occasioni di contatto con l’ambiente, la strada, le gallerie, piazze e cortili
passo avanti, suggerendo che “la città” deve essere intesa “come architettura”. che si trovano in tradizioni storiche e vernacolari86.
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D’altra parte, Portas identifica un’altra strada: Come due facce della stessa medaglia, il riciclaggio poetico delle culture primitive, originale,
IL VERNACOLARE DAL “HABITAT RURAL” AL PROGRAMMA SAAL LA RICEZIONE PORTOGHESE DEL TEAM X | Pedro Baía
L’altra tendenza, più seria e diffusa ... si perde in una sterile ricerca di nuovi layout, per arcaiche o infantili, caratteristiche di un uomo universale, è stato associato con una certa
nuove volumetrie e, soprattutto, per le nuove facciate 87. identificazione della norma, dell’archetipo, o dell’inconscio collettivo come un contorno rego-
Nel 1969, l’Assemblea Nazionale degli Architetti (ENA) si tenne a Lisboaa in assenza di Nuno lare o regolamentare di un’architettura più radicata, più pertinente e adatta ai bisogni umani95.
Portas. Tuttavia, egli mandò “un messaggio incisivo critico, finalizzato non tanto al contesto Secondo João Leal, per grande parte del ventesimo secolo, l’interesse per l’architettura verna-
sociale che circondava la professione, ma essenzialmente a proposito dell’inerzia che la colare ha portato al contatto e al “dialogo” tra architetti e antropologi:
professione mostrava nell’affermandosi nella società”88. Il messaggio di Portas prosegueva Dopo aver condotto un dialogo—di cui non erano a conoscenza— ... l’antropologia e l’archi-
proponendo “una progressiva occupazione e sistematica delle posizioni all’interno dei princi- tettura non hanno avuto una conversazione meramente immaginaria, ma in molti casi si sono
pali centri decisionali da parte di individui competenti interessate a partecipare alle strategie realmente seduti a un tavolo insieme per parlare, vale a dire, hanno preso un interesse per
e coordinare le tattiche operative”89. Questo messaggio di Portas del 1969 avrebbe riverbera- le stesse questioni, hanno scambiato punti di vista diverse, e si sono influenzati a vicenda96.
zioni cinque anni più tardi, quando il regime dittatoriale di Salazar, che aveva governato per Per quanto riguarda il Portogallo, João Leal sostiene che “una di quelle conversazioni, la più
quarantotto anni, si terminerebbe. produttiva, è stato ... quella sul ramo dell’architettura variamente designato come popolare,
La Rivoluzione dei garofani del 25 aprile 1974, che porta la democrazia in Portogallo, spiana la strada regionale, rurale, tradizionale, volgare, spontaneo, senza architetti, ecc.”97 Come ha osservato
per la nomina di Nuno Portas come Segretario di Stato per l’Abitazione e Urbanistica del primo Rui Ramos, architetti portoghesi hanno preso parte a questo dialogo conducendo l’Inquérito à
governo provvisorio (16 maggio 1974). Per Portas, questa responsabilità apre un’occasione unica Arquitectura Regional Portuguesa [Indagine sull’Architettura Portoghese Regionale], “un’iniziativa
per mettere in pratica, in campo politico, la questione dell’abitazione collettiva. Così, il 31 luglio, al passo con la tendenza internazionale alla rilevazione, la ricerca e la diffusione di architettura
il programma SAAL (Supporto ambulatoriale per residenti locali) è lanciato come un processo anonima, spontanea, e rurale”98. Questi viaggi verso l’interno del paese hanno dato luogo ad un
di cooperazione tra lo Stato ei suoi cittadini, con il popolo che gestiva direttamente operazioni processo di apprendimento con profonde implicazioni per la cultura architettonica portoghese.
attraverso le cooperative edilizie e le cooperative supportati da team tecnici di architetti, inge- Sull’esperienza di Sergio Fernandez a Rio de Onor tra il 1963 e il 1965, Bandeirinha ha osservato:
gneri e assistenti sociali nominati dallo Stato90. Il SAAL operò per un breve periodo tra il 1974 e Le lezioni apprese non sono solo il risultato di interazioni tra la materialità degli spazi,
il 1976, ma ha avuto un forte impatto sulla cultura architettonica del paese. Il compito del SAAL architettura, condizioni geo-topografiche, forme di occupazione di terreni e organizzazione
era di offrire migliori condizioni abitative ad abitanti urbani svantaggiati, attraverso un ambizioso sociale e culturale della comunità, ma una sorta di mescolanza olistica di tutte queste cose,
programma di costruzione di nuove case e infrastrutture, compreso l’uso di modelli partecipativi. in cui egli stesso, come architetto, cerca di insinuarsi […] Le lezioni apprese durante geli
L’ansia fervente della rivoluzione esigeva risultati rapidi da parte dello Stato. Pertanto i dibattiti inverni duri nel Trás-os-Montes, nella progressione ciclica dei rituali agricoli, nel calore
architettonici degli anni ‘50 e gli anni ‘60 vennero usati come base della strategia SAAL91. umano di ospitalità o nei modelli ancestrali di occupazione e di costruzione, erano di impor-
Complessivamente, il programma SAAL ha favorito questioni legati al processo anziché alla tanza cruciale per l’architetto99.
forma architettonica. Portas, tuttavia, propose alcune soluzioni formali. “Anche se i gruppi non Sergio Fernandez partecipò anche al programma SAAL, con il progetto per il quartiere Leal100.
sono stati dati linee guida comuni”, egli scrive, “la maggior parte delle soluzioni sono di bassa In questo contesto dobbiamo anche evidenziare il progetto per una casa, Casa de Caminha
altezza, con media o alta densità e con spazi esterni ben definiti—che possono essere ridotti ad (1971-1973), che aveva un importante collegamento vernacolo con Rio de Onor, l’indagine sull’ar-
archetipi di strada, piazze e patio—ed edifici continui e connessi anziché barre isolate e torri”92. chitettura regionale, e anche con il discorso del Team 10101.
E’ interessante notare che queste righe, scritte nel 1984, ci ricordano la prefazione di Portas Rio de Onor, come ha ammesso lo stesso Sergio Fernandez, “è stato un esperimento che, in
del 1970 alla prefazione al lavoro del Team X, rivelando così un collegamento tra la presenza termini architettonici, era forse di poco conto”102. Tuttavia, ha anche riconosciuto che la ricerca
delle idee del gruppo all’interno di soluzioni formali di SAAL—un’idea appropriata da Portas sul campo condotta in Rio de Onor può aver avuto ripercussioni per il processo partecipativo
che aveva apprezzato le esperienze di habitat sulla base di una rilettura delle strutture storiche del programma SAAL:
di strada, piazza, patio e galleria. Non dobbiamo rinunciare alla nostra qualità di esperti, né la nostra conoscenza
Il programma SA AL ha avuto una breve vita perché soffriva da un conflitto di interessi tra professionale, ma credo che queste lezioni su come confrontarsi con gli altri sono
fazioni politiche e gruppi economici. Così, il 26 marzo 1975 Portas fu rilevato dal suo incarico state di grande utilità per noi qualche tempo dopo, nel corso del nostro lavoro, e
di Segretario di Stato, un fatto che compromise la politica “rivoluzionaria” volta a stabilire un abbiamo trovato un certo grado di espressione, in particolare dopo la rivoluzione dei
dialogo diretto con i residenti organizzati al fine di eradicare i baraccopoli. Il 27 ottobre 1976 garofani, nei progetti SAAL, in cui questo dialogo è avvenuto in modo molto naturale,
un ordine del governo di trasferire competenze ai Comuni eliminava effettivamente il ragion anche se con molto diverse popolazioni urbane103.
d’essere del SAAL93. Nello stesso periodo degli anni Sessanta, Octavio Lixa Filgueiras, come professore presso la
Scuola superiore di Porto di Belle Arti, ha proposto la realizzazione d’indagini urbani ai suoi
Una nota finale attraverso una linea obliqua studenti. Questa volta in un contesto non rurale, gli studenti sono stati invitati ad esaminare le
Nel campo dell’architettura nel periodo post-bellico, numerosi furono i viaggi realizzati da condizioni di vita e di alloggio nei quartieri storici. Sulla base di questo approccio, la Scuola di Porto
architetti guidati dal desiderio di imparare da civiltà arcaiche. I viaggi di Aldo van Eyck sono ha esplorato un aspetto pedagogico con un maggiore impegno sociale per la città e la comunità.
esempi di come queste escursioni a culture e luoghi remoti possono essere riflessi nelle opere Dei viaggi di architetti portoghesi motivati dal desiderio di imparare dagli altri, degno di parti-
degli architetti94. L’interesse di Van Eyck per l’altro e le sue influenze estetiche durante questo colare nota è il viaggio in Marocco da Álvaro Siza, Alexandre Alves Costa e Sergio Fernandez
periodo non erano solo le sperimentazioni di idee d’avanguardia, ma erano anche una reazione nel 1967104. In un’intervista, Siza ha riconosciuto e ha stabilito un legame sottile tra il Marocco
alle tendenze funzionaliste all’interno del CIAM: e Évora:
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Credo che il viaggio del 1967 in Marocco si collegherà poi con il progetto di Malagueira 1
Max Risselada e Dirk van den Heuvel (a cura di), Team 10: A Utopia of the Present, Rotterdam,
IL VERNACOLARE DAL “HABITAT RURAL” AL PROGRAMMA SAAL LA RICEZIONE PORTOGHESE DEL TEAM X | Pedro Baía
(Évora)105. NAI Publishers, 2005, p.11.
Possiamo intuire che durante il processo di progettazione, degli progetti SAAL ma anche in 2
Aldo van Eyck: “Nous avons le droit d’être vague”, in Oscar Newman, CIAM’59 in Otterlo: Docu-
Évora per il progetto di Malagueira (NEL 1977 dopo il smantellamento del SAAL), Siza ha creato ments of Modern Architecture, London, Karl Krämer Verlag, 1961, p.197.
una sintesi tra strutture urbane vernacolari—qui del Marocco mediterraneo—e i modelli del 3
Alison Smithson, “Team 10 Primer”, Alison Smithson (a cura di), Architectural Design, December
Nord Europa dal periodo eroico dell’architettura moderna, come ad esempio quelli di J.P. Oud 1962, p.559.
e Bruno Taut106. Alves Costa aveva partecipato anche alla ricerca sul campo condotta da Sergio 0
Si veda Hans van Dijk, “Forum, the Story of Another Idea, 1959-63”, Max Risselada and Dirk van
Fernandez a Rio de Onor (1963-1965). Nel contesto del programma SAAL, Alves Costa fu un den Heuvel (a cura di), Team 10: A Utopia of the Present, Rotterdam, NAi Publishers, 2005, p.83.
importante membro del comitato di coordinamento del settore settentrionale (1974-1976). Come 5
Si veda Eric Mumford, The CIAM discourse on urbanism, 1928-1960, Cambridge, MIT Press, 2000.
uno dei principali teorici portoghesi e ideologi della Scuola di Porto, Alves Costa sostiene che 6
Peter Smithson, “The Slow Growth of Another Sensibility: Architecture as Townbuilding”, James
ciò che distingue profondamente la scuola era “l’accoppiamento di una particolare convinzione Gowan (a cura di), A Continuing Experiment, Learning and Teaching at the Architectural Association,
modernista con l’intento di stabilire un metodo, piuttosto che trasmettere o difendere un codice London, Architectural Press, 1973, p.56.
formale. E di considerare la storia come uno strumento di lavoro con cui costruire il presente”107. 7
Edite Rosa, ODAM: Valores Modernos e a Confrontação com a Realidade Produtiva, PhD Disserta-
Recentemente, Alves Costa ha ricordato le parole di Aldo van Eyck: tion, Barcelona, Escuela Técnica Superior de Arquitectura de Barcelona, 2005.
Quello che volevamo era un funzionalismo più ricco e che fosse più inclusivo verso il passato 8
Cassiano Barbosa, ODAM – Organização dos arquitectos modernos 1947-1952, Porto: Edições
in modo tale da imparare da migliaia di anni di costruzione108. ASA, 1972.
Leggendo queste righe, Alves Costa stabilisce una connessione improbabile tra Van Eyck e Siza, 9
Si veda Ana Tostões, Os Verdes Anos na Arquitectura Portuguesa dos Anos 50, Porto, FAUP Publi-
tra un funzionalismo più inclusiva e la Scuola di Porto: cações, 1997, Capitolo. 1: “Sinais de Contaminação do Pós-guerra”, pp.20-46.
E’ come se stessimo leggendo e ascoltando Fernando Tàvora. E’ come se avessimo trovato i 10
Le Corbusier, “Carta de Atenas” [1941], Arquitectura, 20-32, February 1948-September 1949
fondamenti della Scuola di Porto. E’ come se abbiamo ascoltato Alvaro Siza oggi e riscoperto (tradotto da Francisco Castro Rodrigues e Maria de Lourdes).
le radici del suo pensiero109. 11
Se veda Ana Tostões (a cura di), 1.º Congresso Nacional de Arquitectura [edição fac-similada],
In un certo senso, l’osservazione di Alves Costa traccia una linea obliqua che apre uno spazio Lisboa: Ordem dos Arquitectos, 2008.
di riflessione sul discorso del Team X inteso in un ambito più ampio, proprio come una volta 12
Viana de Lima, “O Problema Português da Habitação”, Ana Tostões (a cura di), 1.º Congresso
facevano Távora o Portas, interpreti cruciali delle revisioni post-CIAM dell’architettura moderna. Nacional de Arquitectura, p.222.
Come risultato del loro impegno critico, i loro viaggi, contatti e attività pedagogiche, sia nel 13
Viana de Lima, “Letter to Sigfried Giedion”, 8 March 1951, CIAM Archive – ETH Zurich (42-SG-33-344).
mondo accademico e nella pratica, loro hanno aiutato a decodificare le grandi questioni del loro 14
Ibidem.
tempo, interpretandole attraverso una forma di mediazione che hanno preso in considerazione 15
“Inscrições para o 1.º Congresso Nacional de Arquitectura”, Ana Tostões (a cura di), 1.º
le peculiarità del loro contesto, della loro cultura e della propria personalità. Congresso Nacional de Arquitectura, p.XXI.
16
F.L. [Fernando Luís Távora], “O Problema da Casa Portuguesa”, Aléo, 10 Novembre 1945, p.10.
Per una versione italiana, si veda Antonio Esposito e Giovanni Leoni (a cura di), Fernando Távora:
opera completa, Milano, Electa, 2005.
17
Carlos da Silva Lopes, “A Tradição na Arquitectura e o ambiente regional”, Aléo, 13 October
1945, p.9.
18
Eduardo Fernandes, A Escolha do Porto: contributos para a actualização de uma ideia de Escola,
PhD Dissertation, Escola de Arquitectura da Universidade do Minho, 2010, pp.104-105.
19
Raul Lino, Casas Portuguesas, Alguns Apontamentos sobre a Arquitectura das Casas Simples
[1933], Lisboa: Cotovia, 1992; Diogo Lino Pimentel, José-Augusto França, Manuel Rio-Car-
valho, Pedro Vieira de Almeida, Raul Lino, Exposição Retrospectiva da sua Obra, Lisboa: Fundação
Calouste Gulbenkian, 1970; Alexandre Alves Costa, “A Problemática, a Polémica e as Propo-
stas da Casa Portuguesa” [1980], Alexandre Alves Costa, Seis lições, 2-Introdução ao Estudo da
Arquitectura Portuguesa, Porto: FAUP, 1995; Alexandre Alves Costa, “Legenda para um desenho
de Nadir Afonso”, Fernando Távora, Lisboa Editora Blau, 1993, pp.17-20; Bernardo José Ferrão,
“Tradição e Modernidade na Obra de Fernando Távora 1947-1987”, Fernando Távora, Lisboa:
Editora Blau, 1993, pp.24-32.
20
F.L. [Fernando Luís Távora], “O Problema da Casa Portuguesa”, Aléo, 10 Novembre 1945, p.10.
21
Fernando Távora, “O Problema da Casa Portuguesa”, Cadernos de Arquitectura, Lisboa, 1947.
22
Manuel Mendes, “Fernando Távora, ‘O meu caso’ – (Parte 1) Convivências, afloramentos,
afagamentos”, José António Bandeirinha (a cura di), Fernando Távora Modernidade Permanente,
Matosinhos, Casa da Arquitectura, 2012, p.60.
196 197
23
Jorge Figueira, Escola do Porto: Um Mapa Crítico, Coimbra, E|d|arq, 2002, p.44. 52
CIAM 9. Urbanisme: 1.d. Le logis dans l’unité d’habitation, le quartier, la ville, la région, CIAM
IL VERNACOLARE DAL “HABITAT RURAL” AL PROGRAMMA SAAL LA RICEZIONE PORTOGHESE DEL TEAM X | Pedro Baía
24
Fernando Távora, “O Problema da Casa Portuguesa” [1947], Fernando Távora, Lisboa: Editora Archive - ETH Zürich (42-SG-37-98), p.1.
Blau, 1993, p.13. vi sono due diverse versioni del 1945 e 1947. In quella del 1947 Fernando Távora 53
Ibidem.
ha aggiunto “quando studiato in modo giusto” eliminando “il piu veritiero”. 54
Ibidem, p. 3.
25
Francisco Keil do Amaral, “Uma iniciativa necessária”, Arquitectura, 14, April 1947, pp.12-13. 55
Ibidem.
26
“Decreto-Lei n.40349”, Diário da República, I series, 227, 19 October 1955, pp.903-904. 56
CIAM 9, Rapports des Commissions, “Comission II: Synthese des Arts Plastiques”, CIAM Archive
27
Arquitectura Popular em Portugal, Lisboa: Ordem dos Arquitectos, 2004 [1961]. 1979, 88. - ETH Zurich (42-JT-X-1), pp.17-18.
28
Bernardo José Ferrão, “Tradição e Modernidade na Obra de Fernando Távora 1947/1987”, 57
P. 19
Fernando Távora, Lisboa, Editora Blau, 1993, p.28. 58
p. 19.
29
Secondo Edite Rosa, la sensibilità del gruppo ODAM cominciò a cambiare durante la sua fase 59
Viana de Lima, Document n.º2, prèsenté à Aix (CIAM IX, Juillet, 1953), CIAM Archive - ETH Zurich
finale (1952-1956), sotto l’influenza dall’indagine in corso sull’architettura portoghese regionale. (42-AR-12-104).
Lo spostamento è stato anche il risultato dalla presenza di un numero significativo di architetti 60
Ibidem.
ODAM al CIAM 8 Hoddesdon ( 1951), l’incontro Sigtuna (1952), CIAM 9 a Aix-en-Provence (1953) 61
Viana de Lima, Fernando Távora, Octávio Lixa Filgueiras, “Tese ao X Congresso dos CIAM”,
e al CIAM 10 a Dubrovnik (1956). Arquitectura, 64, January/February 1959, pp.21-28.
30
“Capítulo I. Demasiado tarde para ser moderno. Arquitectura portuguesa na viragem 62
Viana de Lima, Fernando Távora, Octávio Lixa Filgueiras, “Tese ao X Congresso dos CIAM”,
dos anos 60”, Jorge Figueira, A Periferia Perfeita – Pós-Modernidade na Arquitectura Portu- Arquitectura, 64, January/February 1959, p.24.
guesa, PhD Dissertation, Departamento de Arquitectura da Universidade de Coimbra, 2009, 63
Fernando Távora, “Entrevista” (entrevista por Mário Cardoso), Arquitectura, 123, Setembre/
pp.15-155. Ottobre 1971, p.153.
31
Eric Mumford, The CIAM Discourse on Urbanism, 1928-1960, Cambridge, MIT Press, 2000, pp.202-203. 64
Viana de Lima, Fernando Távora, Octávio Lixa Filgueiras, “Tese ao X Congresso dos CIAM”,
32
Fernando Távora, “Entrevista” (entrevista por Mário Cardoso), Arquitectura, 123, Settembre/ Arquitectura, 64, January/February 1959, p.24.
Ottobre 1971, p.153. 65
Ibidem.
33
Ibidem. 66
Fernando Távora, “Entrevista” (entrevista por Mário Cardoso), Arquitectura, 123, Setembre/
34
Fernando Távora, “Entrevista”, pp.152-153. Ottobre 1971, p.153.
35
Le Corbusier, “L´échelle humaine”, CIAM 8, 1951, Report of Hoddesdon Conference, CIAM Archive 67
Sergio Fernandez, “Rio de Onor, 1963-1965”, Joelho – “Intersecções: Antropologia e Arquitectura”,
- ETH Zurich (42-JT-6-55). 2, Aprile, 2011, p.39.
36
Ibidem. 68
José António Bandeirinha, “A lição da ponte de Rio de Onor”, Joelho – “Intersecções: Antropologia
37
Ibidem. e Arquitectura”, 2, Aprile, 2011, p.130.
38
Le Corbusier, “L´échelle humaine”, CIAM 8, 1951, Report of Hoddesdon Conference, CIAM Archive 69
Intervista con autore, 2007.
- ETH Zurich (42-JT-6-59). 70
Intervista con autore, 2007.
39
Fernando Távora, “Entrevista” (entrevista por Mário Cardoso), Arquitectura, 123, Setembre/ 71
Oscar Newman, CIAM’59 in Otterlo: Documents of Modern Architecture, London, Karl Krämer
Ottobre 1971, p.153. Verlag, 1961, p.136.
40
Intervista con l’autore, 2010. 72
Ibidem.
41
Álvaro Siza, “Entrevista realizada a Porto, l’abril de 1983, per Pepita Teixidor”, Quaderns, 73
Per un confronto si veda Oscar Newman, CIAM’59 in Otterlo: Documents of Modern Architecture,
159, 1983, p.5. London, Karl Krämer Verlag, 1961, p.137 e 28.
42
Jorge Figueira, Escola do Porto: Um Mapa Crítico, Coimbra: e|d|arq, 2002, p.40. 74
Francis Strauven, Aldo van Eyck: the Shape of Relativity, Amsterdam: Architectura & Natura
43
Nuno Portas, “Arquitecto Fernando Távora: 12 anos de actividade profissional”, Arquitectura, Press, 1998, pp.479-480.
71, July 1961, p.16. 75
Jaap Bakema, “Concluding Evaluation of the Otterlo Congress”, Oscar Newman, CIAM’59 in
44
Álvaro Siza, “Fernando Távora”, Catálogo da Exposição, Arquitectura, Pintura, Escultura, Desenho, Otterlo: Documents of Modern Architecture, London: Karl Krämer Verlag, 1961, p.218.
Porto: Museu Nacional Soares dos Reis, 1987, p.186. 76
Intervista con l’autore, 2007.
45
Fernando Távora, “Casa em Ofir”, Arquitectura, 59, 1957, pp.10-13; Versione Inglese in Fernando 77
Per un resoconto della storia di Pancho Guedes si veda: Pedro Gadanho (a cura di), “Pancho
Távora, “Summer House. Ofir, 1957-58”, Fernando Távora, Lisboa, Editora Blau, 1993, pp.78-83. Guedes: an alternative modernist”, SAM 3, Basel, Christoph Merian Verlag, 2007; Pancho Guedes,
46
Bernardo José Ferrão, “Tradição e Modernidade na Obra de Fernando Távora 1947/1987”, Manifestos, Papers, Lectures, Publications, Lisboaa, Ordem dos Arquitectos, 2007.
Fernando Távora, Lisboa, Editora Blau, 1993, p.29. 78
Intervista con l’autore, 2007.
47
Fernando Távora, “Summer House. Ofir, 1957-58”, Fernando Távora, Lisboa, Editora Blau, 79
Fernando Távora, “O encontro de Royaumont”, Arquitectura 79, July 1963, p.1. Traduzione
1993, p.78. inglese in José António Bandeirinha (a cura di), Fernando Távora Modernidade Permanente, Mato-
48
Ibidem, p. 80. sinhos, Casa da Arquitectura, 2012, pp.164-165.
49
Ibidem. 80
Fernando Távora, “O encontro de Royaumont”, Arquitectura 79, July 1963, p.1.
50
Jorge Figueira, Escola do Porto: Um Mapa Crítico, Coimbra, e|d|arq, 2002, p.42. 81
Ibidem.
51
CIAM 9. Minutes of Meetings of CIRPAC, CIAM Archive Eth Zürich (42-SG-38-5). 82
Max Risselada and Dirk van den Heuvel (a cura di), Team 10: A Utopia of the Present, Rotterdam:
198 199
NAi Publishers, 2005, p.351. Guedes, da parte sua e nonostante il suo stretto contatto con il 105
Intervista con l’autore, 2010.
IL VERNACOLARE DAL “HABITAT RURAL” AL PROGRAMMA SAAL LA RICEZIONE PORTOGHESE DEL TEAM X | Pedro Baía
Team X, non ha giocato un ruolo attivo nella diffusione delle sue idee e la sua ricezione critica 106
Si veda il saggio di Jean-François Lejeune‘s in questo volume.
in Portogallo. 107
Alexandre Alves Costa, “Legenda para um desenho de Nadir Afonso”, Fernando Távora, Lisboaa,
83
Nuno Portas, “A responsabilidade de uma novíssima geração no Movimento Moderno em Editora Blau, 1993, p.19.
Portugal”, Arquitectura, 66, November/December 1959, p.13. 108
Alexandre Alves Costa, “Escandalosa Artisticidade”, Jorge Figueira (a cura di), Álvaro Siza
84
Nuno Portas, A Arquitectura para Hoje, Lisboaa, Livros Horizonte, 2008 [1964], p.114. Modern Redux, Ostfildern, Hatje Cantz Verlag, 2008, p.34. Si veda anche Aldo van Eyck, “Every-
85
Nuno Portas, “Prefácio à Edição Portuguesa da História da Arquitectura Moderna” [1970], body has his own story, Interview with Aldo van Eyck”, in Max Risselada e Dirk van den Heuvel
Manuel Mendes (a cura di), Nuno Portas, Arquitectura(s), História e Crítica, Ensino e Profissão, (a cura di), Team 10: A Utopia of the Present, p.331.
Porto, FAUP Publicações, 2005, p.63. 109
Alexandre Alves Costa, p.34.
86
Ibidem.
87
Ibidem.
88
José António Bandeirinha, O Processo SAAL e a Arquitectura do 25 de Abril de 1974, Coimbra,
Coimbra University Press, 2007, p.87.
89
Ibidem, p. 89.
90
Si veda José António Bandeirinha, O Processo SAAL e a Arquitectura do 25 de Abril de 1974, op. cit.
91
Sul programma SAAL e le tendenze internazionali, si veda José António Bandeirinha, op. cit.,
and in particolare, il capitolo 1, “Os sentidos do debate internacional”, pp.19-59.
92
Nuno Portas, “The S.A.A.L. Program” [1984], João Afonso e Ana Vaz Milheiro (a cura di), Nuno
Portas, Prémio Sir Patrick Abercrombie UIA 2005, Lisboaa, Ordem dos Arquitectos, Caleidoscópio,
2005, p.104.
93
Sulla dissoluzione del programma SAAL, si veda José António Bandeirinha, op. cit. e particolar-
mente il capitolo 5, “O desmantelamento de um processo incómodo”, pp.211-12, e il capitolo 6, “Os
projectos dos bairros. Continuidades, evoluções e alternativas”, pp.175-260. Per una interpre-
tazione personale, si veda Nuno Portas, “O Processo SAAL: entre o Estado e o Poder Local”
[1986] in Manuel Mendes (a cura di), Nuno Portas, Arquitectura(s), Teoria e Desenho, Investigação
e Projecto, pp.254-63.
94
Si veda il saggio da Tom Avermaete in questo libro.
95
Paulo Providência, “Prática da Arquitectura e Disposição Antropológica”, Joelho – Intersecções:
Antropologia e Arquitectura 2, Aprile, 2011, p.135.
96
João Leal, “Entre o Vernáculo e o Híbrido: a partir do Inquérito à Arquitectura Popular em
Portugal”, Joelho – “Intersecções: Antropologia e Arquitectura”, 2, April 2011, pp. 69-70.
97
João Leal, “Entre o Vernáculo e o Híbrido: a partir do Inquérito à Arquitectura Popular em
Portugal”, Joelho – “Intersecções: Antropologia e Arquitectura”, 2, April 2011, p.70. Si veda anche
João Leal, Arquitectos, Engenheiros, Antropólogos, Estudos sobre Arquitectura Popular no Século
XX Português, Porto, Fundação Marques da Silva, 2009.
98
Rui Jorge Garcia Ramos, A Casa. Arquitectura e Projecto Doméstico na Primeira Metade do Século
XX Português, Porto: FAUP publicações, 2010, p.273.
99
José António Bandeirinha, “A lição da ponte de Rio de Onor”, Joelho – “Intersecções: Antropologia
e Arquitectura”, 2, April 2011, p.132.
100
José António Bandeirinha, O Processo SAAL e a Arquitectura do 25 de Abril de 1974, Coimbra,
Coimbra University Press, 2007, pp.424-425.
101
Per un resoconto dei significati e influenze sulla Casa de Caminha (1971-1973), di Sergio
Fernandez si veda: André Tavares, Pedro Bandeira (eds.), Só nós e Santa Tecla, Porto, Dafne
Editora, 2008.
102
Sergio Fernandez, “Rio de Onor, 1963-1965”, Joelho – “Intersecções: Antropologia e Arqui-
tectura”, 2, April 2011, p.49.
103
Ibidem.
104
Gita a Morocco con Alexandre Alves Costa, Álvaro Siza, Beatrice Ekroth, José Grade, Luísa
Brandão, Maria Antónia Leite e Sergio Fernandez (Settembre 1967).
4.18. Alvaro Siza, Schizzi, Quartiere di abitazioni sociale SAAL, Malagueira, Evora,
200 201
Dialoghi mediterranei
Le Corbusier, Fernand Pouillon e Roland Simounet
Sheila Crane 05
Nell’agosto 1931, alla fine di un viaggio lungo due mesi attraverso Spagna, Marocco e Algeria,
Le Corbusier creò una serie di disegni a bordo del Governor General Chanzy, la nave che lo
avrebbe portato da Algeri a Marsiglia, sulla via del rientro a Parigi. Mentre la nave salpava dal
porto di Algeri per entrare nelle acque del Mediterraneo, Le Corbusier fece una serie di schizzi
della città, man mano che il caratteristico panorama svaniva all’orizzonte. Nel primo di questi
disegni, il paesaggio urbano emerge a grandi linee dai caratteristici portici allineati lungo il
porto di Algeri. Il profilo della città è definito dai contorni di alcuni punti di riferimento, ognuno
dei quali è indicato chiaramente nel disegno: la Cittadella (dove si trovava il Fort l’Empereur),
la Casbah, il Palazzo del Governatore e il Quartiere Marittimo. Ognuno dei sei schizzi succes-
sivi distillò le linee essenziali della città che si allontanava sempre di più all’orizzonte, mentre
allo stesso tempo l’architetto cominciò a definire i contorni grezzi di nuovi edifici nella sagoma
astratta dell’agglomerato urbano esistente. Come Jean-Pierre Giordani ha dimostrato, questa
serie di disegni definì la fisionomia caratteristica di Algeri che Le Corbusier utilizzò poi come
base concettuale e figurativa dei suoi nuovi piani urbanistici per la città1.
Verso la fine della traversata del Mediterraneo, mentre la nave giungeva in prossimità della
costa della Francia, Le Corbusier disegnò il porto di Marsiglia che si avvicinava. Quest’ultimo
disegno della serie iniziata ad Algeri raffigurava i contorni topografici generali della città,
punteggiati da una fila di edifici caratteristici raggruppati intorno al porto vecchio: la Chiesa
di San Lorenzo, le settecentesche fortezze di San Giovanni e San Nicola, la Basilica di Nostra
Signora della Guardia e il pont transbordeur attraverso la bocca del porto. Vista dal largo, con
questi monumenti allineati in processione sulla linea di incontro tra mare e terra, il disegno
di Le Corbusier definì allo stesso modo la vista iconica di Marsiglia. Come nel caso di Algeri,
questa composizione è diventata la rappresentazione iconica personale di Le Corbusier della
città, esplicitamente e sperimentalmente definita e consolidata in relazione ad Algeri.
Le Corbusier ha spesso disegnato città portuali seguendo una formula simile, come, ad esempio,
nelle raffigurazioni di Istanbul, Rio de Janeiro e Buenos Aires2. Tuttavia lo specifico rapporto di
dialogo che ha costruito in questa sequenza di schizzi tra Algeri e Marsiglia è insolito. Visti in
sequenza, questi disegni non solo testimoniano il passaggio dell’architetto da Algeri a Marsiglia,
ma anche, aspetto più importante, creano un rapporto spaziale e strutturale tra questi due siti,
rapporto fondato sulla loro vicinanza attraverso il Mar Mediterraneo e sulla rotta commerciale
molto frequentata che collegava i loro porti. I disegni di Le Corbusier erano quindi frutto della
storia della colonizzazione attraverso la quale queste città furono ricollocate come punti chiave
di collegamento all’interno della più ampia infrastruttura del sistema imperiale francese.
Questa importante via di circolazione tra Algeri e Marsiglia e l’immagine della mappa di connes-
sioni che ha prodotto costituisce un significativo terreno di Mediterraneità nell’architettura
moderna. Come numerosi studiosi hanno notato, “il Mediterraneo” è una costruzione decisa-
mente moderna, la cui definizione come concetto e il cui consolidamento come immagine, erano
di per sé il frutto della storia dell’imperialismo e della colonizzazione che ha così profondamente
ristrutturato questa regione a partire dal tardo Diciottesimo secolo 3. Le rivendicazioni medi-
terranee di un’architettura moderna sono state costruite attraverso mappature particolari e
rapporti associativi a loro volta connessi a storie locali di relazioni politiche ed economiche,
come pure a esperienze complesse di viaggio, transito e traduzione.
5.1. Fernand Pouillon. Vista parziale del plastico del complesso Climat de France con la piazza delle 200
colonne, Algeri, 1955-57. © Archives Fernand Pouillon, Association Les Pierres Sauvages de Belcastel.
203
Per districare le forme e i discorsi “mediterranei” dell’architettura moderna, si devono capire
02 04
03
5.2. Le Corbusier. Vista di Algeri, Agosto 1931. Source: © Fondation Le Corbusier [FLC 5234].
5.3. Le Corbusier. Vista di Marsiglia, Agosto 1931. © Fondation Le Corbusier [FLC 5239].
5.4. Le Corbusier. Vista del Fort l’Empereur, Algeri, 1933. © Fondation Le Corbusier [FLC 5016].
5.5. Le Corbusier. Vista del Fort Saint-Nicholas, Marsiglia, 1933. © Fondation Le Corbusier [FLC 5021]. 05
204 205
Le immagini speculari di Le Corbusier Moderna), data l’impossibilità di tenere la sua terza conferenza a Mosca, come inizialmente
206 207
si riflettono l’una sull’altra sullo specchio del mare. La visione di Le Corbusier della Mediter-
08 09
06
10
5.6. Fernand Pouillon. Cité di Diar el-Mahsul (sezione d’abitazioni popolari), Algeri, 1954–55. Cartolina:
http://diaressaada.alger.free.fr/index.html.
5.7. Fernand Pouillon. Cité di Diar el-Mahsul (sezione d’abitazioni popolari), Algeri, 1954–55. Fontana al
piede della torre. Cartolina: http://diaressaada.alger.free.fr/index.html.
5.8. Fernand Pouillon. Torre al centro di Diar el-Mahsul, Algeri, 1954-55. Da ALGER, ville-pilote, Maggio
1955, http://diaressaada.alger.free.fr/index.html.
5.9. Fernand Pouillon. Complesso di abitazioni popolari, Diar es Saada, Algiers, 1953-54. © Archives
Fernand Pouillon, Association Les Pierres Sauvages de Belcastel.
5.10. Fernand Pouillon. Vista dell’alto, Diar es Saada, Algiers, 1953-54. © Archives Fernand Pouillon,
07
Association Les Pierres Sauvages de Belcastel.
208 209
Pouillon e i dislocazioni del Mediterraneo balconi con travi a sbalzo che si estendevano tra i due piani superiori del palazzo, con semplici
210 211
sua associazione agli edifici della Casbah. Ancora più suggestive, tuttavia, erano le due cosid- sue mura massicce che lo rendevano omogeneo. Rispetto all’elaborata parete separatoria di
La Nostalgérie di Simounet
13 Nel 1992 fu inaugurata a Marsiglia la Scuola Nazionale di Danza (École Nationale Supérieure de
Danse), alla presenza dell’architetto capo Roland Simounet e del Ministro della Cultura, Jack
Lang. Le austere pareti bianche dell’edificio spiccano vivamente sul paesaggio verdeggiante
circostante in un piccolo parco alla periferia sud della città, non lontano dalle Unité d’habitation
di Le Corbusier. Anche se la scuola era solo a due piani, l’esterno monolitico dava l’impressione
12 di un senso di massa unitaria che andava al di là delle sue dimensioni relativamente compatte.
L’edificio appariva come un insieme di volumi cubici accatastati, sovrastato da una torre scenica
5.11. Fernand Pouillon. Piazza delle 200 colonne, complesso Climat de France, Algeri, 1955-57. © Archives
Fernand Pouillon, Association Les Pierres Sauvages de Belcastel.
stretta che si innalzava sulla sala prove principale. Le pareti esterne simili a una fortezza
erano punteggiate lungo il bordo del tetto da uno schema regolare di merlatura, formato da
5.12. Fernand Pouillon, con Auguste Perret e André Devin, Vista della ricostruzione del Vecchio Porto,
alcove strette incassate coronate da piccole aperture nascoste che si alternavano con cappe
Marsiglia, 1948-54. Il Vecchio Porto fu distrutto dall’esercito tedesco nel gennaio 43. Cartolina, collezione
Jean-François Lejeune. rettilinee aggettanti che incorniciavano alte finestre. Una larga rampa attraverso la facciata
frontale portava a un cortile recintato e all’ingresso principale dell’edificio alla sua estremità.
5.13. Fernand Pouillon. Dettaglio di una claustra a La Tourette, Marsiglia, 1948-52. Foto S. Crane.
212 213
DIALOGHI MEDITERRANEI LE CORBUSIER, FERNAND POUILLON E ROLAND SIMOUNET | Sheila Crane
14
16
5.14. Roland Simounet. Djenan el-Hasan, Algiers, 1957–62. Da “Djenan el Hasan,” Techniques et Architecture
329, Febbraio/marzo 1980. Fotos Jean de Maisonseul.
5.15. Roland Simounet, Scuola nazionale di danza, Marsiglia, 1985–92. Foto S. Crane. Sotto: Sezione, 1985–
92. © Roland Simounet collection, Centre des Archives du Monde du Travail, Roubaix.
16
5.16. Roland Simounet. Schizzi per la Scuola nazionale di danza, 1986. © Roland Simounet collection,
Centre des Archives du Monde du Travail, Roubaix.
214 215
I primi commentatori e critici hanno confrontato ripetutamente l’edificio a “un piccolo villaggio spazi secondari dispersi intorno ai due spazi vuoti dominanti—il cortile e la sala di prove prin-
216 217
della Repubblica francese31. Il progetto di Simounet per la Scuola di Danza attinse da elementi Mentre l’esterno dell’edificio sembrava semplicemente richiamare le severe pareti bianche
218 219
1
Jean-Pierre Giordani, “Territoire: Nouveaux plans urbaines, les Esquisses sud-américaines 14
Fernand Pouillon, Mémoires d’un architecte, Parigi, Seuil, 1968, p. 172.
220 221
Culturel des Français originaires d’Afrique du Nord, La mémoire des français originaires d’Afrique
du Nord, manoscritto inedito, 24 settembre 1984.
32
Roland Simounet, intervista con Christian Devillers (1986), ristampato in Richard Klein, Roland
Simounet: Dialogues sur l’invention, Parigi, Éditions du Moniteur, 2005, p. 84.
33
François Chaslin (a cura di), Corbu vu par, Liège, P. Mardaga, 1987.
34
Roland Simounet, intervista a Jean-Paul Dollé (1989), ristampato in Richard Klein, Roland
Simounet: Dialogues sur l’invention, p. 118.
35
Simounet stesso osservò che la nozione di Le Corbusier della “passeggiata architettonica” fu
ispirata dalla Casbah, in un’intervista del 1995. Roland Simounet, intervista pubblicata origi-
nariamente in La Ville 1,1995; ristampato ibid, 150.
36
Il termine “nostalgérie” è stato coniato da Henri Montherlant, nei sui resoconti romanzati
immaginari, sulla vita dei pied-noirs prima dell’indipendenza e del trauma del rimpatrio. Vedere
Henri de Montherlant, “La Rose de Sable”, in Michel Raimond (a cura di), Romani, Parigi, Galli-
mard, 1982, p. 179.
5.17. Roland Simounet. Djenan el-Hasan, Algiers, 1957–62. Da “Djenan el Hasan,” Techniques et Architecture
329, Febbraio/marzo 1980. Fotos Jean de Maisonseul.
222
L’eredità di un architetto di Istanbul
Tipologia, contesto e identità urbana nell’opera
di Sedad Eldem
Sibel Bozdogan 06
Nel corso dei secoli, Istanbul, alla stregua di altre grandi città nel bacino del Mediterraneo come
Napoli, Palermo o Il Cairo, è stata oggetto di innumerevoli resoconti scritti e figurati ad opera
di viaggiatori, orientalisti, fotografi e artisti. Nella maggior parte di questi resoconti, assieme
all’inconfondibile profilo delle moschee e minareti stagliati sulle colline, si trova la descrizione di
un tessuto urbano fitto di case di legno a due o tre piani, snodate lungo strade strette e tortuose,
inframmezzato da ampi spazi verdeggianti e giardini. Queste immagini, che definiscono la forma
urbana e l’identità uniche della città, si sono conservate più o meno intatte per quasi cinque
secoli, fino a circa la metà del Ventesimo secolo1. A partire dagli anni Cinquanta, la fenomenale
crescita, espansione e cementificazione della città, esacerbatasi negli anni Ottanta, ha portato
alla rottura tragica e irreversibile di quella continuità storica, trasformandone il profilo, eroden-
done il verde e facendo rapidamente scomparire le vecchie case in legno.
Oggi il discorso sulla forma e sulla cultura urbana di Istanbul è in gran parte un discorso di
profonda perdita e nostalgia. Intellettuali, poeti, fotografi, artisti e storici dell’architettura
lottano ancora oggi per mantenere vivo questo senso di perdita, a differenza degli architetti al
lavoro che sono stati per lo più indifferenti alla situazione della città, quando non direttamente
complici nel crearla2. La vita e la carriera di Sedad Hakki Eldem (1908-1988), probabilmente il più
importante e prolifico architetto turco del XX secolo, costituiscono la più importante eccezione.
Come storico urbano di Istanbul, docente all’Accademia di Belle Arti e personaggio pubblico di
spicco coinvolto con il patrimonio storico e gli sforzi di conservazione in Turchia, i contributi di
Eldem alla nostra consapevolezza dell’identità urbana di Istanbul sono stati significativi tanto
quanto il suo lavoro di architetto, se non di più.
Ho ampiamente documentato, altrove, l’opera di Eldem e il suo preciso programma di defini-
zione di una moderna architettura turca consapevole della tradizione, dei precedenti storici e
della continuità culturale3. In questa sede, voglio offrire una lettura critica di alcuni progetti
nel contesto urbano di Istanbul, alla luce dei suoi dichiarati presupposti teorici e metodolo-
gici. Attraverso questi presupposti, voglio suggerire che, sebbene Eldem si ponesse in forte
contrapposizione al Modernismo d’avanguardia postulato universalmente di trascurare la
cultura, il contesto e la storia, è tuttavia teoricamente difficile designare il suo lavoro come
“contestuale” o “regionalista”. Piuttosto, Eldem può essere visto come un architetto razionalista
che guarda alla tradizione per astrarne certe “tipologie” che vanno al di là della storia e della
regione. In quanto tale, la sua architettura è in ultima analisi, classica e auto-referenziale,
dunque, per lo stesso motivo, “senza tempo” e “senza luogo”, prestandosi a riappropriazioni
formali e stilistiche nella Turchia postmoderna.
226 227
L’EREDITÀ DI UN ARCHITETTO DI ISTANBUL | Sibel Bozdogan
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6.4. Sedad Eldem. Pianta generale e plastico dell’intervento a Beyazit Square, Istanbul, 1938. © Aga Khan Trust
for Culture, Geneva.
6.5. Sedad Eldem. Pianta della Facoltà delle Scienze e Letterature, Istanbul University, 1942. © Aga Khan Trust
for Culture, Geneva.
6.6. Sedad Eldem. Facciata principale della Facoltà delle Scienze e Letterature, Istanbul University, 1942. © Aga
Khan Trust for Culture, Geneva.
06 6.7. Sedad Eldem. Planimetria, Palazzo di Giustizia, progetto, Istanbul, 1948. © Aga Khan Trust for Culture,
Geneva.
di occuparsi di motivi stilistici e composizione classica, Eldem era interessato alle planimetrie
e ai sistemi costruttivi dell’architettura residenziale ottomana e alla loro espressione razionale (Hünkar Kasrı) annesso alla moschea di Yenicami, del Diciassettesimo secolo, testimoniano la
sulle facciate esterne. Per lui, questa razionalità funzionale, strutturale e formale era l’elemento sua sensibilità intuitiva per una tipologia di base che sarebbe stato l’obiettivo primario del suo
identificativo della “cultura edilizia” tradizionale ottomana, che
si manifestava attraverso scala, programma professionale e pedagogico per il resto della sua vita. Gli ampi cornicioni sporgenti,
programmi e budget diversi—dai padiglioni imperiali del Palazzo di Topkapi alle case in legno la ripetizione modulare delle finestre e la proiezione dei piani superiori sopra una base solida,
vernacolari delle strade tortuose e delle sezioni più povere dei quartieri storici di Istanbul. I catturati in questi primi disegni, avrebbero gradualmente e sistematicamente trovato strada
suoi primi schizzi di case di legno e i disegni splendidamente realizzati del padiglione imperiale nel lavoro di Eldem, diventando il suo marchio distintivo.
228 229
Dopo più di mezzo secolo dalla sua concezione, l’idea di Sedad Eldem di un’architettura odierno di casa moderna. Grandi finestre e luce, pianta aperta, la precedenza al comfort rispetto
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L’EREDITÀ DI UN ARCHITETTO DI ISTANBUL | Sibel Bozdogan
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strutture storiche adiacenti—i bagni Beyazit (hamam) e l’Hasan Pasa Medrese con una strada
interna a gradini che li separa e che culmina nella fontana (sebil) del medrese. Le due facciate
monumentali del progetto sono disposte ad angolo retto lungo le due strade principali per dare
loro un prospetto più urbano e istituzionale. In contrasto, il progetto si apre sul retro con una serie
di cortili e spazi aperti verso Vezneciler Caddesi, oltre il quale un vecchio quartiere era designato
per la conservazione.
L’intero progetto è la prima dimostrazione su larga scala del programma nazionalista di Eldem,
una traduzione del suo paradigma di “casa turca” dalla dimensione residenziale a quella di un
edificio istituzionale monumentale. La facciata principale dell’edificio lungo Ordu Caddesi è
particolarmente esemplificativa: si tratta di una versione allungata della casa turca tradizionale
di Eldem, ingrandita in scala e sollevata da un colonnato monumentale al piano terra, con chiare
allusioni alla stazione ferroviaria di Stoccarda di Paul Bonatz (1912-1928). I materiali e la facciata
caratteristici dell’edificio—soprattutto gli strati alternati di mattoni e pietra lungo il frontale
di Reçsit Pacsa Caddesi e nei cortili—replicano le tecniche murarie tradizionali ottomane che
Eldem aveva imparato da studente.
6.8. Sedad Eldem. Vista panoramica del complesso nel contesto urbano e planimetria, Complesso della Previ-
denza Sociale, Zeyrek, Istanbul, 1962-64. © Aga Khan Trust for Culture, Geneva.
6.9. Sedad Eldem. Complesso della Previdenza Sociale, Zeyrek, Istanbul, 1962-64. © Aga Khan Trust for
Culture, Geneva.
6.10. Sedad Eldem. Facciata secondaria della Previdenza Sociale, Zeyrek, Istanbul, 1962-64. © Aga Khan Trust
for Culture, Geneva. 10
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Aga Khan nel 1986. Il sito è in prossimità dell’acquedotto romano e della chiesa bizantina di
12 13
Il progetto successivo, il Palazzo di Giustizia (1948-1971), che per più di venti anni impegnò
Eldem a singhiozzo, si trova nel cuore della penisola storica sulla Piazza Sultanahmet, vicino
ai principali monumenti bizantini e ottomani. Fu disegnato nel 1948 in collaborazione con Emin
Onat come progetto per un concorso, con Paul Bonatz tra i membri della giuria. Ciò che è
urbanisticamente rilevante è la rispondenza del piano in termini di scala e sagoma al suo
schiacciante contesto storico. La preoccupazione per le quote di Piazza Sultanahmet è evidente
nei disegni, in particolare nell’attento aggiustamento del profilo del tetto del piano dietro al
palazzo storico di Ibrahim Pasa sulla piazza. La leggera sovrapposizione della sagoma della
Moschea Blu su questo rilievo suggerisce un tentativo di non alzare il nuovo progetto al di sopra
del livello del sistema di cupole della moschea. Da questo schema iniziale, solo la lunga spina
dorsale del progetto dietro al Palazzo di Ibrahim Pasa è stata costruita, per ospitare uffici e aule
di tribunale. I due blocchi più grandi verso Divanyolu non furono mai costruiti, i lavori vennero
interrotti a causa dei ritrovamenti archeologici incontrati durante gli scavi del sito. Molto più
tardi, nel 1978, Eldem propose di sollevare i blocchi al di sopra del livello degli scavi delle rovine
e di coprire la rotonda bizantina e la chiesa sotto strutture leggere come rispettivamente una
cupola geodetica e una struttura a forma di tenda. Queste proposte successive (mai realizzate)
14
sono interessanti, anche se non furono un successo per Eldem, come prova dei gravi problemi
di costruzione in aree storiche con strati di archeologia urbana da prendere in considerazione. 6.11. Case tradizionali Yalı . Da A.J. Melling, Voyage Pittoresque de Constantinople et des Rives du Bosphore,
A tale riguardo, Istanbul, come Roma, è una “città collage” per eccellenza, e la molteplicità Paris, 1819.
di strati (da romano e bizantino a ottomano e repubblicano) complica la questione di ciò che 6.12. Sedad Eldem. Taçslık Caffè, Istanbul, 1947. © Aga Khan Trust for Culture, Geneva.
costituisce esattamente l’identità urbana della città. 6.13. Sedad Eldem. Suna Kıraç Yalı Casa, Vaniköy, 1965. © Aga Khan Trust for Culture, Geneva (foto Engin Yenal).
6.14. Sedad Eldem. Rahmi Koç Villa, Tarabya, 1975-80. © Aga Khan Trust for Culture, Geneva.
Infine, il più acclamato schema “contestualista” di Eldem sulla penisola storica è il complesso
6.15. Sedad Eldem. Schizzo un gruppo di ville private con vista sulla baia di Tarabya, Bosforo, c. 1970. © Aga
del Ministero della Previdenza sociale a Zeyrek (1962-1964), vincitore di un prestigioso Premio
Khan Trust for Culture, Geneva.
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sua opera caratteristica più celebrata, il Caffè Taçslık (1948), è una replica in cemento armato
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come un architetto regionalista, il cui lavoro rappresenta qualcosa di unicamente “turco”, così paese come la Turchia, con almeno cinque aree geografiche diverse con differenti peculiarità
238 239
1
Istanbul è una delle città più rappresentate, mappate, incise e fotografate del mondo. Una 15
Shirine Hamadeh, The City’s Pleasures: Architectural Sensibility in Eighteenth Century
240 241
La natura e il popolo
Il vernacolare e la ricerca di una “vera”
architettura greca
Ioanna Theocharopoulou 07
Sibyl Moholy-Nagy nel 1955 ha scritto: “La storia dell’uomo come cercatore di riparo è la storia
del suo rapporto con il suo ambiente”1. Quasi dieci anni prima dell’autorevole Architecture without
Architects (1964) di Bernard Rudofsky, in un breve testo per la rivista Perspecta, Moholy-Nagy
illustrava i modi in cui l’architettura “anonima” fosse “un elemento portante di vita-continuità”
che “addomestica” l’ambiente con “umiltà e astuzia”. Rudofsky notoriamente definì il vernacolo
come “architettura senza architetti”, “non di razza” e, con un certo senso di disagio, utilizzò i
termini “vernacolare, anonimo, spontaneo, indigeno e rurale” per spiegare ciò che è ancora
“così poco conosciuto che non gli abbiamo nemmeno dato un nome”2. Egli discusse l’arte del
costruire come un fenomeno quasi universale e pensò che qualcosa di importante era stato
perso con l’introduzione della modernizzazione.
Due professionisti e pensatori influenti, Dimitris Pikionis (1887-1968) e Aris Konstantinidis
(1913-1993), discussi in questo saggio, parlarono anche di sentimenti di una perdita. Allo stesso
tempo, erano impegnati nel creare una nuova architettura moderna ispirandosi ai loro studi
del vernacolare. Cercavano di creare un moderno analogo del vernacolare che sarebbe stato
“vero”, sia nel senso di appartenere al presente e sia profondamente radicato nello specifico
clima, paesaggio e nello spazio geografico della Grecia. Come vedremo, il vernacolare signifi-
cava cose diverse per Pikionis e Konstantinidis, entrambi i quali lasciarono numerosi scritti in
cui formulavano le loro idee e iniziative di ricerca. Un’altra figura importante nell’esplorazione
del vernacolare fu Constantinos Apostolos Doxiadis (1913-1975). Questo saggio colloca il suo
contributo in relazione all’opera di Pikionis e Konstantinidis, che lui conosceva bene e con i
quali collaborò in diverse fasi della carriera.
Il termine vernacolare è usato qui per discutere prevalentemente di edifici a uso abitativo costruiti
senza alcun coinvolgimento di architetti. È significativo che in greco non esista un equivalente
esatto del termine “vernacolare”3. L’equivalente più vicino al termine, l’architettura popolare
(laikì architektonikì), ha una radice etimologica diversa dalla parola latina verna. Legato al laòs
che significa ‘popolo’, il termine greco rende “architettura vernacolare”, come l’architettura del
popolo, cioè, costruita da persone con poca o nessuna istruzione, soprattutto nelle campagne,
ma anche in città, per buona parte del Ventesimo secolo 4.
A un certo livello, il richiamo sentito dagli architetti greci nei confronti dell’idea di una archi-
tettura locale/popolare/vernacolare intimamente legata a un particolare paesaggio locale, è
simile a quella dei loro colleghi del Nord Europa. Come i tedeschi discussero il radicamento
del Volk e i finlandesi proclamarono l’importanza delle fiabe della Carelia, così i Greci in un
particolare momento storico—durante la prima parte del Ventesimo secolo—cominciarono a
riconoscere “vero” ellenismo nell’arte popolare e nell’architettura e a cercare legami profondi
tra “umili edifici” e il paesaggio greco. Come le loro controparti in Nord Europa, la connessione
percepita con la natura era ciò che permetteva loro di parlare di “senza tempo” e “immutabilità”
rispetto a questo vernacolo. I Greci “trovarono” il loro passato perso—o almeno sepolto—nella
natura ellenica e proiettarono parte delle loro storia e anche delle loro idee creative sulla loro
interpretazione del paesaggio ellenico. Ma le similitudini con il Nord Europa finiscono qui. Invece
di lodare le grandi foreste maestose, i greci parlavano di una terra assolata, sbiancata, aspra
e brulla in mezzo a un calmo mare azzurro.
7.1. Dimitris Pikionis. Ingresso a San Dimitris Loumbardiaris, Parco dell’Acropoli, Atene, 1954-58. ©
Neohellenic Architecture Archives, Benaki Museum, Atene.
243
In realtà, l’interesse degli architetti greci e di altri intellettuali per lo studio del rifugio indi- Perché rifiuta la nostra consueta idea fissa sull’oggetto tecnico e/o artistico come cosa a sé, per
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suo interno. In realtà la ricerca laografa fu trattata da Pikionis come un deposito di saggezza
246 247
prima, durante e dopo la seconda guerra mondiale. Il lavoro sull’architettura vernacolare di
7.6/7. Dimitris Pikionis. Scuola elementare, Pefkakia, Lycabettus, Atene, 1931. © Neohellenic
Architecture Archives, Benaki Museum, Atene.
una serie di pubblicazioni che rimasero, a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale,
in gran parte inedite fino a non molto tempo fa.
Pikionis ha discusso il vernacolare anche come una sorta di linguaggio. L’idea di fondo era che,
come la lingua greca, in vita da millenni, ci potrebbero essere tipi di costruzioni appropriate
per il clima e il paesaggio specifico in attesa di essere riscoperte, o riattivate. Se solo si fosse
cominciato a capire bene le diverse componenti, le si sarebbero potute usare per costruire un
nuovo vocabolario contemporaneo di forme che sarebbero state di nuovo naturali e indigene,
locali per il suolo greco. Citando un frammento del poeta Dionisio Solomos, “in primo luogo,
impara a obbedire alla lingua del popolo, e poi, se sei abbastanza forte, padroneggiala”, Pikionis
ha scritto:
... come il popolo [laòs] dà parole allo scrittore, così dà a noi [gli architetti] forme, come
7
248 249
7. 8. Dimitris Pikionis. Padiglione a San Dimitris Loumbardiaris, Parco dell’Acropoli, Atene, 1954-58.
© Foto Jean-François Lejeune.
fossero altri tipi di parole, quelle del nostro linguaggio plastico. Se solo potessimo apprez- che le [popolazioni rurali] chiamano sgorpia. Le forme emergono naturalmente dall’uso di
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questo paesaggio. Comprendendo il vernacolare, Pikionis si sentiva maggiormente in grado di in cui è scolpita ... è naturale ... naturale come una semplice lastra di pietra che il contadino
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denso di Mykonos (Chòra), che i locali chiamano “il paese”. Case come quelle studiate da
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tinidis: il termine “scenografico”, già usato in Due “Villaggi” da Mykonos così come in molti altri
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interno costante. In questo caso, nonostante le accuse contro i laografi, non possiamo fare a
griglia di cemento era spesso imbiancata o veniva lasciata a vista. Le pareti di pietra erano
quasi sempre a vista in modo che non solo si fondevano con i colori del paesaggio circostante,
ma pure evocavano i processi popolari/vernacolari. Allo stesso modo, usava volentieri la
pietra per l’architettura del paesaggio, evocando i muri a secco indigeni studiati nelle Cicladi.
Un altro contributo che Konstantinidis portò alla discussione del vernacolare era la sua ammi-
razione per le strutture contemporanee “informali”. Nel libro su Mykonos, Konstantinidis chiese
come possiamo coltivare il nostro “senso del popolare” in modo da abituare i nostri occhi e
le nostre mani a costruire, come “il popolo”. In diversi momenti della sua vita disegnò e foto-
grafò vari tipi di edifici auto-costruiti, sia nelle città sia nelle campagne, sia temporanei sia
permanenti—da tettoie di bambù costruite semplicemente per mangiare in riva al mare, alle
monocamere imbiancate per l’accoglienza dei rifugiati. In queste costruzioni informali Konstan-
tinidis riconobbe un desiderio istintivo simile a costruire bene, e scrisse con ammirazione che
“la gente del popolo” sa come costruire in questo particolare paesaggio tanto con la pietra,
quando col vetro e con il cemento.
Mentre Pikionis si presenta come uno scrittore tranquillo e umile, è caratteristica dei saggi di 7.15. Aris Konstantinidis, Xenia Hotel, Kalambaka, 1960. © Neohellenic Architecture Archives, Benaki
Museum, Atene.
Konstantinidis di avere un tono appassionato, perfino esplosivo. Anche se i suoi testi possono
7.16. Aris Konstantinidis, Xenia Hotel, Mykonos, 1960. © http://blog.sias.gr/buildingstories/643-to-be-
essere estremamente acuti e percettivi, sono spesso pieni di contraddizioni, tradendo un conflitto
traditional-is-to-be-contemporary-part-02-infrastructure-in-post-war-greece
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LA NATURA E IL POPOLO | Ioanna Theocharopoulou
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contemporanei europei di quanto non si rendesse conto. Infatti, Vecchie case ateniesi è un mani- Ci sono almeno tre modi in cui le attività di Doxiadis arricchirono la discussione sull’anonimo/
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chitettura delle isole dell’Egeo, l’architettura di Zagora nella Grecia continentale e l’architettura concetto di laografia e i metodi di ricerca etnografica fornirono agli architetti greci alcuni mezzi
266 267
1
Sibyl Moholy-Nagy, “Environment and Anonymous Architecture,” Perspecta 3, 1955, pp. 3-8. 13
Artemis Leontis, Topographies of Hellenism: Mapping the Homeland, Ithaca, Cornell University
268 269
paragrafo di apertura, p. 9. 40
Doxiadis pubblicò la sua tesi di laurea, completata in un anno, come Raumordnung im grie-
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NORD
La critica anti-mediterranea
nella letteratura dell’architettura moderna.
I Kulturarbeiten di Paul Schultze-Naumburg
Kai K. Gutschow 08
Nelle aspre battaglie per definire l’architettura moderna in Germania all’inizio del Ventesimo
secolo, immagini propagandistiche scelte oculatamente giocarono un ruolo determinante nel
plasmare tanto l’opinione pubblica quanto la professione1. Architetti su tutti i fronti dei dibattiti
si servirono della nascente cultura mediatica del giorno per rendere memorabili e facilmente
comprensibili i loro, spesso complessi, argomenti. Molte delle immagini più potenti sono state
create sulla scia della grande mostra sulle abitazioni di Weissenhof nel 1927 a Stoccarda, proget-
tate da un gruppo di famosi architetti moderni provenienti da tutta Europa. Il noto libro dallo
stesso anno di Walter Curt Behrendt, per esempio, ha utilizzato una visione eroica e patriottica
del Weissenhof Siedlung per annunciare la “vittoria del nuovo stile di costruzione”2. Immagini
simili vennero strategicamente collocate su copertine e frontespizi dei libri di Ludwig Hilber-
sheimer, Adolf Behne e del Werkbund tedesco per celebrare l’arrivo dell’architettura moderna3.
Anche se meno noti, gli avversari tedeschi del nuovo stile di architettura furono altrettanto effi-
caci nel promuovere i loro messaggi contrari, spesso con immagini simili, anche se in contesti
molto diversi. Nel suo popolare libro, Das Gesicht des Deutschen Hauses (Il volto della casa
tedesca, 1929), per esempio, l’architetto e critico tedesco Paul Schultze-Naumburg contrappose
una vista del Weissenhof Siedlung con una vista pittoresca di un villaggio balneare dell’isola
greca di Santorini4. Per i lettori alla ricerca dell’ideale mediterraneo nell’architettura moderna,
le immagini provano quanto i prismi rettangolari bianchi dal tetto piatto, collocati asimmetri-
camente, dell’architettura moderna in Germania fossero strettamente connessi a forme senza
tempo del vernacolare mediterraneo. In seguito, comparazioni simili con l’architettura vernaco-
lare italiana vennero utilizzati da modernisti italiani come Giovanni Michelucci per dimostrare
le radici mediterranee e i valori senza tempo delle loro forme5.
Ma il contesto delle illustrazioni di Schultze-Naumburg ha prodotto una lettura molto
diversa. Offrì le immagini fotografiche comparative come prova delle forme “estranee” e stiliz-
zate dell’architettura moderna. La nuova architettura, sosteneva, era “non-tedesca” nella sua
fisionomia e incompatibile con la pioggia, la neve e il clima freddo del Nord. Egli affermò che i
tetti piatti e le semplici forme cubiche erano state sviluppate in “Oriente”, nel calore del Medi-
terraneo, e che erano culturalmente inappropriate e funzionalmente non idonee per le colline di
Stoccarda6. I paralleli dell’architettura moderna con forme straniere, per Schultze-Naumburg,
erano segni di una “rottura” o di un “deragliamento” della naturale evoluzione della buona
architettura tedesca e, forse, indici anche della “fine” dell’anima del Volk tedesco7. La sua
critica era in linea con quelle di altri critici conservatori che biasimarono la zona residenziale
modernista come un “Villaggio arabo” o una “Piccola Gerusalemme”, o come “Bolscevica”
nello spirito 8. Un famoso fotomontaggio, venduto come cartolina, rese visibili queste critiche,
mostrando un mercato di strada “arabo”, completo di cammelli e leoni, nelle vie del quartiere
Weissenhofsiedlung.
Queste e altre critiche anti-mediterranee dell’architettura moderna, erano solo parte di una
campagna pubblicitaria di lunga durata che Schultze-Naumburg aveva lanciato sia individual-
mente sia in sintonia con alcune delle più influenti organizzazioni di riforma culturale della
Germania. Come sarà discusso qui di seguito nel saggio, le origini di questi attacchi, sia il conte-
nuto che le tecniche grafiche, risalgono alle discussioni ottocentesche sull’identità tedesca e il
8.1. Carta postale del Weissenhofsiedlung in Stoccarda trasformata in villaggio arabo, per dimostrare la carattere nazionale e, nel caso di Schultze-Naumburg, all’inizio della sua carriera come artista
nature ‘straniera’ e ‘mediterranea’ dell’architettura moderna, 1940. © Stadtarchiv Stuttgart, Sammlung nel movimento Arts and Crafts. Quello che nel 1890 era iniziato come un tentativo di lavorare
Weissenhof.
275
Solo pochi mesi prima della mostra di Weissenhof, per esempio, la rivista populista Der Uhu
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chitettura storica, egli reclamava edifici moderni (dal latino modo che significa “del giorno”)
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di una bella, onesta, civile, cultura comune. Sì, è questa la piccola casa ‹elegante› che oggi come le teorie di Schultze-Naumburg si svilupparono a partire da una tendenza nell’architet-
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funzionalità degli edifici più vecchi. I materiali da costruzione e la decorazione, artificiali,, brutti
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ancora appropriata, secondo la critica del Ventesimo secolo. La casa di Goethe venne utilizzata
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mediterraneo61. Si lamentava che il Classicismo era diventato uno “stile internazionale” privo di
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Sachlichkeit: raggiungevano un equilibrio perfetto di forma, funzionalità e bellezza. La sua ammi- Come dimostrato da Francesco Passanti, questa idea di una tipologia vernacolare anonima ebbe
288 289
L’attrazione di Schultze-Naumburg per la tecnologia moderna è la chiave per comprendere il suo mento o presso le edicole. Più come romanzi a buon mercato che testi architettonici tradizionali,
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valore dell’Heimat tradizionale e della casa moderna. Appassionato fotografo dilettante e una
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buono-cattivo, attraverso la colpevolezza per associazione—entrambi erano visti come negativi.
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ideologia razzista e nazionalista nei suoi ultimi scritti e nei suoi progetti architettonici, cercare 1
Parte di questa pubblicazione venne presentata nel 2001 alla conferenza SAH a Toronto,
296 297
ding) story of modern architecture’s search for identity”, in Barry Bergdoll e Werner Oechslin 24
Borrmann, Paul Schultze-Naumburg; Stephanie Barron (a cura di), Degenerate Art. The Fate of
298 299
35
Schultze-Naumburg, Dörfer und Kolonien, p. 37. estensione, politico - sul luogo, l’appartenenza e l’identità. Come idea, venne sviluppata inizialmente
300 301
54
Mebes, Um 1800; Frank, “Heimatschutz und typologisches Entwerfen”; Edina Meyer, Paul Functionalismus in der Architektur, Monaco, C. Hanser, 1974; e Borrmann, Paul Schultze-Naum-
302 303
Posener commentava che la loro influenza “non poteva essere esagerata”; Posener, Berlin auf ff.). Interessanti esempi paralleli a Schultze-Naumburg ebbero luogo nella rivista Ladies Home
304 305
Le nostalgie mediterranee di Erich Mendelsohn
L’Accademia Europea Mediterranea
e oltre in Palestina
Ita Heinze-Greenberg 9
Nel 1932, la chiusura del Bauhaus a Dessau fu capeggiata dall’architetto Paul Schultze-Naum-
burg, membro influente del Kampfbund für deutsche Kultur (un’associazione nazionalista dedicata
alla lotta per la cultura tedesca). Nello stesso periodo in cui il Modernismo veniva messo in
discussione in Germania, l’architetto berlinese Erich Mendelsohn, insieme al pittore francese
Amédée Ozenfant e all’editore e architetto olandese Hendricus Theodorus Wijdeveld, concepì
l’Académie Européenne Méditerranée (AEM) come una scuola d’arte europea sulle rive del
Mediterraneo nel sud della Francia. Anche se l’idea in definitiva rimase sulla carta come un’u-
topia mai realizzata, fu un’impresa ambiziosa, che progredì ben oltre la fase della pianificazione
concettuale. I potenziali finanziatori erano stati assicurati; un terreno edificabile adeguato era
stato acquistato; artisti di discipline diverse e di vari paesi europei avevano firmato contratti
come futuri insegnanti dell’accademia; e brochure, disegnate con molta eleganza, con il curri-
culum di insegnamento, erano state già stampate in cinque lingue. Oltre a ciò, un impressionante
elenco di celebrità, dalla scienza alla politica e alle arti, aderì al comitato consultivo in qualità
di membro, a partire da Albert Einstein, per continuare con Paul Valéry, Frank Lloyd Wright e
Igor Stravinsky. Il programma didattico elencava tutte le arti, compresi musica, cinema e danza,
mostrando così un carattere multidisciplinare innovativo. Sarebbe stata una sorta di Bauhaus
sulla Costa Azzurra. Ma l’Académie Européenne Méditerranée aveva di più all’ordine del giorno:
presentava—poco prima della sua crisi—una visione dell’Europa “senza confini”, alla quale
la cultura mediterranea avrebbe dato una identità unificante e universalista. Soprattutto, si
trattava di rivalutare l’arte moderna e la sua connessione con i valori delle tradizioni classiche
e vernacolari. O come la mise Mendelsohn in uno dei suoi bons mots arguti:
Lasceremo che siano gli Schultzes da Naumburg a ignorare il Mediterraneo come padre
della teoria occidentale internazionale dello stile1.
A iniziare il progetto originale dell’Accademia fu l’olandese Hendrik Wijdeveld (1885-1987). Egli
è meglio conosciuto per il suo impegno di lunga data come direttore della rivista Wendingen, la
voce della Scuola di Amsterdam, un gruppo informale di architetti riuniti intorno al prominente
giovane architetto, Michel de Klerk 2. “Dutchy”, come i suoi amici lo chiamavano, era il termine
per un “jack-of-all-trades”. Egli conosceva tutte le persone influenti della scena artistica inter-
nazionale e per diversi anni aveva coltivato l’idea di riunire i suoi numerosi contatti e di farli
convergere su un progetto speciale: la fondazione di una scuola internazionale d’arte.
Nella seconda metà degli anni Venti, Wijdeveld sviluppò un piano per een internationale
werkgemeenschap [una comunità di lavoro internazionale] in Olanda, che avrebbe avuto sede
in un paesaggio idilliaco intorno ai laghi di Loosdrecht, nei pressi di Utrecht. Pubblicò il suo
programma in un attraente libretto rilegato, che includeva due diversi progetti architettonici3. La
sua scuola d’arte fu concepita come una comunità di lavoro non accademico, dove insegnanti e
studenti, architetti, artisti e artigiani, avrebbero tutti dovuto vivere e lavorare insieme. Avrebbero
imparato insieme con il fare, il cenare insieme in una sala comune e il prender parte ad attività
culturali e sportive o, in scala minore, ad attività agricole finalizzate a rendere la comunità
autosufficiente. Queste inclinazioni comunitarie più romantiche venivano controbilanciate da
un netto schieramento con i più moderni sistemi di produzione e dall’appassionata adozione
di tecnologia e industria.
Tutti questi aspetti hanno suggerito una forte influenza del Bauhaus di entrambi i periodi,
9.1. Erich Mendelsohn. Schizzi per la Casa Weizmann, Rehovot, 1934. © The Museum of Modern Art/
Weimar e Dessau. Tuttavia, mentre Gropius aveva dovuto raddoppiare l’importo delle tasse
Licensed by SCALA / Art Resource, New York.
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scolastiche pagate dagli stranieri che studiavano presso la Staatliches Bauhaus rispetto a quelle
LE NOSTALGIE MEDITERRANEE DI ERICH MENDELSOHN L’ ACCADEMIA EUROPEA MEDITERRANEA E OLTRE IN PALESTINA | Ita Heinze-Greenberg
pagate dagli studenti tedeschi, Wijdeveld sottolineava con forza il carattere internazionale nel
programma del suo progetto:
I giovani provenienti da tutte le parti del mondo vengono a vivere e lavorare là e saranno
immersi nell’internazionalismo che là regnerà ovunque.… Scienziati e artisti provenienti
da Europa e America, dall’Asia e altre parti del mondo, non solo saranno i nostri ospiti, ma
diventeranno anche parte del personale permanente 4.
L’iniziativa generò grande interesse, ma apparentemente più all’estero che in patria. Anche se
Wijdeveld aveva ritenuto determinante il ruolo dell’Olanda nel discorso europeo, il progetto
attirò soprattutto colleghi influenti di altri paesi, tra i quali Frank Lloyd Wright negli Stati Uniti,
Erich Mendelsohn in Germania, e Amédée Ozenfant in Francia5. Mendelsohn e Ozenfant alla
fine riuscirono a convincere Wijdeveld a scambiare i laghi di Loosdrecht per il Mediterraneo,
l’azzurro del mare e il sole giallo del sud e, soprattutto, a tornare alla culla di una tradizione
classica e vernacolare senza tempo. Così già, a partire dall’inizio del 1931, era dato per scon-
tato che la costa mediterranea della Francia fosse il posto giusto per questa futura comunità
internazionale di lavoro.
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Wijdeveld. Potrebbe aver risvegliato in Mendelsohn sentimenti atavici per la sponda orientale
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del Mediterraneo. Ozenfant forse diede anche a Mendelsohn l’impulso iniziale a visitare la
Grecia, cosa che fece nella primavera del 193121. Il viaggio si rivelò un’esperienza travolgente
per Mendelsohn, la Grecia diventò una nuova fonte di ispirazione per il suo pensiero e la sua
comprensione architettonica. Dopo quel viaggio scrisse sei saggi molto poetici per il Berliner
Tageblatt, che testimoniano dell’amore appena scoperto e del forte impatto che ebbe su di lui
la Grecia. Chiamò Atene “madre dell’Europa” e il Mediterraneo “padre della teoria dello stile
occidentale internazionale”22.
Ozenfant era l’unico tra i futuri direttori della scuola ad avere esperienza d’insegnamento.
Nel 1924 aveva fondato, insieme a Fernand Léger, l’Académie Moderne di Parigi, e più tardi,
nel 1932, aprì la sua propria scuola d’arte, l’Académie Ozenfant, che ebbe una filiale a Londra
dal 1936 fino a quando egli trasferì la scuola interamente a New York. L’Académie Ozenfant,
con sede nello stesso edificio del suo famoso studio, costruito da Le Corbusier, al 53 Avenue
Reille, era incentrata su dessin, peinture, sculpture [disegno, pittura, scultura]. Il programma
prometteva che questi corsi sarebbero stati integrati da lezioni interdisciplinari, tenute da
critici d’arte, architetti, incisori, poeti e musicisti. Inoltre, offriva introduzioni a diversi concetti
filosofici e scientifici. L’idea pedagogica era di portare ogni studente a scoprire i propri talenti e
stile, liberi da qualsiasi pressione esercitata dal maestro23. Ozenfant considerava la sua scuola
d’arte come un “centro internazionale di cultura artistica”24 . Così, le sue idee coincidevano
con quelle di Wijdeveld e, in seguito, con i punti fondamentali del programma dell’Accademia
del Mediterraneo, che venne stilato meno di un anno dopo. Ozenfant probabilmente vedeva
entrambi i progetti delle due accademie come imprese complementari. Dato il suo impegno per
la fondazione della sua scuola a Parigi, furono soprattutto Wijdeveld e Mendelsohn a occuparsi
inizialmente di rendere operativo il progetto nel sud della Francia.
9.4. Stanza di soggiorno nella casa di Mendelsohn Am Rupenhorn, con il murale di Amédée Ozenfant.
L’attuazione del Progetto dell’Accademia
© Erich Mendelsohn, Neues Haus – Neue Welt, Berlin, 1932.
Nell’estate 1932, Mendelsohn e Wijdeveld partirono da Parigi lungo il fiume Rodano per visitare
queste idee, sia nel loro lavoro artistico che nei loro scritti teorici, per lo più pubblicati sulla la costa mediterranea della Francia meridionale, alla ricerca di un sito idoneo su cui costruire
rivista L’Esprit nouveau di cui erano co-editori. Purismo era l’espressione artistica del ristabili- la futura accademia. Mendelsohn scrisse ogni giorno a sua moglie lettere o altre brevi note di
mento di un ordine, una sorta di liricismo matematico, che avrebbe dovuto integrarsi in un ordine viaggio piene di entusiasmo per l’esperienza del Mediterraneo e per il progetto dell’Accademia.
cosmico universale naturale. La sua fonte di riferimento era la tradizione classica e vernacolare L’8 agosto 1932:
del Mediterraneo16. Ozenfant sviluppò queste idee nel suo libro molto noto e controverso Art, Si beve, si affoga nel Beaujolais e si è - salvati. La Germania è ben dietro di noi, e il midi
che fu pubblicato a Parigi nel 1928, e tre anni più tardi tradotto in tedesco, come pure in inglese di fronte al nostro naso. Sentiamo già l’odore di olive, di macchia e il profumo d’estate25.
col titolo Foundations of Modern Art17. E tre giorni dopo:
Mendelsohn espresse la sua scelta di una sensibilità mediterranea per la sua casa con la Stiamo prendendo ogni stradina tortuosa per scoprire ogni singolo magnifico posto -
decisione di incaricare Ozenfant. In particolare, il grande murale per la sala di ricevimento, dal guidando lungo la costa, entrando in proprietà private, dando loro un voto e annotandoli
titolo Musik und die bildenden Künste [Musica e le Arti Plastiche], considerato come ultima opera sulle mappe26.
purista di Ozenfant—con motivi come l’arpa e il vaso di terracotta—sembrava l’introduzione E di nuovo due giorni dopo:
alla Mediterraneità di Mendelsohn18. Conoscendo già da alcuni anni le sue opere e i suoi scritti, Stiamo vedendo molto, perché intuiamo che la nascita della realtà dipende dal posto giusto27.
il primo contatto personale di Mendelsohn con Ozenfant probabilmente risale alla sua prima All’inizio del 1933 il triumvirato decise di acquistare un terreno edificabile di cento ettari a
visita a Parigi, all’inizio del 192919. Un anno dopo, nel 1930, Ozenfant andò a stare per diverse Cavalière sulla baia tra Cap Nègre e Pointe du Rossignol, a metà strada tra Cannes e Marsiglia.
settimane nella casa appena costruita di Mendelsohn, Am Rupenhorn, al fine di eseguire i suoi Doveva occupare terreni in una posizione magnifica, appartata rispetto a tutte le distrazioni
murali. Questo fornì un’eccellente opportunità ai due uomini di conoscersi meglio, generando della Riviera, tuttavia sulle linee di comunicazione internazionali. Il finanziamento di tutto il
un profondo rispetto reciproco. L’esuberante elogio di Ozenfant della casa di Mendelsohn, progetto doveva essere garantito da una società a responsabilità limitata. I costi totali erano
pubblicato nel 1932 nel libro trilingue New House–New World, testimonia quanto seguissero stati stimati in tre milioni di franchi francesi28. Parallelamente alla ricerca di un sito appropriato
approcci artistici simili20. Si può presumere che la cultura e la tradizione del mondo mediterraneo per la costruzione, Mendelsohn, Wijdeveld e Ozenfant cercarono di trovare futuri insegnanti
siano state oggetto di molte discussioni tra questi due artisti. Ozenfant sicuramente raccontò competenti e idonei per l’Accademia. L’elenco del personale che accettò l’invito a insegnare
storie dei suoi recenti viaggi in Grecia e nel Vicino Oriente che, a loro volta probabilmente dimostra come il triumvirato dei direttori fosse riuscito a convincere artisti famosi provenienti
ricordarono a Mendelsohn del suo felice viaggio in Palestina nel 1923 e nei paesi limitrofi con da vari paesi europei a dirigere i vari dipartimenti29.
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9.5. A sinistra: Pagina della brochure dell’Accademia del Mediterraneo (AEM) mostrando il sito della futura
accademia. A destra: Questionario inviato ai potenziali studenti, 1933. © Mendelsohn-Archive, Staatliche
Museen zu Berlin—Preussischer Kulturbesitz, Kunstbibliothek.
9.6. Hendrik T. Wijdeveld. Progetto per il complesso dell’Accademia a Cavalière, 8 Gennaio 1934.
© Wijdeveld-Archive, The Nieuwe Instituut, Rotterdam.
Lo svizzero Paul Bonifas (1893-1967), per il Dipartimento di ceramica, e l’artista spagnolo Pablo
Gargallo (1881-1934), come capo del Dipartimento Scultura, aderirono grazie ai contatti personali
di Ozenfant. Bonifas aveva una formazione professionale in ceramica, incisione, stampa e musica. venne momentaneamente chiuso. I tre direttori avrebbero dovuto occuparsi personalmente
All’inizio degli anni Venti aveva lavorato come segretario generale della rivista L’Esprit nouveau, del dipartimento di architettura (Mendelsohn), di teatro (Wijdeveld), e di pittura (Ozenfant). Si
con Ozenfant e Le Corbusier. Gargallo, amico di Picasso dai tempi di Barcellona, lavorava a prevedeva di aggiungere, in seguito, altri corsi, come danza, tessitura, fotografia e cinema.
Parigi ed era rappresentato dalla famosa galleria di Leon Rosenberg. Aderirono anche due Ancora più notevole della lista del futuro personale docente era la composizione del comitato dei
artisti dall’Inghilterra Serge Chermayeff (1900-1996) ed Eric Gill (1882-1940). Quest’ultimo, che membri onorari. Sembra di leggere un’edizione dell’epoca del Who’s Who. Con Albert Einstein in
si sarebbe dovuto occupare della facoltà di tipografia, era uno degli scultori e tipografi inglesi testa, questo comitato era composto di uomini rinomati nel mondo della scienza, della politica
di maggior successo. Gill aveva un carattere affascinante, molto ambivalente: provenendo dalla e delle arti e da una donna, Hélène de Mandrot de Sarraz, che aveva fondato il congresso CIAM;
tradizione di Arts & Crafts, egli stesso fondò tre comunità basate sull’attività artigianale, in cui altri nomi su questa lista di tutto rispetto di personaggi di fama internazionale erano gli insigni
riuscì a fondere la religione, l’arte e il sesso 30. Chermayeff era una figura artistica non meno architetti Hendrik Petrus Berlage, Auguste Perret, Charles Herbert Reilly, Raymond Unwin,
intrigante. Nato nei pressi di Grozny in Cecenia era cresciuto a Londra, con un periodo all’estero, Henry van de Velde e Frank Lloyd Wright, lo scenografo inglese Edward Gordon Craig, il regista
in Sudamerica. Dopo una breve carriera come ballerino professionista si era specializzato con teatrale tedesco Max Reinhard, lo scrittore e poeta francese Paul Valéry e i musicisti Leopold
grande successo nella decorazione di interni e venne quindi scelto dal triumvirato come capo Stokovsky e Igor Stravinsky 33.
del futuro dipartimento di interior design 31. Il musicista tedesco Paul Hindemith (1895-1963), La fase successiva comportava di pubblicizzare l’intero progetto. Brochure disegnate lussuosa-
infine, si unì alla lista dei membri del personale. Era docente presso l’Accademia Musicale di mente e opuscoli vennero stampati in francese, inglese, olandese e tedesco, cinquecento copie
Berlino dal 1927, aveva la reputazione di un rivoluzionario evolutosi in uno studioso del Moder- in ogni lingua, per essere distribuiti presso gli ambienti interessati in tutta Europa34. Fornivano
nismo classico 32. Con questo numero di eminenti artisti, il circolo dei futuri membri dello staff informazioni sugli ambiziosi obiettivi dell’Accademia ed erano arricchiti da suggestive foto del
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sito. Aprivano il testo della brochure dichiarazioni generali sulle caratteristiche della futura sentire allo stesso tempo vivo e sereno. Lo sfondo di quella nostalgia che mi ha accom-
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AEM. L’obiettivo della scuola veniva definito come il metodo d’oro per mediare tra gli effetti pagnato da quando ero bambino e che mi ha portato attraverso il tempo, dà un senso alla
aberranti causati dalla formazione accademica tradizionale e la libertà dello studio privato, mia consapevolezza dello spazio, all’armonia dei volumi, al rapporto di ogni parte al tutto,
che può portare a eccentricità individuale. Il termine ‘accademia’ veniva utilizzato per mettere all’equilibrio delle tre dimensioni40.
in chiaro che il Modernismo non era inteso come una rottura con la tradizione, ma piuttosto E ancora da Cavalière nel giugno 1933:
come uno sviluppo organico radicato nel passato. Sei giorni in riva al Mediterraneo, sentiamo un pezzo di antichità diventare parte di noi,
L’unione di tradizione e innovazione era sentita nel contenuto dei corsi, così come nelle stesse allontanandoci inconsapevolmente dal nord, dal cambiamento di temperatura e di sentimenti,
forme didattiche. Invece di rompere radicalmente con metodi di insegnamento tradizionali, il verso quell’equilibrio di vita che non conosce alcun eccesso di peso 41.
programma di studio era costruito su idee tradizionali. Nuovi e creativi approcci pedagogici La vita sulle rive del Mediterraneo viene raffigurata come una grande sensuale esperienza di
e artistici non sostituivano quelli vecchi, ma venivano aggiunti a essi. Se l’Accademia fosse felicità, lo stimolo vitale viene attribuito alle tre divinità del Mediterraneo: il sole, il mare e il
stata realizzata secondo il programma descritto nella brochure, l’AEM sarebbe indubbiamente cielo. È quello che i francesi chiamano la pensée midi, letteralmente “pensiero meridiano”. Ma
diventata un centro dell’esperienza vissuta del Movimento Moderno, in contrasto con il Bauhaus, è molto di più. È la filosofia mediterranea di armonia e di equilibrio, di unità con la natura, di
che divenne il centro degli esperimenti vissuti del Modernismo. Inoltre, l’identità europea veniva luce del sud come fonte del pensiero, di ricorso alla moderazione come centro dell’esistenza, di
sottolineata nel testo della brochure e messa in rilievo nelle mappe, che riunivano idealmente stabilità interna del mondo mediterraneo come culla della forma, insieme all’omaggio esube-
una unità culturale europea, che si trovava in forte contrasto con le divisioni politiche esistenti rante alla cultura dell’antichità greca e del Rinascimento italiano, la filosofia alla base dello
ed emergenti all’epoca. Due motivi furono dati per giustificare la scelta del sito: in primo luogo, spirito vitale dell’epoca classica e della sua eredità.
l’ottimo clima mediterraneo, e secondo, la sua collocazione culturale come culla storica e La Pensée Midi conduce ad alcuni dei più grandi pensatori francesi dell’epoca e, soprattutto, a
patria dei principi di fede, legge e forma 35. In definitiva l’iniziativa dell’Accademia supponeva Paul Valéry. Il suo Eupalinos sembra essere onnipresente nel progetto dell’accademia. Eupa-
uno spostamento geografico del Modernismo, indietro verso le radici mediterranee che avevano lino—il personaggio storico era un ingegnere di Megara noto per la costruzione del tunnel
ispirato tanti contemporanei con Le Corbusier. Fu un allontanamento dal pragmatismo nordeu- dell’acquedotto di Samo (ca 550 a.C.)—è la figura centrale del famoso saggio di Valéry del 1921-
ropeo—protestante/calvinista per così dire—con implicazioni politiche oltre che estetiche. Il 1923, concepito come dialogo platonico 42. Il tema del dialogo sono le arti—pittura, letteratura,
suo programma affermava nulla di meno che il ruolo centrale dell’Europa mediterranea nel danza, musica, scultura e, soprattutto, l’architettura—con le loro relazioni reciproche e il loro
mondo culturale. impatto sull’uomo. È il credo di Valéry nella forma, nell’uomo creatore a immagine di Dio, nel
trasformare un mucchio informe di pietre in un mondo di forze precise, nell’equilibrato sacro
La Pensée Midi ordine fissato nel paesaggio della tradizione greca mediterranea.
Il Mediterraneo ha affascinato i nordeuropei per secoli. Goethe scrisse nel suo diario di viaggio La formazione dello spirito e dell’intelletto dal Mar Mediterraneo e l’eredità del Classicismo
italiano (1786-1788): mediterraneo, fu uno dei temi centrali di Valéry. Lo chiamava Inspirations Méditerranéennes,
Ognuno è in strada, seduto al sole, finché splende. Il napoletano è convinto di possedere il (ispirazioni mediterranee), che divenne il titolo di un saggio autobiografico43. In altri scritti Valéry,
suo Paradiso. Ha un concetto molto triste dei paesi nordici … sempre neve, case di legno, con la percezione del Mediterraneo come centro spirituale dell’Europa, aggiunse un importante
grande ignoranza, ma un sacco di soldi36. concetto socio-politico alla nozione emotiva e intellettuale. In un’antologia di saggi, pubblicati
Dei tre futuri amministratori della AEM, fu soprattutto Mendelsohn che diverse volte evidenziò nel 1931 dal titolo Regards sur le monde actuel—che includeva il suo “Notes sur la Grandeur et la
questa contrapposizione Nord-Sud. I suoi appunti di viaggio dalla Costa Azzurra attestano il Decadence de l’Europe” (Note sulla grandiosità e decadenza dell’Europa)—descriveva il destino
suo stato d’animo esaltato, così da Ajaccio nell’autunno 1931: dell’Europa come dipendente dalla conservazione della sua cultura originaria, elaborata dal
Il Mediterraneo contempla e crea, il Nord si chiude su se stesso e fatica. Il Mediterraneo Mediterraneo44. Senza il suo centro mediterraneo di forze creative, Valéry non vedeva possibilità
vive, il Nord si difende37. di sopravvivenza per l’Europa, per la sua identità, la sua integrità e la sua unità.
Mendelsohn, che definiva se stesso ein Orientale aus Ostpreußen [un orientale dalla Prussia Nel 1933, Anatole de Monzie, ministro francese dell’educazione, nominò Valéry direttore ammi-
dell’est], non solo si sentiva legato a entrambi i circoli della percezione, ma anche sentiva nistrativo del Centre Universitaire Méditerranéen (Centro Universitario Mediterraneo), in corso
in se stesso le loro forze divergenti 38. Da una parte nutriva forti sentimenti atavici verso la di fondazione da parte del governo francese a Nizza. Valéry definì lo scopo di questo centro come
riva orientale del Mediterraneo, dall’altra difendeva con forza il suo retroterra prussiano. Era l’analisi e la conservazione dell’immenso contributo intellettuale e umanitario della cultura
proprio l’ambivalenza tra familiarità e diversità che gli apriva nuove dimensioni. Rifletteva sul mediterranea alla civiltà45. Sembra utile richiamare l’attenzione sul fatto che il progetto AEM
Mediterraneo come un estraneo coinvolto. Le sue lettere di quegli anni erano odi incantevoli al risale esattamente allo stesso periodo. Dato che Valéry faceva parte del comitato consultivo, si
Mare Mediterraneo. Da Hyères nel mese di agosto 1932 può ben concludere che il progetto dell’Accademia si sviluppò secondo gli orientamenti intellet-
L’acqua trasparente come il vetro blu chiaro. In lontananza punti immaginari, nebbia, foschia tuali delle idee di Valéry. Potremmo anche arrivare a considerare l’Accademia come un ramo
e perdita di coscienza. Duecento metri di baia solitaria circondata da enclave mondana di ideologico, anche se non istituzionale, del suo progetto universitario. Si può presumere che le
un piacere sconosciuto - di uno stile di vita - di una forma di piacere, che viene percepito opere di Valéry fossero ben note ai tre futuri direttori 46. In ogni caso condivisero una visione
dentro di noi dall’inizio alla fine39. romantica del Mediterraneo come culla della cultura occidentale, e contrapposero i suoi valori
E da Cavalière nel maggio 1933: senza tempo con le carenze dell’Occidente industrializzato.
Com’è splendido, questo fresco vento di mare. Di un calore tenero, femminile. Il cielo, le
isole, il mare, si immergono nella stessa meraviglia di questo blu distante, il che mi fa
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Il grande incendio un giardino in comune, entrambi di importanza fondamentale nella visione di Wijdeveld di una
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Vediamo qui gli intellettuali più importanti coinvolti nel portare avanti idee di un’Unione Europea, comunità viva e funzionante52.
alla quale la cultura mediterranea classica avrebbe fornito una identità unificante e univer- Eppure, i piani erano destinati a rimanere sulla carta, un’utopia mai realizzata. Il suo destino
sale. La realtà politica dell’Europa, tuttavia, era spinta da forze paneuropee di ben diversa sembra anticipare di molto lo sviluppo storico. Nell’estate del 1934, gran parte del terreno
natura, quelle che tolsero a poeti e pensatori come Valéry—durante il regime di Vichy, nel 1941, dell’Accademia venne distrutto da un grande incendio, che lasciò dietro di sé terra annerita
fu spogliato del suo lavoro di direttore del Centro Universitario Mediterraneo—o ad artisti come coperta di cenere. Wijdeveld scrisse:
Wijdeveld, Ozenfant e Mendelsohn il diritto di continuare tale lavoro. Queste forze si adoperarono Un grande incendio ... Abbiamo visto la catastrofe con grande timore. Le montagne tra
anche per la creazione di una nuova identità europea, riferita ad un nuovo Classicismo, ma ne Le Lavandou e Le Rayol sono diventate una massa grigia. Gli ampi pendii che circondano
venne fuori una storia completamente diversa. la nostra proprietà sono coperte di legno bruciato … Tutto appare come un vasto campo
Tornando alla cronologia dell’Accademia, Mendelsohn , dopo essere fuggito alla fine di marzo del di battaglia. In queste circostanze continuare col nostro progetto dell’Accademia sembra
1933 dalla Germania, concentrò tutte le sue energie sull’AEM. Per i mesi successivi fu la forza impossibile … Il destino ha deciso53.
trainante dietro di essa, mettendo in atto l’idea dell’Accademia. Ebbe particolarmente successo Col senno di poi, Ozenfant corredò la fine dolorosa del progetto con auguri per rosee prospet-
nella ricerca di finanziatori e i preparativi per l’inizio effettivo dei lavori sul sito a Cavalière tive future:
andavano avanti a pieno ritmo. Alla fine di agosto del 1933, tuttavia, dopo un viaggio in Inghilterra Così è andato in fumo un bel progetto; altri, un giorno, lo riprenderanno ed costruiranno
per reclutare nuovi patrocinatori, Mendelsohn informò Wijdeveld della sua decisione di stabi- un luogo di ottimismo e di bellezza in questa nuova potenziale Attica, la Costa Azzurra,
lirsi in Inghilterra e di aprire un ufficio a Londra insieme a Serge Chermayeff47. Questa notizia antica colonia greca54.
arrivò all’improvviso e dovette essere un terribile shock per Wijdeveld. Anche se Mendelsohn
sottolineò ripetutamente che la sua mossa non avrebbe necessariamente posto fine alla sua La “casa mediterranea” a Gerusalemme
partecipazione attiva al progetto dell’Accademia, tuttavia segnò il destino di questo progetto Nonostante Mendelsohn fosse stato spinto da considerazioni pragmatiche ad abbandonare
promettente. Senza dubbio, Mendelsohn era stato il potente motore dell’intero programma il progetto dell’Accademia per perseguire nuove opportunità professionali in Inghilterra,
durante il periodo decisivo della primavera ed estate del 1933. Si era anche adoperato come l’esperienza sul Mediterraneo rimase sempre viva nella sua mente come stimolante scin-
mediatore influente tra Wijdeveld, l’appassionato, e Ozenfant, il purista. Senza un pieno impegno tilla. Chiaramente, mescolata alle sue dichiarazioni d’amore per il Mediterraneo, c’era la
di Mendelsohn, Ozenfant e il resto degli insegnanti si dimisero e alcuni dei possibili finanziatori nostalgia per la “terra dei suoi padri”, sulla riva orientale. In una lettera alla moglie Louise
ritirarono le loro offerte 48. In una lettera a Eric Gill, Wijdeveld descrisse i tristi sviluppi: scritta nel maggio 1933 confessò in un scritto un mese dopo la fuga con la sue moglie dalla
Dopo diversi mesi di preparazione, pianificazione, visite in Francia, acquisto dei terreni, un Germania in aprile 1933: “Il Mediterraneo è un primo passo verso il ritorno a quel paese, alla
solo uomo ha dovuto fare il lavoro. Mendelsohn, che era fuggito da Berlino, si era rifugiato tappa finale alla quale entrambi apparteniamo. Fa piacere saperlo”55.
a casa nostra ad Amsterdam, non aveva nessun ufficio, nessun lavoro, avrebbe potuto Un anno e mezzo dopo Mendelsohn aprì il suo ufficio a Gerusalemme. Lavorando col il Neues
cominciare subito a Cavalière. Il suo carattere però gli fece desiderare di vivere e lavorare Bauen, che stava facendo di Tel Aviv una metropoli internazionale che riflettesse l’origine europea
in mezzo alla folla e di elaborare i suoi progetti da solo. A un tratto se ne andò a Londra, dei suoi abitanti, egli mise in guardia contro l’aderenza unilaterale e avventata agli standard
poi in Palestina … Ozenfant è un vero francese e sarebbe sicuramente venuto a Cavalière, occidentali56. Non si stancò mai di criticare le tendenze occidentali dei suoi colleghi architetti
se si fosse potuto portare dietro Parigi. Anche ai Chermayeff sembra che avessero bisogno in contrasto con lo sfondo sociale e culturale:
della luce scintillante di una Métropole! Rimasti soli, si sono ritirati Hindemith e Gargallo. Per quanto riguarda questa terra, le sue abitazioni sono orientate ai modelli europei con
Quindi noi, mia moglie e mio figlio più giovane, abbiamo iniziato da soli49. troppa forza. C’è troppa imitazione e troppo poco spirito inventivo indipendente. Il clima
Alcuni studenti accompagnarono la famiglia Wijdeveld a Cavalière50. In seguito, al gruppo si unì della Palestina e lo stile di vita dei suoi abitanti, legato strettamente alla natura, ci impon-
un giovane architetto del paesaggio tedesco Reinhold Lingner (1902-1968), che si occupò, oltre gono di liberarci da queste planimetrie normali per ottenere una freschezza e una scala
che della progettazione del paesaggio e del giardino, anche della formazione degli studenti più ampie per gli interni. Questo scopo si raggiunge con la sala, è il centro rinfrescante
in queste discipline51. Durante i mesi invernali del 1933-1934 Wijdeveld preparò almeno tre della casa urbana araba e la tenda di pietra monolocale dei beduini sedentari in Es-Salt. I
diversi disegni per il futuro campus dell’Accademia, tutti su una scala più modesta di quanto balconi aperti, per esempio, non hanno un ruolo in un clima subtropicale, mentre gli alberi
inizialmente previsto. Due semplici vecchie case in pietra, l’una di fianco all’altra, esistevano accanto alla facciata sono ben più efficaci per dare ombra e più gradevoli di aspetto. Così
già sul terreno. Wijdeveld pensava di preservarle, utilizzandone una come abitazione del giar- resta ancora molto da fare57.
diniere e l’altra come sala da pranzo comunitaria con cucina annessa. Le nuove strutture, da Ai suoi colleghi nel paese raccomandò di studiare l’intera gamma di architettura vernacolare
costruire appositamente, dovevano essere tre ampi atelier (rispettivamente per l’architettura, mediterranea tradizionale prima di costruire in Palestina58. Egli stesso tradusse, nella sua
la pittura e la scultura), dieci residenze con camere singole per gli studenti, un ampio garage architettura in Israele, tutto ciò che aveva sperimentato e imparato nei suoi lunghi viaggi attra-
e un piccolo ufficio per l’amministrazione. I disegni suggerivano un trattamento architetto- verso i paesi del Mediterraneo. Soprattutto il suo primo progetto edificato, Villa Weizmann in
nico che si potrebbe definire sobrio, moderno, in armonia col carattere degli edifici di pietra Rehovoth, attesta il suo credo. La villa fu progettata e costruita tra il 1934 e il 1936. All’epoca
esistenti. Solo le dieci cabine dal tetto piatto, Cellules pour une personne [letteralmente ‘cellette Chaim Weizmann era il presidente dell’Organizzazione Sionista Mondiale. Così, la casa fu conce-
per una persona’], ciascuna a sé stante circondata da cespugli e boschi, con una grande parete pita non tanto come un rifugio privato di famiglia, ma piuttosto come un luogo in cui Weizmann
di vetro aperta verso il Sud, verso il Mediterraneo, rivelano un’impronta di Le Corbusier. Gli avrebbe potuto ricevere gli ospiti ufficiali più disparati da tutto il mondo. In retrospettiva si
edifici principali della scuola erano organizzati intorno a un teatro all’aperto semicircolare e potrebbe chiamarla la casa per un futuro presidente di un futuro stato. Mendelsohn si servì
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di vari “trucchi” per presentare il suo capolavoro in questo contesto. Secondo uno degli suoi
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assiomi, “l’architettura valida è progettata dietro l’angolo”59. Definiva il rapporto tra l’uomo e
l’architettura come un processo dinamico, come la tensione tra l’energia che sposta e l’energia
spostata. Ora l’elemento del movimento può risiedere sia con l’oggetto che con lo spettatore,
il che significa che l’oggetto si “muove” di fronte a uno spettatore immobile o quest’ultimo si
muove intorno a un oggetto statico. Queste erano le due possibilità esplorate dal Futurismo e
dal Cubismo. L’architettura tedesca estroversa di Mendelsohn parla il linguaggio futurista. Lì,
le sue volumetrie di cemento ricurve sembrano muoversi intorno agli angoli, con lunghe file di
finestre che fluttuano orizzontalmente.
Le pareti chiuse di Villa Weizmann, invece, nella loro introversione e tranquillità geometrica
interpongono un carattere statico. Per produrre comunque un senso di tensione dinamica,
Mendelsohn utilizzò una tecnica che ricordava il gioco prospettico dei cubisti: mosse lo spetta-
tore intorno al suo oggetto, in questo caso in un senso letterale, fisico. Mendelsohn sviluppò un
programma di prospettiva attentamente calcolato per la villa, e una serie di schizzi lo mostravano
esplorando varie viste della villa da diverse angolazioni. Progettò l’accesso alla villa come un
sentiero tortuoso in modo da mostrare al visitatore con orgoglio tutti i lati del suo monumento.
Prima di entrare attraverso la porta principale all’interno della casa, il visitatore avrebbe già
visto tutte le facciate e le viste d’angolo della Casa Bianca israeliana.
In questo gioco di prospettive cangianti, Mendelsohn sembra essere stato ispirato dall’archi-
tettura della Grecia classica, visitata solo tre anni prima. Louise ricordò:
... Non fece mai molto caso all’architettura greca fino a quando non la vide con i suoi occhi.
L’Acropoli di Atene lo sopraffece. Fu particolarmente impressionato dal modo in cui l’ap-
proccio è così calcolato e integrato con l’intero complesso60.
Così, nel suo primo progetto realizzato per la “vecchia-nuova” terra, Mendelsohn, uno dei
profeti del tempo della macchina in Germania, tornò alle antiche radici del Mediterraneo. Il
complesso è costituito da quattro blocchi a incastro disposti simmetricamente lungo l’asse est-
ovest intorno a un cortile interno aperto. Due elementi essenziali violano la rigorosa simmetria:
un’ala di servizio attaccata all’angolo nord-est, e l’ingresso della casa, spostato fuori asse a
sud, sul lato anteriore. Questa soluzione mostra la tecnica brillante tipica delle prime opere di
9.7. Erich Mendelsohn. Casa Weizmann, Rehovot, 1934-36. © Mendelsohn-Archive, Staatliche Museen zu
Berlin—Preussischer Kulturbesitz, Kunstbibliothek.
Mendelsohn: la trasformazione di una composizione simmetrica in un’esperienza asimmetrica.
Infine Villa Weizmann rappresenta un ottimo esempio di simbolismo nautico applicato. La chiara
9.8. Erich Mendelsohn. Piani e planimetria schematica, Casa Weizmann, Rehovot, 1934-36. © Architectural
simmetrica gerarchia dei lunghi blocchi bassi ricorda la sezione longitudinale di una nave. La
Review, October 1937.
torre sporgente della scala semicircolare con il suo nastro continuo di finestre sotto la linea
9.9. Erich Mendelsohn. Casa Schocken, Gerusalemme, 1934-36. Vista del lato nord con pergola e terrazza.
del tetto ricorda un ponte di comando, mentre le piccole finestre rotonde, gli oculi delle sale
© Architectural Heritage Research Center, Technion, Haifa.
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LE NOSTALGIE MEDITERRANEE DI ERICH MENDELSOHN L’ ACCADEMIA EUROPEA MEDITERRANEA E OLTRE IN PALESTINA | Ita Heinze-Greenberg
9.10. Erich Mendelsohn. Hadassah Centro Medico Universitario, Mount Scopus, Gerusalemme, c. 1935.
Schizzi in prospettiva della scuola di Medicina e auditorio. © The Museum of Modern Art/Licensed by
SCALA / Art Resource, New York.
9.11. Erich Mendelsohn. Hadassah Centro Medico Universitario, ingresso, Gerusalemme, c. 1936.
© Archives of the Hebrew University, Gerusalemme.
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di rappresentanza principali, assomigliano agli oblò di una nave a vapore. Nell’architettura desideri dei benefattori americani. Le uniche strutture realizzate sotto la sua direzione furono
LE NOSTALGIE MEDITERRANEE DI ERICH MENDELSOHN L’ ACCADEMIA EUROPEA MEDITERRANEA E OLTRE IN PALESTINA | Ita Heinze-Greenberg
moderna, allusioni alla costruzione navale sono ben noti. Ricordiamo, per esempio, l’opera l’Hadassah University Medical Center e altri due modesti edifici. Nonostante questo fallimento,
di Le Corbusier, Hans Sharoun, Ernst May e Antonio Sant’Elia. La maggior parte di queste l’Hadassah Center divenne il simbolo dell’università e l’ingresso con le tre cupole il marchio
allusioni sono basate su una glorificazione della funzionalità e dell’estetica della macchina. A architettonico dell’ospedale. Egli scrisse:
Villa Weizmann, tuttavia, entrarono in gioco altri significati associati con l’immagine della nave, Siamo sul Monte Scopus a Gerusalemme e stiamo guardando giù verso villaggi vecchi di
come ad esempio: partenza e viaggio verso mete lontane, fuga e liberazione, movimento verso tremila anni, o sono seimila, chi lo sa? Ovunque ci sono piccole case di pietra a cupola. Così
l’utopia e speranza di un “mondo nuovo”. L’archetipo associato a questi significati è l’arca di ho adottato la forma della cupola ...64.
Noè. Quasi tutte le utopie letterarie utilizzano il motivo della nave in una forma o nell’altra. Villa Senza dubbio, le sue tre cupole rappresentano un omaggio all’architettura araba che elogiò più
Weizmann simboleggia un’arca di Noè che si è posata sul monte Ararat, carica di speranze per volte per il suo senso originario di armonia. Eppure, invece di copiare, ha “citato” e dal momento
una società migliore in una nuova patria. che la citazione è stata strappata dal suo contesto originario, si sentì libero di giocarci senza
Nello stesso periodo 1934-1936, Mendelsohn progettò la casa di Salman Schocken, un altro inibizioni, traducendo la tradizionale cupola da muratura a cemento, sollevandola dalla sua
uomo importante nei circoli ebraici in Palestina61. Nonostante le analogie tipologiche con Villa funzione di elemento che racchiude uno spazio per collocarla sopra un passaggio aperto e
Weizmann, la residenza Schocken non avrebbe potuto essere più diversa. Situata nella parte triplicandola.
nord-est di Rehavia, una città-giardino progettata nei primi anni Venti da Richard Kauffmann, L’utopia sionista di Mendelsohn era una visione di un Medio Oriente aperto—un Commonwealth
la casa si presenta come una tipica abitazione cittadina integrata nella struttura del quartiere semitico—con la possibilità per lui di costruire al Cairo, a Damasco, ad Amman e a Beirut. Il
di ville62. Ogni casa è il ritratto del suo committente e del suo ruolo nella società. Weizmann era nazionalismo pragmatico della politica del paese era una scena troppo stretta per lui: “La Giudea
un politico che rappresentava il movimento sionista; di conseguenza, la sua casa di campagna è celestiale, ma troppo piccola per me”, scrisse a un amico65. Per coloro che hanno continuato a
era carica di simboli che rappresentavano una missione politica pubblica. Schocken, d’altra costruire la “Terra Promessa”, ha lasciato uno saggio sulla Palestine and the World of Tomorrow
parte, evitava di esporsi al pubblico, si trovava meglio ed era più a suo agio stilando piani alla sua (Palestina e il mondo di domani), che è sorprendente per la sua lungimiranza e attualità. Egli
scrivania, come potere organizzatore del movimento sionista dietro le quinte. La sua residenza colloca la Palestina all’interfaccia di due vecchie regioni culturali, l’arabo-semitica e il Medi-
era libera da sovrastrutture simboliche e fu progettata dall’interno verso l’esterno. terraneo. Invita i popoli del Mediterraneo a contemplare e riflettere sulla propria ricca cultura,
La costruzione asimmetrica è sottoposta al ritmo graduale di porte in vetro verticali e fascie invece di correre dietro a “vitelli d’oro”. Non si stanca di mettere in guardia con immagini
orizzontali di logge, consolidate in una composizione omogenea dalla ripetizione di motivi quali le linguistiche sempre nuove e originali contro una svendita dei loro valori tradizionali per amore
forme arrotondate sporgenti (terrazzo, balcone, piscina) e pergolati (lato orientale del terrazzo del denaro e del cosiddetto progresso:
sud, terrazzo a nord, portico del giardino pensile). La struttura lunga e stretta, come tutti gli I popoli del Mediterraneo non ottengono alcun vantaggio dallo sfruttamento del loro splen-
edifici successivi a Gerusalemme, era una costruzione in cemento con un rivestimento in pietra dore enigmatico a beneficio degli pseudo-stili europeo-americani. Vendono i diritti d’autore
verso l’esterno. La muratura di quasi quaranta centimetri di spessore fu prodotta con un metodo delle loro creazioni originali per le mance lasciate da artisti romantici, snob e archeologi
tipico di Gerusalemme: si costruivano due strati di pietra e poi si riempivano di cemento o calce- entusiasti. Non ottengono nessuna royalty per le loro creazioni uniche, elencate in un campio-
struzzo, con rinforzi di travi di ferro in importanti punti di supporto. Il modo in cui Mendelsohn nario di dettagli architettonici e decorazioni.
si serve della pietra giallastro-oro di Gerusalemme colpisce particolarmente nella cura attenta La cattiva gestione e lo sfruttamento delle loro foreste fa diventare sterile le montagne della
dei serramenti di porte e finestre. Nel calcolare il taglio della pietra egli pose grande enfasi Grecia e le colline della Giudea. L’arroganza che disprezza chi preferisce la benedizione
nell’estensione delle linee primarie alla stessa altezza intorno a tutto l’edificio. In questo uso spirituale ai benefici della tecnologia, fa diventare sterili gli sforzi umani. Il declino del
della pietra naturale, Mendelsohn ha seguito l’antica tradizione edilizia di Gerusalemme, su potere creativo del Mediterraneo e la perdita della sua importanza politica sono in stretta
cui erano basati i codici di costruzione sia ottomani che britannici63. e continua correlazione. La Palestina è solo una parte di questo processo66.
Dato che Weizmann e Schocken erano entrambi coinvolti nelle vicende della nuova Università Con lettere di presentazione di persone non meno importanti di Henry Morgenthau e Lewis
Ebraica sul Monte Scopus, era chiaro che Mendelsohn sarebbe stato l’uomo nuovo dell’uni- Mumford, Mendelsohn entrò nella “terra delle possibilità illimitate”67. Nel 1941 dopo l’arrivo in
versità. Nel 1919 Sir Patrick Geddes ideò il primo progetto generale e vennero costruiti un paio America, rimase a New York per alcuni anni per trasferirsi poi sulla costa occidentale. Da San
di edifici in un vocabolario formale orientale contaminato da un accento europeo. Negli anni Francisco scrisse al suo vecchio amico Oskar Beyer nel dicembre 1951:
Trenta, i tempi erano maturi per una revisione e un significativo ampliamento del progetto. Nel Costruisco, insegno all’Università, vivo nelle mie idee e dalla quiete, che dà vita a tutto—in
1937, Mendelsohn creò un modello del nuovo progetto per Monte Scopus, che fu presentato un paese in cui ho fiducia, in uno stato che unisce il respiro del Mediterraneo, la mia prima
all’Expo mondiale di Parigi dello stesso anno, non distante dai padiglioni della Germania di casa limitata—alla brezza del Pacifico sconfinato, su una collina in una città la cui posizione
Hitler, della Russia di Stalin, dal padiglione della cadente Repubblica spagnola dove Guernica si avvicina alla baia di Corinto, al Golfo di Napoli e alla baia di Merabelo a Creta68.
faceva risuonare il suo lamento contro la guerra e il fascismo. In questo contesto, il modello di
Mendelsohn rappresentava la più importante testimonianza dell’antica-nuova patria ebraica e la
sua rinascita intellettuale e culturale. Qui, sullo sfondo dell’inferno che si avvicinava, il concetto
di apprendimento e di erudizione—profondamente ancorato nella tradizione ebraica—portava
l’unico barlume di speranza per il futuro.
Il progetto di Mendelsohn, tuttavia, venne gradualmente eroso tra le esigenze burocratiche del
governo mandatario britannico, il pragmatismo dell’amministrazione universitaria e gli egoistici
322 323
1
Erich Mendelsohn, “Neu-Athen,” Berliner Tageblatt, giugno 1931, p. 14. Questo saggio è una Schmidt (a cura di) , Canto d’Amore. Classicism in Modern Art and Music 1914-1935, Berna, Benteli
LE NOSTALGIE MEDITERRANEE DI ERICH MENDELSOHN L’ ACCADEMIA EUROPEA MEDITERRANEA E OLTRE IN PALESTINA | Ita Heinze-Greenberg
versione riveduta di un articolo precedente dell’autore: “An Artistic European Utopia at the Abyss Verlags AG, 1996, pp. 334-335.
of Time: The Mediterranean Academy Project”, in Architectural History 45, 2002, pp. 441-482. Il 17
Amédée Ozenfant, Art, Parigi, Jean Budry & Cie., 1928; edizione tedesca: Leben und Gestalten,
saggio include nuovi dati di ricerca e osservazioni derivanti da una più ampia ricerca corrente Potsdam, Müller & Kiepenheuer, 1931, edizione inglese: Foundations of Art, Londra, John Rodker, 1931.
dell’autore sullo stesso argomento, condotta sotto gli auspici della Zentralinstitut für Kunstge- 18
Susan L. Palla, Ozenfant and Purism. The Evolution of a Style 1915-1930, Ann Arbor MI, UMI
schichte, Monaco, finanziato dalla Deutsche Forschungsgemeinschaft (DFG). La sezione finale è Research Press, 1981, p.147.
presa in prestito dal mio capitolo “I am a free builder. Architecture in Palestine 1934-41” (Io 19
Louise Mendelsohn scrive nelle sue memorie, My Life, p. 867, che lei e suo marito conoscevano
sono un costruttore libero. Architettura in Palestina 1934-1941), in Regina Stephen (a cura di), Ozenfant e le sue opere dai vari numeri di L’Esprit nouveau. Quando si arrivò alla decorazione
Eric Mendelsohn. Architetto 1887-1953, New York, The Monacelli Press, 1999. della loro casa decisero per il Purismo di Ozenfant, dal momento che “Eric ed io amavamo quelle
2
Per una valutazione delle opere architettoniche di Wijdeveld e progetti di pianificazione urba- forme pure che Ozenfant ha equilibrato così armoniosamente nel colore e nel soggetto.” Accenna
nistica, si veda Mariëtte van Stralen, “De Landhuizen van H.Th. Wijdeveld “ in Forum 37, 3-4, anche alla breve sosta del marito a Parigi in viaggio verso la Spagna all’inizio del 1929, p. 198.
gennaio 1995, pp. 3-144; Jean-Paul Baeten e Aaron Betsky, Ontwerp het onmogelijke. De Wereld 20
Erich Mendelsohn, Neues Haus-Neue Welt, Berlino, Mosse, 1932 (ristampa Berlino, Gebr.
van architect Hendrik Wijdeveld (1885-1987), Rotterdam, NAi Uitgevers, 2006. Mann, 1997).
3
Hendrik Th. Wijdeveld, Naar een internationale werkgemeenschap.Santpoort, CA Mees, 1931, 21
Mendelsohn ricevette un invito da parte dell’Istituto archeologico tedesco di Atene, il cui
pubblicato anche in traduzione tedesca: Eine internationale Arbeitsgemeinschaft, Santpoort, CA direttore era il Prof. Georg Karo, un ottimo amico della baronessa Elsa von Bissing, sostenitrice
Mees, 1931. di vecchia data di Mendelsohn.
4
Ibidem, pp. 13-16, traduzione dell’autore dall’edizione tedesca. 22
Quattro dei sei articoli in totale sono ristampati in: Ita Heinze-Greenberg e Regina Stephan
5
Dal 1926 un progetto comune di scuola fu un argomento della corrispondenza tra Frank Lloyd (a cura di), Eric Mendelsohn. Gedankenwelten. Unbekannte Texte zu Architektur, Kulturgeschichte
Wright e Wijdeveld. Nel 1931 Wright invitò Wijdeveld a Spring Green a prendere parte in una und Politik, Ostfildern-Ruit, Hatje Cantz, 2000, pp. 116-123.
collaborazione paritaria per la creazione del Taliesin Fellowship. Un contratto fu redatto (Wijde- 23
Annuncio stampa della Académie Ozenfant al 53, Viale Reille, Parigi, 4 gennaio 1932; colle-
veld Archives, Nederlands Architectuurinstituut a Rotterdam, NAi, WIJD, B 26.198), ma non zione dell’autore.
implementato. Tuttavia la potenziale assunzione di Wijdeveld come direttore della Fellowship 24
Ibidem: “L’Académie Ozenfant sera, en quelque sorte, à Paris, un centre international de culture
era ancora in discussione nel 1933 (NAi, WIJD B 4.13). artistique”.
6
La fitta corrispondenza di Wijdeveld include lettere scritte in olandese, tedesco, francese e 25
Lettera di Erich Mendelsohn a Luise Mendelsohn, Lione, 8 agosto 1932, copia dattiloscritta
inglese (NAi, WIJD). da Luise Mendelsohn nella collezione dell’autore.
7
Louise Mendelsohn, My Life in a Changing World, memorie inedite, San Francisco, pp. 274-276. 26
Lettera di Erich Mendelsohn a Luise Mendelsohn, Hyères, 11 agosto 1932, ibidem.
Copie del manoscritto sono conservate nell’Archivio Mendelsohn, Staatliche Museen zu Berlin 27
Lettera di Erich Mendelsohn a Luise Mendelsohn, Cavalière, 13 Agosto, 1932, ibidem.
- Preussischer Kulturbesitz, Kunstbibliothek Berlino, e in The Getty Research Institute for the 28
Prospetto della Académie Européenne Mediterranée 1933, Mendelsohn Archive, Staatliche
History of Art and the Humanities, Department of Special Collections and Visual Resources, Los Museen zu Berlin, senza numero, e NAi WIJD.
Angeles, Erich e Louise Mendelsohn Papers, 1887-1992, così come nella collezione dell’autore. 29
L’elenco dei futuri membri del personale e le loro responsabilità per certi dipartimenti è
8
Wim de Wit (a cura di), The Amsterdam School, Cambridge MA, The MIT Press, 1983, p. 168. contenuto nel prospetto informativo. NAi WIJD conserva una fitta corrispondenza con i potenziali
9
Lettera da F.L. Wright a Lewis Mumford, Spring Green, 9 dicembre 1931, in Bruce Brooks insegnanti dell’Accademia.
Pfeiffer e Robert Wojtowicz (a cura di), Frank Lloyd Wright + Lewis Mumford. Thirty Years of Corre- 30
Per ulteriori informazioni su Eric Gill, si veda Fiona MacCarthy, Eric Gill, Londra /Boston, Faber
spondence, New York, Princeton Architectural Press, 2001, p. 122. and Faber, 1989. Lei cita il coinvolgimento di Gill nel progetto dell’accademia e lo descrive come
10
Lettera H.Th. Wijdeveld a Hermann Finsterlin, np, 31 giugno 1971, NAi, WIJD B 32.7. ‘una sorta di Bauhaus al mare’, pag. 253.
11
H.Th.Wijdeveld, Time and Art, Hilversum, Rotting’s Printing Works, 1947, p. 9. 31
Per ulteriori esaurienti informazioni su Serge Chermayeff, si veda Alan Powers, Serge Cher-
12
Secondo i documenti in NAi WIJD, la corrispondenza tra Mendelsohn e Wijdeveld iniziò con una mayeff: Designer Architect Teacher, Londra, RIBA Publications, 2001.
lettera di Wijdeveld del 5 giugno 1920. Lettere da Mendelsohn concernenti la pubblicazione delle 32
In una lettera da Cavalière il 1° settembre del 1933, Mendelsohn scrisse a sua moglie: “Ho
sue opere in Wendingen e i suoi due giri di conferenze in Olanda si trovano al NAi, WIJD B 28,9-11. sentito dire che Hindemith è stato licenziato perché la sua moglie è ebrea. Così è sicuro per
13
Louise Mendelsohn, My life, p. 255. l’Accademia”: in Oskar Beyer, Eric Mendelsohn.Letters of an Architect, Londra /New York/Toronto,
14
Per una panoramica dell’opera architettonica di Mendelsohn, vedere Regina Stephan (a cura Abelard-Schuman, 1967, p. 136.
di), Eric Mendelsohn. Architect 1887-1953, New York, The Monacelli Press, 1999. 33
Si veda il prospetto informativo (nota 29).
15
Ita Heinze-Greenberg, “Spesso temo l’invidia degli Dei. Successo, Casa e Patria “, in Regina 34
Oggi le copie si trovano in vari archivi. Fino ad oggi l’autore ha potuto individuarne alcune alla
Stephan (a cura di), Mendelsohn, pp. 170-181, e “Das Haus Am Rupenhorn in Berlin von Erich KB Berlin, al NAi WIJD e alla Avery Library, Columbia University. Ci sono due versioni diverse:
Mendelsohn, “ in Christoph Hölz (a cura di), Hauser, die Geschichte machten 1920 bis 1940, Monaco, una è un libretto quadrato dal ricco design e con belle foto della costa mediterranea, l’altra è
HypoVereinsbank, 1998, pp. 74-93. un semplice prospetto.
16
Cfr. Charles Harrison e Paul Wood (a cura di), Art in Theory 1900-1990. An Anthology of Chan- 35
Si veda il prospetto informativo (nota 29).
ging Ideas, Oxford, Cambridge, MA, Blackwell, 1996, pp. 217-245, e Gottfried Boehm, “Amédée 36
Johann Wolfgang von Goethe, edizione Hamburger in 14 volumi, Erich Trunz (a cura di), vol. 11,
Ozenfant and Le Corbusier: Works of Purism”, in Gottfried Boehm, Ulrich Mosch e Katharina Monaco, 1994, p. 184.
324 325
37
Lettera di Erich Mendelsohn a Luise Mendelsohn, Ajaccio, 29 ottobre 1931, copia dattiloscritta 54
Amédée Ozenfant, Mémoires, Parigi, Seghers, 1968, p. 299, testo originale francese: “Ainsi
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da Luise Mendelsohn nella collezione dell’autore. finit en fumée un beau projet; d’autres, quelque jour le reprendront et construiront un relais de l’op-
38
Lettera di Erich Mendelsohn a Luise Mendelsohn, Herrlingen 26 agosto 1923 in Oskar Beyer, timisme et de la beauté en cette nouvelle Attique potentielle, la Côte d’Azur, vieille colonie grecque”.
Briefe, p. 54. 55
Lettera di Erich Mendelsohn a Luise Mendelsohn, Cavalière, 30 maggio 1933, in Oskar Beyer,
39
Lettera Erich Mendelsohn a Luise Mendelsohn, Hyères, 12 agosto 1932, in Oskar Beyer, Briefe, p. 85. Briefe, p. 90.
40
Lettera di Erich Mendelsohn a Luise Mendelsohn, Cavalière, 30 maggio 1933, copia dattilo- 56
Su Tel Aviv, si veda ad esempio Irmel Kamp-Bandau, Winfried Nerdinger, Pe’era Goldman (a
scritta da Luise Mendelsohn nella collezione dell’autore. cura di), Tel Aviv Modern Architecture, 1930-1939, Tübingen, Wasmuth, 1994; Neal Payton, “Modern
41
Lettera di Erich Mendelsohn a Luise Mendelsohn, Cavalière, 3 giugno 1933, ibidem. Architecture and Traditional Urbanism: Patrick Geddes and the Plan for Tel Aviv”, The New City
42
Paul Valéry, Eupalinos ou l’architecte, précédé de L’âme de la danse, Parigi, Gallimard, 1923. 3, Autunno 1996, pp. 4-25.
Pubblicato la prima volta nella Nouvelle Revue Française, nº 90, 1 marzo 1921, pp. 237-285. In 57
Eric Mendelsohn, Twenty Years of Building in Tel Aviv (1940), manoscritto di una recensione
italiano, Eupalinos: preceduto da L’anima e la danza seguito dal Dialogo dell’albero, Milano, A. inedita, Staatliche Museen zu Berlin, Kunstbibliothek, IV B 5a/1. Si veda anche Alona Nitzan-Shi-
Mondadori, 1947. ftan, “Contested Zionism—Alternative Modernism: Erich Mendelsohn and the Tel Aviv Chug in
43
Paul Valéry, “Ispirazioni Méditerranéennes”, in Jean Hytier (a cura di), 2 vol, I, Parigi, Galli- Mandate Palestine”, in Architectural History 39, 1996, pp. 147-180.
mard, 1957-1977, pp. 1086 e seg. 58
Lettera di Erich Mendelsohn a Julius Posener, Capri, 30 Marzo 1937, in Oskar Beyer, Eric
44
Paul Valéry, Regards sur le monde actuel, Parigi, Gallimard, 1931. Mendelsohn: Letters of an architect, Londra, New York, Toronto, 167, p. 148.
45
Paul Valéry, “Le Centre Universitaire Méditerranéen”, in Regards sur le monde actuel & autres 59
Memorie di Hans Schiller, assistente di lunga data di Mendelsohn a Gerusalemme, così come
essais, Parigi, Gallimard, 1945, p. 301 e seg; pubblicato la prima volta come libretto con il titolo a San Francisco, citato secondo Louise Mendelsohn, My Life, p. 604.
Projet d’organisation du Centre Universitaire Méditerranéen à Nice, Nizza, Université Aix, 1933. Si 60
Susan King, “Interview with Mrs. Eric Mendelsohn,” in The Drawings of Eric Mendelsohn,
veda anche: Willy-Paul Romain, Paul Valéry et la Mediterranée, Lourmarin de Provence, Fondation Berkeley, Berkeley University Art Museum, 1969, p.26.
de Lourmarin Laurent-Vibert et Association des Amis de Lourmarin, 1987. 61
Sugli Schocken e i rapporti di Mendelsohn con la famiglia in Germania e in Palestina, si veda
46
Mendelsohn sicuramente conosceva la traduzione di Rainer Maria Rilke di Eupalinos di Valéry, Regina Stephan, Eric Mendelsohn, op. cit.
pubblicata nel 1927 da Insel Verlag di Lipsia. Entrambi i Mendelsohn tenevano Rilke in grande 62
Richard Kauffmann era un ex-compagno di studi di Mendelsohn e allievo di Theodor Fischer
considerazione. Oltre a ciò, André Gide, amico intimo di vecchia data di Valéry, fu almeno una presso la Technische Hochschule di Monaco di Baviera. Nel 1921 emigrò in Palestina, dove
volta ospite di Mendelsohn a Berlino a casa sua Am Rupenhorn. Ozenfant, d’altra parte, si ispirò diventò il più importante progettista di insediamenti, con progetti che includono 150 moshavim
alle stesse fonti di Valéry. Già nel 1916 aveva ristampato stralci del dialogo di Platone, Filebo e kibbutz.
in L’Élan. Ulteriori indagini sull’argomento dell’influenza di Valéry fanno parte della nuova 63
Cfr. Michael Lewis, “The Stones of Jerusalem”, in Journal of Jewish Art 2, 1975, p.72 e seg.
ricerca dell’Autore. 64
Manoscritto di un’intervista del Prof. J. Murphy (Washington University School of Architecture)
47
Lettere di Erich Mendelsohn alla moglie Louise, Parigi, 22 agosto 1933 e Parigi, 30 agosto con Eric Mendelsohn, 13 marzo 1944, KB, E.M. Archives, B IV A.
1933, copie dattiloscritte da Louise Mendelsohn nella collezione dell’autore. 65
Lettera di Erich Mendelsohn a Chaim Yaski, 1936, citata secondo: Gilbert Herbert, “The Divided
48
Louise Mendelsohn, My Life, p. 280 e seg. Heart: Erich Mendelsohn and the Zionist Dream,” in Erich Mendelsohn in Palestine, Haifa, Tech-
49
Lettera di H.Th.Wijdeveld di Eric Gill, Olanda, dicembre 1936, NAi WIJD B 4.16. nion, 1987, ristampa 1994, p. 13.
50
Nulla si sa delle loro identità, molto poco della formazione artistica o d’altre attività davvero 66
Eric Mendelsohn, Palestine and the World of Tomorrow, Gerusalemme, 1940, p.6 e seg.
svolte all’Accademia. 67
Lettera di Henry Morgenthau al Segretario di Stato, 23 dicembre 1940; lettera di Lewis
51
Lingner soggiornò a Cavalière per circa un anno, poi tornò in Germania. Dopo la seconda Mumford al Segretario di Stato, 7 dicembre 1940, Mendelsohn Archive, Staatliche Museen zu
guerra mondiale divenne uno dei più famosi e influenti architetti di paesaggi nella Repubblica Berlin, Kunstbibliothek, IV, 8.
Democratica Tedesca, un insegnante produttivo e capo del dipartimento di paesaggio presso 68
Lettera di Erich Mendelsohn a Oskar Beyer, San Francisco, 24 dicembre 1951, in Oskar Beyer,
l’Institut für Bauwesen der Akademie der Wissenschaften [Facoltà di Architettura presso Letters, p.175 e seg.
l’Accademia di Scienze] e docente di progettazione del paesaggio presso la Landwirtschaftli-
ch-Gärtnerische Fakultät der Humboldt-Universität [Facoltà di Orticoltura presso l’Università
Humboldt], entrambe a Berlino.
52
Le planimetrie del NAi WIJD A34 sono datate 2 novembre 1933, 20 Novembre 1933, 8 gennaio
1934. Il libretto di Wijdeveld Time and Art (nota 12), p. 13 ha tre ulteriori disegni prospettici
minuscoli che sembrano appartenere a una fase di pianificazione precedente. Non ci sono piani
per l’AEM di Mendelsohn. Mariette van Stralen, ‘De Landhuizen’, Forum, p. 101, ha pubblicato
“Design for a country house at the Académie Européenne Mediterrannée Cavalière, Southern France”,
che sembra correlato al piano di erigere piccoli bungalow per gli azionisti sul terreno dell’AEM.
53
Lettera H.Th.Wijdeveld ai membri della società a responsabilità limitata, Cavalière, 22 Giugno
1934, Mendelsohn Archive, KB Berlin, senza numero.
326 327
Risonanze mediterranee nell’opera
di Erik Gunnar Asplund
Tradizione, colore e superficie
Francis Lyn 10
Tunisi, è la cosa più divertente che io abbia incontrato nei ventotto anni della mia esistenza! ...
Sopra le nostre teste, un cielo limpido e profondo, come non ne ho visto mai, un tono di colore
tale che immagino costantemente il cielo come una grande cupola dipinta di blu1.
Erik Gunnar Asplund nacque a Stoccolma, in Svezia il 22 settembre 1885, dove visse fino alla
sua morte, il 20 ottobre del 1940. Nel 1905 iniziò gli studi di architettura presso l’Istituto Reale di
Tecnologia di Stoccolma e, nel 1910, quando sembrava chiaro che il passo successivo nella sua
formazione sarebbe stato quello di frequentare l’Accademia Nazionale di Belle Arti, decise invece,
insieme ad alcuni compagni di studio, di fondare la propria accademia libera. Klara Skola sarebbe
stato il nome di quest’accademia. Chiesero a quattro dei più importanti architetti svedesi del tem-
po—Erik Bergman, Ivar Tengbom, Carl Westman e Ragnar Ostberg—di diventare i loro insegnanti,
dichiarando di non essere soddisfatti del programma e della facoltà dell’Accademia Nazionale2.
Questi architetti erano già stati fortemente influenzati da un cambiamento radicale nel discorso
architettonico svedese, verso un più romantico paradigma nazionalista. Secondo Luca Ortelli, la
Klara Skola fu “...una sorta di istituzione liberale che attrasse come suoi insegnanti i più grandi
esponenti di quella tendenza”3.
Con la nascita dello Skansen Outdoor Museum di Vita Agraria, il mondo dell’architettura—rico-
nosciuta come professione da poco—iniziò a sviluppare l’idea che l’architettura doveva essere
emancipata dal conflitto tra forma classica e tecnologia del Diciannovesimo secolo. Quest’idea fu,
in effetti, la causa della nascita del movimento chiamato Romanticismo Nazionale, e poi, Realismo
Nazionale. Questo movimento chiedeva un ritorno a “... materiali originali e di carattere nazionale”,
e ebbe una chiara influenza su la personalità e pensiero di Asplund4.
Nel corso della sua carriera iniziale, Asplund fece numerose visite all’entroterra svedese per
studiarne l’architettura del folk5 . Secondo Michelle Facos il Romanticismo nordico nazionale ha
collocato l’essenza di “habitus” (metaforicamente rappresentato da una serie di cerchi concentrici
attorno alla persona che, in progressiva successione, appartiene prima alla famiglia, poi al paese,
alla provincia, alla nazione, e così via, con diminuzione delle caratteristiche comuni coll’allargarsi
della categoria) in campagna, e ne ha immaginato i contadini come i suoi protettori, i cui legami con
i tempi primordiali proseguivano ininterrotti nelle foreste e nei villaggi. I contadini erano l’anima
primitiva del folk (la gente).
Nei taccuini di un viaggio che Asplund fece nel 1912, ci sono rappresentazioni di edifici rurali umili
che confermavano la sua profonda convinzione nell’architettura vernacolare svedese6. Le forme
trascendenti, i materiali, la consistenza e i colori che ha documentato non sono mai entrati a far par-
te del suo lavoro come citazioni, ma vennero invece trasformati, per rivelarne un nuovo significato.
Allo stesso tempo, tra i suoi contemporanei scandinavi si poteva assistere alla scomposizione degli
ordini e l’attenuazione dell’importanza delle proporzioni—esempi di trasgressioni note col nome di
Grazia Svedese7, e la cui semplificazione raffinata presagiva il linguaggio formale del Modernismo8.
Sembra anche chiaro che Asplund non accettò mai in modo acritico la nozione di uno “Stile Inter-
nazionale” o della tecnologia come mezzo di espressione. Piuttosto usò queste nozioni come un
modo per esplorare una nuova lettura dello spazio e del luogo in relazione alle nuove esigenze
di una società che stava cambiando e sviluppandosi rapidamente. Questo atteggiamento sembra
essersi evoluto da una consapevolezza che era in realtà diffusa nella teoria nazionale romantica
10.1. Gunnar Asplund. Cimitero di Woodland, prospettiva dell’ingresso, c. 1935-40. © Arkitekturmuseet
svedese. In Svezia, il concetto di folk era politicamente progressista. Come scrisse Michelle Facos,
Stockholm, foto Nikolaj Alsterdal.
329
il Romanticismo nazionale in Svezia si è distinto dallo stesso movimento altrove e dal mero
03
un’imitazione della pietra naturale…”12. E così qui, come più avanti nella sua carriera, mise in
02 discussione il concetto di superficie come una logica legittima per il fare architettura. Tuttavia,
come nel Cinema Skandia (e in misura minore, in molti altri suoi progetti), avrebbe razionalizzato
10.2. Gunnar Asplund. Schizzo di Girgenti (ora Agrigento) vista da nord-ovest, 1914. © Arkitekturmuseet
a volte l’uso dell’articolazione della superficie come architettura, e alla fine, lo avrebbe accet-
Stockholm, foto Nikolaj Alsterdal.
tato come un punto di partenza appropriato per la manifestazione di un’opera di architettura.
10.3. Gunnar Asplund. Schizzo di viaggio a Tunis, 1914. © Arkitekturmuseet Stockholm, foto Nikolaj
Al volgere del secolo, le nozioni di articolazione di superficie come mezzo di espressione della
Alsterdal.
330 331
documentato un secolo prima. A Pompei fu colpito dalla strada delle tombe ai piedi del Vesuvio
332 333
Antiquities of Athens (Antichità di Atene), pubblicato nel 1762, avevano notato decorazioni dipinte Paestum, Labrouste stava lavorando anche su una serie di ricostruzioni di antichi paesaggi
07
334 335
Come Labrouste, sviluppò una visione “vernacolare” della policromia, come risposta ed effetto secondo le tradizioni locali e la loro destinazione, ma erano rappresentati artisticamente
336 337
scura e pesante, posta sopra colonne bianche le cui proporzioni sono riprese dai tronchi dei pini
338 339
che raccontano la storia di questo posto. Scene dell’Iliade sono raffigurate in bassorilievo da e non ancora materializzati, diventano elementi simbolici, che invitano il lettore, i loro misteri
340 341
In uno degli ultimi progetti prima della morte, la sua casa a Stennäs (1937), Asplund rivisita
342 343
RISONANZE MEDITERRANEE NELL’OPERA DI ERIK GUNNAR ASPLUND | Francis Lyn
10.17. Gunnar Asplund. Skandia Cinema. Vista dell’auditorium verso il schermo cinematografico, Stock-
holm, 1923. © Arkitekturmuseet Stockholm, foto Nikolaj Alsterdal.
344 345
quasi primordiali. Queste suggestioni seguono la concezione di Gottfried Semper, quando scrive dell’assemblea e trofei militari. Con questa interpretazione, Labrouste mostra il decadente
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policromia, si veda in particolare David Van Zanten, “Architectural Polychromy: Life in Archi- 33
Eva Rudberg, The Stockholm Exhibition, 1930: Modernism’s Breakthrough in Swedish Architecture,
350 351
Bernard Rudofsky e la sublimazione
del vernacolare
11
11.1. Bernard Rudofsky. Oia, Santorini, 1929. Fonte: The Getty Research Institute, Los Angeles.
© Ingrid Kummer. Andrea Bocco Guarneri
Quando Bernard Rudofsky (1905-1988) entrò alla Technische Hochschule di Vienna nel 1923, le idee
e il linguaggio del Neues Bauen (Nuova Architettura) erano già ben diffusi e riconosciuti. Mentre Otto
Wagner e Adolf Loos avevano disposto le base teoriche e prodotto gli esempi costruiti che aveva
aperto la nuova via, Josef Frank era, in quel momento, l’unico architetto viennese a sopportare il
marchio di fabbrica “Movimento Moderno”1. Tuttavia, alla metà degli anni Venti, ad uno studente
della scuola viennese veniva offerta una formazione ormai solidamente moderna dal punto di
vista della concezione tecnologica e strutturale, mentre dal punto di vista stilistico lo scontro tra
formalismo storicizzante e “nuova architettura” era molto meno violento che nella maggior parte
delle altre accademie europee. Le idee e il linguaggio della ‘nuova architettura’ erano ormai stati
recepiti ed accolti. La ricostruzione della città del dopoguerra tendeva ormai correntemente ad un
moderno senza avanguardie infatuate del mito della tecnica, un “altro moderno”, professionistico
e senza grida. Non è un caso se, alla fine del suo primo anno di università, la diciottenne Rudofsky
decise di intraprendere un viaggio in Germania per scoprire le nuove opere e visitare la prima
mostra del Bauhaus a Weimar. Da lì, si recò a nord di Svezia, di nuovo con l’intenzione di studiare
i più recenti edifici di Asplund, Lewerentz e altre moderni-classicisti architetti2.
Il giovane Rudofsky iniziò la sua carriera nello studio di Salvisberg a Berlino (1928-1930) e divenne
poi collaboratore di Theiss und Jaksch a Vienna (1930-32) 3. Le opere cui Rudofsky collaborò
dimostrarono un vocabolario maturo, impiegato con le nuove tecniche e metodi di composizione
che la generazione del 1880, tra cui Emil Fahrenkamp, Clemens Holzmeister e Josef Frank,
avevano stabilito. Buona parte degli architetti viennesi nati tra la fine del secolo XIX e i primi anni
del XX—la generazione di W. Loos, Fahrenkamp, Plischke, Neutra, Kiesler, Wlach, Augenfeld,
Sobotka, Kleiner, Bayer, Strnad, Haerdtl, Wenzel, coetanei o poco più anziani di Rudofsky—visse
profondamente la trasformazione culturale in corso e ne divenne attore. A quell’epoca si aveva
la percezione che Vienna sembrasse insegnare il valore di una nuova architettura “senza archi-
tetto”—cioè che l’opera degli architetti viennesi mettesse al centro il senso di domesticità ed una
disponibilità ad accogliere, anche in edifici “moderni”, arredi e oggetti che avevano l’aspetto di
essere scelti dall’abitante, e che continuavano la tradizione di qualità d’uso delle arti applicate4.
A noi interessa sottolineare che persino il grande polemista e riformatore Adolf Loos non
intendesse tanto creare una cultura alternativa, ma importare elementi nuovi, da lui giudicati
positivamente5, e che Josef Frank, nell’epoca dei testi fondanti del Movimento, affermava l’im-
portanza dei valori sentimentali (anche psicologici) e della comodità nell’abitazione6. Azzardo
ipotizzare che, se è possibile riconoscere una differenza tra un moderno viennese e quello, a sua
volta eterogeneo, dei CIAM da La Sarraz in avanti, questa tragga la sua origine dal senso etico
della professione interessata alla soddisfazione dell’abitante e dal senso critico ed antidogmatico
che caratterizzavano la cultura viennese dopo la caduta dell’Impero7. Come ha scritto Claudio
Magris, “Vienna ... era ... [a] luogo di uno scetticismo generale per quanto riguarda l’universale
e il sistema di valori”8.
Rudofsky condivideva quello scetticismo con molti dei suoi compatrioti; di conseguenza, non era
un vero sostenitore del nuovo credo del moderno. I sue uniche simpatie erano dichiarate con il
movimento della Lebensreform (vita-riforma) e lo spirito polemico di Karl Kraus. Allo stesso modo,
non vi sono documenti che potrebbero accreditare contatti diretti con Adolf Loos ma sarebbe
difficile negare che, nelle sue lezioni e l’insegnamento, non vi era una maggiore influenza da
qualsiasi altro pensatore. Aforismi come “complessità non è mai stata una virtù”9, o “ricordare:
l’arte significa omettere,” potrebbe benissimo essere da Loos stesso10.
353
Il viaggio verso il Mediterraneo
354 355
meno con il consumismo). “Loos era un architetto”—Joseph Rykwert ha osservato—che è stato
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frugali maniere di vivere dei suoi abitanti un ritegno, una dignità, ed anche una ingenuità sapien-
358 359
BERNARD RUDOFSKY E LA SUBLIMAZIONE DEL VERNACOLARE | Andrea Bocco Guarneri
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06 08
11.5. Bernard Rudofsky e Gio Ponti. Albergo San Michele, non realizzato, Anacapri, ca. 1938. © Archivio
Gio Ponti, Centro Studi e Archivio della Communicazione, Università di Parma.
11.6. Bernard Rudofsky e Gio Ponti. Prospettiva della Stanza della Parete nera, e pianta delle due Stanze
degli angeli. Albergo San Michele, non realizzato, Anacapri, ca. 1938. © Archivio Gio Ponti, Centro Studi e
Archivio della Communicazione, Università di Parma.
11.7-8. Gio Ponti. Villa ideale di vacanze, 1939. © Stile 8, August 1941.
Secondo la Poétique de l’espace (La poetica dello spazio) di Gaston Bachelard (1957), la casa è,
nella sua intimità, la perfetta espressione del carattere, il luogo che può rivelare la pienezza
dell’”essere”; dà luogo a sensazioni fisiche ed erotiche51. Invece di creare una casa-modello
che avrebbe presentata come l’ennesima, megalomaniaca “soluzione definitiva”, Rudofsky ha
cercato il suo cammino proprio. Ha deciso di pubblicare il suo ricco bagaglio di esperienza e di
scoperta, al fine di consentire al pubblico di usarlo e sfruttarlo a piacimento. Il suo ordine del
giorno era quello di estrarre l’architettura fuori dei territori della teoria, facilmente dominati da
iniziati, per renderla umana e di posizionarla a livello della vita reale. Come ha scritto Giancarlo
De Carlo, “l’architettura è troppo importante per essere lasciata agli architetti”52.
360 361
sione negli anni Trenta per descrivere progetti di interior design da architetti austriaci come
a C intorno ad un patio centrale, anch’esso quadrato; il quarto lato, coperto, è tuttavia aperto
a rendere comunicanti il patio col giardino attorno. Un altro piccolo edificio, al margine sud
del lotto, quasi sulla scogliera, è un “triclinio d’estate”. L’edificio principale è semplicissimo:
tetto piano, nessuna scala (viene anzi rifiutato il modello di casa unifamiliare a più piani), quasi
nessuna finestra (le aperture sono per lo più portefinestre), nessun corridoio. I vani sono
collegati in una sequenza anulare. Le stanze hanno pochi mobili, ciò nondimeno rispondono in
maniera rigorosa a modalità inusuale di espletare funzioni dell’abitare. La stanza per dormire,
ad esempio, non ha alcun mobile ed ha, invece, un pavimento costituito interamente di materassi;
il suo volume cubico è reso più raccolto da una zanzariera che pende da un punto centrale del
soffitto. La stanza per il bagno è totalmente spoglia, con solo una vasca incavata nel pavimento
(le funzioni corporali solitamente associate alla stanza da bagno sono ospitate in una stanza
adiacente). Il pavimento del patio è indicato, a seconda delle versioni, in piastrelle oppure a prato.
Evocazioni classicheggianti, nei disegni che illustrano l’articolo oltre che nella forma ad atrio
romano-italico, si accompagnano alla radicalità del modo in cui questa casa va abitata, in cui
Rudofsky esprime tutto il suo distacco dalle consuetudini del tempo. Rudofsky dà indicazioni
anche su quale abbigliamento è indicato per consentire al corpo le posture appropriate56. Attilio
Podestà ha scritto che, in questo progetto, Rudofsky mostra “una posizione spirituale che
intende la moralità dell’edificio come un prodotto spontaneo del cuore e dello spirito”57. Ha
anche osservato uno degli aspetti più belli della sua architettura, “le varie tonalità di bianco
sulle pareti in intonaco che creano una policromia infinitamente ricca e in continua evoluzione”58.
Diverse le circostanze nelle quali è nato il progetto dell’albergo San Michele ad Anacapri, anche
questo non costruito: si tratta di un incarico commissionato a Gio Ponti, che Rudofsky aveva
conosciuto probabilmente nel 1934 e del quale era divenuto associato alla fine del 193759. Il sito
è molto elevato, sul margine di un’alta scogliera, sulla costa settentrionale dell’isola di Capri, a
poca distanza dalla Villa San Michele di Axel Munthe. La soluzione adottata è un’”architettura-
villaggio”60. Ogni stanza è una casetta (alle volte sono accoppiate); la zona dei servizi generali
è come un centro urbano intorno alla sua piazza. Ogni stanza era contraddistinta da un nome,
11.9. Bernard Rudofsky and Luigi Cosenza. Fotomontaggio del plastico e piante, Villa Campanella, con
richiamante una decorazione o una caratteristica fisica di ciascuna casetta61.
costruita, Positano, ca. 1938. © Domus 109, 1937.
Nella purezza di questo progetto quasi spontaneo, si può scorgere un possibile “architettura
11.10. Bernard Rudofsky e Luigi Cosenza. Vista delle terrazze, Casa Oro, Naples, 1935-37. © Research
senza architetto”, come Gio Ponti la promuoveva in quegli anni—Domus faceva uso di tale espres-
Library, The Getty Research Institute, Los Angeles.
362 363
BERNARD RUDOFSKY E LA SUBLIMAZIONE DEL VERNACOLARE | Andrea Bocco Guarneri
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11.11. Bernard Rudofsky e Luigi Cosenza. Fotografie, Villa Oro, Napoli, 1935-37. © Domus 120, 1937. 11.13. Bernard Rudofsky. Sezione prospettiva della Casa Frontini, São Paulo, Brasile, c. 1939-1941.
11.12. Bernard Rudofsky e Luigi Cosenza. Piante, Villa Oro, Napoli, 1935-37. © Domus 120, 1937. © Ingrid Kummer. The Bernard Rudofsky Estate, Vienna.
11.14. Bernard Rudofsky. Pianta e sezione della Casa Frontini, São Paulo, Brasile, c. 1939-1941. © Ingrid
stata certo amena in queste casette: il confort era studiato, con innumerevoli varianti, in modo Kummer. The Bernard Rudofsky Estate, Vienna.
da garantire a ciascuna di esse quella vita sana e rigenerante, che dovrebbe essere il fine non
solo dell’architettura per lo svago ma, a maggior ragione, di quella residenziale. Ed ecco, qui, con la riduzione ad unità abitative minime degli alberghi. Domus (cioè Gio Ponti) vi riconosce
riemergere—stravaganze permesse dall’eccentricità di Capri e dal trattarsi d’un albergo—le “non esibizioni edilizie borghesi (il famigerato villino), ma una onesta dimora per la pura e
vasche (“fresca acquea grotta nella casa”) grandi e scavate nel pavimento, separate dai cessi; beata evasione dalle preoccupazioni cittadine”, “senza idee polemiche e senza utopie”65. La
i letti e le scale in muratura, queste ultime con le alzate in ceramica dipinta; gli affacci interni; casa è progettata su uno scoglio, ed è costituita da due volumi, di cui uno rivestito d’intonaco
il guardaroba all’ingresso dove gli ospiti, arrivando, dovrebbero lasciare in un ripostiglio tutti di cemento, mentre nell’altro la struttura muraria in pietra calcarea è lasciata a vista. È un
i loro indumenti, per trovarne altri disegnati dagli architetti63. repertorio minimale di spazi in grado di offrire riparo: c’è “l’alloggio coperto”, stanza racchiusa
Un esempio minimo di casa al mare è quella progettata presso Positano—forse per il costrut- da muri, completa di copertura e di porta chiudibile; ci sono stanze (l’area dell’entrata e del
tore edile Campanella— non realizzata ma pubblicata ampiamente su Domus nel 193764 . In focolare al piano di sotto, la “stanza all’aperto” di soggiorno al piano di sopra) con un guscio
questo progetto si mescolano alcuni elementi della domesticità radicale della casa a Procida perimetrale incompleto; c’è, infine, la stanza principale il cui involucro, percettivamente deter-
364 365
minato dai volumi delle altre stanze, dalla copertura piana (forata per consentire lo sviluppo di Entrambe le case hanno ricevuto il plauso entusiasta. Philip L. Goodwin ha scritto, per
366 367
Pertanto, specie negli ultimi decenni, Rudofsky cercava, attraverso le mostre e i libri, un ha rappresentato la prima fase della storia dell’architettura. E ‘stata fondamentale ma fino
368 369
Rudofsky e Lévi-Strauss perseguirono gli stessi obiettivi—dimostrare la ricchezza culturale logicamente piacevole, sano e quindi ecologico. La posizione di Rudofsky fu, insomma, in bilico
370 371
1
“Dal punto di vista della principale corrente dell’architettura moderna, le tendenze viennesi Rudofsky, Streets for People: A Primer for Americans, Garden City, N.Y., Doubleday & Co, 1969.
372 373
e dalla casa con atrio Oivala di Oiva Kallio a Helsinki (1925), simile alla precedente (ma in legno). 69
Quoted in Bernard Rudofsky, “Three Patio Houses,” Pencil Points 24, June 1943, p.54.
374 375
Le traduzioni di Bruno Taut fuori dalla Germania
Verso un’etica cosmopolita nell’architettura
Questo articolo ha un duplice scopo, chiarire una pratica culturale che complica le nozioni comuni
sui rapporti tra Modernismo e paesi “non occidentali”, utilizzando un quadro teoretico che io
definisco traduzione, e discutere le distinzioni concettuali tra ibridismo ed etica cosmopolita2.
A questo scopo, mi concentro sugli scritti teorici dell’architetto di origine tedesca Bruno Taut
in Giappone e Turchia, e analizzo la sua casa a Istanbul attraverso la lente di queste teorie.
Anche se studi recenti hanno dimostrato che l’architettura del primo Novecento era molto più
complessa, varia e sfaccettata di quello che i sostenitori iniziali del post-Modernismo fossero
disposti a riconoscere, la relazione del Modernismo con il mondo in generale è ancora un
settore di ricerca in sviluppo 3. Il consueto resoconto sull’impatto dei movimenti architettonici
modernisti sui paesi che restano al di fuori dei confini immaginari di Europa e Nord America
di solito condanna il Modernismo per i monotoni quartieri in “stile internazionale”, privi di
specificità locale. Anche se questa considerazione può sembrare valida per la maggior parte
delle città in tutto il mondo, difficilmente spiega gli intenti di molti architetti moderni medesimi,
e, di sicuro, non quelli di Taut. La reazione a questa presunta omogeneizzazione del mondo
attraverso la modernizzazione è di solito interpretata come architettura “regionalista”. Però
è troppo comune pensare l’architettura moderna in paesi “non occidentali” come oscillazione
tra il regionale e il moderno, il nazionale e l’internazionale. Una simile analisi bipolare rimane
superficiale nell’accettare la complessità delle relazioni interculturali in questo periodo. L’au-
mento della mobilità geografica, la collaborazione e il confronto tra professionisti di diversi
paesi in tutto il Novecento hanno continuamente prodotto nuovi ibridi e relazioni dialettiche.
In questo senso, non c’è uno stile di espressione regionale o internazionale puro, né architet-
tura pura prodotta in un luogo completamente isolato da altri luoghi. La definizione di locale
cambia in continuazione. Né può esistere un’architettura prodotta in qualche spazio astratto
al di fuori delle forze delle condizioni locali. Capire l’architettura moderna richiede, quindi,
un concetto esplicativo che superi le dicotomie comuni di stile internazionale contro stile
nazionale o di edificio modernista contro edificio regionalista. Come struttura concettuale
che spiega la modernizzazione in termini di interazione tra diversi luoghi e stati-nazione,
traduzione discute la dipendenza reciproca e l’interazione tra diversi paesi, e traccia i flussi
di persone, idee, immagini, informazioni e tecnologie attraverso lo spazio geografico, così
come i loro diversi gradi e modalità di trasformazione nelle nuove destinazioni. Traduzione è
quindi lo studio di un campo (una zona) che esplora e valuta le diverse esperienze dello stra-
niero, dell’”altro” e di ciò che, in un determinato momento, era ancora rimasto al di fuori, in
un contesto determinato. È attraverso la traduzione che un paese si apre all’estero, cambia
e si arricchisce, mentre confronta le sue norme domestiche con quelle degli altri. Tuttavia, la
traduzione non può ignorare la distribuzione geografica del potere. Si può difficilmente consi-
derare un neutrale scambio tra pari, o un “ponte” tra culture che sono facilmente traducibili.
La traduzione deve pertanto venire considerata come una zona controversa in cui si scoprono
differenze geografiche, riconciliate o contrapposte, dove vengono risolti o accentuati i conflitti
tra occidentalizzazione e nazionalizzazione.
12.1. Bruno Taut. Carte a Mihara, 1938. © Taut Archiv, Akademie der Künste, Berlin.
376 377
Bruno Taut fu uno dei pochi architetti del periodo moderno a impegnarsi consapevolmente nella
378 379
libro Die Neue Wohnung. Die Frau als Schöpferin (La nuova casa. La Donna come Creatore, 1924)10. Taut presentò le sue ricerche principalmente nel libro, Houses and People of Japan (Case e
380 381
LE TRADUZIONI DI BRUNO TAUT FUORI DALLA GERMANIA | Esra Akcan
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07
12.4. Bruno Taut. Schizzi di case giapponesi. © Bruno Taut, Houses and People of Japan, Tokyo, 1937.
12.5. Bruno Taut. Diagramma comparativa del corpo umano (Est-Ovest). © Bruno Taut, Houses and People
of Japan, Tokyo, 1937.
12.6. Bruno Taut. Case di contadini giapponesi (che ricordano santuari). © Bruno Taut, Houses and People
of Japan, Tokyo, 1937.
12.7. Bruno Taut. Pagina da Houses and People of Japan, paragonando case vernacolari in Giappone ed
Europa. © Bruno Taut, Houses and People of Japan, Tokyo, 1937.
06
382 383
inni orientalisti di Taut divenne più moderato. Inoltre, si rese anche conto intuitivamente di Taut osservò che una sensazione di insicurezza turbava i suoi colleghi giapponesi. In una parte
384 385
casa giapponese secondo il suo sviluppo storico 32. In seguito alla sua ricerca sul vernacolare
386 387
attaccato i loro colleghi “stranieri” per non avere l’educazione necessaria a creare la “nuova il Modernismo veniva percepito come una forma “universale” di espressione, allora dovremmo
388 389
Taut aveva già messo in guardia i suoi colleghi dal pericolo di una omogeneizzazione globale
390 391
prassi straniera? Può essere che la fattoria “cosmopolita” che Taut ha difeso così volentieri e all’interno ha un soffitto inclinato, come in una tomba sotto l’impero Seljuk. È circondata,
392 393
Conclusione Kant stesso originarono in un mondo dove la categoria moderna stessa di uno stato-nazione
394 395
1
Bruno Taut, “Japans Kunst. Mit europäischen Augen gesehen”, Manoscritto del 1936, Nachlass Baukunst Sammlung, Akademie der Künste, Berlino; Bruno Taut, Houses and People of Japan
396 397
e variazioni appaiano essere abbastanza internazionali”: Da Bruno Taut, “The Japanese Village” felicità? Risposta: nel costruire”, Bruno Taut, Lettera a Ueno, 9 agosto 1938, Nachlaß Taut. BT
398 399
67
Parti del libro sono apparse in Arkitekt nel 1938. Anche se si trattava di un lavoro teorico, Taut “Perpetual Peace”, influenzò fortemente il giovane Taut: Rosemarie Bletter, “Bruno Taut and
fece riferimento a esempi storici da molte parti del mondo, tra cui Europa, Stati Uniti, Giappone, Paul Scheerbart’s Vision. Utopian Aspects of German Expressionist Architecture”.
Turchia e Africa: Taut, Mimari Bilgisi. 92
Immanuel Kant, “Perpetual Peace. A Philosophical Sketch”, in H. Reiss (a cura di), Political
68
Il libro è più tardi apparso sotto il titolo Architekturlehre (Lectures on Architecture) in tedesco, Writings, Cambridge, Cambridge University Press, 1991, pp. 93-130 [1795]. Per saggi informa-
anche se Taut può aver considerato di intitolare la versione tedesca Architekturgedanken (Thou- tivi, si veda soprattutto Allen W. Wood, “Kant’s Project for Perpetual Peace,” in B. Robbins e P.
ghts on Architecture), come suggerisce una lettera di sua moglie Erica a Isaburo. In un’altra Cheah, (a cura di), Cosmopolitics. Thinking and Feeling beyond the Nation, Minneapolis, University
lettera, menzionò quanto questo libro fosse importante per il marito: Erica Taut, Lettere a of Minnesota Press, 1998, pp. 59-76; Jürgen Habermas, in C. Cronin e P.de Greiff (a cura di), The
Isaburo, 1 Febbraio 1939, 10 Febbraio 1939, Nachlaß Taut, BTS-01-16 BTS-01-17, Baukunst Inclusion of the Other: Studies in Political Theory, Cambridge, The MIT Press, 2001, pp. 165-203;
Sammlung, Akademie der Künste, Berlino. Martha Nussbaum, in Jean-Louis Cohen (a cura di), For Love of Country: Debating the Limits of
69
Ibid., pp. 45-46. Patriotism, Boston: Beacon Press, 1996.
70
Ibid., pp. 85-86, versione tedesca, p. 69 (la sottolineatura è dell’Autore). 93
Cfr. ad esempio, Jacques Derrida, Adieu to Emanuel Levinas, Stanford, Stanford University
71
Bruno Taut, Modern Architecture, Londra, Studio Limited, 1929. Press, 1999; David Harvey, “Cosmopolitanism and the Banality of Geographical Evils”, in Public-
72
Taut, Mimari Bilgisi, p. 334. Culture, 12, 2000/2, pp. 529-64, Walter Mignolo, “The Many Faces of Cosmo-polis: Border
73
Ibid., pp. 4-5, 24. Thinking and Critical Cosmopolitanism”, in C. Breckenridge, S. Pollock, H. Bhabha, e D. Chakra-
74
Ibid., p.62. barty (a cura di), Cosmopolitism, Durham e Londra, Duke University Press, 2002, pp. 157-187.
75
“Quando si osserva l’espressione di un particolare viso [umano] in una massa di persone, è 94
Pheng Cheah e Bruce Robbins (a cura di), Cosmopolitics. Thinking and Feeling beyond the Nation,
sempre possibile affermare che quest’espressione è il risultato del clima. Le nazioni si sono Minneapolis, University of Minnesota Press, 1998.
adattate al clima e questo ha creato diverse espressioni. L’importanza di questo per l’arte della 95
Kant dichiarò che tale stato mondiale singolo si tradurrebbe in un “dispotismo senz’anima”:
proporzione è che queste espressioni sono riflesse in certa misura nelle proporzioni del corpo”: da Emmanuel Kant, “Perpetual Peace”, p. 112.
Ibid., p. 65, vedi anche p. 74. 96
Bruce Robbins, “Actually Existing Cosmopolitanism,” in Robbins e Cheah (a cura di), Cosmo-
76
Ibid., p. 92. politics, pp. 12-12.
77
Bruno Taut, “La Terra è una buona dimora”. Per saperne di più sulle idee di Taut sulla natura
si veda Rosemarie Bletter, “Bruno Taut e la visione di Paul Scheerbart. Aspetti utopici dell’ar-
chitettura tedesca espressionista”.
78
Già in “Japans Kunst”, Taut aveva sostenuto che un’architettura moderna feconda in Giappone
sarebbe stata il frutto di una sintesi con influenze europee: p. 206.
79
Ibid., p. 206.
80
Taut, Mimari Bilgisi, p. 46.
81
Taut, “Japans Kunst. Mit Europäischen Augen Gesehen”, p. 24.
82
Taut, Houses of People of Japan, p. 40.
83
Bruno Taut, Lettera a Walter Segal, 2 marzo 1937, citato in Speidel, “Bruno Taut. Wirken und
Wirkung”, p. 57.
84
Bruno Taut, Lettera a Kurata, 6 novembre 1937, citato in Speidel, ibidem.
85
Bruno Taut, “Türk Evi, Sinan, Ankara,” in Her Ay, no. 2, 1938, pp. 93-94.
86
Nella casa vernacolare di Edirne, Taut era interessato al principio di quello che ha definito
Wohnveranda (sofa semi-aperto) e lo spazio abitabile al secondo piano. Da Bruno Taut, “Istanbul
Journal”, nota in data 20 gennaio 1938, p. 95.
87
Djelal Essad, Constantinople.De Byzance a Stamboul, Parigi, Librairie Renouard H. Laurens,
1909; Celal Esad, 1912, in Dilek Yelkenci (ca cura di), Eski Istanbul, Istanbul, Çelik Gülersoy
Yayınları, 1989; Celal Esad, Türk SANATI, Istanbul, Akgam Matbaasi, 1928. Celal Esad Arseven,
L’Art Turc. Depuis son origine jusqu’à nos jours, Istanbul, Devlet Basimevi, 1939.
88
Taut, Die Neue Wohnung, p. 21.
89
Nel suo diario, Taut occasionalmente ha menzionato la posizione di Eldem sul “milli mimari”
(architettura nazionale). Per esempio: Taut, “Istanbul Journal”, nota in data 10 maggio 1938 e
30 giugno 1938.
90
Taut, Mimari Bilgisi, pp. 92-93, pp. 151-152.
91
Bruno Taut, “Ansprache zur Eröffnung der Taut - Ausstellung in Istanbul am 4.6.1938,” p.
260. Rosemarie Bletter suggerisce anche che l’umanesimo di Kant, elaborato in particolare in
400
Tra Dogon e Bidonville
CIAM, Team X e la riscoperta
degli insediamenti africani
Tom Avermaete 13
Il mio istinto mi dice che oggi ci sono alcuni che sono al di là del ciglio di una nuova sensibilità,
una sensibilità sulle città, una sensibilità su modelli umani e forme costruite collettive. Guar-
dando indietro agli anni Cinquanta, fu allora che è stato attraversato il baratro, fu allora che
la teoria architettonica si è scossa, allora che le scienze sociali all’improvviso sembrarono
importanti. Un cambiamento di sensibilità, penso ora, è quello di cui consisteva Team X1.
L’interesse significativo tra gli architetti che lavoravano in Europa e Nordamerica negli anni
Cinquanta e Sessanta per gli insediamenti urbani e rurali del versante mediterraneo del conti-
nente africano è un fenomeno ben noto. Le motivazioni erano diverse. Per un piccolo gruppo di
architetti europei l’Africa diventò un vero e proprio terreno di lavoro, spesso descritto come un
“laboratorio di sperimentazione”, in cui si potevano provare le più moderne concezioni architet-
toniche e urbane. Questo è stato, per esempio, il caso degli architetti francesi che erano attivi
in Marocco e in Algeria e poterono elaborare progetti sperimentali su tutti i territori coloniali
nel corso degli anni Cinquanta e anche dopo l’indipendenza2. Spesso questi progetti sono stati
pubblicati in autorevoli riviste di architettura come è esemplificato dai numeri speciali Maroc e
Afrique du Nord della L’Architecture d’aujourd’hui, rispettivamente nel 1951 e nel 1955.
Queste fonti secondarie sono diventate per un gruppo molto più ampio di architetti europei i vettori
attraverso i quali svilupparono un interesse per l’architettura africana. Oltre a periodici e libri,
grandi convegni internazionali come quello del 1953 del Congrès Internationaux d’Architecture
Moderne (CIAM 9) ad Aix-en-Provence e mostre successive come Neues Bauen in Afrika di Udo
Kultermann (1966, Berlino) sono stati propulsori importanti di questa nuova attenzione. Molti
viaggi di studio in Africa sono stati fatti sia da architetti professionisti europei e nordamericani
sia da studenti di architettura—viaggi che, il più delle volte hanno avuto grandi ripercussioni nelle
strategie di progettazione architettonica e urbana. In quel periodo emersero anche pubblicazioni
su insediamenti africani da una varietà di angoli metodologici, compresi i contributi di Erwin
Gutkind in Architectural Design sulle case indigene africane, articoli di Aldo van Eyck in Forum e
Architectural Forum sui Dogon, House Form and Culture di Amos Rapoport, altre pubblicazioni in
L’Architecture d’aujourd’hui e nell’importante periodico con sede a Helsinki Le Carré Bleu3. Nel
numero di gennaio 1965, si trova, con molti dettagli, l’analisi e il progetto del importante progetto
di Candilis-Woods-Josic per la città africana di Fort Lamy.
Questo rinnovato interesse per il continente africano è stato spesso dipinto come una curiosità.
È stato descritto come uno sguardo tardo-romantico e orientalista sull’Africa e discusso come
un momento di smarrimento in cui gli architetti europei e nordamericani hanno guardato l’ar-
chitettura tradizionale africana con l’aspettativa, errata, di trovare soluzioni per i loro problemi
moderni. Questa rappresentazione come un excursus marginale e insignificante nell’ambito
dello sviluppo dell’architettura moderna ha ingiustamente oscurato il carattere specifico e la
diversità di approcci inclusi in questo “rivolgersi all’Africa” —e più precisamente, alla sponda
africana del Mediterraneo.
A posteriori, questa concentrazione sull’Africa potrebbe apparire oggi come anacronistico. Gli
architetti olandesi, francesi e inglesi svilupparono un interesse per l’architettura vernacolare
dell’Africa a metà degli anni Cinquanta, quando stavano disegnando progetti architettonici e
urbani storicamente grandi e sofisticati per l’ambiente costruito nei loro paesi in fase di rapida
13.1. CIAM-Algiers, Roland Simounet and Michel Emery. Bidonville Mahieddine Grid [dettaglio], 1953.
modernizzazione. Eppure, vorrei sostenere che le pubblicazioni dei futuri membri del Team
© CIAM Archives, Institut für Geschichte und Theorie der Architektur / eTH Zürich.
403
X esemplificarono un importante cambiamento epistemologico nello sviluppo del movimento
la frattura tra i membri più anziani e quelli più giovani del CIAM. Nel 1946 Le Corbusier aveva intro-
dotto il sistema del Reticolo CIAM—una grande matrice composta secondo categorie CIAM fisse
che consentivano la presentazione di un progetto urbano moderno in modo standard5. Egli credeva
che il reticolo fosse uno degli strumenti con cui paragonare diverse soluzioni della progettazione
moderna e che quindi offrisse la base per trovare soluzioni universali per la città futura. Tuttavia,
invece di mostrare una progettazione iper-moderna per un nuovo quartiere urbano come si faceva
normalmente con i reticoli CIAM, i due gruppi che rappresentavano l’Africa del Nord al CIAM 9
scelsero di concentrarsi su un ambiente urbano completamente diverso: le cosiddette bidonvilles
o baraccopoli di Casablanca e Algeri. Questi insediamenti informali di baracche che sono stati
costruiti integralmente senza il coinvolgimento di architetti stavano sorgendo, infatti, a un ritmo
molto veloce nelle periferie delle città nordafricane a causa della modernizzazione coloniale.
Il gruppo CIAM-Marocco includeva una quindicina di architetti, tra i quali Pierre Mas, Michel
Écochard e Georges Candilis. Presentò due reticoli: Mas e Écochard il reticolo GAMMA (Groupe
d’Architectes Modernes Marocains) sulle Case Marocchine, e la presentazione Reticolo Habitat per il
maggior numero di ATBAT-Afrique preparata da Candilis6. Questi reticoli rappresentavano studi
sulla bidonville nota come Carrières Centrales nella città marocchina di Casablanca. Il reticolo
era composto di una lunga serie di schizzi, fotografie e collage che documentava le condizioni
di vita nella vecchia medina e nella bidonville, nonché dettagli sui programmi di ristrutturazione
presentati dalla Direzione di Pianificazione, compreso uno studio dei disegni per alloggiamenti
collettivi basati sul sistema del patio7.
13.2. Georges Candilis e Shadrach Woods. Panelli (selezione) della GAMMA Grid, presentati al CIAM IX,
Aix-en-Provence, 1953. © Ministère de l’habitat, photographic archives, Rabat.
13.3. CIAM-Algiers, Roland Simounet e Michel Emery. Bidonville Mahieddine Grid [partim], 1953. 03
© CIAM Archives, Institut für Geschichte und Theorie der Architektur / eTH Zürich.
404 405
Il secondo gruppo di architetti dell’Africa del Nord—il gruppo CIAM-Alger sotto la direzione degli capacità di adattamento delle pratiche abitative tradizionali a colpire i giovani architetti europei
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prospettive per ripensare futuri ambienti di abitazione su territori coloniali e oltre. Nel Reticolo
408 409
TRA DOGON E BIDONVILLE | Tom Avermaete
06
Nel cerchio di sinistra (“da noi”), l’architetto rappresentò con tre fotografie tre tradizioni architet-
toniche: il tempio di Atena Nike sull’Acropoli di Atene, una costruzione moderna di Van Doesburg
e un gruppo di case nei villaggi di Aoulef nel Sahara algerino. Più tardi, Van Eyck avrebbe
indicato le diverse tradizioni rispettivamente come “immutabilità e riposo”, “cambiamento e
movimento” e il “vernacolare del cuore”. Il cerchio di destra (“per noi”) mostrava un gruppo di
uomini e donne a forma di spirale. Commentando questo cerchio scrisse:
Sono stato innamorato di tutte e tre per anni, con i valori divisi tra di loro. Non posso sepa-
rarle più. Semplicemente non posso. Si completano a vicenda, si appartengono. Aggiungete
San Carlo alle Quattro Fontane, non solo per evitare la trinità, e possiamo iniziare a ricon-
ciliarle, nell’essenza, non nella forma, in una sequenza infinita di possibilità che davvero
si adatta all’uomo20.
Con i suoi cerchi di Otterlo Van Eyck voleva suggerire e illustrare che, se l’architettura contem-
poranea tentava di rispondere all’identità umana completa, allora doveva impegnarsi con i valori
di base che le diverse tradizioni architettoniche avevano portato alla ribalta nel corso dei secoli.
I villaggi di Aoulef nel Sahara giocavano un ruolo chiave in questa prospettiva. Erano, secondo
Van Eyck, l’espressione di un’architettura che si impegnava direttamente con le aspirazioni e
le esigenze simboliche degli abitanti. Questo concetto di un “vernacolare del cuore” si sarebbe
ulteriormente sviluppato in due articoli nelle riviste Forum e Via, in cui i villaggi Dogon, costruiti
a partire da terra e fango, vennero utilizzati come esempi21.
In questi articoli Van Eyck illustrò la sua attrazione per il ruolo importante della mitologia
all’interno della società Dogon. Ispirato dal lavoro di antropologi come Marcel Griaule e Ruth
Benedict, spiegò come il tempo e lo spazio Dogon sono ripartiti con una grande varietà di
simboli22. I Dogon guardano al mondo come “un gigantesco organismo umano, e tutte le sue 07
parti come riproduzioni della stessa immagine su una scala più piccola o più grande”23. Per
13.6. Pagina dal saggio di Alison Smithson, “How to Recognize and Read Mat-Building”. © Architectural
Van Eyck, il modo Dogon di fare insediamenti rappresentava un modo di ritrovare una relazione
Design, 9, 1974.
significativa con l’ambiente costruito, un modo di localizzarsi o radicarsi dell’essere umano nel
13.7. ATBAT-Afrique (Georges Candilis, Shadrach Woods, Vladimir Bodiansky). Compagnie immobilière franco-
suo ambiente. A suo parere,
marocaine, edifici in altezza, Carrières Centrales, 1952. © Fototeca, Ecole Nationale d’Architecture, Rabat.
410 411
come il territorio di una grande tradizione architettonica di tutti i giorni che rappresenta usanze
412 413
atteggiamento nella Chiesa di Pastoor van Ars (1970-1973), un altro progetto di Aldo van Eyck.
414 415
grande che potrebbe costituire uno degli elementi di base per una revisione sostanziale della 1 Peter Smithson, “The Slow Growth of Another Sensibility: Architecture as Townbuilding,” di
416 417
10
Cfr. ad esempio Bruno de Rotalier, «Les yaouleds (enfants des rues) de Casablanca et leur
participation aux émeutes de décembre 1951», in Revue d’histoire de l’Enfance irrégulière, nº 4,
2002, pp. 20-28.
11
Per questo approccio specifico alle zone rurali si veda E. Mauret, «Problèmes de l’équipement
rural dans l’aménagement du territoire», in L’Architecture d’aujourd’hui 60, giugno 1955, pp.
42-45.
12
Per una descrizione elaborata si veda Monique Eleb, “An alternative to functionalist universa-
lism: Écochard, Candilis and ATBAT-Afrique”, in Sarah Williams Goldhagen (a cura di), Anxious
Modernism: Experimentation in Postwar Architectural Culture , Cambridge, The MIT Press, 2001.
13
Panel 208-I, Reticolo preparato dal Service de l’Urbanisme per il CIAM IX, Aix-en-Provence,
1953, in CIAM Collection al gta/ETH.
14
Reticolo Bidonville Mahiedinne, in CIAM Collection presso la Fondation Le Corbusier, Paris.
15
Da Alison e Peter Smithson, “Collective Housing in Morocco”, in Architectural Design 25, n° 1,
gennaio 1955, p. 2. Citato da Jean-Louis Cohen e Monique Eleb, p. 332.
16
Ibid., p. 339.
17
Sul lavoro di Aldo Van Eyck, si veda Francis Strauven, Aldo Van Eyck: The Shape of Relativity,
Amsterdam, Architectura & Natura, 1998.
18
Aldo Van Eyck, “Dogon: mand-huis-dorp-Wereld”, in Forum, luglio 1967, p. 53.
19
Francis Strauven, p. 350.
20
Ibid., p. 351
21
Aldo Van Eyck, Aldo, “Dogon: mand-huis-dorp-wereld”, p. 53.
22
Le fonti primarie di Van Eyck per capire questi villaggi furono il noto lavoro di Marcel Griaule e,
in particolare, Dieu d’eau: Entretiens avec Ogotommêli, Parigi, 1948; Marcel Griaule e G. Dieterlin,
“The Dogon”, in Daryll Forde (a cura di), African Worlds, Londra, 1954, pp. 83-110, nonché i
contributi di Griaule alla rivista surrealista Le Minotaure. Un’altra fonte di ispirazione fu il lavoro
dell’antropologa americana Ruth Benedict, Patterns of Culture, New York, Houghton Mifflin, 1934.
23
Geneviève Calame-Griaule, Ethnologie et language. La Parole chez les Dogon, Paris, 1965, p. 27.
24
Forum, luglio 1967; versione inglese in Via 1, 1968, p. 15 e anche ripubblicato in Charles Jencks
e Georges Baird (a cura di), Meaning in Architecture, New York, Braziller, 1969. Si veda anche
Aldo Van Eyck, “A Miracle of Moderation”, in Via 1, pp 96-125. Sulla presentazione di Van Eyck a
Otterlo, si veda Francis Strauven, pp. 346-54.
25
Aldo van Eyck, The Child, the City, and the Artist, 1962 (libro inedito ciclostilato), p. 252.
26
Eric Mumford, “The Emergence of Mat or Field Buildings”, in Hashim Sarkis e Pablo Allard (a
cura di), Le Corbusier’s Venice Hospital and the Mat-Building Revival, Monaco/New York, Prestel,
2001, pp. 66-67.
27
Alison Smithson, “How to recognize and read MAT-BUILDING. Mainstream architecture as it
developed towards the mat-building”, in Architectural Design, no. 9, 1974, pp. 573-590.
28
Ibidem.
29
Ibid., p.576.
30
Ibidem.
31
See Francis Strauven, Aldo Van Eyck. The Shape of Relativity.
32
Alison Smithson, “How to recognize and read MAT-BUILDING”, p. 575.
33
Shadrach Woods e Joaquim Pfeufer, Stadtplannung geht uns alle an. Urbanism is Everybody’s
Business. L’Urbanistica come problema di interesse collettivo, Stuttgart, K. Kramer, 1968; Shadrach
Woods, “What U Can Do, “Architecture at Rice, nº 27, primavera 1970.
34
Alison Smithson e Peter Smithson, Ordinariness and Light. Urban theories 1952-1960 and their
application in a building project 1963-1970, Cambridge, The MIT Press, 1970, p. 161.
35
Francis Strauven, Aldo Van Eyck, p. 255.
36
Cfr. Aldo Van Eyck, “De Pueblos”, in Forum 16, nº 3, pp. 95-114, 122-123
418
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