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NORD/SUD

Nord/Sud: L’architettura moderna e il

L’ARCHITETTURA MODERNA E IL MEDITERRANEO


NORD/SUD
Mediterraneo è frutto non solo della
passione dei due autori, ma soprattutto
dell’interesse scientifico e culturale

L’ARCHI
verso il Mediterraneo, le cui città,
paesaggi, architetture e produzione
artistiche, hanno per secoli attratto e

TETTURA
ispirato molti viaggiatori colti, studenti
e studiosi, architetti e artisti. Fra i vari
edifici e luoghi presenti in questo libro
-tra Spagna e Algeria fino alla Grecia e

MODERNA E
Turchia- vi sono in particolare modo le
isole greche, e quelle di Ibiza e Capri.
In questa isola del golfo di Napoli dove

ILMEDI
la Casa Malaparte assume il valore
di icona dell’architettura moderna e
contemporanea, si concentra il simbolo
del dialogo tra costruzione e paesaggio,

TERRANEO
tradizione e modernità, architettura e
letteratura.
Un libro denso tra storia, narrazione,
ricerca e divulgazione che non può
mancare nella biblioteca di ogni
architetto e progettista, nonché JEAN-FRANCOIS LEJEUNE
di ogni studioso. E MICHELANGELO SABATINO

CON UNA INTRODUZIONE


DI BARRY BERGDOLL
NORD/SUD
L’ARCHITETTURA MODERNA
E IL MEDITERRANEO

JEAN-FRANÇOIS LEJEUNE E MICHELANGELO SABATINO


Richard William Seale. A correct Chart of the Mediterranean Sea, from the Straits of Gibraltar to the Levant;
From the latest and best Observations: for Mr. Tindal’s Continuation of Mr. Rapin’s History.
© Geographicus Rare Antique Maps.
Prefazione La natura e il popolo
9
Barry Bergdoll Il vernacolare e la ricerca
0.1 234 di una “vera” architettura greca
Ioanna Theocharopoulou
7
Nord - Sud
Jean-François Lejeune e Michelangelo Sabatino
19
0.2
La critica anti-mediterranea
nella letteratura dell’architettura moderna.
275 I Kulturarbeiten di Paul Schultze-Naumburg
Da Schinkel a Le Corbusier
Il mito mediterraneo nell’architettura contemporanea 61 8
Kai K. Gutschow
Benedetto Gravagnuolo
1
Le nostalgie mediterranee di Erich Mendelsohn
Le politiche della Mediterraneità L’Accademia Europea Mediterranea
nell’architettura moderna italiana 95 307 e oltre in Palestina
Michelangelo Sabatino Ita Heinze-Greenberg
2 9

Il moderno, il vernacolare Risonanze mediterranee nell’opera


e il Mediterraneo in Spagna 135 329
di Erik Gunnar Asplund
Jean-François Lejeune Tradizione, colore e superficie
3 Francis Lyn
10
Il vernacolare dal “Habitat Rural” al programma SAAL
La ricezione portoghese del Team X 177 Bernard Rudofsky
Pedro Baía 353 e la sublimazione del vernacolare
4 Andrea Bocco Guarneri
11

Dialoghi mediterranei Le Corbusier,


Fernand Pouillon e Roland Simounet 203 Le traduzioni di Bruno Taut fuori dalla Germania
Sheila Crane 377 Verso un’etica cosmopolita nell’architettura
5 Esra Akcan
12

L’eredità di un architetto di Istanbul


Tipologia, contesto e identità urbana nell’opera Tra Dogon e Bidonville CIAM, Team X
di Sedad Eldem 225 403 e la riscoperta degli insediamenti africani
Sibel Bozdogan Tom Avermaete
6 13
Ringraziamenti
L’origine di questo libro è duplice. La prima risale al convegno The Other Modern - On the Influence of
the Vernacular on the Architecture and the City of the Twentieth Century che ebbe luogo a Capri presso la
Casa Malaparte dall’8 al 15 marzo del 1998, sotto l’egida del Professore Jean-François Lejeune.
All’evento parteciparono quaranta studenti e invitati, assieme a venti esperti (storici e architetti) pro-
venienti da tutto il mondo. Il secondo punto di partenza del libro affonda le sue radici nell’incontro al
Wolfsonian-FIU nel 2005 fra i futuri curatori e autori del libro, Jean-François Lejeune e Michelangelo
Sabatino. All’epoca Sabatino era Ricercatore borsista al Wolfsonian-FIU, situato nel cuore di Miami
Beach, una città di per sé rappresentativa di un certo tipo di vernacolare moderno. Quell’incontro, e le
conversazioni che ne seguirono, rappresentano il vero e proprio punto di partenza di questo volume.
L’indice del libro riflette comunque il duplice percorso con quattro saggi basati sulle lezioni presentate in
occasione del convegno a Capri (Benedetto Gravagnuolo, Jean-François Lejeune, Andrea Bocco
Guarneri, Kai K. Gutschow) e una serie più ampia di saggi commissionati specificamente per questo
libro (Michelangelo Sabatino, Sheila Crane, Ioanna Theocharopoulou, Sibel Bozdogan, Ita Heinze-Gre-
enberg, Esra Akcan, Francis E. Lyn, Tom Avermaete). Il saggio di Pedro Baia è stato appositamente
commissionato per questa edizione italiana.
Nord-Sud: Architettura moderna e il Mediterraneo è frutto non solo della passione che entrambi abbiamo per
la storia dell’architettura e della cultura, ma soprattutto dell’amore verso il Mediterraneo, le cui città,
paesaggi, arte, architettura, gente, e gastronomia hanno per secoli attratto e ispirato molti viag-giatori
colti, studenti e studiosi. Fra i vari luoghi, il libro rispecchia in particolare il nostro affetto per l’isola di
Capri e, in modo speciale, la Casa Malaparte, un’icona dell’architettura moderna e contempo-ranea, simbolo
del dialogo tra edificio e paesaggio, tradizione e modernità, architettura e letteratura. Jean-François
Lejeune ringrazia innanzitutto la Fondazione Giorgio Ronchi di Firenze assieme a Nic-colò Rositani e
all’architetto Marco Broggi per aver consentito l’accesso alla Casa Malaparte e per aver lasciato
l’indelebile memoria di una splendida settimana nel lontano 1998. Lejeune estende inol-tre il suo speciale
ringraziamento a tutti gli studenti universitari e dottorandi che hanno reso possibile l’evento a Capri; e
grazie anche a tutti i partecipanti del convegno a Capri la cui presentazione non è stata inclusa in
questo libro, fra cui: Silvia Barisone (Genoa-Miami), Roberto Behar (Miami), Mathias Boeckl (Vienna),
Jaime Freixa (Barcellona), Miriam Gusevich (Washington), Marianne Lamonaca (Mia-mi Beach-New
York), Nicholas Patricios (Miami), Gabriele e Ivo Tagliaventi (Bologna), Hartmut Frank (Amburgo) e
Wolfgang Voigt (Francoforte). Ulteriori ringraziamenti vanno riconosciuti alle seguenti persone e
istituzioni: University of Miami School of Architecture e al Professore Elizabeth Plater-Zyberk per il
continuo sostegno finanziario e morale; Gilda Santana e il personale della biblioteca; School of Continuing
Studies presso il University of Miami; Wolfsonian-FIU e, in particolare, Cathy Leff, Marianne Lamonaca e il
personale della biblio-teca. Per la preparazione del manoscritto e delle sue illustrazioni gli autori
ringraziano Silvia Ros, Andrew Georgadis, Maria Bendfelt, Andrea Gollin, Maria Gonzalez e Sara Hayat per
il loro entusiasmo e infaticabile dedizione.
Michelangelo Sabatino desidera inoltre ringraziare personalmente Jean-François Lejeune per aver
reso memorabile l’esperienza di co-edizione del volume. Numerosi colleghi ed amici meritano specia-le
attenzione per aver assistito in vari modi alla preparazione di questo libro: Professori Barry Berg-doll,
J. K. Birksted, Emily Braun, Francesco Passanti e Gwendolyn Wright. Un ringraziamento speciale va a Serge
Ambrose.
A sua volta Jean-François Lejeune vuole mostrare il suo apprezzamento e ringraziare Michelangelo
Sabatino per l’amicizia e l’inarrestabile energia impiegata per far tagliare il traguardo a questo diffici-le e
laborioso progetto. Egli ringrazia inoltre la Fondazione CESAR (Roma) e il suo Presidente Cristiano Rosponi
per il supporto finanziario della ricerca spagnola. Ringraziamenti particolari vanno al Prof. Vittorio
Magnago Lampugnani e al Prof. Peter Lang per aver scritto lettere per ottenere aiuto finanzia-rio. In ultimo,
ma non per questo meno importanti, Lejeune desidera ringraziare Petra Liebl-Osborne, architetto, storico
L’Atlante catalano, prodotto nel 1375 dagli cartografi maiorchini Abraham e Jehuda Cresques. e artista di Monaco e Miami, che incontrò alla Casa Malaparte a Capri nel 1998, in seguito divenuta una
Da ancientworldmaps.blogspot.ca. cara amica, e la moglie Astrid Rotemberg per l’amore, la pazienza e l’inesauribile entusiasmo.
Per questa traduzione italiana Lejeune e Sabatino desiderano ringraziare il Professor Pino Scaglione
dell’Università di Trento e gli addetti della casa editrice ListLab. Infine, un ringraziamento va alla tra-
duttrice Patrizia Figoli per il suo lavoro.
Prefazione
Barry Bergdoll
0.1

PREFAZIONE | Barry Bergdoll


Sin dall’Illuminismo le onde del Mediterraneo hanno lambito le
sponde dello sviluppo dell’architettura moderna, modificandone
spesso i confini tramite iniziative consapevoli di ridefinizione e
ri-orientamento degli stili prevalenti, dei discorsi o delle prassi
comuni. Come nelle maree, la spinta ha oscillato fra direzioni
opposte: ora verso uno stravolgimento radicale, ora verso una
stabilità atemporale. Un’influenza a tratti di riflusso, a tratti
traboccante. Sulle orme di Fernand Braudel, il celebre storico
del Mediterraneo fra Rinascimento e Illuminismo, si potrebbe
parlare di tempi diversi della moderna Mediterraneità del
Ventesimo secolo, dalle pratiche del Modernismo interbellico e
nell’ultimo dopoguerra, esaminate nella vivace e appassionante
varietà delle casistiche raccolte in questo volume dagli a cura di
e saggisti Jean-François Lejeune e Michelangelo Sabatino, allo
sviluppo ben più lungo e complesso della tematica dell’archi-
tettura moderna nel corso di due secoli e mezzo, il periodo più
lungo dalla celebrazione Illuminista dello storico predominio
della pletora classica con il dorico primitivo di Paestum, all’ab-
braccio di un vernacolare localizzato del regionalismo critico
della fine del Ventesimo secolo, da Hassan Fathy in Egitto negli
anni Cinquanta ad Alvaro Siza in Portogallo negli anni Settanta.
Il polemico e strumentale impegno del movimento moderno
con le acque del Mediterraneo, e con il quotidiano vernacolare
delle sue coste era, contemporaneamente, sintomo e causa di
uno dei capisaldi del movimento: l’attacco all’ereditato acca-
demismo, imbalsamato dall’espressionismo architettonico dei
canoni greco-romani e lo storicismo diffuso in tanta parte della
cultura architettonica dei secoli Diciottesimo e Diciannovesimo.
Un’onda di Mediterraneità si apprestava dunque a spazzare via
le tracce di quelle precedenti.
Intorno alla metà del secolo Diciottesimo il Mediterraneo era
divenuto destinazione di pellegrinaggio culturale, con l’obiet-
tivo di recuperare la purezza del classicismo antico, spesso
come conscia ed esplicita critica verso le modalità del Barocco
e Rococò, iniziando con il noto viaggio dell’architetto fran-
cese Jacques-Germain Soufflot nel 1749, nel ruolo di tutore
del futuro aristocratico patrono Marchese di Marigny, e la
riscoperta della purezza greca dei viaggi archeologici e nelle
pubblicazioni di Julien David Le Roy (1758) e di James Stuart
e Nicholas Revett (1762) che fecero della seconda metà del
Diciottesimo secolo il periodo d’oro della Mediterraneità. La

0.1.1.Gottfried Semper. Villa Garbald, Castasegna (Svizzera), 1863-65. Foto Ruedi Walti, Basilea.
9
Società Inglese dei Dilettanti limitò l’iscrizione a chi avesse Pierre-François Léonard Fontaine a Parigi a Mathurin Crucy in

PREFAZIONE | Barry Bergdoll


compiuto un viaggio rilevante da Londra in direzione sud (la Bretagna, e da John Nash in Inghilterra al circolo facente capo
riscoperta della Scozia dovrà attendere diversi decenni). Lo a Friedrich Gilly a Berlino e Friedrich Weinbrenner a Karlsruhe,
sviluppo del Classicismo europeo è inestricabilmente avvilup- l’appropriazione del vernacolare rustico dell’Italia fu parte inte-
pato alla cultura mediterranea del Grand Tour, concentrato sui grante della pittoresca ricerca di utilizzare l’architettura in
canoni del Classicismo greco-romano e reso più ricco dall’eso- maniera evocativa, come strumento di associazionismo e di
ticità delle scoperte dell’Oriente ai confini dell’impero romano. richiamo allo stile letterario bucolico. Questa tendenza si mani-
A cominciare dal 1890 sarà una ben diversa esperienza del festava in modi che andavano oltre l’imitazione di stili “colti”, in
Mediterraneo che servirà come leitmotiv dell’architettura, particolare nell’ambito della progettazione di parchi e giardini.
nata dal rifiuto delle logiche dell’imitazione accademica— Fu però Karl Friedrich Schinkel il primo architetto autorevole ad
inizialmente esaltate da Johann Joachim Winckelmann nel aver fatto dello studio del vernacolare una parte integrante della
suo mantra “il solo modo per essere grandi, inimitabili perfino, dialettica della composizione architettonica nella sua analisi
è nell’imitazione degli antichi” (1755)—e nella comprensione delle fattorie incontrate nel corso del suo viaggio in Italia del
storicista attuale. Eppure, perfino l’effetto tonificante dell’a- 1803-1805. Come giovane ventenne, Schinkel esplorava i confini
nonimo vernacolare del Mediterraneo non venne del tutto del Classicismo appreso nelle aule e nei laboratori di recente
scoperto da Josef Hoffmann, che prese nota delle case “senza formazione della Berlin Bauakademie, alla ricerca di un ordine
autore” del sud Italia, Capri e Ischia in particolare, come un’at- alternativo, un equilibrio oscillante fra la tipologica regola-
tacco alla cultura dell’imitazione di un passato lontano piuttosto rità e mediazione topografica, tra innovazione e tradizione,
che una risposta progettuale alle condizioni locali. Hoffmann fra simmetria nozionistica a programmatico insediamento.
del resto non era il primo architetto europeo a scoprire le case Da questo svilupperà un criterio compositivo, soprattutto per
vernacolari in calce bianca delle isole della baia di Napoli come composizioni extraurbane e rurali, un criterio che diventerà poi
un’architettura spogliata delle canoniche espressioni colon- un vero e proprio movimento negli anni del 1830, sviluppato nei
nari delle rovine classiche nelle coste vicine meticolosamente lavori della cosiddetta Scuola di Postdam—o quello che Henry
studiate e misurate. Già nei primi anni del Diciannovesimo Russell Hitchcock e altri storici sopranominarono “Classicismo
secolo si percepisce nell’adozione moderna del Mediterraneo romantico”— compresi Ludwig Persius, Friedrich August Stüler,
una corrente sotterranea di Primitivismo, un’autenticità autoc- Ludwig Hesse, Friedrich von Arnim e altri. Costoro sviluppa-
tona e un radicamento da parte degli architetti d’oltralpe e dagli rono forme di composizione romantica asimmetrica intessendo
architetti che aspiravano a lavorare in armonia con l’ambiente spazi aperti e chiusi, volumi squadrati e pareti disadorne che
circostante del suolo natio. Le tensioni che emergono nei saggi sfuggivano agli ordini classici o perfino, a volte, modanature,
contenuti in questo libro, dunque, erano presenti sin dall’inizio: il blocco massiccio a sua volta fuso e alleggerito da pergole e
la capacità del vernacolare locale—solitamente varie tipologie graticci. Questo stile di villa era allo stesso tempo riecheggiante
di case—di reggere duplici discorsi di trascendenza imperitura delle fonti vernacolari mediterranee e trampolino di lancio di
e specificità nazionale, di radicamento e di regionalismo, di una libertà compositiva in contrappunto con la norma neoclas-
“innocenza” o di liberazione dal Simbolismo studiato e colto, sica, lo strumento di un’architettura evocativa slegata dalla
dalla ricerca di astrazione e allo stesso tempo di significati. specificità storica degli stili revisionisti dell’epoca. Sotto l’egida
Se da un lato le architetture rurali delle campagne italiane della corona prussiana questa maniera ricevette il suo titre de
erano da tempo oggetto d’ispirazione per pittori—basti pensare noblesse. Per decenni, barcollò fra la logica dell’evocazione
ai paesaggi di Nicolas Poussin o di Claude Lorrain—fu solo mediterranea e la libertà della composizione astratta, libera da
intorno al 1800 che gli architetti cominciarono a trarre ispi- tempo e spazio perfino mentre enfaticamente creava un nuovo
razione dal dualismo fra l’espressione colonnare e l’ordine luogo, un vernacolare prussiano trapiantato con radici etimo-
delle proporzioni di templi, palazzi e ville disegnati da archi- logiche provenienti dal Sud delle Alpi.
tetti e le apparenti relazioni organiche fra territorio e materiali Che il Mediterraneo vernacolare fosse la metà di una coppia
locali, clima e costumi delle strutture delle fattorie e delle dialettica era già stato segnalato da Schinkel negli appunti per
semplici case della campagna italiana. Da Charles Percier e un libro di testo pianificato, ma mai pubblicato, Das architektoni-

10 11
sche Lehrbuch, c.1820-1830 sulla base costruttiva e compositiva trasmissione, ibridazione e promozione di nuove invenzioni.

PREFAZIONE | Barry Bergdoll


di tutta l’architettura. “Ogni oggetto con una funzione precisa La sua teoria di scambio culturale e formazione dialettica
richiede un ordine specifico corrispondente”, scrisse Schinkel, venne data forma architettonica in edifici programmatici come
“… quell’ordine può essere la simmetria apprezzabile da per esempio la grande Cattedrale di Marsiglia (1855-1893) di
chiunque, oppure l’ordine relativo comprensibile solo da coloro Léon Vaudoyer. Vaudoyer cercava di dare una forma visibile
che ne conoscano il principio”. Secondo Schinkel, per la prima all’idea del Mediterraneo come vero proprio crogiuolo dove
volta, l’architettura vernacolare conteneva un ordine secondo cultura orientale e occidentale si incontravano, risultando in
una pittoresca asimmetria che richiedeva un’analisi ulteriore una pacifica unione dei termini opposti di un conflitto culturale
ed era degna di rispetto e imitazione dell’arte colta. e religioso nel Mediterraneo e in una sintesi dall’intonazione
Verso la fine del XIX secolo l’idea del vernacolare come una più dichiaratamente nazionalista. Ideali simili emergono in The
pura espressione del luogo, sia che fosse legata a discussioni Stones of Venice (1851-1853) di John Ruskin, con la sua imma-
regionalistiche o nazionalistiche, era emersa, rafforzata dalle gine della laguna veneta vista come un sistema per la graduale
teorie di una relazione fra l’espressione architettonica con il fusione di diverse correnti di espressioni culturali che scorrono
modo di vivere, il clima e le tradizioni locali, perfino la geologia, nei complessi sistemi idraulici del Mediterraneo, all’epoca
negli scritti di John Ruskin, in quelli tardi di Viollet-le-Duc, una chiara metafora della ricerca nel Diciannovesimo secolo
nella mostra e nel libro L’Histoire de l’Habitation Humaine di di una scienza della storia che potesse accogliere, piuttosto
Charles Garnier (1875), e in particolare le teorie antropologi- che appiattire o ridurre, le dinamiche del progresso culturale.
camente orientate di Gottfried Semper, la cui Villa Garbald del Si potrebbe dire che la Mediterraneità, per la maggior parte
1864 a Castasegna nella Canton Ticino in Svizzera raggiunge del Diciannovesimo secolo, ha offerto uno dei metodi storicisti
livelli di astrazione rari nell’insieme dei lavori dell’architetto, più sofisticati di spiegazione, e uno che funge da matrice per
pur mentre affonda le radici nelle sue idee di uno stile di auto- alcuni dei più eleganti esercizi nel disegno sincretico da Léon
generazione da fattori come materiali, usi sociali e struttura Vaudoyer e Henri-Jacques Espérandieu a Marsiglia nella metà
familiare, tutti intimamente connessi al luogo. del Diciannovesimo secolo, al modernismo di Antonio Gaudí,
Allo stesso tempo in cui il Mediterraneo divenne fonte di Puig i Cadafalch e i loro contemporanei in Catalogna a cavallo
immagini di un’architettura radicata, che promuoveva nozioni tra Diciannovesimo e Ventesimo secolo. Eppure, come era
di un’intima relazione dell’espressione architettonica e le successo a precedenti onde del Mediterraneo, l’impiego della
configurazioni spaziali alla nascita locale di forme culturali, il teoria delle culture del mare europeo verrebbe ad essere
Diciannovesimo secolo fu anche testimone delle prime formu- gradualmente sostituita da un’altra alla chiusura del secolo,
lazioni delle geopolitiche della Mediterraneità. Fu nei circoli nonostante le geo-politiche del pensiero dei Saint-Simoniani
del socialismo utopistico, e soprattutto nell’ambito del Saint- continuassero ad echeggiare in molte teorie di interazione
Simonismo francese, che le prime vedute sincretiche della razziale, di allineamenti economici e di poli di trasmissione,
cultura mediterranea come risultato di mescolanze, filtraggi ben addentro il Ventesimo secolo, da Tony Garnier a Le Corbu-
e assorbimenti, e di una sintesi progressiva vennero per la sier in Francia, da Erik Gunnar Asplund ad Alvar Aalto nei paesi
prima volta formulate come teorie comprensive dello sviluppo scandinavi e da Camillo Boito a Giuseppe Pagano in Italia.
culturale. I seguaci di Saint Simon coniarono così la dialettica La tensione fra luogo e astrazione, fra radicamento e lezioni
fra il concetto di avanguardia—un termine usato per la prima cosmopolite, riemerge nell’impegno degli architetti della
volta con una connotazione culturale piuttosto che militare Secessione Viennese con il vernacolare di Capri e Ischia. In
durante gli anni venti del diciottesimo secolo—e il concetto questo episodio importantissimo delle avanguardie archi-
di una geopolitica di sviluppo storico. Nel suo Système de la tettoniche dei movimenti moderni la relazione dialettica del
Mediterranée del 1832, il teorico dell’economia e della cultura vernacolare con i concetti della modernità è lampante. “Gli
Michael Chevalier, facente parte della scuola di Saint Simon, stili contadini erano già secessionisti, perché loro non cono-
espose per la prima volta l’idea del Mediterraneo come forgia scono nulla della teoria accademica”, dichiarò Ludwig Hevesi,
nella quale le varie tradizioni culturali erano fuse e perfino sostenitore di Olbrich e Hoffmann. La rottura dell’avanguardia
sintetizzate, in un processo che portava verso una costante con le convenzioni accademiche, le strutture e regole stori-

12 13
ciste di pensiero e pratica, era, adesso in modo provocativo, neo-tradizionalismo, ma come iniziali carriere sperimentali con

PREFAZIONE | Barry Bergdoll


connessa all’ipotizzata spontaneità, naturalezza, invenzione permanenti eredità nei momenti stridenti dell’avanguardia degli
non auto-riflessiva e all’ingegno del costruttore locale. Per anni Venti. Essenziale a questa rivalutazione della posizione
tutto il secolo successivo si potrebbe dire che il vernacolare del vernacolare è stata la comprensione del ruolo delle teorie
oscilla continuamente tra il suo ruolo di modernismo alterna- del vernacolare nell’antropologia della fine del Diciannove-
tivo e il suo mito fondatore. simo secolo e le teorie culturali dei primi del Ventesimo secolo,
È la comprensione di questo dualismo che costituisce entrambe applicate nella revisione delle forme indigene dell’ar-
l›originalità delle più recenti generazioni di studi sulle comples- chitettura rurale in tutta Europa negli anni prima e dopo la
sità del movimento moderno e della sua eredità. Ispirata dal prima guerra mondiale e dei progetti “anonimi” delle macchine
momento del nostro iniziale Ventunesimo secolo con evidenti e dei nuovi mezzi di trasporto che venivano trasformando il
tensioni mondiali fra le forze della globalizzazione e il diffon- paesaggio quotidiano della metropoli e dei paesaggi progres-
dersi delle identità regionali e del particolarismo, la storia del sivamente sempre più interconnessi in Europa e in America. Un
modernismo del Ventesimo secolo in architettura ci appare decennio fa, in un articolo importantissimo, “The Vernacular,
sempre meno segnato da una singola retta teleologica di Modernism, and Le Corbusier”, pubblicato dal Journal of the
sviluppo e sempre più il risultato di un complesso intreccio, Society of Architectural Historians (1997), Francesco Passanti
perfino un palinsesto, di duplicità e desideri. Una radicale offriva un’attenta lettura del parallelismo fra il fascino di Le
rivalutazione dei più influenti pensatori e progettisti del movi- Corbusier con ciò che la Secessione Viennese aveva etichettato
mento moderno dell’architettura, e la loro relazione con il architettura paesana e le macchine che L’Esprit nouveau aveva
classico e il vernacolare incentrati nel bacino mediterraneo, reificato come vernacolare moderno. Così come cinquant’anni
rappresentano la forza motrice di una cartografia rivisitata del prima Colin Rowe aveva cancellato la lettura conflittuale tra
Modernismo architettonico. Ne nasce una mappa, dove centri Classicismo e Purismo nella sua influente interpretazione—The
cosmopoliti e internazionali condividono lo spazio con centri Mathematics of the Ideal Villa (1947)—delle ville di Le Corbusier
regionali ancorati alle politiche dell’identità, dove i canoni e le degli anni Venti, così Passanti smitizzava per sempre l’opposi-
definizioni polemicamente rudimentali vengono smantellati. zione fra il precisionismo e sachlich del macchinario moderno
Le fotografie di automobili, navi, parti meccaniche assieme ai e l’ammirazione per la produzione anonima della campagna
diagrammi dell’Acropoli e gli schizzi delle ville pompeiane in come le due facce della stessa medaglia di un vernacolare
Vers une architecture (1923) di Le Corbusier assumono un signi- unico. Infatti, in Le Corbusier l’opposizione fra la Mediterra-
ficato equivalente. Proprio come più tardi la posizione estetica neità del Grand Tour e quella del vernacolare contadino può
di Robert Venturi può integrare Le Corbusier e Armando essere messa nel cestino del dualismo monolitico che riduce
Brasini e le loro diverse interpretazioni della Mediterraneità. complesse e sottili creazioni architettoniche a manifesti politici.
La vecchia periodizzazione—dove l’immagine strettamente Se il lavoro di Passanti su Le Corbusier, supportato da gene-
razionale basato sulla macchina, lo Stile Internazionale astratto razioni di colleghi, fra cui Stanislaus von Moos, Arthur Rüegg,
emerso nel 1925 come forte reazione ai neo-vernacolari ante- Jean-Louis Cohen e Mary McLeod, si è concentrato su una riva-
cedenti alla prima guerra mondiale del tedesco Heitmastil, dei lutazione meticolosa del mondo complesso dello stratificato
neo-regionalismi francesi o dell’inglese Arts and Crafts, a sua dualismo in gioco nel lavoro del maestro franco-svizzero, ha
volta superato negli anni Trenta da una nuova ondata di Primi- anche dato un’ aperto invito ad una radicale revisione del movi-
tivismo e interesse per il vernacolare come risposta alle nubi mento moderno dai due lati della seconda guerra mondiale. La
tempestose della politica e dell’economia dell’epoca—è stato periodicizzazione pura e semplice del Bauhaus Weimar come
erosa. Non solo la periodizzazione è distintamente caduta in una fase primitivista iniziale dell’artigianato e un’epoca di matu-
disgrazia, ma la diversità del movimento moderno è ora accolta rità della macchina a loro volta sono in processo di revisione.
come evidenza sia della sua complessità storica sia della sua Figure come Marcel Breuer che si sposta nello spazio di pochi
costante rilevanza. L’inizio delle carriere di Alvar Alto, Mies van anni dalla creazione della cosiddetta “African chair” (1943), di
der Rohe e Le Corbusier non sono più visti semplicemente come recente riscoperta, al postulato di un vernacolare moderno
talentuosi periodi di addestramento nel gusto dominante del prefabbricato delle case tutte-in-acciaio che possono davvero

14 15
essere prodotte in serie, ad un’ architettura dove lo sche-

PREFAZIONE | Barry Bergdoll


letro in acciaio può essere contrapposto a grossolane pareti
auto-reggenti nei progetti come Ganes’s Pavilion a Bristol,
Inghilterra (1936, con F.R.S. Yorke), o il Chamberlain Cottage in
Massachusetts (1943, con Walter Gropius)così trovano matrici
sia formali sia intellettuali in cui apparenti opposti possono
essere inclusi in un dialogo fra eguali. Così come il lavoro di
molti architetti moderni, dai maestri ben noti che hanno domi-
nato le narrative del Modernismo sin dall’inizio, quali Mies van
der Rohe o Breuer, a figure che devono ancora essere piena-
mente incorporate, come Giuseppe Pagano o Sedad Eldem
(entrambi rappresentati in questa antologia), viene data una
più ricca interpretazione spostando la lente dalla metafora
delle macchine a quella del vernacolare anonimo, così la piena
forma del modernismo nell’architettura raggiunge una nuova
sottigliezza e complessità nei saggi riuniti in questo volume.
La natura stratificata della storia dell’architettura è svelata,
anche quando viene data nuova vitalità e nuova rilevanza alle
pratiche sotto il mirino degli storici qui riuniti.

0.1.2. Léon Vaudoyer. Duomo di Marsiglia (Cathédrale Sainte-Marie-Majeure). Da Barry Bergdoll,


Léon Vaudoyer: Historicism in the Age of Industry, New York, MIT Press, 1994.
0.1.3. Karl Friedrich Schinkel. Vista di Amalfi sul Golfo di Salerno, 1805. © SMPK. Bildarchiv Preußischer
Kulturbesitz / Art Resource. Foto J.P. Anders.

16 17
Nord-Sud
Jean-François Lejeune e Michelangelo Sabatino
0.2
0.2.1. Curzio Malaparte ed Adalberto Libera. Villa Malaparte, 1937-42. © Foto Jean-François Lejeune.

INTRODUZIONE | Jean-François Lejeune e Michelangelo Sabatino


Tecnicamente, l’architettura moderna è in parte esito
dell’apporto dei paesi settentrionali. Spiritualmente però,
è lo stile dell’architettura mediterranea che influenza la
nuova architettura. L’architettura moderna è un ritorno
alle forme pure e tradizionali del Mediterraneo. Si tratta
della vittoria del mar Latino!1
“Patria di tutti noi, il bacino del Mediterraneo ci collega tutti
coll’origine e con la fine.”2

La complessa relazione tra architettura moderna e il Mediter-


raneo, il “punto d’incontro” secondo l’espressione di Fernand
Braudel, di realtà culturali, economiche e sociali, è il filo condut-
tore dei saggi di questa collezione 3. Il bacino mediterraneo,
sorgente di tradizioni classiche e vernacolari, non ha solo ispi-
rato artisti locali e architetti di queste regioni meridionali ad
indagare la propria storia visiva, spaziale e materiale per un
rinnovamento creativo, ma ha anche sedotto persone dai paesi
settentrionali che ne hanno percorse le sue sponde alla ricerca
di insegnamento e di un’evasione ricreativa. Come sottolineato
da Barry Bergdoll nella Prefazione, questa relazione Nord-Sud,
che ha attirato artisti settentrionali, architetti e intellettuali
nella terra “dove fioriscono gli alberi di limone” (secondo la
celebre descrizione di Wolfgang von Goethe) in cerca di clas-
siche proporzioni e nuove esperienze, iniziò a cambiare a seguito
dello stravolgimento radicale del modello socio-economico
dovuto all’industrializzazione e urbanizzazione dei paesi setten-
trionali. La convinzione crescente che il “progresso” culturale e
materiale dipendesse esclusivamente dalla tecnologia cominciò
ad alterare l’equilibrio tra ricerca umanistica e scienza che
tradizionalmente aveva giocato un ruolo importante nell’arte
dell’architettura dal Rinascimento in poi.
Molti dei detrattori e commentatori del Nord che scrissero
a proposito dell’ascesa del modernismo e delle sue espres-
sioni come la Nuova Architettura (Neues Bauen) lo definirono
come un movimento basato sulla rottura con la prevalente
cultura accademica e la progettazione storicista prevalente
nel Diciannovesimo secolo. Nel corso dei secoli Diciannovesimo
e Ventesimo, etnografi e geografi, che attirarono l’attenzione
sull’architettura vernacolare e le tradizioni vernacolari
condivise fra le comunità rurali, diedero ulteriore supporto
all’obiettivo ideologicamente motivato dell’identità nazionale.

19
La loro attività giocò un ruolo di primo piano nella trasforma- 1919. Si fondava su due tendenze apparentemente condraddit-

INTRODUZIONE | Jean-François Lejeune e Michelangelo Sabatino


zione delle pratiche dell’architettura proprio nel momento in torie: quella della Deutscher Werkbund precedente alla prima
cui l’industrializzazione cominciava a stravolgere la relazione guerra mondiale (Muthesius fu uno dei fondatori) e il medieva-
tra campagna e città. lismo espressionista “organico” rappresentato da Bruno Taut,
Fin dal 1902 lo studioso e architetto tedesco Hermann Muthe- Erich Mendelsohn e Hans Poelzig. Entrambi gli approcci erano
sius differenziava fra “Architettura in stile” e “Arte costruttiva”4. parzialmente connessi al concetto del vernacolare. Nell’am-
Lo studio di Muthesius, Das englische Haus (1904-05), esplicitava bito del Werkbund, Muthesius ammiccava inizialmente all’idea
chiaramente il nuovo spirito5. Descrivendo la casa inglese e il di una produzione standardizzata con macchinari, mentre il
suo aspetto funzionale ispirato alle fattorie e ad altri elementi medievalismo di Gropius affine alle Arti e Mestieri era inequivo-
vernacolari inglesi, egli scrisse: 04
Anche in Inghilterra l’architettura vernacolare è stata
trascurata e disprezzata, così come le chiese gotiche erano
state svilite durante il periodo della dominazione italiana.
Eppure l’intrinseco fascino artistico di questi edifici veniva
ora riconosciuto e con esso le qualità che avevano da offrire
come prototipo per la casa moderna di minori dimensioni.
Questi possedevano tutto quello che si poteva volere e
desiderare: semplicità emozionale, adattabilità struttu-
rale, forme naturali invece di adattamenti da architetture
passate, progettazione razionale e pratica, stanze di forme
apprezzabili, colore e l’effetto armonioso che in tempi
passati sorgeva spontaneamente da un organico sviluppo
fondato sulle condizioni locali6.
Il rinnovato interesse nel vernacolare e nel ruolo che svolse 02
nell’indebolire la dicotomia tra le forme artistiche “colte” e
“spontanee” ebbe origine in Inghilterra nel Diciannovesimo
secolo. La prima rivoluzione industriale ebbe un impatto
traumatico per lo sviluppo, la qualità della vita urbana, e per
le condizioni abitative dei lavoratori, al punto di coinvolgere
architetti, scienziati delle scienze sociali e artisti nel tentativo
di ritornare alle origini. In Inghilterra, e più tardi in Francia,
il gotico vernacolare medievale e i princìpi strutturali della
costruzione gotica divennero la fonte di ispirazione per una
nuova architettura  che si definiva in opposizione ai princìpi
neo-palladiani (italiano e mediterraneo) che avevano dominato
la maggior parte del secolo diciottesimo e i primi decenni del
Diciannovesimo secolo. John Ruskin e William Morris furono i
sostenitori del Movimento delle Arti e Mestieri (Arts & Crafts)
e i padri spirituali della Città Giardino, due movimenti stret- 03

tamente connessi che facevano conto sul vernacolare come


0.2.2. Tony Garnier. Quartiere residenziale, Une cité industrielle, 1918. © Tony Garnier, Une cité industrielle:
catalista e che si sarebbero sparsi a macchia d’olio in Europa étude pour la construction des villes, Paris, 1918.
e negli Stati Uniti nei primi decenni del Ventesimo secolo.
0.2.3. André Lurçat. Hotel Nord-Sud (Hotel Nord-Sud), Calvi, 1931. © Fonds André Lurçat, Institut
L’asse anglo-tedesco iniziato da Muthesius riaffiorò nel Français d’Architecture.
programma di Staatliches Bauhaus, che aprì a Weimar nel 0.2.4. Hermann Muthesius. Das englische Haus, 1904. Cortesia, University of Miami Libraries.

20 21
cabilmente proposto nel programma della Bauhaus: “Architetti, Ad eccezione della Storia dell’architettura moderna di Bruno Zevi

INTRODUZIONE | Jean-François Lejeune e Michelangelo Sabatino


scultori, pittori, dobbiamo tutti ritornare ai mestieri!”7 Durante (1950) e per quasi tutti gli anni Sessanta, la maggior parte delle
il periodo che furono Walter Gropius, Hannes Meyer e Ludwig storie dell’architettura moderna erano state scritte da storici e
Mies van der Rohe alla guida della Bauhaus a Dessau, l’ap- critici tedeschi, inglesi, svizzeri o americani che mostravano un
proccio post-bellico orientato ai mestieri lasciò il passo alle interesse scarso o addirittura nullo per il bacino del Mediterraneo
pratiche della progettazione per le macchine e al piano di indu- come locus di architettura moderna12. Sebbene riconoscessero il
strializzazione colto come forma necessaria del vernacolare valore del vernacolare settentrionale, ignoravano quelli del Sud
dei tempi moderni. e menzionavano raramente o per nulla le esperienze di Josef
L’importante libro di Nikolaus Pevsner Pioneers of the Modern Hoffmann e Adolf Loos, entrambi i quali studiarono i vernacolari
Movement: From William Morris to Walter Gropius, pubblicato nel del bacino del Mediterraneo13. Allo stesso modo ignorarono gli
1936, riconosceva e sottolineava il contributo delle tradizioni esponenti principali dell’emergente tendenza del “modernismo
vernacolari della campagna inglese al programma riformista mediterraneo” come Josep Lluís Sert, Adalberto Libera, Giuseppe
del Movimento di Arti e Mestieri di Williams Morris e, infine, Terragni e Dimitri Pikionis. Una delle ragioni principali che rende-
allo sviluppo del movimento moderno di Gropius8. Eppure, come vano sospetta l’esistenza di un modernismo mediterraneo è
Maiken Umbach e Bernard Hüppauf sottolineano nella loro legata al fatto che spesso fioriva in paesi sotto dittature di destra,
introduzione a Vernacular Modernism, se studiosi tradizionali che osservatori esterni tendevano a condannare, nonostante gli
come Pevsner e altri “contribuirono a cancellare il ‘disordine architetti fossero impegnati, e accadeva di frequente, nell’edilizia
estetico’ degli stili del revival storicista del Diciannovesimo di case popolari. Inoltre gli edifici del vernacolare mediterraneo
secolo, preparando così il terreno al funzionalismo moderno...
[costoro] sminuirono il ruolo del vernacolare nel modernismo
ad uno puramente  transitorio, che cessò di essere rilevante
non appena si sviluppò il modernismo colto”9. Di conseguenza,
tali interpretazioni ignorarono il contesto socio-politico e “il
senso del luogo” a favore di un’interpretazione strettamente
formale che portò alle tendenze schematiche dell’astra-
zione moderna. Mechanization Takes Command: A Contribution
to Anonymous History (per usare il titolo del libro di Sigfried
Giedion del 1948) divenne il motto degli architetti modernisti
che credevano nell’unione di anonimità e industrializzazione
per cancellare l’individualità artistica al fine di promuovere
un’identità collettiva. All’epoca, la forte posizione anti-clas-
sicistica e l’enorme influenza di Pevsner e Giedion, entrambi
storici e critici basati nel settentrione, bloccò e potenzialmente
invertì lo scambio plurisecolare fra Nord e Sud fiorito dal Rina-
scimento fino agli inizi del Ventesimo secolo sotto forma di
Grand Tour10 . A malincuore Sigfried Giedion fece una piccola
concessione alla tradizione classica:
Tony Garnier provava un’attrazione per il classicismo, come
mostra la modellazione dei suoi edifici. Si è liberato da
questo attaccamento, comunque, nei vari particolari della
sua Cité Industrielle. Le sue case con le sue terrazze e i
giardini sui loro tetti piani sono una riuscita combinazione
fra costruzione moderna e antica tradizione della cultura
0.2.5. Le Corbusier. Villa Mandrot, Le Pradet, Francia, 1931. © Henry-Russell Hitchcock and Philip
mediterranea11. Johnson, The international Style, New York, 1932.

22 23
si basavano spesso sulle solide pareti della tettonica stereoto-

INTRODUZIONE | Jean-François Lejeune e Michelangelo Sabatino


mica che richiamava le qualità scultoree del cemento armato, a
differenza dei vernacolari nordici che erano associati ai sistemi
strutturali di costruzione in legno (con pali e travi) che si potevano
riproporre in strutture in acciaio o cemento.
Il modernismo mediterraneo venne eclissato non solo in
Pioneers di Pevsner, che a malapena rendeva merito a Le
Corbusier, ma anche in altre influenti narrative degli anni
Trenta. La mostra di Philip Johnson e Henry-Russell Hitchcock
del 1932 The International Style: Architecture Since 1922 e
il relativo catalogo ne sono un esempio. Sebbene gli autori
pubblicarono il suggestivamente nominato Hotel Nord-Sud di

0.2.6. Herman Sörgel. “Nuova geografia per la sezione centrale del Mediterraneo. Italia collegata con la
Sicilia e l’Adriatico riempito. Collegamento ferroviario da Europa centrale a Città del Capo. © Herman
Sörgel, Verirrungen und Merkwürdigkeiten im Bauen und Wohnen, Leipzig, 1929.
0.2.7. Le Corbusier. Lettera al sindaco di Algiers, 1933. © Le Corbusier, La Ville radieuse, Paris, 1933.

24 25
André Lurçat completato nel 1932 a Calvi in Corsica, trascu- discorsivo svolto dalla macchina era anche una risposta diretta

INTRODUZIONE | Jean-François Lejeune e Michelangelo Sabatino


rarono di notare il dichiarato impegno dell’architetto con la ad una serie di eventi globali e personali, che misero in crisi
tradizione mediterranea vernacolare caratterizzata da super- la posizione iniziale di Le Corbusier: la Grande Depressione e
fici sbiancate, lisce, disadorne, da volumi semplici e da tetti la critica del capitalismo industriale del 1930, la crescita dei
piani.14 In antitesi a quest’atteggiamento quello del critico partiti di destra tedeschi e l’ascesa del socialismo nazionalista
“meridionale”, l’architetto e progettista italiano Gio Ponti, che resero le critiche moderniste nordico-centriche pericolosa-
che identificò immediatamente il “perfetto carattere mediter- mente ambigue, e infine la conseguenza intellettuale dell’aver
raneo” dell’Hotel Nord-Sud di Lurçat.15 Nella valutazione di perso il concorso per il Palazzo delle Nazioni a Ginevra. L’im-
Ponti, il contribuito del contesto e della cultura mediterranea patto di questi eventi coincisero con il primo incontro con Josep
non era in conflitto con lo stile dichiaratamente moderno del Lluís Sert a Barcellona e il successivo viaggio a bordo della
progetto. Alla stessa maniera, costruita sulle coste francesi
del Mediterraneo soltanto tre anni dopo Villa Savoye, la Villa
Mandrot del 1931 di Le Corbusier sfidava i critici militanti
che miravano a svalutare la complessità della modernità di
Le Corbusier riducendola ai suoi “cinque punti”. Al posto dei
pilotis che sollevavano Villa Savoye dal terreno, la villa a Le
Pradet era ancorata al suo sito da una muraglia di pietra tipica
della regione mediterranea, testimone del ruolo che la natura
e il vernacolare potevano giocare nel modernismo organico.16
Al posto delle superfici lisce, delle finestre a nastro di Villa
Savoye, la Villa Mandrot inseriva una struttura “primitiva” del
genius loci provenzale.17 Seguendo l’esempio di Le Corbusier,
Adalberto Libera (con Curzio Malaparte e Adolfo Amitrano) si
affidarono alle competenze dei capomastri per la progetta-
zione del capolavoro modernista a Capri, la Casa Malaparte,
completata fra il 1938 e il 1942. Sebbene Johnson e Hitchcock
avessero incluso la Villa Mandrot nella loro pubblicazione, la
loro omissione nell’accennare alla mediterraneità di questo
edificio non sorprende considerato che non erano per nulla
inclini a riconoscere l’iterazione regionale o nazionale della
modernità, perché non supportava la loro tesi di a cura di
ovvero che la architettura moderna doveva aspirare ai valori
universali dello stile internazionale. Quello che tralasciarono
di ammettere è come l’eredità condivisa del vernacolare aiutò
i modernisti mediterranei a individuare un ethos collettivo
senza necessariamente rinunciare alle loro identità nazionali
o trans-regionali.
Il complesso posizionamento di Le Corbusier, più di ogni altro
modernista interessato all’ambiente mediterraneo e vernaco-
lare, rappresentava serie provocazioni all’asse anglo-tedesco.
Lo scarto epistemologico di Le Corbusier dall’esordio delle
arti e mestieri a Chaux-de-Fonds e del suo modernismo
meccano-centrico del 1920 (Plan Voisin, 1925) alla versione
0.2.8. Casa nei Baleari, fotografia di Francesc Català-Roca, 1950. © Guía de Mallorca, Minorca e Ibiza,
meridionale dove il posto del vernacolare veniva preso dal ruolo Destino, 1950.

26 27
INTRODUZIONE | Jean-François Lejeune e Michelangelo Sabatino

0.2.9. “Tradizione muraria a Ibiza”. © Spazio, 1951.


0.2.10. José Luis Fernández Del Amo. Dettaglio della chiesa e centro civico, San Isidro de Albatera, Alicante,
c. 1953-55. Foto Joaquín del Palacio Kindel. © COAM, Madrid.

28 29
crociera Patris II da Marsiglia ad Atene come parte del quarto simo secolo deve alla sopravvissuta tradizione vernacolare

INTRODUZIONE | Jean-François Lejeune e Michelangelo Sabatino


incontro del CIAM dove brillava l’assenza degli architetti tede- della regione mediterranea. Esplorando l’impatto degli edifici
schi. Gli scritti di Sert sul vernacolo e la modernità chiarirono vernacolari dei capomastri e artigiani sulla nascita e diffusione
questo posizionamento globale: del modernismo, i saggi di questa collezione affrontano con
Ogni nazione ha un’architettura “perenne” che viene gene- una nuova prospettiva il momento in cui architetti “educati”
ralmente definita vernacolare, ma piuttosto vernacolare professionalmente cominciarono a intravedere valori moderni
di basso rango, classificata secondo i mezzi economici su edifici anonimi non progettati da architetti della tradizione
disponibili. (...) Il funzionamento puro della “machine à che per millenni era fiorita fra le culture pre-industriali del
habiter” è morto. (...) Architetti e teorici, soprattutto tede- bacino mediterraneo. Nel corso dei primi tre quarti del Vente-
schi, hanno spinto la sperimentazione funzionalista ad simo secolo, architetti del Nord e del Sud inclusero appieno gli
estremi assurdi18. elementi del contesto - clima, geografia, materiali e cultura -
La famosa lettera di Le Corbusier al sindaco di Algeri, alla ricerca di soluzioni ai problemi contemporanei di abitabilità
pubblicata in La ville radieuse (1933) sintetizzava il contesto e pianificazione urbanistica.
internazionale e politico della sua prospettiva negli anni Trenta: Sebbene diversi architetti presenti in questa collezione siano
L’economia del mondo è sottosopra; è dominata dall’inco- stati oggetto di approfondite analisi, non vi è stata una revi-
erenza arbitraria e da gruppi dannosi. Nuove associazioni sione delle sovrapposizioni fra le strategie dei protagonisti
e nuovi raggruppamenti, nuove unità di importanza devono operanti nei vari paesi del Mediterraneo e delle loro potenziali
nascere che daranno al mondo un’organizzazione che sia interazioni. Nord-Sud: Architettura moderna e il Mediterraneo è
meno arbitraria e meno dannosa. Il Mediterraneo sarà la uno dei primi libri a studiare l’opera di questi architetti come
connessione di uno di questi gruppi, la cui nascita è immi- parte del fenomeno collettivo che abbiamo definito “moder-
nente. Razze, lingue, una cultura che risale a millenni, una
vera unità. Si riassume in quattro lettere, distribuite come
i punti cardinali: Parigi, Barcellona, Roma, Algeri19.
Nell’ambito di queste nuove coordinate geografiche l’asse
nordico tra Berlino e Londra veniva marginalizzato, assieme
al ruolo importante della questione funzionalista associato
al Modernismo nordico20. La cosa interessante è che, proprio
verso la fine degli anni Venti, l’utopia tecnico-architettonica
“Atlantropa” di Herman Sörgel di abbassare il livello del
Mediterraneo viene a galla. Nel 1932, Erich Mendelsohn,
uno degli architetti tedeschi coinvolto nel progetto assieme
a Peter Behrens e Hans Poelzig, in un discorso pronunciato a
Zurigo, sosteneva che per stabilire una coesistenza pacifica
fra nazioni doveva essere creato un Nuovo Ordine sovranazio-
nale, capace di spingere le nazioni verso “compiti produttivi nel
mondo tecnico”. Atlantropa, l’enorme progetto idroelettrico che
aveva lo scopo di collegare Europa e Africa avrebbe creato un
Super Continente Nord-Sud dalla potenza dominatrice simile
all’America e all’Asia21.

La storiografia architettonica nel dopo guerra:


il libro e la sua struttura
Nord-Sud: Architettura moderna e il Mediterraneo mira a far luce
0.2.11. Dizengoff Circle, Tel Aviv, c.1940. © http://theculturetrip.com/middle-east/israel/articles/4-
sul debito creativo che l’architettura modernista del Vente- modern-cultural-spots-with-historical-significance-in-tel-aviv/

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INTRODUZIONE | Jean-François Lejeune e Michelangelo Sabatino

0.2.12. Atelier 5. Vicolo nella Siedlung Halen, Svizzera, 1957-61. © Atelier 5, Terrace houses at Flamatt near
Bern, Switzerland, 1957, 1960, Tokyo : A. D. A. EDITA Tokyo, 1973.
0.2.13. Álvaro Siza. Vicolo nella Quinta da Malagueira, Évora, Portugal, 1977-1998. Foto Jean-François Lejeune.

33
nismo mediterraneo” - architettura moderna che risponde alle impossessatisi di una tradizione che, per quanto estranea, riso-

PREFAZIONE | Barry Bergdoll


esigenze d’uso con elementi caratteristici derivati dagli edifici nava internamente. Il dibattito del modernismo mediterraneo
vernacolari in modo da unire i crucci spaziali e materiali con il coinvolse gli architetti Erich Mendelsohn, Bernard Rudofsky,
contesto e la cultura. Bruno Taut e Aldo van Eyck assieme a Jose Luis Sert, Aldo Rossi
Il primo gruppo di saggi, intitolato “Sud”, tratta degli architetti e numerosi altri. Indipendentemente dal loro punto di vista,
che hanno vissuto e lavorato nei paesi mediterranei, esamina nazionale o internazionale, interno o esterno, queste diverse
come essi e le loro progettazioni abbiano affrontato e nego- prospettive psicologiche e culturali pesavano sull’esperienza
ziato politiche complesse d’identità come parte integrante di personale della scoperta e dell’appropriazione delle tradizioni
una visione multilaterale della modernità in opposizione al vernacolari.
prevalente discorso “dell’età delle macchine”  del canonico Particolarmente importante per la storiografia dell’urbanistica
modernismo dell’epoca. Il secondo gruppo di saggi dal titolo e dell’architettura del Ventesimo secolo è la continuità negli
“Nord”, presenta il contributo di architetti non appartenenti approcci degli architetti modernisti mediterranei che rivalu-
ai paesi mediterranei ma che vi si recarono occasionalmente. tarono l’importanza del vernacolare durante gli anni fra le due
Ciò che distingue i due gruppi sono le diverse maniere in cui guerre e perseguirono i loro interessi dopo la seconda guerra
ognuno ha negoziato i problemi di identità culturale e respon- mondiale. Sebbene lo sfruttamento del classicismo nella vola-
sabilità professionali. Se il primo gruppo di saggi tratta gli tile relazione fra nazionalismo e architettura sia stato studiato
architetti che si impegnarono con tradizioni a loro familiari approfonditamente, il fenomeno “progressivo” inter-regionale,
in quanto parte della loro cultura nazionale o inter-regionale internazionale del modernismo mediterraneo è stato trascurato
(il mar Mediterraneo per esempio), il secondo gruppo era in molti degli studi monografici di singoli architetti, oltre che
composto da architetti non residenti nei paesi mediterranei nelle approfondite revisioni dell’architettura e dell’urbanistica

0.2.14. Eduardo Torroja Miret. Mercato, Algeciras, Spagna, 1933. © Cartolina,


collezione Jean-François Lejeune.
0.2.15. Man Ray. Immagine del film Les Mystères du Château de Dé, 1928. © Tutti diritti riservati.

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INTRODUZIONE | Jean-François Lejeune e Michelangelo Sabatino

0.2.16. Yona Friedman. La ville spatiale [La città spaziale], 1958-1962. Fotomontaggio con una fotografia di
Bernard Rudofsky (Architecture without Architects, MOMA, 1964). © Sabine Lebesque and Helene Fentener
van Flessingen, Yona Friedman – Structures Serving the Unpredictable, Rotterdam, NAi Publishers, 1999.
0.2.17. Jørn Utzon. Planimetria diagrammatica della Università di Odense (concorso, 1967). © Jørn Utzon
& Richard Weston, Additive architecture, Mogens Prip-Buss: Edition Blondal, 2009.

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del Ventesimo secolo. Diverse persone cercarono di reagire di Milano, Luigi Moretti pubblicava in Spazio un saggio similare

INTRODUZIONE | Jean-François Lejeune e Michelangelo Sabatino


allo statu quo. Ad esempio l’architetto italiano Luigi Figini, titolato “Tradizione muraria in Ibiza”. Il mito mediterraneo era
uno dei fondatori dell’italiano Gruppo Sette, scrisse un saggio ancora presente, pero in qualche modo internazionalizzato e
sull’architettura di Ibiza (1950) nel quale lamentava che Spazio, liberato del nazionalismo degli anni Trenta.
tempo, ed architettura di Giedion attribuiva fin troppa impor- Fu la pubblicazione Encyclopédie de l’Architecture Nouvelle (1948-
tanza all’epoca della macchina e all’astrazione come fonte 1957) dell’architetto razionalista e critico italo-svizzero Alberto
primaria dell’architettura moderna. Figini rivendicava l’egual- Sartoris a portare notevoli cambiamenti alla storiografia del
mente importante contributo delle costruzioni vernacolari del secondo dopoguerra. La sua pubblicazione in tre volumi, in cui
Mediterraneo allo sviluppo dell’architettura moderna22. Il fatto
che non cantasse le lodi del vernacolare italiano ma di quello
spagnolo e mediterraneo è segnale di un approccio inter-re-
gionale ad un fenomeno sfuggito a numerosi critici. Fatto non
di poca importanza, Figini era membro di lunga data della
delegazione italiana del Congrès Internationaux d’Architecture
Moderne (CIAM) e in quel ruolo era testimone delle tensioni
attorno alla definizione dell’architettura moderna e della
urbanistica che affioravano fra i membri meridionali e setten-
trionali nel corso degli anni Trenta e si protrassero ben oltre
gli anni Cinquanta23. Un anno dopo, al momento della Triennale

0.2.18. Cherubino Gambardella. Alloggi popolari, Piscinicola, Napoli, 2012. © Gambardella Architetti.
0.2.19. Álvaro Siza con Juan Domingo Santos. Edificio e Casa a Patio Zaida, Granada, 1993-2006. © El Croquís.

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clima e geografia erano la struttura portante per presentare la ricerca dove era stata lasciata da autori come Sartoris su

INTRODUZIONE | Jean-François Lejeune e Michelangelo Sabatino


lo sviluppo della Nuova Architettura, era suddivisa in “Clima come la geografia modellò l’architettura e l’urbanistica del
mediterraneo e ordine” (Vol. 1), quello dei paesi settentrionali Ventesimo secolo26. Diverse pubblicazioni hanno via via palesato
(Vol. 2) e quello delle Americhe (Vol. 3): sempre più l’intreccio di architettura, modernità e geopoli-
Le inevitabili differenze che sono in verità giustificate, fra tica27. Eppure, nell’insieme, tali studi rimangono episodi isolati.
città e campagna, montagna e pianura, Nord e Sud, non Mentre ricerche sull’architettura del Ventesimo secolo tendono
sbiadiscono mai, nemmeno nell’architettura il cui stile ha a concentrarsi sul nazionalismo, raramente si occupano del
varcato tutti i confini e di conseguenza è penetrata ovunque24. fenomeno internazionale del modernismo mediterraneo che
Hubert De Cronin Hastings, che scrisse anche sotto lo pseudo- esisteva all’interno, piuttosto che in contrapposizione, al
nimo Ivor de Wolfe, contribuì alla crescente presa di coscienza modernismo. Nord-Sud: Architettura Moderna e il Mediterraneo
del Mediterraneo e del modernismo vernacolare nel corso si accinge a eliminare il vuoto della letteratura e a contribuire
degli anni eroici della ricostruzione post-bellica della seconda alle “tante voci” di una modernità polivalente e sfaccettata28.
guerra mondiale. Questo fu reso possibile grazie allo sviluppo È precisamente questa molteplicità, e le tensioni che tale
del suo concetto di “townscape”, che Gordon Cullen divulgò nel approccio genera, a cui allude il sottotitolo del libro. Dialoghi
suo libro Townscape del 1961 interpretando le idee di Hastings su vernacolare e identità contestate furono strumentali nel
grazie al suo talento di ispirato disegnatore. Due anni dopo, modellare il modernismo mediterraneo. Questi erano al centro
nel 1963, Hastings (de Wolfe) pubblicò Italian Townscape, uno del dibattito fra critici e storici in disaccordo sul ruolo rappre-
studio delle città medievali italiane viste attraverso il prisma sentato da nazionalismo e regionalismo nell’emergenza di
del pittoresco vernacolare. Hastings non invocava l’imitazione una lingua del modernismo che fosse internazionale o perfino
della città vernacolare e delle tipologie costruttive, ma piuttosto universale, unificante piuttosto che separatrice. Questo libro,
del loro uso come modello di forma collettiva per la ricostru- costruendo sul lavoro già svolto da storici dell’architettura e
zione contemporanea e la progettazione urbanistica.
Un interesse similare si sviluppò in Italia con la discussione
di Ernesto Rogers sulla “continuità” e il concetto della città
collinare rivista di Giancarlo De Carlo con la città di Urbino
come paradigma. Nell’Italian Townscape di De Wolfe, Nord e
Sud si incontrano in qualche modo attraverso la reinterpreta-
zione moderna dell’originale incursione di Uvedale Price nella
questione del pittoresco25.
Un forte impeto a modificare la percezione nei paesi non-me-
diterranei del secondo dopoguerra sul ruolo costruttivo che
gli edifici vernacolari del sud potevano giocare sul moder-
nismo post-bellico l’ebbe la mostra e relativa pubblicazione
di Architecture Without Architects di Bernard Rudofsky nel 1964
al Museo di Arte Moderna di New York e il libro nel 1969 di
Myron Goldfinger Villages in the Sun: Mediterranean Community
Architecture, entrambi i quali sottolinearono come i costruttori
del vernacolare mediterraneo prefiguravano abitazioni in serie
prodotte industrialmente pur impegneosi appieno nel contesto
e nella cultura. La questione di “ripetizione senza monotonia”,
che implicava tipologia e produzione in serie degli studi di
Goldfinger e Rudofsky, era centrale per quei progettisti la cui
identità era fortemente calata nel modernismo mediterraneo.
Recenti revisioni dell’architettura  mondiale hanno proseguito 0.2.20. e348 Arquitectura. Capella Santa Ana, Santa Maria da Feira, 2012. © e348 Arquitectura.

40 41
della cultura quali Jean-Louis Cohen, Benedetto Gravagnuolo,

INTRODUZIONE | Jean-François Lejeune e Michelangelo Sabatino


Vittorio Magnago Lampugnani, Vojtech Jirat-Wasiutynsky, Jan
Birksted e Jean-Paul Bonillo, esplora l’attrazione che archi-
tetti e urbanisti hanno avuto per le tradizioni mediterranee29.
Il contributo degli autori tiene conto delle diverse prospettive
metodologiche. Alcuni inquadrano la loro ricerca con l’aiuto
delle teorie della traduzione, mentre altri scelgono come base
per l’analisi la tipologia architettonica. Altri ancora esplo-
rano l’impatto del dibattito letterario sulla cultura artistica e
architettonica. Il denominatore comune di tutti i saggi è l’inve-
stigazione dell’impatto dell’ambiente naturale e costruito del
bacino del Mediterraneo fra le due guerre (fra gli anni Venti e
Quaranta) e nel dopoguerra (dal 1945 fino agli anni Settanta)
sulle esperienze di architetti che lavorano in diversi paesi.
Non tutti gli architetti parte di questo ampio fenomeno sono
rappresentati in questa collezione, né abbiamo cercato di
affrontare il fenomeno che affiorava in altre parti del mondo.
Per esempio, sarebbe importante studiare come, al di là di
Mendelsohn, gli architetti emigrati dell’Europe Centrale e
costruttori della Città bianca (Tel Aviv) hanno “mediterra-
neizzato” il Bauhaus 30. Senza dimenticare l’opera di Robert
Mallet-Stevens e l’affascinante Villa Noailles a Hyères, Francia,
dove si incontrava la avanguardia artistica—con le visite di
Cocteau, Picasso, Dali, Buñuel—e dove Man Ray girò nel 1928 il
suo film surrealista Les Mystères du Château de Dé. Nella stessa
direzione, i cortili e la griglia urbana d’ispirazione mediterranea
della Siedlung Hagen in Svizzera (Atelier 5) potrebbero essere
visti come un altro trasferimento dal Sud al Nord. Ed ancora,
sarebbe opportuno investigare se le strutture di cemento
armato, sviluppate in Spagna, Italia e America Latina per
Eduardo Torroja, Felix Candela, Carlos Raúl Villanueva e Pier
Luigi Nervi, potrebbero essere etichettate come “mediterranee”.
Dunque, e come si può leggere nel libro Mediterranei traduzioni
della modernità, le opportunità per ulteriori studi in Europa,
Africa, Stati Uniti e America Latina abbondano 31. Nel 1960,
Yona Friedman fece un collage di una delle sue mega-strutture
urbane sovrapposta alla fotografia di un villaggio vernacolare
pubblicata in Architecture without Architects di Rudofsky. Hassan
Fathy, un promotore dell’uso delle tradizioni vernacolari a New
Gourna, la moderna città egiziana completata nel 1948, colla-
borò con Constantino Doxiadis, che alimentò la sua attività
0.2.21. Aires Mateus e Asociados. Case per anziani, Alcácer do Sal, Portugal 2006/2007 © Badriya Bin
creativa con un perenne interesse per il mediterraneo verna-
Tuweh.wordpress.com
colare. E quando, nel 1965, Jørn Utzon definisce il concetto di
0.2.22. Rudy Ricciotti. Vista del museo e del Fort Saint-Jean, MuCEM (Musée des Civilisations de l’Europe et
“architettura additiva”, lo fa in relazione alla sua ricerca di una de la Méditerranée), aperto in Marsiglia in 2014. © Rudy Ricciotti architecte.

42 43
nuova architettura e urbanistica moderna, che è il risultato E il importante testo di Franco Cassano Il pensiero meridiano

PREFAZIONE | Barry Bergdoll


del suo constante sguardo sull’“architettura senza archi- del 1996 dove ha scritto:
tetti”, dalla penisola araba all’Africa passando per il villaggi Ma per fortuna il Sud che vale la pena ascoltare è molto
del Mare Baltico. 32 Similarmente, sarebbe difficile ignorare diversificato. Non si può non pensare al Sud Latinameri-
come il modernismo mediterraneo - tramite l’influenza del cano, il Sud del mondo occidentale, un Sud che tutti noi
razionalismo italiano e le analogie tra il Mare Nostrum e la conosciamo attraverso alcune grandi figure della politica,
costa atlantica del Sudamerica - aiutò a modellare le archi- musica, sport, e letteratura .... C’è anche il sud dell’ibri-
tetture brasiliane di Lucio Costa e Oscar Niemeyer.33 Nel caso dismo e del métissage, tutto il Mediterraneo del mondo,
importante dell’America Latina, due reflessioni vengono in che ha un ruolo decisivo nel plasmare un percorso che si
mente: il manifesto e schizzo dell’artista uruguainano Joaquín allontana da ogni fondamentalismo culturale e nazionale:
Torres García mostrando il continente Americano sottosopra: un Sud che si estende dall’America all’India35.
Ho chiamato questo “La scuola del Sud”, perché in realtà, Nel corso degli stessi anni Louis I. Kahn viaggiò attraverso
il nostro Nord è il Sud. Non ci deve essere del Nord per noi, l’Europa meridionale e produsse una serie di splendidi schizzi
tranne in opposizione al nostro Sud. Perciò ora giriamo di Capri, Positano e della Costiera Amalfitana. Vincent Scully
la carta a testa in giù, e allora abbiamo una vera idea di ha spiegato l’importanza dei disegni di Kahn.
nostra posizione, e non come il resto del mondo desidera. Kahn ha spezzato l’incantesimo dello Stile Internazionale
L’estremità dell’America, d’ora in poi, per sempre, punta e ha aperto il varco per il revival del vernacolare e delle
con insistenza al Sud, il nostro Nord.34 tradizioni classiche dell’architettura creato dalla gene-
razione passata e iniziato da Robert Venturi assieme a
Charles Moore e Aldo Rossi, ognuno debitore di Kahn in
maniera profonda36.
Nel 1966, non molto dopo Kahn ebbe completato il Richards
Medical Centre (1961) riecheggiante delle torri medievali studiate
in Toscana, Complexity and Contradiction in Architecture di Robert
Venturi e L’architettura della città di Aldo Rossi, venivano pubblicati
su entrambi i lati dell’Atlantico. Prodotti con il patrocinio dell’A-
merican Academy e pubblicato con il Museo di Arte Moderna
di New York, il “manifesto gentile” di Robert Venturi divenne,
nell’analisi di Scully, il complemento indispensabile - e contrad-
dittorio - del libro di Le Corbusier, Vers une architecture (1923):
Il libro precedente richiedeva il nobile purismo nell’archi-
tettura, nel singolo edificio e nell’intera città; il nuovo libro
accoglie le contraddizioni e le complessità dell’esperienza
urbana a tutti i livelli37.
Secondo Scully, l’ispirazione di Venturi non proveniva dal
tempio greco di Le Corbusier ma dal suo contrario, “le facciate
cittadine dell’Italia, con i loro infiniti adattamenti ai contro-re-
quisiti dell’interno e dell’esterno e la loro enfasi verso le attività
della vita quotidiana 38. In Rossi, Peter Eisenmann vedeva “il
tentativo di costruire un castello diverso da quello dei contem-
poranei. Si tratta di una complessa impalcatura eretta da
e per chi non può più salire le scale per morire da eroe” 39.
Centrale per le teorie di Rossi furono gli studi tipologici del
0.2.23. Rudy Ricciotti. Vista interna del MuCEM (Musée des Civilisations de l’Europe et de la
Méditerranée), aperto in Marsiglia in 2014. © Rudy Ricciotti architecte. vernacolare urbano di Roma e Venezia avviati dal suo maestro

44 45
Saverio Muratori, assieme alla tesi di Maurice Halbwachs
sulla “memoria collettiva”. L’interesse di Rossi nelle architet-
ture vernacolari esistenti sono state discusse nella
panoramica delle ansie teoretiche e nelle strategie di
progettazione: l’ar-chitetto spagnolo sottolinea “la nostalgia
della costruzione razionale dell’architettura vernacolare” di
Rossi in relazione al progetto di Borgo Ticino influenzato dalle
costruzioni locali sul lago40. Rafael Moneo continua la
discussione con l’interesse di Rossi verso “l’architettura
anonima” che lo portarono ad inclu-dere spazi urbani, dalla corte
di Siviglia alle case sul delta del Po. Infine, sono i disegni delle
cabine dell’Elba che ci mostrano come la riscoperta del
vernacolo ha dato a Rossi la possibilità di oscillare tra oggetto,
architettura e città.

Coda: dalla memoria alla trasparenza


Sono trascorsi più di tre decenni da quando Aldo Rossi propose
le sue architetture analogiche piene di suggestioni dell’ere-
dità vernacolare e del Mediterraneo. Nel frattempo, nella
cultura architettonica italiana, il tema del mediterraneità ha
subito un allargamento significativo. In molti casi, si tratta di
un abbandono della ricerca della memoria e della tipologia
verso tematiche legate alla “sostenibilità” (spesso in chiave
di recupero dei valori della tradizione “green” vernacolare),
l’edilizia turistica (la Costa Smeralda è stata stravolta dalla
costruzione di alberghi di lusso “rustici” che non hanno nulla
a che vedere con la tradizione vernacolare sarda), la liricità
(come per Auditorium di Ravello di Oscar Niemeyer a Salerno
completato nel 2010), ed infine la “high-tech”.
È interessante (forse anche inquietante) notare come alcune
delle architettura “mediterranee” contemporanee realizzate in
Italia o da architetti italiani all’estero, che celebrano l’eredità
del mare nostrum sono infatti caratterizzati dalla trasparenza e
dalla high-tech anziché dalle tecniche di costruzioni tradizionali
della architettura vernacolare tradizionale che vi si trova lungo le
rive del Mediterraneo: il Galata Museo del mare a Genova
(2004) progettato dalla spagnolo Guillermo Vázquez Consuegra, la
riqualificazione dell’ex-arsenale sull’isola della Maddalena
nel nord della Sardegna (2009) e la Casa del Mediterraneo a
Marsiglia (2013), entrambi da Stefano Boeri Architetti sono
esempi molto noti.
Di tutte queste recenti realizzazioni è forse doveroso ricordare
come continua a fare d’eccezione l’opera dell’architetto napo-
letano Cherubino Gambardella che offre una notevole prova
di continuità con gli esempi discussi in questo libro— vale a

0.2.24. Le Corbusier. Vista parziale, Il “Cabanon”, Roquebrune St. Martin, 1949. © Foto Jean-François Lejeune.

46
dire, quello di riprendere alcuni principi basi del dialogo tra persiane, e di altri elementi mozarabici che aveva incontrato in

INTRODUZIONE | Jean-François Lejeune e Michelangelo Sabatino


il moderno e il mediterraneo tramite la tradizione vernaco- Spagna, in Nord Africa e, infine, in Brasile: “l’introduzione, nel
lare, applicandola a tipologie come la casa e materiali spesso Nord Africa del ‘brise-soleil’ costituisce il primo fondamentale
“poveri”. Nell’intervento d’alloggi popolari completato nel 2012 elemento dell’architettura regionale del Nord-Africa” 42.
a Piscinola nella periferia nord di Napoli, Gambardella mette Seppure il mediterraneo di Rudy Ricciotti non è quello di Le
in dialogo muri bianchi e ceramiche blu cobalto per creare Corbusier, egli dimostra che il modernismo mediterraneo
un’isola architettonica felice in mezzo ad edilizia di basso continua ad fornire ricci stimoli per l’architettura contemporanea.
calibro. Così facendo Gambardella ci mostra come l’ingenuità
e la “orgoglio della modestia” descritta da Giuseppe Pagano
possa ancora servire gli architetti che aspirano ad estendere
in chiave contemporanea la poetica del luoghi mediterranei41.
1
Josep Lluís Sert, “Raices Mediterraneas de la architectura moderna”
AC18 (1953), pp 31-33. Ripubblicato in Antonio Pizza (a cura di) , J. LL
Nella Spagna del dopoguerra la intensa relazione tra archi-
Sert and Mediterranean Culture, Barcellona, Colegio de Arquitectos de
tettura moderna e il popolare ha continuato nelle opera di Cataluña, 1997, pp. 217-219. Sul Mediterraneo di Sert si veda anche
Miguel Fisac, Rafael Aburto e Francisco Cabrero, ma anche Jan Birksted, Modernism and the Mediterranean: the Maeght Foundation,
nella plasticità organica di Fernando Higueras. Con la morte di Burlington, VT, Ashgate, 2004.
Franco e l’arrivo della democrazia, Rafael Moneo, José Ignacio
2
Erich Mendelsohn, “The Mediterranean Basin and the New Archi-
tecture,” Architettura, Dicembre 1932, pp.647-648.
Linasazoro, Oriol Bohigas, e tanti altri come Nieto-Sobejano 3
Fernand Braudel, The Mediterranean and the Mediterranean World in
(per esempio il Museo de Medina Azahara fuori Cordoba) the Age of Philip II, Londra, Collins, 1972-1973.
hanno diversificato la loro interpretazione del vernacolare e 4
Hermann Muthesius, Style-Architecture and Building-Art: Transforma-
del mediterraneo. Ma è forse nel Portogallo che si dimostra tions of Architecture in the Nineteenth Century and its Present Condition,
Santa Monica, California, The Getty Center for the History of Art and
la continuità, con le successive opera di Siza, Távora, Cruz &
the Humanities, 1994.
Ortiz, e di una nuova generazione di giovani come i fratelli Aires 5
Hermann Muthesius, The English House, Dennis Sharp (ed.), New York,
Mateus e il gruppo e348. Rizzoli, 1987. Inizialmente pubblicato in tre volumi come Hermann
Il caso di Rudy Ricciotti—un architetto franco-algerino d’ori- Muthesius, Das englische Haus: Entwicklung, Bedingungen, Anlage,
gine italiana che ha sempre vindicato il suo status di architetto Aufbau, Einrichtung und Innenraum, Berlin, E. Wasmuth, 1904-05.
6
Hermann Muthesius, The English House, pp. 15-16.
mediterraneo—il suo studio si trova a Bandol nella vicinanza 7
Walter Gropius, “Programme of the Staatliches Bauhaus in Weimar,”
di Marsiglia—ci permette di aprire una possibile direzione per in Ulrich Conrads, ed., Programs and Manifestoes on 20th-Century Archi-
una nuova architettura mediterranea nel Ventunesimo secolo. tecture, MIT, Cambridge, MA, 2002, pp. 49-53.
Il MuCEM (Musée des Civilisations de l’Europe et de la Méditer-
8
Nikolaus Pevsner, Pioneers of the Modern Movement from William Morris
to Walter Gropius, Londra, Faber & Faber, 1936.
ranée), aperto in Marsiglia in 2014, non sembra avere molto a 9
Maiken Umbach e Bernd Hüppauf (a cura di), Vernacular Modernism:
che fare con questo libro. Struttura, materiali, e spazi sono in Heimat, Globalization and the Built Environment, Stanford, Stanford
apparente contradizione con la visione tipologica e tectonica University Press, 2005, pp. 1-23.
che abbiamo segui to lungo i capitoli. Visto dell’esterno, sembra 10
Guido Beltramini (a cura di), Palladio nel Nord Europa: Libri, Viaggiatori,
essere fatto di muri tradizionali e la sua relazione con i muri di Architetti, Milan, Skira, 1999; Fabio Mangone, Viaggi a sud: gli architetti
nordici e l’Italia, 1850-1925, Napoli, Electa Napoli, 2002.
pietra del Fort Saint-Jean, al cui sta connesso attraverso una 11
Sigfried Giedion, Space, Time e Architecture – The Growth of a New
passarella, è molto convincente. Pero, è negli interni che una Tradition, Cambridge, Harvard University Press, 1941, p. 693.
“altra mediterraneità” si svela con una luce filtrata della pelle 12
Panayotis Tournikiotis, The Historiography of Modern Architecture,
di concreto—una luce filtrata, fatta di riflessi, di trasparenze Cambridge, The MIT Press, 1999; Maria Luisa Scalvini e Maria Grazia
Seri, L’immagine storiografica dell’architettura contemporanea da Platz
complesse, di effetti multipli che, non per caso, se ritrovano
a Giedion, Roma, Officina, 1984.
dietro le persiane e musharabie utilizzate in tutto il Mediter- 13
Maiken Umbach e Bernd Hüppauf, pp. 1-23.
raneo. Il brise-soleil di Le Corbusier fu il risultato dalla scoperta 14
Jean-Louis Cohen, André Lurçat: 1894-1970: Autocritica di uno maestro
di questo altro aspetto del vernacolare mediterraneo. Al di là moderno, Milano Electa, 1998, pp. 110-20.
delle volumetrie tettoniche delle bianche case cubiche delle
15
Gio Ponti, “Esempi da fuori per le case da Riviera – una interessante
costruzione mediterranea a Calvi in Corsica” in Domus, Novembre 1932,
isole greche, si trattava della tradizione degli schermi, delle pp. 654-655.

48 49
16
L’architetto ungherese Marcel Breuer ha utilizzato muri di pietra Wasiutynski and Anne Dymond, Modern Art and the Idea of the Mediter-

INTRODUZIONE | Jean-François Lejeune e Michelangelo Sabatino


come suo marchio in numerose progettazioni residenziali post-bel- ranean, Toronto, Buffalo, The University of Toronto Press, 2007; Jan
liche in America: Chamberlain Cottage (Wayle, 1940); Robinson House K. Birksted, Modernism and the Mediterranean: The Maeght Foundation,
(Williamstown, 1946); Wolfson House (New York, 1950); Hanson House Aldershot, Burlington, Ashgate, 2004. Nel 2014, Jean-Paul Bonillo ha
(Lloyd Harbor, 1950); Cesare Cottage (Lakeville, 1951); Neumann House curato la mostra e il catalogo (Centre d’Art de Toulon), sotto il titolo
(Croton-on-Hudson, 1953). David Masello, Architecture without Rules: Domus Mare Nostrum: Habiter le mythe méditerranéen.
the Houses of Marcel Breuer and Herbert Beckhard, New York, W. W. 30
Si vedano tra molti contributi: Gianluigi Freda, La collina della prima-
Norton, 1993. vera: l’architettura moderna di Tel Aviv, Milano, Franco Angeli, 2011;
17
Bruno Reichlin, ““Cette belle pierre de Provence” La Villa De Merot, Olivier Cinqualbre & Lionel Richard, Munio Weinraub Gitai: Szumlany,
”in Le Corbusier et la Méditerranée, Marseilles: Parenthèses, 1987, pp. Dessau, Haïfa: parcours d’un architecte moderne, Paris, Centre Pompidou,
131-136. Su Le Corbusier e il vernacolare si veda anche Gerard Monnier, 2001; Sharon Rotbard, White City, Black City: Architecture and War in Tel
“L’architecture vernaculaire, Le Corbusier et les autres,”in La Médit- Aviv and Jaffa, Cambridge, MA: MIT Press, 2015; Neil I. Payton, Patrick
erranée de Le Corbusier, Aix-en-Provence, Publications de l’Université Geddes (1854-1932) & the Plan of Tel Aviv: Modern Architecture and Tradi-
de Provence, 1991, pp. 139-155. tional Urbanism, in Jean-François Lejeune (a cura di), The New City:
18
Josep Lluís Sert, “Arquitectura sense ‘estil’ i sense ‘arquitecte, ’”D’Ací Modern Cities, vol 3, New York, Princeton Architectural Press, 1994,
i d’Allà 179, Dicembre 1934. pp. 4-25; Alona Nitzan-Shiftan, “Contested Zionism – Alternative Moder-
19
Citato in Mary McLeod, “Le Corbusier e Algiers, in Oppositions 19-20, nism: Erich Mendelsohn and the Tel Aviv Chug in Mandate Palestine,”
Winter/Spring 1980, pp. 55-85; idem, “Le Corbusier - L’appel de la Médit- in Architectural History, Vol. 39, (1996), pp. 147-180.
erranée,” in Jacques Lucan (a cura di), Le Corbusier: une Encyclopédie, 31
Paolo Carlotti, Dina Nencini e Pisana Posocco (a cura di), Mediterranei
Parigi, Éditions du Centre Pompidou/CCI, 1987, pp. 26-31. Traduzioni della modernità, Milano, Franco Angeli, 2015.
20
Sul funzionalismo si veda Adrian Forty, Words and Buildings – A Voca- 32
Jørn Utzon & Richard Weston, Additive architecture, Mogens Prip-
bulary of Modern Architecture, London, Thames & Hudson, 2000, pp. Buss, Edition Blondal, 2009, p. 08.
174-195. 33
Si veda Jean-François Lejeune, “Al di là del Mediterraneo: Le Corbu-
21
Wolfgang Voigt, Atlantropa – Weltbauen am Mittelmeer: ein Architekten- sier, Costa, Niemeyer e il “vernacolare moderno” in Brasile”, in Paolo
traum der Moderne, Hamburg, Dölling und Galitz, 1998. Carlotti, Dina Nencini e Pisana Posocco (a cura di) Mediterranei Tradu-
22
Luigi Figini, “Architettura naturale a Ibiza,” Comunità 8, Maggio- zioni della modernità, pp. 46-69.
Giugno 1950, pp. 40-43. 34
Joaquín Torres García, “Lección 30: La escuela del Sur” 1935, Univer-
23
Eric Mumford, Defining Urban Design – CIAM Architects and the Forma- salismo Constructivo, Buenos Aires, Poseidón, 1944.
tion of a Discipline, 1937-69, New Haven, CT, London, Yale University 35
Franco Cassano, “Prologo,” Il pensiero meridiano, Roma-Bari, Laterza,
Press, 2009; Eric Mumford, The CIAM Discourse on Urbanism, 1928-1960, 1996, p. liii.
Cambridge, MA, The MIT Press, 2000. 36
Vincent Scully, “Introduction,” Jan Hochstim, The Paintings and
24
Alberto Sartoris, Encyclopédie de l’Architecture Nouvelle. Ordre et climat Sketches of Louis I. Kahn, New York, Rizzoli, 1991, pp. 15-17; Vincent
méditerranéens, vol. 1, Milano, Ulrico Hoepli, 1948) (Vol. 2. Ordre et climat Scully, “Marvelous fountainheads: Louis I. Kahn: Travel Drawings” Lotus
nordiques, 1957; Vol. 3. Ordre et climat américains, 1954). international 68, 1991, pp. 48-63.
25
M. Christine Boyer, “An Encounter with History: the Postwar Debate 37
Vincent Scully, “Introduction,” Robert Venturi, Complexity and Contra-
between the English Journals of Architectural Review and Architectural diction in Architecture, New York, The Museum of Modern Art, 1966,
Design (1945-1960),” pp. 136-163. pp. 11-12.
http://www.team10online.org/research/papers/delft2/boyer.pdf/ 38
Ibid.
26
Kenneth Frampton (a cura di), World Architecture 1900-2000: A Critical 39
Peter Eisenman, “The Houses of Memory: The Texts of Analogy,”
Mosaic , Vienna-New York, Springer, 1999-2000), e in particolare, prefazione all’edizione inglese di Aldo Rossi, The Architecture of the
Vittorio Magnago Lampugnani (a cura di), Mediterranean Basin, vol. 4. City, Cambridge, MA, The MIT Press, 1982, p. 4.
27
Thomas Da Costa Kaufmann, Toward a Geography of Art, Chica- 40
Rafael Moneo, Theoretical Anxiety and Design Strategies in the Work of
go-Londra, The University of Chicago Press, 2004, e Eeva-Liisa Eight Contemporary Architects, Cambridge, MA, The MIT Press, 2004,
Pelkonen, Alvar Aalto: Architecture, Modernity, and Geopolitics, New pp. 102-143; Aldo Rossi, Architetture padane, Modena, Edizioni Panini,
Haven, CT, London, Yale University Press, 2009. 1984, pp. 11-14.
28
Sulla nozione di Fernand Braudel delle “molte voci” si veda anche 41
Si veda Michelangelo Sabatino, Orgoglio della modestia: Architet-
Iain Chambers, Mediterranean Crossings – The Politics of an Interrupted tura moderna italiana e tradizione vernacolare, Milano, Edizioni Franco
Modernity, Durham-Londra, Duke University Press, 2008, pp. 1-22. Angeli, 2013.
29
Jean-Louis Cohen e Monique Eleb, Casablanca: Colonial Myths and 42
Le Corbusier & Pierre Jeanneret, Oeuvre complète, 1929-1934, Zürich,
Architectural Ventures, New York, Monacelli Press, 2002; Benedetto Les éditions d’architecture, 1964, p. 167. For more on this final section,
Gravagnuolo, Le Corbusier e l’antico: Viaggi nel mediterraneo, Napoli, see Jean-François Lejeune, ““Al di là del Mediterraneo: Le Corbusier,
Electa Napoli, 1997; Vittorio Magnago Lampugnani, Die Architektur, Costa, Niemeyer e il “vernacolare moderno” in Brasile”, op. cit.
die Tradition und der Ort – Regionalismen in der europäischen Stadt,
Stuttgart, München, Deutsche Verlags-Anstalt, 2000; Vojtech Jirat

50 51
26

25

0.2.25. Joaquín Torres García. “La escuela del Sur”, Montevideo, 1935, Fundación Torres García
0.2.26/27. Curzio Malaparte ed Adalberto Libera. Villa Malaparte, 1937-42. Terrazza e scala exterior con
l’allestimento Fixierte Orte [Siti fissi] di Petra Liebl-Osborne, 1994-1999. © Petra Liebl-Osborne, München-Miami.
0.2.28. Joseph Beuys. “Capri-Batterie,” 1985. © Bild-Kunst, Bonn – Sammlung Schlegel, Berlin. Photo Heiner
Bastian.
0.2.29. Louis Kahn. Vista della città, nº 2, Positano, 1929. © Sue Ann Kahn.
0.2.30. Giorgio Grassi. Vista prospettica del progetto di residenze studentesche, Chieti, 1976-78. © Giorgio
Grassi Architetti.
0.2.31. Aldo Rossi. Fine d’estate, 1980. Foto: Jean-Claude Planchet. © Musée National d’Art Moderne, Centre Georges
Pompidou. CNAC/MNAM/Dist. Réunion des Musées Nationaux/Art Resource, New York.
SUD
Da Schinkel a Le Corbusier
Il mito mediterraneo nell’architettura contemporanea
Benedetto Gravagnuolo
01
Quando diciamo “Mediterraneo” dobbiamo intendere soprattutto lo stupore solare che
genera il mito panico e le immobilità metafisiche”1.

Con queste parole pregne di suggestioni esoteriche Massimo Bontempelli tenta una defini-
zione acrobatica del “mito mediterraneo”: un mito inventato nella piena consapevolezza della
sua improbabilità e che, tuttavia, esercitò una notevole forza magnetica sul dibattito artistico,
letterario e architettonico in Italia e in Francia nei primi decenni del Novecento. Lo attesta una
serie di testimonianze autobiografiche dei protagonisti di quell’esperienza, oltre alle pitture, alle
sculture, alle poesie, alle musiche e alle architetture imbevute di tale suggestione simbolica2.
Carlo Belli ha scritto a tal proposito:
Il tema della mediterraneità e grecità fu la nostra stella orientatrice. Scoprimmo presto
che un bagno nel Mediterraneo ci avrebbe restituito valori sommersi da sovrapposizioni
gotiche e da fantasie accademiche. Esiste uno scambio nutritissimo di lettere tra me, Pollini,
Figini e Terragni su questo argomento. Esistono i miei articoli su vari giornali, in polemica
specialmente con Piacentini, Calza Bini, Mariani e altri invasati di romanità littoria.... Stu-
diammo le case di Capri: come’ erano costruite, perché erano fatte a quel modo. Scoprimmo
la loro tradizionale autenticità, e capimmo che la perfetta realtà coincideva con l’optimum
dei valori estetici. Scoprimmo che soltanto nell’ambito della geometria si poteva attuare il
perfetto gemütlich dell’abitare.... Più tardi questo nostro innamoramento-rivelazione per
il Sud, venne a coincidere con le “posizioni” dei nostri amici di Prélude e ancora più tardi
con quelli di Plans3.
È indubbio insomma che la “mediterraneità”, da non confondere con la “romanità”, alla quale
fu spesso polemicamente contrapposta, rappresentò un’esplicita fonte di ispirazione cui attin-
se una ristretta cerchia di iniziati, italiani e francesi, in stretto contatto tra loro. Ma prima di
addentrarsi in una valutazione nel merito di questa ideologia, analizzando le alchimie verbali
e visive delle “muse inquietanti”, è forse non inutile porsi preventivamente alcuni interrogativi
essenziali 4. Innanzitutto: esiste una “cultura mediterranea dell’abitare”? E, se esiste, in che
misura essa è riconoscibile in sede storica? Ed infine: è possibile riproporla in termini proget-
tuali? Non è facile rispondere a queste domande, ma si può provare riducendo il discorso alla
sua essenza schematica.
E innegabile che il mare nostrum abbia rappresentato per secoli un bacino privilegiato di scambi
commerciali e di conflitti bellici, e dunque anche di trasmissione di cultura. Sulle sue sponde
fiorirono antichissime civiltà storiche (egiziana, cretese-micenea, fenicia, greca...) e sulle sue
acque furono fondati i primi imperi (cartaginese, romano, bizantino, islamico...). Molte affinità di
clima, di tradizioni, di toponimi e perfino di tratti etnici sono riscontrabili lungo le fasce costiere
dei paesi che affacciano sul Mediterraneo. E tra le varie manifestazioni antropologiche quella che
maggiormente registra e conserva i segni di una civiltà sovranazionale è l’architettura. Si badi
però: non l’architettura “colta”, bensì quella “anonima”, espressione di tecniche costruttive ripe-
titive e corali, collaudate da una cultura collettiva dell’abitare sedimentatasi nel corso dei secoli.
Ma una volta riconosciuta—con Fernand Braudel—la legittimità dell’assunzione della “civiltà
del Mediterraneo” come oggetto di analisi storica, resta da chiedersi se e fino a che punto tale
civiltà mostri tratti unitari5. Diviene allora altrettanto chiaro che—nonostante la presenza di
un bacino di scambi comune e nonostante la permanenza di tecniche e di forme legate a une
1.1. Gio Ponti. “Una piccola casa ideale”, 1939. Da Domus 138, 1939.
61
longue durée—i villaggi e le costruzioni delle coste mediterranee si sono sviluppati in relazione stretti rapporti con Giovanni Battista Piranesi le cui incisioni dei bianchi ruderi sopravvissuti

DA SCHINKEL A LE CORBUSIER. IL MITO MEDITERRANEO NELL’ARCHITETTURA CONTEMPORANEA | Benedetto Gravagnuolo


alle diverse specificità locali, subendo peraltro nel tempo non sottovalutabili trasformazioni. al naufragio del mondo classico furono largamente note negli ambienti intellettuali parigini14.
Lo stesso Braudel ha chiesto: Non va dimenticato del resto che nella formazione di quel movimento del gusto per così dire
Che cos’è il Mediterraneo? Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. “rivoluzionario”—codificato in seguito nel revisionistico “stile impero”—giocarono un ruolo
Non un mare, ma una successione di mari. Non una civiltà ma successive civiltà accatastate non secondario le trentaquattro tavole dedicate alla minuziosa rappresentazione degli oggetti
una sopra l’altra. Viaggiare nel Mediterraneo, è quello di trovare il mondo romano in Libano, d’uso quotidiano di Pompei e di Ercolano disegnate da Piranesi, oltre al volume delle Antiquités
la preistoria in Sardegna, le città greche in Sicilia, la presenza araba in Spagna, l’Islam d’Ercolanum (1780), riccamente illustrato da riproduzioni grafiche delle antiche suppellettili
turco in Iugoslavia. È scavare più a fondo dei secoli, alle strutture megalitiche di Malta o alle ad opera di David15.
piramidi d’Egitto. Incontrare cose molto vecchie, ancora in vita, insieme all’ultramoderno:
vicino a Venezia, falsamente immobile, la pesante città industriale di Mestre; accanto alla
barca del pescatore, che è ancora quella di Ulisse, il fondale peschereccio devastante o
le superpetroliere enorme. È anche immergersi nei mondi insulari arcaici e ammirare
l’estrema giovinezza di molte vecchie città, aperte a tutti i venti della cultura e del profitto,
e che, per secoli, monitorano e mangiano il mare6.
Questa pluralità di culture, di linguaggi, di etnie—intrecciata in grovigli strettissimi e comples-
si—può essere dunque districata in sede storica. Però, in campo progettuale, la “mediterranei-
tà” è riproponibile—o almeno, è sempre stata riproposta—solo mediante una trasfigurazione
mitopoietica e una consapevole falsificazione. Ed è proprio Bontempelli che lo ha chiarito nel
suo machiavellico misticismo:
Bisogna inventare: gli antichi Greci hanno inventato bei miti e favole delle quali l’umanità si
è servita per alcuni secoli. Poi il Cristianesimo ha inventato altri miti. Oggi siamo alle soglie
di una terza epoca dell’umanità civile. E dobbiamo imparare l’arte di inventare i nuovi miti
e le nuove favole”7.
L’inganno che il mito “mediterraneo” propina è la rappresentazione soprastorica del passato
come presente, insinuando l’elegante supposizione dell’eterno, al di là del ciclico mutare delle
stagioni, del perenne alternarsi del giorno e della notte e delle infinite forme attraverso cui il
tempo si mostra, quasi che l’arte di ogni epoca si fosse misurata con un unico tema: il deside-
rio di armonia. Ed è appunto come mito, come fantasma di un costruire semplice e armonioso,
come simulacro dell’assenza di decoro e dei puri volumi euclidei, come forma simbolica dei
canoni aritmetici della “divina proporzione”, come ombra della bellezza apollinea e come eco
delle sirene trasmesso dalle onde del mare che la “mediterraneità” va valutata, al di là della
sua obiettiva verificabilità.
Nella cultura europea questo mito ha esercitato una straordinaria forza evocativa su alcune
teorie dell’architettura “razionale”, a partire almeno dalla riscoperta settecentesca del goût
grec8 . Si racconta che sia stato il ritrovamento di una statua d’Ercole da parte del principe
austriaco d’Elboeuf—nell’anno 1711 ad Ercolano—a dare il la alla rivalutazione entusiastica
della “nobile semplicità e calma grandezza” dell’antica civiltà classica del mediterraneo”9.
Sappiamo inoltre che una delle più appassionate pagine scritte da Winckelmann sulla sublime
e sensuale bellezza dell’arte antica sia stata provocata da uno scherzo di Anton Raphael Mengs,
che spacciò una falsa rappresentazione di Giove e Ganimede per un originale ercolanense10.
Ma, al di là dei tanti aneddoti, resta certo che, a partire dai primi anni del Settecento, la parte
migliore d’Europa volse il suo sguardo storico verso il sud.
Il viaggio in Italia divenne una tappa obbligata nella formazione culturale dei giovani francesi,
inglesi e tedeschi. Montesquieu giunse fino a Napoli nel 172911. Vent’anni dopo verrà de Van-
dières, che detterà le regole del Grand Tour, con al seguito l’architetto Soufflot, futuro autore
del Pantheon di Parigi, e il disegnatore Cochin12. Poi l’abate di Saint-Non—che imprimerà nei
grafici la sua trasfigurazione romantica di un Voyage pittoresque—e tanti altri ancora, tra i quali il
“sublime marchese” de Sade13. Intorno all’ Accademia di Francia, a Roma, si formò inoltre un vero 1.2. Franz Ludwig Catel. Karl Friedrich Schinkel a Napoli, 1824. Source: Nationalgalerie, Staatliche Museen
zu Berlin, Berlin. © Bildarchiv Preussischer Kulturbesitz / Art Resource, New York. Inv. Ng 1968 47/48.
e proprio cenacolo d’artisti (Louis-Joseph Le Lorrain, Joseph-Marie Vien, ed altri) che strinse
Photo: Joerg P. Anders.

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1.3. Karl Friedrich Schinkel. Casa di contadini a Capri, 1804. © Bildarchiv Preußischer Kulturbesitz/Art
Resource, Inv. SM 5.31. Foto J.P. Anders.
piano rinascimentale, le pareti d’intonaco bianco e la volumetria tendenzialmente cubica21. An-

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cor più emblematici della fascinazione subita dalla semplicità dell’edilizia rurale minore sono
i disegni delle case contadine della campagna romana o dell’isola di Capri, nei quali traspare
una minuziosa attenzione per i dettagli costruttivi, per il rapporto col paesaggio, oltre che per
il gioco compositivo dei puri volumi euclidei22. Dunque è a Schinkel che a rigore va fatta risalire
la prima rivalutazione europea della più antica, autentica ed elementare cultura mediterranea
del costruire, distinta per molti aspetti da quella più aulica e monumentale di Roma. È bene
precisare, tuttavia, che il rapporto instaurato da Schinkel è volutamente idealizzato, fantastico,
mitopoietico, impregnato di quella cultura romantica che aveva avvolto nel proprio manto la
scrittura di Goethe, di Schiller e di Hölderlin, oltre che i paesaggi senza tempo di Caspar David
Friedrich. Nei suoi progetti coesistono ecletticamente il mondo classico e quello gotico, le
muse solari dell’Olimpo mediterraneo e le fate lunari della foresta dei Nibelunghi, la ragione di
Eupalinos e l’anima di Faust. È un’architettura evocativa, complessa, polifonica, costantemente
tesa verso il Sublime, come la musica di Richard Wagner.
Al contrario, gli studi di Gottfried Semper sono contrassegnati da un distacco analitico e da una
rigorosa e severa selettività storica. Per la sua generazione l’antichità greco-romana non era
più un oggetto di estasi, ma di ricerche filologiche e scientificamente fondate. Semper esplora

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1.4. Karl Friedrich Schinkel. Pergolato nel giardino del Schloß Charlottenhof, Potsdam, 1826-29. Foto
Jean-François Lejeune.
1.5. Karl Friedrich Schinkel. Padiglione nel parco di Charlottenburg a Berlin, 1824. Foto Jean-François Lejeune.

La stessa infatuazione mistica per l’antica cultura del sud fu decisiva nella formazione degli
architetti neoclassici inglesi: i fratelli Adam, dei quali Robert venne in Italia nel 1764, e George
Dance il Giovane che vi giunse dieci anni dopo16. Ma è soprattutto nell’intérieur delle dimore
private che riusciamo ad ascoltare l’eco di una lontana nostalgia, simile a un canto racchiuso
nel guscio delle conchiglie. Si pensi alla casa di John Soane, prova esemplare dell’importazione
nel nord dell’Europa di moduli tipologici, compositivi e decorativi della domus latina, con la luce
solare che piove dall’alto in un vestibolo memore dell’antico impluvium, gli affreschi pompeiani
della sala da pranzo e la grande galleria a tre piani affollata di eroi, Dei e ogni sorta di reperti
marmorei delle magnifiche rovine17. Come non ricordare poi il salotto napoletano di Sir William
Hamilton dove lady Emma si esibiva in seducenti tableaux vivants ispirati ai dipinti ercolanensi
alla presenza di ospiti illustri provenienti da ogni parte d’Europa? Tra i tanti, vi capitò anche
Wolfgang Goethe, che con le sue entusiastiche descrizioni grafiche e verbali del viaggio in Italia
esportò in Germania il culto dell’apollinea serenità della cultura mediterranea. In una lettera
da Roma all’amico Humboldt, Goethe giunse a confessare che il desiderio di contemplare la
solare quiete visiva del paesaggio italiano era diventato per lui una “malattia dalla quale potevo
guarire soltanto con l’ammirazione”18. È lo stesso male “inguaribile” che costringerà i pittori
Koch e Carstens a non abbandonare più Roma e che indurrà molti giovani architetti tedeschi
ad eleggere l’Italia a terra promessa dell’Arte19.
E per Karl Friedrich Schinkel, che compì il suo Grand Tour nel 1803-4, all’età di ventidue anni,
così come per Gottfried Semper, che vi giunse trent’anni dopo, il viaggio in Italia fu soprattutto
un viaggio nel Classico20. Però, Schinkel non si limitò a disegnare, rivelare e reinventare i
ruderi della magnificenza romana: il suo sguardo si soffermò anche sull’edilizia meridionale
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anonima a lui contemporanea, indagandone la logica e i sistemi costruttivi. Così, quando nel
1828 riceverà da Friedrich Wilhelm III l’incarico di progettare una radicale ristrutturazione del
1.6. Josef Hoffmann. Pompei, 1896. © Archiv Josef Hoffmann, MAK, Vienna.
padiglione nel parco di Charlottenburg, opererà un vero e proprio “trapianto” di una tipologia
1.7. Josef Hoffmann. Casa a Capri, schizzo pubblicato in Der Architekt, 1898. Casa a Pozzuoli e schizzo per
architettonica napoletana, importando nel freddo clima tedesco i balconi e persiane, il tetto
una casa. Da Eduard Sekler, Josef Hoffmann: the Architectural Work, Princeton, 1985. © MAK, Vienna.

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gli scavi di Pompei e le vallate siciliane per trovare conferma alla sua tesi sull’importanza del

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rivestimento policromo nelle dimore e nei templi della Magna Grecia (policromia idealmente
cancellata dal classicismo romantico nella contemplazione dell’estetica delle bianche rovine
nei paesaggi arcadici). Questa polemica troverà una sistemazione teorica nel saggio Vorläu-
fige Bemerkungen über bemalte Architektur und Plastik bei den Alten (Osservazioni preliminari
sull’architettura dipinta e sulla plastica presso gli antichi), pubblicato in Altona nel 1834, e poi nel
suo testo fondamentale Der Stil in den technischen und tektonischen Künsten (Lo stile nelle arti
tecniche e tettoniche, 1860-63)23. In questo volume Semper sviluppa una “teoria per l’invenzione
architettonica” muovendo da una prospettiva logico-filosofica di stampo positivista. I principi
base sono l’indagine sull’evoluzione delle tipologie architettoniche (Typenlehre), oltre che dei
bisogni e delle ragioni d’uso che determinano tale evoluzione. Di qui la centralità del problema
della “tecnica”, della “competenza», ovvero del “saper-potere” (Können)24.
Sulle loro orme ritornerà nel 1896 Joseph Hoffmann, seguendo un itinerario analogo a quello
compiuto due anni prima dal suo amico-maestro Joseph Maria Olbrich, senza tuttavia spingersi
fino alle coste mediterranee del Nord-Africa25. Il bellissimo disegno acquerellato del Foro di
Pompei, realizzato da Hoffmann trasfigurando le due colonne che inquadrano la scena in puri
cilindri bianchi su basi rosse che si stagliano sull’azzurro del cielo, testimonia l’ascolto di questo
invito ad immergersi in un viaggio emozionale nell’Antico. Tuttavia, più dell’archeologia ed ancor
più degli stessi monumenti classici sarà soprattutto l’anonima architettura mediterranea delle
isole e delle coste campane ad attrarre l’attenzione del giovane architetto viennese. Tant’è che
Hoffmann non si limita ad un’attenta analisi del gioco compositivo dei puri volumi, fissata in circa
duecento disegni, ma pubblica al suo ritorno, nelle pagine di Der Architekt, un significativo scritto
sull’architettura dell’isola di Capri26. Tra i tanti disegni ve n’è uno particolarmente sintomatico 1.8. Adolf Loos. Prospetti e sezione. Progetto per la villa di Alexander Moissi, Lido di Venezia, 1923. ©
del transfert che conduce dalla percezione al progetto: si tratta di uno schizzo di una casa a Albertina, Architektur Sammlung, Vienna, ALA 207.
gradoni di Pozzuoli che reca nell’angolo, in basso a sinistra, l’abbozzo di una villa d’invenzione.
Non è da escludere dunque che sia stato proprio questo “bagno nel Mediterraneo” a decantare In Italia verrà di nuovo nel 1910, sostando in aprile anche a Napoli, di ritorno dall’isola greca di
il linguaggio hoffmanniano, avviando quel processo di semplificazione che raggiungerà il suo Skyros dove aveva soggiornato per scegliere con attenzione il blocco lapideo per il rivestimento
apice nella pura stereometria del Sanatorio Purkersdorf a Vienna (1903-1908). Convenzional- della sua Loos-Haus sulla Michaelerplatz. Da allora i suoi viaggi italiani diventeranno sempre
mente letta come anticipazione del Razionalismo, quest’opera rivela altresì tratti riconducibili più frequenti, fino all’ultimo, compiuto nel 1930, ospite dell’amico-allievo Giuseppe De Finetti31.
all’elaborazione grafica del viaggio in Italia. Un’indiretta conferma sul ruolo decisivo giocato Al di là dei dati biografici, il lascito di queste esperienze è documentato dalle opere progettate
dall’Italienische Reise nella formazione di Hoffmann viene dal breve ma denso articolo che Adolf per i lidi mediterranei, quali la villa Verdier a Le Lavandou presso Toulon (1923), il nucleo di
Loos dedica al suo coetaneo sulle pagine di Dekorative Kunst nel 1898: “Venti ville a terrazzi” in Costa Azzurra (1923), la villa Moissi a Lido di Venezia (1923) e la villa
Mi riesce difficile scrivere di Josef Hoffmann. Io sono in netto contrasto con quella tenden- Fleischner ad Haifa in Israele (1931). Tra queste, l’opera più rappresentativa della dialettica
za che è rappresentata, non soltanto a Vienna, dai giovani artisti. Per me la tradizione è tradizione-innovazione, che contraddistingue l’intera parabola dell’architettura di Loos, resta
tutto; l’opera libera di fantasia, secondo me, viene soltanto in seconda linea. Ma in questo il progetto irrealizzato della dimora veneziana dell’attore Alexander Moissi. Il modello lascia
caso abbiamo a che fare e con un artista che con l’ausilio della sua esuberante fantasia ha a prima vista trasparire una declinazione quasi “vernacolare” della cultura mediterranea del
riportato in vita le antiche tradizioni27. costruire, con il suo inequivocabile richiamo della scala aperta che conduce ad un terrazzo
Loos aveva già preso polemicamente le distanze dalla libera “fantasia” cara all’Art Nouveau, in coperto da un pergolato poggiato su semplici pilastri a base quadrata, intorno al quale ruotano,
due articoli significativamente pubblicati nel luglio 1898 in Ver Sacrum, l’organo della Secessione simile ad un antico impluvium, gli ambienti della casa. A ben vedere, i vuoti incisi nelle compatte
viennese 28. Tuttavia le poche affinità elettive (inconfessate ma inequivocabili) con Hoffmann pareti d’intonaco bianco seguono le linee sottese di un ricercato tracciato regolatore, fondato
sono riscontrabili proprio nella comune ammirazione per l’architettura semplice e anonima sul “rettangolo aureo”. La stessa alterità del disegno delle facciate non è casuale: è la natura
dei capomastri. Il che deriva, se non altro, dalla comune fonte del classicismo di Schinkel, del luogo che detta le regole del gioco. La luce e il mare sono gli elementi primari della compo-
riconosciuto in vari scritti da Loos come suo maestro d’elezione. sizione. Il terrazzo è dislocato nell’angolo sud-est, di fronte alle acque lagunari per accogliere
Loos compie il suo primo viaggio in Italia nel gennaio 1906, diretto a Massa Carrara alla ricerca il sorgere del sole. A sud, dove i raggi sono più caldi, le aperture hanno dimensioni minime,
del marmo per il suo Kärntner-Bar29. Il legame mentale con i territori della classicità, costante mentre si dilatano sui lati orientale ed occidentale per seguire il ciclo solare fino al tramonto.
dei suoi scritti, è reso particolarmente esplicito nel saggio-manifesto Architektur: Piccole aperture, poste in alto, sul lato nord, garantiscono la perfetta aerazione degli ambienti,
Dal momento in cui l’umanità ha capito la grandezza dell’antichità classica, un solo pen- che vengono così naturalmente climatizzati. Ma l’innovazione più affascinante è all’interno,
siero ha unito i grandi architetti tra di loro. Pensano: come mi piace costruire, gli Antichi dove la complessa articolazione del Raumplan viene ad essere illuminata dalla luce radente che
avrebbero costruito pure30. penetra da una feritoia obliqua posta alla base pavimentale del terrazzo-solarium.

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Nelle Scene di pesca l’artista si è significativamente specchiato in un autoritratto immerso in

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uno scenario marino, accanto ad Adolf von Hildebrand (chiamato a collaborare all’opera per
gli ornati architettonici) e allo stesso Dohrn. D’altronde, l’ingannevole canto delle sirene, che
promette un lieto ritorno domestico ad un passato senza crisi, sembra ancora risuonare nelle
stanze del vecchio monastero ai piedi del colle fiorentino di Bellosguardo, che Hildebrand scelse
a dimora per sé e la sua famiglia. Ce lo raccontano—ancora meglio del bassorilievo di Dyonisus
che chiude la quiete sequenza prospettica del porticato d’ingresso—le foto dei tableaux vivants
delle belle figlie dell’artista che posano per il padre sullo sfondo di un camino neoclassico,
coperte da pochi stracci bianchi e qualche foglia d’acanto 33.
Nel 1883 Max Klinger fu incaricato di decorare la villa Albers a Steglitz-Berlino. Lì, la sua am-
mirazione per gli impressionisti e l’opera di Arnold Böcklin è particolarmente evidente. Sulle
pareti della villa, Klinger ha realizzato il suo concetto di Raumkunst, derivato dall’arte murale
pompeiano e iconicamente ispirato delle scene mitologiche di Böcklin. Nel 1894 Böcklin stes-
so acquistò la villa Bellagio a San Domenico a Fiesole, dove svoltò decorazioni murali in stile
pompeiano. Allo stesso modo, quando si iscrisse, nel 1907, presso l’Akademie der Bildenden
Künste di Monaco di Baviera, il giovane De Chirico (che partì dalla Grecia un anno prima), rimase
affascinato dai racconti misteriosi delle stampe di Klinger, come ad esempio il ciclo guanto che
anticipa il Surrealismo nella sua combinazione di realtà e sogno, pur riflettendo gli inizi della
psicoanalisi contemporanea. I primi lavori di De Chirico, tuttavia, devono più ai dipinti mitologici
e simbolici di Böcklin.
Così i dipinti di Adolf von Hildebrand, Hans von Marées e Arnold Böcklin si allacciano, lungo il
filo sottile di una evocazione poetica, a quelli di poco successivi di Max Klinger, intrecciati in una
catena visiva che, con i suoi ultimi anelli—Giorgio De Chirico e Alberto Savinio—si ricongiunge
al nostro tempo.

1.9. Hans von Marées. Affresco sul lato est della biblioteca della Stazione Zoologica (Acquario), Napoli, Realismi magici
1873. Dalla sinistra, i tre personaggi sono Anton Dohrn, fondatore della Stazione, Adolf von Hildebrandt
Nella cultura italiana e francese degli anni Trenta—o meglio in una piccola parte di essa raffinata
(progettista della struttura architettonica degli affreschi), e il pittore Hans von Marées. © Archivio
Stazione Zoologica, Naples. Foto Ralph Goertz / IKS. ed elitaria—ritroviamo distillate e insieme miscelate le suggestioni del filone pittorico e quelle
del filone architettonico. All’”Arte Mediterranea” verrà dedicata una Rivista bimestrale d’arte,
La brezza mediterranea spira ancora dal disegno della villa Fleichner, uno dei suoi ultimi progetti. letteratura e musica, diretta da Jolanda e Mario Pelegatti (edita a Firenze negli anni 1933-36 e, in
Loos avrebbe voluto utilizzare per questa casa sulla costa israeliana le piastrelle maiolicate mo- una nuova veste, tra il 1939 e il 1943), nonché numerose pagine della rivista Colonna, diretta da
nocrome che aveva ammirato nella casa italiana di De Finetti. Il tema dei terrazzi pergolati domina Alberto Savinio (edita a Milano tra il 1933 e il 1934). Sull’”architettura mediterranea” Gio Ponti
la composizione, altra espressione del leitmotiv costante nella sua opera e avviato fin dalla sua scriverà un pamphlet pubblicato a Milano nel 194134. Mediterranee è inoltre il titolo esplicito di
prima costruzione realizzata: la villa Karma sul Lago di Lemano in Svizzera (1904-06), ispirata una raccolta di poesie di Umberto Saba, pubblicata nel 1947.
alla villa edificata da Schinkel per Wilhelm von Humboldt a Tegel (1820-24), nei pressi di Berlino. Del resto, i semi di questa fioritura mediterranea erano già stati lanciati nei primi anni venti dalla
Per Loos dunque, come per Schinkel, i pergolati e i volumi bianchi non hanno confini climatici e rivista Valori Plastici, che costruì un ponte fra la cultura francese e quella italiana di cui l’arte-
regionali, ma rappresentano piuttosto la “moderna” epifania dell’eterno presente del Classico. fice principale fu Gino Severini35. Grazie alla mediazione di questo straordinario ambasciatore
A questo punto vale la pena di rintracciare il filo di Arianna di una linea di elaborazione pittorica dell’arte italiana a Parigi, fin dal primo numero la rivista ospitò interventi di Jean Cocteau, Paul
di notevole importanza storica, alimentata dal cosiddetto “circolo estetico” di Firenze, formato Dermée, André Breton, Louis Aragon, oltre ai saggi di Clavel e di Carrà su Picasso. E il legame
da artisti e teorici d’arte tedeschi della statura di Hans von Marées, Adolf von Hildebrand, The- tra l’artista spagnolo e la cultura storica del mare nostrum non richiede più dimostrazioni dopo
odor Heyse e Conrad Fiedler 32. Il nesso teorico che li legava era una comune riflessione sulle la documentatissima mostra a Villa Medici su “Picasso et la Méditerranée”36. È noto peraltro
leggi immutabili dell’arte, al di là delle mutevoli manifestazioni epocali. Ed è per questo forse che la visita che Picasso compì, insieme a Sergej Djaghilev, a Napoli e a Pompei giocò un ruolo
che essi mostrarono un’ostentata estraneità ai movimenti delle prime avanguardie, tenendo non secondario nel ripensamento pittorico che lo condusse a un ritorno alla figuratività classica.
lo sguardo fisso su uno spazio storico immobile nel suo incessante movimento, come le onde A modo suo Gino Severini si fece interprete del nuovo corso con il pamphlet Du Cubisme au
del mare che Böcklin osservò per ore e ore seduto su di un parapetto di Castel dell’Ovo, senza Classicisme, pubblicato da Povlozky a Parigi nel 192137. Non è questa la sede per addentrarsi in
dipingere, ma solo per comprenderne le leggi e il senso. una ricognizione dei temi teorici agitativi di questo testo denso di pensieri, che attraversa con
Ancora una volta possiamo riconoscere negli interni il lascito di quel pensiero che si è sedi- voli pindarici il cielo azzurro dell’aspirazione all’armonia, sorvolando gli steccati convenzionali
mentato nelle epidermidi parietali. Si pensi agli affreschi dipinti da Hans von Marées nelle della cronologia, senza nascondere le fonti; anzi enumerandole con l’infantile entusiasmo per
sale della Stazione Zoologica di Napoli, fondata nel 1872 dal naturalista tedesco Anton Dohrn. la scoperta: da Platone a Leon Battista Alberti, Luca Pacioli, Leonardo da Vinci, Albrecht Dürer

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1.10. Giorgio de Chirico. L’enigma del giorno, 1914. © The Museum of Modern Art (MoMA), James Thrall
Soby Bequest / Licensed by SCALA / Art Resource, New York.
1.11. Giorgio De Chirico. Mythologie, 1934. Da Giorgio De Chirico and Jean Cocteau, Mythologie, Paris,
Editions des Quatre Chemins, collezione dell’autore.
1.12. Matila Ghyka. Intervalli pitagorici; Da Matila Ghyka, Le nombre d’or, rites et rythmes pythagoriciens
dans le développement de la civilisation occidentale, Paris, 1931.
1.13. Le Corbusier. Analisi della Villa Garches, 1927;
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fino a Ju!es-Henry Poincaré e Henri-Louis Bergson. Basterà ricordare che quelle riflessioni Regole, sulla magia del Numero. Vi è una sorta di determinazione storica in questo ritorno

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sulla “estetica del numero e del compasso” si tradussero in forma pittorica negli Affreschi con dell’”anima” all’euritmia della “danza” apollinea dopo l’ebrezza dell’orgia dionisiaca. E un
maschere del Castello di Montegufoni, dipinti in base a calcoli matematici dei rapporti armonici, musicista d’avanguardia come Erik Satie, amico di Picasso e di Djaghilev, scrive nel 1918 un
finendo col trasformare quelle semplici stanze in “camere sonore” (per dirla alla Savinio)38. È “drame symphonique pour 4 soprani et orchestre” dal titolo significativo Socrate e teso verso la
in ogni caso fuor di dubbio che il volumetto di Severini abbia esercitato un’influenza sull’intel- “totale rinuncia ad ogni connotazione soggettiva per un rigore formale assoluto e quasi ascetico”,
lettualità parigina del tempo e, in particolare, su Ozenfant e Le Corbusier. Come ha ricordato lo indicando il tracciato logico-poetico di “quell’oggettivismo intellettualistico che caratterizzerà,
stesso Severini, un primo incontro con i dioscuri del Purismo avvenne nel 1921 con la mediazione più tardi, il neoclassicismo di Stravinskij e dei musicisti che si muoveranno nella sua orbita”46.
del comune amico Paul Dermée: Anche dai pochi accenni fin qui fatti, non è difficile intuire la sostanziale “affinità elettiva” e la
Si parlò molto di rapporti di armonia, di geometria e di matematica applicata in genere alle reciproca osmosi tra le ricerche francesi e le coeve elaborazioni artistiche e letterarie italiane
arti, e, sentendo che avevo dato un libro su questa materia a Povlozky, se ne rammaricarono della cerchia di intellettuali raccolti intorno alle riviste Valori Plastici, La Raccolta, La Ronda
molto e avrebbero voluto che lo riprendessi per pubblicarlo nello L’Esprit Nouveau, ma io ed altri fogli minori. Il viaggio interiore alla ricerca della dimensione poetica chimicamente
rifiutai in modo assoluto 39. “pura” conduce quasi naturalmente sulle sponde del mito dell’antica Ellade, eletta a simbolo
I rapporti di reciproca stima—che diedero luogo ad una collaborazione dell’artista toscano alle dell’infanzia dell’Occidente.
pagine de L’Esprit Nouveau—degenerarono in seguito in una aperta polemica. Le Corbusier e “Tutta la Grecia è a forma di conchiglia”, osserva Alberto Savinio. “Come un antico teatro con le
Ozenfant accusarono Severini di cedimento ad un “dannoso spirito mistico” e di eccessiva fede spalle a occidente e la bocca d’immissione della scena a oriente” la Grecia sembra raccogliere
“nell’ estasi delle virtù della sezione aurea”40. Sta di fatto però che, a partire da allora, quella la brezza marina e trasmetterne l’eco 47. “Noi crediamo all’ordine della Grecia”, scrive a sua
stessa rivista dedicò molta attenzione ai temi dei “tracciati regolari” e dei canoni aritmetici volta Fausto Melotti48. E Massimo Bontempelli indica la musica come il linguaggio più idoneo a
dell’armonia—sia in pittura che in architettura—gettando le basi della successiva teorizza- raggiungere l’assoluta armonia dell’apollineo, ricordando un passo in cui Nietzsche esalta la
zione del Modulor. Altrettanto evidente è l’anticipazione delle tematiche in seguito agitate da solare e “mediterranea” musica di Bizet contrapponendola al “disfatto e corruttivo” dramma
Matila C. Ghyka in Esthétique des Proportions dans la nature et dans les Arts nel 1927 e poi nel wagneriano 49. De Chirico scrisse in Valori plastici:
più fortunato volume Le nombre d’or, introdotto dalla lettera di prefazione di Paul Valéry41. Un Nella costruzione della città, nella forma architetturale delle case, delle piazze, dei giardini
particolare interesse riveste il terzo capitolo di Le nombre d’or, “Le canon géométrique dans e dei passeggi pubblici, dei porti, delle stazioni ferroviarie, ecc., stanno le prime fondamen-
l’art méditerranéen”. C’è da notare tuttavia che Ghyka non fa menzione del volume di Severini ta d’una grande estetica metafisica. I Greci ebbero un certo scrupolo in tali costruzioni,
nell’ampia bibliografia sul tema che va dall’età antica all’età moderna, né lo nomina nei generosi guidati dal loro senso estetico-filosofico; i portici, le passeggiate ombreggiate, le terrazze
riconoscimenti, mostrati nei confronti dei più diretti precedenti: da Eupalinos ou l’Architecte e erette come platee innanzi i grandi spettacoli della natura. Omero, Eschilo: la tragedia
L’Âme et la Danse di Valéry a Vers une Architecture di Le Corbusier42. della serenità50.
A sua volta il linguaggio di Paul Valéry fu un faro di orientamento per la pericolosa rotta del Negli anni trenta gli studi sulla “sezione aurea”, sulle “leggi cubiche”, sui canoni neopitagorici
pensiero attraverso il Mediterraneo. Fin dal suo saggio giovanile Introduction à la méthode de della proporzionalità divennero il latente trait d’union tra le ricerche pittoriche e architettoni-
Léonard de Vinci (1894) Valéry aveva scoperto il fascino esoterico della matematica che lo con- che italiane. Un alone mistico avvolge in un unico manto le “archipitture” astratte di Licini, le
durrà al desiderio di piegare l’irrazionale alle regole metriche e fonetiche del “difficile gioco” sculture “musicali” di Melotti, il “realismo magico” di Carrà, la malinconia delle “piazze d’Italia”
poetico. Ne scaturiranno i suoi capolavori degli anni Venti, come La jeune Parque (1917), Album di De Chirico e le costruzioni “razionali” di Terragni, Figini, Pollini, Sartoris, Banfi, Belgioioso,
de vers anciens (1920), Le cimetière marin (1922). “L’arte—ha scritto Valéry—è un linguaggio che Peressutti, Rogers, Albini, Libera, Bottoni, Cosenza, Pagano e Nizzoli51.
ha la musica da un lato e l’algebra dall’altro”43. Gli fa eco Walter Benjamin quando afferma, Vediamo due esempi di questa relazione: L’aura mediterranea si insinua tanto nei tracciati armo-
nello splendido saggio dedicato al poeta francese: nici che regolano le bucature delle pareti di cartone della Casa del Fascio di Como di Giuseppe
Il mare e la matematica: esse compaiono in una delle cose più belle che [Valéry] ha scritto, Terragni, quanto nell’insuperato gioco astratto di piani geometrici e di fasci di luce solare messo
nell’episodio di Socrate che racconta a Fedro che cosa ha trovato sulla riva del mare, con una in opera nel patio pompeiano della villa-studio per un artista di Figini e Pollini52. Ciò peraltro
concatenazione di idee affascinante. È una forma incerta—avorio o marmo oppure un osso viene confermato dal commento di Carlo Belli sulla Casa del Fascio, assunta come l’estremo
di animale—quella che la risacca ha gettato sulla riva, e che appare quasi come un capo coi punto di arrivo dell’atteggiamento razionale che deriva da “Grecia, Mediterraneo, Magna Grecia”,
tratti di Apollo. E Socrate si chiede se è opera delle onde o dell’artista; egli riflette: quanto nonché dall’esaltazione del carattere “mediterraneo”, “solare”, “sereno” attribuito da Figini ad
tempo occorre all’oceano finché tra miliardi di forme il caso ne possa produrre una come una precedente opera di Terragni, il Novocomum (1927-29)53. D’altronde gli stessi Figini e Pollini
questa, quanto tempo occorre all’artista, ed egli può ben dire che un artista vale mille secoli parlano inequivocabilmente di “impluvio pompeiano” e di “patio” nella relazione di progetto della
o centomila o ancora molti di più. È questo un particolare criterio per misurare le opere 44. “villa-studio per un artista”, costruita per la Mostra dell’abitazione alla V Triennale di Milano
Per cui Benjamin può aggiungere: del 1933. Non è da escludere che su questa scelta progettuale agisca la suggestione delle
Se volessimo fare una sorpresa all’autore di questa opera grandiosa, Eupalinos ou l’ar- letture di Le Corbusier sulle case pompeiane, contenute nelle pagine di Vers une architecture,
chitecte, per il suo sessantesimo compleanno, regalandogli un ex libris, esso potrebbe un testo ben noto ai giovani architetti razionalisti italiani54. Inoltre nella relazione di progetto
rappresentare un potente compasso con una gamba piantata sul fondo del mare e l’altra si legge che “il ritmo è determinato dagli intervalli costanti (cioè dal numero)”55. Tre anni dopo
tesa lontana sull’orizzonte 45. l’ispirazione mediterranea diviene, se possibile, ancor più evidente nell’”Ambiente di soggiorno
Del resto non è, non può essere, casuale che, alla soglia degli anni venti, “pensieri diversi” e terrazzo” realizzato dallo stesso tandem progettuale alla VI Triennale di Milano. Accentuando
si incontrino sul terreno di una comune riflessione sul senso dell’Ordine, sulla ricerca delle la polemica “anti-nord”, Figini e Pollini definiscono il loro atteggiamento una “reazione non allo

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16 17

1.16. Giovanni Pellegrini. Piazza del Villaggio Baracca, Libia, c. 1938. © Archivio Storico TCI, Milano.
1.17. Carlo Enrico Rava & Sebastiano Larco. Albergo agli scavi di Leptis Magna, Libia, 1928-29. Da Domus
44, Agosto 1931.
14

spirito meccanico, ma agli eccessi di questo. Non all’impiego dosato, ma all’abuso dei materiali
lucidi, freddi, fragili (metalli cromati, specchi, cristalli colorati, ecc.) costosi, lussuosi. Ripresa
di contatto con i materiali nostri naturali”. E tutto ciò motivato dalla critica al fatto che “nel
tentativo di creare ex-novo il mondo degli oggetti e degli ambienti, si è trascurato di prendere
in esame quanto preesisteva, quanto poteva restare o trasformarsi”56.
Non va dimenticato, infatti, che nel dibattito architettonico italiano tra due guerre il tema della
“mediterraneità” viene agitato con esplicita consapevolezza teorica. Fin dal testo di Presentazione
alla Seconda Esposizione del MIAR (1931), la “tendenza mediterranea” viene scelta dagli architetti
razionalisti come cavallo di Troia per la vittoria della “modernità” contro gli orpelli falso-stori-
cistici della cultura accademica57. A questa Seconda Esposizione non aderì Carlo Enrico Rava,
che nei primi anni aveva rappresentato in un certo senso l’anima teorica del Gruppo Sette. Ma
le divergenze di opinioni non riguardavano la “mediterraneità”, della quale, anzi, Rava fu il più
ostinato osservatore58. Già in un saggio del 1927, egli aveva difeso l’architettura razionale italiana
dalla “accusa di imitazione degli stranieri”, sottolineando come “la naturale propensione all’equi-
librio dei piani ed alla riposata simmetria dei volumi, qualità caratteristica della nostra razza...,
ci distingua profondamente dalle altre nazioni”59. In questo stesso saggio viene inoltre auspicato
un ritorno al “completo riposo delle forme” e alla “creazione lieta, che è retaggio tutto classico
e nostro” proprio in polemica contrapposizione ai tentativi di eleggere le brutte copie dell’archi-
tettura romana come espressioni dello “spirito di un’Italia imperiale”60. I richiami allo “spirito
ellenico” assumono pertanto il senso d’un desiderio di semplicità, armonia, equilibrio di volumi
euclidei, arcaici e primordiali. Non mancano insomma in queste asserzioni motivi sciovinistici,
ma essi non vanno confusi con lo storicismo degli accademici d’Italia. Si obbietterà che si tratta
di sottili differenze all’interno di una comune cultura di “destra”, ma su queste differenze si giocò
una battaglia di linguaggio che assunse spesso i toni violenti dello scontro ideologico talvolta non
solo verbale. Le ragioni che condussero Rava a distaccarsi dal Gruppo Sette e aderire—insieme
all’amico Sebastiano Larco—al RAMI (Raggruppamento architetti moderni italiani fondato dal
Sindacato Architetti nel 1931) vanno ricercate, stando alle sue dichiarazioni, nella critica mossa
“agli errori e i pericoli di un razionalismo troppo spesso ridotto a sterile dogma”61. È evidente la
faziosità di questa critica. Al di là delle enunciazioni verbali, è la sua stessa produzione architet-
tonica che dimostra come la sua poetica, attestata in una prima fase su un intransigente purismo,
si era poi devoluta verso “ricerche di un’ambientazione modernamente coloniale”, elaborate
15
“sulla base anti-novecentista di un razionalismo mediterraneo e quindi essenzialmente italico”.
Ne sono esempi probanti i progetti per la Chiesa a Suani Ben-Adem (1930), l’Arco di Trionfo di
1.14. Giuseppe Terragni, Edificio Novocomum, 1927-29. Cartolina, collezione Jean-François Lejeune.
Tripoli (1931), la Villa a Portofino (1933-34) o il Padiglione dell’Eritrea e Somalia (1933-34, tutti in
1.15. Adalberto Libera. Villini della Società Immobiliare Tirrenia, ad Ostia, con architetto sul balcone, 1932-34.
collaborazione con Sebastiano Larco), progetti che prefigurano la stilematica dell’”architettura
© Archivio Libera, Roma.

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coloniale” esportata dall’Italia nei paesi nord-africani e in alcune isole greche, ma che per altri

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versi “esprimono—come ricorda Giorgio Ciucci—una originale ricerca architettonica sul tema
della mediterraneità”62. Il che diviene ancor più evidente nelle costruzioni dell’Albergo agli scavi
di Leptis Magna presso Tripoli (1933) e dell’Albergo a Mogadiscio (1935).
Si è già accennato al fatto che il tema mediterraneo non fu appannaggio esclusivo di questo o
di quell’architetto ma oggetto di riflessione collettiva da parte dei razionalisti. Tant’è che nel
“Programma di Architettura”, pubblicato nel primo numero della nuova rivista Quadrante del
maggio 1933, troviamo enunciato—al sesto dei nove punti tesi a definire “la tendenza nella
tendenza” degli architetti raccolti intorno a quella testata—il seguente teorema:
Precisazione dei caratteri della tendenza razionalista italiana. Affermazione di classicismo
e di mediterraneità—intesi nello spirito, e non nelle forme e nel folklore—in contrasto
col nordismo, col barocchismo o con l’arbitrio romantico di una parte della nuova archi-
tettura europea63.
Tra i firmatari si leggono i nomi di Bottoni, i B.B.P.R., Figini, Pollini, Lingeri ed altri. In quello
stesso numero di Quadrante, lo spirito ellenico viene rievocato da Alberto Sartoris nel saggio
Avvenire del funzionalismo, nel quale si sostiene:
I Greci impiegarono nelle loro modulazioni architettoniche e plastiche, basate sul movimen-
to e sulla statica dei rettangoli dinamici, tracciati geometrici rigorosamente esatti e in un
certo qual modo identici a quelli che informano le composizioni dei razionalisti europei e le
proporzioni caratteristiche rivelate dall’ossatura delle loro opere.... Come dicevamo innanzi,
18
questi postulati della nuova architettura distillano anche da nozioni di origine antica che
hanno avuto, sull’arte mediterranea particolarmente, una impronta in origine imperativa, la
cui struttura organica si apparenta al famoso numero d’oro che era allora indispensabile per
chi volesse creare e fissare nell’opera forme plastiche consentanee colla sensibilità e con lo
spirito dell’epoca. Tale crescenza armonica nello spazio, tale successione dinamica nel tempo,
si sono tramandate fino a noi e oggi, più che mai, gli architetti modernisti sono stati avvinti
da una bellezza plastica, che non può essere un miraggio, ma forse la possibilità eterna di
elaborare l’opera d’arte nella perfezione assoluta, nella serenità più alta, più impensata64.
In linea con queste considerazioni, Alberto Sartoris, che già nel 1925 aveva rievocato l’antico con
il progetto del Teatro Gualino a Torino e aveva proposto sulle pagine di La Casa Bella il progetto
della casa-studio del pittore Jean-Saladin van Berchen a Parigi (protesa verso “la bellezza e
la solennità dell’arte classica”) elabora nel 1933 la seconda versione della casa del viticoltore
Morand-Pasteur a Saillon in Svizzera, tutta giocata su ampi terrazzi e su evidente purismo neo-
ellenico-razionale 65. Così le virtù esoteriche della divina proporzione finiscono col dominare
molte delle composizioni realizzate per la V Triennale di Milano, inauguratasi il 10 di maggio di
quello stesso 1933: dalla già citata villa-studio di Figini e Pollini, alla casa per le vacanze di un
artista sul lago di Terragni, Mantero, Lingeri e altri, alla casa del sabato per gli sposi dei B.B.P.R.,
Portaluppi e altri, alla casa coloniale di Piccinato, fino alla casa di vacanza al mare di Griffini,
Faludi e Bottoni66. Del resto, lo stesso Pietro Bottoni aveva evocato suggestioni mediterranee
fin dal progetto Villa Latina, nella precedente IV edizione della stessa Triennale del 1930, che, 19
per dichiarazione dello stesso architetto, “vuoIe riprendere, dallo spirito delle costruzioni latine,
l’equilibrio delle masse, dell’uso di vita all’aperto di quei popoli mediterranei, le logge, gli atri 1.18. Le Corbusier. Atene, panorama dal lato nord-ovest del Partenone, Settembre 1911. Da Le Langage
des pierres, Zurigo, 1914. © Fondation Le Corbusier, Paris
e le terrazze”67. Queste riflessioni troveranno un’elegante verifica progettuale nelle successive
realizzazioni come la villa Davoli a Reggio Emilia (1934), e la villa dello Strologo a Livorno (1934). 1.19. Le Corbusier. Vista del muro di una moschea con case di legno, 1911. © Fondation Le Corbusier, Paris.

precedente, sulle tracce di un itinerario concordato con il suo maestro dell’Ecole d’Art di La
Sulle tracce di Giano: antico e moderno nell’Odissea mediterranea di Le Corbusier Chaux-de-Fonds—rappresenta nella sua formazione qualcosa di più di un rituale “petit-grand
“D’ora in avanti parlerò solo con gli Antichi; gli Antichi rispondono a chi sa interrogarli”: così tour”69. La visitazione attenta degli antichi monumenti, spinta fino all’osservazione “tattile” delle
scrive, con tono enfatico, il giovane Charles-Edouard Jeanneret in una lettera del 1908, indiriz- grane e dei colori dei materiali nella luce solare del loro paesaggio naturale, produce l’effetto
zata a Charles L’Eplattenier.68 Il viaggio in Italia—intrapreso tra settembre e novembre dell’anno di un bagno purificatore dalle scorie tardoromantiche dell’insegnamento ruskiniano, che pure

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continua a guidare i suoi passi nelle “matins à Florence”70. Ancor più decisivo in tal senso sarà

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il successive Voyage d’Orient intrapreso da Berlino nel maggio del 1911, per poi giungere—dopo
aver attraversato i Balcani, la Turchia e la Grecia—ad ottobre a Napoli71:
Ho iniziato un lungo viaggio che avrebbe un impatto determinante, attraverso le campagne
e le città dei paesi ritenuti intatto; da Praga, sono andato giù il Danubio, ho visto i Balcani
serbi, poi la Romania, poi i Balcani della Bulgaria, Adrianopoli, il mare di Marmara, Istanbul
(e Byzantium), Bursa in Asia.
E Athos.
E poi la Grecia.
E il sud dell’Italia con Pompei.
Roma.
Ho visto i grandi monumenti eterni, gloria dello spirito umano. Ho ceduto particolarmente
all’attrazione invincibile del Mediterraneo.
Il Partenone, Pompei e il Colosseo. L’architettura mi è stata rivelata.
L’architettura è il magnifico gioco delle forme sotto la luce72.
Sono, dunque, i ruderi sopravvissuti al naufragio dell’antichità classica ad aver giocato un
ruolo decisivo nella folgorante intuizione del “gioco magnifico”, stando almeno alla lettera di
questa Confession autobiografica sulla propria via di Damasco. Il rigore scientista dei viaggiatori
ottocenteschi cede il passo ad un approccio inequivocabilmente emozionale all’archeologia, e
pur tuttavia lontano dalla romantica contemplazione della estetica delle rovine73. A Pompei,
il giovane Le Corbusier, prima di affrontare la difficile Leçon de Rome, non solo rileva nel suo
carnet con schizzi rapidi e incisivi le variazioni dell’impianto compositivo della domus italica74,
con tutto il fascino annesso dei giardini e dei pergolati, ma si cimenta anche—a suo modo—con
20 quella tecnica della restauration che aveva caratterizzato gli “envois de Rome” dei pensionnai-
res di Villa Medici75. Valga da esempio l’idealizzato completamento del colonnato del Tempio
di Giove che inquadra dall’alto della terrazza templare lo scenario urbano del Foro lasciando
intravedere sullo sfondo la verde sagoma dei Monti Lattari intervallata dal ritmo cadenzato
dell’intercolunnio eburneo76. Il fine ultimo di tali giochi mentali non è più la disputa archeologica
sulla policromia, ne l’esattezza filologica della anastilosi, ma la scoperta delle leggi “eterne”
dell’ architettura77. Scriverà in Vers une architetture:
Bisogna andare a Pompei per ammirare un impianto ortogonale. L’ordine e una delle prero-
gative fondamentali dell’architettura. Passeggiare nella Villa Adriana e dire a se stessi che la
potenza moderna di organizzazione, che e “romana”, non ha ancora realizzato niente: quale
tormento per un uomo che si sente partecipe, complice di questo fallimento disarmante….
Unita di procedimento, forza di intenzione, classificazione degli elementi…. L’architettura è
sensibile a queste intenzioni, dà resa. La luce accarezza forme pure: questo rende. I volumi
semplici sviluppano immense superfici…78.
Sulle tracce di Giano, divinità bifronte del Mediterraneo, Le Corbusier terrà costantemente
in dialettica nei suoi itinerari mentali l’Antico e il Moderno, l’eco dell’armonia ancestrale che
risuona da un passato classico, ormai remoto, e la volontà di comprendere e di dominare la
forza nuova dell’universo industriale, “irrompente come un fiume che scorre verso il proprio
destino”79, per ricondurla, malgrado tutto, nell’alveo di un rigoroso progetto culturale di nuova
armonia. Non deve dunque sorprendere se la lunga e paziente ricerca dell’esprit nouveau dell’età
delle macchine muova i suoi primi passi proprio tra le pietre archeologiche. Per quanto possa
apparire paradossale, Le Corbusier non si stancherà mai di ripetere che è stata proprio la
rilettura anti-accademica dell’antico a rivelargli i principi basilari della modernità.
21
Peraltro, non sarebbe difficile rintracciare la rete di fili sottili che legano le osservazioni sui
ruderi alle sue ideazioni progettuali. Basti pensare ai pergolati di Casa Sallustio, fotografati e di-
1.20. Le Corbusier. Il foro in Pompei (ricostruzione), 1911. © Fondation Le Corbusier, Paris.
segnati nell’ottobre dell’11 a Pompei, poi riproposti (l’anno successivo) quasi fedelmente—come
1.21. Le Corbusier. Atrio della Casa del Noce, Pompei, 1911. © Fondation Le Corbusier, Paris.

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ha già notato Gresleri—nel giardino di casa Jeanneret padre a La Chaux-de-Fonds80. Altrettanto di Istanbul in macchie violacee o verde marcio che si stagliano del mar di Marmara. Insomma

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suggestiva è l’analogia—segnalata da Kurt W. Forster —tra l’impianto compositivo della Maison nel ricordo i disegni delle cose viste si mescolano con le cose immaginate, tingendosi di colori
La Roche Jeanneret e gli schizzi della Casa del Poeta Tragico 81. Così come la memoria dei vo- onirici, acerbi, “fauves”, vibrando dal rosso sanguigno al blu cobalto nelle celebri variazioni
lumi bianchi dell’architettura rurale ritorna con tanta evidenza nell’insieme delle elaborazioni sulle vedute di scorcio del Partenone. Le pietre dell’architettura sembrano “parlare” la stessa
progettuali della fase purista degli anni venti da far ritenere non azzardata l’individuazione di lingua (omerica) degli alberi della natura, nell’immobilità metafisica dello “spazio indicibile”.
un’ascendenza genealogica di tale estetica astratta dal “mito mediterraneo”. Ma quel che più Tutto è improbabile e al tempo stesso profondamente vero, come un viaggio nel tempo interio-
conta e il lascito visivo dei viaggi rimasto impresso nel profondo della sua imagerie ed a tratti re, affollato di spettri colorati e, più nel profondo, di un inchiostro scurissimo che non di rado
riaffiorante, come un fiume carsica, nell’intera sua avventura ideativa82. sovrasta il sereno dell’azzurro luccichio delle acque mediterranee.
Bisogna insomma ripartire da questi dubbi, da questi interrogativi inquietanti su ciò che chia- Il viaggio d’altronde è per sua stessa definizione un movimento dell’io verso un altrove, verso un
miamo “progresso” per comprendere il senso autentico della sua “modernità”, della sfida luogo diverso dalla propria terra natale e dalle proprie tradizioni culturali. Le foto, i disegni, gli
intrapresa da un Davide contro le gigantesche forze della civiltà macchinista per sottometterle appunti tracciati nei carnets rivelano un interesse conoscitivo del giovane Jeanneret non limitato
ad un disegno di cultura. Nell’11 di ottobre ancora Jeanneret scrive nel suo diario di viaggio: ai sacri recinti dell’architettura, ma esteso agli oggetti artigianali, ai vasi contadini, agli abiti,
Perché il nostro progresso è tanto laido? Perché quanti ne sono ancora immuni si affrettano ai volti ed ai corpi delle figure umane, in una parola alla cultura antropologica nella sua più
a prendere da noi le cose peggiori ? Non è questa una povera teoria, più che un desiderio ampia accezione. Si pensi ai disegni della “Fontana pubblica con donna a Kazanluk”, delle vele
di nuove realizzazioni? Non si farà mai più dell’Armonia?… Ci restano solo dei santuari per colorate mosse dal vento nella “Veduta del Serraglio dal Bosforo”, degli oggetti rurali sparsi
piangere e dubitare in eterno. Là, non si sa niente di oggi, si è ancora nel passato; là il tragico nel “Giardino di una corte interna” nei pressi di Kazanlak; o ancora alle foto della “Fontana di
si unisce alla gioia esultante. Si è completamente scossi perché l’isolamento è completo…. Istanbul, con donna, bambina e cane”, dei “Cippi tombali con personaggio di spalle ad Eyiip”, del
Come sull’Acropoli, sui giardini del Partenone, come a Pompei, lungo le sue strade. Là si “Carro trainato da buoi” nei dintorni di Tarnovo, dei monaci ieratici nelle grandi tuniche nere,
vedono realtà d’altri tempi e quel terribile cratere in alto, pieno di mistero 83. immobili nel silenzio del Monte Athos.
L’amore per le civiltà arcaiche non scadrà mai nella nostalgia regressiva o, peggio, nella mimesi Ancor prima di divenire celebre con lo pseudonimo di Le Corbusier, l’allievo dell’Ecole d’Art de
del passato che si rovescia spesso in un’involontaria parodia. Ma altrettanto evidente resta la La Chaux-de-Fonds interpreta con “occhi che sanno vedere” la latente corrispondenza tra la
distanza concettuale che separa la visione moderna di Le Corbusier dall’antipassatismo viscerale cultura dell’abitare e la cultura del costruire. Tale corrispondenza si manifesta con “magistrale
delle avanguardie più radicali. Dalla stessa Venezia, che Marinetti aveva definito senza perifrasi semplicità” nei quattro mesi trascorsi in Oriente, mentre viene smarrita in Occidente sotto la
“cloaca massima del passatismo”, Le Corbusier trarrà nell’estate del 1922 una straordinaria coltre babelica dei molti stili», intasati gli uni sugli altri e confusi in “agglomerati spesso dubbi,
lezione sul visibile, ovvero sul rapporto tra la percezione delle forme dell’architettura ed il variare orrendi, disgustosi”88. Ciò nonostante, l’attitudine a saper vedere oltre l’architettura, resterà il
dell’intensità della luce solare nel corso del giorno, come lo ha dimostra Stanislaus von Moos84. filo sottile, ma rintracciabile, che lega i suoi viaggi mentali nel labirinto delle civiltà eterogenee,
D’altronde già le “vibrazioni” giovanili del Voyage d’Orient vennero fissate in quattrocento lastre anche quando abbandonerà definitivamente l’obiettivo fotografico per la matita, più consona
fotografiche, realizzate con la sua rudimentale Cupido 80, oltre che in disegni e in pensie- a suo avviso a costringere la mente ad interpretare il visibile senza indulgere nella pigrizia
ri appuntati nei suoi Carnets, poi rielaborati al suo ritorno in Svizzera 85. Nell’aprile del 1912, dello scatto meccanico. “Les Femmes d’Alger”, ritratte in tutta la sensuale fascinazione delle
Charles-Edouard Jeanneret espose a Neuchâtel una cartella di disegni acquerellati, raccolti “larghe curve” dei loro corpi89, rappresentano ad esempio una delle possibili fonti d’ispirazione
sotto il titolo di Langage des Pierres ed in parte riproposti l’anno successivo nella prestigiosa estetica della fluidità del Piano Obus. Allo stesso modo i grandi segni a scala territoriale dei
esposizione del Salon d’Automne a Parigi. Si tratta della prima mostra nella quale si cimenta piani per le città dell’America Latina nel 1929 (Montevideo, Buenos Aires, San Paolo, Rio de
come pittore—ancor prima di dipingere La cheminée (1918), celebre avvio del “purismo”—dando Janeiro) trarranno spunto dalla veduta dall’alto offerta dai voli compiuti sugli aerei dell’aviazione
il la ad una passione mai sopita, sviluppata nel corso dell’intera sua ricerca, in parallelo alla Mermoz e Saint-Exupéry, che dischiudono ai suoi occhi le vocazioni formali insite nelle immense
più nota attività di architetto 86. L’osmosi tra queste due forme di pensiero visivo è così costante distese del paesaggio tropicale90. D’altronde non si può comprendere l’hybris del Campidoglio di
nel corso del tempo da far ritenere estendibile a Le Corbusier la metafora che Theodor Fontane Chandigarh senza prestare ascolto alle sue parole sulla poetica “riscoperta”, in quella lontana
adottò per Karl Friedrich Schinkel: “Dipingeva come un architetto, costruiva come un pittore”87. terra d’Oriente, degli “atti umani fondamentali, legati agli elementi cosmici: il sole, la luna, le
La sensibilità coloristica induce il giovane Jeanneret a mettere in stretta relazione le costruzioni acque, le semine, la fruttificazione”91. Ancora una volta, Le Corbusier—chiamato a dar forma
dell’architettura—delle quali in parte già possedeva un’astratta precognizione attraverso gli al centro governativo del “lontano” Stato del Punjab—non impone aprioristicamente il suo
studi—con il quadro cromatico del luogo nel quale esse sono radicate. Così il paesaggio, l’in- “autobiografico” punto di vista (occidentale) nell’ideazione delle forme architettoniche elette
tensità della luce, la temperatura climatica, nonché i colori delle pietre, degli alberi, del cielo e a simboli dei Tre Poteri, ma lo commisura allo spazio naturale dell’Himalaya ed lo ri-plasma
degli altri elementi della natura diventavano corollari decisivi della bellezza dell’architettura, mediante il filtro della cultura dell’abitare dell’India, osservata in filigrana in tutti i suoi aspetti:
non più riducibile alle mere proporzioni metriche della tradizione accademica. Sarebbe tuttavia dalle costruzioni spontanee agli osservatori astronomici indù fino alla flora e alla fauna del
riduttivo interpretare questi acquerelli come semplici esercizi analitici sul rapporto tra testo luogo, meticolosamente ritratte in schizzi di preludio alle composizioni progettuali.
architettonico e contesto paesistico. La ricerca pittorica assurge ad una sua relativa autonomia Se ciò è vero, se è nella dialettica tra la propria soggettiva maniera di pensare l’architettura e la
formale dai contenuti rappresentativi, raggiungendo nella figurazione dei paesaggi lungo la recezione di una cultura altra del costruire che sta il movente di questo perenne navigare intorno al
“strada d’Eleusi” vette di assoluto lirismo, laddove la scomposizione cromatica del pointillisme mondo, resta allora da chiedersi quale è il lascito distillabile della sue reiterate odissee nel Mediter-
post-impressionista vira verso un tocco sperimentale giocato sull’intreccio fitto di fili cromatici. raneo. Un ulteriore prova può essere trovata nelle note autobiografiche scritte nel cabanon durante
Ancor più spinta verso nuovi orizzonti emozionali è la trasfigurazione delle colline di Pera e il mese di luglio 1965, un paio di giorni prima del fatale annegamento nelle acque di Cap-Martin:

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staura tra gli elementi dell’architettura, ognuno di per sé razionale e simmetrico, ma disposti sul

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declivio del suolo deliberatamente “fuori asse”, in apparente autonomia, anche se a ben vedere
connessi tra loro lungo un filo narrativo “pittoresco”, che dà luogo ad una sequela emozionale
di “scorci” prospettici diversamente orientati in relazione al superiore equilibrio tra costruito e
natura. Non a caso, dalla Histoire di Choisy Le Corbusier trarrà il disegno dell’Acropoli da porre
a frontespizio della “terza avvertenza agli architetti”96. C’è un brano, in particolare, nel quale i
pensieri dello storico e dell’architetto sembrano toccarsi. Come ha scritto Choisy:
Così procede la natura: le foglie di una pianta sono simmetriche, l’albero è una massa
equilibrata. La simmetria regna in ogni parte, ma il complesso è sottomesso alle sole
leggi di equilibrio per le quali il termine contrappeso è ad un tempo l’espressione fisica e
l’immagine metaforica97.

Viaggi nell’armonia
L’eco mediterranea trova ancora risonanza internazionale nel congresso del CIAM del 1933,
“svoltosi su una bella nave, il Patris II, in crociera da Marsiglia ad Atene”98. Non sottovalutabile
è il valore simbolico che assume questa rotta nel mare nostrum, la cui meta terminale è la mi-
tica Atene. Il viaggio prese avvio il 29 luglio nel porto di Marsiglia, avvolto da un alone esotico
impresso sulla pellicola del film di bordo girato da Laszlo Moholy-Nagy. Gino Pollini ricorda:
Le riunioni avvenivano sui ponti, riparati da tende, in un’atmosfera ventilata, piena di sole
e di luce, sul mare calmo. Erano assenti Gropius, Breuer, e quasi tutto il gruppo tedesco....
1.22. Le Corbusier. Disegni al pastello sovrapposti su illustrazioni originali di John Flaxman dell’Iliade di Del gruppo italiano erano intervenuti Bottoni, Pollini, Terragni e, come appartenente agli
Omero (dialogo Paris-Elena, 1793, edizione Les Portiques, nº 35, November 1954). Da Mogens Krustrup, Amici dei CIAM, P.M. Bardi…. Vi erano inoltre… A. Roth, E. Weissmann, J.L. Sert, che ave-
Le Corbusier: L’Iliade Dessins, Copenhaghen, 1986. © Fondation Le Corbusier, Paris. vano lavorato con Le Corbusier e P. Jeanneret; erano intervenuti come amici: M. Badovici,
direttore de L’Architecture vivante, Bruno-Guardia, giornalista, Ch. Zervos, direttore dei
Lungo questi anni sono diventato un uomo di tutto il mondo. Ho viaggiato attraverso i conti- Cahier d’Art, F. Léger, pittore, A. Jeanneret, il fratello di L.C., musicista, Wintner, medico
nenti. Eppure, ho solo un profondo attaccamento: il Mediterraneo. Io sono un mediterraneo, e redattore di Prélude, ecc. Nel pomeriggio del primo di agosto sbarcavamo ad Atene; il
fortemente.... Il mare mediterraneo, regina di forma e luce. Luce e spazio.... Le mie ricre- giorno successivo era dedicato alla visita della città. Così salivamo sull’Acropoli—noi, con
azioni, le mie radici, devono essere trovati nel mare che non ho mai smesso di amare.... Il emozione, per la prima volta—con Le Corbusier che ricordava i 21 giorni passati lassù
mare è movimento, e infinito orizzonte92. molti anni prima. Su tale memoria egli introduceva, il giorno seguente, il suo discorso Air,
Ebbene, con molta probabilità la chiave dell’enigma va trovata in quel prologo— apparentemente son, lumière…. Il Tempio di Atena Nike, l’Eretteo, il Partenone; tutto ciò appariva regolato
fuori tema—che Le Corbusier pronunciò ad Atene il 3 agosto 1933 durante il IV CIAM: da leggi non scontate…. A capo Sunio, a Delfi, ad Epidauro potevamo nei giorni successivi
In ogni cosa che ho fatto avevo in mente, nel fondo del mio stesso ventre, questa Acropoli.... trovare una ulteriore conferma….99
La verità che avevo colto in questi luoghi ha fatto di me un provocatore, uno che ha qualcosa E più avanti sulla questione del vernacolare “mediterraneo”:
da proporre…. Così mi hanno accusato di essere rivoluzionario…. E stata l’Acropoli a fare di Anche nelle isole l’architettura appariva contrassegnata da regole valide, anche se non
me un ribelle… Lo spirito greco è rimasto simbolo di controllo: rigore matematico e legge sempre palesi, proprie delle tipologie e derivante tra l’altro dai fattori climatici e dai modi per
dei numeri sono alla base dell’armonia…. Questa parola esprime la vera ragion d’essere i singoli edifici di raggrupparsi, ponendosi in relazione col sito. Le popolazioni mediterranee
dell’ora presente…. In nome dell’Acropoli, invochiamo un’armonia forte, efficace, coraggio- apparivano così essersi espresse soprattutto ricercando un rapporto tra la loro povertà e
sa, senza debolezze. Costruisci con spirito netto. Questo è l’ammonimento dell’Acropoli93. un’azione essenzialmente razionale. Il sentimento della tradizione antica era certamente
Si badi: armonia e non simmetria. La parola ha un suo significato ampio, profondo, irriducibile nelle coscienze, ma non potevano affiorare alla superficie dei lavori del Congresso. Ciò,
ai banalizzanti esercizi accademici sulla simmetria bilaterale e assiale. L’ascesi sul colle sa- oltre che probabilmente fuori tema, sarebbe stato inconciliabile con un allora generale,
cro nel ripensamento dell’esprit grec diviene una sorta di percorso iniziatico proteso verso il diffuso ritegno100.
disvelamento del segreto dei numeri che sottende la bellezza delle forme visibili, dal quale Le Troviamo dunque confermata, dalla diretta testimonianza di un progettista, l’influenza che
Corbusier desumerà—a suo modo—i principi neopitagorici dei tracciati regolatori e del fasci- esercitò il fascino indiscreto del mito ellenico perfino su questo intransigente congresso che
no esoterico della sezione aurea: principi che saranno in seguito sviluppati, fino alle estreme sancì i principi della “moderna città funzionale”. Ma quel “diffuso ritegno” cederà il passo di lì
conseguenze logiche, nella teoria del Modulor 94. a poco ad una scoperta apologia dell’antica civiltà mediterranea. Animatore di questa infatua-
Ma forse è soprattutto la lettura delle straordinarie pagine dedicate all’Acropoli da Auguste zione fu soprattutto Le Corbusier, collaboratore in quegli anni, oltre che di Plans, una rivista
Choisy—“questo ingegnere des Ponts-et-Chaussées che ha scritto la storia dell’architettura inequivocabilmente di destra (1930-33), anche di Prélude, un organo “d’action régionaliste”
come nessun altro… che ha compreso ciò che è la vita stessa degli organismi costruiti”95—ad ambiguamente collocato lungo la “linea di demarcazione… tra fascismo et collettivismo” (1933-
indurre Le Corbusier a rivalutare il gioco complesso delle calibrate “dissimmetrie” che si in- 35). E proprio dall’alleanza culturale tra Prélude e Quadrante scaturì l’idea di un “pIan d’orga-

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nisation européenne” tra Francia, Italia, Spagna ed Algeria sulla base di un riconoscimento di

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assi climatici indicati da Le Corbusier.101
Pertanto è più che comprensibile lo sdegno di Edoardo Persico che, in un bel saggio del 1934 dal
titolo Punto e a capo per l’architettura, espresse un duro e sarcastico giudizio contro l’infondatezza
dell’equazione latinità-mediterraneità, che era agitata in quegli anni dai razionalisti italiani
con evidenti argomentazioni opportunistiche al fine di sancire intorno alla propria tendenza il
crisma di “arte di Stato” e contro la “bella pensata dei climats e delle cultures” tirata fuori da
Le Corbusier da un vecchio cilindro di prestigiatore102. La posizione di Persico è comprensibile
soprattutto dal suo punto di vista dichiaratamente “religioso” e autenticamente antifascista.
Sarebbe tuttavia un errore continuare a valutare in termini etici una formulazione estetica.
Almeno nei suoi intenti iniziali la mediterraneità fu prevalentemente un gioco poetico, una
metafora letteraria, un’allegoria neo-pitagorica del Numero e del Ritmo cosmici, un desiderio
metafisico di riscoprire, attraverso i rapporti proporzionali della sezione aurea, le leggi astratte
e matematiche della bellezza, un pretesto per decollare nei cieli con le ali di Icaro e ripiombare
poi nelle acque omeriche delle peregrinazioni di Ulisse.
Non a caso Le Corbusier dedicherà all’Ellade, nel febbraio 1955, alcuni acquerelli di straordinario
23 24
fascino, dipinti nella tana spirituale del cabanon di Cap-Martin sovrapponendo colori cruenti ai
neo-classici disegni settecenteschi di John Flaxman adottati dalle edizioni Les Portiques per
1.23. Luigi Cosenza. Sopra: Patio della Villa Cernia, Capri, 1966-67. Sotto: Patio della fabbrica Olivetti,
illustrare un fascicolo dell’Iliade103. Il conflitto tra l’esangue serenità dell’arcadia e la cromatica Pozzuoli, 1951-54. Da Luigi Cosenza. L’opera completa, Naples, 1987. Foto Mimmo Jodice.
passionalità della tragedia è inequivocabile. Il soffio vivificante della lotta tra Eros e Thanatos, 1.24. Sala principale della Villa Malaparte. Foto Jean-François Lejeune.
sotteso nel canto omerico, viene rievocato in un’ineguagliabile ebbrezza dionisiaca. In questi
disegni, solo apparentemente minori, Le Corbusier rivela sintomaticamente gli aspetti più Non va dimenticato, del resto, che la Mostra internazionale di Architettura di quella stessa VI
segreti della sua psiche, perennemente oscillante tra i poli estremi del desiderio d’armonia e Triennale del 1936 fu dominata dalla esposizione su L’architettura rurale nel bacino del Mediter-
della fobia della quiete. Eludendo questa intima e perenne tensione tra Ordine e Kaos, Sfera e raneo, curata da Guarniero Daniel e da Giuseppe Pagano (quest’ultimo, significativo compagno
Labirinto, Classicità e Avanguardia, non riusciremmo a comprendere il senso autentico della di strada di Persico). L’esposizione rappresenta in un certo senso la sintesi degli studi sulle
sua poetica: “Io penso che se si riconosce qualche significato alla mia opera d’architetto, è a costruzioni “anonime” dell’architettura minore, studi che alimentarono un filone di ricerca
questa segreta fatica che bisogna attribuire il valore profondo”104. Queste sono le parole appun- logico-funzionale, distinto per alcuni aspetti da quello estetico-esoterico dei “metafisici”. Nei
tate dallo stesso autore a commento del suo celeberrimo disegno del 1948 che raffigura una valori primordiali, nella purezza dei volumi, nella logica costruttiva dell’architettura rurale,
maschera senza tempo, coronata nella prima metà dalla serenità dei raggi solari e nell’altra Giuseppe Pagano tendeva a scorgere soprattutto l’anticipazione dei principi dell’architettura
metà dal tenebroso groviglio dei serpenti interiori. funzionale del suo tempo:
Alla mitologia mediterranea contemporanea non manca, insomma, una tensione esoterica, Non è dunque da stupirsi se dalla casa rurale mediterranea, ed in particolar modo da quella
pagana, a suo modo mistica, ma da non confondere con la spiritualità cristiana. Come ha bene italiana, molti dei più intelligenti architetti del nord… abbiano riscoperta la commozione
chiarito Gino Severini, del costruttore poeta sostituendola al mestiere dello scenografo convenzionale. Il tetto
Si può dire che esiste una spiritualità diabolica ed una spiritualità religiosa. La prima può piano, i blocchi puri col minimo di oggetti e di accidenti decorativi, la finestra orizzontale, la
essere diretta verso il magico, il senso del nascosto e misterioso, il demoniaco e il sensuale. composizione dissimmetrica, la forza espressiva del muro piano, l’influenza del paesaggio
Per esempio, certi idoli ermafroditi greci, certi idoli e maschere negre, e numerosi casi circostante e soprattutto la spregiudicata coerenza funzionale e tecnica sono evidentemente
nella Rinascenza italiana105. leggibili in queste opere di architettura rurale. La funzionalità è sempre stata il fondamento
E la predilezione per la narcosi classica, per l’estasi apollinea, per l’abbandono al sensuale logico dell’architettura. Soltanto la presunzione di una società innamorata delle apparenze
richiamo degli idoli ermafroditi del Mediterraneo è un dato di fatto storico, diffuso nella cultura di ha potuto far dimenticare questa legge esterna e umana nello stesso tempo. Oggi questa
quegli anni anche oltre i confini italiani e francesi, dove trovò un fertile terreno da cui trarre ali- legge è stata riscoperta e difesa non solo per ragioni estetiche, ma anche per bisogno
mento. “Lo spirito europeo ritroverà la coscienza del proprio apostolato soltanto se riconoscerà morale di chiarezza e onestà108.
la legittimità della propria filiazione ellenica e latina” si legge in un saggio di Waldemar George La priorità culturale giocata dall’architettura “mediterranea” nei confronti del “razionalismo”
puntualmente tradotto in italiano, nel 1933, da Ardengo Soffici106. E lo stesso Persico—superati europeo per la definizione del linguaggio purista era del resto già stata rivendicata l’anno
i motivi contingenti della polemica— realizzerà nel Salone d’Onore alla VI Triennale di Milano precedente da Enrico Peressutti sulle pagine del Quadrante e, ancor prima, da Gio Ponti in
(in collaborazione con Marcello Nizzoli e Giancarlo Parlanti, e con l’inserimento di una scul- articoli pubblicati su Domus, la rivista da lui stesso fondata nel 1928, e raccolti nel 1933 nel
tura figurativa di Lucio Fontana) un allestimento che “riesalta, in un aspetto nuovo, il principio volumetto La casa all’italiana109. E lo stesso Ponti sperimenterà nella villa a Bordighera del
antico del colonnato”, aggiungendo poi nella relazione di progetto che “il sapore classico della 1938 la reinterpretazione attualizzata e anti-folklorica dei canoni delle costruzioni tradizio-
composizione è legittimo nell’indirizzo dei maggiori ‘razionalisti’, nei quali è sempre stata viva nali, polemizzando apertamente, nel suo saggio sulla Architettura Mediterranea, contro le
l’aspirazione ad un nuovo rinascimento europeo”107. volgarità mimetiche e falso-storicistiche delle coeve realizzazioni francesi in “stile proven-

86 87
zale”110. Se si considera che Quadrante di Bardi e Bontempelli, Casabella di Pagano e Domus “mediterraneo”. Ma seppure la relazione al vernacolare continuerà a marcare gli anni 50 (per

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di Ponti erano le riviste culturalmente più qualificate di quegli anni si può ben comprendere esempio con i scritti e opere di Rogers e Giancarlo da Carlo) l’attenzione generale del dibattito
l’incidenza che la questione mediterranea ha avuto nel dibattito architettonico italiano, al teorico era ormai concentrata altrove.118
di là di talune inevitabili divergenze di opinioni o, forse, proprio in forza di esse. A tale linea Che cosa resta oggi nell’Italia odierna di quella mitologia? Apparentemente nulla o poco! An-
di ricerche aderirono tanto posizioni retrive di piatto provincialismo anti-nord o di esaltato che quelle tendenze postmoderne che dichiaratamente si ispirano al passato furono inclini ad
nazionalismo, che sfociarono—soprattutto dopo la proclamazione mussoliniana, il 9 maggio un uso spettacolare, ironico e auto-pubblicitario di stilemi presi a prestito dalla soffitta della
1936, della conquista dell’Impero—nell’edilizia coloniale esportata in Libia, in Etiopia, in So- storia, piuttosto che alla ricerca delle atmosfere magiche e rarefatte del neopitagorismo di
malia e in altre aree dell’Africa nord-orientale quanto in ricerche ben più motivate sul piano quegli anni. Non è escluso tuttavia che l’eco sopita di quell’antica nostalgia torni ad esercitare
teorico e ben più raffinate sul piano qualitativo111. Sarebbe pertanto errato, prima ancora che il suo magnetico richiamo, perché il bisogno di armonia sembra essere una specie di istinto
ingiusto, esprimere un giudizio liquidatorio sull’intera tematica, senza approfondire l’analisi, ancestrale, più forte degli stessi bisogni funzionali.
operando le necessarie distinzioni tra le diverse posizioni spesso frettolosamente omologate. Lo ricordano le parole che Le Corbusier indirizzò a Sartoris il 10 di giugno 1931, nella “Prefa-
Si pensi, a tal proposito, alla profondità del pensiero architettonico di Luigi Cosenza che seppe zione” a Eléments de l’architecture fonctionelle e che Sartoris volle significativamente riproporre
immergersi fino in fondo nell’analisi dei caratteri tipologici dell’edilizia vernacolare di Capri, come preludio al tema dell’ordre méditerranéen:
Ischia, Procida e della costa sorrentina e amalfitana riscoprendo l’essenzialità di quell’antica Lei mi chiede di scrivere una prefazione al suo libro sulla “Architettura razionale”. Rispar-
semplicità, senza annegare nella copia volgare degli stilemi folklorici locali112. Il ripensamento mierò ai vostri lettori la briga di leggere quelle linee. Questo tema è troppo complesso; ci
sull’architettura “minore” e “anonima” alimenterà le sue calibrate composizioni razionali di scrive troppo o troppo poco. Il vostro titolo è troppo limitante. E un peccato dover mettere
villa Oro (1934), di villa Savarese (in collaborazione con Bernard Rudofsky, 1937) e del pro- “razionale” da un lato della barricata, per poter, di sicuro, lasciare l’ accademico sull’altro
getto irrealizzato di una casa per Positano (sempre con Rudofsky, 1936). Un inciso a parte si lato. Si dice anche “architettura funzionale”. Per me, il termine “architettura” ha qualcosa di
impone per la villa Cernia ad Anacapri (1966-67) che declinerà con didascalica evidenza in più mago che razionale o funzionale, qualcosa che domina e prevale, che impone.... Queste
chiave moderna il tema dell’impluvium pompeiano o per la fabbrica Olivetti a Pozzuoli dove considerazioni mi faranno vomitare dalla maggior parte dei nostri compagni assorbiti nel
usò il patio pompeiano con grande effetto113. compito di costruire il nostro tempo; mi accusano di respingere ancora una volta l’architet-
È indubbio tuttavia che una delle vette più alte del lirismo costruttivo ispirato alla mediterraneità tura in disordine e inutilità. No, me ne difendo! Mi piace (come architetto) le viste d’ensemble.
viene raggiunta, sul finire degli anni trenta, nella villa dello scrittore Curzio Malaparte a Capri Tra i bisogni umani, capisco che sia importante avere i piedi caldi in inverno… ma io sono
(1938-1944). Forse è l’eccezionalità dello scenario naturale a favorire l’inimitabile perfezione molto più sensibile alla necessità del benessere dell’armonia (che è anche meglio di una
del gioco “metafisico”114 . Intanata, con la sua rossa sagoma, tra il grigio di Capo Massullo e aragosta “à l’armoricaine”, un bicchiere di champagne o una fresca insalata). Armonia, ma
l’azzurro del cielo, questa “casa come me” che Malaparte volle costruire—a partire di un pro- questo è il segreto del processo vitale, il miracolo della vita. Mancanza di armonia, e gli
getto di Adalberto Libera—quale eremo spirituale ed “autoritratto in pietra” è stata non a caso funzioni entrano in conflitto, sono perturbati e viene la morte subito119.
al centro dell’attenzione critica internazionale115. I trenta tre gradini della scala—che si allarga
verso l’alto su un piano inclinato dal tracciato geometrico d’ascendenza pitagorica—conduce,
con un crescendo mistico, al solarium sospeso, senza protezioni, dominato da una ermetica vela
bianca pietrificata in un Olimpo senza vento. Come ha notato Manfredo Tafuri:
L’assolutezza “greca” dell’architettura di Libera diviene simulacrum di una ratio divenuta
ellittica, che si risolve perfettamente in se stessa, che con il mondo dell’utile e dell’azione
ha tagliato ogni ponte…. Un natante arcaico, senza tempo: come senza tempo, oscillanti
tra memorie di edilizia mediterranea e giochi di astrazione, sono gli impaginati delle
sue facciate116.
Anche nell’interno di questa dimora-rifugio le allegorie si intrecciano in riflessi speculati ed
enigmatici: a partire dal grande salone, col pavimento che evoca l’antica via Appia, da cui af-
fiorano falsi ruderi di colonne doriche per reggere singolari tavoli di legno, e col camino che
“buca” la parete di fronte alla scultura di Pericle Fazzini, lasciando intravedere in lontananza il
movimento delle acque del mare che si mescola alle spire del fuoco. Per finire poi nello studio,
col pavimento disegnato da Alberto Savinio a forma di lire; nel bagno romano, con la vasca
scavata nel marmo; e nella camera della detta della favorita, con piastrelle a decori tradizionali
che si arrampicano sulle pareti per rivestire l’angolo del camino117.
Tutto questo complesso e ambiguo fermento di idee trovò un inevitabile arresto con l’avvento
della guerra. I nuovi venti ideologici della ricostruzione nell’Italia del dopoguerra spazzarono
definitivamente via le ceneri di questo esoterismo. Solo Gio Ponti nelle pubblicazioni di Domus
alla fine degli anni 40 e Alberto Sartoris nel 1948 con “Ordre et climat méditerranéens”, il
primo volume della Encyclopédie de l’architecture nouvelle tenteranno di riproporre il tema del

88 89
1.25. Luigi Cosenza e Bernard Rudofsky. Villa Oro, Napoli, 1934-37. Da http://www.luigicosenza.it.
1
Massimo Bontempelli, Introduzione e discorsi, Milano, Bompiani, 1945, p. 171. Non bisogna di- 1966; R. Rosenblum, Transformations in Late Eighteenth Century Art, Princeton, NJ, Princeton

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menticare che con la fondazione e la direzione delle riviste 900 (con Curzio Malaparte, 1926-29) e University Press, 1967; Georges Teyssot, Città e utopia nell’illuminismo inglese: George Dance il
Quadrante (con Pier Maria Bardi, 1933-36), con i suoi libri e con le sue teorizzazioni del realismo giovane, Roma, Officina Edizioni, 1974.
magico, Bontempelli fu un polo di riferimento della cultura di impronta classica e metafisica. 17
Cfr. Margaret Richardson and Mary Anne Stevens (a cura di), John Soane Architect—Master
2
Per una bibliografia più larga, si vede Carlo Enrico Rava, Nove anni di architettura vissuta, 1926- of Space and Light, London, Royal Academy of Arts, 1999; Georges Teyssot’s, “John Soane et la
1935, Roma, Cremonese, 1935, e, in particolare, il saggio “Architettura ‘europea’ ‘mediterranea’ naissance du style,” Archives d’architecture moderne, n.21, 1981.
‘corporativa’ o semplicemente italiana.” Si vede anche Carlo Belli, “Lettera a Silvia Danesi” in 18
Annalisa Porzio and Marina Causa Causa Picone (a cura di), Goethe e i suoi interlocutori, Napoli,
Il razionalismo e l’architettura in Italia durante il Fascismo, a cura di Silvia Danesi and Luciano Macchiaroli, 1983.
Patetta, Venezia, Biennale di Venezia, 1976, pp. 21-28; Benedetto Gravagnuolo, “Colloquio con 19
Oswald Zoeggeler, “L’immersione nel passato classico: il viaggio in Italia nella formazione
Luigi Cosenza,” in Modo 60, giugno-luglio 1983. artistica degli architetti tedeschi”, in Augusto Romano Burelli (a cura di), Le epifanie di Proteo:
3
Carlo Belli, “Lettera a Silvia Danesi” in Silvia Danesi and Luciano Patetta (a cura di), Il razio- la saga nordica del classicismo in Schinkel e Semper, Fossalta di Piave, Venezia, Rebellato, 1983,
nalismo e l’architettura in Italia durante il Fascismo, Venezia, Biennale di Venezia, 1976, p. 25. pp. 25-44.
4
Manfredo Tafuri, “Les ‘muses inquiétantes’ ou le destin d’une génération de ‘maîtres’”, in 20
Sull’opera di Schinkel, si vedano Luigi Semerani (a cura di), 1781-1841 Schinkel l’architetto
L’architecture d’aujourd’hui, nº 181, 1975. del principe, Venezia, Albrizzi Editore, 1982; Augusto Romano Burelli (a cura di), Le epifanie di
5
Fernand Braudel, La Méditerranée et le Monde méditerranéen à l’époque de Philippe II, Paris, Proteo, cit.; Marco Pogacnik (a cura di), Karl Friedrich Schinkel, Milano, 1993; G. P. Semino (a
Armand Collin, 1949. In italiano: Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, Torino, 1966. cura di), Schinkel, Bologna, 1993; Paul Ortwin Rave, Schinkels Lebenswerk, Berlin, Deutscher
6
Fernand Braudel, La Méditerranée, l’espace et l’histoire, Paris, 1977, p.7. Kunstverlag, 1941-1962; Nikolaus Pevsner, “Schinkel,” in R. I. B. A. Journal LIX, January 1952;
7
Massimo Bontempelli, “Realismo magico,” in 900, July 1928; anche in Luciano Patetta (a cura Michael Snodin, Karl Friedrich Schinkel: An Universal Man, New Haven, Yale University Press,
di), L’architettura in Italia, 1919-1943. Le polemiche, Milano, Clup, 1972, p. 90. 1991; Barry Bergdoll, Karl Friedrich Schinkel: An Architecture for Prussia, New York, Rizzoli, 1994;
8
J. Mordaunt Crook, The Greek Revival: Neo-classical Attitudes in British Architecture, 1760-1870, Emmanuele Fidone (a cura di), From the Italian Vernacular Villa to Schinkel to the Modern House,
London, J. Murray, 1972; Dora Wiebenson, Sources of Greek Revival Architecture, London, A. Siracusa, Biblioteca del cenide, 2003.
Zwemmer, 1969. 21
Felice Fanuele, “Il trapianto di un tipo architettonico: il padiglione napoletano di Charlot-
9
Per una documentazione sulle reazioni intellettuali dei contemporanei alla scoperta di Er- tenburg,” in Augusto Romano Burelli (a cura di), cit., pp. 65-78.
colano, si vede Antonio Francesco Gori, Notizie del memorabile scoprimento dell’antica città di 22
G. Riemann, “Karl Friedrich Schinkel. La vita e le opere,” in Luigi Semerani (a cura di), 1781-
Ercolano vicino a Napoli avuta per lettura da vari letterati, Firenze, Stamperie Imperiali, 1748; 1841: Schinkel, l’architetto del principe, Venezia, Albrizzi Editore, 1982, pp. 35-37; I. Prozzillo,
Scipione Maffei, “Lettera sopra le scoperte di Ercolano,” Tre lettere, Verona, Stamperia del “Schinkel in Italia,” in Civiltà del Mediterraneo, nº1, January-June 1992.
Seminario, 1748; D’Arthenay, Mémoire historique et critique sur la ville souterraine découverte au 23
Gottfried Semper, Vorläufige Bemerkungen über bemalte Architektur und Plastik bei den Alten,
pied du Mont-Vésuve, Avignon, Alexandre Giroud, 1748. Per la bibliografía attuale, si veda AA.VV., Altona, Hammerich, 1834, e Der Stil in den technischen und tectonischen Künsten, Frankfurt, 1860;
Civiltà del ‘700 a Napoli, 1734-1799, Firenze, Centro Di, 1979; Mario Praz, On Neoclassicism, Lon- in italiano, G. Semper, Lo Stile, Roma-Bari, 1992.
don, Thames & Hudson, 1969; Cesare De Seta, Architettura, ambiente e società a Napoli nel ‘700, 24
Benedetto Gravagnuolo, “Gottfried Semper, architetto e teorico,” in Architettura Arte e Scienza:
Torino, Einaudi, 1981; Pompéi. Travaux et envois des architectes français au XIX siècle, Paris, Ecole Scritti scelti by Gottfried Semper, Napoli, Clean, 1987.
Nationale des Beaux-Arts, 1981; The Age of Neo-classicism, London, Arts Council, 1972; Werner 25
G. Fanelli e Ezio Godoli, La Vienna di Hoffmann, architetto della qualità, Roma-Bari, Laterza,
Oechslin, “L’intérêt archéologique et l’expérience architecturale avant et après Piranèse,” in 1981, pp. 32-sq.; Eduard Sekler, Joseph Hoffmann. The Architectural Work, Princeton, Princeton
Georges Brunel (a cura di), Piranèse et les Français 1740-1790, Roma, Edizioni dell’Elefante, 1978. University Press, 1985; Giulano Gresleri (a cura di), Joseph Hoffmann, New York, Rizzoli, 1981.
10
Johann J. Winckelmann, Lettere italiane, Milano, Feltrinelli, 1961, e Cesare De Seta, op. cit.; 26
Joseph Hoffmann, “Architektonisches von der Insel Capri”, in Der Architekt III, nº13, 1897.
Massimiliano Pavan, Antichità classica e pensiero moderno, Firenze, La nuova Italia, 1977. 27
Adolf Loos, “Ein wiener Architekt”, in Dekorative Kunst, nº12, nº 227, Settembre 1898.
11
Charles de Montesquieu, Viaggio in Italia, Bari, Laterza, 1971. Sul tema, cfr. Cesare De Seta, 28
Adolf Loos, “Unsere jungen Architekten” and “Die potemkinsche Stadt”, in Ver Sacrum nº7,
L’Italia del Grand Tour da Montaigne a Goethe, Napoli, Electa, 2001; Andrew Wilton, The Lure of luglio 1898.
Italy in the Eighteenth Century, London, Tate Gallery, 1996. 29
“Eccomi felice a Massa Carrara, sotto una massa di marmo di Carrara. Tutto è Carrara. Anche
12
D. Rabreau, “Autour du Voyage d’Italie (1750). Soufflot, Cochin et M. de Marigny réformateurs i pali a cui sono legate le viti sono di Carrara” (da una cartolina del 17 gennaio 1906, custodita
de l’architecture théâtrale française,” in Bollettino del Centro Internazionale di Studi di Architettura presso il Loos-Archiv nell’ Albertina di Vienna).
Andrea Palladio, n.XVII, 1975. 30
Adolf Loos, “Architektur,” 1910; in italiano, “Architettura,” in Parole nel vuoto, Milano, 1972, p.
13
J. C. R. (Abbé) de Saint-Non, Voyage pittoresque ou description des royaumes de Naples et de 256. Se veda anche Benedetto Gravagnuolo, Adolf Loos, New York, Rizzoli International, 1988.
Sicile, Paris, 1781-1786 (edizione reprint Napoli, Electa Napoli, 1995). Also see Ludwig Münz and Gustave Künstler, Adolf Loos, Pioneer of Modern Architecture, New
14
J. G. Legrand, Notice historique sur la vie et les ouvrages de J.B. Piranesi, Paris, 1799, and York, Praeger, 1966, and Burckhardt Rukschcio and Roland Schachel, Adolf Loos. Leben und
Georges Brunel, op. cit. Werk, Salzburg-Wien, Residenz Verlag, 1982.
15
AA.VV., Piranesi, Incisioni, rami, legature, architetture, Venezia, Pozza, 1978; Mario Praz, “Le 31
Tra i vari altri viaggi, particolarmente significativo fu il soggiorno a Venezia nell’aprile del 1913,
antichità di Ercolano,” in Civiltà del ‘700 a Napoli, op. cit., vol. 1. insieme a Karl Kraus e Peter Altenberg. Cfr. Hans Joachim Malberg, Winderhall des Herzens,
16
Cfr. David Irwin, English Neoclassical Art: Studies in Inspiration and Taste, London, Faber & Faber, München, 1961, p. 116.

92 93
32
Cristina Nuzzi (a cura di), Arnold Böcklin e la cultura artistica in Toscana, Roma, De Luca, 1980. 53
Carlo Belli, “Dopo la polemica,” Quadrante 3, nº 35, October 1936; Luigi Figini, “Novocomum,”

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33
Cfr. Christian Lenz, “Hans von Marées,” Elizabeth Clegg, “Arnold Böcklin,” Grove Dictionary of Natura 1, 1930.
Art On Line, Internet resource. Christiane Groeben, The Naples Zoological Station at the Time of 54
La prima referenza a Le Corbusier in Italia si deve a Marcello Piacentini in “Notiziario di arte
Anton Dohrn, Napoli, The Station, 1975. moderna,” Architettura e Arti decorative 2, 1921. Ma furono soprattutto gli architetti del Gruppo 7
34
The Rivista bimestriale was published under a new cover between 1939 and 1943. Della rivista (fundato a Milano nell’ottobre 1926 da Luigi Figini, Guido Frette, Sebastiano Larco, Gino Pollini,
Colonna, Periodico di civiltà italiana furono pubblicati solo cinque numeri tra il 1933 e il 1934. Vi Carlo Rava, Giuseppe Terragni and Ubaldo Castagnoli, al quale subentra nel 1927 Adalberto
collaborano Carlo Carrà, Libero De Libero, Gino Levi Montalcini, Leonardo Sinisgalli, ed altri. Nel Libera) ad esaltare il maestro svizzero. Si vedano gli saggi Il Gruppo 7, “Architettura” in Rasse-
no. 1 del 1934, ritroviamo (p. 149) una riproduzione del dipinto pompeiano di Ulisse e Penelope, gna Italiana, Dicembre 1926; e “Architettura II: Gli Stranieri” in Rassegna Italiana, Febbraio 1927.
con una significativa dichiarazione di “affinità” da parte di Alberto Savinio, pittore e scrittore di 55
Luigi Figini and Giorgio Pollini, “Villa-studio per un artista,” Catalogo della V Triennale di Milano,
notevole talento, fratello di Giorgio de Chirico. Milano, 1933, oggi in Vittorio Savi (a cura di), op. cit,, p.12.
35
Gio Ponti, Architettura mediterranea, Milano, 1941. 56
Luigi Figini and Giorgio Pollini, “Relazione di progetto” nel Catalogo della VI Triennale di Milano,
36
Valori Plastici: Rassegna d’arte fu uno dei periodici più importanti dei primi anni Venti. Il mensile Milano, 1936, oggi in Vittorio Savi (a cura di), op. cit., p.23.
fu pubblicato dal 1918 al 1922. Vi collaborarono Theo van Doesburg, Giorgio de Chirico, Filippo De 57
Il MIAR (Movimento Italiano per l’Architettura Razionale) fu fundato nel 1928. Tra I principali
Pisis, Alberto Savinio, Ardengo Soffici, ed altri. Si veda AA.VV., Valori Plastici, Roma, Skira, 1999. animator vi fu Adalberto Libera. Gruppo 7 aderì al movimento nato due anni prima, oltre a
37
Gino Severini, Du Cubisme au Classicisme, Paris, 1922, repubblicato in Piero Pacini (a cura di), Sartoris, Chessa, Cuzzi, Mattè Turco, Calza Bini, Cancellotti, Minucci, Ridolfi, Piccinato, Bal-
Gino Severini: Dal cubismo al classicismo e altri saggi sulla divina proporzione e sul numero d’oro, dassari, Bottoni, ed altri. Si veda M. Cennamo (a cura di), Materiali per l’analisi dell’architettura
Firenze, Marchi & Bertolli, 1972. moderna, il MIAR, Napoli, Società editrice napoletana, 1977. La prima mostra si tenne a Roma
38
Alberto Savinio, Scatola Sonora, Torino, Einaudi, 1977. Cfr. Carlo Cresti, “Geometria per Monte- nel Aprile 1928, con il patrocinio del Sindacato Nazionale Fascista Architetti. La seconda mostra
gufoni,” in Renato Barilli (a cura di), Gino Severini, Firenze, Electa Firenze, 1983. fu promossa dal MIAR presso la galleria di Pietro Maria Bardi in Via Veneto. Ebbe un carattere
39
Gino Severini, Tutta la vita di un pittore, Milano, Garzanti, 1983, p.278. anco più polemico, con un attacco diretto alle architetture di Brasini, Giovannoni and Piacentini
40
Si legga a tal proposito la corrispondenza tra Ozenfant, Le Corbusier and Severini, conservata raccolte in un ironico fotomontaggio titolato “Tavolo degli orrori”.
nell’Archivio Severini e pubblicata in L’Esprit Nouveau 17, 1922. 58
Carlo Enrico Rava, Nove anni di architettura vissuta, op. cit.
41
M. C. Ghyka, Esthétique des proportions dans la nature et dans les arts, Paris, Gallimard, 1927, e 59
Carlo Enrico Rava, “Dell’europeismo in Architettura,” in Rassegna Italiana, December 1927,
Le nombre d’or. Rites et rythmes pythagoriciens dans le développement de la civilisation occidentale, oggi in Luciano Patetta, L’architettura in Italia, p.146.
Paris, Gallimard, 1931. 60
Ibid., pp.147-48.
42
Paul Valéry, Eupalinos ou l’Architecte, Paris, Gallimard, 1921, e L’Ame et la Danse, Paris, Galli- 61
Carlo Enrico Rava, “Premessa” in Nove anni di architettura vissuta, p.7.
mard, 1921. In italiano, Eupalino, o, Dell’architettura, Pordenone, Biblioteca dell’immagine, 1986. 62
Giorgio Ciucci, “Il dibattito sull’architettura e le città fasciste”, op. cit., p.328.
43
Paul Valéry, Introduction à la méthode de Léonard de Vinci, Paris, Éditions de la Nouvelle revue 63
AA.VV., “Un programma di Architettura,” Quadrante 1, May 1933, also in Luciano Patetta, pp.
française, 1919; in italiano, Paul Valéry, Introduzione al metodo di Leonardo da Vinci, Milano, Ab- 227-229. Quadrante era un mensile diretto da Massimo Bontempelli e Pietro Maria Bardi. Fu pub-
scondita, 2002. blicato del 1933 al 1936, e vi collaborarono Carrà, Giedion, Gropius, Léger, Le Corbusier, Lurçat,
44
Walter Benjamin, Schriften, Frankfurt, Suhrkamp Verlag, 1955; in italiano: Avanguardia e rivo- Mussolini, Melotti, Nervi, Pound, Sartoris, Severini, Terragni ed altri. Si veda (in inglese), David
luzione, Torino, Einaudi, 1973, p. 42. Rifkind, Battle for Modernism: Quadrante and the Politicization of Architectural Discourse in Fascist
45
Ibidem. Italy, Vicenza, Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio, Marsilio, 2012.
46
Cfr. la voce “Satie, Erik”, in Enciclopedia della musica, Milano, Rizzoli Ricordi, 1974, p. 510. 64
Alberto Sartoris, “Avvenire del funzionalismo,” in Quadrante 1, May 1933.
47
Alberto Savinio, Nuova Enciclopedia, Milano, Adelphi, 1977, p.375. 65
Cfr. La Casa Bella 3, Ottobre 1930, pp. 78-80. Sull’opera di Sartoris, si veda Jacques Gubler (a
48
F. Melotti, Sculture astratte, Milano, All’insegno del pesce d’oro, 1967. cura di), Alberto Sartoris, Lausanne, Ecole polytechnique d’architecture, 1978; Alberto Cuomo,
49
Massimo Bontempelli, Introduzione e discorsi, Milano, Bompiani, 1964, p.171. Alberto Sartoris, L’architettura italiana tra tragedia e forma, Roma, Edizioni Kappa, 1978; AA.VV.,
50
Giorgio De Chirico, “Estetica metafisica,” in Valori Plastici, Aprile-Maggio 1919; oggi anche in Progetti e assonometrie di Alberto Sartoris, Roma, Officina, 1982. Sulla Casa Morand-Pasteur, cfr.
Massimo Carrà, Metafisica ,Milano, Mazzotta, 1968, p.150. AA.VV., Alberto Sartoris—La Casa Morand-Pasteur, Roma, Veutro, 1983, con un scritto di Sartoris
51
Si vedano Cesare De Seta, La cultura architettonica in Italia tra le due guerre, Bari, Laterza, 1972, e sull’“Architettura rurale moderna.” Si veda anche Alberto Sartoris, Gli elementi dell’architettura
L’architettura del Novecento, Torino, UTET, 1981; Giorgio Ciucci, “Il dibattito sull’architettura e la città funzionale, Milano, Hoepli, 1935, and Encyclopédie de l’architecture nouvelle, Milano, Hoepli, 1948.
fasciste,” in AA.VV., Storia dell’arte italiano: Il Novecento, Torino, 1982; Luciano Patetta (a cura di), 66
Per una documentazione dettagliata, si veda A. Pansera (a cura di), Storia e cronaca della
L’architettura in Italia. 1919-1943. Le polemiche, op. cit,, AA.VV., Il razionalismo e l’architettura in Italia Triennale, Milano, Longanesi, 1978, pp. 245-273.
durante il fascismo, op. cit., e AA.VV., Gli Anni Trenta: arte e cultura in Italia, Milano, Mazzotta, 1982. 67
Piero Bottoni, relazione nel Catalogo ufficiale della IV Triennale internazionale delle arti decora-
52
See L. Ferrario, D. Pastore and Stefano Casciani (eds.), Giuseppe Terragni. La Casa del Fascio, tive ed industriali moderne. Maggio-ottobre 1930, Milano, 1930. Oggi anche in Controspazio, nº4,
Roma, Istituto MIDES, 1982, 68-sq.; Vittorio Savi (ed.), Luigi Figini e Gino Pollini: architetti, Milano, ottobre 1974, p. 10, numero monografico dedicato a Piero Bottoni.
Electa, 1980, p.12. Di grande interesse resta l’interpretazione “concettuale” di Peter Eisenman, 68
Charles Edouard Jeanneret, Lettera a L’Eplattenier, Vienna, 1908.
“La casa del fascio di Terragni”, in Casabella, gennaio 1970, nº 344; e il libro Eisenman, Giuseppe 69
Il viaggio di studio in Italia rientrava nella tradizione canonica di formazione degli allievi dell’Ecole
Terragni: Transformations, Decompositions, Critiques, New York, Monacelli Press, 2003. d’Art di La Chaux-de-Fonds. Cfr. AA.VV., Le Corbusier, Il viaggio in Toscana.1907, Marsilio, Venezia,

94 95
1987. Sul tema si veda in particolare il saggio di G. Gresleri, “Camere con vista e disattesi itinerari: 84
Stanislaus von Moos, Le Corbusier. Album La Roche, Paris-Milano, Fondation Le Corbusier-E-

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«Le Voyage d’Italie» di Ch. E. Jeanneret”, pp 3-26. Sugli anni della formazione si vedano inoltre: lecta, pp. 24-40. Si veda anche Stanislaus von Moos, “La leçon de Venise,” in Le Corbusier e
Jean Petit, Le Corbusier lui-même, Genève, Rousseau, 1970; Paul V. Turner, “The Beginnings of Le l’Antico, op. cit., pp. 84-97.
Corbusier Education. 1902-1907”, in The Art Bulletin n. 2, 1971; Id. The Education of Le Corbusier, 85
L’intero corpus fotografico eseguito dal giovane Jeanneret durante il viaggio dell’1911,
New York, Garland, 1977; Luisa Martina Colli, Arte artigianato e tecnica nella poetica di Le Corbusier, rivenuto e catalogato da Giuliano Gresleri, è stato posto alla base della mostra nelle sale del
Roma-Bari, Laterza, 1982; H. Allen Brooks, “Le Corbusier’s Formative Years” in The Le Corbusier Palazzo Reale di Napoli (1997). Sul tema: Leo Schubert, “Jeanneret, the City, and Photography,”
Archive, vol. I, New-York-Paris, Garland Architectural Archives and Fondation Le Corbusier, 1982; in Le Corbusier Before Le Corbusier, op. cit., pp. 54-67.
Id. “Gli anni della formazione di Le Corbusier a La Chaux-de-Fonds” in AA.VV. Le Corbusier 1887- 86
Cfr. Jean Petit, cit., trad. it. in Francesco Tentori, Rosario De Simone, Le Corbusier, Roma-Ba-
1965, Electa, Milano 1987. ri, Laterza, 1987, p. 6. Cfr. A A.V V., Le Corbusier pittore e scultore, Milano, Mondadori, 1986;
70
L’edizione in lingua francese del volume di John Ruskin Mornings in Florence (London, s.d., pub- AA.VV., Le Corbusier, Peintre avant le Purisme, Friburg, Office du Livre, 1987; A. Vowinckel, T.
blicata a Parigi nell’1907 con il titolo Les matins en Florence; tradotta in seguito anche in italiano Kesseler, Le Corbusier. Synthese des Arts. Aspekte des Spatwerks 1945-1965, Berlin, Ernst und
da A. Rassati, Viaggio in Toscana) ed il Voyage d’Italie di Hippolyte Taine (Paris, 1876) furono i due Sohn, 1986; Heidi Weber (a cura di), Le Corbusier. The Artist. Works from Heidi Weber Collection,
livres de chevet che Jeanneret condusse nel suo bagaglio di viaggio come principali referenti per i Zürich, 1988.
suoi itinerari toscani. Oltre ai già citati saggi del volume Viaggio in Toscana, sul tema si veda Carlo 87
Cfr. Benedetto Gravagnuolo, “Viaggi nella classicità: da Schinkel a Semper”, in Carlo
Cresti, “Esprit de Toscane” in Benedetto Gravagnuolo (a cura di), Le Corbusier e l’antico: Viaggio Cresti (a cura di), Gottfried Semper. Aggiunte e digressioni, Firenze, Pontecorboli ed., 1995.
nel Mediterraneo, Napoli, Electa Napoli, 1997, pp. 99-106. 88
Le Corbusier, Viaggio in Oriente, edizione critica cit., p. 347.
71
La prima edizione de Le voyage d’Orient si deve a Jean Petit che la diede alle stampe nel 1966 89
Quest’ipotesi è stata avanzata, con suggestive argomentazioni, da Stanislaus von Moos nel
per i tipi delle Editions Forces Vives, pochi mesi dopo la morte di Le Corbusier. Si veda Giuliano saggio su “Les Femmes d’Alger”, in Le Corbusier et la Méditerranée, op. cit., p.195. Si veda
Gresleri, Viaggio in Oriente, Venezia, Fondation Le Corbusier/Marsilio Edizioni, 1995 (1° ed .1984). anche Danièle Pauly, Le Corbusier: Albums d’Afrique du Nord, Bruxelles, AAM Editions, 2013.
72
Le Corbusier, “Confession” in L’Art Décoratif d’Aujourd’hui, Paris, Editions Cres, 1925, ried. 90
Cfr. Le Corbusier, Précisions sur un état présent de l’architecture et de l’urbanisme,
Paris, Editions Artaud, 1980, pp. 210-211, trad. it. Laterza, Roma-Bari,1972. Paris, Editions Crès, 1930; trad.it. (a cura di Francesco Tentori), Precisazioni sullo stato attuale
73
Sulla tradizione plurisecolore del Voyage d’Italie si veda il volume di Cesare de Seta, L’Italia dell’architettura e dell’urbanistica, Roma-Bari, Laterza, 1979. Sul tema della visione dall’alto
del Grand Tour, da Montaigne a Goethe, Napoli, Electa Napoli, 1992 (in particolare pp. 107-198 e dell’aereo veda inoltre Le Corbusier, Aircraft, London, The Studio ed., 1935.
relativa bibliografia). 91
Le Corbusier, “L’échelle humaine”, discorso tenuto in occasione del VIII CIAM di Hoddesdon.
74
L’itinerario tra le case visitate è peraltro deducibile dalle annotazioni tracciate a matita sulla Si veda inoltre William Curtis, “L’ancien dans le moderne”, in Architectures en Inde, Paris,
pagina degli scavi di Pompei del suo Baedeker L’Italie des Alpes à Naples, Paris, 1909. Moniteur, 1985.
75
Sul tema si veda: AA.VV., Pompéi. Travaux et envois des architectes français au XIXè siècle, Pa- 92
Le Corbusier, nota manoscritta in Le Corbusier et la Méditerranée, op. cit., p. 7.
ris-Rome, Ecole nationale supérieure des Beaux-Arts—Ecole française de Rome, 1981. 93
Le Corbusier, “Air, son, lumière”, discorso tenuto nell’agosto 3, 1933, CIAM IV, in Texnica
76
Cfr. Disegno a matita e acquerello su cartoncino datato e firmato, Pompéì 1911, Charles Edouard Xeonika, B IV nº 44-45-46, 1933; ripubblicato con il titolo Discours d’Athènes, in L’Architectu-
Jeanneret, Archivio della Fondation Le Corbusier nº 2859 (Cartella Langage des Pierres, re d’aujourd’hui», nº10, 1933, p. 81, trad.it. in Benedetto Gravagnuolo, Il mito mediterraneo
nº XII), riproposto in L’Esprit Nouveau, nº 15. Un disegno analogo è contenuto inoltre nel Carnet n° nell’architettura contemporanea, Napoli, Electa Napoli, 1994, p. 59. Si veda anche Eric Mumford,
4 in Le Corbusier, Carnets du Voyage d’Orient, a cura di Giuliano Gresleri, op. cit. The CIAM Discourse on Urbanism 1928-1960, Cambridge, The MIT Press, 2000.
77
Cfr. Antoine Chrysostone Quatremère de Quincy, Le Jupiter Olympien: ou l’Art de la Sculpture 94
Cfr. Le Corbusier, Le Modulor: essai sur une mesure harmonique à l’échelle humaine applicable
antique considéré sous un nouveau point de vue, Paris, Edition De Bure Frère,1815 (testo in parte universellement à l’architecture et à la mécanique, Boulogne, Editions de l’Architecture d’au-
trascritto da Leopoldo Cicognara in Estratto dell’opera intitolata «Il Giove Olimpico» ossia l’arte della jourd’hui, 1950. Traduzione italiana: Il Modulor: saggio su una misura armonica su scala umana
scultura antica considerata sotto un nuovo punto di vista del Signore Quatremère de Quincy, Venezia universalmente applicabile all’architettura e alla meccanica, Milano, Mazzotta, 1974.
1817); Jacques-Ignace Hittorff, L’architecture polychrome chez les Grecs, Paris, 1830 (prima ed. 1815). 95
Le Corbusier, Sur les quatre routes, Paris, Gallimard, 1941.
78
Le Corbusier, Vers une architecture, trad. it. cit., pp. 126-128 passim. Si veda Giuliano Gresleri, 96
Si confronti il disegno tratto dal volume di Auguste Choisy, Histoire de l’architecture, Paris,
“Il silenzio delle pietre, le parole dei numeri, la solitudine, il ‘deflagrante ricordo,’” in Benedetto 1899, p. 415, con quello pubblicato da Le Corbusier a p. 31 di Vers une architecture.
Gravagnuolo (a cura di), Le Corbusier e l’Antico, op. cit., pp. 71-83. 97
Auguste Choisy, op. cit., p. 419.
79
lvi, p. 187. 98
Gino Pollini, “Il IV CIAM,” in Parametro, n. 52, Dicembre 1976. Sul congresso, si veda Tex-
80
Giuliano Gresleri, “Il poema orientale”, in AA.VV., Le Corbusier, Il Linguaggio delle pietre, Venezia, nika-Xeonika, op.cit.; Quadrante nº 5, Settembre 1933, e Quadrante nº 13, Maggio 1934.
1988, p. 34. 99
Gino Pollini, “Cronache del quarto Congresso Internazionale di Architettura Moderna e
81
Kurt W. Forster, “Antiquity and modernity in the La Roche-Jeanneret Houses of 1923”, in Oppo- delle vicende relative alla sua organizzazione,” in Parametro nº 52, Dicembre 1976, pp. 19-21.
sitions, nº15 /16, 1973, pp. 131 sgg. 100
Ibidem.
82
Mogens Krustrup, “Tutto è questione di perseveranza, di lavoro e di coraggio”, in AA. VV., Le 101
Si veda la carta di Le Corbusier al sindaco di Alger (Brunel), in Le Corbusier, La ville radieuse:
Corbusier. Il Linguaggio delle pietre, op. cit., p. 41 sgg. éléments d’une doctrine d’urbanisme pour l’équipement de la civilisation machiniste, Boulogne
83
Le Corbusier, “Appunto datato Pompei 8 ottobre 1911”, in Voyage d’Orient, nuova edizione critica (Seine), Éditions de l’architecture d’aujourd’hui 1935.
di Giuliano Gresleri, op. cit., pp. 347-352. 102
Edoardo Persico, “Punto e a capo per l’architettura,” in Domus, Novembre 1934, anche in

96 97
Giulia Veronesi (a cura di), Edoardo Persico. Tutte le opere (1923-1935), Milano, Edizioni di Co- 114
“Ho disegnato iI paesaggio, risponde Malaparte, con un paradosso retorico al maresciallo

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munità, 1964. Il saggio di Persico può essere considerato fondamentale per una bibliografia tedesco Rommel, nella visita alla villa descritta nel suo romanzo La Pelle (Roma-Milano, 1949).
sul tema della “mediterraneità”. 115
Si veda Marida Talamona, Casa Malaparte, Milano, 1990.
103
Rimasti a lungo inediti, questi disegni sono stati interpretati e pubblicati dal Danese Mogens 116
Manfredo Tafuri, “L’ascesi e il gioco. Il metaforico naviglio di Malaparte e Libera a Capri,” in
Krustrup in an edition of 1986. Si veda Mogens Krustrup, Le Corbusier, l’Iliade, dessins, Copenha- Gran Bazar 15, 1981, pp. 92-99.
gen, Krustrup, 1986. Oggi anche in AA.VV., Le Corbusier et la Méditerranée, op. cit., pp. 200-209. 117
Su Adalberto Libera, si veda Gian Carlo Argan, Adalberto Libera, Roma, Editalia, 1975 ; Vieri
104
Bruno Salvatore Messina, Le Corbusier. Eros e Logos, Napoli, Clean, 1987. Quilici, Adalberto Libera. Architettura come ideale, Roma, Oficina, 1981; AA.VV., Adalberto Libera.
105
Gino Severini, Ragionamenti sulle arti figurative, Milano, Hoepli, 1936, p.154. Opera completa, Milano, Electa, 1989.
106
George Waldemar, Profits et pertes de l’art contemporain, Paris, Editions Chroniques du jour, 1933. 118
Alberto Sartoris, Encyclopédie de l’architecture nouvelle. Ordre et climat méditerranéens, vol. 1,
107
Edoardo Persico, Relazione per il concorso del Salone d’Onore, Milano, 1935. Milano, Hoepli, 1948. Su Sartoris dopo il 1945, si veda Enrique Granell Trias, “Impossible not to
108
Giuseppe Pagano and Guarniero Daniel, Architettura rurale italiana, Milano, Hoepli, 1936, p. 76. succumb to the song of the Sirens. Parallel 1933,” in J.LL. Sert and the Mediterranean, Barcelona,
109
Scrive infatti Peressutti: “Architetture di pareti bianche, rettangole o quadrate, orizzontali o Col.legi d’arquitectes, 1996, pp. 136-7.
verticaIi: architetture di vuoti e pieni, di colore e di forme, di geometrie e proporzioni…. Geometria 119
Le Corbusier, “Prefazione” a Eléments de l’architecture fonctionnelle, in Alberto Sartoris,
che parla, architettura che dalle sue pareti lascia trasparire una vita, un canto. Ecco, le caratte- Encyclopédie de l’architecture nouvelle, op. cit, p. 5.
ristiche dell’architettura mediterranea, dello spirito mediterraneo… Un patrimonio che scoperto
dai Gropius, dai Le Corbusier, dai Mies van der Rohe è stato camuffato come una novità di sorgente
nordica, come un’invenzione del secolo ventesimo”: Ernesto Peressutti, “Architettura mediterra-
nea”, in Quadrante, nº21, gennaio 1935. Ancor più scoperta era la polemica anti-Nord in un articolo
del 1928 di Gio Ponti: “La casa all’italiana non è il rifugio, imbottito e guarnito... contro la durezza
del clima, com’è delle abitazioni d’oltralpe…. Nella casa all’italiana non vi è grande distinzione di
architettura fra esterno e interno…. Il cosiddetto “comfort” non è nella casa all’italiana solo nella
rispondenza delle cose alle necessità, ai bisogni, ai comandi della nostra vita…. Codesto suo
“comfort” è in qualcosa di superiore, esso è nel’ darci con l’architettura una misura per i nostri
pensieri, nel darci con la sua semplicità una salute per i nostri costumi... nel che consiste, nel pieno
senso della bella parola italiana, il conforto”: in Gio Ponti, La casa a l’italiana, Milano, 1933, pp. 9-11.
110
“Il Mediterraneo, scrive Ponti, è grande e i suoi lidi dalle coste marocchine a quelle spagnole
a quelle francesi, alle sarde, sicule, alle italiane, tirreniche e adriatiche, alle greche, anatoliche,
palestinesi, egiziane, libiche, tunisine e algerine bagnano tanto diverse storie, civiltà e climi
che una definizione perentoria di architettura mediterranea che non si presti a disquisizioni e
rettifiche stilistiche non si può affrontare. Sta un fatto però che esiste una architettura, che
esistono dei muri che si sposano con pini e palme mediterranee, e con i cieli, i soli, le onde del
Mediterraneo. L’identificazione di questo carattere generale e l’arte d’impiegarlo costruendo è
essenziale per noi…. Non ripetiamo quindi per carità, con la più idiota delle imitazioni, l’errore
dei francesi che hanno rapidamente involgarito certi tratti delle loro riviere con i lotissements a
base di casette del più dozzinale e balordo provenzale”: Gio Ponti, “Architettura Mediterranea”,
Milano, 1941 (estratto della rivista Lo Stile nella casa e nell’arredamento); oggi in Fulvio Irace, La
casa all’italiana, Milano, Electa, 1988.
111
Sul tema dell’architettura coloniale si veda Riccardo Mariani, “Trasformazione del territorio
e città di nuova fondazione,” in AA.VV., Gli Anni Trenta, pp. 285-299; Riccardo Mariani, Fascismo
e città nuove, Milano, Feltrinelli, 1976; Giuliano Gresleri, Pier Giorgio Massaretti and S. Zagnoni
(a cura di), Architettura italiana d’oltremare, 1870-1940, Venezia, Marsilio, 1993.
112
Su Luigi Cosenza e l’architettura mediterranea, si veda Benedetto Gravagnuolo, “Colloquio
con Luigi Cosenza,” in Modo, nº 60, Giugno-luglio 1983. Cfr. Gianni Cosenza and Franscesco
Domenico Moccia (a cura di), Luigi Cosenza. L’opera completa, Napoli, Electa, 1987. Su Bernard
Rudofsky si veda Andrea Bocco Guarneri, Bernard Rudofsky: A Humane Designer, Wien/New
York, Springer, 2003.
113
Altri progetti da menzionare sono la Casa alla pompeiana (1934, Gio Ponti) e il progetto per
una casa a Procida (1938, Rudofsky). Cfr. Cherubino Gambardella, Case sul Golfo: abitare la costa
napoletana 1930-1945, Napoli, Gambardella, 1993.

98 99
Le politiche della Mediterraneità
2.1. Luigi Figini & Gino Pollini. Villa-studio per un artista, Milan, V Triennale, 1933. Da Catalogo della V
nell’architettura moderna italiana
02
Triennale, Milano, 1933.
Michelangelo Sabatino

Il panorama politico dell’Italia agli inizi del Ventesimo secolo come emergente nazione-stato è stato
plasmato da una complessa interazione di forze reazionarie e democratiche1. Palmiro Togliatti,
che fu a capo del Partito Comunista Italiano dal 1927 al 1964, una volta descrisse il fascismo
come una “ideologia eclettica”, dove un programma sociale democratico poteva coesistere con
gli ideali totalitari2. In questo complesso contesto politico, dai primi anni Venti fino ai primi anni
Settanta in Italia la nozione di un “ideale mediterraneo” agiva da catalista creativo per gli archi-
tetti modernisti. L’ideale di Mediterraneità affondava le radici nel dialogo tra il passato classicista
italiano e l’architettura vernacolare, l’anonima tradizione costruttiva sopravvissuta per secoli
nelle diverse regioni della penisola italiana (e nel bacino del Mediterraneo). Molti degli architetti
che si dedicarono alla perpetuazione della Mediterraneità durante il periodo fascista aderivano
ad un approccio progettuale che rifiutava a priori gli stili tipici dello storicismo del Diciannove-
simo secolo a favore di un approccio “razionale” che considerava la funzione, il contesto e il sito
come catalisti per la progettazione. Si è sostenuto che la questione della Mediterraneità cessò
di essere una forza nell’architettura italiana dopo la caduta del regime di Mussolini3. Se è vero
che i termini del dibattito attorno alla Mediterraneità e a tutte le implicazioni regionali, nazionali e
internazionali cambiarono notevolmente fra gli anni Venti e gli anni Cinquanta, è altrettanto vero
che fosse presente, fra gli architetti che operarono in Italia dopo la seconda guerra mondiale, un
rinnovato interesse verso le tradizioni vernacolari.
Il movimento razionalista, galvanizzato dalle nuove opportunità degli anni della ricostruzione,
gettò le basi per La Tendenza o Movimento neo-razionalista degli anni Sessanta e Settanta, che
spronò una rivalutazione critica dell’eredità razionalista e ben oltre in una mostra alla XV Triennale
di Milano del 1973 4. Fra le critiche alla mostra, ironicamente, furono i commentatori stranieri,
svelti a cogliere la continuità formale fra i “nuovi” razionalisti (Aldo Rossi et alia) e l’architettura
fascista5. Peter Eisenman, nel corso degli stessi anni, incorporò l’architettura del razionalista
Giuseppe Terragni nella propria metafisica formale6. Voglio dimostrare che tale appropriazione—
che coinvolga il classicismo o gli precedenti vernacolari—punta alla continuità piuttosto che alla
rottura durante un periodo storico caratterizzato da tale conflittualità e complessità7.
Subito dopo la guerra, i contadini dell’Italia rurale cominciarono l’esodo dalle campagne per
insediarsi nelle città. Questo enorme influsso di nuova manodopera rese possibile il “miracolo
italiano”, una rapidissima crescita industriale che determinò la grande prosperità degli anni
Cinquanta, soprattutto nelle principali città del Nord. Gli architetti, grazie a pensatori all’a-
vanguardia, soprattutto di sinistra, continuarono ad impegnarsi nelle diatribe in incubazione
negli anni interbellici, come la relazione fra tradizione e modernità , lo scambio fra valori e
condizioni rurali e urbane e le tipologie costruttive per residenze, edifici pubblici e infrastrut-
ture urbane. Questo mio saggio affronta come il perseverante interesse verso le forme e la
materialità delle costruzioni vernacolari diede forma al movimento razionalista e all’ideale di
Mediterraneità sotto il Fascismo, come gli edifici tradizionali realizzati da anonimi capomastri
o contadini venissero “riscoperti” o ri-valutati e riappropriati da architetti educati formalmente
per costruire l’immagine modernista dell’Italia degli anni Cinquanta, e di come tale movimento si
trasformò nel Neo-razionalismo nel corso degli anni Sessanta e Settanta. In senso lato il saggio
traccia la complessa storia di una nazione combattuta fra la propria eredità pre-industriale e
il contemporaneo sviluppo di una nuova identità forgiata dall’intensa industrializzazione post-
bellica e dai profondi tumulti sociali che ebbero inizio con l’Autunno caldo del 1969, sfociati poi
nelle diffuse proteste della classe operaia contro gli industriali.

101
Scrivere del passato, ineluttabilmente, svela le problematiche attuali, e non è un caso che la

LE POLITICHE DELLA MEDITERRANEITÀ NELL’ARCHITETTURA MODERNA ITALIANA | Michelangelo Sabatino


“cultura” dell’architettura italiana degli anni fra le guerre e la sua relazione con la politica venisse
rivisitata durante gli anni Sessanta e Settanta, quando inquietudine e disordini si manifestarono
fra la giovane generazione di architetti e intellettuali8.
La massa critica di pubblicazioni e mostre mette in discussione la percezione dell’architettura
fascista come un fenomeno monolitico a favore di una interpretazione più porosa ed eterogenea9.
Da un lato vennero respinti i concetti architettonici ideologicamente motivati durante il Fascismo
come lo Stile Littorio, Latinità e Romanità basati sullo sfruttamento della storia a scopo propagan-
distico; dall’altro, il Razionalismo interbellico fu risparmiato dalla forza demolitrice della storia
perché associato ad architetti che, sotto il Fascismo, lavorarono contro il Classicismo letterale
e storicista.

Razionalismo, Mediterraneità e il vernacolare


Dalla fine degli anni Venti, in Italia, gli architetti usavano il termine “Razionalismo” per descri-
vere un movimento dell’architettura moderna che dava priorità ai requisiti funzionali e tecnici,
oltre alle qualità spirituali associate alla tradizione e all’identità culturale. Tra il 1928, quando la
prima mostra dell’architettura razionalista fu promossa dal Movimento Italiano per l’Architettura
Razionale (MIAR), e il 1931, anno della seconda e ultima mostra che segnò la fine del Razionalismo,
infuriarono i dibattiti sul programma e sulla validità del movimento in riferimento all’agenda
politica fascista10. Adalberto Libera lo difendeva contro i critici che accusavano i razionalisti di
“internazionalismo” a detrimento degli ideali nazionalistici, asserendo che:
Ed è semplice constatazione, ma non per questo si deve credere (cosa che molti ci attribuiscono)
che Razionalismo sia in Architettura sinonimo di internazionale. Esistono ed esisteranno sempre
i caratteri nazionali, ma mentre tutti quelli dovuti a tecnica – confort – cultura, ecc., defniscono
i caratteri internazionali, rimangono a definirne quelli nazionali: il clima – l’Etica, ecc. ecc.11.
Sebbene il critico Edoardo Persico sanzionasse il Razionalismo come un più ampio fenomeno
europeo, egli rimproverò i razionalisti italiani per il loro opportunismo e per quanto percepiva 02
come un compromesso etico con l’agenda nazionalista e le manie di grandezza del regime fascista.
04
Persico guardava alla Romanità con il medesimo sdegno che provava verso la Mediterraneità:
Il “razionalismo” italiano è necessariamente refrattario dell’impeto delle tendenze europee,
perché in esso non è mai stata una fede. Così, dall’europeismo del primo “razionalismo”, si è
passato, con fredda intelligenza delle situazioni pratiche, alla “romanità” e alla “mediterra-
neità,” fino all’ultimo proclama dell’architettura corporativa12.
Poco prima della pubblicazione di questo commento, Alberto Sartoris usava i termini “moderno”,
“funzionale” e “razionale” in modo intercambiabile nell’introduzione del 1932 della sua analisi
dell’architettura funzionale13. Così egli definì il Razionalismo:
A differenza di quanto ci si aspetterebbe, il Razionalismo europeo non si limita alla meccanica,
statica o alla dinamica. Comporta anche idee scultoree che riflettono il desiderio imperituro
di liricismo e spiritualità facilmente soddisfatto nell’ambito del Razionalismo14.
Secondo Sartoris, il Razionalismo si basava su un complesso atteggiamento verso la progetta-
zione, che abbracciava problematiche sia spirituali sia pratiche. Proprio l’anno precedente alla
pubblicazione del libro di Sartoris, Giuseppe Pagano e i co-autori del progetto per Via Roma a
Torino, proclamarono che “l’architettura della nuova strada doveva essere razionale, anzi di più,
doveva essere risolutamente moderna”15.
Dall’estrema destra, Ardengo Soffici lanciava un attacco vitriolico ai Razionalisti: 03
Il Razionalismo architettonico, in modo non dissimile da altre espressioni pseudo-artistiche—è
di derivazione tedesca e anglosassone, quindi protestante. Il Razionalismo, e tutto quanto 2.2. Luigi Figini & Gino Pollini. Patio e pianta della Villa-studio per un artista, Milano, V Triennale, 1933. Da
Alberto Sartoris, Gli elementi dell’architettura funzionale, Milano, 1932.
gli somigli, non è altro che l’espressione di un’aggressione da parte dei nordici e protestanti
2.3. & 2.4. Pagine dal libro Architettura rurale italiana. Da Giuseppe Pagano and Guarniero Daniel,
contro Roma e la Latinità16.
Architettura rurale italiana, Milano, Hoepli, 1936.

102 103
Il giornale Il Selvaggio di Mino Maccari pubblicato fra il 1924 e il 1943 e il giornale L’Italiano di Leo

LE POLITICHE DELLA MEDITERRANEITÀ NELL’ARCHITETTURA MODERNA ITALIANA | Michelangelo Sabatino


Longanesi, promossero entrambi un programma anti-urbano, anti-moderno basato su valori
rurali in forte contrasto con il giornale rivale del movimento Stracittà, europeo, cosmopolita e
di breve durata, 900 Cahiers d’Italie et d’Europe22. Mentre i due movimenti Strapaese e Stracittà
sono tipicamente discussi come entità diametralmente opposte, alcuni architetti e artisti come
Carlo Carrà associarono il Classicismo al Primitivismo delle costruzioni rurali per esprimere
una certa solennità23.
Negli anni intensi fra le due guerre mondiali, quando il Fascismo dominava la sfera politica
italiana, quegli architetti razionalisti che abbracciarono la Mediterraneità lo fecero in contrasto
con la rigida e limitata agenda nazionalista definita da alcuni membri del regime di Mussolini.
L’eredità culturale internazionale del bacino del Mediterraneo è caratterizzata da “molte voci” e
tradizioni architettoniche e, in quanto tali, offrivano agli architetti razionalisti un ampio orizzonte
culturale nel quale forgiare il proprio stile di Modernismo mediterraneo24. Prima dell’avvento
degli stati-nazione nel secolo XIX e la riconfigurazione del paesaggio geopolitico europeo, il
05 bacino del Mediterraneo è stato teatro di una successione di imperi, da quello romano a quello
2.5. Luigi Piccinato. Patio e vista assonometrica della Casa ottomano, ognuno dei quali cercò di consolidare (solitamente in modo coercitivo piuttosto che
coloniale, Milan, V Triennale, 1933. Da La casa coloniale, volontario) tradizioni fra loro ben diverse. Tanto il monumentale quanto il vernacolare degli edifici
Milan, 1933. dell’antichità greco-romana che si estendevano su una vasta regione, dal Portogallo a ovest,
2.6. Gio Ponti & Bernard Rudofsky. Stanza della colombe, alla Turchia a est, fino all’Africa a sud, ispirò razionalisti italiani così diversi come Giuseppe
progetto per l’albergo San Michele, Capri, 1938. © Archivio Pagano e il Gruppo Sette, sette architetti che si unirono nel 1926 appena laureati per promuovere
Ponti, CSAC, Parma.
un’architettura moderna che accogliesse in modo creativo la tradizione, stemperando le qualità
universali della macchina con le qualità poetiche di cultura e contesto.
Sebbene gli architetti razionalisti italiani e i loro contemporanei della regione mediterranea
abbracciarono la tradizione, con le inevitabili trasformazioni che l’uso operativo del passato
comporta, rifiutarono la mera imitazione degli stili storici promulgata dagli esponenti del regime
fascista in nome di una sciovinistica Italianità. Proprio mentre la Scuola di Amsterdam, Alvar
06 Aalto, gli espressionisti tedeschi e altri movimenti modernisti in tutta Europa cercavano maniere
di integrare materiali e tecnologie costruttive tradizionali con quelli moderni e abbracciavano
Al centro della diatriba tra Nord e Sud e affrettandosi a difendere il Razionalismo da attacchi sia l’allegoria sia l’astrazione, i razionalisti approcciavano le forme tradizionali con un’agenda
nazionalistici come quello perpetrato da Soffici, gli autori del “programma” pubblicato nel primo progressista. A differenza della loro controparte reazionaria in Italia e altrove, essi guardavano
numero di Quadrante (redattori Pier Maria Bardi e Massimo Bontempelli), riuscirono a promuo- alla tradizione come fonte di creatività, mai imitandola pedissequamente né rinunciando al
vere il “Razionalismo intransigente” di Le Corbusier, Walter Gropius e Mies van der Rohe pur progresso in nome di glorie passate. Nel tentativo di conquistare Mussolini verso un’estetica
salvaguardando il Classicismo radicato nella Mediterreaneità meridionale17. modernista, il critico militante Pier Maria Bardi assalì gli architetti storicisti come culturalisti
Va sottolineato, a questo punto del saggio, che in quegli stessi anni il concetto del Mediterraneo si con la sua Tavola degli Orrori, un collage di edifici storicisti realizzati in Italia25.
andava espandendo ben oltre l’eredità classica fino ad includere anche la tradizione vernacolare. Un puntuale esempio è dato dal padiglione italiano di Armando Brasini all’Expo di Parigi del 1925.
E sebbene l’impatto del Classicismo su elementi chiave dell’architettura e urbanistica italiane Al confronto con il padiglione de l’Esprit Nouveau di Le Corbusier, dai colori e patio d’ispirazione
del Ventesimo secolo sia stato accuratamente studiato, l’altrettanto importante contributo del mediterranea, il padiglione di Brasini si mette in mostra come un pastiche storicista26. Invece di
vernacolare è stato di fatto trascurato. In particolare il ruolo giocato dall’architettura verna- semplicemente accettare un Classicismo altisonante o barocco dalle rigide simmetrie, ordini
colare nel dare forma al Razionalismo e all’evoluzione del concetto di Mediterreaneità è stato stilizzate, goffamente e indiscriminatamente ammassando materiali opulenti, i razionalisti
raramente oggetto di accurata ricerca18, laddove il potere rappresentativo e retorico associato ripiegarono verso una più elusiva Mediterraneità che si coagulasse formasse attorno alle tipo-
all’architettura classica ha invece impegnato numerosi storici ansiosi di dissezionare la difficile logie costruttive o elementi architettonici come le terrazze all’aperto, tetti-giardino, balconi,
relazione tra architettura e politica in Italia19. A differenza del vernacolare, che da meno di un portici, patio e cortili. Questi rappresentavano luoghi e spazi dello stile di vita mediterraneo
secolo è stato riconosciuto come categoria a sé dagli storici (nonostante la sua importanza nei vissuto tanto fra le mura domestiche quanto all’aria aperta. L’Italia settentrionale, a conferma,
lavori di figure maggiori come Sebastiano Serlio, Andrea Palladio e Karl Friedrich Schinkel, ha meno legami concreti con il Mar Mediterraneo e più affinità con le tradizioni costruttive delle
il classicismo ha consolidato il proprio significato in teoria e in pratica nel corso di numerosi regioni alpine. E con la nascita della “leisure class” italiana negli anni Cinquanta e Sessanta a
secoli, in parallelo alla nascita della professione dell’architetto20. seguito del boom economico, gli architetti razionalisti progettarono alberghi, stazioni climatiche
Se le geometriche proporzioni della sezione aurea riemersero seduttivamente nel Modernismo invernali (ski resort) e ostelli della gioventù nelle regioni alpine italiane sfruttando materiali e
classico (Novecento e Razionalismo) degli anni Venti e Trenta in Italia, l’appropriazione del tecniche locali per ottenere una provocatoria sintesi di tradizione e modernità. La costruzione
vernacolare “primitivo” delle varie regioni d’Italia generò disagio 21. in legno dai tetti spioventi dell’ostello della gioventù Pirovano di Franco Albini (1949-1951) e

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la Casa del Sole di Carlo Mollino (1947–1955) nella cittadina alpina di Cervinia, sebbene non stereotomiche delle costruzioni a volta in pietra tipiche del bacino mediterraneo, ma predili-

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riflettessero lo spirito della Mediterraneità, attingevano comunque alle tradizioni vernacolari il geva stabilità e robustezza alla trasparenza, stravolgendo così una delle ambizioni centrali
che li posiziona fermamente nel discorso antistoricista e razionalista27. del Modernismo. Reyner Banham, in una discussione sull’Unité d’Habitation di Le Corbusier a
Nonostante la maggior parte dei razionalisti attivi durante gli anni Venti e fin verso la fine Marsiglia, sottolinea come:
degli anni Trenta fosse coinvolta in progetti per edifici pubblici e quartieri popolari, l’ideale I Brutalisti non fossero gli unici a vedere che con questo edificio, l’architettura moderna era
mediterraneo permise ad una piccola minoranza di opporsi alla retorica manipolatrice del finalmente scesa a patti con ciò che l’Europa settentrionale in modo generico chiama “tradi-
regime fascista e all’estetizzazione della politica con le nozioni antropologicamente sovrapposte zione mediterranea”, un opinione espresso umoristicamente come “primo edificio moderno
di abitazioni costruite a misura di clima e geografia dei luoghi. Che si trattasse di case o ville per ospitare scarafaggi”.... Giusto o sbagliato che fosse, Le Corbusier aveva concesso ai
mono- o pluri-familiari con patio e i suoi insediamenti di nuove città sul litorale romano, o di suoi giovani lettori una visione di una grandiosa tradizione architettonica mediterranea37.
colonie estive per la gioventù, questi progetti diedero agli architetti fascisti “progressisti” con Altre sottili ma importanti differenze distinguono gli architetti che lavorano al Nord dalle loro
consapevoli aspirazioni sociali, l’opportunità di asserire valori tanto “italiani” quanto interna- controparti che operano al Sud, soprattutto nell’uso della tecnologia per risolvere la crescente
zionali nel processo di creazione del Modernismo mediterraneo28. Vale la pena sottolineare preoccupazione dell’igiene per le moderne dimore. Mentre slogan pubblicitari come “luce,
quanto poco avesse in comune questo ambizioso Modernismo mediterraneo, dalle implica- aria e trasparenza” diede ai funzionalisti settentrionali numerose opportunità di espressione
zioni internazionali e inter-regionali, con lo spirito competitivo del Regionalismo affiorante architettonica (per esempio grandi superfici in vetro), nel Sud il perseguimento della luce e
ovunque in Italia e in Europa come reazione al Nazionalismo29. A questo riguardo è possibile dell’ombra era meno materialista e tecnocratica e più spirituale. Il bagliore della luce naturale
fare un confronto fra il fenomeno modernista mediterraneo e la dimensione morale ed estetica che inondava le coste del Mediterraneo contrastava con il debole chiarore della luce elettrica
dell’utopia internazionale e inter-regionale di Bruno Taut abbozzata nel suo Alpine Architektur dell’età della macchina e portava con sé numerose associazioni simboliche per gli architetti
pubblicato nel 1918 subito dopo la fine della prima guerra mondiale30. meridionali che vedevano il bacino del Mediterraneo come luogo nativo del Classicismo e luogo
La dialettica fra tradizione, ispirata dalla nostalgia o dal raziocinio, e modernità è la chiave per di eventi mitologici38. Non è un caso che gli storici dell’arte abbiano scritto profusamente sull’ar-
comprendere il Modernismo italiano rappresentato da tendenze così diverse come il Razio- gomento della luce meridionale e del paesaggio mediterraneo nei dipinti da Paul Cézanne a
nalismo, Novecento, il Neorealismo e La Tendenza o Neorazionalismo 31. L’ideale mediterraneo Pablo Picasso, Giorgio De Chirico e altri39.
si basava su un dialogo con la storia in un momento in cui “un’eclisse della storia” regnava Per i modernisti a caccia della luce spirituale la religione non era un problema; e nemmeno
sovrana32. In quanto tale, fungeva da importante concetto di “resistenza” per gli architetti italiani, desideravano rinstaurare il “centro perduto” tanto compianto dal cattolico storico d’arte e
permettendogli di apportare un singolare contributo all’architettura e urbanistica europee e architettura, Hans Sedlmayr40. Al contrario, erano vicini ad una nuova spiritualità basata su
nord-americane del secolo XX. Secondo quanto scritto di recente da Alan Colquhoun sull’Italia
in un capitolo sul suo sviluppo architettonico fra il 1920 e il 1965:
Il fitto intreccio fra avanguardia architettonica e Fascismo in Italia durante il periodo “eroico”
dell’architettura moderna è sempre stato fonte di vergogna per gli storici dell’architet-
tura.... Gli architetti modernisti, da parte loro, simpatizzavano appieno con il movimento
che condivideva la loro antipatia del liberalismo del secolo XIX e il loro simultaneo desiderio
di modernizzazione e di ritorno alle antiche radici33.

Nord e Sud
La modernità del Nord fiorente in Germania, almeno finché il regime nazista ne ostacolò lo
sviluppo citando un’artificiosa distinzione fra “modernizzazione” e “modernismo”, era concet- 07
tualizzata attorno alla Industriekultur, un progetto che univa l’arte all’industria 34 . L’ideale
mediterraneo emergente nei paesi del Sud fra gli anni Venti e Trenta era meno definito da questa
sorta di fede nella tecnologia. Sebbene non opponesse resistenza all’innovazione, il modernismo
mediterraneo in Italia, Spagna, Grecia e Francia erano inclini all’utilizzo tanto delle nuove tecno-
logie costruttive e nuovi materiali quanto all’impiego di quelli tradizionali. Fatto salvo il futurismo
di Antonio Sant’Elia, un movimento bruscamente interrotto dalla sua morte prematura e dall’as-
senza di eredi convincenti delle sue idee visionarie, questi modernisti mediterranei erano meno
ansiosi di abbandonare del tutto l’artigianato e i modi tradizionali del fare35. La loro decisione era
tanto il risultato di proposizioni teoretiche quanto delle concrete possibilità disponibili all’epoca, 08 09

date le diverse velocità con cui i paesi del Mediterraneo introdussero l’industrializzazione e
l’industria della costruzione potesse tradurre in pratica tali cambiamenti. 2.7. Luigi Figini & Gino Pollini. Prospettiva, “Casa elettrica”, IV Triennale di Monza delle arti decorative e
industriali moderne, 1930. © Archivio Figini-Pollini, MART, Rovereto.
Nel meno industrializzato Sud, dove la manodopera era relativamente economica, gli architetti
2.8. Gio Ponti. Prospettiva, “Villa alla Pompeiana”, 1934. Da Domus 79, 1934.
tendevano all’esplorazione delle qualità scultoree del cemento armato o “pietra liquida” al
2.9. Luigi Figini e Gino Pollini. Assonometria della Villa-studio per un artista, Milano, V Triennale, 1933.
posto della più costosa controparte, l’acciaio 36. Non solo il cemento armato evocava le masse
© Archivio Figini-Pollini, MART, Rovereto.

106 107
un Razionalismo illuminato. Eppure, c’erano differenze fondamentali su come percepivano la

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modernità. Laddove architetti del Nord interpretavano i volumi disadorni come un rifiuto della
cultura e dello stile, il viaggio di Le Corbusier nel Mediterraneo orientale lo portò a scoprire
che la semplicità a sua volta è portatrice di valori culturali:
L’imbiancatura a calce esiste ovunque le genti abbiano preservato intatta l’equilibrata strut-
tura di un’armoniosa cultura. Quando si introduce un elemento estraneo contrastante con
l’armonia del sistema, il bianco calce scompare. Indi il collasso dell’arte regionale - la morte
della cultura popolare41.
La scelta del colore e del bianco-calce non solo evoca le tradizioni vernacolare e classica anco-
rate al passato (e alla natura ), ma trova parallelismi nei progetti contemporanei di espressionisti
tedeschi, come Bruno Taut che utilizza il colore per esprimere drammaticità e creatività. D’altro
canto, l’uso dei colori primari da parte degli architetti De Stijl, come Theo van Doesburg e Gerrit
Rietveld, è del tutto differente perché lo scopo è rafforzare l’astrazione utilizzando colori non 10 11

necessariamente reperibili in natura. Quando scelse l’intonaco rosso mattone per i muri di Casa
Malaparte (1938-1942) a Capri, Curzio Malaparte (con l’architetto Adalberto Libera e il muratore
Adolfo Amitrano) intendeva probabilmente creare un legame diretto con le non troppo distante
rovine di Pompei e le case multicolore dell’isola di Procida—un concetto lontano anni luce dall’a-
strazione dei puri blu, rosso e giallo della casa Rietveld-Schroeder a Utrecht (1924). A conclusione,
per i modernisti mediterranei che aderirono al Razionalismo, la tradizione mitigava la macchina
con la poesia e il liricismo42. È dovuto ai pregiudizi anti-materialisti di numerosi architetti italiani
addestrati alla scuola segnata dal Neo-idealismo di Benedetto Croce che il movimento del Raziona-
lismo sia stato distinto dal Funzionalismo43. Questi erano gli anti-funzionalisti identificati da Adrian
Forty: “La liberazione offerta dal funzionalismo ha avuto breve vita: a partire dalla fine degli anni
Trenta molti della prima generazione di modernisti europei erano ansiosi di non produrre nulla
che potesse venir descritto come ‘funzionalista’44. Sebbene condividessero molte similitudini, il 12
Funzionalismo venne abbandonato perché interpretato come termine che descriveva una risposta
al programma, laddove Razionalismo era idealmente associato ai “primi moderni” e implicava
una traiettoria che andasse dalla Rivoluzione Francese a Le Corbusier45.
Nel dopoguerra, l’ideale mediterraneo ricomparve fra gli architetti italiani, molti dei quali si
identificavano con il Razionalismo ed avevano già lavorato sotto il regime fascista. Invece delle
colonie estive e delle nuove città fasciste, i quartieri popolari per il proletariato operaio presen-
tavano nuove sfide per la professione. Le differenze di opinione sviluppatesi nel corso degli anni
Venti fra gli architetti estremisti del Nord e del Sud che presentavano attitudini ben diverse nei
confronti della tecnologia e della tradizione continuavano a caratterizzare la produzione post-
bellica. Anzi, i segni che il dibattito si andasse allargando fino ad includere diverse generazioni
di architetti cominciarono ad apparire in vari libri e riviste. Il vernacolare del Mediterraneo meri-
dionale cominciò ad essere discusso come fonte del Modernismo tout court nel corso di quegli
anni. Per esempio l’importante saggio di James Stirling su Regionalism and Modern Architecture
(Regionalismo e architettura moderna) pubblicato nel 1957 asseriva che:
13
I capitoli visivamente più stimolanti del recente libro di Kidder-Smith, Italy Builds, non erano
quelli sull’Italiano Moderno e sul Rinascimento italiano, ma quelli sull’architettura anonima
dell’Italia46.
Il saggio di Stirling sul Regionalismo e architettura moderna va compreso nel contesto dei suoi
precedenti articoli su Le Corbusier nei quali l’architetto inglese esaminava la cappella di
2.10. Giuseppe Vaccaro. Colonia AGIP, Cesenatico, 1938. © Archivio Giuseppe Vaccaro.
Ronchamp in relazione alla presunta “crisi del Razionalismo”47. Confrontato dalla perplessità
nata dalle referenze di Le Corbusier al vernacolare mediterraneo nella sua cappella Ronchamp, 2.11. Giuseppe Terragni, Casa Rustici, Milan, 1933-35. Da Domus 13, 1935.

Stirling si domanda: “se l’architettura popolare deve servire a rivitalizzare il movimento, sarà 2.12. Giuseppe Pagano, Franco Diotallevi, and Irenio Marescotti. “Città orizzontale”, 1940. Da Costruzioni-
Casabella, 148, 1940.
prima d’obbligo determinare che cosa è che si considera moderno nell’architettura moderna.”
2.13. Adalberto Libera. Case a patio nell’Unità di abitazione orizzontale a Tuscolano, Roma, 1950-54. Da
Il dibattito sulla “crisi del razionalismo” scatenato da un “irrazionale” Ronchamp (con la sua
Casabella-Continuità 207, 1955.

108 109
L’Italia serve da esempio della difficoltà di una nazione a reinventarsi quando le sue città

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sono perseguitate dai fantasmi di glorie passate e tali memorie vengono sfruttate apposta
per confondere il suo presente 53 .
Negli anni Trenta, diversi architetti italiani hanno mostrato interesse per la casa mediterranea
(e quindi italiana) con patio. La casa con patio, appartenente tanto alla tradizione classica quanto
a quella vernacolare, si mostrò adattabile ai requisiti funzionali dell’abitazione moderna, ma
favoriva anche lo stile di vita mediterraneo dove parte della giornata viene trascorsa all’aperto.
La casa con patio, principalmente ambito dei clienti dell’alta e ricca borghesia, con i suoi elementi
comuni (atrio e spoglie pareti perimetrali che servono a proteggere la casa piuttosto che a
rappresentare il proprietario con elaborate facciate), si presta alla ripetizione e all’anonimato.
Per gli architetti razionalisti, la casa col patio era l’espressione di un’efficace pianificazione di
spazi limitati; per i nazionalisti e per gli storici (i “culturalisti” di Bardi), era un’espressione di
Italianità da sfoggiare al resto del mondo. Mettendo a confronto l’appropriazione della casa con
patio si capisce facilmente le diverse tendenze del Modernismo italiano durante gli anni Venti
e fin negli anni Quaranta, prima della fine della guerra.
Negli scritti dei primi anni Trenta del periodico di breve durata Arte Mediterranea, l’architetto
2.14. Le Corbusier, Casa del Noce, Pompeii (Carnet, Voyage d’Orient, 1911, p. 113). © Fondation Le Corbusier.
Giovanni Michelucci sottolineava come il disegno della casa pompeiana fosse basato sul senso
tavolozza ibrida di struttura e materiali) aprì nuove possibilità per ridefinire la relazione fra umanista delle proporzioni. Egli proseguì con una critica del revival pompeiano, che chiamava
modernità e tradizione che influenzò poco dopo la direzione di La Tendenza (Neorazionalismo). “Pompeianesimo”, che era centrato più sullo stile che sull’esperienza dello spazio. Michelucci
Nel dopoguerra, sotto la neoformata Repubblica democratica, la Mediterraneità venne strategi- favorisce le dimensioni razionale e logica rispetto a quella ideologica:
camente rivisitata e trasformata per liberarla dalla sua associazione con le iniziative fasciste. La necessità di un rifugio, spinse l’uomo a creare un ambiente che rispondesse ai suoi
Per questa ragione venne così ad essere incorporata in dibattiti sulla “continuità” e sul “Neore- bisogni. I principi umanisti della progettazione sono la chiave dell’architettura pompeiana 54 .
alismo”. Diverse forme di continuità non erano affatto sorprendenti dato che, a differenza della Michelucci stesso non aveva disegnato case con patio, ma il suo apprezzamento dei principi
Germania, i cui architetti progressisti avevano abbandonato il paese per andare in Inghilterra cardine della progettazione svelano come non fosse interessato allo stile pompeiano ma piut-
e negli Stati Uniti, la maggior parte degli architetti che avevano lavorato nell’Italia fascista tosto all’architettura come facilitatrice dello stile di vita.
continuarono la professione nel dopoguerra. Alcuni progetti dell’era fascista come Via della Sebbene sia rimasta solo un prototipo, la Villa-Studio per un artista progettata da Luigi Figini e
Conciliazione a Roma di Marcello Piacentini vennero in realtà portati a compimento nel dopo- Gino Pollini per la Quinta Triennale di Milano nel 1933 era uno dei primi esempi di architettura
guerra48. Sebbene alcuni esempi di edilizia popolare avessero re-introdotto le tipologie associate razionalista che svela l’impegno di realizzare un Modernismo mediterraneo che fosse “Italiano” e
con l’ideale mediterraneo (si veda il quartiere popolare delle case INA proiettato da Libera a razionale. Per rassicurarsi, Milano è più vicina alle Alpi che al Mar Mediterraneo, quindi bisogna
Roma Tuscolano) la maggior parte degli architetti abbandonarono il vernacolare classico e abbandonare l’incredulità. L’edificio su un piano, con tetto piatto era organizzato attorno a diversi
guardarono alla varietà formale e alla densità delle città collinari italiane per esprimere un cortili all’aperto che potevano dare all’abitante l’opportunità di godere gli spazi esterni come
nuovo riavvicinamento postbellico fra la “gente” e i progettisti. Sebbene la classe lavoratrice estensione di quelli interni. Crucialmente, il loro progetto non replicava le qualità di simmetria
avesse beneficiato dell’edilizia sociale sotto il fascismo si trattava pur sempre di una rela- assiale tipiche di una domus, con il suo atrio come elemento spaziale dominante. Gli architetti
zione di potere dall’alto verso il basso (paternalistico) invece di una collaborazione di base che (fondatori del Gruppo Sette) ricrearono spazi che davano agli abitanti una vista sull’esterno e
caratterizza lo scambio. Questo cambiamento nella relazione di potere era ben evidenziato dal spazi ombreggiati all’aperto, uno dei quali conteneva un impluvium55. Sul prospetto esterno alle
nuovo cinema del Neorealismo dove si descriveva la vita di gente comune invece delle banali e superfici imbiancate erano giustapposti mattoni a vista e pareti colorate (azzurro, marrone,
pompose epopee romane e altre forme di propaganda49. pesca) a richiamare il cielo e la terra. Figini e Pollini arrivarono alla sintesi delle moderne
tecnologie costruttive con modelli tradizionali per abitazioni come la casa con patio. Solo tre
La casa con patio rivisitata anni dopo, il team disegnò “un’ambiente con sala e terrazzo” (1936), per il quale essi descrissero
Allo stesso momento in cui Benito Mussolini delineava verso la fine degli anni Venti l’agenda l’assestata posizione conciliatoria tra l’estetica organica (vernacolare) e quella dell’età della
nazionalistica per le arti, consolidata alla fine degli anni Trenta, egli incoraggiava gli architetti macchina56. Coerente con questa verbale descrizione del progetto, i progettisti usarono pareti
a evitare l’imitazione del passato e ad usare la loro creatività per migliorarlo: di vetri da cielo a terra assieme al pavimento lastricato di pietra e oggetti anonimi vernacolari
Sul fertile substrato del passato un’arte nuova e grandiosa rinascerà che sia contemporanea- come tavoli e sedie in legno e vimini.
mente tradizionalista e moderna. Noi dobbiamo creare, altrimenti siamo semplici sfruttatori Una quindicina di anni più tardi, gli scritti di Figini sul vernacolare italiano e mediterraneo dimo-
della nostra eredità. Dobbiamo creare un’arte nuova per la nostra epoca, un’arte fascista 50 . strano “continuità” fra gli interessi inter-bellici e post-bellici. In due articoli sull’architettura
La sua visione di un’arte che fosse tradizionale e moderna era radicata nel costruire sulle reliquie naturale a Ischia e a Ibiza, l’autore coglie l’opportunità di riflettere sulle recenti tendenze nella
del passato, e in quanto tale andava contro l’approccio radicale della tabula rasa51. Infatti, gli storiografia dell’architettura moderna57. Citando Spazio, tempo ed architettura: Lo sviluppo di una
impulsi avanguardisti erano tutt’altro che assenti dall’arte e architettura fasciste, nonostante nuova tradizione (1941) di Sigfried Giedion, Figini indicava la tendenza di diversi commentatori
gli usi strumentali del regime52. Nel saggio Massa e potere, Elias Canetti osservò: dell’architettura moderna a sopravvalutare il contributo della tecnologia e quello dei movimenti

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avanguardisti della pittura come il Cubismo e il Purismo. Figini rimproverava i critici per la loro Tradizione e “liricismo” erano ciò che permetteva a questi razionalisti di andare oltre il Funziona-

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riluttanza a riconoscere ciò che sentiva fosse un egualmente importante contributo del Sud. lismo. Il liricismo era fortemente associato al concetto di Mediterraneità abbracciato dai membri
Analizzando le premesse intellettuali della Mediterraneità nello sviluppo del Razionalismo, del Gruppo Sette verso la fine degli anni Venti, che in seguito appoggiò il “pensée midi” della
Figini la vede come strumentale nella “smeccanizzazione” o de-meccanizzazione e nello “sgelo” rivista Quadrante68. Sebbene il Gruppo Sette si fosse sciolto nel 1930, ai suoi membri fondatori
del Modernismo. Egli conclude il suo saggio con un richiamo ai valori fondamentali dell’archi- si unirono numerosi altri architetti nel chiarire e difendere il loro approccio al Razionalismo nel
tettura vernacolare: “Programma”, pubblicato nel primo numero di Quadrante. Nel periodo in cui venivano interrogati
Una lezione di moralità e di logica (semplicità, sincerità, modestia, umiltà, rispondente alla dalle autorità fasciste per aver tradito l’Italianità, il gruppo progrediva con la propria agenda
necessità, rinuncia del superfluo, adattamento alla dimensione umana, adattamento alle progettuale che includeva una risposta anti-accademica al Classicismo e alla Mediterraneità69:
condizioni locali e ambientali). Una lezione di vita (grande impiego di elementi “mediatori” Si impone un chiarimento sulle caratteristiche del Razionalismo italiano. Noi apprezziamo
fra vita all’aperto e al chiuso: logge, terrazzi, portici, pergole, patio, giardini recintati. Una classicismo e “Mediterraneità” sulla base della loro dimensione spirituale e non come
lezione di stile (anti-decorativismo, amore per superfici lisce e per soluzioni scultoree semplici strumenti per esercizi di stile o revival pittoreschi. Noi vediamo il classicismo e
elementari, il sito e “la cornice” di edifici nel paesaggio)58. la “Mediterraneità” come antagonisti di certi approcci di architetti del Nord, revival barocchi e
Se il progetto di Figini e Pollini per la Villa-Studio si impossessa della casa con il patio italiana arbitrari romanticismi, che caratterizzano anche alcune delle nuove architetture europee70.
o mediterranea, con la sua mescola di elementi classici e vernacolari, senza sentire l’obbligo Gli architetti che si identificavano col circolo di Quadrante volevano sfruttare le qualità visuali
di classicizzarla spudoratamente, il progetto di Giò Ponti per una “Villa alla pompeiana” di un dei possenti paesaggi mediterranei, fantastici e intrisi di sole e l’eredità culturale che aveva
piano (1934) è completamente diversa. Con la sua pianta perfettamente quadrata, patio centrale, già soggiogato gli artisti. Le Corbusier era molto ammirato da questo gruppo. Nel 1933 diversi
facciata di stucco rosso pompeiano e tetto leggermente inclinato, la villa di Ponti è più vicina delegati italiani del CIAM, come Giuseppe Terragni, Figini, Pollini incontrarono Le Corbusier
allo spirito classico tipico di Novecento che al vernacolare-classico della Villa-Studio di Figini e a bordo del Patris II in rotta da Marsiglia ad Atene71. Dal 1928, anno della fondazione, al 1959
Pollini59. Nonostante l’approccio di Ponti verso l’interno delle mura domestiche italiane appaia quando venne sciolto, organizzazioni internazionali come il Congrès International d’Architecture
più pragmatico che ideologico, il suo approccio all’identità nazionale è dichiaratamente politico. Moderne (CIAM) offrì importanti opportunità agli architetti italiani che si identificavano con il
Nell’apertura dell’editoriale di Domus, egli scrisse: Razionalismo e la Mediterraneità per costruire alleanze con colleghi fuori dall’Italia di opinioni
La casa all’italiana non è un rifugio stipato e serrato contro il clima rigido, come è il caso di similari72. Dopo aver letto Vers une architecture (1923) di Le Corbusier, i membri del Gruppo
chi vive dall›altro lato delle Alpi, dove per lunghi mesi la gente cerca di ripararsi dal clima Sette, come Carlo Enrico Rava, scrissero all’architetto franco-svizzero: “L’origine delle nostre
inclemente. La casa italiana è fatta per lasciarci godere la bellezza che ci regalano la nostra idee si trova dentro alle sue; quindi è a lei che siamo intellettualmente debitori”73. Non stupisce
terra e il nostro cielo nel corso delle lunghe stagioni60. che questi italiani fossero schiavi del Razionalismo e adorassero l’architetto franco-svizzero
Per chiarezza, la casa pompeiana con patio era di interesse per i tradizionalisti e modernisti che aveva fuso antichità e l’art paysan, e per i quali la villa in Francia di Madame de Mandrot
tanto dei paesi settentrionali quanto di quelli meridionali61. Per esempio, Tony Garnier nel suo (1930–31), mecenate del CIAM, sintetizzava la Mediterraneità74.
Une cité industrielle (1918) adotta la casa col patio62. Le Corbusier, attingendo al suo viaggio nel Gli architetti razionalisti si trovavano costantemente sotto attacco da storici e architetti nazio-
Mediterraneo in Toward an Architecture (1923), proietta i valori moderni del Existenz minimum nalisti perché i loro progetti erano ispirati da fonti non-italiane. Enrico Peressutti, membro
sulla Casa del Noce a Pompei che visitò e disegnò: di Studio Architetti BBPR fondato nel 1932 e parte dell’ambiente di Quadrante, rispose a tali
Dal clamore della strada pullulante che è per tutti e ricca di pittoreschi accadimenti, siete affermazioni sottolineando l’eredità italiana e internazionale del vernacolare mediterraneo. Nel
entrati nella casa di un Romano. Maestosa grandiosità, ordine, una splendida ampiezza: suo articolo “Architettura mediterranea,” pubblicato su Quadrante nel 1935, Peressutti scrisse:
ti trovi nella casa di un Romano. Quali erano le funzioni di queste stanze? Questo è irrile- Eccoli tutti qui, ricreati nelle case di Biskra, nelle case della Libia, nelle case di Capri. Questa
vante. Dopo venti secoli, senza riferimenti storici, siete coscienti dell’Architettura, e stiamo è l’eredità che noi Italiani ignoriamo troppo spesso, o vogliamo ignorare; un patrimonio
parlando di ciò che in realtà è una casa minuscola63. che abbiamo trascurato come se fosse un semplice documento con un valore puramente
L’interesse di Le Corbusier nella casa pompeiana è particolarmente significativo nel contesto storico. ... Un patrimonio che, riscoperto da Gropius, Le Corbusier, Mies van der Rohe, è
della Villa-Studio di Figini e Pollini. Entrambi i progettisti erano fra i fondatori del Gruppo Sette stato mascherato come un’innovazione di origini nordiche, un’invenzione del Ventesimo
e avevano collettivamente stilato il primo manifesto pubblicato nel 1926 e 192764. I loro scritti secolo. E molti sono stati ingannati. Molti hanno confuso questo travestimento per una vera
dovevano molto, in stile e contenuto a Vers une architecture di Le Corbusier, e annunciava l’avvento novità, per una legge universale. Senza rendersi conto che a questa novità manca la vitalità,
di una nuova epoca arcaica65. In questi scritti avallavano energeticamente il rifiuto di Le Corbusier manca il linguaggio, manca la musica del Mediterraneo75.
dello storicismo accademico e abbracciavano la relazione “vivente” con l’architettura del passato66. Peressutti stava scrivendo per difendere le origini “autentiche” della condivisa eredità verna-
L’atteggiamento conciliatorio è fondamentale per capire perché Le Corbusier era una guida così colare e del suo ruolo nel Modernismo mediterraneo che rispondeva al luogo e al contesto.
importante per gli architetti italiani che anelavano a ripensare e non semplicemente a rifiutare Peressutti analizzava le sue preoccupazioni in un momento in cui le discussioni relative alle
il passato. Nel passaggio tratto dal manifesto del 1926 Architettura del Gruppo Sette si legge: colonie mediterranee dell’Italia sollevavano i fantasmi dell’ibridazione e dell’autenticità.
Qui, in particolare, esiste una base classica. Lo spirito (non le forme, che sono qualcosa di Richiama il progetto razionalista per una Casa Coloniale di Luigi Piccinato basata sulla tipologia
completamente differente) della tradizione è cosi profondo in Italia che chiaramente e quasi di una casa con cortile e presentata nel 1933 alla Triennale di Milano76. Commenti dei critici
meccanicamente, la nuova architettura mantiene un’impronta che è tipicamente nostra. fuori dall’Italia sostenevano l’affermazione di Peressutti che il vernacolare mediterraneo, con
E questa è di suo già una grande forza, dato che la tradizione, come abbiamo detto, non i suoi tetti piatti e volumi “cubisti”, era visto come fonte del Modernismo mediterraneo il quale,
scompare, ma cambia aspetto 67. a sua volta, aveva influenzato i movimenti modernisti europei del Nord.

112 113
Il confronto di Paul Schultze-Naumburg fra un villaggio sull’isola greca di Santorini e il Weis-

LE POLITICHE DELLA MEDITERRANEITÀ NELL’ARCHITETTURA MODERNA ITALIANA | Michelangelo Sabatino


senhofsiedlung in Stuutgart ne è un classico esempio, così come il collage del 1941 ben più
aggressivo (e razzista) del tedesco Heimatschutzbund in cui la tenuta del Weissenhof veniva
paragonata ad un villaggio arabo77. Nonostante i toni razzisti di queste attribuzioni, l’osservazione
di Peressutti mostrava una profonda comprensione dell’architettura pan-mediterranea con la
sua attenzione alla relazione fra sito, clima e edificio. Questa è la posizione reiterata alcuni anni
dopo da Gio Ponti quando ampliò la sua più ristretta visione iniziale per abbracciare un’eredità
mediterranea ben più inclusiva e condivisa:
Il Mediterraneo è grande e i suoi littorali lungo le coste di Marocco, Spagna, Francia,
Sardegna, Italia, Tirreno e Adriatico, Grecia, Anatolia, Palestina, Egitto, Libia, Tunisia e
15
Algeria sono stati bagnati da diverse storie, civilizzazioni e climi78.
Non è improbabile che la sua collaborazione progettuale con Bernard Rudofsky su un albergo
piuttosto esteso a Capri con numerose “case-stanze” vernacolari dalle bianche pareti e tetti
piatti abbia portato Ponti a rivedere la sua precedente dipendenza dal linguaggio classico di
Novecento.79 Dopo l’esperienza di collaborazione con Rudofsky, Ponti progettò ville di vacanza al
mare. Assieme, le superfici delle pareti a calce, i tetti piatti e i colorati interni riecheggiavano la
modestia dell’esistente vernacolare mediterraneo mentre promovevano “il lusso dello spirito”80.

Capri e i futuristi
Con l’inizio degli anni Venti Capri era divenuta una destinazione di pellegrinaggio per artisti e
architetti che guardavano con interesse alle sue forme vernacolari per diverse ragioni81. Il clima
di Capri, l’interazione fra architettura e paesaggio, assieme al fatto di essere remota, inspirarono
e rilassarono viaggiatori di tutto il mondo. Dopo la prima guerra mondiale, grazie agli sforzi
del carismatico sindaco Edwin Cerio, un ingegnere divenuto politico (1875-1960), l’isola (come
17 16
la riviera francese e altre destinazioni mediterranee inclusa Ibiza) divenne un rifugio di artisti,
architetti, intellettuali e attivisti della protezione del patrimonio storico ambientale da tutto il
2.15. Virgilio Marchi. “Primitivismi capresi”. Da Cronache d’attualità 6-10, 1922.
mondo. 82 In un discorso fatto nel 1922 al Convegno del Paesaggio a Capri, Filippo Tommaso
2.16. Angiolo Mazzoni, Edifizio postale, Sabaudia, 1934. Foto Jean-François Lejeune.
Marinetti elogiò lo “stile pratico” dell’architettura locale. Egli celebrò l’architettura locale
2.17. Fortunato Depero. Chiesa di Lizzana, 1923. © La Casa d’Arte Futurista Depero, Rovereto.
vernacolare dell’isola per le sue qualità razionali piuttosto che per quelle pittoresche e asserì:
Credo che questa sia un’isola futurista; la sento ricca di un’infinita originalità come se contemporaneo 88 . In copertina riprodusse il progetto di una centrale idroelettrica - uno dei tipi
fosse stata scolpita da architetti futuristi come Sant’Elia, Virgilio Marchi, dipinta da Balla, architettonici più moderni del Ventesimo secolo - che richiama le qualità scultoree e stereo-
Depero, Russolo, Prampolini, e cantata e resa musicale da Francesco Cangiullo e Casella83! tomiche che aveva riprodotto nei disegni delle coste vernacolari di Capri e d’Amalfi pochi anni
Nonostante il suo grido di guerra nel Manifesto del Futurismo del 1909 di “liberare questa terra prima. Nel suo libro così come nel suo Italia nuova, architettura nuova del 1931, Marchi espresse
[l’Italia] dalla puteolente gangrena di professori, archeologi, ciceroni e antiquari,” più di dieci la sua ammirazione per “l’ingegnosa spontaneità” dell’architettura di Capri89. Con questi volumi
anni dopo egli esonerò l’architettura vernacolare, risparmiando la sua ira anti-storicista e Marchi cercò di posizionarsi come l’erede vivente di Sant’Elia, promotore di un’architettura
proclamando che giacevano oltre il flusso della storia dello stile 84. Marinetti vide la bellezza futurista, dopo la prematura fine di quest’ultimo.
e la libertà nel drammatico e imprevedibile paesaggio di Capri perché rifiutava “ogni tipo di Il dialogo sulle tradizioni classiche e vernacolari fra gli artisti e architetti plasmò il modernismo
ordine reminiscente del classicismo”85. italiano interbellico incantato dalla Mediterraneità. Per esempio, l’influente artista e scrittore
I futuristi erano, paradossalmente, interessati sia nel mito della macchina sia nel presunto Carlo Belli fra i collaboratori nel circolo di Quadrante riflettendo sull’interesse nella Mediter-
carattere primitivo dell’architettura vernacolare e dell’arte paesana. L’uso del vernacolare non raneità e nel classicismo (da lui chiamato Grecità) scrisse:
implicava la fine dell’avanguardia, piuttosto un riquadramento dei suoi obiettivi; l’apparente Il tema della “mediterraneità” e “grecità” era la nostra stella polare. Scoprimmo presto
opposizione della macchina prodotta in massa senza un contesto e un paesaggio carico di storia che un bagno nel Mediterraneo ci avrebbe ancora una volta svelato i valori sommersi dalle
in realtà coincidevano e si influenzavano reciprocamente. Nel 1922, Virgilio Marchi (1895–1960), sovrimposizioni gotiche e dalle fantasie accademiche. C’è un importante scambio di lettere
un architetto e scenografo noto per il suo stile futurista-espressionista, in un breve saggio su questo tema tra me, Pollini, Figino e Terragni. Ci sono inoltre i miei articoli su diverse
illustrato, “Primitivismi capresi”86, pubblicato in Cronache d’attualità, la rivista avanguardista riviste, particolarmente polemici verso Piacentini, Calza Bini, Maraini e altri, posseduti dal
di Anton Giulio Bragaglia, elogiò l’architettura vernacolare di Capri e della costiera amalfitana culto per il littorio romano.... Abbiamo studiato le tecniche di costruzione del vernacolare
come ispirazione per i progettisti contemporanei87. di Capri, per capire perché erano costruiti in quel modo. Abbiamo scoperto la loro auten-
Due anni dopo nel suo Architettura futurista (1924), Marchi elaborò sulla “virtù innata dei costrut- ticità tradizionale e abbiamo capito che la loro razionalità perfetta coincideva con i valori
tori primitivi” nella sua discussione sulla relazione tra la tradizione vernacolare e il design estetici ottimali90.

114 115
Nonostante la piattaforma comune e l’apprezzamento per le tradizioni classiche e vernacolari,

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ci sono differenze sostanziali tra gli approcci di razionalisti come Giuseppe Pagano e Edoardo
Persico, che criticavano apertamente l’ambiente di Quadrante per l’“eccessivo” liricismo (in
altre parole la mancanza di adesione alla Nuova Oggettività della Nuova Architettura). Sebbene
la promozione di Pagano delle tradizioni vernacolari italiane e mediterranee tramite la sua
mostra Architettura rurale italiana alla Triennale di Milano nel 1936 proiettasse anche questioni
di nazionalismo sulla modernità, il suo approccio verso la casa con patio era più diretto e meno
consapevolmente “poetico”. Gli schemi di Giuseppe Pagano, Franco Diotallevi e Irenio Marescotti
per una “Città orizzontale” (1940) facevano ampio uso di abitazioni con cortile91. In questi esempi
di progettazione urbana, la casa con patio era il modello per unità abitative multi-familiari.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, Adalberto Libera progettò una zona residenziale
nel quartiere Tuscolano a Roma (realizzato sotto l’egida di INA case) sulla base della casa con
patio92. Libera integrò sull’area irregolare la sua configurazione di case con patio interconnesse,
ispirando Bruno Zevi a descriverlo come un “grattacielo sdraiato” e come un “Unité d’Habitation
orizzontale”93. Questa insula orizzontale era progettata come una comunità a se stante dove i
servizi di base erano offerti assieme all’unità domestica. Con l’abbandono della tattica classica
del reticolato urbano, come la Città orizzontale di Pagano, Diotallevi e Marescotti, Libera riuscì
ad ottenere un senso di comunità senza soccombere all’espediente dell’ordine visivo e spaziale
caduto in disgrazia con il regime fascista.

Ville e case coloniche: elitismo contro populismo


Se l’insula nel quartiere Tuscolano di Adalberto Libera condivide ben poco con la drammatica
Casa Malaparte (realizzata con lo scrittore Curzio Malaparte e muratore Adolfo Amitrano), il
suo rinnovato impegno al vernacolare lega questi due progetti e crea un ponte fra le sue tattiche
progettuali interbelliche e quelle del dopoguerra94. La continuità nell’ambito della progetta-
zione del modernismo minimalista mediterraneo è lampante nei progetti di Luigi Cosenza di
questo periodo. La Villa Oro di Cosenza (progettata in collaborazione con Bernard Rudofsky e
completata nel 1937) ha molto in comune con il carattere mediterraneo della fabbrica Olivetti
e dei suoi esterni, progettata anni più tardi (1951–54; 1970) a Pozzuoli95. Il vernacolare dunque
agiva come corrente sotterranea che attraversava e alimentava costantemente l’architettura
moderna italiana durante l’Italia fascista e democratica.

18 19

2.18. Vista di Sabaudia, c. 1936. © Archivio Storico TCI, Milan.


20
2.19. Sabaudia, Cartolina, “Visitate Sabaudia”. © The Wolfsonian-FIU, Miami Beach.
2.20.Enrico Prampolini, Composizione futurista: Capri, 1925. © The Wolfsonian-FIU Miami Beach.

116 117
invocavano alla Mediterraneità erano progettati con questi luoghi in mente. Un’eccezione a questi

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rifugi privati che erano anch’essi volti al godimento del Mediterraneo erano le numerose “città
dell’infanzia”, le colonie per bambini ricreative ed elioterapiche realizzate sotto gli auspici del
regime fascista98. La radicale monumentalità della Colonia Agip a Cesenatico di Giuseppe Vaccaro
(1938) o l’ampio uso di ballatoi di Giuseppe Terragni nella Casa Rustici (Milano, 1933-35) sono solo
alcuni dei numerosi esempi in cui terrazze all’aperto e balconi permettevano alla gioventù fascista
di sperimentare lo spettacolo visivo e sensuale del Mediterraneo99.
Mentre la villa continuava ad essere associata al prestigio, uno dei tipi con cui il vernacolare italiano
(e quindi mediterraneo dato che l’Italia è parte del bacino) era più frequentemente associato era
la casa colonica, abitazione a due piani dove si combinavano le funzioni domestiche e agrarie. Il
colono era l’agricoltore-inquilino che lavorava la terra ma non la possedeva. Raramente gli studiosi
hanno dissertato sulla Mediterraneità come funzione del “ruralismo” di Mussolini, appartenente
ai suoi piani economico-sociali volti a rivitalizzare le risorse agricole italiane e al suo desiderio
di celebrare “l’Homo rusticus come il più fidato tipo di Homo sapiens”100. Negli anni Trenta, gli
architetti e urbanisti razionalisti volsero lo sguardo alla casa colonica perché offriva un modello
di architettura domestica redditizio e facilmente ripetibile che poteva essere proposto ai coloni
(agricoltori-inquilini) sia nella periferia sia nelle città nuove come Sabaudia, Littoria (attualmente
Latina) e Aprilia. L’attenzione concertata al progetto di città-aziende per l’agricoltura dimostravano
21
il piano di Benito Mussolini di rinstaurare il primato agricolo dell’Italia101.
Perfino fra gli architetti razionalisti, soggiogati dalla Mediterraneità e Italianità, l’origine della
casa colonica era controversa: era Toscana o Romana? Con il tipico orgoglio regionale, gli intel-
lettuali toscani (principalmente a Firenze) vedevano nella casa colonica la fusione di tradizione
e modernismo e ne rivendicavano la paternità. Il loro zelo era alimentato dalla competizione
fra i valori della campagna (Strapaese) e quelli della metropoli (Stracittà) descritti da Maccari102.
Scrittori come Curzio Malaparte, legati all’ambiente razionalista, abbandonarono 900 Cahiers
d’Italie et d’Europe, la rivista cosmopolita di Massimo Bontempelli, per aderire alla piattaforma
di Maccari e promuovere i valori di una “primitiva” classe contadina italiana103.
Il dibattito sulla casa colonica polarizzò l’attenzione degli architetti, artisti e critici toscani
come Giovanni Michelucci, Corrado Pavolini, Ardengo Soffici e Mario Tinti. Ne nacquero diverse
posizioni. Soffici argomentò che al cuore della casa colonica si trovavano le influenze classiche,
un’ipotesi che minimizzava il contributo del costruttore anonimo, artista o contadino che fosse,
che invece tanto avevano fatto per celebrarlo architetti progressisti come Pagano. Le rimo-
stranze di Ardengo Soffici che i costruttori anonimi venissero idolatrati, e che numerosi esempi
citati erano in realtà “progettati” da architetti non vennero ascoltate104. Nonostante tutto, per la
costruzione dei suoi dipinti Soffici volse lo sguardo esclusivamente alle città collinari toscane e
ai paesaggi agricoli dove si trovavano tali edifici, e Pavolini e Tinti proclamarono la casa colonica
toscana come fonte di ispirazione legittima del design contemporaneo105.
Nel 1935 Mario Tinti pubblicò un testo importante dal titolo L’architettura delle case coloniche in
22
Toscana con trentadue schizzi dell’artista romano Ottone Rosai106. Rosai continuerà ad esplorare
2.21. Casa colonica, “Littoria prima e dopo”. Da Agro Pontino (Roma, 1938). l’ipnotizzante attrazione degli archetipi “primitivi” delle balle di fieno e delle casette di campagna
2.22. Giovanni Michelucci. “Fonti della moderna architettura”. Da Domus 50, 1932. italiane per il resto della sua carriera artistica. Molti dei critici e artisti, come Pagano a Milano,
discussero dell’appropriazione della casa colonica in relazione alla critica contemporanea del
Nonostante le allusioni all’esistente vernacolare mediterraneo, sia la Villa Malaparte sia la Villa movimento razionalista nell’architettura e rispetto al problema dell’Italianità107. Così argomentò
Oro sono villette uni-familiari progettate per una clientela elitaria che poteva permettersele96. Corrado Pavolini nel 1933:
Anche l’applaudita “Villa Latina” o “Villa al Mare” di Piero Bottoni presentata alla Quarta Triennale Quando un architetto razionalista cercherà di capire se è stato ispirato nel proprio lavoro
di Milano nel 1930, appartiene a questo gruppo di rifugi feriali d’élite concepiti per godersi il Mar in modo originale da questi concetti, ovvero, di capire il monito del buonsenso realista e del
Mediterraneo97. Senza dubbio, l’entusiasmo per il Mediterraneo fu spronato principalmente dalla calore ideale proveniente dalla casa toscana, io dico che allora avrà fatto un lavoro razionale
borghesia italiana che commissionò case per fine settimana e per le ferie lungo i mari Adriatico, (concepito secondo la ragione) o funzionale (che risponde ad una funzione): perché avrà
Ionio, Mediterraneo e Tirreno. Gli esempi più importanti di architettura domestica italiana che creato un’opera che è viva, naturale e bella108.

118 119
Pavolini però non si limitò ad un’analisi della Toscana; egli elogiò il libro recente di Giovanni La città collinare italiana (e Mediterranea) rivisitata

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Ceas sull’architettura vernacolare di Capri. Egli dichiarò il trionfo del “razionalismo spontaneo ” Paolo Portoghesi descrisse la “cultura contadina” come una “vecchia passione” degli architetti
perché non era “progettato” da architetti ma costruito sul posto dai maestri109. Così, nonostante italiani nel secolo XX111. Facendo eco a quest’entusiasmo e asserendo la continuità fra architet-
l’attenzione fosse concentrata sulla Toscana, la maggior parte dei protagonisti dell’architettura tura interbellica e post-bellica, Vittorio Gregotti dichiarò che:
osservava gli esempi in tutte le regioni della penisola italiana. Questo consentì l’affermazione di L’interesse verso l’architettura spontanea esiste da tempo in Italia. Fin dalla pubblicazione
una casa colonica che fosse contemporaneamente nazionale e regionale. Questa era la posizione del libro di Giuseppe Pagano e Guarniero Daniel Architettura rurale italiana (1936), questa
presentata anche dall’architetto Giovanni Michelucci, che unì la sua voce al coro di chi vedeva architettura è stata vista come naturalmente connessa all’architettura razionalista, poiché
nella casa colonica toscana un modello di design contemporaneo che poteva soddisfare i requisiti è legata allo stile naturale e funzionale dell’edilizia. Il suo straordinario repertorio formale
funzionali senza obliterare l’identità o la storia italiana. Questa difesa dell’Italianità era importante ha, per diversi anni, avuto diretta influenza sugli architetti italiani che cercavano di stabilire
soprattutto in un momento in cui i critici del Razionalismo affermavano che gli architetti moderni un contatto con la classe operaia112.
italiani stavano tradendo la nazione e prendendo spunto da esempi di architettura d’avanguardia Per gli architetti postbellici della generazione di Gregotti che lavoravano sotto l’influenza del
internazionale e bolscevica. Nel 1932, Michelucci pubblicò una serie di articoli su Domus di Gio Neorealismo, la riscoperta del vernacolare era essenziale per relazionarsi alla realtà della
Ponti in cui cercava di placare i critici trattando dei punti, a suo avviso comuni, fra architettura classe contadina che gradualmente, nel corso della prima metà del secolo, si era mutata nei
antica e moderna. Il più significativo dei quali era intitolato “Origini dell’architettura italiana”,
in cui celebrava la casa colonica toscana come modello italiano dell’architettura moderna110.
La discussione di Michelucci su tradizione e architettura moderna italiana era orientata verso
preoccupazioni operative con l’obiettivo di stabilire una genealogia che includesse il vernacolare
toscano e il modernismo contemporaneo italiano. Egli illustrò questo punto ridisegnando la casa
colonica senza il tipico tetto spiovente e reintroducendo il giardino pensile usato da Le Corbusier.
Michelucci sosteneva che gli elementi chiave degli edifici vernacolari potevano subire trasfor-
mazioni, come sostituzione dei materiali (cemento armato invece di muratura), ma continuavano
a riflettere l’Italianità perché mantenevano la somiglianza delle forme e configurazioni spaziali
degli esistenti edifici tradizionali anche se potevano apparire come astratto Modernismo tedesco.

2.24. Ludovico Quaroni, con Federico Gorio, Michele Valori, Piero Maria Lugli, Michele Agati. Centro del
nuovo villaggio La Martella, Matera, 1954. © IN-ARCH, Rome.
2.25. Vista di una strada nel quartiere INA-Casa Tiburtino, Lotto B, edificio 8, case con ballatoio. Mario
Ridolfi, con L. Quaroni, C. Aymonino, C. Chiarini, M. Fiorentino, F. Gorio, M. Lanza, S. Lenci, P.M. Lugli, C.
2.23. Carlo Levi, “Aliano sul burrone”, 1935. © Collezione privata. Melograni, G.C. Menichetti, G. Rinaldi, M. Valori. © Archivio INA-Casa.

120 121
cittadini proletari113. Cristo si è fermato ad Eboli di Carlo Levi è un racconto autobiografico di campi era volta a migliorare le scarse condizioni igieniche dei “sassi”, le dimore in precedenza

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un esilio forzato nella sperduta regione della Lucania pubblicato nel 1945, subito dopo la fine abitate, in cui uomini e animali condividevano lo spazio abitativo118.
della seconda guerra mondiale. In questa narrazione autobiografica l’autore scrisse, à propos Man mano che cresceva a dismisura la disparità fra il Nord industriale e il Sud agricolo, e la
delle qualità mediterranee delle città collinari che aveva visitato durante la sua permanenza televisione esercitava la sua capacità di distribuire l’informazione, gli Italiani divennero sempre
nel Sud dell’Italia: più consapevoli delle ineguaglianze sociali e la tensione aumentò. Anche per quelli che agivano in
È stato difficile all›inizio. Grassano, come tutti i villaggi dei dintorni, è una striscia di bianco buona fede, questo paternalismo dall’alto verso il basso era piuttosto caratteristico di architetti e
in cima ad una collina brulla, una sorta di immaginaria Gerusalemme in miniatura nella intellettuali del Centro e Nord Italia che volevano affrontare la cosiddetta Questione meridionale,
solitudine del deserto114. denunciata dall’intellettuale comunista Antonio Gramsci, la cui critica faceva eco al lavoro del
La sua fiaba avvincente eppure poetica dell’anno trascorso fra le genti del Sud non istruite e dopoguerra di Ernesto De Martino119. Lo squilibrio in Italia fra il ricco Nord industriale e il povero
spesso analfabete servì a riaccendere l’interesse verso le pratiche artigianali fra gli intellet- Sud agricolo divenne sempre più evidente soprattutto negli anni del “miracolo economico”.
tuali, artisti e architetti. L’attrazione di Levi verso il Sud naturale e costruito era catturato da Forse l’esperimento più coerente e “anacronistico” di città collinare come modello nazionale si
una tavolozza eterea di bianchi e rosa di quadri come il suo Aliano sul burrone (1935)115. La prima trova nel Padiglione Italiano alla Fiera Mondiale di Bruxelles del 1958120. All’ombra del surreale
architettura a prendere spunto dalla rappresentazione poetica di Levi del Sud Italia e della sua Atomium di André Waterkyn questo consapevole modesto “villaggio italiano” progettato dagli
cultura fu La Martella, una cittadina completata nel 1954 vicino a Matera. Si trattava di uno dei architetti Ignazio Gardella, BBPR (Belgiojoso, Peressutti e Rogers) e Ludovico Quaroni, era un
primi esperimenti postbellici in cui modelli vernacolari come la casa colonica vennero usati per omaggio alle qualità dell’umile città collinare italiana, eppure completamente urbana e una
un villaggio autonomo per contadini che avevano vissuto fino ad allora in dimore troglodite o reazione ai tipici eccessi di un’architettura esibizionista121. È grazie “esperienza” dell’architettura,
“sassi”. Ludovico Quaroni dirigeva il gruppo di progettisti. Il completamento del villaggio avvenne appresa tramite gli insegnamenti fenomenologici di Antonio Banfi ed Enzo Paci, che Rogers e
poco dopo l’inaugurazione della Mostra di architettura spontanea a Milano a cura di Giancarlo De altri aiutarono a controbilanciare la celebrazione naïve dell’era atomica122.
Carlo, Enzo Cerutti e Giuseppe Samonà. Questa mostra promuoveva densità abitativa e l’etero- Fu sulle premesse di tale “continuità” che Aldo Rossi gettò le basi del movimento La Tendenza.
geneità sociale caratteristica del vernacolare di villaggi, paesini e città italiani. Riesaminando Nella sua serie di schizzi di capanne degli anni Settanta Rossi celebrò comuni oggetti marini,
questo contributo alla cultura architettonica italiana, De Carlo canta apertamente le lodi del rievocativi di archetipi e in attesa di trasformazione in architettura123. In una recente saggio
“realismo” di fondo nella concezione e realizzazione de La Martella: sulle ansie contemporanee e delle strategie progettuali, l’architetto spagnolo Rafael Moneo
Gli urbanisti che disegnarono questo villaggio non hanno pensato a realizzare un sogno di sottolineò di Rossi “la nostalgia per la costruzione razionale dell’architettura vernacolare” in
un’utopica città ideale. Piuttosto, di fronte al problema di dover costruire un organismo che riferimento al progetto di Borgo Ticino del 1973 influenzato dalle abitazioni lacustri locali. Moneo
offrisse alloggio ad un gruppo di contadini che vivevano nei “Sassi” di Matera, hanno iniziato proseguì nell’argomentare l’interesse di Rossi per “l’architettura anonima” del Mediterraneo e
il loro lavoro riflettendo sui limiti reali di questo problema116. altrove, che lo portò a includere spazi urbani che andavano dai cortile di Siviglia alle abitazioni
Così, secondo De Carlo, l’adozione strategica dell’esistente architettura rurale come parte di sul delta del Po124. Significativamente, il fiume tanto caro a Rossi nasce in Emilia Romagna e
un’idea di insieme della città vista come villaggio in cui l’architettura domestica coesisteva con attraversa il Veneto, dove le ville rinascimentali di Andrea Palladio, uniscono il portico al volume
le piccole botteghe artigiane, coi laboratori, una chiesa e altri edifici pubblici, per creare una residenziale, rappresentando rispettivamente la tradizione classica e vernacolare125. Rossi e
comunità autonoma e autosufficiente, rifletteva una risposta alle reali condizioni con proposte i suoi contemporanei, come Giorgio Grassi, applicarono la sintesi di Palladio delle funzioni
concrete che evitavano l’astratto utopismo. È da questa comprensione materialista che nacque quotidiane di una fattoria operativa e acquisirono le aspirazioni di una rappresentazione urbana
la nozione dell’architettura neo-realista117. De Carlo avrebbe subito offerto la sua chiave di negli elementi come l’ingresso coperto, nel tentativo di reinventare l’ovvio126. L’uso di Rossi del
lettura sull’architettura neorealista nel suo progetto di edilizia pubblica a uso misto per Matera portico a due piani per abbracciare le facciate delle tenute residenziali a Pegognaga (Mantova,
(1956–57). 1979) e la casa dello studente a Chieti di Grassi (1976–78) esprimono in maniera eloquente un
Sebbene La Martella di Quaroni condivida alcuni punti in comune con l’esperimento condotto interesse nelle due tradizioni visto attraverso la lente del Razionalismo. Non solo, questi progetti
a metà degli anni Trenta nelle città nuove della costa romana come Sabaudia e Littoria, le rappresentano la tensione creativa fra tipologie urbane e rurali che caratterizza tanta parte
condizioni politiche ed economiche che resero possibili questi progetti nel periodo interbellico dell’architettura italiana del Ventesimo secolo. Nel suo tentativo di eludere il “funzionalismo
cambiarono radicalmente dopo la caduta del Fascismo. Le iniziative fasciste erano concen- naïve”, Rossi (e anche Grassi) riesamina l’ambiente urbano preindustriale per creare forme ibride
trate nella bonifica delle paludi con in mente l’idea di prosperità di una nazione, mentre La di identità architettoniche per un’Italia del Ventesimo secolo che fatica a ridefinirsi127. Piuttosto
Martella di Quaroni era piuttosto un esperimento esistenzialista nel ripensare le condizioni che ignorare le vestigia di un mondo agreste delimitato dal Mar Mediterraneo e minacciato
del dimorare. Mentre le Città nuove fasciste tendevano a unire reticolato e stradine contorte, dall’estinzione sulla scia dell’industrializzazione, gli architetti italiani cercano nuove forme
questo esempio postbellico prese le distanze da ogni sembianza di geometrica perpendicolarità. di dialogo creativo fra città e campagna. Di recente, comunque, l’urbanesimo “spontaneo” o
Nonostante il pittoresco carattere delle strade tortuose, la qualità ripetitiva delle case richiama abusivismo – un termine che si riferisce a costruzioni “vernacolari” non autorizzate, espan-
la sovrapposizione fra “l’autentico” vernacolare agreste e il vernacolare prodotto in fabbrica sioni informali nate illegalmente – ha allontanato le città italiane e le periferie dal ripensare i
dalla macchina. Allo stesso modo in cui le città nuove avevano utilizzato la casa colonica come modelli vernacolari esistenti e le ha spinte verso l’accettazione di ibridi villini come surrogati
una tipologia abitativa convenzionale e riproducibile in serie per i contadini delle campagne della casa uni-familiare di stile americano. Se Razionalismo e Mediterraneità hanno aiutato a
che si riversavano nelle città, così gli architetti de La Martella speravano di offrire condizioni definire il Modernismo mediterraneo in Italia fino ai recenti sviluppi, offrendo le linee guida per
di vita che fossero allo stesso tempo igieniche, ma con elementi con cui i contadini potessero un complesso contesto politico, le tradizioni classiche e vernacolari hanno contemporaneamente
identificarsi culturalmente come comunità. L’eliminazione di quegli spazi associati al lavoro nei svolto la funzione di muse e di maestre.

122 123
1
Per una sintesi della storia politica italiana si veda Norberto Bobbio, Profilo ideologico del Nove-

LE POLITICHE DELLA MEDITERRANEITÀ NELL’ARCHITETTURA MODERNA ITALIANA | Michelangelo Sabatino


cento, Milano: Garzanti, 1990. Per una storia dell’Italia dalla sua nascita come stato si veda: Paul
Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi: società e politica, 1943-1988, Torino, Einaudi, 1989.
2
Palmiro Togliatti, Lezioni sul Fascismo, Roma, Editori riuniti, 1970.
3
Si veda ad esempio Rolando Scarano e Antonietta Piemontese, “La ricerca dell’identità mediter-
ranea italiana degli anni Trenta”, in Paolo Portoghesi & Rolando Scarano (a cura di), L’Architettura
del mediterraneo – Conservazione, Trasformazione, Innovazione, Roma, Gangemi, 2003, pp. 27-96.
4
Ezio Bonfanti, Gianni Braghieri, Rosaldo Bonicalzi, Franco Raggi, Aldo Rossi, Massimo Scolari,
Daniele Vitale (a cura di), Architettura razionale, Milano, Franco Angeli Editore, 1973.
5
Nell’edizione rivista e ampliata di The Language of Post-Modern Architecture, Londra, Academy
Editions, 1978, Charles A. Jencks asseriva: “Aldo Rossi e i razionalisti italiani provano empate-
ticamente a continuare nella tradizione classica delle città italiane, disegnando edifici neutrali
che hanno un “grado 0” di associazione storica; ma il loro lavoro ineluttabilemente richiama
l’architettura fascista degli anni Trenta - nonostante gli infiniti dinieghi”, p. 20.
6
Peter Eisenman, “From Object to Relationship II: Giuseppe Terragni’s Casa Giuliani Frigerio”,
in Perspecta 13-14, 1971, pp. 36-65; Peter Eisenman, Giuseppe Terragni: Transformations, Decom-
positions, Critiques, New York, Monacelli Press, 2003 (Traduzione italiana: Milano, Quaderni
Quodlibet, 2004).
7
Scritti nell’editoriale di apertura alla rivista di recente pubblicazione Casabella-Continuità
Ernesto Rogers definì “continuità” come “coscienza storica” degli eventi (e battaglie ideo-
logiche) che affiorarono durante il Fascismo: Casabella-Continuità 199, Dicembre-Gennaio,
1953–54, p. 2. Casabella venne fondata nel 1928 e pubblicata fino al 1943; dopo numerosi
tentativi venne finalmente ripubblicata con un numero Dicembre-Gennaio 1953-54. Per sotto-
lineare il tema della continuità, Rogers modificò il titolo della rivista aggiungendo Continuità
a Casabella. Per la storia della rivista si veda Chiara Baglione (a cura di), Casabella 1928-2008,
Milano, Electa, 2008. In termini di continuità fra le guerre e negli anni del dopoguerra e la
storiografia dell’architettura in Italia nel Ventesimo secolo, Manfredo Tafuri fu il primo a
sollevare la questione nel suo saggio pubblicato in Emilio Ambasz (a cura di), Italy: The New
Domestic Landscape: Achievements and Problems of Italian Design, New York, Museum of Modern
Art, 1972, pp. 388–404.
8
Cesare De Seta fu il primo a pubblicare una sintesi dell’architettura e dell’urbanistica sotto il
Fascismo: La cultura architettonica in Italia tra le due guerre, Bari, Laterza, 1972. Altre due impor-
tanti monografie che danno una visione dell’intero contesto italiano, sebbene siano concentrate
su contributi specifici sono: Ezio Bonfanti, Marco Porta, Città, Museo e Architettura, Il Gruppo
BBPR nella cultura architettonica 1931–1970, Firenze, Vallecchi, 1973; e Manfredo Tafuri, Ludovico
Quaroni e lo sviluppo dell’architettura moderna in Italia, Milano, Edizioni di Comunità, 1964; Silvia
Danesi, Luciano Patetta (a cura di), Il razionalismo e l’architettura in Italia durante il fascismo,
Milano, Electa, 1976.
9
Marco De Michelis in Hubert-Jan Henket e Hilde Heynen (a cura di), Fascist Architectures in
Italy, Back from Utopia. The Challenge of the Modern Movement, Rotterdam, 010 Publishers, 2002,
pp. 86–91. Si veda anche Ruth Ben-Ghiat, Fascist Modernities, 1922-45, Berkeley, University of
California Press, 2004 [Traduzione italiana: Bologna, Mulino, 2004].
10
Per importanti fonti primarie sul dibattito razionalista, si veda l’antologia a cura di Giorgio
Ciucci, Francesco Dal Co, a cura di, Architettura italiana del ‘900 – Atlante, Milano, Electa, 1993.
In particolare si veda il capitolo 2, “Razionalismo architettonico e impegno politico fra arte e
2.26. Ignazio Gardella, Lodovico Barbiano di Belgiojoso, A. De Carlo, Enrico Peressutti, G. Perugini, urbanistica”, pp. 97-123.
Ludovico Quaroni, Ernesto Nathan Rogers. Vista aerea, Padiglione dell’Italia, Bruxelles, 1958. © Collezione 11
Adalberto Libera, “Arte e razionalismo”, in La rassegna italiana, Marzo 1928, pp. 232-236.
Departamento di Architettura e Urbanismo, Università di Gent.
Ripubblicato in Luciano Patetta (a cura di), L’Architettura in Italia 1919-1943. Le polemiche, Milano,
2.27. Ernesto Rogers et al. Prospettiva [partim], Padiglione dell’Italia, Bruxelles, 1958. © Malines,
Clup, 1972, pp. 149-151.
Collection De Kooning.

124 125
12
Edoardo Persico, “Punto ed a capo per l’architettura”, in Domus, Novembre, 1934. Ripubbli- 28
Vittorio Magnago Lampugnani, “Razionalismo e Italianità—L’architettura italiana moderna tra

LE POLITICHE DELLA MEDITERRANEITÀ NELL’ARCHITETTURA MODERNA ITALIANA | Michelangelo Sabatino


cato in Giulia Veronesi (a cura di), Edoardo Persico – Scritti d’architettura (1927/1935), Firenze, cosmopolitismo e nazionalismo (1926-1936)”, in Max Seidel (a cura di), L’Europa e l’arte italiana,
Vallecchi editore, 1968, pp. 153-168. Venezia, Marsilio Editore, 2000, pp. 563-573.
13
Alberto Sartoris, Gli elementi dell’architettura funzionale, Milano, Hoepli, 1932. 29
Si veda per esempio Jean-Claude Vigato, L’architecture régionaliste: France, 1890-1950, Parigi,
14
Ristampato in Giorgio Ciucci, Francesco Dal Co, Architettura italiana del ‘900 – Atlante, Milano, Edizioni Norma, 1994. Sul Regionalismo in Europa e in Italia si veda il contributo dell’autore
Electa, 1993, pp. 14-116. “Toward a Regionalist Modernism: Italian Architecture and the Vernacular” in Leen Meganck,
15
Giuseppe Pagano Pogatschnig, Gino Levi Montalcini, Umberto Cuzzi, Ottorino Aloisio, Ettore Linda Van Santvoort, Jan De Maeyer (a cura di), Regionalism and Modernity in Western Europe,
Sottsass, “La via Roma di Torino”, Per Vendere, Giugno, 1931, ripubblicato in Cesare De Seta (a 1919-1940 (Leuven: Leuven University Press, 2013): 196-217.
cura di), Pagano – Architettura e città durante il fascismo, Bari e Roma, Laterza, 1990, pp. 217-233. 30
Matthias Schirren, Bruno Taut – Alpine Architektur, Munich/New York, Prestel, 2004.
16
Ardengo Soffici, “Bandiera gialla”, Il Selvaggio, Maggio 30, 1931. 31
Un fenomeno dualistico similare definiva le arti in Francia: si veda Romy Golan, Modernity and
17
Piero Bottoni, Mario Cereghini, Luigi Figini, Gino Frette, Enrico Griffini, Piero Lingeri, Gino Nostalgia: Art and Politics in France Between the Wars, New Haven, Yale University Press, 1995.
Pollini, Gian Luigi Banfi, Ludovico di Belgiojoso, Enrico Peressutti, Ernesto N. Rogers, “Un Per le discussioni su industria e nostalgia, si veda anche Jean-Louis Cohen, Les années 30: L’ar-
programma d’architettura”, in Quadrante, Maggio, 1933, nº1. Ripubblicato in Luciano Patetta, chitecture et les arts de l’espace entre industrie et nostalgie, Parigi, Editions du Patrimoine, 1997.
L’Architettura in Italia 1919-1943. Le polemiche, Milano, Clup, 1972, pp. 227-229. 32
Si veda Manfredo Tafuri, “L’architettura moderna e l’eclissi della storia”, in Manfredo Tafuri,
18
Un’eccezione si registra con Richard A. Etlin, Modernism in Italian Architecture, 1890-1940, Cambridge, Teorie e storia dell’architettura, Roma-Bari, Gius. Laterza & Figli, 1968, pp. 13-89.
The MIT Press, 1991: si veda il capitolo “A Modern Vernacular Architecture”, pp. 129-161. 33
Alan Colquhoun, “From Rationalism to Revisionism: Architecture in Italy 1920-65”, in Alan
19
Per una panoramica del classicismo nell’architettura italiana si veda: Giorgio Ciucci, “Italian Colquhoun, Modern Architecture, Oxford e New York, Oxford University Press, 2002, pp. 182–191.
Architecture During the Fascist Period: Classicism between Neoclassicism and Rationalism: 34
Herbert Read, Art and Industry: the Principles of Industrial Design, Londra, Faber & Faber, 1934.
The Many Souls of the Classical”, in The Harvard Architectural Review 5, 1987, pp. 76–87; idem., 35
Marco Mulazzani, “Il dibattito sulle arti applicate e l’architettura” in Giorgio Ciucci e Giorgio
“Linguaggi classicisti negli anni Trenta in Europa e in America”, in Maurizio Vaudagna (a cura di), Muratore (a cura di), Storia dell’architettura italiana - Il Primo Novecento, Milano, Electa, 2004,
L’estetica della politica: Europa e America negli anni Trenta, Roma-Bari, Giuseppe Laterza & Figli pp. 100-125.
Spa, 1989, pp. 45–58; Giorgio Ciucci (a cura di), Classicismo – Classicismi, Architettura: Europa-A- 36
Per una panoramica sul cemento si veda Jean-Louis Cohen, G. Martin Moeller, Jr. (a cura di),
merica 1920–1940, Milano, Electa-C.I.S.A. Andrea Palladio, 1995. Per un’ampia inquadratura del Liquid Stone: New Architecture in Concrete, New York, Princeton Architectural Press, 2006. Si
contesto europeo si veda Gottfried Boehm, Ulrich Mosch, Katharina Schmidt (a cura di), Canto veda anche Peter Collins, Concrete: The Vision of A New Architecture, Montreal, McGill-Queen’s
d’Amore: Classicism in Modern Art and Music 1914–1935, Londra, Merrell Holberton, 1996; Asko University Press, 2004.
Salokorpi (a cura di), Classical Tradition and the Modern Movement, Helsinki, Finnish Association 37
Reyner Banham, The New Brutalism – Ethic or Aesthetic?, New York, Reinhold Publishing Corpo-
of Architects, 1985. ration, 1966.
20
Questo problema è affrontato in profondità nell’introduzione di Michelangelo Sabatino, Pride in 38
Si veda Paul Overy, Light, Air & Openness: Modern Architecture between the Wars, Londra, Thames
Modesty: Modernist Architecture and the Vernacular Tradition in Italy, Toronto e Buffalo, University & Hudson, 2007. Sulla ricerca della luce e del “biancore” si veda Cherubino Gambardella, Il sogno
of Toronto Press, 2009. [Traduzione italiana: Milano, Franco Angeli Edizioni, 2013] bianco—Architettura e “mito mediterraneo” nell’Italia degli anni ‘30, Napoli, Clean, 1989.
21
Annegret Burg, Novecento Milanese. I novecentisti e il rinnovamento dell’architettura a Milano fra 39
Kenneth E. Silver, Making Paradise: Art, Modernity, and the Myth of the French Riviera, Cambridge
il 1920 e il 1940, Milano, Federico Motta Editore, 1991; Rossana Bossaglia, Il Novecento Italiano, e Londra, MIT Press, 2001; Marisa Vescovo (a cura di), Luci del Mediterraneo, Milano, Electa, 1997;
Milano, Edizioni Charta, 1995. Marco Goldin (a cura di), L’oro e l’azzurro – I colori del Sud da Cézanne a Bonnard, Conegliano, Linea
22
Alberto Asor Rosa, “Selvaggismo e novecentismo. La cultura letteraria e artistica del regime”, d’ombra libri, 2003; Jean-Louis Andral, Yona Fischer (a cura di), Peindre dans la lumière de la
in Storia d’Italia, vol. IV: Dall’Unità a oggi, Torino, Giulio Einaudi editore, 1975, pp. 1500-1513; Laura Méditerranée, Gerusalemme, Museum of Israel, 1987; Claudio Crescentini (a cura di), Mediterraneo
Malvano, Fascismo e politica dell’immagine, Torino, Bollati Boringhieri, 1988, in particolare, si d’arte – il mare e la pesca da Giorgio de Chirico all’era della globalizzazione, Rome, Errecienne, 2005;
veda “Il fascismo rurale”, pp. 144-151. Steingrim Laursen (a cura di), Picasso and the Mediterranean , Humlebaek, Louisiana Museum
23
Maurizio Fagiolo dell’Arco (a cura di), Carlo Carrà: the Primitive Period, 1915-1919, Milano, G. of Modern Art, 1996.
Mazzotta, 1987. 40
Hans Sedlmayr, Art in Crisis: The Lost Center, Chicago, H. Regnery Co., 1958. Su Sedlmayr e la
24
Sull’osservazione delle “molte voci” di Braudel, si veda Iain Chambers, Mediterranean Crossings: luce si veda Roberto Masiero (a cura di), Hans Sedlmayr—La Luce nelle sue manifestazioni artistiche,
The Politics of an Interrupted Modernity, Durham e Londra, Duke University Press, 2008, pp. 1–22. Palermo, Aesthetica edizioni, 1989.
25
Bardi usò per la prima volta l’espressione “culturalisti” per indicare gli architetti del Dicianno- 41
Le Corbusier, “A Coat of Whitewash The Law of Ripolin”, The Decorative Art of Today, Cambridge/
vesimo secolo: Pier Maria Bardi, Rapporto sull’Architettura (per Mussolini), Rome, Critica fascista, London, MIT Press, 1987, pp. 185-192.
1931. Il termine riecheggia in Sigfried Giedion, “Situation de l’architecture contemporaine en 42
Su questo difficile dialogo si veda Jean-Louis Cohen, Le Corbusier, 1887-1965: the Lyricism of
Italie”, in Cahiers d’art 9-10, 1931, pp. 442–449. Architecture in the Machine Age, Köln/Los Angeles, Taschen, 2004.
26
Mario Pisani, L’Onta di Parigi – Il Padiglione Italiano di Armando Brasini all’Expo di Parigi del 1925, 43
Per una discussione sulle differenze tra Razionalismo e Funzionalismo in Italia negli anni
Melfi, Edizioni Libria, 1996. Trenta si veda Paolo Nicoloso, “Le parole dell’architettura. Il dibattito terminologico. 1929-1931”,
27
Luca Moretto (a cura di), Architettura moderna alpina in Valle d’Aosta: Albini, BBPR, Cereghini, in Giulio Ernesti (a cura di), Costruzione dell’Utopia—Architetti e urbanisti nell’Italia fascista, Roma,
Figini e Pollini, Melis, Mollino, Muzio, Ponti, Sottsass Senior, Sottsass Junior, Aosta, Musumeci, 2003. Edizioni lavoro, 1988.

126 127
44
Sul funzionalismo e i suoi critici si veda: Adrian Forty, Word and Buildings—A Vocabulary of La casa all’italiana, Milano, Edizioni Domus, 1933, pp. 7-11. Traduzione inglese in Gio Ponti, In

LE POLITICHE DELLA MEDITERRANEITÀ NELL’ARCHITETTURA MODERNA ITALIANA | Michelangelo Sabatino


Modern Architecture, London, Thames & Hudson, 2000, pp. 174-195; Stanford Anderson, “The Praise of Architecture, New York, F. W. Dodge Corporation, 1960, pp. 91-93; inizialmente pubblicato
Fiction of Function”, Assemblage nº2, Febbraio 1987, pp. 18-31; Tim Benton, “The Myth of come Gio Ponti, Amate l’architettura: l’architettura è un cristallo, Genova, Vitali e Ghianda, 1957.
Function”, in Peter Greenhalgh (a cura di), Modernism in Design, Londra, Reaktion Books, 1990, Si veda anche Ugo La Pietra (a cura di), Gio Ponti, New York, Rizzoli, 1996.
pp. 41-52; Bruno Reichlin, “L’infortune critique du fonctionnalisme”, in Jean-Louis Cohen (a cura 61
Per una sintesi in Italia si veda Carlo Cresti, “Segni e soggezioni di paternità Latina nell’ar-
di), Les années 30 – L’architecture et les arts de l’espace entre industrie et nostalgie, pp. 186-195. chitettra italiana degli anni Venti e Trenta”, in Marilena Pasquali (a cura di), Pompei e il recupero
45
Emil Kaufmann, Von Ledoux bis Le Corbusier. Ursprung und Entwicklung der Autonomen Archi- del classico, Ancona, Galleria d’arte moderna, 1980, pp. 120-135. Per una storia delle case con
tektur, Leipzig – Vienna, Verlag Dr. Rolf Passer, 1933, trad. italiana 1973; Joseph Rykwert, The patio-cortile si veda l’introduzione a Stefanos Polyzoides, Roger Sherwood, James Tice, Court-
First Moderns: The Architects of the Eighteenth Century, Cambridge, The MIT Press, 1980. yard Housing in Los Angeles, New York, Princeton Architectural Press, 1992; Werner Blaser,
46
James Stirling, “Regionalism and Modern Architecture”, in Architects’ Year Book 7, 1957, pp. Patios: 5000 años de evolución desde la antigüedad hasta nuestro días, Barcellona, G. Gilli, 2004.
62-68. Ripubblicato in Vincent Canizaro (a cura di), Architectural Regionalism: Collected Writings 62
Pierre Pinon, “Calcestruzzo e Mediterraneo”, in Tony Garnier 1869-1948, Milano, Mazzotta,
on Place, Identity, Modernity, and Tradition, New York, Princeton Architectural Press, 2006, pp. 1990, pp. 102-135.
327-330. 63
Maria Salerno, “Mare e memoria: la casa mediterranea nell’opera di Le Corbusier”, in Bene-
47
James Stirling, “Ronchamp—Le Corbusier’s Chapel and the Crisis of Rationalism”, in The detto Gravagnuolo (a cura di), Le Corbusier e l’Antico—Viaggi nel Mediterraneo, Napoli, Electa,
Architectural Review 119, March 1956, pp. 155-161. 2000, pp. 107-113; si veda anche Gerard Monnier, “L’architecture vernaculaire, Le Corbusier et
48
Terry Kirk, “Framing St. Peter’s: Urban Planning in Fascist Rome”, in The Art Bulletin 88, 4, les autres”, in La Méditerranée de Le Corbusier, Aix-en-Provence, Publications de l’Université
December 2006, pp. 756–776. de Provence, 1991, pp. 139-155.
49
Marcia Landy, The Folklore of Consensus: Theatricality in the Italian Cinema, 1930–1943, Albany, 64
I quattro scritti fondamentali del Gruppo 7 vennero pubblicati su La rassegna italiana tra
State University of New York, 1998; Gian Piero Brunetta, Cent’Anni di Cinema Italiano, Bari, Editori Dicembre 1926 e Maggio 1927. Questi includono: “Architettura (I)”, “Architettura (II): Gli Stra-
Laterza, 1991; Peter Bondanella, Italian Cinema From Neorealism to the Present, New York, Fred- nieri”, “Architettura (III): Impreparazione, Incomprensione, Pregiudizi”, e “Architettura (IV): Una
erick Ungar Publishing Co., 1983; Angelo Festa, Il neorealismo nel cinema italiano, Manocalzati, nuova epoca arcaica.” Ripubblicati in Luciano Patetta, L’architettura in Italia, 1919-1943, Milano,
Il papavero, 2013. Clup, 1972.
50
Benito Mussolini, “Arte e civiltà” (1926), in Edoardo e Duilio Susmel (a cura di), Opera omnia 65
Marida Talamona, “Primi passi verso l’Europa (1927 – 1933)”, in Vittorio Gregotti, Giovanni
di Benito Mussolini, vol. XXII, Firenze, La Fenice, 1957, p. 230. Marzari (a cura di), Luigi Figini. Gino Polllini. Opera Completa, Milano, Electa 1996, pp. 55-81.
51
Si veda Claudio Fogu, The Historic Imaginary: Politics of History in Fascist Italy, Toronto e Buffalo, 66
Kurt Forster, “Antiquity and Modernity in the La Roche-Jeanneret Houses of 1923”, in Opposi-
University of Toronto Press, 2003; Claudio Fogu, “To Make History Present”, in Roger Crum e tions 15-16, Inverno/Estate 1979, pp. 131-153.
Claudia Lazzaro (a cura di), Donatello Among the Blackshirts: History and Modernity in the Visual 67
Gruppo 7, “Architettura”, Dicembre 1926.
Culture of Fascist Italy, Ithaca, Cornell University Press, 2005, pp. 33-52; Giorgio di Genova, 68
Sin dal primo numero nel 1933, la rivista fu al centro del dibattito sull’ideale mediterraneo.
L’uomo della provvidenza - Iconografia del duce 1923-1945, Bologna, Edizioni BORA, 1997; Laura Includendo poesia, letteratura e arte, oltre all’architettura, gli editori miravano a imitare riviste
Malvano, Fascismo e politica dell’immagine, Torino, Bollati Boringhieri, 1988. come Cahiers d’art e ad attirare un maggior numero di lettori. Franco Biscossa, “‘Quadrante’:
52
Luca Somigli, Mario Moroni (a cura di), Italian Modernism: Italian Culture Between Decadentism and il dibattito e la polemica”, in Giulio Ernesti (a cura di), Costruzione dell’Utopia—Architetti e urba-
Avant-Garde, Toronto/Buffalo, University of Toronto Press, 2004; Emilio Gentile, The Struggle for nisti nell’Italia fascista, Roma, Edizioni del lavoro, 1988, pp. 67-89; Fabrizio Brunetti, “L’idea
Modernity: Nationalism, Futurism, and Fascism, Praeger, Westport, Connecticut 2003; Walter Adamson, di Mediterraneità negli scritti di Carlo Enrico Rava e del Gruppo di Quadrante”, in Fabrizio
Avant-Garde Firenze: From Modernism to Fascism, Cambridge, Harvard University Press, 1993. Brunetti, Architetti e fascismo, Firenze, Alinea Editrice, 1993, pp. 203-216; Brian L. McLaren,
53
Elias Canetti, Crowds and Power, New York, Farrar, Straus and Giroux, 1984, pp. 177–78. “Die Konstruktion des mediterranen Mythos in der modernen italiensichen Architektur: Bezüge
54
Giovanni Michelucci, Roberto Papi, “Lezione di Pompei”, in Arte Mediterranea: Rivista Bimestrale zwischen Italien und Wien”, in Akos Moravánszky (a cura di), Das entfernte Dorf. Moderne Kunst
di arte, letteratura, e musica 2, 1, 1934, pp. 23-32. und ethnischer Artefakt, Wien-Köln-Weimar, Böhlau, 2002, pp. 223-248.
55
Cherubino Gambardella, “Il patio e l’impluvium: nuovi frammenti di un’architettura classica”, 69
Il programma di Quadrante venne ratificato da Piero Bottoni, Mario Cereghini, Luigi Figini, Gino
in Il sogno bianco, pp. 94-100. Frette, Enrico A. Griffini, Pietro Lingeri, Gino Pollini, Gian Luigi Banfi, Lodovico B. Belgioioso,
56
Luigi Figini e Gino Pollini, “Ambiente di soggiorno e terrazzo”, in Catalogo della VI Triennale Enrico Peressutti e Ernesto N. Rogers.
di Milano, Milano, Hoepli Editore, 1936, anche in Vittorio Savi, Figini e Pollini – Architetture 1927- 70
Ristampata in Luciano Patetta, L’architettura in Italia 1919-1943, pp. 227-229.
1989, Milano, Electa, 1990, p. 39. 71
Giovanni Denti, Andrea Savio, Gianni Calzà (a cura di), Le Corbusier in Italia, Milano, Clup,
57
Luigi Figini, “Architettura naturale ad Ischia”, in Comunità 3, Maggio-Giugno, 1949, pp. 36-39; 1988; Benedetto Gravagnuolo (a cura di), Le Corbusier e l’Antico: Viaggi nel mediterraneo, Napoli,
Luigi Figini, “Architettura naturale a Ibiza”, in Comunità 8, Maggio-Giugno, 1950, pp. 40-43. Electa, 1997.
Prima edizione italiana tradotta nel 1954 come Sigfried Giedion, Spazio, tempo ed architettura: 72
Sul Razionalismo europeo si veda il saggio in Luciano Caramel (a cura di), L’Europa dei razio-
lo sviluppo di una nuova tradizione, Milano, Hoepli, 1954. nalisti: pitture, scultura, architettura negli anni trenta, Milano, Electa, 1989. Su CIAM si veda Eric
58
Luigi Figini, “Architettura naturale a Ibiza”, pp. 40-43. Mumford, The CIAM Discourse on Urbanism, 1928-1960, Cambridge, The MIT Press, 2000; Martin
59
Gio Ponti, “Una Villa alla Pompeiana”, in Domus 79, Luglio, 1934, p. 19. Steinmann, CIAM – Dokumente 1928-1939, Basilea e Stoccarda, Birkhäuser, 1979; Sara Protasoni,
60
Gio Ponti, “La Casa all’Italiana”, in Domus 1, Gennaio 1928, p. 7; ripubblicato in Giovanni Ponti, “Il Gruppo Italiano e la tradizione del moderno”, in Rassegna 52, Dicembre 1992, pp. 28-39.

128 129
73
Lettere di Carlo Enrico Rava a Le Corbusier datata Marzo 1927, in Maria Lamberti, “Le Corbu- Age, Londra, The Architectural Press, 1960, pp. 127-137. Si veda Alessandro d’Amico e Silvia

LE POLITICHE DELLA MEDITERRANEITÀ NELL’ARCHITETTURA MODERNA ITALIANA | Michelangelo Sabatino


sier e l’Italia (1932-1936)”, in Annali della Scuola normale superiore di Pisa, 1972, p. 827. Marida Danesi (a cura di), Virgilio Marchi architetto, scenografo, futurista, Milano, Electa, 1977; Enrico
Talamona, Primi passi verso l’Europa (1927—1933), in Vittorio Gregotti, Giovanni Marzari (a cura Crispolti, “Virgilio Marchi architetto futurista ed espressionista”, Il mito della macchina e altri temi
di), Luigi Figini. Gino Pollini, pp. 55-81. del futurismo,Trapani, Celebes, 1971, pp. 343-361; Ezio Godoli, “Virgilio Marchi e l’architettura
74
Luisa Martina Colli, Arte artigianato e tecnica nella poetica di Le Corbuiser, Bari/Roma, Laterza, futurista nella prima metà degli anni Venti”, Il Futurismo, Roma-Bari, Laterza, 1997, pp. 44-49.
1982. In Le Corbusier, L’Etude sur le mouvement d’art décoratif en Allemagne (1911) e Les Arts 87
Virgilio Marchi, “Primitivismi capresi”, Cronache d’attualità nº6-10, Giugno-Ottobre 1922, pp.
décoratifs d’aujourd hui (1925), egli dedicò ampio spazio a “l’art paysan’. L’ultimo venne pubbli- 49-51; Renato Mucci (a cura di), Indice delle Cronache d’attualità, Roma, Casa editrice del libro
cato solo due anni dopo nel suo Vers une architecture (1923). Su Le Corbusier e il contadino si italiano, 1942. Sulle riviste avanguardiste a Roma durante gli anni Venti si veda anche Elisabetta
vedano gli studi di Giuliano Gresleri, H. Allen Brooks e più di recente Francesco Passanti, “The Mondello, Roma futurista. I periodici e i luoghi dell’avanguardia nella Roma degli anni venti, Milano,
Vernacular, Modernism and Le Corbusier”, Journal of the Society of Architectural Historians, 4, Franco Angeli, 1990.
1997, pp. 438-451; Gérard Monnier, “L’architecture vernaculaire, Le Corbusier et le autres”, in 88
Virgilio Marchi, “Quadro della capacità architettonica”, in Architettura futurista, Foligno, Franco
La Méditerranée de Le Corbusier, pp. 137-155. Campitelli, 1924, pp. 26-34; ripubblicato in vol. 1 di Ezio Godoli e Milva Giacomelli, Virgilio Marchi.
75
Enrico Peressutti, “Architettura mediterranea”, in Quadrante 21, 1935, pp. 40-41. Scritti di architettura, Firenze, Octavo, 1995, pp. 57–61.
76
Stefano Zagnoni, “Abitare nei territorio d’oltremare”, in Rassegna 51, Settembre 1992, pp. 16-27. 89
Virgilio Marchi, “Primitivismi Capresi” e “Priorità futuriste”, in Italia nuova architettura nuova,
Giuliano Gresleri, Pier Giorgio Massaretti, Stefano Zagnoni (a cura di), Architettura italiana d’oltre- Roma-Foligno: Franco Campitelli Editore, 1931, pp. 19–23, 25–32; ripubblicato in vol. 2 di Ezio
mare, 1870-1940, Venezia, Marsilio, 1993. Per una panoramica sul colonialismo si veda Mia Fuller, Godoli e Milva Giacomelli, Virgilio Marchi, pp. 31-34, 35-40.
Moderns Abroad – Architecture, Cities and Italian imperialism, Londra/New York, Routledge, 2007. 90
Silvia Danesi, “Aporie dell’architettura italiana in periodo fascista–mediterraneità e purismo”,
77
Per una dettagliata analisi di questi episodi si veda il saggio di Kai K. Gutschow’s in questo volume in Silvia Danesi, Luciano Patetta (a cura di), Il Razionalismo e l’architettura in Italia durante il
“La critica anti-mediterranea nella letteratura dell’architettura moderna: i Kulturarbeiten di Paul fascismo, Venezia, La Biennale di Venezia, 1976, pp. 21-28.
Schultze-Naumburg”; Si veda anche Richard Pommer, “The Flat Roof: A Modernist Controversy in 91
Giorgio Ciucci, Maristella Casciato, Franco Marescotti e la casa civile, Roma, Officina edizioni,
Germany”, in Art Journal, Estate 1983, pp. 158-169; Christian F. Otto, Richard Pommer, Weissenhof 1980.
1927 and the Modern Movement, Chicago, University of Chicago Press, 1991, pp. 140-144; Karin Kirsch, 92
Marco Zanuso “Unità d’abitazione orizzontale nel quartiere Tuscolano a Roma”, in Casa-
The Weissenhofsiedlung–Experimental Housing Built for the Deutscher Werkbund–Stuttgart 1927, New bella-Continuità 207, Settembre-Ottobre, 1955, pp. 30-37; Angela Argenti, “Adalberto Libera,
York, Rizzoli, 1989. l’insula-Casa al Tuscolano”, Rassegna di Architettura e Urbanistica 117, Settembre-Dicembre,
78
Gio Ponti, “Facciamoci una coscienza nazionale della architettura mediterranea”, in Lo Stile 2005, pp. 86-97.
nella Casa e nell’arredamento 7, Luglio 1941, p. 1. 93
Bruno Zevi, “The Italian Rationalists”, in Dennis Sharp (a cura di), The Rationalists. Theory
79
Lisa Licitra Ponti, Gio Ponti, L’opera, pp. 96-97. and Design in the Modern Movement, Londra, Architectural Press, 1978, pp. 118-129. Si veda
80
Gio Ponti “Una casa al mare” in Domus, 138, Giugno 1939, p. 34. anche Andrea Oppenheimer Dean, Bruno Zevi on Modern Architecture, New York, Rizzoli, 1983,
81
Si veda Fabio Mangone, Viaggi a sud. Architetti nordici in Italia, 1850–1925, Naples, Electa, 2002. pp. 107-113.
82
Su Capri come tappa di pellegrinaggio per gli architetti, si veda Fabio Mangone, Capri e gli 94
Cherubino Gambardella, “Un ara arcaica tra roccia e mare: Villa Malaparte”, in Cherubino
architetti, Napoli, Massa, 2004. Sulla vasta gamma di artisti e intellettuali che hanno visitato o Gambardella, Il sogno bianco, pp. 106-114.
vissuto sull’isola, si veda Lea Vergine, Capri 1905–1940. Frammenti e costumi, Milano, Feltrinelli 95
Renato De Fusco, “Mediterraneità minimalista”, in Francesco Domenico Moccia (a cura di),
Editore, 1983, recentemente ripubblicato come Lea Vergine (a cura di), Capri 1905–1940, Milano, Luigi Cosenza scritti e progetti di architettura, Napoli, Clean, 1994, pp. 20-23; Jean-Louis Cohen,
Skira, 2003; Pascale Lismonde (a cura di), Le goût de Capri et autres îles italiennes, Parigi, “La Villa Oro, o tre miti moderni”, in Alfredo Buccaro, Giancarlo Mainini (a cura di), Luigi Cosenza
Mercure de France, 2003. Su Cerio, si veda “Edwin Cerio” in Dizionario biografico degli italiani, oggi, Napoli, Clean, 2006, pp. 116-117.
Roma, Istituto della enciclopedia italiana, 1979, pp. 745–47. 96
Cherubino Gambardella, Case sul Golfo – Abitare lungo la costa napoletana 1930-1945, Napoli,
83
Filippo Tommaso Marinetti, “Il discorso”, in Edwin Cerio (a cura di), Il convegno del paesaggio, Electa, 1993.
Napoli, Gaspare Casella, 1923. Una ristampa degli atti del convegno con commenti addizionali è 97
Stranamente, la prospettiva della villa mostra montagne nello sfondo facendo piuttosto
stata relativamente di recente pubblicata: Giuseppe Galasso, Alberto G. White e Valeria Mazza- pensare ad una casa sul lago e non sul litorale. Enrico A. Griffini, Luigi M. Caneva (a cura di), 36
relli (a cura di), 1923–1993. Contributi a settanta anni dalla pubblicazione degli atti del convegno del Progetti di Ville di Architetti Italiani, Milano e Roma, Casa editrice d’arte Bestetti e Tumminelli,
paesaggio, Capri, Edizioni la Conchiglia, 1993. 1930, pp. 33-37. Si veda anche Giancarlo Consonni, Lodovico Meneghetti, Graziella Tonon (a cura
84
Umbro Apollonio, Futurist Manifestos, 19–24. Si veda R. Warren Flint (a cura di), Marinetti: di), Piero Bottoni—Opera Completa, Milano, Fabbri Editori, 1990, pp. 166-167.
Selected Writings, New York, Farrar, Straus and Giroux, 1971, pp. 39–44; sul Futurismo, si veda 98
Gian Carlo Jocteau (a cura di), Ai monti e al mare. Cento anni di colonie per l’infanzia, Milano,
Enrico Crispolti, Storia e critica del futurismo, Bari-Roma, Laterza, 1986. Fabbri Editori, 1990; Stefano de Martino, Alex Wall (a cura di), Cities of Childhood, London, Archi-
85
Filippo Tommaso Marinetti, “Elogio di Capri”, Natura 1, 1, Gennaio 1928, pp. 41–48; Francesco tectural Association, 1988
Cangiullo, Marinetti a Capri: Blu Marino, Napoli, Gaspare Casella Editore, 1922. 99
Umberto Cao (a cura di), Giuseppe Vaccaro: Colonia marina a Cesenatico (1936–38), Roma,
86
Reyner Banham fa riferimento a “lo stile puramente alla moda del suo lavoro” dell’opera Clear, 1994.
di Marchi rispetto alla produzione di Sant’Elia, l’antesignano del Futurismo in Italia. Si veda 100
Si veda Benito Mussolini, Fascist Agrarian Program, Gennaio 1921, ripubblicato in Charles F.
Reyner Banham, “Sant’Elia and Futurist architecture”, in Theory and Design in the First Machine Delzell (a cura di), Mediterranean Fascism, 1919-1945, New York, Walker and Company, 1971, pp.

130 131
18-21; Carlo Cresti, “Mediterraneità e ruralità”, in Carlo Cresti (a cura di), Architettura e fascismo, 118
Si veda Amerigo Restucci, Matera: I sassi, Torino, Einaudi, 1991.

LE POLITICHE DELLA MEDITERRANEITÀ NELL’ARCHITETTURA MODERNA ITALIANA | Michelangelo Sabatino


Firenze, Vallecchi, 1986, pp. 95-144. 119
Ernesto De Martino, Sud e magia, Milano, Feltrinelli, 1959; Claudio Barbati, Gianfranco
101
Sulla relazione fra politica, propaganda e cultura contadina cercata dal regime fascista si veda Mingozzi, Annabella Rossi (a cura di), Profondo sud: viaggio nei luoghi di Ernesto De Martino a
Laura Malvano, Fascismo e politica dell’immagine, pp. 144-151; Gianni Franzone, “Per un’analisi vent’anni da Sud e magia, Milano, Feltrinelli, 1978; Ernesto De Martino, The Land of Remorse:
del ‘ruralismo’ nella Collezione Wolfson. Da Cambellotti alla ‘mistica rurale’ fascista” in Silvia a Study of Southern Italian Tarantism, Londra, Free Association, 2005; inizialmente pubblicato
Barisione, Matteo Fochessati, Gianni Franzone (a cura di), La visione del prisma. La Collezione come La terra del remorse, Milano, Saggiatore, 1961.
Wolfson, Milano, Mazzotta, 1999. 120
Per una sintesi della mostra si veda l’introduzione a Rita Devos, Mil de Kooning (a cura di),
102
Walter L. Adamson, Avant-garde Firenze: from Modernism to Fascism, Cambridge, Harvard L’architecture moderne à l’Expo 58, Bruxelles, Fonds Mercator et Dexia Banque, 2006.
University Press, 1993; Walter Adamson, “The Culture of Italian Fascism and the Fascist Crisis of 121
Per un’analisi del contributo italiano si veda Geert Bekaert, “‘Un volto sincero—Le Pavillon
Modernity: The Case of Il Selvaggio”, in Journal of Contemporary History, 20, 1995, pp. 555-575. Un’an- Italien”, in Rita Devos (a cura di), L’architecture moderne à l’Expo 58, pp. 131-143. Si veda anche
tologia della rivista venne pubblicata come Carlo Ludovico Ragghianti, Il Selvaggio di Mino Maccari, Silvia De Nolf, Het Italiaans Paviljoen op Expo Brussel 58. Regionalisme versus formalistisch struc-
Vicenza, Neri Pozza Editore, 1959; Luciano Troisio (a cura di), Le riviste di Strapaese e Stracittà – Il turalisme, tesi inedita, Dipartimento di Architettura & Urbanistica, Università di Gand, 2000.
Selvaggio – L’Italiano, Treviso, Canova, 1975; Emily Braun, “Speaking Volumes: Giorgio Morandi’s 122
Ernesto Rogers, “The Future Was Not to Be seen at Brussels” in Architects Year Book 9, 1959,
Still Lifes and the Cultural Politics of Strapaese”, in Modernism/Modernity 2-3, 1995, pp. 89-116. pp. 132-39. Non è una coincidenza che Rogers abbia utilizzato il termine “esperienza” nel titolo
103
Fabrizio Brunetti, Architetti e fascismo, Firenze, Alinea, 1993; in particolare si veda il capitolo della sua antologia di scritti (una collezione di editoriali e lezioni/discorsi/saggi per conferenze)
“La polemica di Strapaese”, pp. 217-237 pubblicata lo stesso anno del padiglione di Bruxelles: Ernesto N. Rogers, Esperienza dell’archi-
104
Ardengo Soffici, “Neoprimitivismi”, in Selva Arte, Firenze, Vallecchi, 1943, pp. 323-326 tettura, Torino, Giulio Einaudi editore, 1958.
105
Si veda Luigi Cavallo (a cura di), Ardengo Soffici, Milano, Mazzotta, 1992 123
Si veda Morris Adjmi e Giovanni Bertolotto (a cura di), Aldo Rossi: Drawings and Paintings, New
106
Ottone Rosai nel centenario della nascita - Opere dal 1919 al 1957, Firenze, Edizioni Pananti 1957; York, Princeton Architectural Press, 1993, pp. 145–59. Nella prefazione, gli autori scrivono “Rossi
Luigi Cavallo (a cura di), Ottone Rosai, Milano, Mazzotta, 1995. continua a utilizzare in tutta la sua opera sia l’immaginario universale sia quello vernacolare.”
107
Quando nel 1936 Pagano collezionò immagini delle case coloniche toscane per la sua mostra 124
Rafael Moneo, Theoretical Anxiety and Design Strategies in the Work of Eight Contemporary
Architettura rurale egli si rivolse all’architetto del posto Pier Niccolò Berardi che aveva già speso Architects, Cambridge, The MIT Press, 2004, pp. 102–43. Per un resoconto in prima persona, si
diversi anni ad approfondire l’ argomento. Queste fotografie sono state di recente ripubblicate in veda Aldo Rossi, Architetture padane, Modena, Edizioni Panini, 1984, pp. 11–14.
Giovanni Fanelli, Barbara Mazza, La casa colonica in Toscana. Le fotografie di Pier Niccolò Berardi 125
Si veda Howard Burns et al., Andrea Palladio, 1508–1580: The Portico and the Farmyard, Londra,
alla Triennale del 1936, Firenze, Octavo, 1999. Arts Council of Great Britain, 1975.
108
Corrado Pavolini, “Case toscane” Illustrazione toscana e dell’Etruria, 1933, pp. 20-24. 126
Si veda Giorgio Grassi, “La licenza dell’ovvio, nota sull’architettura rurale”, in Lotus 15, 1977,
109
Capri - Visioni architettoniche di Gio. Batt. Ceas, Roma, Biblioteca d’arte editrice, 1930; ripub- pp. 22–29, ripubblicato in Giorgio Grassi, L’architettura come mestiere e altri scritti, Milano, Franco
blicato in Rosario De Simone, Cronache di Architettura 1914-1957—Antologia degli scritti di Roberto Angeli Editore, 1980, pp. 197–99, and “Rurale” e “urbano” nell’architettura, Milano, Franco Angeli
Papini, Firenze, Edifir Edizioni, 1998, pp. 154-155 Editore, 1980, pp. 140–56.
110
Giovanni Michelucci, “Contatti fra architetture antiche e moderne”, in Domus, 50, 1932, pp. 127
Si veda Aldo Rossi, “Critique of Naïve Functionalism”, in The Architecture of the City, Cambridge,
70-71; “Contatti fra architetture antiche e moderne (seconda parte)”, in Domus, 51, 1932, pp. Mass., The MIT Press, 1982, pp. 46–48.
134-136; “Fonti della moderna architettura italiana”, in Domus, 56, 1932, pp. 460-61.
111
Paolo Portoghesi, After Modern Architecture, New York, Rizzoli, 1982, p. 36.
112
Vittorio Gregotti, New Directions in Italian Architecture, New York, George Braziller, 1968, pp. 54–56.
113
Si veda Eugen Joseph Weber, Peasants into Frenchmen: The Modernization of Rural France,
1870–1914, Stanford, Stanford University Press, 1976, e Silvio Lanaro, “Da contadini a Italiani”, in
Piero Bevilacqua, (a cura di), Storia dell’agricoltura italiana in età contemporanea, vol. 3, Venezia,
Marsilio Editori, 1991, pp. 937–68.
114
Carlo Levi, Christ Stopped at Eboli, New York, Farrar, Straus and Co., 1947, p. 5; inizialmente
pubblicato come Cristo si è fermato a Eboli, Torino, Einaudi, 1945.
115
Su Levi come pittore durente il suo esilio, si veda Pia Vivarelli (a cura di), Carlo Levi e la Lucania:
Dipinti del confino 1935–1936, Roma, De Luca Edizioni d’Arte, 1990.
116
Giancarlo De Carlo, “A proposito di La Martella”, in Casabella-Continuità 200, Febbraio-Marzo
1954, pp. v-viii.
117
Sul concetto di Realismo nell’architettura moderna, si veda Manfredo Tafuri, “Realismo e
architettura”, in Vittorio Magnago Lampugnani (a cura di), Architettura moderna: L’avventura delle
idee, 1750–1980, Milano, Electa, 1985, pp. 123-145; Bruno Reichlin, “Figures of Neorealism in
Italian Architecture (Part 1)”, in Grey Room 5, Autunno 2001, pp. 78-101; “Figures of Neorealism
in Italian Architecture (Part 2)”, in Grey Room 6, Inverno 2002, pp. 110-133.

132 133
Il moderno, il vernacolare
e il Mediterraneo in Spagna
Jean-François Lejeune 03
Ho attraversato tutta la terra di Spagna e, in tutti i suoi angoli, ho imparato quanto un’archi-
tettura anonima mi poteva insegnare. Mi sono riempito gli occhi di tutto ciò che l’uomo fa
per se stesso, con la saggezza della necessità sostenuta dalla tradizione locale. Passando
da una sorpresa all’altra, ho imparato a indovinare la misura e la funzione degli spazi che
l’uomo ha costruito per ospitare la sua vita e il suo lavoro, e come ha creato un ambiente
per la vita sociale. Così sono nati e sono stati costruiti i villaggi e le piccole città che ammiro
e da cui ho appreso le leggi nascoste dell’organizzazione spontanea1.

L’origine della ricerca intellettuale spagnola verso la “riscoperta” del Mediterraneo si colloca


all’inizio del Ventesimo secolo, quando i principali protagonisti della modernità catalana, l’in-
dustriale Eusebi Güell e il filosofo Eugeni d’Ors, abbracciarono un progetto politico e culturale
per la Catalogna che si sarebbe basato sul ritorno ad un mitico Classicismo mediterraneo
dominato dall’ideale greco – “una metafora di progresso, mare, commercio e apertura delle
frontiere”2. D’Ors chiamò il movimento Noucentisme. I suoi scritti sulla nuova identità culturale
catalana difesero l’eredità classica greco-romana e le inequivocabili aspirazioni “imperiali”. Per
d’Ors, l’obiettivo era quello di “scoprire il Mediterraneo dentro di noi e di affermarlo, nel lavoro
imperiale, tra gli uomini”3. Gli intellettuali che sostenevano il Noucentisme erano attivamente
impegnati nel nuovo contesto istituzionale e politico emesso dalle elezioni del 1901 e della
vittoria dal partito nazionalista catalano, la Lliga Regionalista, dominato dall’industriale Fran-
cesc Cambó e dal teorico del nazionalismo catalano Enric Prat de la Riba. Culturalmente, era il
Mediterraneo che doveva ancorare la legittimità del nuovo partito politico, e stabilire il concetto
di riferimento per il progetto Noucentiste di Catalunya Ciutat [Catalogna-Città]—la visione della
Catalogna come una “città ideale”, abbracciando un nuovo ethos civico della vita collettiva allo
stesso tempo urbano e moderno 4. È significativo che, dal 1908 in poi, Josep Puig i Cadafalch
aveva diretto i lavori di scavo ad Ampurias (in catalano, Empúries), una città greco-romana
nei pressi di Cadaqués la cui scoperta alimentò le radici della Renaixança nel Mediterraneo:
Emporium ... Ampurias ... È un orizzonte blu che estende la sua serenità al padre Mediter-
raneo, Mare Nostrum! ... A volte penso che  l’ambizione ideale di un gesto redentore catalano
si riduca oggigiorno allo scoprire il Mediterraneo5.
Esteticamente, il Noucentisme si opponeva al Modernisme catalano che aveva caratterizzato lo
sviluppo culturale di Barcelona e la sua regione negli arti, letteratura e specialmente l’architet-
tura dall’inizio del Novecento. Il Noucentisme auspicava il ritorno a un Classicismo mediterraneo
basato su ordine, proporzioni, moderazione e consapevolezza civica. Gli artisti associati al
movimento ponevano l’accento sulle sue radici mediterranee in contrapposizione al Moder-
nisme che Joaquín Torres-García, uno dei maggiori protagonisti del Noucentisme, definì come
un fenomeno tipico della “gente del nord”6. Contrariamente all’esaltazione dell’individualismo
nel Modernisme, il Noucentisme era visto come un’arte sociale e pubblico, più interessato a
sostenere il progetto nazionalista catalano che a importare lontani ideali modernisti. Nel 1911,
d’Ors pubblicò l’Almanac dels Noucentistes, una raccolta di scritti, disegni e poesie che avevano
in comune un ritorno al Classicismo, un particolare interesse per la vita urbana e gli aspetti
determinanti della vita privata, e la visione di costruire una Catalogna-città, oppure una moderna
Catalogna-nazione, sul modello de la Grecia antica7.
In realtà, l’opposizione al Modernisme non era così netta come sostenevano i suoi detrat-
3.1. Salvador Dali. Ritratto di Luis Buñuel, 1924. © Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, Madrid / Erich
tori. Artisti “Modernisti” come Gaudí e Puig i Cadafalch (nello suo primo periodo) aspirarono a
Lessing / Art Resource, New York.

135
modernizzare le arti e l’architettura, per portare la cultura catalana alla pari con le altre culture

IL MODERNO, IL VERNACOLARE E IL MEDITERRANEO IN SPAGNA | Jean-François Lejeune


europee. Articolarono il Modernisme come uno strumento chiave e inequivocabile del Rinasci-
mento catalano [Renaixança] e lo associarono alla ricerca di uno stile che potesse esprimere
al meglio la rivendicazione della cultura e della politica catalana. Ruskin fu la principale fonte
di ispirazione del ritorno di Gaudí ai principi dell’architettura medievale e alle sue tecniche di
costruzione alle quali egli cercava di dare un autentico carattere catalano—si veda il suo uso
della “volta catalana”—pur dimostrando il suo interesse per l’architettura araba come una
costante fondamentale dell’architettura spagnola. Come William Curtis scrisse su Gaudí, “si
trattava di capire le tipologie strutturali locali e le tecniche di costruzione in mattoni e ceramica,
ma anche di reagire poeticamente, per non dire misticamente, al paesaggio edonistico medi-
terraneo e alla vegetazione, oltre che al carattere e alle tradizioni marittime di Barcellona”8 .
Inoltre, come sostenuto da José Lahuerta, Gaudí aveva già affrontato il tema del Mediterraneo,
nella progettazione del Parque Guëll tra il 1900 e il 1914, e in particolare nella sala ipostila in
stile dorico arcaico immaginata da Guëll come un teatro greco:
Il tempio dove si sarebbero cantate canzoni in lode di Apollo ... non era il solo soggiorno a
cupola del Palazzo Güell: c’era un altro posto ... al Parque Güell c’erano anche il teatro di
Apollo e il tempio del Dio9.

Città e campagna
Riassumendo le aspirazioni complesse e spesso contraddittorie dei Noucentistas, Josep Rovira ha
sostenuto che il ritorno alla classicità e alla tradizione mediterranea era in realtà “una maschera
ideologica”, “una copertura ideologica per i programmi, le strategie urbane e i progressi tecno-
logici necessari ad affrontare i problemi da risolvere nella metropoli industriale in tempi di
modernità e di presenza delle masse nelle strade”10. I Novecentisti favorivano la visione di una
Catalogna ben ordinata in cui la vita urbana eclissasse la ruralità. Eppure, quest’ambizione
collettiva non era priva di ambiguità. Si ricorda che, nel 1911, Eugeni d’Ors, allora segretario
dell’Instituto de Estudios Catalanes, pubblicava il romanzo più influente dell’inizio del Nove-
cento in Catalogna, La Ben Plantada. Il romanzo, metà opera di finzione metà saggio filosofico,
poneva la mujer catalana come analogia simbolica della futura società metropolitana: la donna
come dea mediterranea, come incarnazione del valore della terra, come madre e elemento
motore della società. Per d’Ors e per i suoi colleghi, la tradizione era equivalentemente radicata
sia in un ideale del Mediterraneo classico e urbano sia in valori comunitari popolari e rurali.
Ne conseguiva che nell’ambito del processo di modernizzazione della metropoli catalana le
strutture della campagna potevano essere ugualmente convocate per risolvere i problemi
dell’architettura urbana. Nelle parole di Antonio Pizza, questo significava “... un processo di
unificazione simbolica in cui non solo l’architettura sarebbe diventata ‘tellurica’ e la campagna
avrebbe acquisito una patina architettonica, ma anche la donna avrebbe dovuto essere naturale
e ben plantada, spontanea e costruita....”11. Quindi non sorprende che il Mediterraneo e la sua
architettura vernacolare fecero da sfondo alla geografia umana dell’influente romanzo di d’Ors:
... Ora vorrei parlarvi della Ben Plantada, che è sbocciata, più alta delle altre, in questi giorni
di calura e d’oro, in un villaggio estivo molto umile, piccolo e bianco, vicino al vasto azzurro
del Mediterraneo12.
E ancora:
Vedete, quindi, che non c’è nulla di speciale nel piccolo villaggio in cui la Ben Plantada
trascorre l’estate. Non è né rustico, né rozzo, né pittoresco. Non pare nemmeno alla moda,
né selvaggio. Dobbiamo amarlo, però, proprio per la sua modestia, nella quale risiede il
segreto della sua profonda grazia e verità13.
Anche Joaquim Folch i Torres, il grande storico dell’arte catalana, autore di Meditaciones sobre 3.2. Joaquim Sunyer. Cala Forn, 1927. © Museu Nacional d’Art de Catalunya, Barcelona.
3.3. Joan Miró. La Masía (La fattoria), 1921-22. © National Gallery of Art, Washington D.C., Artists Rights
la arquitectura (1916), ha sottolineato l’armonia delle case tradizionali col paesaggio, quando
Society (ARS), New York / ADAGP, Paris.

136 137
fondamentale dell’identità catalana. Come numerosi altri artisti, Joan Miró la usò come una

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fonte principale d’ispirazione per la sua famosa opera del 1921-1922, La Masía19. Un altro pittore
come Joaquím Sunyer contribuì a creare l’immagine di una “arcadia” per una nazione catalana,
con opere come Pastoral (1918) e ancora più illustrativa la Cala Forn (1917) che, con il suo sfondo
di urbanizzazione e industrializzazione, esprimeva “la dicotomia pericolosa tra il naturale e
l’artificiale, governata saggiamente dalla controllata e progressiva evoluzione dei tempi”20.
Sotto l’impulso di Prat, a Barcellona vennero istituiti tre grandi archivi etnografici (uno dei quali
dedicato particolarmente a Estudi de la Masía Catalana), il cui obiettivo era documentare scien-
tificamente “non solo l’esistenza di una cultura catalana originale, ma anche la sua diversità dal
resto della cultura della Spagna”21. Il più importante, Arxiu d’Etnografia I Folklore de Catalunya
(AEFC), fece un uso innovativo e pionieristico della fotografia e della classificazione scientifica
avanzata per registrare tutti gli aspetti della cultura tradizionale e del folklore della regione,
includendo l’architettura, il lavoro, il commercio e i tipi di abitanti. Contesto e esattezza, offerti
dal nuovo medium, erano “decisivi per il concetto Noucentiste della fotografia e degli archivi”22.
Per Miró—ma anche per il più giovane Salvador Dalí—il passaggio dal Realismo Noucentiste al
Surrealismo sarà rapido, ma la campagna catalana rimarrà altrettanto importante per la nuova
estetica. Nel 1924, Dalì dipinse un ritratto enigmatico di Luis Buñuel, allora ventiquattrenne,
rappresentato come un uomo spagnolo molto solenne che guarda lontano, mentre, sullo sfondo,
i volumi cubici di un villaggio sembrano anticipare l’architettura astratta a venire negli anni
Cinquanta e Sessanta. È vicino a Cadaqués, una cittadina bianca sulle rive del Mediterraneo, che
Dalí e Buñuel sceneggiarono e girarono il manifesto del Surrealismo, L’âge d’or (1930)23. Dagli
anni 1910, la piccola città era divenuta un centro artistico importante, uno status che si confermò
nel corso dei decenni successivi con Pablo Picasso, Joan Miró, Marcel Duchamp, e molti altri.
In architettura, ai Noucentisti mancò, in generale, l’importanza “artistica” delle loro contro-
3.4. Copertina del numero speciale della rivista 2c (Barcelone), dedicata alla masía.
parti moderniste, però il loro impatto globale, particolarmente sulle infrastrutture sociali ed
Courtesy Fundación COAM, Madrid.
economiche di Barcelona, Girona e della campagna catalana, fu notevole. Difendevano un tipo di
ha scritto, “le case in un paesaggio sono come gli occhi d’un viso e una sorta di splendore sulla architettura che non solo aveva un valore estetico diverso dal Modernisme, ma piuttosto cercava
terra, proprio come gli occhi umani sono come lo splendore spirituale del corpo”14. Allo stesso a rappresentare la loro ambizione metropolitana, tanto politica che sociale. Classicismo, collega-
modo, in una poesia pubblicata da Josep Pijoan in Almanach dels Noucentistes, si legge: menti con la modernità europea, quale la Secession di Vienna, ma anche tendenze neo-popolari
Minorca, le tue case bianche, le labirintiche pareti di tutta l’isola, tutto verniciato di bianco, e regionali caratterizzano la diversità di quel periodo architettonico. Le case urbane di Rafael
rendono ancora più evidente la spugna grigia della roccia piatta che sorge dal mare15. Masó Valenti a Girona rappresentano il passaggio dal Modernisme al Noucentisme: se le prime
Questa dialettica in corso tra la rinnovata civitas metropolitana e un’arcadia campestre era case sembravano come case Moderniste con tratti più astratti, la casa Ensesa (1913-15) dimo-
importante per lo sviluppo di un’identità catalana indipendente. Come scrisse Pizza, “è il mondo stra l’influenza Viennese, classica e secessionista. È con la casa di famiglia affacciandosi sul
rurale che viene presentato come il depositario dei nuovi valori collettivi che saranno necessari fiume Onyar e ristrutturata nel 1919 che Masó realizzò su opera maestra: le facciate bianche e
per la costruzione della città moderna, vista come il momento culminante dell’”investimento le grandi sezioni vetrate non solo s’integrano nel bellissimo insieme delle case sul fiume, ma
artistico” da parte di un nazionalismo borghese, che avrebbe rivendicato così il riconoscimento diventano precursori del modernismo degli anni Trenta24.
del suo ruolo di forza trainante alla base dei movimenti politici del tempo”16. Questa affermazione In Barcellona, le opere di Josep Goday illustrano la direzione più sociale e populista del Noucen-
rifletta uno dei manifesti del Noucentisme e dell’autonomia catalana, La Nacionalitat Catalana, tisme. Egli fu l’autore di vari gruppi scolastici comunali—Grupos escolares—destinati a essere un
opera di Prat de la Riba nel 1906. La sua visione faceva riferimento alla natura organica della simbolo essenziale della modernità catalana. Come commentò un manuale de la Mancomunitat
nazione ed era infusa con la teoria della “razza, ambiente e momento” di Hippolyte Taine, che di Catalunya, “un ideale di dignità presiede all’installazione di questi centri… Si ha cercato di
può essere considerata come le fondamenta e le radici del Regionalismo.17 Lo stesso Prat de dare a ciascuno un proprio edificio, costruito espressamente, e rispondendo attraverso le sue
la Riba espresse la sua diffidenza per il programma classico, difendendo invece l’architettura qualità estetiche e di comfort a un ideale di vita propizio a dare una lezione di raffinatezza viva ed
proveniente dalle campagne: eleganza nella semplicità”25. Stilisticamente, le scuole di Goday formarono un notevole gruppo
L’arrivo della gente di campagna sulla scena pubblica catalana ha segnato l’inizio della eclettico, andando dal barocco discreto (Gruppo Escolar Pere Vila, 1921-31) al vernacolare
Renaixença. Il vigore accumulato in tante generazioni non poteva rimanere inutilizzato e morto “balneare” (Escuela del Mar, Barceloneta, 1922) fino al classicismo d’influenza tedesco della
per la società. I figli e gli eredi dei proprietari delle masíe stanno rinnovando e rafforzando, Escuela Collaso Gil (Raval, 1933).
con nuova linfa, la popolazione dei nostri paesi e delle nostre città18. Ma fu Puig i Cadafalch la più importante figura architetturale e urbana del passaggio dal Moder-
Per il movimento Noucentiste, la masía—una costruzione rurale, spesso fortificata, e collegata nisme al Noucentisme a Barcellona. Dopo il suo periodo detto “rosato” (si veda la Modernista
a una grande tenuta, che tracciava le sue origini nelle antiche ville romane—diventò un simbolo Casa Amattler sul Paseo de Gracia del 1898-1900), apre il suo periodo Noucentiste, detto “bianco”

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con case borghesi ispirate alla Sezession viennese con tratti vernacolari (Casa Trinxet, 1904;

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Casa Company, 1911). Il terzo periodo comincia alla fine degli anni Dieci con un’architettura
urbana, classica, civile, ed espressiva dell’iniziativa collettiva della Catalogna, particolarmente
nella sua apparenza metropolitana. All’inizio del secolo Puig, uno dei più grandi detrattori di
Cerdá, aveva catalizzato l’opposizione all’omogeneità “egalitaria” della griglia ottocentesca.
La città pretendeva allo statuto di vera capitale e cioè richiedeva una nuova urbanistica (e una
nuova architettura), per cui Parigi sarebbe il riferimento più immediato rispetto ai desiderata
di gestione monumentale o istituzionale e le nuove teorie europee di segregazione urbana di
usi26. Molto rappresentativo di questa visione fu la ristrutturazione della Plaza de Catalunya
come punto di convergenza tra il centro e i villaggi circondando la griglia di Cerdà, e dove, nel
1919, Puig riformò un edificio esistente in una referenza architetturale degli aspirazioni della
città a una immagine moderna e europea (Casa Pich i Pon, 1929).
Il capolavoro degli anni Venti sarà l’Esposizione Internazionale del 1929, inizialmente prevista
per il 1917 sull’impulso di Puig y Cadafalch con l’obiettivo di lanciare l’attuazione del piano
regolatore di Barcellona vinto su concorso dall’urbanista francese Léon Jaussely (1903)27. I
lavori per il disegno monumentale collegando la città alla collina di Montjiuich cominciarono
con molto ritardo in seguito della prima guerra mondiale. Di particolare importanza sono i
giardini di Laribal e di Miramar che il paesaggista francese Jean Claude Nicolas Forestier e il
suo assistente Nicolau Rubio i Tudurí disegnarono tra il 1917 e il 1924. I disegni erano distinta-
mente “mediterranei” con terrazze, belvederi, scalinate inspirate dal Generalife in Granada,
fontane ispano-arabe (come la Font del Gat) e pergole bianche sul modello andaluso e delle
isole Baleari. Prima di scendere verso città, i giardini aprivano sul Teatre Grec, un teatro all’a-
perto per due mille spettatori, inspirato da Epidauro e opera dell’architetto Ramón Reventós
con giardini di Forestier28. Come architetto, paesaggista e urbanista, Rubió i Tudurí fu uno degli
maggiori rappresentati del Noucentisme e del ritorno al “mondo mediterraneo”. Con l’incarico
di direttore degli Parques y Jardines de Barcelona dal 1917—e sotto l’influenza di Forestier—egli
fu il promotore principale del “giardino mediterraneo” in opposizione al concetto inglese—si
vedano i giardini della piazza Francesc Macià (1925), il parco de la Font del Racó (1926), i giardini
del Palacio Real de Pedralbes (1927) e quelli del Parque Turó (1933).
Finalmente inaugurata nel 1929 sotto la dittatura di Prima de Rivera—che, in un primo momento,
fu sostenuto da Puig e dall’élite catalana, in cambio di una parvenza di autonomia catala-
na—l’Exposición Universal di Barcellona entrò nella storia grazie alla qualità del progetto urbano
che la organizzava e, tra molti edifici di qualità, la visione quasi-mediterranea del padiglione
tedesco di Mies van der Rohe. Paradossalmente, l’Esposizione fu anche ripensata come stru-
mento propagandistico “per riaffermare il potere del governo centrale sui suoi satelliti interni
ed esterni, cioè le sue ‘regioni’ e antiche colonie”29. La manifestazione internazionale celebrò
i successi metropolitani di Catalogna e Spagna, ma la sua attrazione più popolare fu il Pueblo
Español. Il villaggio fu disegnato in collaborazione tra Miguel Utrillo, storico dell’arte, Xavier
Nogués, artista delle arti visive e gli architetti Ramon Reventós e Francesc Follguera—questi
ultimi furono i fotografi nel corso del viaggio di più di 6.000 chilometri che li portò attraverso
città, paesi, e villaggi spagnoli per riportarne una documentazione accurata. Centodiciassette
edifici vennero selezionati dalla raccolta fotografica e re-assemblati in una forma urbana pitto-
resca per diventare, essi stessi, “fotogenici”30. I visitatori, quindi, erano invitati a sostituire il
“soggetto rurale” originario, stabilendo così la sincera aspirazione Noucentiste per una fusione
tra città e campagna, e definendo un “nuovo rapporto tra l’architettura rurale della Spagna e i
suoi abitanti ora divenuti cittadini”31.
3.5. Rafael Masó. Casa Masó (4 case ottocentesche raggruppate e rinnovate dal architetto come casa Diversamente da altre grandi esposizioni universali, dove lo studio “etnografico” del vernaco-
familiare), Girona, 1919. © Fundació Rafael Masó. lare (costumi, architettura, oggetti) fu di grande significanza per la modernità (per esempio
3.6. Jean Claude Nicolas Forestier. Fontanat del Gat, Montjuich, 1918. Da J.C.N. Forestier, Gardens; a
quelli di Chicago, Parigi e Roma), l’abitato vernacolare dello Pueblo Español era organizzato in
Note-book of Plans and Sketches, New York, C. Scribner’s Sons, 1924-28.

140 141
modo da formare spazi urbani urbanisticamente corretti, senza distorsioni o riduzioni in scala. Il vernacolare e la casa popolare

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Sebbene facesse parte, culturalmente e sociologicamente, della campagna e della piccola città, Dalla fine della Prima Guerra Mondiale in poi, lo studio dell’architettura popolare è stato visto
il “vernacolare” in mostra era tipologicamente urbano. La Plaza Mayor, circa 70 metri per 50 come la base per una nuova architettura spagnola di case economiche per la classe operaia.
metri, dava la sensazione di essere quella di una vera e propria cittadina, mentre la sezione Nel 1918, in seguito alla Interallies Conference on the Reconstruction (Conferenza degli Alleati
andalusa del Pueblo ricreava un barrio di cui struttura urbana era la ragione del successo. Le sulla Ricostruzione) tenutasi in Parigi, il ingegnere Amós Salvador sostenne che l’industria-
sue case, cortili e vicoli come la Calle de los Arcos proiettavano un’immagine riconoscibile del lizzazione e la normalizzazione (materiali da costruzione, finestre, mobili ...) erano necessarie
sud della Spagna, quella che più ha influenzato scrittori, musicisti, pittori, filosofi, e altri, da per la costruzione economica. Questa strategia era fondamentale per rispondere al crescente
Bizet a Nietzsche, da Picabia a Man Ray 32. flusso migratorio dalle campagne verso le città, migliorare le condizioni precarie di vita nelle
città, e mitigare l’impatto delle grandi trasformazioni urbane, come l’apertura della Gran Vía
di Madrid che causò la distruzione di migliaia di abitazioni. Tuttavia, a contrario del dibattito
negli paesi industrializzati del Nord come Germania, in Spagna, architetti e promotori della
casa popolare argomentarono contra l’industrializzazione; essi orientarono le loro riflessioni
in favore della normalizzazione e standardizzazione della produzione vernacolare esistente per
riuscire a preservare i sistemi tradizionali di lavorazione e per adottare soluzioni validate dalla
tradizione e l’abbondante e qualificata disponibilità di manodopera33.
Questa politica implicava lo sviluppo di quartieri di operai specializzati nella periferia delle grandi
città. Già nel 1911, la società Ciutat Jardi (Città-giardino) era nata a Barcellona e, tre anni dopo,
il Comune creava il Instituto Barcelonés de la Habitación (Istituto per la Casa di Barcelonna) per
promuovere l’intervento del settore pubblico nella produzione della casa popolare. Al livello
nazionale, nel 1911 furono promulgate le leggi relative alle Casa Baratas (case economiche).
Queste furono poi riviste nel 1921 ed estese alla classe media nel 1925 durante la dittatura di
Primo de Rivera. Il modello tipologico era la piccola casa vernacolare di campagna a uno o due
piani, generalmente a sé stante, e costruita in aree non urbanizzate o scarsamente urbanizzate
ai margini di Madrid, Saragoza, Tarragona, e altre città di medie e grandi dimensioni. Questi
quartieri venivano solitamente gestiti da cooperative edilizie o istituzioni pubbliche specifiche
come i Comuni, partiti politici, ed altri gruppi. Nel 1926 il Partito socialista e il suo leader Julián
Besteiro videro forti convergenze tra le politiche di Primo de Rivera a favore della casa verna-
colare a basso costo, e le loro ipotesi basate sui principi austro-marxisti di Otto Bauer, il cui
Der Weg zum Sozialismus [La strada verso il socialismo, 1919] venne pubblicato in Spagna nel
1920 34. Le costruzioni popolari o casas baratas divennero il punto di partenza per un programma
di partecipazione degli Socialisti al governo de Rivera.
Allo stesso tempo, il movimento delle casas baratas cambiò le condizioni del dibattito su una
nuova “architettura nazionale”—dibattito iniziato dopo il 1898 e la crisi seguita alla perdita delle
colonie americane. Il concetto di “nazionale” fu progressivamente sostituito dallo studio dell’
architettura vernacolare e sempre più assorbito dallo studio e dall’uso di stili regionali percepiti
come più autentici e, in essenza, più moderni. Per l’influente architetto, archeologo e storico
Leopoldo Torres Balbás, lo studio del vernacolare doveva diventare il sistema di riferimento per
risolvere concreti problemi di alloggio, spazzando via così ogni residuo di una visione romantica
del mestiere. Lo studio del popolare presupponeva un’analisi precisa degli elementi costruttivi

3.7. Jean Claude Nicolas Forestier. Giardini di Montjuic (Miramar), Barcelona, 1919. Da J.C.N. Forestier,
Gardens; a Note-book of Plans and Sketches, New York, C. Scribner’s Sons, 1924-28.
3.8. Pueblo Español, Barcelona, 1929. Da Pueblo español, 1929, collezione dell’autore.
3.9. Manuel Cases Lamolla, J.M. Monravà Lòpez y Francisco Monravà. Casas Baratas [abitazioni sociali],
Tarragona, 1928-35. Da Ayuntamiento de Tarragona, Spagna.

142 143
per ricercare le condizioni ottimali di standardizzazione, normalizzazione e attuazione35. Come

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ha scritto Carlos Sambricio, “normalizzare significava standardizzare il vernacolare, ovvero
cercare una soluzione al problema di costruire abitazioni igieniche a basso costo; divenne il piano
d’azione per definire una nuova politica degli alloggi in una città che si andava trasformando in
una metropoli”36. In questo dibattito fondamentale si deve sottolineare il ruolo di Luis Lacasa
Navarro, in seguito progettista assieme a José Luis Sert del Padiglione Spagnolo a Parigi nel
1937. Nel 1921 andò a studiare urbanistica in Germania e, al suo ritorno, contribuì a diffondere
i termini del contesto tedesco in Spagna attraverso le opere di Tessenow e Muthesius—egli fu
il loro traduttore originale—e il loro ruolo all’interno del Werkbund37.
In generale, negli anni Venti il problema degli alloggi popolari segnò il vero rinnovamento nel
dibattito architettonico. In contrasto con i difensori di un’architettura monumentale collegata
alla storia e alla tradizione internazionale delle Beaux Arts—come le opere di Antonio Palacios
e Leonardo Rucabado—i propugnatori del cambiamento adottarono due linee di riforma conver-
genti. La prima incentrata, come abbiamo appena visto, sul concetto di standardizzazione delle
abitazioni, un approccio razionale che utilizzava il vernacolare come punto di partenza ed era
collegata alla Heimatsbewegung dell’identità regionale. Torres Balbás, grande sostenitore di
quella visione regionalista, la considerò come un modo per rinnovare la discussione sull’identità
nazionale estendendola a stranieri (soprattutto tedeschi):
Esiste un tipo di ‘sciovinismo’ architettonico che disprezza il banale e cerca, invece, l’es-
senza del costruire, e, sicuro di sé, non teme il contatto con qualunque arte straniera che
potrebbe fecondarlo. Il nostro compito è diffondere questo sano ‘sciovinismo’, aperto ad
ogni esperienza; e per farlo dobbiamo studiare l’architettura del nostro paese, viaggiare
attraverso le sue città e campagne, e disegnare e misurare i vecchi edifici38.
Nel suo breve saggio “Nuevas Casas Antiguas” José Ortega y Gasset vedeva la promozione e
costruzione di queste nuove case “in estilo” come un progresso. Per il filosofo madrileno queste
case segnavano un ritorno a un concetto necessario di bellezza, ma si rammaricava che fossero
state copiate e scelte da un “catalogo” piuttosto che create nuove. Ortega scrisse:
Coloro che sostengono la tradizione sono proprio quelli non la seguono, perché, chi parla
di tradizione intende cambiamento 39.
Fu il punto di vista di Ortega y Gasset che inquadrò la seconda e più radicale direzione del
cambiamento architettonico. Rifiutando la maschera regionalista, Fernando García Mercadal,
Josep Lluís Sert e gli architetti di GATEPAC videro nella reinterpretazione e nell’astrazione
dell’estetica vernacolare e tettonica, particolarmente quella dell’isola di Ibiza, gli strumenti
per mediterraneanizzare il moderno.

Mercadal, GATEPAC e la lezione di Ibiza


Dal 1927 in poi l’architetto Fernando García Mercadal fu il più rappresentativo e il più ardente
promotore nella campagna volta a stabilire un legame fra l’architettura spagnola con la moder-
nizzazione in Europa40. Fu uno dei soci fondatori del CIAM a Sarraz e organizzatore di una serie di
conferenze a Madrid, dove invitò i più importanti architetti contemporanei, tra cui Erich Mendel-
sohn, Theo van Doesburg, Walter Gropius e Le Corbusier. Si interessò anche all’architettura
vernacolare, soprattutto mediterranea, che era stata al centro dei suoi studi all’Accademia di
Spagna a Roma. Mercadal pubblicò un primo articolo titolato Arquitectura Mediterranea nel 1926
sulla rivista Arquitectura e un secondo articolo Arquitectura Mediterranea II pubblicato un anno
dopo. Nel primo citò gli studi di Albert Demangeon sull’ambiente rurale e quelli di Augustin
Bernard sull’Algeria indigena per supportare la tesi di un’unità tra funzione e razionalismo
costruttivo che collega tutte le case rurali attraverso il Mediterraneo. Accompagnò il testo con i
suoi disegni per la Casa a la Orilla del Mar e la Casa in Sicilia, che mostrano entrambe influenze di
Karl Friedrich Schinkel e Adolf Loos. Nel secondo articolo usò il titolo Arquitectura Mediterranea
3.10. Raul Haussman. Casa in Ibiza, c. 1933-1936. © Archives Raoul Haussman, Limoges.

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per promuovere il suo progetto per un Club Náutico para una Ciudad Mediterranea—un progetto

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che anticipa il Club Náutico de San Sebastián, opera di José Manuel Aizpurúa e Joaquín Labayen
nel 1929—e la Casa para el Ingeniero, quest’ultima, di nuovo, mostrando influenze di Loos 41.
Come architetto e teorico Mercadal diventò la voce mas influente de la Generación del 192542.
Viaggiò intensamente dal 1923 al 1927, percorrendo tutto il Mediterraneo dove scopre il verna-
colare di Capri, ma anche Germania, Francia e l’Europa Centrale. Nel 1927-28 costruì il primo
esempio spagnolo di architettura razionalista: il museo-biblioteca Rincón de Goya edificato in un
parco pubblico di Zaragoza al posto del monumento scultoreo originalmente previsto. Il Rincón
de Goya, e gli altri suoi progetti realizzati o no, dimostrano che Mercadal non aveva atteso i
Catalani degli anni Trenta per adattare l’ideale mediterraneo all’architettura moderna. Né lo
avevano fatto altri architetti madrileni come Rafael Bergamín e Luis Blanco Soler. Nell’ambito
de la Ley de Casas Baratas nuovi quartieri si svilupparono a nord di Madrid come piccoli quar-
tieri-giardino, tra quelli la Colonia Parque Residencia (progettato da Rafael Bergamín e Luis
Blanco Soler, 1931-1934) e la Colonia El Viso (progettata da Bergamin, 1934). Con molte case
disegnate da Mercadal, Bergamín e Luis Gutiérrez Soto tra gli altri, queste Colonie divennero
11
i fiori all’occhiello della nuova architettura razionalista d’ispirazione mediterranea nella capi-
tale. El Viso, dove vivevano alcuni tra i più importanti professionisti e intellettuali del periodo
(come Ortega y Gasset e Salvador de Madariaga), mostrava, in termini di morfologia e tipologia,
forti influssi delle moderne Siedlungen tedesche.
Dopo la fondazione del CIAM, Mercadal giocò un ruolo fondamentale di mediatore tra una
tradizione modernizzata (rappresentata in Spagna della figura dello storico e teorico Leopoldo
Torres Balbás) e il Modernismo promosso dal CIAM, Mercadal abbracciò con entusiasmo le
idee di Le Corbusier, ma continuò a diffidare delle conseguenze di un’”agenda internazionale”
sui valori nazionali:
Oggi sono in pericolo [lo] spirito intellettuale del popolo del sud e la sua manifestazione
nell’arte civica. Il nostro Zeitgeist moderno tende a livellare e a uniformare tutti i modi di
vivere; così l’architettura moderna, che dovrebbe mirare alla sintesi di tutti gli elementi
creativi, con i suoi potenti mezzi di espressione finisce per stravolgere e neutralizzare le
sacre leggi provenienti dalla terra e dalla razza ... 43.
12 13 Il 15 maggio 1928, alla fermata del treno a Barcellona in rotta per Madrid dove andava su invito
di Mercadal, Le Corbusier venne letteralmente “intercettato” alla stazione:
A Madrid ricevetti un telegramma firmato da José Luis Sert (che all’epoca non conoscevo)
conoscevo) che diceva che mi avrebbe incontrato alle 10 di sera alla stazione di Barcellona,
fermata intermedia dell’espresso Madrid-Port-Bau, e che mi avrebbe portato di corsa a
fare una conferenza da qualche parte in città. Alla stazione di Barcellona sono stato accolto
da cinque o sei giovani, tutti piccoli ma pieni di fuoco e di energia44.
Sulla via del ritorno Le Corbusier tenne conferenze a Barcellona. Era un momento di frustrazione
e di crisi della carriera di Le Corbusier, dopo la sconfitta al concorso per il Palais des Nations.
Allo stesso tempo, si stava allontanando dall’analogia con la macchina nella direzione di un’ar-
chitettura in cui armonia, proporzioni e riferimenti classici potessero essere controllati per
ridefinire la modernità e la nuova architettura45. Dopo aver ascoltato Le Corbusier, Sert e i suoi

3.11. Pagine del libro La casa popolare en España, 1930. Da Fernando García Mercadal, La casa popolare en
España, 1930.
3.12. Fernando García Mercadal. Museo-biblioteca Rincón de Goya, Zaragoza, 1927-28. Da www.c-
bentocompany.es.
3.13. Rafael Bergamín. Abitazioni nella Colonia El Viso, Madrid, c. 1934. Da Blanco-Solar, Bergamín, Abril,
Los arquitectos Blanco-Soler y Bergamín, Madrid, 1933.
14
3.14. Sinistra: pagine da A.C. 2, 1931: Confronto di J.L. Sert tra le case dei pescatori sulla costa catalana
(San Pol de Mar) con il complesso residenziale di J.P. Oud al Weissenhofsiedlung di Stoccarda, 1927.
Destra: A.C. 6, 1932: “In Ibiza non ci sono stili storici”. Da A.C., 1931 & 1932.

146 147
colleghi si resero conto che non c’erano contraddizioni reali né contrapposizioni tra modernità e vernacolare delle sue città e suoi villaggi48. Ibiza fu il passo successivo e lì Sert e i suoi amici si

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tradizione. Era possibile essere veramente moderni, senza perdere le proprie radici spagnole. unirono a un piccolo gruppo di intellettuali che, come allo stesso tempo a Capri in Italia, vedeva
Allo stesso tempo, si prepararono a dimostrare di essere gli eredi di una “cultura autoctona nell’architettura rurale “primitiva” e nella cultura quasi vergine dell’isola i valori della moder-
le cui radici rivelavano le stesse preoccupazioni che avevano interessato l’Europa negli anni nità49. Tra i visitatori ci furono Albert Camus, Man Ray, Tristan Tzara, Raoul Hausmann e Walter
immediatamente precedenti”, e ciò gli dava il diritto di essere, sia pure con ritardo, in prima Benjamin, che rimase sull’isola per due volte, nel 1932 e nel 1933 e lasciò le sue impressioni
linea nel movimento modernista46. Da questo momento, lavorando insieme alla mitizzazione nella sua corrispondenza:
del Mediterraneo e del suo vernacolare come fonti primarie dell’architettura moderna, Le Ci fecero scendere a terra in una baia nascosta [di Ibiza]. E lì ci si presentò un’immagine
Corbusier e Sert tentarono di dare corpo al mito delle origini al di là della macchina e di altre di tale immutabile perfezione che dentro di me ebbe luogo qualcosa di strano, ma non
analogie tecnologiche 47. incomprensibile: ovvero, io non vidi nulla affatto; non mi fece alcuna impressione; data la
Nei tardi anni Venti, Sert e Germán Rodriguez-Arias, un suo compagno di classe alla Scuola di sua perfezione, esisteva proprio sull’orlo dell’invisibile50.
Architettura, intrapresero una serie di viaggi nel sud della Spagna per scoprire l’architettura E ancora:
Gli interni sono altrettanto arcaici. Queste sedie lungo la parete della stanza di fronte
all’ingresso accolgono lo straniero con sicurezza e peso, come se tre opere di Cranach e
Gauguin fossero appoggiate contro il muro, un sombrero sulla spalliera di una sedia è più
imponente di un prezioso arazzo Gobelin... Purtroppo, si deve temere la fine di tutto ciò a
causa di un hotel in costruzione nel porto di Ibiza51.
Il 25 ottobre 1930 a Zaragoza, Sert, Subino, García Mercadal e altri presentarono ufficialmente
il gruppo GATEPAC (Grupo de Artistas y Técnicos Españoles para el Progreso de la Arquitectura
Contemporanea) ed annunciarono la pubblicazione del loro periodico A.C.52. Il manifesto del
GATEPAC, pubblicato in A.C. 1 e firmato da Sert e Subino, riflettè l’ambiguità della posizione
del gruppo. Da un lato sosteneva che la “nuova architettura è frutto dell’età della macchina” e
della necessità di industrializzazione e produzione di massa; dall’altro, rivendicava il “completo
Latinismo” dell’architettura moderna e il riferimento diretto ad architetture mediterranee.
Nello stesso anno Mercadal aveva pubblicato La casa popolare en España, un libro importante
che discuteva e illustrava gli stili vernacolari di tutte le regioni del paese. Il tema del libro era
apparentemente agli antipodi delle preoccupazioni moderniste degli autori e dei suoi amici.
Eppure, come Antonio Bonet Correa ha scritto, “Mercadal, che aveva studiato l’architettura
popolare...‘in situ’, visitando villaggi e borghi, ammirava più di tutto quello che hanno rappre-
sentato come ‘esempi di logica e razionalismo’”53. Nelle pagine dedicate alla casa mediterránea
Mercadal scrisse in relazione all’isola di Minorca:
Mahón, che è tutta geometria, potrebbe facilmente soddisfare le aspirazioni dei cubisti
più fanatici54.
Attaccato da architetti conservatori, il laboro del GATEPAC vide anche forti reazioni da parte
di Joaquín Torres-Garcia, un ex Noucentiste che da poco aveva creato un gruppo costruttivista
assieme a Mondrian. Torres-Garcia criticava la mancanza di espressione spirituale di un’ar-
chitettura che richiedeva “manichini standardizzati” per abitarla55.

3.15. Copertine dei numeri 1 a 25 del periodico A.C. Da AC Publicación del GATEPAC, Barcelona, Fundación
Caja de arquitectos, 2005.
3.16. José Luis Sert e J. Torres Clavé. Casa “Week-End,” tipo A, Costas de Garraf, Barcelona, 1935. Da
A.C. 19, 1935.
3.17. José Luis Sert e Luis Lacasa. Patio coperto del padiglione della Repubblica spagnola all’Esposizione
di Parigi, Paris, 1937 [“Le Pavillon de l’Espagne. Guernica, Picasso. Fontaine de Mercure, par Alexander
Calder”]. Da Cahiers d’Art 8-10, 1937. © The New York Public Library / Art Resource, NY. 16 17

148 149
Il primo numero di A.C. impostò il tono per la serie di 25 numeri pubblicati tra il 1930 e il 1937. ...Queste condizioni primitive e la struttura patriarcale della famiglia si riflettono in

IL MODERNO, IL VERNACOLARE E IL MEDITERRANEO IN SPAGNA | Jean-François Lejeune


Accanto a fotografie di architettura moderna a San Sebastián e Barcellona, e a una discus- un’architettura che è per noi particolarmente interessante vista la purezza delle sue
sione sulla futura urbanizzazione di Barcellona e sulla Città Verde di Mosca, A.C. 1 presentava linee e dei volumi cubici.  Fa appello al nostro amore per la verità e la semplicità 61.
una doppia pagina dedicata alle case tradizionali dei pescatori sulla costa mediterranea e le Ibiza è la terra dell’architettura senza architetti per eccellenza. Le case costruite lì dai contadini
confrontava in modo teatrale (con grandi frecce e croci rosse, non diversamente da Paul Schult- hanno uno stile così puro e un’espressione così armoniosa, che possono sostenere perfetta-
ze-Naumburg nella sua serie Kulturarbeiten) alle case a schiera di J.P. Oud al Weißenhofsiedlung mente il confronto con opere più mature e più elaborate di architettura moderna. Non appena
del 192756. Invece dell’eclettismo architettonico dei vari regionalismi ridotti a segni esteriori di si lascia la città e ci si dirige verso l’interno dell’isola, si va di sorpresa in sorpresa, ovunque
decorazione, videro nella sobrietà dei volumi bianchi delle abitazioni di contadini e pescatori, la stessa espressione plastica, ovunque le stesse forme nobili di abitazioni62.
nonché nella stretta funzionalità degli elementi costitutivi, un modello originale per una nuova Un paio di settimane dopo scoppiò la guerra civile. Molti architetti che sopportavano il governo
architettura moderna e socialmente impegnata. Nel secondo numero, gli editori chiarirono il republicano—quasi tutti i modernisti da Sert a Candela a Lacasa—presero la via dell’esilio.
loro punto di partenza: “…rispettiamo la buona architettura del passato”. In modo simile alle Il pioniere del modernismo spagnolo come José Manuel Aizpurúa, invece, abbracciò la causa
dichiarazioni del Gruppo Sette nel 1927 nel periodico Rassegna, i redattori sostennero il valore falangista e morì giustiziato dal Fronte Popolare di San Sebastian. Prima di partire per gli
della buona architettura storica (le chiesa di Santa Maria del Mar, il Monastero di Pedralbes, Stati Uniti, Sert e il suo collega Lacasa progettarono il Padiglione Spagnolo per l’Esposizione
e globalmente tutti gli edifici romanici studiati da Domènech y Montaner e Puig i Cadafalch Mondiale di Parigi del 1937 e portarono lo spirito del Mediterraneo nel cuore della metropoli
all’inizio del secolo), come radici per la nuova architettura richiesta dalle nuove condizioni francese. In contrasto con il massiccio simbolismo dei padiglioni tedeschi e italiani, il lavoro
sociali57. Chiaramente l’ambiente catalano dominava la rivista, ma i primi numeri misero in di Sert e Lacasa era leggero, arieggiato e organizzato attorno a un patio aperto coperto da un
chiaro ancora una volta che le nuove condizioni moderne erano in ascesa in tutto il paese: per tendone a forma di vela. “Questo padiglione”—scrisse Enrique Granell Trías—“era un reliquiario,
esempio, il piano generale per il prolungamento del Paseo de la Castellana a Madrid di Herman un’Arca di Noè, una sorta di Ibiza artificiale dove i ‘degenerati’ potevano cercare rifugio: tra
Jansen e Secundino Zuazo (1929-1930), e il nuovo campus della Ciudad Universitaria a Madrid gli altri Picasso, Miró, Alberto e Julio Gonzalez ....”63. La pianta del padiglione incoraggiava il
(dal 1927). Nel complesso, A.C. era la piattaforma di pubblicazione per Sert, per i suoi amici, movimento in modo continuo. Dopo l’ingresso attraverso il grande patio, una serie di rampe e
per Le Corbusier e per il CIAM. Tra i suoi lavori pubblicati, Sert prestò particolare attenzione stanze indicava un percorso non diverso da un corridoio urbano, con una sequenza ingegnosa
al condominio in Calle Muntaner (1931, #4), alla sua residenza estiva nei pressi di Barcellona che permetteva al visitatore di vedere i due piani superiori prima di scendere verso le attrazioni
in collaborazione con Torres Clavé (#7, #13), al Plan Macia per Barcelona in collaborazion con al piano terra. Jaime Freixa ha interpretato questa planimetria come “una metafora della città,
Le Corbusier (dal 1931, #13) e alla Casa Bloc per la revisione dell’Ensanche (1932, #10), e alla con scaffali e bacheche che replicavano la contemplazione lineare delle vetrine nelle vie della
Casa Weekend a Garraf di nuovo con Torres Clavé (1935, #19), un progetto moderno-mediter- città”. Qui, sembra che l’urbanista abbia incontrato il Mediterraneo, “le memorie delle antiche
raneo che Sert avrebbe rilevato e adattato trent’anni dopo per lo sviluppo di Punta Martinet ad medine e quartieri storici con la loro rete di angoli stretti e di stradine piene di vita intensa,
Ibiza (1966-1974). alleggerite, infine, dalla splendida ampiezza delle piazze”64.
Il numero di A.C. #18 (1935) fu dedicato interamente alla cultura popolare e conteneva Raíces Come ha dimostrato Jordana Mendelson, fotografia e arti grafiche ebbero un ruolo equivalente,
mediterráneas de la arquitectura moderna, il celebre saggio di Sert dove scrisse queste parole: se non maggiore, sull’immagine del padiglione spagnolo. Lungo la passeggiata architettonica
Tecnicamente, l’architettura moderna è soprattutto una scoperta dei paesi nordici. Eppure, e anche su gli pannelli delle facciate esterne, i grandi murali fotografici, creati dall’artista
spiritualmente, è l’architettura mediterranea “senza stile” che ha influenzato questa nuova valenziano Josep Renau, utilizzarono le più avanzate tecniche di fotomontaggio, collage e altre
architettura. L’architettura moderna è un ritorno alle pure forme tradizionali del Mediter- contrapposizioni per presentare la diversa geografia regionale della Spagna, i progressi sociali
raneo. È una vittoria del Mare Latino58. della Repubblica come la riforma agraria, le Misiones pedagogicas per la diffusione dell’arte e
Oltre a due brevi articoli sull’industria “popolare” e le pitture di Joan Miró, il numero era dedi- della cultura nelle campagne, così come tutta la grande ricchezza di arti popolari e mestieri65.
cato soprattutto a villaggi e città mediterranee, sottolineando la razionalità delle loro strade
e tipi di costruzione, in particolare la casa-patio di varie dimensioni. Di grande interesse era L’Escorial o la “vernacolarizzazione” del classico
questa analisi, che sottolineava non solo i caratteristici dei tipologie vernacolare, ma soprattutto Tra l’insurrezione del Generale Franco nel luglio 1936 e la caduta di Madrid nel 1939, i
il carattere urbano—vie, vicoli, piazzette—dell’architettura mediterranea, cioè che avrebbe combattenti delle due fazioni della Guerra Civile e i loro alleati internazionali distrus-
caratterizzato il distinto approccio spagnolo allo riconoscimento strategico del vernacolare sero completamente 192 villaggi, città e aldeas. Nonostante i bisogni urgenti nelle periferie
mediterraneo. Il ventunesimo numero (1936) proseguì l’indagine, dedicata questa volta al mondo metropolitane, la ricostruzione venne incentrata sul “fronte” rurale. La motivazione principale
rurale, con un esame della casa colonica tradizionale di Ibiza a opera di Raoul Hausmann e era la politica economica di Franco che sosteneva un nuovo sviluppo agricolo, per consentire
Erwin Heilbronner, il primo un artista fondatore del movimento Dada e notevole fotografo dagli la riorganizzazione necessaria del capitale privato che, in quel momento, non aveva possibi-
anni Trenta in poi, e il secondo un architetto tedesco che se esiliò sull’isola nel 1934. Con il lità d’investimento rapido. L’obiettivo implicito era quello di stabilizzare lontano dalle grandi
suo nuovo nome Broner fondò il gruppo d’artisti Ibiza 59 e continuò la sua attività di architetto città la popolazione rurale impoverita, prevenendo lo spopolamento delle campagne, l’ec-
con case bianche mescolando tradizione e modernità—si veda la casa personale (1960) adesso cessiva espansione urbana, e condizioni sociale ed economiche potenzialmente esplosive 66.
spazio museale59. Nell’articolo dell’A.C. furono pubblicate per la prima volta piante accurate e Anche la propaganda aveva un ruolo importante in questa politica: la schematica—e, a volte
sezioni, insieme a splendide foto, di case contadine a Ibiza. Hausmann riportò le sue impressioni semplicistica—divisione prebellica del paese tra le città industriali pro-repubblicane e le
in una serie di articoli come corrispondente estero60. Condivideva la passione degli architetti, piccole città pro-falangiste rimase nella memoria dei vincitori. La “Nuova Spagna” ringraziava
ma il suo sguardo era più scientifico, addirittura da etnologo: l’”agricoltore”, ma si impegnava anche a presentarlo come il modello del Nuovo Spagnolo,

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molto paziente, riservato e legato alla vecchia tradizione di coraggio individuale di fronte alle

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avversità e alla pesante fatica quotidiana:
Al giorno d’oggi, in Spagna, sopravvivono molte città e villaggi i cui lamenti, maledizioni e
lacrime ci raccontano di un passato di squallore e miseria. La Spagna viveva sulle spalle dei
suoi villaggi. Al massimo servivano come scenografia di un dramma pittoresco, intravisto
attraverso il finestrino di un treno o di un’automobile.... È stata la guerra stessa che alla
fine ha avvicinato gli abitanti delle città alle campagne67.
La ricostruzione fu il tema centrale della prima Assemblea Nazionale degli Architetti tenuta
dal 26 al 29 giugno 1939 al Teatro Español di Madrid e presieduta da Pedro Muguruza Otaño.
Muguruza diede fiducia ai suoi colleghi con il compito di ricostruire città e paesi, oltre a quello
di risolvere i problemi degli alloggi per le classi più povere della nazione68. I presupposti furono
chiaramente precisati:
È assolutamente indispensabile pensare che un elemento critico [per eliminare lo stato di
scarsità di alloggi] è quello di sbarazzarsi del concetto puramente materiale di fare dell’u-
nità immobiliare una ‘macchina per abitare’. Quest’idea non può che annientare o negare
il concetto di luogo69.
In modo meno polemico, il discorso dell’architetto Luis Gutiérrez Soto riflesse un’impostazione
più funzionalista, pero priva di “rigidità internazionale” o di formalismo, e basata su una seria
comprensione della vita dei lavoratori in famiglie povere. Per Gutiérez Soto, gli stili dovevano
essere utilizzati come puri strumenti di progettazione per incartare la struttura logica dell’ar-
chitettura. All’eccessiva scomposizione di funzioni sostenuta dalla Bauhaus, contrappose
arrangiamenti semplici ispirati alle abitazioni nazionali e regionali e sostenne “che la dimora
minima non dipende dalla grandezza e dalle dimensioni degli ambienti, ma da una buona orga-
nizzazione dello spazio”70.
In genere, la storiografia ha presentato gli attacchi di Muguruza e di altri colleghi contro
l’Internazionalismo e l’avanguardia del periodo repubblicano come affermazioni puramente
reazionarie di architetti conservatori e favorevoli al regime. Tuttavia, dopo il 1975 e la ritorno a
3.18. Plaza Mayor della Brunete riscostruita, Madrid, 1943. un regime democratico, storici come Carlos Sambricio iniziarono a disfare il comodo mito di una
3.19. Plaza nella Belchite in ricostruzione, c. 1943. © Departamento de las Regiones Devastadas,
rottura epistemologica tra il periodo repubblicano e il regime di Franco71. Sambricio ha messo
Archivo General de la Nación, Alcalá de Henares.
in discussione il cosiddetto “assioma di Oriol Bohigas” per cui l’architettura degli anni Trenta
fu caratterizzata da un’avanguardia ortodossa, che era culturalmente monolitica, formalmente
coerente, e “politicamente corretta”72. Sambricio ha sostenuto che le diverse opzioni architetto-
niche proposte all’inizio degli anni Quaranta erano invece “l’esito fruttuoso di idee eterogenee, la
cui gestazione si può far risalire al decennio precedente la Guerra Civile”73. Sebbene Muguruza
fosse un architetto apertamente conservatore, il suo discorso riecheggiava stranamente le
dichiarazioni di José Luis Sert nel 1934, quando l’immagine monolitica dell’avanguardia era
già sconvolta sia da sviluppi ideologici che da complessità politiche:
Il puro funzionalismo della ‘machine à habiter’ è morto.... Architetti e teorici, soprattutto
tedeschi, hanno portato gli esperimenti funzionalisti a estremi assurdi74.
Come ha scritto Sola-Morales, la situazione spagnola subito dopo la Guerra Civile corrispose, di
fatto, a una “reinterpretazione dei postulati metodologici e degli obiettivi dei ‘principi dell’archi-
tettura moderna,’ [soprattutto] in materia di alloggi”75. Il regime autarchico ereditò l’ideologia
basata sul riformismo socialdemocratico della Germania e dell’Europa Centrale: costruzioni in
periferia, cooperativismo, alternative architettoniche alla residenza borghese sia in termini di
tipologia che di modalità di costruzione, controllo statale e comunale, ecc.76. Nel caso prioritario
del contesto rurale, la continuità tra il pre-guerra e il post-guerra fu diretta e fondamentale. Già
nel 1918-19, Pedro Muguruza Otaño aveva pubblicato saggi sulla costruzione rurale nel paese
Vasco e nel periodo 1940-42, allora direttore della DGA (Dirección General de Arquitectura), egli
dirette un gruppo di ricerca e documentazione sulla “casa di pescatori” di cui i lavori furono

152 153
esibiti e pubblicati nel 42 in un documento analitico di grande qualità tecnica e grafica sotto razionalmente. I progettisti documentarono sistematicamente gli elementi architettonici della

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il titolo Plan Nacional de los Poblados de Pescadores77. Nel caso dello Instituto Nacional de la tradizione (ferro battuto, balconi, porte, archi, ecc.), e catalogarono le diverse tipologie in
Vivienda (INV o Istituto Nazionale per la Casa) creato nel 1939, fu notevole la carica come primo relazione al clima e ad altre caratteristiche regionali.
direttore dell’architetto José Fonseca Llamedo che, quattro anni prima, aveva vinto un concorso L’ideale politico della vita civile sotto il regime nazionale-cattolico del Generale Franco potrebbe
statale sul tema de La vivienda rural en España e del ruolo dello Stato per il miglioramento riassumersi nella triade “famiglia/lavoro/città”. Era quindi logico che la plaza mayor diven-
delle condizione abitative. Sotto la sua direzione, l’INV promulgò le Ordenanzas de la Vivienda, tasse il punto di cristallizzazione del contesto urbano ricostruito. Tuttavia, diversamente dalla
un insieme di regole basate su ricerche precedenti alla Guerra Civile che stabilirono tutte le tradizionale plaza mayor scavata nel tessuto urbano (si veda il caso di Madrid, Salamanca o
condizioni tecniche necessarie per la nuova unità abitativa dei lavoratori e per la casa coloniale, Valladolid), le piazze della ricostruzione erano creazioni nuove e moderne, circoscritte da
compreso il numero e le dimensioni delle camere, l’orientamento, i materiali da preferire, e i edifici sottili come barre e dall’assemblaggio di strutture interconnesse. Eppure, la loro moder-
sistemi di ventilazione78. nità era camuffata e, in tutta la Spagna, queste piazze furono costruite in stile classico, che, in
Il compito della ricostruzione fu affidato alla Dirección General de las Regiones Devastadas (DGRD questa prima fase della dittatura, era visto come il più appropriato per definire la grandezza e
o Direzione Generale delle Regioni Devastate), creato all’interno del Ministero dell’Interno, il 25 l’unità della Spagna. L’Escorial di Juan de Herrera—“uno sforzo, una fatica intensa, consacrata
marzo 1938, prima della fine della guerra. Un gruppo numeroso di architetti, ingegneri e altri alla fatica medesima” nelle parole di Ortega y Gasset82—diventò il paradigma dell’architettura
professionisti (arrivato a più di duecento nel 1945) venne riunito per progettare, controllare e del regime. In certa misura, l’Escorial fu “vernacolarizzato” e le nuove piazze sembravano una
dirigere il processo. Pianificato a Madrid, ma suddiviso fra una trentina di uffici regionali, il ricostruzione moderna del tipo classico del tardo secolo Sedicesimo, successivamente stabilito
programma prevedeva la ricostruzione di villaggi e città devastate, e un’ampia campagna di a Toledo e Valladolid dallo stesso Herrera83. Come ha scritto lo storico Lluís Domènech in una
restauro di edifici pubblici civili e religiosi. Questo lavoro scientifico fu pubblicato sulle pagine delle prime opere che hanno rivalutato un programma di ricostruzione a lungo trascurato,
della rivista della DGRD, Reconstrucción, tra il 1940 e il 1953. Nonostante le sue allusioni propa- “Brunete, Seseña, Nules, Montarrón, Los Blázquez, o Villanova de la Barca [...] erano nomi
gandistiche, la rivista offre un resoconto ben documentato delle operazioni di ricostruzione79. dispersi lungo la geografia della Spagna, che hanno svelato importanti esperimenti, mai ripetuti,
Negli anni 1940, il ritorno alla tradizione e alle forme vernacolari di costruzione fu non solo una di pianificazione rigorosa”84.
decisione ideologica ma in primo luogo una soluzione pragmatica, imposta dalla situazione poli-
tica di autarchia, delle carenze economiche e dagli ostacoli tecnici endemici nel paese. Tuttavia, Colonizzare la campagna
gli architetti de la DGRD godettero di una grande autonomia per pianificare la ricostruzione delle Quando nel 1933 Luis Buñuel girò il suo terzo film Las Hurdes: Tierra sin Pan, il divario tra la Spagna
città distrutte. Questo spesso incluse, se ritenuta necessaria, una ricostruzione totale 80. Sia che urbana e la campagna degradata aveva raggiunto proporzioni drammatiche e politicamente
la città fosse ricostruita accanto all’insediamento distrutto (Belchite, Villanueva de la Cañada, pericolose, con crescente povertà e disagio sociale. Il documentario “anarchico-surrealista”
Seseña) o sovrapposta ad esso (Guernica, Brunete), il reticolo ortogonale di isolati rettangolari su uno dei paesi più poveri e remoti di Spagna fu subito censurato dal governo repubblicano,
allungati fu la caratteristica comune delle città ricostruite 81. In tutti i casi, questa morfologia impegnato come era a promuovere una visione più ottimistica della Spagna rurale grazie a
moderna e razionale contrastava fortemente con l’organizzazione medievale, spesso irregolare vari progetti di riforma agraria e di propaganda 85. Sulle orme di Benito Mussolini in Italia e
e caotica, degli isolati e dei lotti dei paesi e delle città distrutte. Secondo le direttive de l’INV, di Franklin Roosevelt negli Stati Uniti, la Seconda Repubblica studiò, ma non ebbe il tempo di
un numero limitato di tipologie a parete comune, generalmente organizzate intorno a un patio, realizzare, l’irrigazione su larga scala, la costruzione di dighe, l’elettrificazione e la creazione
definiva la struttura delle città. Dietro la maschera del vernacolare, le case vennero concepite

21 22

3.20. Viste aeree di due città nuove dell’Istituto Nazionale de Colonizzazione (I.N.C.). Sinistra: Guadiana 3.21. Alejandro de la Sota (I.N.C.). Schizzo della facciata e della pianta di Esquivel, Sevilla, 1952.
del Caudillo (Francisco Giménez de la Cruz, 1948). Destra: Valdelacalzada (José Borobio Ajeda, 1945). © Fundación Alejandro de la Sota, Madrid.
Da I.N.C. – Memoria octubre 1939-diciembre 1965, Madrid, 1967. 3.22. Alejandro de la Sota (I. N. C.). Vicolo, Esquivel, Sevilla, 1952. © Fundación Alejandro de la Sota, Madrid.

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l’Ebro, il Duero tra Salamanca e Palencia, e il fiume Segura vicino a Murcia. Presumibilmente,

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il programma di colonizzazione non era un esperimento ex novo. Dalla fine della Reconquista a
Granada nel 1493, la Spagna aveva forgiato una tradizione di base urbana ricca e brillante, sia
in America che nella stessa Penisola86. Architetti e pianificatori dell’INC trovarono un terreno
fertile in quel retaggio; allo stesso modo, erano inequivocabilmente a conoscenza delle città
moderne e della pianificazione regionale in Germania, in Palestina, nell’Italia fascista, e nei
paesi anglosassoni 87. Città italiane nuove come Sabaudia e Segezia, i kibbutz in Palestina,
e anche le villaggi di fondazione dalla Tennessee Valley Authority negli Stati Uniti servirono
da prototipo per le trecento nuove piccole città e borghi, che tra il 1943 e il 1965 uscirono dai
tavoli da disegno degli architetti-urbanisti, molti giovani e all’inizio della loro carriera. Molto
importante nell’ambito della continuità professionale tra gli ultimi anni della Repubblica ed i
primi anni del Franquismo fu il Concurso de Anteproyectos para la construcción de Poblados en las
zonas regables del Guadalquivir tenutosi nel 1933. I risultati del concorso, pubblicati nella rivista
Arquitectura nello stesso anno, mostrano soluzioni di forma urbana e tipologie che anticipano
sulle realizzazioni concreti degli anni 40 e 50 88.
In quanto dipartimento del Ministero dell’Agricoltura, l’INC era più al riparo dalla pressione
ideologica che non il Dipartimento delle Regioni Devastate, e i suoi architetti furono in grado di
lavorare in base a criteri architettonici più flessibili89. Come i loro colleghi delle Regioni Devastate,
studiarono le tipologie di architettura vernacolare—organizzate per la maggior parte intorno
a un grande patio dove i trattori e altri veicoli potevano essere facilmente manovrati—ma lo
fecero con un crescente spirito d’astrazione. Morfologicamente, la prima generazione di città
nuove, dal 1944 ai primi anni Cinquanta, come Bernuy (1944, Manuel Jiménez Varea), Gimenells
(1945, Alejandro de la Sota), Suchs (1945, José Borobio), Valdelacalzada (Manuel Rosado, 1947),
o Torre de la Reina (José Tamés, 1951), furono pianificate razionalmente, anche se in modo
più pittoresco delle città delle Regioni Devastate. Le planimetrie delle città presentavano una
grande diversità di progettazione, e venivano generalmente articolate intorno a una plaza mayor
di ispirazione più vernacolare, priva di riferimenti all’Escorial in favore di una immagine defi-
nitivamente “regionalista”. Considerando la quantità di nuove fondazioni, il numero limitato di
tipologie edilizie e la loro ripetizione sistematica nelle città in base ai regolamenti del 1939, la
standardizzazione diventò “un processo così naturale che [gli architetti] dovettero raddoppiare
i loro sforzi per evitarlo”90. Come ha scritto Alejandro de la Sota, era importante ottenere una
varietà di forma urbana che, “senza essere eccessivamente irregolare, lo fosse abbastanza da
evitare l’aspetto rigoroso di una città a reticolo”91.
I codici formali dell’organizzazione urbana—come gli isolati chiusi, la gerarchia delle strade,
l’uso della prospettiva con viste terminate—seguivano i principi generali promossi da Camillo
Sitte, in grande parte codificate dal capo architetto dell’INC, José Tamés Alarcón, che richie-
deva di “raggruppare gli edifici pubblici e commerciali intorno alla piazza e relazionandoli
con il resto del fabbricato in maniera da garantire un accesso facile ai luoghi di lavoro e da
creare una disposizione logica di strade e lotti”92. Ogni città fu progettata e costruita da un
singolo architetto come progetto unitario che rispondeva a un programma preciso. I confini
della città fornivano spazi per parchi, scuole o campi sportivi, mentre gli isolati periferici
3.23. Alejandro de la Sota. Schizzo della piazza e chiesa, Entrerríos, Mérida, c. 1956. © Fundación Alejandro creavano una vera e propria facciata urbana di fronte ai campi. Dalle strade principali, le
de la Sota, Madrid. città apparivano nei paesaggi agricoli come insediamenti bianchi compatti dominati da un
3.24. José Luis Fernández del Amo (I.N.C.). Vista aerea di Vegaviana, Cacéres, 1954-58. © MAGRAMA, Madrid.
campanile slanciato e moderno93.
di nuovi insediamenti rurali, tutte soluzioni necessarie al miglioramento della vita rurale e alla Dai primi anni Cinquanta e dalla fondazione di Esquivel in poi, la seconda fase delle città INC
stabilità politica complessiva. uscì dai tavoli da disegno di Alejandro de la Sota, José Fernández del Amo, Miguel Herrero,
Al termine della guerra civile, nell’ottobre del 1939, L’Instituto Nacional de Colonización (INC) Fernando de Terán e altri, come Antonio Fernández Alba. Per questa nuova generazione di
fu fondato per attuare una politica dinamica di bonifica e di fondazione rurale nel territorio architetti, il primo principio era quello di seguire la vera natura del vernacolare mediterraneo
di sei bacini fluviali principali—il Guadalquivir, il Guadiana (Piano Badájoz), il Tago e l’Alagón, e di spogliare le loro case da ogni riferimento stilistico, ricollegandosi quindi alle ambizioni del

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GATCPAC degli anni Trenta. Allo stesso tempo, volevano dimostrare che il reticolo e l’isolato Coderch e il Gruppo R: il vernacolare da rurale a urbano

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potevano perdere il loro carattere assoluto e cercavano una più astratta forma urbana che La Quinta Assemblea Nazionale degli Architetti del 1949 segnò una data cruciale per il mondo
stabilisse nuove relazioni tra città e natura94. dell’architettura spagnola. Si aprì a un foro internazionale, dopo dieci anni di relativo isolamento,
Se il suo piano per Gimenells (1943) era vagamente asimmetrico e incentrato su una piazza ed è generalmente visto come il punto di partenza per la rinascita dell’architettura moderna. Nei
relativamente tradizionale, de la Sota progettò Esquivel nel 1952 come una griglia simmetrica loro discorsi all’Assemblea, i relatori ospiti Alberto Sartoris e Gio Ponti si mostrarono a favore
a forma di ventaglio, la cui apparente rigidità esprimeva “che era nata tutta in una volta su un di una nuova architettura di “mediazione”, la cui modernità riflettesse “il concetto razionale e
terreno pianeggiante”95. Un articolato sistema di separazione del traffico basato su strade funzionale dell’arte di costruire ... vecchia come il mondo e nata sulle coste del Mediterraneo”,
pedonali, vicoli e piazzette, dava accesso alla parte anteriore delle case, mentre un altro sistema ricollegandosi, quindi, con i dibattiti antecedenti alla Guerra Civile spagnola102. Sartoris (che aveva
di strade, più ampio e limitato da alte mura di cortile, concentrava tutto il traffico agricolo e il conosciuto la Spagna degli anni Trenta attraverso uno scambio di pubblicazioni con Fernando
movimento commerciale. Tutto sommato, gli spazi di Esquivel erano tradizionali, ma come ha García Mercadal) fece un discorso che rifletteva il suo Ordre et climat Méditerranéen (1948), di
osservato William Curtis, “essi erano stati astratti in modo da adattarli a un nuovo ordine e a recente pubblicazione, e che presentava congiuntamente l’architettura di Pier Luigi Nervi,
un nuovo paesaggio”96. Ad esempio, la chiesa parrocchiale e il municipio non apparivano come Carlo Cattaneo e Antoni Gaudí insieme a schizzi di case in villaggi di pescatori spagnoli. Allo
le pareti di una piazza, ma piuttosto si erigevano come un complesso corporeo indipendente e stesso modo, Ponti parlò di Antoni Gaudí e della tradizionale architettura rurale catalana—“la
un po’ surrealista all’interno del parco che separava la facciata ricurva della città dalla strada casa popolare primitiva di Catalogna ... che germoglia un frutto di spiritualità della più grande
regionale. Esquivel, e anche Entrerríos, vicino a Mérida, progettata anch’essa da de la Sota nel e più sacra importanza”—come precursori e paradigmi di una nuova modernità103. Tornato in
1953, si presentavano dunque come “utopie”, introducendo un commentario sottile e giocoso Italia, scrisse su Domus:
sul contesto sociale o fisico all’interno del quale erano iscritte. La loro architettura pubblica A volte, ripensando a Ibiza e Benicarló, rifletto con un certo dispiacere su quanto sia diffi-
reinterpretava, a volte con un tocco di ironia, i semplici volumi bianchi degli edifici pubblici della cile per noi architetti, a dispetto di tutto il nostro bagaglio teorico e polemico... ottenere un
regione. Le loro case basse e sobrie seguivano i modelli vernacolari elogiati prima della guerra risultato così naturale come quell’”architettura senza architetti”, che gli agricoltori e gli
da Sert e dai suoi amici, e che de la Sota aveva studiato a fondo per conto suo. uomini di mare hanno sempre costruito senza consapevolezza dei contenuti104.
José Luis Fernández del Amo sviluppò ulteriormente la visione di una forma urbana moderna È durante questo evento che José Antonio Coderch incontrò Ponti e Sartoris, che lo invitarono
e l’astrazione tipologica a San Isidro de Albatera (Alicante, 1953-1956), Villalba de Calatrava a pubblicare sulla rivista italiana Domus. Segnò l’ingresso trionfale sulla scena nazionale e
(Ciudad Real, 1955-1959), Cañada de Agra (1962)—il cui centro mostrava chiari gli influssi di internazionale di un architetto spagnolo del dopoguerra civile. Nato a Barcellona il 26 novembre
Alvar Aalto—e soprattutto Vegaviana (Cáceres, 1956-1958)97. Previsto dall’INC come un inse- 1913, José Antonio Coderch de Sentmenat lavorò a Madrid nel 1940-1942 per Secundino Zuazo.
diamento di 340 case per ospitare 600 lavoratori agricoli e le loro famiglie, Vegaviana si trovava Tornato in Catalogna dove iniziò la sua collaborazione con Manuel Valls, lavorò a Sitges e si
al centro di un paesaggio millenario di querce. Consapevole del fatto che la campagna sarebbe familiarizzò con le problematiche inerenti alla progettazione di abitazioni sovvenzionate, un
scomparsa nel corso del tempo per far posto alla coltivazione, del Amo decise di conservare tema che sarà al centro sia del suo lavoro teorico che della sua attività professionale. Nel 1945
i boschi di querce per tutta la città, come cimeli naturali e primi monumenti della fondazione. fu nominato architetto del municipio di Sitges. A questo periodo risalgono progetti come la
Permise al paesaggio di penetrare tutto l’organismo, e lo rese indispensabile alla definizione Obra Sindical del Hogar a Sitges (1944) e il piano non realizzato per il quartiere Les Forques
libera di strade e piazze. Nel suo centro geometrico collocò la chiesa, il municipio e tribunale, (1945), tutti progetti la cui tipologia e architettura facevano riferimento all’architettura popolare
l’ufficio postale, il cinema-biblioteca e tutte le necessarie aree commerciali. La plaza mayor della regione costiera. Notevole sono le case per pescatori costruite per l’Instituto Social de la
era ancora visibile, ma i suoi confini erano trasformati in una commistione informale e poetica Marina nel porto di Tarragona (1949), organizzate formalmente come una “doppia mezzaluna”
di tessuto costruito e paesaggio. con grande economia formale e chiarezza concettuale urbana105.
Possedendo un nuovo tipo di carattere organico, la planimetria consisteva di frammenti di tessuto Il 1951 fu un anno d’oro per Coderch e Vals. In maggio aprì la IX Triennale di Milano, con il
urbano connessi fra loro dal paesaggio. Gli isolati più grandi erano articolati più liberamente padiglione spagnolo progettato da Coderch e Santos Torroella, “un esercizio di sintesi desti-
che a Esquivel, ma nello stesso modo la circolazione automobilistica era separata dal centro nato a dimostrare la quintessenza della ‘modernità’ spagnola almeno nell’interpretazione
destinato ai pedoni. Posta a meno di 100 chilometri a sud-ovest della famigerata regione di di Coderch”106. La parete di sinistra del padiglione a U di circa 70 mq. era costituita da una
Hurdes, ora parte del bacino di sbarramento del fiume Alagón, Vegaviana venne elogiata come struttura di persiane in legno, all’interno della quale Coderch inserì tre file di fotografie dell’ar-
un lavoro “di qualità umana, plastica e sociale”98, “la cui architettura ha origine nell’uomo e chitettura minore di Ibiza miste a foto di dettagli di edifici di Gaudí, tutte a opera del fotografo
serve al suo appagamento vitale”99. Come ha scritto Ignacio Sola-Morales, “solo una posizione Joaquín Gomis in collaborazione con Juan Prats Vallés. La parete di fronte era coperta di
dogmatica ci potrebbe far sottovalutare un’esperienza, che si è rivelata essere, e per tanti paglia e su di essa erano esposti un dipinto di A. Ferrant, Muchachas, una Composition di Miró,
motivi, analoga a quella dell’ortodossia del movimento moderno”100. insieme a una selezione di oggetti (un vaso di vetro, ceramiche e maioliche popolari, ecc.)
Vent’anni dopo Vegaviana, un architetto portoghese, Alvaro Siza iniziò la progettazione di un scelti da Torroela, uno degli artigiani del rinnovamento dell’arte catalana. Sul muro centrale
nuovo quartiere di abitazioni per la classe operaia in Portogallo, il quartiere de Malagueira vicino rosso era appesa una pittura romanica della scuola catalana, una Vergine Maria lignea e,
a Évora. Nonostante i loro contesti opposti—una periferia urbana invece di paesaggi agricoli su un basso tavolo a forma di ameba, erano esposti l’edizione illustrata da Guinovart delle
incontaminati—i paralleli tra la Quinta de Malagueira di Alvaro Siza, la Vegaviana di Del Amo e opere di García Lorca, vasi di ceramica, mantiglie e altri oggetti artigianali. Dalle colonne di
l’Esquivel di de la Sota sono sorprendenti e meritano una considerazione speciale101. Spazio, Luigi Moretti ha sostenuto che “il vigore, ma anche il terrore e la veemenza liberatrice
di Gaudí vivono dello stesso sangue e della stessa sostanza degli uomini che hanno tirato su
le pareti delle case a Ibiza”. E aggiunse:

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IL MODERNO, IL VERNACOLARE E IL MEDITERRANEO IN SPAGNA | Jean-François Lejeune
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Le due architetture sono gli estremi opposti, collegati da innumerevoli passaggi continui,
3.25. José Antonio Coderch. Progetto per il complesso di case Las Forcas, Sitges, 1945. © Archivo dello stesso impulso che porta una a staccarsi, e a negare, le cose che non sono comple-
Coderch, Escuela Técnica Superior de Arquitectura del Vallés (ETSAV). Foto. Català-Roca. tamente controllate; nel caso di Gaudí, la rinuncia alla casistica volubile della natura, e
3.26. José Antonio Coderch e Santos Torroella. Vista parziale del Padiglione della Spagna alla IX
il rifugio all’interno del mondo controllato dello spirito, nel caso di Ibiza, l’abbandono di
Triennale di Milano, 1951. Inserite all’interno delle persiane Llambi sono fotografie di architettura
popolare in Ibiza e di Antoni Gaudí (fotografie di Joaquín Gomis). Da Spazio II, 1951. capziosi ragionamenti intellettuali e spirituali a favore del tradizionale, solido come gli
3.27. José Antonio Coderch. Casa di appartamenti de la Marina, La Barceloneta, Barcelona, 1951. oggetti della natura.... Insomma, una particolare architettura rifiuta ciò che l’altra prende
© Archivo Coderch, ETSAV. Foto F. Català-Roca. per buono. Questa di fatto è la legge della vera architettura ovunque, che porta veramente
3.28. José Antonio Coderch. Pianta principale e vista della Casa Ugalde, Caldes de Estrach, 1951.
il marchio del singolo e della collettività107.
© Archivo Coderch, ETSAV. Foto F. Català-Roca.

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La prima fase dell’opera di Coderch-Valls consiste di una serie di residenze relativamente principalmente nel paesaggio urbano, la persiana era di fatto un elemento critico del verna-

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piccole e non permanenti sulla costa catalana. La prima, Casa Ugalde a Calldes d’Estrac vicino colare urbano in Spagna e nelle colonie ispaniche, dove suggeriva spesso “una metafisica del
a Sitges, i cui primi schizzi risalgono all’ottobre 1951, diventò subito un’icona della modernità concetto mediterraneo di intimità”112. È interessante notare che la rivista A.C. aveva, negli anni
spagnola. Ponti scrisse su Domus del suo “piano informale e sconnesso, in cui il principio Trenta, identificato le differenze tra vernacolare urbano e rurale. Le case contadine vernacolari
mediterraneo dell’incontro con il paesaggio è stato spinto ai suoi limiti: quasi un labirinto”108. documentate da Hausmann, Baeschlin e altri non utilizzavano le persiane e impiegavano invece
Casa Ugalde fu seguita dalla Casa Esteve in Garraf, l’estensione della Casa Torrent e la Casa piccole aperture all’interno delle spesse mura, e anche logge e terrazze per schermare le
Catasús (1956-1959) a Sitges, tutti progetti che mostrano un approccio al programma e al sito stanze dalla luce eccessiva. Per illustrare invece il contesto urbano, il numero #18 presentava
sempre più guidato dalla tipologia, e la forte influenza delle case californiane di Richard Neutra una serie di sei fotografie delle strade di Tarifa e San Fernando in Andalusia e sottolineava la
dello stesso periodo. Fotografati splendidamente da Català-Roca, questi edifici hanno acqui- varietà e il ritmo delle strade con le grandi finestre schermate. Il testo diceva:
sito un’aura iconica che fu nei primi anni Cinquanta a Barcellona paragonabile a quella delle Gli elementi standard, ripetuti all’infinito, invece di creare quella monotonia - di cui i profes-
californiane Case Study Houses nelle fotografie di Julius Shulman. Con le loro pareti bianche, sori delle scuole accademiche hanno tanta paura - danno una grande impressione di unità
le loro grandi porte scorrevoli in vetro, le persiane scorrevoli, e la loro tipologia “a cella” (non e di insieme alle città andaluse113.
diversamente da come le case di Ibiza crebbero con l’aggiunta di stanze ben definite), quelle A Barcellona nel 1951 ebbe luogo un altro evento importante: la fondazione di Gruppo R, composto
case esaltavano “il sincretismo che desideravano illustrare tra tradizione mediterranea e da Coderch e Valls, insieme a J. Pratmasó, J. Gili, A. De Moragas, J.M. Sostres e Oriol Bohigas.
cultura d’avanguardia”109. Il gruppo, più che altro una libera associazione di due generazioni di architetti—la prima attorno
Tuttavia, l’opera di Coderch non si limitava al “divertimento” della borghesia catalana sulle a Coderch, Gili, Sostres, la più giovane intorno a Bohigas, Martorell e Ribas—era essenzial-
sponde del Mediterraneo. Al contrario, nello stesso periodo, lo studio perseguiva diversi lavori​​ mente un centro intellettuale di resistenza, i cui membri volevano riconnettersi allo spirito di
la cui importanza non può essere sottovalutata, proprio al centro di Barcellona. In un momento GATCPAC. Il Gruppo R non ha mai rilasciato una piattaforma teorica o un manifesto ma organizzò
di crisi urbana generale in Europa e negli Stati Uniti, le opere di Coderch-Valls rispettarono le quattro mostre di architettura presentando fotografie di Catalá-Roca, modelli, disegni e, in
tradizioni urbane e le regole della città, sviluppando al contempo un approccio urbano originale alcuni casi, ceramiche, sculture, ecc. Accanto alle opere citate di Coderch-Valls, le Case MMI
per la modernizzazione del vernacolare. Il loro primo edificio fu un progetto di 150 case operaie in Barcelona e la Casa Agustí in Sitges, ambidue da Josep María Sostres (1953-55) mostravano
per l’Instituto de la Marina, nel quartiere popolare di La Barceloneta. Sul sito, delimitato da l’immagine più chiara del mediterraneo moderno caratterizzato da luminosi volumi bianchi e
strade settecentesche molto strette, progettarono un isolato urbano incentrato su un grande dall’uso intensivo di feritoie114.
cortile alberato. Per consentire la vista sul mare, il cortile, di fronte ai salotti, era aperto parzial- Il circolo catalano, tuttavia, non ebbe il monopolio della modernità. Nel suo discorso alla Quinta
mente su uno dei lati stretti, mentre le camere da letto, che si affacciavano sulle strade strette, Assemblea nel 1949, l’architetto madrileno
​​ Miguel Fisac (1913-2006) si allineò alle dichiarazioni
erano proiettate fuori come logge triangolari con le finestre orientate verso l’acqua. Sempre di Sartoris e Ponti quando affermò:
per l’Instituto de la Marina, Coderch e Valls costruirono nel 1952-1953 il loro capolavoro: la Siamo tutti d’accordo sulla necessità di abbandonare la strada che stavamo seguendo,
palazzina per i dipendenti dell’Instituto, sul Passeig de Joan de Borbó, sempre al centro di La perché mancava di qualsiasi contenuto vitale.... Copiare lo stile popolare o l’arte classica
Barceloneta. Per rispondere al sito stretto, un doppio angolo di strada con tre facciate corte, spagnola ci porta al folklore o “espagnolades”. Tirarne fuori l’essenza, essere in grado di
gli architetti fecero galleggiare e “ondeggiare” liberamente i piani superiori sopra a un piano estrarne gli ingredienti di verità, di modestia, di gioia e di bellezza: questo è il modo di aprire
terra allineato con il resto dell’isolato. Con il suo zoccolo di vetro, con le sue facciate leggere la strada a una Nuova Architettura115.
fatte di persiane in legno e piastrelle in ceramica, e con la sua soffitta sporgente, il condominio Fisac, noto per il suo approccio organico con influenze svedesi all’architettura, scrisse anche un
fu elogiato da Gio Ponti per la sua architettura “nata dall’interno”, che procede dalla necessità saggio influente “La arquitectura popular española y su valor ante la del futuro”, pubblicato a
razionale e non da “spiriti strani e imitativi”110. Madrid nel 1952. Con Rafael Aburto, Secundino Zuazo, Fernández del Amo, Alejandro de la Sota,
Il condominio può anche essere visto come una sorta di “manifesto” ambientale che inaugurò Francisco de Asis Cabrero—per citarne alcuni—apparteneva al gruppo informale di architetti,
l’approccio di Coderch e Valls all’uso dei materiali moderni come grandi finestre a vetri in favorevoli al regime e orientati al cattolicesimo, che si erano trasferiti a Madrid per lavorare
condizioni climatiche estreme. Che fosse in città—come il condominio in Calle Bach del 1958, la sulla ricostruzione. Come scrisse Gabriel Cabrero:
Casa Tapiés del 1958, o la casa di Coderch a Cadaqués del 1956—o in campagna—per esempio Li univa un legame molto forte: tutti appartenevano a una fazione precisa tra le tante
le Casa Urlach e la Casa Ugalde—essi utilizzarono, ripetutamente e per quasi due decenni, le costituite dal campo autodefinitosi “nazionale”. Questi erano i Cattolici, che, interpretando
cosiddette persiane Llambí per schermare gli interni dal sole, e sviluppare, quindi, una sorta la guerra come una crociata, avevano preso le armi per difendere la loro religione, e ne
di moderno “rivestimento vernacolare”, il cui insieme di divisioni verticali e linee di tapparelle emersero convinti che la società avrebbe potuto essere rigenerata solo sulla base di una
orizzontali consentiva di integrarsi in molti contesti storici indipendentemente dal sistema percezione cattolica della vita. Per loro, l’architettura era soprattutto uno strumento per la
strutturale e dai materiali. Il brevetto per la persiana moderna fu depositato nel marzo 1953 creazione di spazi in cui le necessità etiche della società avrebbero potuto essere rinnovate116.
da Coderch, Valls, e Juan e José Llambí, i proprietari della società Llambí. Fondata nel 1940, Accanto a de la Sota e del Amo il cui lavoro abbiamo già discusso, Miguel Fisac ​​e Francisco de
in origine come falegnameria, l’azienda si sviluppò gradualmente verso quella che divenne la Asis Cabrero avevano capito, come Coderch, che un approccio moderno al vernacolare era la
sua principale attività dal 1950: la produzione di persiane in legno, con doghe sempre in legno chiave per riaprire la cultura architettonica: tra le loro realizzazioni più notevoli ci furono l’In-
orizzontali sia fisse che inclinabili111. stituto Laboral de Hellín (Fisac, 1954), il Colegio Apostolico de los P.P. Dominicanos a Valladolid
La persiana, sebben utilizzata in molti paesi del Sud, aveva una ricca tradizione ispanica e (Fisac, 1952), gli appartamenti sociali della Virgen del Pilar a Madrid (1948, dove Cabrero utilizzò
ispano-americana che deriva dalle origini arabe dove si conosce come moucharabieh. Vista le tradizionali volte catalane) e il Recinto de la Fiera Casa del Campo (Cabrero, 1948). Nel 1953,

162 163
Fisac e ​​ Cabrero saranno tra i ventiquattro firmatari del Manifiesto de la Alhambra, scritto sotto la

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direzione di Fernando Chueca Goitia dopo un lungo incontro a Granada. Laddove il riferimento
al Escorial aveva dominato l’architettura spagnola nel corso degli anni Quaranta, Chueca Goitia
e il suo gruppo videro nell’Alhambra di Granada un riferimento storico e multiculturale più
appropriato alla situazione moderna e alle esigenze del dopoguerra in Spagna:
Il rapporto tra questo edificio del Quattordicesimo secolo e l’architettura contemporanea più
avanzata è, per molti versi, sorprendente. Concordano nella loro accettazione del modulo
umano, nel modo, asimmetrico ma organico, di organizzare i piani; nella purezza e nella
sincerità dei volumi che ne derivano; nel modo di incorporare il giardino e il paesaggio con
l’edificio, nel rigoroso ed economico utilizzo—senza “grasso” plastico—dei materiali, e in
tante altre cose...117.

“Elogio della baracca”


In occasione della prima Biennale Ispano-Americana tenutasi a Madrid, dall’ottobre 1951 al
febbraio 1952, vari architetti tra cui Mitjans, Sostres e Coderch stesso si posero la questione
di alloggi a basso costo nel contesto emergente delle rinnovate relazioni internazionali, in
particolare con gli Stati Uniti. Come negli anni Venti e nell’immediato periodo dopo la Guerra
Civile, la realtà della struttura economica del paese favoriva la standardizzazione e soluzioni
a intensità di manodopera relativamente alta. Nel loro Estudio sobre la vivienda económica en
España, Casadesús e Gaspar suggerirono il ricorso alla “semplicità nella composizione dei
progetti, nell’uso della manodopera e dei materiali, semplicità che non significa povertà …

3.29. Oriol Bohigas, José M. Martorell. Abitazioni di tipo sociale, Calle Pallars, Barcelona, 1960. Da Carlos
Flores, Arquitectura española contemporánea, 1961.
3.30. José Luis Iñiguez de Onzoño e Antonio Vázquez de Castro. Vista di un vicolo, Caño Roto, Madrid,
1956-1957. Da Luis Fernández-Galiano, Justo F. Isasi, e Antonio Lopera, La quimera moderna: los Poblados
Dirigidos de Madrid en la arquitectura de los 50, Madrid, 1989.

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proporzioni guidate da masse semplici, giochi di pieni e vuoti, il ritmo delle masse degli edifici case a due piani, le corsie pedonali strette e i campi da gioco quasi metafisici popolati dalle

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e degli spazi aperti”118. Allo stesso modo, Coderch suggerì l’uso della standardizzazione e di sculture di Angel Ferrant. Nonostante il loro ambiente a volte alienante, i quartiere Caño Roto fu
semplici tecniche di cemento precompresso che avrebbero ricreato l’immagine articolata di un l’ultimo anello di una catena ininterrotta da 60 anni di progetti ed esperimenti che collegavano
villaggio tradizionale, evocando riverberi di “cultura primitiva” nella sua visione di assemblaggi il vernacolare al moderno. Il regime franchista, ormai fuori dal suo isolamento internazionale,
compositi di volumi, illustrata in un famoso fotomontaggio presentato nel 1962 alla riunione si sarebbe presto imbarcato in una frenesia di alloggi di massa su base industriale che avrebbe
del Team X a Royaumont119. danneggiato irrimediabilmente le periferie urbane e le sponde del Mediterraneo123.
Senza dubbio, le opere di Alejandro de la Sota, Fernández del Amo e di altri architetti impegnati Nel 1959 Coderch divenne membro del CIAM su raccomandazione di José Luis Sert, che aveva
nei lavori dell’Instituto Nacional de Colonización riflettevano direttamente le considerazioni di appena terminato il suo ritorno al Mediterraneo con lo studio di Joan Miró su Palma di Maiorca.
Coderch, ma si nota che nessun architetto importante di Barcellona ​​fu coinvolto nell’istituto. Dopo l’11mo Congresso di Otterlo, aderì immediatamente, anche se non ufficialmente, alle fila del
Infatti, gli esperimenti e i dibattiti catalani ebbero luogo proprio nello contesto della metropoli. Team X. Nel 1961 scrisse un manifesto-lettera all’attenzione del segretario Jacob B. Bakema:
Di particolare interesse furono i primi lavori del giovane Oriol Bohigas negli anni 50, come il​​ lì manifestò il suo pessimismo di fronte a un aumento del commercialismo, alla distruzione
condominio in Calle Pallars (1958-1959) per i lavoratori metallurgici e la Casa Meridiana (1959- delle coste ed alla degenerazione della qualità dell’ambiente urbano e rurale. Col titolo “Non
1965), entrambi nell’Ensanche, che mostravano la risposta di Oriol Bohigas al movimento è di geni che abbiamo bisogno oggigiorno”, scrisse:
neo-realista italiano e il suo profondo interesse nella teoria e negli scritti di Ernesto Rogers. No, non credo che sia di geni che abbiamo bisogno oggi. Io credo che i geni succedano e basta,
Come Rogers, Bohigas credeva in un doppio continuum storico: la tradizione dei maestri moderni non sono né mezzi né fini. E non penso nemmeno che abbiamo bisogno di papi dell’architet-
e la tradizione spontanea e popolare che forma la struttura culturale delle grandi masse del ceto tura, né di grandi dottrinari e profeti (che mi lasciano sempre in dubbio).... Penso che prima
basso che nel dopoguerra stavano diventando le nuove protagoniste della storia120. La posizione di tutto abbiamo bisogno di buone scuole e buoni professori. Dobbiamo approfittare di ciò
di Bohigas era anche una risposta, o meglio un ampliamento del “discorso vernacolare” che, che resta della nostra tradizione costruttiva, e in particolare di quella morale, in quest’e-
fino ad allora era stato concentrato sulle campagne o sulle periferie remote. Il suo obiettivo era poca in cui le nostre più belle parole hanno perso il loro vero significato.... Dobbiamo fare in
quello di definire una strategia di un “vernacolare urbano”, legato a tipologie urbane e a materiali modo che migliaia e migliaia di architetti si preoccupino meno di Architettura, soldi e città
e metodi tradizionali di costruzione. Con la loro facciata fatta di mattoni tradizionali e il loro del prossimo millennio, e di più del fatto stesso di essere un architetto. Abbiamo bisogno
attento inserimento nel tessuto urbano, i suoi edifici si ergevano contro i dogmi ideologici del che lavorino con una corda attaccata ai piedi, in modo che non possano scivolare troppo
movimento moderno opponendo manodopera tradizionale a strutture e soluzioni tecnologiche lontano né dalla terra in cui hanno radici, né dagli uomini e le donne che ne sanno di più....124.
avanzate, ricollegandosi così con l’esperienza delle casas baratas dei decenni precedenti e con Con questa affermazione un Coderch disilluso riassunse e ribadì il ruolo costante e critico
il primo dibattito di industrializzazione contro standardizzazione. Nel 1963, Bohigas scrisse il giocato dalla “tradizione costruttiva” spagnola, per inquadrare una modernità architettonica
suo famoso manifesto Elogi de La Barraca [Elogio della baracca], che provocatoriamente nobilitò che sfidava lo status quo e le incombenti prospettive architettoniche nella nuova fase capita-
sia le tecniche costruttive tradizionali sia il processo di costruzione fai da te, in contrasto con listica del regime di Franco.
le costruzioni speculativi e senza carattere che sorgevano nelle periferie:
[…] pensiamo che sia possibile “redimere” lo spazio delle baracche e dargli un qualche
valore, un compito impossibile nei nostri gruppi inorganici di alloggi di massa. Allo stesso
modo, riteniamo che le qualità originali che si trovano nelle baracche potrebbero offrire
lezioni ai nostri urbanisti, e far capire loro quali sono i fondamenti autentici e le premesse
sociologiche di un nuovo quartiere121.
E in un altro testo:
Bisogna ricordare che il problema immediato è di fornire case per le innumerevoli famiglie
respinte dalla nostra struttura sociale. E, per il bene di quelle famiglie, è fondamentale
rinunciare, almeno per il momento, alle nostre incessanti discussioni: che stile, che opinioni,
quali princìpi, quali forme, ecc., incluso, se necessario, scendere dal piedistallo dei tecnici
dell’era industriale, per lavorare, con le mani, insieme ad artigiani e artigiane “medievali”122.
A Madrid, la crisi sociale del 1956 nelle chabolas [bidonvilles] della periferia, l’attivismo di un
sacerdote locale, Padre Llanos, e l’energia organizzativa dell’architetto Julián Laguna conflu-
irono per dare vita ad un esperimento a breve termine di edilizia pubblica. Combinando in modo
molto ambiguo, sezioni di auto-costruzione vernacolare per le case individuali e altri con tipologie
semi-industriale per case di appartamenti, i sette quartieri conosciuti sotto l’appellazione gene-
rale di Poblados Dirigidos (1956-1958) ruppero di colpo con i lavori della ricostruzione (DGRD) e
della colonizzazione interna (INC). Fortemente influenzato dal nascente movimento Brutalista,
l’esperienza Poblados Dirigidos ha portato alla costruzione di quartieri molto diversi, che vanno
dalla griglia alienante di Canillas al piu “pittoresco” Almendrales. Il miglior prodotto, il quartiere
Caño Roto, rivelò influssi inconfondibili del neorealismo italiano, con le facciate in mattoni delle

166 167
1
José Luis Fernández del Amo, “Del hacer de unos pueblos de colonización”, Palabra y Obra: masía”, pp. 61-67; Joaquim de Camps i Arboix, La masía catalana: Historia-Arquitectura-Sociología,

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Escritos Reunidos, Madrid, COAM, 1995, p. 77. Salvo diversa indicazione, tutte le traduzioni sono Barcellona, ​​1969.
dell’autore. 20
Antonio Pizza, p. 22.
2
Josep Rovira, José Luis Sert: 1901-1983, Milano, Electa, 2000, p. 197. 21
Jordana Mendelson, Documenting Spain: Artists, Exhibition Culture, and the Modern Nation, 1929-
3
Citato da Alicia Suarez e Mercè Vidal, “Catalan Noucentisme, the Mediterranean, and Tradi- 1939, University Park, Pennsylvania State University Press, 2005, p. 12.
tion”, in William Robinson, Jordi Falgás, Carmen Belen Lord (a cura di), Barcelona and Modernity: 22
Ibidem, p. 15.
Picasso Gaudí Miró Dalí, New Haven-Londra, Yale University Press, p. 230: Eugeni D’Ors, 23
Dalí fu uno dei primi artisti a vivere in Cadaqués, un paese che ha attirato molti altri come
“Emporium”, Glosari 1906-1907, pp. 31-32. Si veda anche Teresa Camps, “Critical Theories of Picasso, Miró, ecc. Fu anche elogiato da Gio Ponti e Juan Antonio Coderch. Su Dalí e Buñuel, si
Noucentisme, Classicism and the Avant-garde in Catalonia, 1906-1930”, in On Classic Ground: veda ad esempio Matthew Gale, Dalí & Film, New York, The Museum of Modern Art, 2007.
Picasso, Léger, De Chirico, and the New Classicism 1910-1930, Elizabeth Cofano e Jennifer Mundy 24
Per un sommario della complessa vicenda dell’architettura del Noucentisme, si veda il sito della
(a cura di), Londra, Tate Gallery, 1990; Jaume Vallcorba Plana, Noucentisme, mediterraneisme Generalitat de Catalunya, http://www20.gencat.cat/portal/site/culturacatalana?newLang=en_GB
i classicisme: apunts per a la historia d’una estètica, Barcellona, Quaderns
​​ Crema, 1994. Su (ultima consultazione nel Agosto 2014).
Eugenio d’Ors, si veda Norbert Bilbeny, Eugeni d’Ors i la ideologia del Noucentisme, Barcellona, La 25
Si veda Jordi Carreras, “Noucentisme tra Architettura e l’Arte dell’oggetto”, in Barcelona
Magrana, 1988. and Modernity, pp 281-293; Gonçal Mayos Solsona, “Escuelas en un contexto macrofilosófico y
4
Si veda Olivier Thomas Kransch, “Towards the ‘Ideal City’ of Noucentisme: Barcelona’s Sirens biopolítico” in Albert Cubeles e Marc Cuixart (a cura di), Josep Goday Casals. Arquitectura escolar
Song of Cosmopolitan Modernity” in Journal of Cultural Spanish Studies 4, nº2, 2003, pp. 225ff. a Barcelona de la Mancomunitat a la República, Barcelona, Ayuntamiento de Barcelona e Instituto
5
Eugeni d’Ors, “Emporium”, pp. 31-32. de Educación, 2008.
6
Citato da Alicia Suarez e Mercè Vidal, “Catalan Noucentisme, the Mediterranean, and Tradition”, 26
Albert Ferré, “La contribución externa a la construcción de Barcelona” (in catalano), Ajuntament
p. 226, in Joaquín Torres-García, “La nostra ordinaciò i el nostre cami”, Empori, aprile 1907. de Barcelona (a cura di), 2003: http://www.bcn.cat/publicacions/b_mm/bmm62/bmm62_qc30.
7
Si veda Jordi Falgás, “The Almanach dels Noucentistes: A Hybrid Manifesto”, Barcelona and htm (ultima consultazione in Agosto 2014).
Modernity, pp 233-235. L’Almanach fu pubblicato una sola volta, nel 1911. 27
Si veda Josep Puig i Cadafalch:la arquitectura entre la casa y la ciudad, Barcellona, ​​Centro Cultural
8
William Curtis, Modern Architecture Since 1900, 3a edizione, Londra, Phaidon, 1996, p. 60. de la Fundación Caja de Pensiones, 1990; L. Permanyer, Josep Puig i Cadafalch, Barcellona, Ediciones
​​
9
Su Gaudí e il Mediterraneo, si veda Juan José Lahuerta, Antoni Gaudí, 1852-1926, Milano, Electa, Poligrafa, 2001. Sull’espositione del 1929: Josep M. Rovira, La arquitectura noucentista, Barcellona,​​
1992, pp 143-171, citazione a p. 155, da VM Gilbert, Gaudí, músico potencial. Sulla Catalogna e il Universitat Politecnica de Barcelona, ​​1983; Carmen Grandas, L’exposició Internacional de Barce-
Mediterraneo, si veda anche Josep Rovira, “La Posesión del Mediterraneo”, Urbanización en Punta lona de 1929, Barcellona, ​​Els Llibres de la Frontera, 1988; Exposición Internacional de Barcelona,​​
Martinet, Ibiza, 1966-1971, Almería, Colegio de Arquitectos de Almería, 1996, pp 7-32. Barcellona, ​​1929.
10
Josep M. Rovira, “The Mediterranean is his cradle”, J.L.L. Sert and Meditarrenean Culture, Barcel- 28
Si veda Bénédicte Leclerc (a cura di), Jean Claude Nicolas Forestier, 1861-1930. Du jardin au paysage
lona, ​​Colegio de Arquitectos de Cataluña, 1995, p. 47. urbain, Atti del Colloquio internazionale J.C.N. Forestier (1990), Paris, Picard, 1994; J.C.N. Forestier,
11
Per questa sezione, si veda l’importante saggio di Antonio Pizza, “Il Mediterraneo: creazione e Jardins: carnet de plans et de dessins, Paris, Picard, 1994 (1920). Su Rubió i Tudurí, si veda Mercè
sviluppo di un mito”, J.L.L. Sert y el Mediterráneo, p. 23 Rubió i Boada, Nicolau María Rubio i Tuduri (1891-1981): jardinero y urbanista, Aranjuez, Ediciones
12
Citato da Pizza, p. 20, in Eugeni d’Ors, La Ben Plantada, Barcellona, ​​ed. Selecta, 1958, p.15. Il Doce Calles/ Madrid, Real Jardin Botanico, CSIC, 1993.
seguente paragrafo evidenzia quello che sarebbe diventato un problema importante nei circoli 29
Jordana Mendelson, p. 9.
architettonici negli anni Venti, la differenza tra “regionalista” e vero vernacolare: “Anche il resto 30
Jordana Mendelson, p. 23. Si veda anche Jordana Mendelson, “From Photographic Fragments
del villaggio rimarrà bianco, purché non sia volgarmente colorato e inzuccherato dalla spazzatura to Architectural Illusions at the 1929 Poble Espanyol in Barcellona”, in Medina Lasansky e Brian
che architetti e costruttori stanno spargendo in tutta la Catalogna nello stile abominevole che ha McLaren (a cura di), Architecture and Tourism: Perception, Performance and Place, Oxford-New York,
degradato la nostra Tibidabo “, ibidem. Berg, 2004 , pp. 129-147. Originariamente concepita da Puig per formare un gruppo di tipologie
13
Citato da Pizza, p. 21, in Eugeni d’Ors, pag. 32. vernacolari spagnole, il Poble fu ridisegnato dopo il 1924 come un complesso urbano coerente e
14
Citato da Pizza, p. 23, in J. Folch i Torres, “Record d’ una masía”, La Veu de Catalunya, n º 210, 27 denso, incentrato intorno a una plaza mayor, e la cui intenzione ideologica era di creare una sintesi
dicembre, 1913, citato anche in R.S. Lubar, “La carn del paisatje: tradició popular i identität nacional di tutte le città della nazione (Mendelson, ibid.).
en el noucentisme” in El Noucentisme. Un projecte de modernität, op.cit. 31
Jordana Mendelson, Documenting Spain, p. 25.
15
Josep Pijoan, “De les terres Velles”, Almanach dels Noucentistes, 1911. 32
Si veda ad esempio la mostra e catalogo: Agnès Rousseaux, La nuit espagnole: flamenco, avant-
16
Antonio Pizza, p. 19. garde et culture populaire, 1865-1936, Parigi, Paris-Musées, 2008; su Nietzsche e il sud, si veda
17
Alícia Suarez e Mercè Vidal, p. 226 Martine Prange, Lof der Méditerranée: Nietzsches Vrolijke Wetenschap tussen Noord en zuid, Kampen,
18
Enric Prat de la Riba, La Nacionalitat Catalana, Barcellona, ​​Biblioteca Popular, 1906, p. 20, citato Klement, 2005.
da Josep Rovira, Urbanización en Punta Martinet, p. 15. 33
Si veda Carlos Sambricio, “La Normalización de la arquitectura vernacula: un debate en la España
19
Si veda ad esempio Narcís Comadira, “The forms of Paradise: Noucentiste Painting and Sculp- de los veinte”, in Revista de Occidente, nº 235, dicembre 2000, pp. 21-44 (qui pp. 23-24); Federico
ture” in William Robinson, Jordi Falgas, Carmen Belen Lord (a cura di), Barcelona and Modernity, López Valencia, Las casas baratas en España, Madrid, Establecimiento tipográfico, 1928; Paloma
pp 249-259. Sulla masía catalana, si veda il numero del la rivista 2c Construcción de la Ciudad, 17-18, Barreiro Pereira, Casas baratas: la vivienda social en Madrid, 1900-1939, Madrid, Colegio Oficial de
1981, e particolarmente il saggio “Reinterpretación de lo vernaculo: la apropriación cultural de la Arquitectos de Madrid, 1992.

168 169
34
Carlos Sambricio, Cuando se quiso resucitar la arquitectura, Murcia, Comisión de Cultura del 1933, p. 420. Di fatto, quegli intenditori eccentrici furono i pionieri di quello che sarebbe diventato

IL MODERNO, IL VERNACOLARE E IL MEDITERRANEO IN SPAGNA | Jean-François Lejeune


Colegio Oficial de Arquitectos y Aparejadores Técnicos, 1983, p. 29. Sull’influenza di Otto Bauer un santuario della cultura hippie negli anni 1960 e 1970, e oggi la Mecca di una invasione turistica
per l’edilizia abitativa a Vienna, Eva Blau, The Architecture of Red Vienna, 1919-1934, Cambridge, The travolgente. L’interesse tedesco per il vernacolare spagnolo, non solo a Ibiza, ma in tutto il paese
MIT Press, 1999. Si veda Otto Bauer, Der Weg zum Sozialismus, Wien, Ignaz Brand, 1919 [In italiano, e in particolare al sud, è stato ampiamente studiato da Joaquín Medina Warmburg, in Projizierte
La realizzazione del socialismo, Città di Castello, Il solco, 1920). Moderne: Deutschsprachige Architekten und Städtebauer in Spanien (1918-1936)-Dialog, Abhängigkeit,
35
Carlos Sambricio, “La Normalización de la arquitectura vernacula”, p. 36. Polemik, Frankfurt am Main, Vervuert Verlag, 2005. Di particolare interesse è la terza sezione del
36
Ibid., p. 44. libro, dal titolo “Inseln” [Isole] che fa anche ampio riferimento a Le Corbusier.
37
Ibid., p. 41 51
Walter Benjamin, The Correspondence of Walter Benjamin, lettera a Gerhard Scholem, 22 aprile
38
Torres Balbás, citato da Carlos Sambricio, “La Normalización de la arquitectura vernacula”, 1932, p. 340.
pp. 41-42. L’articolo non fornisce alcun riferimento alle fonti. 52
A.C. (Documentos de Actividad Contemporanea) apparve come rivista nel 1931 e fu pubbli-
39
Citato da Carlos Sambricio, “L’architecture espagnole entre la IIe République et le fran- cata fino al 1937 per un totale di venticinque numeri. GATEPAC (Grupo de Artistas y Técnicos
quisme”, Les années 30 - L’architecture et les arts de l’espace entre industrie et nostalgie, Paris, Españoles para el Progreso de la Arquitectura Contemporanea) fu fondata a Saragozza il 25-26
Editions du patrimoine, 1997, p. 181. Si veda José Ortega y Gasset, “Nuevas Casas Antiguas ottobre, con Sert e Subiño come co-autori del manifesto della fondazione. Tra i fondatori c’
[1926]”, Obras completas, Madrid, Revista de Occidente, 1957, volume 2 (El Espectador, 1916-1934), erano anche Antoni Bonet Castellana, Josep Torres Clavé, José Manuel Aizpurúa e Fernando
pp. 549-51. García Mercadal. Vedere AC: La Revista del GATEPAC, 1931-1937, Barcellona, Museo ​​ Nacional
40
Su Mercadal, si veda Juan Daniel Fullaondo, Fernando García Mercadal: arquitecto aproxima- Centro de Arte Reina Sofia, 2008.
tivo, Madrid, Colegio Oficial de Arquitectos de Madrid, 1984; Carlos Sambricio, Cuando se quiso 53
Antonio Bonet Correa, prologo alla nuova edizione di Fernando García Mercadal, La casa popolare
resucitar la arquitectura, op. cit. en España, Barcelona, Editorial Gili, 1981, p. XV.54 Fernando García Mercadal, La casa popular en
41
Fernando García Mercadal, “Arquitectura Mediterranea” in Arquitectura 85, maggio 1926, pp. España, Madrid, Espasa-Calpe, 1930 (1981), p. 54. Mercadal costruì alcuni dei primi esempi di archi-
192-197; “Arquitectura Mediterránea II”, in Arquitectura 97, maggio 1927, pp. 190-193; Augustin tettura razionalista, come il Rincón de Goya (1927-8; ristrutturato) a Saragozza. Un altro esempio
Bernard, Enquête sur l’habitation rurale des Indigènes de l’Algérie, Algeri, Fontana frères, 1921. della sua architettura è la serie di case edificate nel 1930 per la Colonia Residencia de Madrid, in
42
Secondo l’espressione inventata da Carlos Flores nel 1961 per caratterizzare la prima generazione Calle Carbonero y Sol. Nel complesso, le opere di Mercadal sono state trascurate dalla storiografia.
di architetti moderni laureati dalla Escuela de Arquitectura de Madrid, includendo Mercadal, Blanco Bisogna segnalare inoltre i suoi molti progetti urbanistici a Bilbao (1926) con Otto Bunz, Siviglia
Soler, Bergamín, Lacasa, Arniches, etc. Si veda Carlos Flores, Arquitectura española contemporánea, (1929-1932), Burgos (1929), El Ferrol (1929), Ceuta (1930), Badajoz (1930), ecc.
Madrid, Aguilar, 1961; Concha Diez-Pastor, Carlos Arniches y Martín Domínguez, arquitectos de la 55
Per una sintesi di tutte le posizioni, si veda Enrique Granell Trias, “Impossibile non soccombere
Generación del 25, Madrid, Mairea, 2005. al canto delle sirene. Paralell 1933” in J.L.L. Sert and the Mediterranean, pp. 126-137.
43
Fernando García Mercadal, La Casa Mediterranea, Madrid, Ministerio de Cultura, Dirección General 56
Su Paul Schultze-Naumburg si veda il saggio di Kai K. Gutschow in questo libro.
de Bellas Artes y Archivos, 1984, p. 16. 57
A.C. 2, 1931, p. 22. Sul piano generale per Madrid, si veda Secundino Zuazo e Herman Jansen,
44
Le Corbusier, citato da Josep Rovira, “The Mediterranean is his cradle”, p. 49. Sui vari viaggi Anteproyecto del Trazado Viario y Urbanización de Madrid, 1929-1930, Madrid, Colegio Oficial de Arqui-
compiuti da Le Corbusier in Spagna e il suo interesse per il vernacolare spagnolo, vedi Juan José tectos de Madrid, edizione facsimile, 1986; si veda anche Secundino Zuazo, arquitecto del Madrid de
Lahuerta, Le Corbusier e la Spagna, Milano, Electa, 2006 e Le Corbusier, Espagne: Carnets, Mila- la Secunda República, Madrid, Biblioteca Nacional, 2006.
no-Parigi, Electa, Fondation Le Corbusier, 2001. 58
José Lluis Sert, “Raices mediterraneas de la arquitectura moderna”, A.C. 18, 1935, ristampato
45
Le Corbusier, Une maison, Un palais - À la recherche d’une unité architecturale, Parigi, G. Cres, 1929. in Antonio Pizza, J.L.L.Sert y el Mediterráneo, pp 217-18, citazione a p. 217.
46
Josep Rovira, “The Mediterranean is his Cradle”, pp. 63-64. Sulla ricezione della conferenze di 59
Nel suo saggio “Impossibile non cedere al canto delle Sirene. Paralell 1933”, Enrique Granell
Le Corbusier e l’influenza reciproca tra Le Courbusier e Sert, si veda Josep Rovira, op. cit. Trías menzionò come Bartomeu Martí apprese tramite un’intervista con Vera Broido, una delle
47
Il processo ha qualche analogia con la relazione di Abbé Laugier con il vernacolare e la capanna donne che vissero con Hausmann sull’isola, che la ricerca di Hausmann ebbe origine in seguito a
primitiva: “Questo processo ha comportato, non la scoperta della costruzione vernacolare, ma la una visita di un architetto canadese che era stato sulla nave Patris, pp 134-35.
rivernacolarizzazione del classicismo per accreditare il mito delle origini”: da Alan Colquhoun, 60
Bartomeu Marí, Jean-Paul Midant et. al., Raoul Hausmann, Architect. Ibiza 1933-1936, Bruxelles,
“Vernacular Classicism”, Modernity and the Classical Tradition–Architectural Essays 1980-1987, Archives d’Architecture Moderne, 1990. I testi di Hausmann su Ibiza sono: “L’architecture de l’Ile
Cambridge, The MIT Press, 1989, p. 30. d’Ibiza”, Revista Oeuvres nº 9, settembre 1934; “Ibiza et la maison méditerranéenne”, L’architecture
48
Josep Rovira, “Ibiza y la mirada de La Vanguardia”, in Urbanización en Punta Martinet, Ibiza, 1966- d’aujourd’hui, nº 1, 1935; “Elementos de la arquitectura rural de la Isla de Ibiza”, AC, 21, 1936;
1971, pp. 33-54; anche Josep Rovira, José Luis Sert, op. cit. “Arquitectura sense arquitecte”, D’ACI I d’Alla, 1936; “Nouvelles recherches etno-anthropologiques
49
Sul “primitivo” e sul vernacolare in Italia e a Capri, si veda il saggio di Michelangelo Sabatino in sur les Pityuses”, Revue Anthropologique, 1938; “Recherches sur l’origine de la Maison Rurale à
questo volume. Si veda anche: Michelangelo Sabatino, Pride in Modesty: Modernist Architecture and Eivissa“, Revista de tradiciones populares, 1944.
the Vernacular Tradition in Italy, Toronto e Buffalo, University of Toronto Press, 2009. [Traduzione 61
Raoul Hausmann, “Ibiza et la maison méditerranéenne”, L’architecture d’ aujourd’hui, nº 1 1935,
italiana: Orgoglio della modestia. Architettura moderna italiana e tradizione vernacolare, Milano, p. 33.
Franco Angeli Edizioni, 2013]. 62
Raoul Hausmann, “Elvissa i l’arquitecture sense arquitecte”, D’Aci I d’Allà 184,1936. Qui citato
50
Walter Benjamin, The Correspondence of Walter Benjamin, 1910-1940, Gershom Scholem e Theodor dalla traduzione francese in Bartomeu Marí, Jean-Paul Midant et. al., Raoul Hausmann Architecte
W. Adorno (a cura di), Chicago, The University of Chicago Press, 1994: lettera a Gretel Adorno, giugno - Architect Ibiza 1933-1936, p. 28.

170 171
63
Enrique Granell Trías, p. 136. 80
José Moreno Torres, La reconstrucción urbana en España, Madrid, Artes Gráficas Faure 1945,

IL MODERNO, IL VERNACOLARE E IL MEDITERRANEO IN SPAGNA | Jean-François Lejeune


64
Dagli inediti appunti di Jaume Freixa “From Ibiza to America: Josep Lluis Sert’s Modern Rein- senza indicazione di pagina. Una ordinanza emessa nel 1938 proibì a chiunque di ricostruire senza
terpretation of the Mediterranean Vernacular”, presso l’University of Miami School of Architecture la preventiva autorizzazione concessa in conformità con il vigente piano urbanistico di ricostruzione
“The Other Modern” conferenza a Casa Malaparte, Capri, 8-13 marzo 1998. Curiosamente Aizpurúa, o di restauro. A tutte le persone colpite fu concesso il diritto di richiedere prestiti a lungo termine
celebre architetto modernista del Real Club Nautico de San Sebastian (1928-1929) e membro del a tasso di interesse ridotto all’Istituto Nazionale di Credito per la Ricostruzione creato a questo
GATEPAC, era molto amico di Federico Garcia Lorca. Su Aizpurúa, si veda José Ángel Sanz Esquide, scopo dalla legge del 19 marzo 1939. Un efficiente sistema di ridistribuzione dei terreni permise
Real Club Náutico de San Sebastián, 1928-1929, Almería, Colegio de Arquitectos de Almería, 1995. questo complicato processo di ri-pianificazione urbana o trasferimento di diritti di proprietà dalla
Su Sert all’estero, si veda ad esempio Josep Rovira, José Luis Sert, op. cit,, Xavier Costa e Guido zona distrutta alla nuova città.
Hartray (a cura di), Sert: arquitecto en Nueva York, Barcellona, ACTAR,​​ 1997; José Gelabert-Navia e 81
José Moreno Torres, senza indicazione di pagina.
Jean-François Lejeune, “Los arquitectos españoles y la construcción de la ciudad moderna: Sert, 82
José Ortega y Gasset, “La meditación del Escorial”, [1915], Obras completas, Madrid, Revista de
Moneo, Harvard y América”, Pamplona Metropolis 1930 - Modernidad & Futuro, Pamplona, ​​Colegio Occidente, 1957, volume 2 (El Espectador, 1916-1934), p. 557.
Oficial de arquitectos Vasco Navarro, 2006, pp 18-39. 83
See Catherine Wilkinson-Zerner, Juan de Herrera, Architect to Philip II of Spain, New Haven, Yale
65
See Jordana Mendelson, “Josep Renau and the 1937 Spanish Pavilion in Paris”, Documenting University Press, 1993.
Spain: Artists, Exhibition Culture, and the Modern Nation, 1929-1939, pp. 125-183. 84
Lluís Domènech, p. 13. Sulla rivalutazione della ricostruzione, vedi la polemica tra Tomas Llorens
66
Vedere Lluís Domènech, Arquitectura de Siempre: Los años 40 en España, Barcellona, ​​Tusquets, e Helio Piñon, da un lato, che hanno criticato il rinnovato interesse, e Carlos Sambricio e Ignasi
1978, pp. 23-24. Sola-Morales, dall’altro, in Arquitectura Española Contemporàneo. Documentos, escritos, testimonios
67
“Muerte y reconstrucción de unos pueblos”, Reconstrucción X, 8, 1949. inéditos, Madrid, Colegio de Arquitectos de Madrid, 2002, pp. 253-280.
68
Lluís Domènech, pp 18 e seg. 85
Su Tierra sin Pan (Terra senza pane) e il suo rapporto con la politica, si veda Jordana Mendelson,
69
Sesiones de la I Asamblea Nacional de Arquitectos, Madrid, Servicios Técnicos de FET y de las “Contested Territory: The Politics of Geography in Las Hurdes: Tierra sin pan di Luis Buñuel”, Locus
JONS, 1939, p. 4. Amoenus II, 1966, pp 229-242; si veda anche Jordana Mendelson, Documenting Spain: Artists, Exhi-
70
Quoted by Lluís Domènech, pp. 33-34. bition Culture, and the Modern Nation, 1929-1939, pp. 65-91. Si può anche stabilire un parallelo con i
71
Si veda per esempio Carlos Sambricio, “L’architecture espagnole entre la Deuxième République documentari sociali nordamericani sulla Tennessee Valley negli anni ‘20 e ‘30: vedi Robert L. Snyder,
et le Franquisme”, in Les années 30 - L’architecture et les arts de l’espace entre industrie et nostalgie, Pare Lorentz and the Documentary Film, Norman, University of Oklahoma Press, 1968.
Parigi, Editions du patrimoine, 1997, p. 181. 86
Vedi Javier Monclús e José Luis Oyon, Políticas y Técnicas en la ordenación del espacio rural,
72 - 73
Ibidem. Volume I della Historia y Evolución de la Colonización Agraria in España, Madrid, MAP/MAPA/MOPU,
74
Josep Lluis Sert, “Arquitectura sense ‘estil’i sense ‘arquitecte’”, D’Aci i d’Allà 179, dicembre 1988. Si veda anche Graziano Gasparini, “The Spanish-American Grid Plan, an Urban Bureaucratic
1934, ristampato in Antonio Pizza, J.L.L.Sert and the Mediterranean, p. 210. Form”, The New City I, 1991, pp. 6-17 e nello stesso volume “The Laws of the Indies of 1571”, pp. 18
75
Si veda il saggio di Ignasi Sola-Morales, “La arquitectura de la vivienda en los años de la -33; Mario Sartor, “La città latinoamericana tra antecedenti precolombiani, leggi di fondazione e
Autarquia, 1939-1953”, in Arquitectura 199, aprile 1976, p. 20. tradizione”, Zodiac 8, 1988, pp. 14-47. Sulle fondazioni del Diciottesimo secolo, si veda un sommario
76
Ignasi Sola-Morales, p. 22. di José Tamés Alarcón, “Proceso urbanistico de nuestra colonización interior”, Revista Nacional de
77
Pedro Muguruza, “Las construcciones civiles en el País Vasco”, en Arquitectura, nº 7, Año I, Arquitectura, novembre 1948, pp. 414-424.
noviembre 1918, pp. 199-202; Construcciones civiles. I Congreso de Estudios Vascos. Bilbao, Bilbaína 87
José Tamés Alarcón, “Proceso urbanistico de nuestra colonización interior”, op.cit,. e “Actua-
de Artes Gráficas, 1919, pp. 772-773. Si veda Asier Santas Torres, “1939-1944: la vivienda antiurbana ciones del Instituto Nacional de Colonización 1939-1970”, Urbanismo, COAM 3, 1988, pp 4-18, dove
en la comarca del Nervión. Razón y simulacro en las tipologías al servicio de la producción” in fa riferimento direttamente a Sabaudia, Segezia e Nahalal, il kibbutz-villaggio progettato nel 1921
Arquitectura, ciudad e ideología antiurbana, Pamplona, Escuela Técnica Superior de Arquitectura/ da Richard Kauffman.
Universidad de Navarra, 2002, pp. 179-188. 88
“Concurso de anteproyectos para la construcción de poblados en las zonas regables del Guadal-
78
José Fonseca, “La vivienda rural en España: estudio técnico y jurídico para una actuación del quivir y del Guadalmellato”, Arquitectura XVI, nº 10, 1934, pp 267-298.
Estado en la material, “Arquitectura XVIII, nº 1, 1936, pp. 12-24. Per i decreti sulla casa del 1939, 89
Più di sessantacinquemila coloni e le loro famiglie - si pensa quindi a circa un milione e mezzo
si veda Manuel Calzada Pérez, “La vivienda rural en los pueblos de colonización”, PH. Boletín del di abitanti considerando la dimensione delle famiglie rurali e dei loro lavoratori dipendenti in quel
Instituto Andaluz del Patrimonio Histórico XIII, n º 52, 2005, pp. 55-67; ​​Ignacio Sola-Morales, “La periodo - si stabilirono in queste regioni della Spagna recentemente bonificate e storicamente
Arquitectura de la Vivienda En Los Años de la Autarquia, 1939-1953”, pp. 19-30. povere. L’analogia con le politiche fasciste nelle Paludi Pontine dopo il discorso di Mussolini del
79
Nel 1987 la ricostruzione fu oggetto di una grande mostra e di un catalogo dal titolo Arquitectura Giorno dell’Ascensione sono quindi abbastanza ovvie, ma una analisi comparativa rimane ancora
en Regiones Devastadas, Madrid, MOPU, 1987; vedi anche Lluís Domènech, Arquitectura de siempre, da fare. Alla fine e secondo logica, negli anni Cinquanta l’INC assunse per intero le responsabilità
op. cit., Gabriel Ureña, Arquitectura y urbanística civil y militar en el período de la Autarquía (1936-1945), del Dipartimento delle Regioni Devastate. Vedere Alfredo Villanueva Paredes e Jesus Leal Maldo-
Madrid, Istmo, 1979. Si vedano anche i saggi dell’Autore: Jean-François Lejeune, “The Intellectual nado, Políticas y Técnicas en la ordenación del espacio rural, Volume III della Historia y Evolución de la
Pleasure of Ambiguity: The Reconstruction of Spain in the Years of Autarky (1939-1956)”, in The Colonización Agraria in España, Madrid, MAP/MAPA/MOPU, 1991.
Venice Charter Revisited: Modernism and Conservation in the Post-War World, Londra, INTBAU, 2009, 90
Manuel Calzada Pérez, p. 61.
pp. 196-207, e “Rationalism and Tradition in the New Towns of the Reconstruction in Spain”, in Orien- 91
Alejandro de la Sota, “Vivienda agrupada. Pueblo de Gimenells”, Revista Nacional de Arquitectura,
tal-Occidental, Atti ACSA International Conference Istanbul 2001, Washington DC, ACSA, 2002, pp. 28-32. Novembre 1948, pp. 439-441.

172 173
92
José Tamés Alarcón, “Proceso urbanistico de nuestra colonización interior”, p. 423. come Sert, dall’altra parte dell’Atlantico, fosse ugualmente interessato a Gaudí, si veda José Luis

IL MODERNO, IL VERNACOLARE E IL MEDITERRANEO IN SPAGNA | Jean-François Lejeune


93
Questa sezione è spiegata più in dettaglio in Jean-François Lejeune, “Planned Cities in Spain, Sert e James Johnson Sweeney, Antoni Gaudí, Londra, Architectural Press, 1960. Due anni prima,
1944-1969”, Claudio D’Amato Guerrieri (a cura di), Cities of Stone: The Other Modernity, Xth Biennale of Le Corbusier aveva pubblicato un libro dedicato all’architetto catalano con fotografie di Joaquim
Venice, X° Biennale di Venezia, Milano, Marsilio, 2006, pp. 158-167, e “Città di fondazione in Spagna, Gomis e Joan Prats, Gaudí, Barcellona, Editorial
​​ RM, 1958.
1944-1969”, in Jean-François Lejeune e Cristiano Rosponi (a cura di), Bollettino del C.E.S.A.R., 108
“Casa sulla costa spagnola”, Domus 289, dicembre 1953.
dicembre 2006, senza indicazione di pagina. 109
Carlos Flores, “La arquitectura de José Antonio Coderch y Manuel Valls, 1942-1960”, in De
94
Sulla seconda generazione di città, si veda Antonio Pizza, “Die Dörfer Der Agrarkolonisation Im Roma a Nueva York: Itinerarios de la nueva Arquitectura Española 1950/1965, UNAV 1, Actas del
Spanien Francos”, in Vittorio Magnago Lampugnani (a cura di), Die Architektur, Die Tradition und der Congreso International, Ottobre 1988, Pamplona, ​​Ediciones T6, pp. 67-77, citazione a p. 69,
Ort: Regionalismen in der Europäischen Stadt, Ludwigsburg, Wüstenrot Stiftung, 2000, pp. 464-93. versione digitale.
95
Alejandro de la Sota, “El Nuevo pueblo de Esquivel, cerca de Sevilla”, in Revista Nacional de 110
Gio Ponti, “Casa a Barcellona”, Domus 306, maggio 1955, p. 7-10. L’ingegnere Eustequio
Arquitectura, 133, dicembre 1953, pp. 15-22; “Pueblo para el Instituto de Colonización, 1952-1956, Ugalde, proprietario della casa Ugalde, fece i calcoli del cemento per il progetto.
Esquivel, Sevilla”, AV: Monografias (Alejandro de la Sota), 68, Novembre-Dicembre 1997, pp. 38-45. 111
Si veda http://www.llambi.com, ultimo accesso agosto 2014.
È interessante come Esquivel ricordi, in scala minore, il progetto non realizzato di Ernst May a 112
Carlos Garrido, “Paisaje de persianas”, Diario de Mallorca, 21 febbraio 2008 (versione digitale
Francoforte per Siedlung Bornheimer Hang (1926). Si veda anche la trascrizione di una discus- online)
sione molto interessante sull’influenza delle città andaluse tradizionali sul nuovo disegno urbano, 113
A.C. 18. 1935, p.19.
Sesión de Crítica de arquitectura celebrada en Sevilla, “Posibilidades que tienen los barrios típicos 114
Si veda Gabriel Ruiz Cabrero, The Modern in Spain: Architecture after 1948, Cambridge, The MIT
andaluces para el urbanismo actual”, in Arquitectura, 155, 1954, pp. 19-48 Press, 2001; Carmen Rodríguez e José Torres, Grup R, Barcellona, Gili, ​​ 1994.
96
William Curtis, “Duas Obras.” Grial, 109, 1991, p.17. Citato in Pedro de Llano, Alejandro de la Sota: 115
Miguel Fisac, “Estetica de la Arquitectura”, citato da Antonio Pizza, “Italia y la necesidad de la
O nacemento dunha arquitectura, Pontevedra, Deputacion Provincial de Pontevedra, 1994, p. 41. teoría en la arquitectura catalana de la postguerra: E.N. Rogers, O. Bohigas”, in De Roma a Nueva
97
Per una panoramica si veda Fernández del Amo: Arquitecturas 1942-1982, Madrid, Ministerio de York: Itinerarios de la nueva arquitectura española 1950-1965, p. 100. Le visite di Bruno Zevi e Alvar
Cultura, 1983; José Luis Fernández del Amo, Palabra y Obra. Escritos Reunidos, Madrid, COAM, 1995. Aalto nel 1950 hanno dato agli architetti spagnoli l’impulso “organico” che ha permesso loro di
Su Vegaviana, si veda “Vegaviana: un poblado de Colonización”, Revista Nacional de Arquitectura, gettare via il peso degli anni quaranta. L’approccio di Zevi ha dato loro una base internazionale
202, 1958, pp. 1-14. aggiuntiva per il ritorno al vernacolare genuino e popolare.
98
Citato da Francisco Javier Sáenz de Oiza, “El Pueblo de Vegaviana”, Arquitectura, 7, 1959, pp. 116
Gabriel Cabrero, p. 13. Cabrero cita Rafael Aburto, Francisco Cabrero, Alejandro de la Sota,
25-28, ristampato in Fernández del Amo: Arquitecturas 1942-1982, p. 46. Miguel Fisac. Vale la pena notare che Coderch anche combattè con i falangisti durante la guerra
99
Oscar Niemeyer, catalogo della Biennale del 1961 di San Paolo, dove del Amo ricevette la Medaglia civile e fu un cattolico fervente. Come contrappunto, si veda l’articolo recente e aggressivamente
d’Oro, citato da José de Castro Arines, “El hombre y la obra” in Fernández Del Amo: Arquitecturas partigiano di Josep Rovira, “Architettura Popolare e Fascismo. Celebrazioni Franchiste. Prima Fiera
1942-1982, p. 16. Nazionale dell’Agricoltura. Casa De Campo. Madrid 1950”, Casabella 771, Novembre 2008, pp. 88-97.
100
Ignasi Sola-Morales, p. 28. 117
Fernando Chueca Goitia, et. al., Manifiesto de la Alhambra, Madrid, Dirección General de la Arqui-
101
Sulla Quinta Malagueira, si veda Enrico Molteni, Álvaro Siza: Barrio de la Malagueira, Évora, Barce- tectura 1953, ristampato in Angel Urrutia Núñez (a cura di), Arquitectura Española Contemporaneo.
lona, ​​Universitat Politècnica de Catalunya, 1997; Peter G. Rowe, Prince of Wales Prize in Urban Documentos, escritos, testimonios ineditos, pp 356-383, citazione p. 361. Per un’analisi, si veda Juan
Design, 1988, Cambridge, Harvard Unversity, Graduate School of Design, 1988. Calatrava Escobar (a cura di), El Manifiesto de la Alhambra 50 años después: el monumento y la arqui-
102
Antonio Pizza, “La Tradizione e l’universalismo di un progetto nazionale”, Antonio Pizza e Josep tectura contemporanea, Granada, Patronato de la Alhambra y Generalife, 2006.
Rovira (a cura di), In search of Home: Coderch 1940/1964, Barcellona, ​​Colegio de Arquitectos de 118
Antonio Pizza, “La Tradizione e l’Universalismo di un Progetto domestico”, p. 103 e seg.
Cataluña, 2000, pp. 89-90. 119
Ibid., p. 108, citato da Giralt Casadesús e Maynes Gaspar, Estudio sobre la vivienda económica en
103
Per questa sezione, si veda Josep M. Rovira, “The sea never had a dream”, p. 73. Sul rapporto España, Barcellona, Cuerpo
​​ de Arquitectos Municipales de España, 1950, p. 52.
tra la Spagna e l’Italia, si veda Antono Pizza e Josep Rovira, In Search of Home, op. cit., e il saggio 120
Si veda Antonio Pizza, “Italia y la necesidad de la teoría en la arquitectura catalana de la post-
molto completo da María Isabel Navarro, “La Critica italiana y la arquitectura española de los años guerra: E.N. Rogers, O. Bohigas”, p. 107.
50. Paisajes de la arquitectura española en la segunda modernidad “, in Escuela Técnica Superior 121
Oriol Bohigas, “Elogi de La Barraca”, Barcelona entre el Pla Cerdà i el barraquisme, Edicions 62,
de Arquitectura, Modelos alemanes y Italianos para España en los años de la posteguerra, UNAV 4, Barcellona, 1963,
​​ pp. 154-155.
Actas del Congreso Internacional, marzo 2004, Pamplona, ​​T6 Ediciones, 2004, pp. 61-100 (Internet 122
O.Bohigas, “L’arquitectura entre la Industria i l’artesania” en Serra d’ Or nº 10, Barcellona,​​
edition), Alberto Sartoris: la Concepción poética de la arquitectura, Valencia, IVAM, 2000. 1960. Citato da Antonio Pizza, “Italia y la necesidad de la teoría en la arquitectura catalana de la
104
Gio Ponti, “Della Spagna”, Domus, citato da Luigi Spinelli, José Antonio Coderch: La cellula e la postguerra: E.N. Rogers, O. Bohigas”, p. 105.
luce, Torino, Universale di Architettura, nº 134, 2003, p. 14. 123
Vedere Luis Fernández Galliano, Justo F. Isast, Antonio Lopera (a cura di), La quimera moderna:
105
Sui primi lavori di Coderch, si veda Antonio Pizza e Josep Rovira, In Search of Home, e Luigi Los Poblados Dirigidos de Madrid en la arquitectura de los 50, Madrid, Hermann Blume, 1989.
Spinelli, José Antonio Coderch, op. cit. 124
Antonio Coderch, “No son genios lo que necesitamos ahora”, pubblicato in Domus 384, Novembre
106
Per questa sezione, si veda Antonio Pizza, “La Tradizione e l’Universalismo di un Progetto 1961, e Arquitectura nº 38, febbraio 1962, pp. 21-26; ristampato Angelo Urrutia Núñez (a cura di),
domestico”, p. 92 e seg., citazione a p. 94. Arquitectura Española Contemporáneo, pp 303-305, versione riveduta del 1977, pp. 306-309.
107
Luigi Moretti, “Tradizione muraria a Ibiza”, Spazio II, 1951, 5, pp. 35-42. E’ interessante notare

174 175
Il vernacolare dal “Habitat Rural” al programma SAAL
La ricezione portoghese del Team X
Pedro Baía 04
Un esame del significato della ricezione delle idee e progetti del Team X sull’architettura porto-
ghese incontra una serie di difficoltà che Dirk van den Heuvel e Max Risselada hanno sottolineato
nell’introduzione del loro libro Team 10: Alla ricerca di una utopia del Presente. “La storia del
gruppo”, scrivono, “sfida la storiografia tradizionale, così come la storiografia più specifico
dell’architettura moderna”1. Si potrebbe dire che il contesto e le idee del Team X portoghese
hanno un rapporto obliquo. Tuttavia, ci sono alcuni segnali che confermano l’importanza e la
pertinenza della presenza del Team X in Portogallo.
Infatti, non c’è modo facile in cui avvicinarsi all’oggetto di studio. In primo luogo, la composizione
del Team X era diffusa, avente un nucleo centrale di diversi architetti che si sono distinte a causa
della loro maggiore presenza e militanza, e un numero di partecipanti invitati cui presenza sia
di natura più irregolare o occasionale. Come un gruppo eterogeneo, Team X ha riunito architetti
da una varietà di origini, con diverse preoccupazioni e punti di vista. In secondo luogo, Team X
era contrario ai dogmi, dottrine e le linee guida tecnocratiche. In quanto tale, la sua intenzione
non era di presentare una alternativa alla Carta di Atene, come la proposta molto discusso
di una Carta di Habitat, o di qualsiasi altro nuovo programma esplicito di azione. Si può dire
che l’assenza di risposte e il “diritto di essere vago”, come Aldo van Eyck lo ha definito, hanno
permesso un dibattito poliedrico, franco e aperto nei primi incontri del Team X 2.
In opposizione al modello burocratico e razionalista del CIAM, Team X ha ridefinito la semantica
del discorso architettonico, favorendo concetti antropologici e lo sviluppo di prospettive più
sensibile alle esigenze socio-psicologiche di identità, di quartiere e di appartenenza. Ha anche
sollevato questioni relative al contesto, la storia, la mobilità, la vita quotidiana, la spontaneità,
così come le domande relative alle abitazione su larga scala, la struttura di una comunità, il
processo partecipativo e il collegamento ad un luogo specifico.
Quindi, la ricchezza dell’eredità di Team X e le sue influenze può essere inteso in termini di
un’eredità open-source che permette una varietà di posizioni intellettuali, non solo per quanto
riguarda l’impatto del gruppo sui dibattiti del dopoguerra di architettura moderna, ma anche per
quanto riguarda il contesto portoghese. La qualità specifica dell’influenza del Team X è definita
dalla struttura del suo discorso. In un testo introduttivo al Team 10 Primer, Alison Smithson ha
scritto quanto sia stato importante lo scambio di idee per il gruppo:
In un certo senso si tratta di una storia di come le idee delle persone coinvolte sono cresciute
o modificate a seguito di contatto con gli altri, e si spera che la pubblicazione di queste idee
profonde, nella loro forma originale, spesso ingenua, permetterà loro di continuare la vita” 3.
I membri del Team X utilizzano spesso la parola idea per distinguersi dall’uso dei concetti
dottrinari del CIAM di norma o linea guida. Idea suggerisce qualcosa di più inclusiva, qualcosa
che può essere appropriato, qualcosa di aperto a derivazione e nuove interpretazioni. In questo
senso, il primo numero della nuova serie della rivista olandese Forum—chiamato “La storia di
un’altra idea”, e che fu distribuito tra gli architetti presenti al 1959 CIAM di Otterlo) rappresenta
un punto di svolta4. Questo numero in forma di manifesto segna un cambiamento programma-
tico sia nel discorso di Forum sia nell’approccio della sua redazione, guidato da Aldo van Eyck
e Jaap Bakema. La copertina del numero consiste in una serie di parole ritagliate e disposte
circolarmente, che illustrano alcuni dei concetti basilari del Team X come ‘gruppo’, ‘cambiamento
e crescita’, ‘identità’, ‘gerarchia di associazioni umane’, ‘come identificare dispositivi’, ‘mobi-

4.1. Copertina di , “The Story of Another Idea” (La storia di una altra idea), 7, 1959 (progettata da Jurriaan
Schrofer). © Foundation AetA.

177
lità’, ‘la plus grande reality du seuil’, ‘l’habitat pour le plus grande nombre’, tra gli altri. Questa

IL VERNACOLARE DAL “HABITAT RURAL” AL PROGRAMMA SAAL LA RICEZIONE PORTOGHESE DEL TEAM X | Pedro Baía
copertura riassunta quello che potrebbe essere considerato l’essenza del Team X—un insieme
di idee che gravitano intorno a un centro indefinito, lasciato vuoto e aperto all’appropriazione.
Quindi, quando parliamo dell’accoglienza del Team X, stiamo parlando dell’accoglienza delle
loro idee, sviluppate ed elaborate sia all’interno del gruppo e sia individualmente, nel più ampio
contesto di una revisione critica del movimento moderno. Team X è stato associato con i linguaggi
facilmente riconoscibili di movimenti come Brutalism e Structuralism, o il concetto di Mat-building.
Tuttavia, Team X non aspirava a qualsiasi tipo di modello specifico, stile o codice formale. Invece,
ha rappresentato una posizione etica socialmente impegnata basata su una profonda riflessione
critica, che ha permesso di soppiantare il carattere strettamente funzionalista del CIAM, la
Carta di Atene e l’architettura associato all’International Style5.
Come ha suggerito Peter Smithson, Team X ha rappresentato un cambiamento di sensibilità che
ha provocato una nuova comprensione delle città, i modelli umani e forme costruite collettive6.
In questo senso, si potrebbe sostenere che questa nuova sensibilità ha permesso una diffusione
del suo discorso nella cultura architettonica portoghese, in parallelo con l’influenza di moder-
nismi nordici e mediterranei. Quindi, se Team X potrebbe essere inteso in un senso più ampio,
come idea costruita nel tempo, su un palinsesto interpretativo collettivo, lo scopo di questo
approccio è quello di aprire un’ipotesi di riflessione della ricezione nei suoi vari sensi, come
cercare di capire il modo in cui Team X è stata interpretata criticamente, diffusa e assimilata
dalla cultura architettonica portoghese. 3
2
Dal ODAM al CIAM
La revisione del modernismo, come avviata da diversi membri Team X nelle riunioni CIAM del
dopoguerra, ha lasciato il segno sulla cultura architettonica portoghese nel 1950. In Portogallo,
l’Organizzazione degli architetti moderni (ODAM) ha fornito la prima occasione per entrare in
contatto con questa profonda revisione programmatica. ODAM, i cui membri includevano gli
ex-delegati CIAM in rappresentanza del Portogallo, è stata fondata a Porto nel 1947. Questo
gruppo giovanile, composto da circa 40 architetti nati tra il 1908 e il 1925, includeva alcuni degli
architetti più importanti e attivi a Porto nel 1950 sia in termini della pratica e l’insegnamento
come Armenio Losa, Viana de Lima, Agostinho Ricca, Mario Bonito, Octavio Lixa Filgueiras,
Fernando Távora e Jose Carlos Loureiro7.
ODAM ha svolto un ruolo fondamentale in Portogallo tra il 1947 e il 1956. Ha affermato lo spirito
di architettura moderna e si è opposto all’architettura monumentale e nazionalista promosso dal
regime autoritario di Oliveira Salazar. Nel 1972, Cassiano Barbosa, uno dei membri più anziani
del gruppo, pubblicò un libro che delineava gli obiettivi principali: “Per diffondere i principi
su cui l’architettura moderna dovrebbe basarsi, cercando di affermare, attraverso il lavoro
dei suoi membri, come la coscienza professionale dovrebbe essere formato e come creare la
necessaria comprensione tra architetti e altri esperti tecnici e artisti”8.
Questo ruolo è stato condiviso con un’ altra associazione, le Arti e le Iniziative Techniche Culturali
(ICAT), fondata a Lisboaa nel 1946 da Francisco Keil do Amaral, Celestino de Castro, Francisco
Castro Rodrigues, João Simões, Francisco Conceição Silva, tra gli altri9. Dal 1946 al 1957 ICAT
ha prodotto la seconda serie della rivista Arquitectura, e ha utilizzato la rivista per pubblicare
testi e opere dei principali autori del movimento moderno, come Le Corbusier, Walter Gropius,
Alvar Aalto, Eric Mendelsohn, Richard Neutra e Marcel Breuer. Inoltre, Arquitectura ha pubblicato
la versione integrale della Carta di Atene in una serie di dodici edizioni tra il 1948 e il 194910.
In questo modo, una nuova generazione di architetti si è riunita in questi due gruppi, a Lisboaa e
Porto, i quali erano ugualmente coinvolti nella promozione di idee di architettura moderna come
antidoto alle linee guida nazionalistiche del regime. Questo atteggiamento politico ha costituito
4.2/3. Pagine da Inquérito à Arquitectura Regional Portuguesa, vol. II, Lisboa: Sindicato nacional dos arqui-
il nucleo ideologico della loro architettura e identità. Nel 1948, entrambi hanno giocato un ruolo
tectos, 1961.

178 179
decisivo nel primo Congresso Nazionale di Architettura organizzato e promosso dall’Unione “manifesto del gruppo ODAM, letta al Congresso e distribuito come un opuscolo, sul problema

IL VERNACOLARE DAL “HABITAT RURAL” AL PROGRAMMA SAAL LA RICEZIONE PORTOGHESE DEL TEAM X | Pedro Baía
Nazionale degli Architetti11. Paradossalmente, l’incontro fu sponsorizzato dal governo, rivelando casa”. Teotónio Pereira osserva che il testo prevede l’attuazione di un programma di edilizia su
così l’ambiguità politica del congresso. Non solo il congresso espresse un forte sostegno per larga scala volto a coprire le esigenze delle persone che vivono in abitazioni precarie.
i moderni principi della Carta di Atene e l’impegno a risolvere il problema degli alloggi, ma Quattro mesi dopo il 1° Congresso Nazionale di Architettura, Viana de Lima scrisse una lettera
rappresentò anche un punto di svolta, un risveglio collettivo di quelli architetti che volevano a Sigfried Giedion, cercando di formare una delegazione portoghese ai congressi CIAM13. La
riconquistare la libertà di espressione e di esprimere una rinnovata e più intensa opposizione prima lettera, nel 1948, è rimasta senza risposta. L’8 marzo 1951 Viana de Lima contatta Giedion
alla dittatura di Salazar. ancora una volta14. Il secondo tentativo fu un successo, suscitando una conferma dell’interesse
Nel suo contributo al congresso, Viana de Lima, un architetto della vecchia generazione ODAM, del consiglio CIAM a ricevere il gruppo portoghese. In seguito di queste lettere, e dei contatti
se pronunciò a favore delle “unità abitative”, concludendo che “i principi guida espressi e defi- stabiliti in precedenza con André Bouxin e Le Corbusier, Viana de Lima e Fernando Távora
niti nella Carta di Atene dovrebbero essere seguite e non adottati solo nelle aree urbane e gli presero parte al CIAM 8, tenutasi a Hoddesdon nel luglio 1951, in qualità di osservatori.
edifici rurali, ma nei piani di sviluppo urbano per tutti i centri abitati”12. Nuno Teotónio Pereira,
nell’edizione in facsimile del verbale del congresso, recupera dal suo archivio personale un Fernando Távora e l’Indagine sull’Architettura Portoghese Regionale
Fernando Távora è stato uno dei 210 partecipanti iscritti al Congresso 194815. Tuttavia, va notato
che lui non ha dato un discorso, o non ha firmato il manifesto degli architetti ODAM. È impro-
babile che la giovane età di Távora fu la ragione per cui non ha partecipato attivamente al
Congresso, dato che nel 1945, aveva soltanto ventidue anni, quando ha pubblicato il suo testo
seminale O Problema da Casa Portuguesa (Il problema della casa portoghese) nel settimanale
Aléo, una pubblicazione tradizionalista con un’inclinazione monarchica e cattolica, a cui suo
padre sottoscriva16.
Il testo di Távora era parte di un più ampio dibattito sul tema della tradizione architettonica
portoghese. Un mese prima, lo stesso giornale aveva pubblicato un articolo intitolato A tradição
na Arquitectura e o ambiente regional (Tradizione in Architettura e ambiente regionale), di Carlos
da Silva Lopes, esperto di araldica. Quest’articolo chiamava per “un’architettura della nostra,
portoghese e regionale” e la creazione di un “movimento con direzione chiara, uno dei tanti, di
reaportuguesamento (inteso come ripristino di una portoguesità) del Portogallo”17. La reazione
di Távora fu di organizzare nei suoi diari le sue osservazioni come risposta a Silva Lopes18.
Il testo-manifesto fece il seguente appello:
Tutto deve essere rifatto, a partire dall’inizio.
05
Denunciava la “falsa architettura” del movimento nazionalista della “casa portoghese”, un
movimento teorizzato da Raul Lino19 e sostenuto dal regime di Salazar:
04
La casa portoghese, nato da questo movimento, non ha in alcun modo portato qualcosa di
nuovo al Portogallo; mentre le basi dell’architettura moderna venivano poste all’estero,
in Portogallo andavano restringendo le nostre attività, cercando di creare un’arte indipen-
dente, unico nel suo genere in questo paese, ma che era del tutto incompatibile con il modo
di pensare, di sentire e di vivere del nuovo mondo nascente. Si potrebbe dire che si trattava
di un’architettura di archeologi, e mai un’architettura di architetti20.
Leggendo l’articolo, Nuno Teotónio Pereira viaggiò da Lisboaa a Oporto per incontrare Távora, e
propose che l’articolo fosse pubblicato in una raccolta di brevi testi sull’architettura. Nel 1947,
Teotónio Pereira e Joao Manuel Leal rendevano omaggio alla importanza del saggio di Távora
con la pubblicazione di una versione riscritta e ampliata del testo in Cadernos de Arquitectura,
questa volta con una distribuzione più ampia e quindi un maggiore impatto21.
Secondo Manuel Mendes, Távora scrisse il suo testo sulla scia di una maturazione delle sue
riflessioni sulla questione della casa portoghese:
Per Fernando Távora, vale a dire a suo tempo della formazione tra il 1939 e il 1952, la casa
portoghese era un tema ricorrente nel suo processo personale di ricezione e di assimila-
06
zione del moderno; un processo segnato da ripetuti conflitti con le sue origini—formative,
4.4. Fernando Távora. Casa estiva Ofir, piano terreno, Ofir, 1957-58. © Fundação Instituto Marques da Silva (FIMS).
culturali e ideologiche, portoghesi, cattolici e monarchici [...] 22.
Jorge Figueira sottolineava che Tàvora aveva utilizzato il testo-manifesto per “posizionarsi … su
4.5. Fernando Távora. Casa estiva Ofir, piano terreno, Ofir, 1957-58. © FIMS.
una piattaforme estremamente insinuante e tattica”23. In effetti, Tàvora stava difendendo una
4.6. Fernando Távora, Casa estiva Ofir, Ofir, 1957-58. © FIMS.

180 181
‘terza via’, una alternativa in posizione intermedia. La ragione è che c’erano due aspetti nella furono alla base dell’Inquérito à Arquitectura Regional Portuguesa [Indagine sull’Architettura

IL VERNACOLARE DAL “HABITAT RURAL” AL PROGRAMMA SAAL LA RICEZIONE PORTOGHESE DEL TEAM X | Pedro Baía
sua affermazione che “la casa popolare ci fornisce con grandi lezioni se correttamente studiata, Portoghese Regionale] per l’indagine sull’architettura portoghese regionale promossa dall’U-
in quanto è la più funzionale e meno fantasiosa …”24 . Da un lato, esprimeva il bisogno di una nione Nazionale degli Architetti25. L’indagine—una missione ambiziosa composta di sei gruppi
ricerca per una vera architettura portoghese, e, dall’altro, affermava che l’architettura porto- distribuiti geograficamente in tutto il paese per intraprendere uno studio scientifico dell’archi-
ghese avrebbe, “se correttamente studiata”, rivelato un grande debito alla logica funzionalista. tettura vernacolare portoghese—è stata lanciata ufficialmente nel 1955 e se terminò cinque anni
Queste preoccupazioni, in linea con un testo pubblicato nel 1947 da Francisco Keil do Amaral, dopo26. I suoi risultati sono stati pubblicati nel 1961 in due volumi titolati Arquitectura Popular
em Portugal27. Fernando Tàvora ha guidato la squadra per la regione del Minho, accanto al suo
collega Octavio Lixa Filgueiras, responsabile del team regionale Trás-os-Montes. Queste due
gruppi del nord hanno condiviso un particolare apprezzamento per le preoccupazioni antropo-
logiche, attestata dalla loro attenzione sul rapporto tra associazioni umane e i loro stanziamenti
spaziali28. Così, è interessante notare che queste domande relative ad identificare i dispositivi
e le strutture comunitarie erano in linea con quelli discussi dal Team X 29.

Fernando Távora e il CIAM 8


Viana de Lima e Fernando Távora sono arrivati al CIAM 8 di Hoddesdon imbevuti dello spirito del
razionalismo esposto al Congresso del 1948 e convinti della capacità redentrice di architettura
moderna. Tuttavia, il gruppo portoghese si unì al CIAM in un momento in cui tutto veniva messo
in discussione, nel momento quando era già “troppo tardi per essere moderni”30. Da Hoddesdon
(1951) a Otterlo (1959), i congressi CIAM diventarono il palcoscenico di una profonda revisione
critica derivante dalla partecipazione delle giovani generazioni.
Secondo Eric Mumford, il tema proposto dal gruppo inglese MARS per l’ottavo congresso aggiun-
geva una nuova “ funzione” ai quattro già stabilite dal CIAM nella Carta di Atene: il tema del
Cuore (The Core) era nato dalle loro osservazioni che era necessario di considerare un altro
elemento al di là delle quattro funzioni CIAM—“l’elemento che rende la comunità una comu-
nità”, il suo “cuore o nucleo”31. Secondo Távora, il nucleo aveva sia una dimensione urbana e
una domestica: “il nucleo, interpretato come cuore, o centro,” si riferiva al “centro della città”,
ma anche al “centro della casa”. Sul tema del congresso, Távora scrisse che “da un lato, questo
congresso ha annullato alcune delle idee del mio background razionalista, mentre dall’altro
ha confermato una certa tendenza temperamentale, e anche un tipo di evoluzione che, a mio
parere, quella scuola di pensiero molto razionalista stava subendo”32.
Távora percepì un “nuovo percorso” che avrebbe seguito dai nuovi progetti presentati da Le
Corbusier:
Ricordo, per esempio, non solo la struttura di Chandigarh, ma anche aspetti formali di
alcuni edifici della capitale, che sono stati imbevuti con un certo sapore indiano, qualcosa
di incomprensibile in un architetto che ha sostenuto una architettura internazionale33.
La sua sorpresa fu chiara:
Le Corbusier ha detto alcune cose che erano estremamente comune e banale, ma che il
movimento razionalista aveva scartato [... ]; egli esaltava il fuoco come punto focale della
casa, con riferimento alla descrizione di un edificio a Marsiglia, e ha parlato del valore delle
attività spontanee34.
Le Corbusier aveva già menzionato le “attività spontanee” all’inizio della conferenza:
Nella nostra società meccanizzata moderna, la maggior parte degli uomini e donne hanno
un ruolo passivo. Si tratta di mettere la nostra società in condizioni tali che atti spontanei
siano resi possibili di nuovo; allora l’architetto e l’urbanista potranno intervenire35.
Più tardi, Corbusier dichiarò:
Le cose nascono così semplicemente, senza ordini; si tratta di un fenomeno di fermentazione
spontanea che si verifica in determinate posizioni favorevoli36.
4.7/8. CIAM-Porto, Portugal, (Habitat rurale - una nuova comunità agricole), Panello 1-2-3. Progetto In questo contesto, ci sono affinità chiare tra il discorso di Corbusier e quello di Távora: nella
presentato al CIAM 10, Dubrovnik, 1956. Da Centro de Documentação da Faculdade de Arquitectura da
loro apertura verso un’azione spontanea, nel loro riconoscimento della validità di un processo
Universidade do Porto (PT FAUP/CDUA/VL/CIAM X. © Arménio Teixeira).

182 183
creativo più intuitivo, al contrario di un approccio eccessivamente metodico. A Hoddesdon, le In questo contesto, è pertinente ricordare un testo fondamentale in cui Távora ha spiegato il

IL VERNACOLARE DAL “HABITAT RURAL” AL PROGRAMMA SAAL LA RICEZIONE PORTOGHESE DEL TEAM X | Pedro Baía
nuove generazioni che in seguito avrebbero svolto un ruolo centrale nelle sfide interne al CIAM suo approccio progettuale per la casa estiva che costruì a Ofir (1957-58)45. Il progetto si rifaceva
erano ancora disperse, senza alcuna posizione collettiva chiaramente definita. Dunque l’inter- alla “terza via” difesa dieci anni prima nel suo testo del 1947. Tuttavia, come ha ricordato Távora
vento di Le Corbusier incarnava lo spirito di una nuova sensibilità che cominciava a emergere: stesso nel 1986, “l’indagine sulla architettura portoghese regionale era decisiva, poiché ha avuto
Ecco la mia conclusione: bisogna aprire tutto ciò che è spontaneo. Dobbiamo preparare un effetto immediato e diretto sulla casa estiva a Ofir”46. Nel suo testo 1957 Távora ha paragonato
dappertutto elementi molto semplici, luoghi e spazi molto semplici da offrire a che vuole la casa ad un “composto chimico”, in cui sarebbe coinvolto un numero infinito di fattori, fattori
prenderli e dare alle persone l’opportunità di farsi avanti e di fermentare lo spirito moderno con valori variabili, dove tutti vengono presi in considerazione”47. Per l’autore, alcuni fattori non
che può sorgere ora37. sono “nell’ambito delle responsabilità dell’architetto mentre altri appartengono al campo della
Valorizzando la natura spontanea degli spazi informali, Corbusier anticipava il movimento formazione dell’architetto, nonché alla sua personalità”48. Elencando questi fattori—la famiglia
reattivo che prenderebbe maggiore forma nei congressi successivi. Riconoscendo gli errori del stessa, il terreno, il clima, i materiali del luogo, la manodopera locale, la cultura dell’archi-
passato, suggeriva una nuova direzione nella visione programmatica del CIAM: tetto—Távora ha segnalato in un tono autobiografico che “l’architetto ha la sua cultura, plastica
Bisogna evitare di fare architettura preconcetta; dobbiamo lasciare fare il tempo, dobbiamo e lo sfondo umano (per quanto lo riguarda, la casa è più di un semplice edificio)”. Egli conosce il
lasciare fare la vita stessa.... Perché sarete d’accordo con me che non c’è un ‘diktat’ che significato delle parole, come organicismo, il funzionalismo, neo-empirismo, cubismo, ecc., e
possa fare l’architettura. Dovunque è stato tentato ed è stato recentemente provato in allo stesso tempo sperimenta una sensazione profonda di amore senza precedenti per tutte le
diversi paesi. Tutto ha fallito di un capo all’altro. Non credo che andrà meglio continuando manifestazioni architettoniche spontanee che trova nel suo paese”49. In questo modo, secondo
... non ci credo molto 38. la logica del raggruppamento sviluppato da Távora, vari fattori sono stati filtrati criticamente,
Sebbene la relazione del Távora sul congresso di 1951 non sia stata trasmessa ai lettori della portando a diverse forme di appropriazione adattate all’impostazione portoghese.
rivista Arquitectura fino al venti anni dopo, le sue ripercussioni si faranno sentire appena tornato
in Portogallo, nei tertulias, nei caffè e nel suoi contatti con la Scuola Superiore di Belle Arti L’influenza del CIAM 9
di Porto. Scriveva: “Sono convinto che, nonostante tutto, il mio lavoro di insegnante ha reso Il nono Congresso, dedicato al tema Carta del Habitat, si è tenuta a Aix-en-Provence nel 1953,
possibile per la mia esperienza al congresso di essere di una certa importanza per le giovani con la più alta partecipazione del ciclo: 3000 partecipanti, tra delegati, membri e osservatori.
generazioni: chiaramente, essendo stato importante per me, ha avuto ripercussioni anche per Quasi tutte le persone che sarebbero poi andate a formare Team X erano presenti: Aldo van
loro”39. La dichiarazione di Távora era significativa in quanto confermava l’importanza di un Eyck, Jaap Bakema, Georges Candilis, Shadrach Woods, Alison Smithson e Peter Smithson.
processo di trasmissione intergenerazionale. La delegazione portoghese era composta da Viana de Lima, Fernando Távora, António Matos
Veloso, Arménio Losa, Luís Praça e Abelha. Gli architetti portoghesi che sono state coinvolte
Ricezione critica di Fernando Tàvora nelle diverse commissioni e sottocommissioni del CIAM 9 hanno avuto l’opportunità di frequen-
Il giovane Álvaro Siza ha collaborato con Távora tra 1949 al 1955. Siza ricorda che Távora, tare i vari dibattiti segnati dalle attività dei futuri membri del Team 10. Alla luce delle nuove
come membro del CIAM, sentì un forte bisogno di condividere le sue esperienze 40 . La sua preoccupazioni che stavano emergendo, più sensibili allo spazio della comunità, più consape-
appropriazione critica del dibattito sull’avvenire del CIAM negli anni Cinquanta è stato di vitale
importanza per la formazione della Scuola di Architettura di Porto. Secondo Siza, Távora “ha
avuto informazioni dirette e personali che ha trasmesso alla scuola, soprattutto a quelli che
hanno lavorato con lui”41. Non è un caso che alcuni membri della scuola, come Arnaldo Araujo e
Octavio Lixa Filgueiras, riflettevano sulle preoccupazioni sollevato durante gli ultimi congressi
CIAM, quali l’identità, la sociologia o il ruolo sociale dell’architetto. Come afferma Jorge Figueira,
questo “è stato decisivo per la creazione di una sorta di sincronizzazione culturale, via Porto,
tra l’avanguardia europea e la tradizione ideologica fragile dell’architettura portoghese”42.
Nel 1961, Nuno Portas, una figura chiave nella ricezione critica portoghese del dibattito interna-
zionale degli anni Cinquanta, ha sottolineato la posizione privilegiata di Távora come mediatore
di idee tra la Scuola di Porto e il Team X. Nella rivista Arquitectura, Portas scrisse che Távora,
“avendo partecipato alle quattro congressi CIAM negli ultimi dieci anni, [... ] ha avuto l’opportu-
nità di seguire, dal vivo, la crisi che si è verificato nel cuore del movimento moderno (all’interno
dell’indottrinamento che la ha formato), in quanto, non essendo parte dell’opposizione del
Team X al ‘funzionalismo ortodosso’ o il ‘revisionismo italiano’, fu in grado di ottenere una
migliore comprensione delle cause profonde che li separavano”43. Siza ha confermato questa
interpretazione, quando ha ricordato che “dal ultimo CIAM, [Távora ] ha seguito il pensiero di
Coderch sulle case Catalane, e non quella di Candilis sulle nuove città; del ribelle Van Eyck e
dei nuovi italiani, e non di Bakema e della ricostruzione trionfalistica”44. Questa affermazione
rivela l’importanza della ricezione critica di Távora e illustra i diversi gradi della discussione
di permeabilità innescate dal Team X.
4.9. Fernando Távora,Mercato in Vila da Feira, 1953-1959. © FIMS.

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la legislazione e le questioni sociali51. La commissione n.1, dedicata alla pianificazione urbana,

IL VERNACOLARE DAL “HABITAT RURAL” AL PROGRAMMA SAAL LA RICEZIONE PORTOGHESE DEL TEAM X | Pedro Baía
è stata presieduta da José Luis Sert. Jaap Bakema era a capo di una sottocommissione52 che ha
esaminato il rischio di perdere “l’identità dell’uomo” nella tendenza emergente di costruzione
di massa di abitazioni:
La moltiplicazione delle abitazioni è limitata da varie condizioni—sociologiche, economiche,
geografiche, politiche e plastiche. Eventuali proposte architettoniche o urbanistiche che
ignorano tali condizioni e non danno all’uomo la sua identità non riescono a soddisfare i
requisiti della ‘vita’. Questa identità si trova nella abitazione stessa—nell’unità residen-
ziale—nell’unità comunità—nella città e nella regione—in altre parole, in tutte le fasi di
moltiplicazione53.
Questa sottocommissione ha evidenziato la necessità di una maggiore differenziazione delle
funzioni, al fine di soddisfare le attuali esigenze spirituali, emozionali e materiali dell’uomo.
In questo senso, la questione di identità e di appartenenza ad una comunità svolgevano un
ruolo prioritario:
L’appartenenza è un bisogno emotivo di base—le sue associazioni sono di ordine più
semplice. Da ‘appartenenza’—identità—arriva il senso di arricchimento di vicinato. La strada
corta e stretta degli baraccopoli riesce dove spesso la spaziosa riqualificazione non riesce54.
E’ in questo contesto che la nozione di ‘gruppo visivo’ sorse, uno degli argomenti più tardi
presentati sulla copertina del Forum n.7, insieme con il concetto di “identità”:
L’occhio è una misura della dimensione umana. Che cosa si può vedere a colpo d’occhio
è immediatamente riconosciuta come entità; da qui l’importanza del riconoscimento del
gruppo visivo all’interno del quartiere. Ma dove il quartiere ha prima una base funzionale
[... ] il gruppo visivo ha in primo luogo una base emotiva”55.
La commissione n.2, presieduta da Sigfried Giedion assistito da Aldo van Eyck, era dedicata alla
sintesi delle arti. La commissione ha discusso il ruolo dell’estetica nell’abitazione moderna, e
ha individuato le tendenze comuni nell’obiettivo di risolvere i due problemi “ fondamentali”: la
preservazione della scale umana contra le meccanizzazione; l’attitudine da adattare davanti
alla situazione “naturale” e agli civilizzazioni arcaiche56. Per quanto riguarda le implicazioni
estetiche di questa nuova sensibilità, la commissione affermava quanto segue:
Siamo convinti che solo un nuovo linguaggio estetico—la continuazione di quella già a nostra
disposizione—può effettivamente spingere la ‘molteplicità’ e la ‘quantità’ di un’armonia
dinamica parallela all’armonia classica. Quindi abbiamo bisogno di un grado estetico capace
di “ritmare” molteplicità e ripetizione57.
4.10. Fernando Távora, Mercato in Vila da Feira, 1953-1959. Da Antonio Esposito & Giovanni Leoni, Per quanto riguarda il ruolo dell’arcaico, la commissione ha sostenuto che il contatto con le
Fernando Távora: opera completa, Milano, Electa, 2005. civiltà primitive ha il potenziale per espandere la gamma di possibili approcci per l’architettura
4.11. Aldo van Eyck. (Due tipi di centralità), diagramma che illustra i fenomeni gemelli, pubblicato in , 426, contemporanea—e di conseguenza, un “atteggiamento umile” è necessario:
Maggio 1965. Da Francis Strauven, , Amsterdam, 1998.
L’atteggiamento del nostro approccio alle civiltà straniere è umile. Non guarda le civiltà
voli dell’importanza di imparare dagli altri, e più attenta alle questioni profonde dell’identità, primitive dal punto di vista dello sviluppo tecnico. Riconosce anche nei bassifondi le ultime
gli architetti di Porto cominciarono ad apprezzare la possibilità di una modernità diversa, più vestigie di una civiltà equilibrata. Impara da queste forme come trattare le condizioni speci-
inclusiva e permeabile alla realtà culturale circostante. fiche, territoriale, sociale e cosmiche, che la confrontano 58.
Ne resulta che il CIAM 9 è stato il palcoscenico per un cambiamento di sensibilità che ha L’influenza di Aldo van Eyck era nettamente visibile nelle conclusioni della commissione: nelle
modificato la prospettiva degli architetti moderni portoghesi. Secondo Jorge Figueira, questo sue preoccupazioni socio-antropologiche, nell’apertura a nuove prospettive, nell’approssi-
cambiamento è stato cruciale per la “sincronizzazione culturale” accennato in precedenza: mazione all’altro. In modo simile a Bakema, Van Eyck stava contribuindo alla definizione di un
La ricerca dell’identità è diventato la cornice principale di riferimento—e con questa nuovo modo di pensare, oppure di un atteggiamento, che avrebbe poi caratterizzato il pensiero
conquista, il concetto di luogo è stato liberato dalla atopia/utopia che era stato imposto e l’azione del Team X.
su di esso da un’avanguardia radicale. Dopo innumerevoli battute d’arresto, la strada era
ormai aperta per il dialogo illuminato tra gli architetti moderni e la cultura portoghese50. Habitat rurale, una nuova comunità agricola al CIAM 10
L’organizzazione del congresso comprendeva la creazione di commissioni per esplorare sei In una comunicazione scritta al IX Congresso, Viana de Lima aveva posto la seguente domanda:
aspetti relativi alla Carta del Habitat: urbanistica, estetica, educazione, tecniche di costruzione, “non ci può arrivare ad una conclusione perfetta senza sapere se sarà l’architetto che, attra-

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verso il progetto, dovrà definire un ‘modo di vivere’, o se, per contro, sarà il ‘modo di vivere’ Gli autori privilegiavano una collaborazione franca e reciproca tra i vari partecipanti: “Noi

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che influenzerà la concezione dell’architetto?59. Questa domanda illustra la direzione in cui una crediamo che tutti gli uomini, e non solo architetti e urbanisti, hanno il diritto e il dovere di
particolare comprensione del ruolo dell’architetto stava evolvendo negli anni Cinquanta. Le partecipare e collaborare (comunione), nella creazione e nello sviluppo del loro habitat”64. In
alternative erano: sé l’architetto dovrebbe assumere un ruolo eroico, imponendo la sua conce- questo senso, la progettazione del layout prevedeva una struttura in continua evoluzione. Per
zione ideale del mondo, oppure dovrebbe umilmente incorporare le lezioni del mondo reale? Per esempio, il numero di camere nelle case poteva essere aumentato per riflettere l’incremento
un architetto come Viana de Lima, che aspiravano alla modernità, questi problemi non poteva del numero dei componenti del nucleo familiare. Affermavano che:
essere più preoccupante. Come nota finale, in un tono intimo, Viana de Lima aggiungeva: “Per L’architetto non è più il dittatore che impone la sua forma, ma il semplice e naturale, uomo
fortuna siamo qui per discutere di questi temi amichevolmente”60. umile, dedicato ai problemi dei suoi coetanei; non deve servire se stesso, ma deve servire
Al decimo congresso CIAM, organizzato a Dubrovnik nel 1956, gli echi dei dibattiti tenutisi a loro, creando un lavoro che può essere anonimo, ma è soprattutto intensamente vissuto65.
Aix-en-Provence si riflessero nella partecipazione della delegazione portoghese. Viana de Questa preferenza per una postura “umile” per quanto riguarda il ruolo dell’architetto verso la
Lima, insieme a Fernando Távora, Octavio Lixa Filgueiras e Arnaldo Araujo, presentarono un comunità è di fondamentale importanza per comprendere il cambiamento di sensibilità che era
progetto per una nuova comunità rurale situata nelle zone di confine nord-est del Portogallo, già stato annunciato nella seconda commissione del CIAM IX. Come Távora ha notato, “ricordo
tra Bragança e il piccolo villaggio di Rio de Onor61. Secondo gli autori, il progetto cercava di che [il progetto] è stato accolto con entusiasmo da Aldo van Eyck”66.
contribuire alla formulazione della Carta del Habitat: “Se il CIAM intende le sue proposte di per Nello stesso periodo, alcuni studenti presso la Scuola Superiore di Porto di Belle Arti scelsero
essere veramente universale, non può ignorare l’importanza della Habitat Rurale”62. le terre di confine nord-est del Portogallo come luoghi dove sviluppare i loro progetti di tesi,
Lo studio dei riferimenti vernacolari durante tutto il processo d’Inquérito à Arquitectura Regional basandoli sullo studio della struttura delle comunità rurali e dei loro metodi tradizionali di
Portuguesa (1955-1961) serviva di base per la progettazione delle abitazioni rurale. Ispirato alla costruzione e tecniche. Octávio Lixa Filgueiras presentò la sua tesi, Urbanistica, un tema rurale,
configurazione degli insediamenti esistenti lungo la valle, la nuova comunità di 40 abitazioni, nel 1953. Arnaldo Araújo, come collaboratore del gruppo CIAM portoghese, presentò la sua,
un centro civico, una chiesa e una cooperativa agricola si sviluppava su entrambi i margini di Forme di Habitat rurale nel nord di Bragança, contributi alla struttura della Comunità, nel 1957,
un piccolo fiume. Come Távora ricorda nel 1971, il piano rifletteva “un progetto molto specifico, sulla base del progetto consegnato alla CIAM X. Sergio Fernandez, che lavorava con Viana de
regionalizzato e in nessun modo internazionale”63. Usando materiali locali, come l’ardesia, il scisto Lima (1957-1965), fece un viaggio di ricerca tra 1963 e 1965, per studiare in dettagli la comunità
e il legno, le case erano organizzate attorno a un grande camino che costituiva un punto focale di Rio de Onor: “La fine del progetto ha naturalmente fornito l’occasione per il coinvolgimento
per la vita familiare. La scelta del camino come elemento centrale della casa suggerisce una personale in questi argomenti, così come, in parallelo, la possibilità di osservare le conseguenze
connessione con il discorso di Le Corbusier a Hoddesdon, sottolineando l’importanza di “fuoco che potrebbero derivare dalla presenza di un architetto in una nuova comunità all’interno del
come elemento di convivialità domestica”. Il terzo pannello della presentazione mostra un’im- paese in un isolamento quasi estremo”67.
magine isolata di un focolare, che illustra il suo profondo significato per la struttura del progetto. In questo contesto, gli architetti hanno cercato di espandere il loro campo d’azione ad altre
discipline, quali l’antropologia, etnografia e sociologia. In un momento in cui l’architettura
moderna era in un vicolo cieco, un “atteggiamento umile” e il contatto con le “civiltà primitive”
hanno permesso una moltiplicazione dei possibili approcci alla disciplina. José António Bandei-
rinha, in una riflessione sull’esperienza di Sergio Fernandez a Rio de Onor, ricorda le escursioni
antropologiche di Aldo van Eyck, mettendoli in relazione alle preoccupazioni del Team X:
L’interesse di Aldo van Eyck nelle strutture sociali del Dogon, in Sudan, così come la loro
risonanza nel contesto del dibattito che ha caratterizzato l’aura di Team X, sono sintomatici
di quel desiderio di estrarre significati sottostanti da comportamenti della comunità, che
possano rivelare se stessi insegnamenti validi alla luce di un mondo contemporaneo sempre
più complesso e caotico68.

Fernando Távora, da Otterlo a Royaumont


Nel 1959, all’ultimo congresso CIAM di Otterlo, Viana de Lima presentò l’ospedale di Bragança,
un progetto che passò inosservato a causa della sua natura razionalista, mentre Tàvora presen-
tava il suo progetto per il mercato Vila da Feira (1953-1959) e, in una sessione parallela, la casa
estiva a Ofir (1957-1958). Sergio Fernandez, che era anche presente alla riunione di Otterlo,
ricorda che Fernando Távora, dieci anni più giovane di Viana de Lima, appariva di una sensibilità
diversa, con una agitazione più giovanile e un coinvolgimento teorico con le questioni fonda-
mentali, che si è riflesso nel suo profondo entusiasmo al suo ritorno al Portogallo 69. Questa
diversa sensibilità è la ragione perciò Távora diventò un interprete-chiave nella revisione del
movimento moderno nel Portogallo degli anni Cinquanta. Ricorda Sergio Fernandez:
Gli architetti del CIAM pensarono che il mercato fosse ottimo ma hanno prestato poca
4.12. Sergio Fernandez, CODA, 1964, p.203. Dal Centro de Documentação da Faculdade de Arquitectura
attenzione alla casa estiva a Ofir. Credo che a queste persone, era sembrata vagamente
da Universidade do Porto (PT FAUP/CDUA/AE/CODA/284. © Arménio Teixeira).

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regionalista. La Casa Ofir, che per noi è estremamente importante, è stato il culmine della Nuno Portas da Arquitectura al programma SAAL: “la città come architettura”

IL VERNACOLARE DAL “HABITAT RURAL” AL PROGRAMMA SAAL LA RICEZIONE PORTOGHESE DEL TEAM X | Pedro Baía
modernità. E’ stata il salto da Le Corbusier alla cosiddetta architettura autentica. Ma con Nel 1963, quando la dichiarazione di Távora a proposito di Royaumont fu pubblicata in Arqui-
quei piccoli tetti, la gente non l’ha realmente capita70. tectura, una nuova generazione aveva assunto la rivista (Terza serie, 1957-1974). Questa nuova
Per quanto riguarda il mercato Vila da Feira, fu l’occasione di una discussione “sulle possi- ondata svoltò un ruolo centrale nella revisione critica del movimento moderno in Portogallo,
bilità insite nell’architettura di trascendere la sua semplice esistenza tridimensionale come sulla base della collaborazione di molti architetti tra cui Carlos Duarte, Pedro Vieira de Almeida,
spazio, per diventare un elemento che potrebbe favorire l’incontro spontaneo e la mescolanza e, in particolare, Nuno Portas. Alla fine del 1950, Portas aveva studiato l’evoluzione delle diverse
di persone” 71. La progettazione del mercato fu al centro di questo dibattito, in cui Aldo van posizioni ideologiche che convergevano in Arquitectura e oltre. In un testo del 1959 Portas definì
Eyck suggerì che “la nozione di spazio e tempo non portava più il suo impatto originale e che un atteggiamento di base, “la responsabilità di una nuovissima generazione del movimento
dovrebbe essere sostituito con il concetto più vitale del luogo e occasione” 72 E’ interessante moderno in Portogallo per interrogare una nuovissima generazione—non solo le sue idee e
notare che questi commenti da Van Eyck avrebbero potuto descrivere il suo progetto per il intenzioni, ma soprattutto la sua opera”83.
Orfanotrofio Municipale di Amsterdam (1955-1960), dal momento che ci sono somiglianze tra Il suo primo libro, A arquitectura para hoje (Una architettura per oggi), pubblicato nel 1964,
la configurazione spaziale di entrambi i luoghi, soprattutto in vista al luogo di ritrovo come conferma la volontà di prendere le distanze dalle questioni di forma, favorendo invece la ricerca
elemento centrale73 . In entrambi i progetti, l’elemento centrale—una panchina pubblica— di un’oggettività scientifica. Tuttavia, verso la fine del libro, Portas cita una serie di esempi che
fornisce un luogo di incontro e di riposo. Entrambi i casi possono essere analizzati attraverso “con la novità e l’originalità del loro contributo ... costituiscono una risposta alla ‘crisi’: il britan-
il diagramma disegnato da Aldo Van Eyck in cui illustra il fenomeno della doppia relazione con nico ‘movimento Brutalista’, per esempio, identificato con Team X, che ha catalizzato l’agonia
due tipi di centralità:
Due gruppi concentricamente sedute di persone, uno in una conca e l’altro su una collina. In
un caso, tutti gli occhi sono diretti verso il centro, e nell’altro tutti guardano verso l’orizzonte74.
Nel caso dell’Orfanotrofio, la panca circolare permette ai bambini di riunirsi in un gruppo,
parlare o giocare. Nel caso del mercato, la panchina ottagonale permette a più persone di
riunirsi per parlare o semplicemente contemplare la fontana al centro. Tuttavia, un confronto
del gradiente pavimento in entrambi i progetti rivela che lo spazio centrale creato da Távora
converge verso il centro, e dunque corrisponde meglio al disegno concavo del diagramma.
Jaap Bakema, durante la sessione finale del Congresso ad Otterlo, ha espresso un voto di
fiducia nella partecipazione del Portogallo: “Tra i pannelli c’è qualche buon lavoro. I piani
portoghesi ... sono esempi di alcuni lavori in cui mi sembra che ci sia una forza che sta conti-
nuando su una buona linea”75. Questa osservazione, così come l’entusiasmo di Aldo van Eyck sul
mercato di Vila da Feira, ha probabilmente portato all’invitazione ufficiale di Fernando Távora
ad attendere la conferenza di Royaumont nel settembre 1962, uno dei primi incontri del Team X
successivamente allo scioglimento del CIAM. Fernando Tavora, ‘il portoghese metropolitano’,
fu presente alla riunione insieme a Pancho Guedes, ‘il portoghese africano’76.
Pancho Guedes, cresciuto nell’ex-colonia portoghese in Mozambico, ha studiato architettura
in Sud Africa77. Nel 1950, ritornò in Mozambico per lavorare come architetto, pittore e scul-
tore. Guedes fu introdotto al Team X da Peter Smithson, che venne in contatto con lui nel 1960,
durante una visita a Londra, dove incontrò anche Reyner Banham, l’assistente direttore per
The Architectural Review, e il sudafricano Theo Crosby, direttore tecnico di Architectural Design.
Guedes ha ricordato che a Royaumont Távora “ascoltò tutto in silenzio, e divenne turbato”78.
Infatti, dopo il suo ritorno in Portogallo, Tàvora fu invitato a scrivere una dichiarazione in Arqui-
tectura in cui condivise:
Il fatto che non abbiamo raggiunto una conclusione a Royaumont, neppure cercato di
raggiungere uno, mi sembra profondamente significativo. Ci sono momenti [... ] quando
l’unica conclusione possibile è ... che nessuna conclusione è possibile79.
Távora sapeva che i tempi stavano cambiando. “Si può sentire”, ha scritto “che questo è un
momento di indagine e di dubbio, di riunificazione, di dramma e di mistero. Come, allora, conclu-
dere con chiarezza?”80. Di fronte all’impossibilità di giungere a una conclusione, espresso il
desiderio di continuare: “Questo desiderio di continuare e sopravvivere è la più significativa
conclusione del nostro incontro, e ci incoraggia a tenere ulteriormente incontri nel futuro”81.
Eppure, Tàvora non ha partecipato a nessuna delle riunioni successive del Team X, nonostante
4.13. Fernando Távora, Quartiere di abitazioni sociale SAAL (Serviço de Apoio Ambulatório Local), Mira-
sia stato invitato alla riunione di Berlino del 1965 82.
gaia, Porto, 1975-77, non costruito. © FIMS.

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IL VERNACOLARE DAL “HABITAT RURAL” AL PROGRAMMA SAAL LA RICEZIONE PORTOGHESE DEL TEAM X | Pedro Baía
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4.14. Alvaro Siza, Schizzo preliminare, Quartiere di abitazioni sociale (SAAL), Bouça, Porto, 1974-76.
© Alvaro Siza Vieira.
4.15. Alvaro Siza, Pianta del quartiere SAAL, Bouça, Porto, 1974-76. © Alvaro Siza Vieira.
4.16. Alvaro Siza, Vista parziale del quartiere SAAL, Malagueira, Evora. Foto Jean-François Lejeune.
4.17. Alvaro Siza, Schizzi, Quartiere di abitazioni sociale SAAL, Malagueira, Evora,
del CIAM, e da cui è emerso il lavoro di Lasdun, Smithson, Stirling-Gowan, il team di Sheffield,
l’olandese Van Eyck e il ‘Francese’ Candilis-Woods”, insieme alle nuove generazioni italiane e 17
spagnole, così come Fernando Távora, Nuno Teotonio Pereira e Álvaro Siza84. Nel 1969, Portas
pubblica il suo secondo libro, A cidade como arquitectura (La città come architettura), che elabora Nella sua prefazione alla traduzione portoghese pubblicata nel 1970 della Storia dell’architettura
la linea di pensiero seguita nel libro precedente. Tuttavia, un cambiamento nel modo di pensare moderna di Bruno Zevi Portas ha identifica “due tendenze, con obiettivi quasi opposte, anche se
può essere rilevato. Mentre il libro del 1964 esplorava questioni relative alla costruzione per entrambi derivanti da uomini caratterizzati dal razionalismo”85. Da una parte, c’era il lavoro di Team X:
mezzo di critica architettonica, il libro del 1969 utilizzava un approccio metodologico per esami- La tendenza più positiva era ricetttiva alle principali problemi urbani, proponendo l’integra-
nare le problematiche della città e pianificazione urbana. Il titolo illustra chiaramente questo zione di architettura e urbanistica in un unico sistema, tradotta in nuove forme di habitat e
cambiamento: se il primo propone una “architettura per oggi”, il secondo si muove un ulteriore di far rivivere le occasioni di contatto con l’ambiente, la strada, le gallerie, piazze e cortili
passo avanti, suggerendo che “la città” deve essere intesa “come architettura”. che si trovano in tradizioni storiche e vernacolari86.

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D’altra parte, Portas identifica un’altra strada: Come due facce della stessa medaglia, il riciclaggio poetico delle culture primitive, originale,

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L’altra tendenza, più seria e diffusa ... si perde in una sterile ricerca di nuovi layout, per arcaiche o infantili, caratteristiche di un uomo universale, è stato associato con una certa
nuove volumetrie e, soprattutto, per le nuove facciate 87. identificazione della norma, dell’archetipo, o dell’inconscio collettivo come un contorno rego-
Nel 1969, l’Assemblea Nazionale degli Architetti (ENA) si tenne a Lisboaa in assenza di Nuno lare o regolamentare di un’architettura più radicata, più pertinente e adatta ai bisogni umani95.
Portas. Tuttavia, egli mandò “un messaggio incisivo critico, finalizzato non tanto al contesto Secondo João Leal, per grande parte del ventesimo secolo, l’interesse per l’architettura verna-
sociale che circondava la professione, ma essenzialmente a proposito dell’inerzia che la colare ha portato al contatto e al “dialogo” tra architetti e antropologi:
professione mostrava nell’affermandosi nella società”88. Il messaggio di Portas prosegueva Dopo aver condotto un dialogo—di cui non erano a conoscenza— ... l’antropologia e l’archi-
proponendo “una progressiva occupazione e sistematica delle posizioni all’interno dei princi- tettura non hanno avuto una conversazione meramente immaginaria, ma in molti casi si sono
pali centri decisionali da parte di individui competenti interessate a partecipare alle strategie realmente seduti a un tavolo insieme per parlare, vale a dire, hanno preso un interesse per
e coordinare le tattiche operative”89. Questo messaggio di Portas del 1969 avrebbe riverbera- le stesse questioni, hanno scambiato punti di vista diverse, e si sono influenzati a vicenda96.
zioni cinque anni più tardi, quando il regime dittatoriale di Salazar, che aveva governato per Per quanto riguarda il Portogallo, João Leal sostiene che “una di quelle conversazioni, la più
quarantotto anni, si terminerebbe. produttiva, è stato ... quella sul ramo dell’architettura variamente designato come popolare,
La Rivoluzione dei garofani del 25 aprile 1974, che porta la democrazia in Portogallo, spiana la strada regionale, rurale, tradizionale, volgare, spontaneo, senza architetti, ecc.”97 Come ha osservato
per la nomina di Nuno Portas come Segretario di Stato per l’Abitazione e Urbanistica del primo Rui Ramos, architetti portoghesi hanno preso parte a questo dialogo conducendo l’Inquérito à
governo provvisorio (16 maggio 1974). Per Portas, questa responsabilità apre un’occasione unica Arquitectura Regional Portuguesa [Indagine sull’Architettura Portoghese Regionale], “un’iniziativa
per mettere in pratica, in campo politico, la questione dell’abitazione collettiva. Così, il 31 luglio, al passo con la tendenza internazionale alla rilevazione, la ricerca e la diffusione di architettura
il programma SAAL (Supporto ambulatoriale per residenti locali) è lanciato come un processo anonima, spontanea, e rurale”98. Questi viaggi verso l’interno del paese hanno dato luogo ad un
di cooperazione tra lo Stato ei suoi cittadini, con il popolo che gestiva direttamente operazioni processo di apprendimento con profonde implicazioni per la cultura architettonica portoghese.
attraverso le cooperative edilizie e le cooperative supportati da team tecnici di architetti, inge- Sull’esperienza di Sergio Fernandez a Rio de Onor tra il 1963 e il 1965, Bandeirinha ha osservato:
gneri e assistenti sociali nominati dallo Stato90. Il SAAL operò per un breve periodo tra il 1974 e Le lezioni apprese non sono solo il risultato di interazioni tra la materialità degli spazi,
il 1976, ma ha avuto un forte impatto sulla cultura architettonica del paese. Il compito del SAAL architettura, condizioni geo-topografiche, forme di occupazione di terreni e organizzazione
era di offrire migliori condizioni abitative ad abitanti urbani svantaggiati, attraverso un ambizioso sociale e culturale della comunità, ma una sorta di mescolanza olistica di tutte queste cose,
programma di costruzione di nuove case e infrastrutture, compreso l’uso di modelli partecipativi. in cui egli stesso, come architetto, cerca di insinuarsi […] Le lezioni apprese durante geli
L’ansia fervente della rivoluzione esigeva risultati rapidi da parte dello Stato. Pertanto i dibattiti inverni duri nel Trás-os-Montes, nella progressione ciclica dei rituali agricoli, nel calore
architettonici degli anni ‘50 e gli anni ‘60 vennero usati come base della strategia SAAL91. umano di ospitalità o nei modelli ancestrali di occupazione e di costruzione, erano di impor-
Complessivamente, il programma SAAL ha favorito questioni legati al processo anziché alla tanza cruciale per l’architetto99.
forma architettonica. Portas, tuttavia, propose alcune soluzioni formali. “Anche se i gruppi non Sergio Fernandez partecipò anche al programma SAAL, con il progetto per il quartiere Leal100.
sono stati dati linee guida comuni”, egli scrive, “la maggior parte delle soluzioni sono di bassa In questo contesto dobbiamo anche evidenziare il progetto per una casa, Casa de Caminha
altezza, con media o alta densità e con spazi esterni ben definiti—che possono essere ridotti ad (1971-1973), che aveva un importante collegamento vernacolo con Rio de Onor, l’indagine sull’ar-
archetipi di strada, piazze e patio—ed edifici continui e connessi anziché barre isolate e torri”92. chitettura regionale, e anche con il discorso del Team 10101.
E’ interessante notare che queste righe, scritte nel 1984, ci ricordano la prefazione di Portas Rio de Onor, come ha ammesso lo stesso Sergio Fernandez, “è stato un esperimento che, in
del 1970 alla prefazione al lavoro del Team X, rivelando così un collegamento tra la presenza termini architettonici, era forse di poco conto”102. Tuttavia, ha anche riconosciuto che la ricerca
delle idee del gruppo all’interno di soluzioni formali di SAAL—un’idea appropriata da Portas sul campo condotta in Rio de Onor può aver avuto ripercussioni per il processo partecipativo
che aveva apprezzato le esperienze di habitat sulla base di una rilettura delle strutture storiche del programma SAAL:
di strada, piazza, patio e galleria. Non dobbiamo rinunciare alla nostra qualità di esperti, né la nostra conoscenza
Il programma SA AL ha avuto una breve vita perché soffriva da un conflitto di interessi tra professionale, ma credo che queste lezioni su come confrontarsi con gli altri sono
fazioni politiche e gruppi economici. Così, il 26 marzo 1975 Portas fu rilevato dal suo incarico state di grande utilità per noi qualche tempo dopo, nel corso del nostro lavoro, e
di Segretario di Stato, un fatto che compromise la politica “rivoluzionaria” volta a stabilire un abbiamo trovato un certo grado di espressione, in particolare dopo la rivoluzione dei
dialogo diretto con i residenti organizzati al fine di eradicare i baraccopoli. Il 27 ottobre 1976 garofani, nei progetti SAAL, in cui questo dialogo è avvenuto in modo molto naturale,
un ordine del governo di trasferire competenze ai Comuni eliminava effettivamente il ragion anche se con molto diverse popolazioni urbane103.
d’essere del SAAL93. Nello stesso periodo degli anni Sessanta, Octavio Lixa Filgueiras, come professore presso la
Scuola superiore di Porto di Belle Arti, ha proposto la realizzazione d’indagini urbani ai suoi
Una nota finale attraverso una linea obliqua studenti. Questa volta in un contesto non rurale, gli studenti sono stati invitati ad esaminare le
Nel campo dell’architettura nel periodo post-bellico, numerosi furono i viaggi realizzati da condizioni di vita e di alloggio nei quartieri storici. Sulla base di questo approccio, la Scuola di Porto
architetti guidati dal desiderio di imparare da civiltà arcaiche. I viaggi di Aldo van Eyck sono ha esplorato un aspetto pedagogico con un maggiore impegno sociale per la città e la comunità.
esempi di come queste escursioni a culture e luoghi remoti possono essere riflessi nelle opere Dei viaggi di architetti portoghesi motivati dal desiderio di imparare dagli altri, degno di parti-
degli architetti94. L’interesse di Van Eyck per l’altro e le sue influenze estetiche durante questo colare nota è il viaggio in Marocco da Álvaro Siza, Alexandre Alves Costa e Sergio Fernandez
periodo non erano solo le sperimentazioni di idee d’avanguardia, ma erano anche una reazione nel 1967104. In un’intervista, Siza ha riconosciuto e ha stabilito un legame sottile tra il Marocco
alle tendenze funzionaliste all’interno del CIAM: e Évora:

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Credo che il viaggio del 1967 in Marocco si collegherà poi con il progetto di Malagueira 1
Max Risselada e Dirk van den Heuvel (a cura di), Team 10: A Utopia of the Present, Rotterdam,

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(Évora)105. NAI Publishers, 2005, p.11.
Possiamo intuire che durante il processo di progettazione, degli progetti SAAL ma anche in 2
Aldo van Eyck: “Nous avons le droit d’être vague”, in Oscar Newman, CIAM’59 in Otterlo: Docu-
Évora per il progetto di Malagueira (NEL 1977 dopo il smantellamento del SAAL), Siza ha creato ments of Modern Architecture, London, Karl Krämer Verlag, 1961, p.197.
una sintesi tra strutture urbane vernacolari—qui del Marocco mediterraneo—e i modelli del 3
Alison Smithson, “Team 10 Primer”, Alison Smithson (a cura di), Architectural Design, December
Nord Europa dal periodo eroico dell’architettura moderna, come ad esempio quelli di J.P. Oud 1962, p.559.
e Bruno Taut106. Alves Costa aveva partecipato anche alla ricerca sul campo condotta da Sergio 0
Si veda Hans van Dijk, “Forum, the Story of Another Idea, 1959-63”, Max Risselada and Dirk van
Fernandez a Rio de Onor (1963-1965). Nel contesto del programma SAAL, Alves Costa fu un den Heuvel (a cura di), Team 10: A Utopia of the Present, Rotterdam, NAi Publishers, 2005, p.83.
importante membro del comitato di coordinamento del settore settentrionale (1974-1976). Come 5
Si veda Eric Mumford, The CIAM discourse on urbanism, 1928-1960, Cambridge, MIT Press, 2000.
uno dei principali teorici portoghesi e ideologi della Scuola di Porto, Alves Costa sostiene che 6
Peter Smithson, “The Slow Growth of Another Sensibility: Architecture as Townbuilding”, James
ciò che distingue profondamente la scuola era “l’accoppiamento di una particolare convinzione Gowan (a cura di), A Continuing Experiment, Learning and Teaching at the Architectural Association,
modernista con l’intento di stabilire un metodo, piuttosto che trasmettere o difendere un codice London, Architectural Press, 1973, p.56.
formale. E di considerare la storia come uno strumento di lavoro con cui costruire il presente”107. 7
Edite Rosa, ODAM: Valores Modernos e a Confrontação com a Realidade Produtiva, PhD Disserta-
Recentemente, Alves Costa ha ricordato le parole di Aldo van Eyck: tion, Barcelona, Escuela Técnica Superior de Arquitectura de Barcelona, 2005.
Quello che volevamo era un funzionalismo più ricco e che fosse più inclusivo verso il passato 8
Cassiano Barbosa, ODAM – Organização dos arquitectos modernos 1947-1952, Porto: Edições
in modo tale da imparare da migliaia di anni di costruzione108. ASA, 1972.
Leggendo queste righe, Alves Costa stabilisce una connessione improbabile tra Van Eyck e Siza, 9
Si veda Ana Tostões, Os Verdes Anos na Arquitectura Portuguesa dos Anos 50, Porto, FAUP Publi-
tra un funzionalismo più inclusiva e la Scuola di Porto: cações, 1997, Capitolo. 1: “Sinais de Contaminação do Pós-guerra”, pp.20-46.
E’ come se stessimo leggendo e ascoltando Fernando Tàvora. E’ come se avessimo trovato i 10
Le Corbusier, “Carta de Atenas” [1941], Arquitectura, 20-32, February 1948-September 1949
fondamenti della Scuola di Porto. E’ come se abbiamo ascoltato Alvaro Siza oggi e riscoperto (tradotto da Francisco Castro Rodrigues e Maria de Lourdes).
le radici del suo pensiero109. 11
Se veda Ana Tostões (a cura di), 1.º Congresso Nacional de Arquitectura [edição fac-similada],
In un certo senso, l’osservazione di Alves Costa traccia una linea obliqua che apre uno spazio Lisboa: Ordem dos Arquitectos, 2008.
di riflessione sul discorso del Team X inteso in un ambito più ampio, proprio come una volta 12
Viana de Lima, “O Problema Português da Habitação”, Ana Tostões (a cura di), 1.º Congresso
facevano Távora o Portas, interpreti cruciali delle revisioni post-CIAM dell’architettura moderna. Nacional de Arquitectura, p.222.
Come risultato del loro impegno critico, i loro viaggi, contatti e attività pedagogiche, sia nel 13
Viana de Lima, “Letter to Sigfried Giedion”, 8 March 1951, CIAM Archive – ETH Zurich (42-SG-33-344).
mondo accademico e nella pratica, loro hanno aiutato a decodificare le grandi questioni del loro 14
Ibidem.
tempo, interpretandole attraverso una forma di mediazione che hanno preso in considerazione 15
“Inscrições para o 1.º Congresso Nacional de Arquitectura”, Ana Tostões (a cura di), 1.º
le peculiarità del loro contesto, della loro cultura e della propria personalità. Congresso Nacional de Arquitectura, p.XXI.
16
F.L. [Fernando Luís Távora], “O Problema da Casa Portuguesa”, Aléo, 10 Novembre 1945, p.10.
Per una versione italiana, si veda Antonio Esposito e Giovanni Leoni (a cura di), Fernando Távora:
opera completa, Milano, Electa, 2005.
17
Carlos da Silva Lopes, “A Tradição na Arquitectura e o ambiente regional”, Aléo, 13 October
1945, p.9.
18
Eduardo Fernandes, A Escolha do Porto: contributos para a actualização de uma ideia de Escola,
PhD Dissertation, Escola de Arquitectura da Universidade do Minho, 2010, pp.104-105.
19
Raul Lino, Casas Portuguesas, Alguns Apontamentos sobre a Arquitectura das Casas Simples
[1933], Lisboa: Cotovia, 1992; Diogo Lino Pimentel, José-Augusto França, Manuel Rio-Car-
valho, Pedro Vieira de Almeida, Raul Lino, Exposição Retrospectiva da sua Obra, Lisboa: Fundação
Calouste Gulbenkian, 1970; Alexandre Alves Costa, “A Problemática, a Polémica e as Propo-
stas da Casa Portuguesa” [1980], Alexandre Alves Costa, Seis lições, 2-Introdução ao Estudo da
Arquitectura Portuguesa, Porto: FAUP, 1995; Alexandre Alves Costa, “Legenda para um desenho
de Nadir Afonso”, Fernando Távora, Lisboa Editora Blau, 1993, pp.17-20; Bernardo José Ferrão,
“Tradição e Modernidade na Obra de Fernando Távora 1947-1987”, Fernando Távora, Lisboa:
Editora Blau, 1993, pp.24-32.
20
F.L. [Fernando Luís Távora], “O Problema da Casa Portuguesa”, Aléo, 10 Novembre 1945, p.10.
21
Fernando Távora, “O Problema da Casa Portuguesa”, Cadernos de Arquitectura, Lisboa, 1947.
22
Manuel Mendes, “Fernando Távora, ‘O meu caso’ – (Parte 1) Convivências, afloramentos,
afagamentos”, José António Bandeirinha (a cura di), Fernando Távora Modernidade Permanente,
Matosinhos, Casa da Arquitectura, 2012, p.60.

196 197
23
Jorge Figueira, Escola do Porto: Um Mapa Crítico, Coimbra, E|d|arq, 2002, p.44. 52
CIAM 9. Urbanisme: 1.d. Le logis dans l’unité d’habitation, le quartier, la ville, la région, CIAM

IL VERNACOLARE DAL “HABITAT RURAL” AL PROGRAMMA SAAL LA RICEZIONE PORTOGHESE DEL TEAM X | Pedro Baía
24
Fernando Távora, “O Problema da Casa Portuguesa” [1947], Fernando Távora, Lisboa: Editora Archive - ETH Zürich (42-SG-37-98), p.1.
Blau, 1993, p.13. vi sono due diverse versioni del 1945 e 1947. In quella del 1947 Fernando Távora 53
Ibidem.
ha aggiunto “quando studiato in modo giusto” eliminando “il piu veritiero”. 54
Ibidem, p. 3.
25
Francisco Keil do Amaral, “Uma iniciativa necessária”, Arquitectura, 14, April 1947, pp.12-13. 55
Ibidem.
26
“Decreto-Lei n.40349”, Diário da República, I series, 227, 19 October 1955, pp.903-904. 56
CIAM 9, Rapports des Commissions, “Comission II: Synthese des Arts Plastiques”, CIAM Archive
27
Arquitectura Popular em Portugal, Lisboa: Ordem dos Arquitectos, 2004 [1961]. 1979, 88. - ETH Zurich (42-JT-X-1), pp.17-18.
28
Bernardo José Ferrão, “Tradição e Modernidade na Obra de Fernando Távora 1947/1987”, 57
P. 19
Fernando Távora, Lisboa, Editora Blau, 1993, p.28. 58
p. 19.
29
Secondo Edite Rosa, la sensibilità del gruppo ODAM cominciò a cambiare durante la sua fase 59
Viana de Lima, Document n.º2, prèsenté à Aix (CIAM IX, Juillet, 1953), CIAM Archive - ETH Zurich
finale (1952-1956), sotto l’influenza dall’indagine in corso sull’architettura portoghese regionale. (42-AR-12-104).
Lo spostamento è stato anche il risultato dalla presenza di un numero significativo di architetti 60
Ibidem.
ODAM al CIAM 8 Hoddesdon ( 1951), l’incontro Sigtuna (1952), CIAM 9 a Aix-en-Provence (1953) 61
Viana de Lima, Fernando Távora, Octávio Lixa Filgueiras, “Tese ao X Congresso dos CIAM”,
e al CIAM 10 a Dubrovnik (1956). Arquitectura, 64, January/February 1959, pp.21-28.
30
“Capítulo I. Demasiado tarde para ser moderno. Arquitectura portuguesa na viragem 62
Viana de Lima, Fernando Távora, Octávio Lixa Filgueiras, “Tese ao X Congresso dos CIAM”,
dos anos 60”, Jorge Figueira, A Periferia Perfeita – Pós-Modernidade na Arquitectura Portu- Arquitectura, 64, January/February 1959, p.24.
guesa, PhD Dissertation, Departamento de Arquitectura da Universidade de Coimbra, 2009, 63
Fernando Távora, “Entrevista” (entrevista por Mário Cardoso), Arquitectura, 123, Setembre/
pp.15-155. Ottobre 1971, p.153.
31
Eric Mumford, The CIAM Discourse on Urbanism, 1928-1960, Cambridge, MIT Press, 2000, pp.202-203. 64
Viana de Lima, Fernando Távora, Octávio Lixa Filgueiras, “Tese ao X Congresso dos CIAM”,
32
Fernando Távora, “Entrevista” (entrevista por Mário Cardoso), Arquitectura, 123, Settembre/ Arquitectura, 64, January/February 1959, p.24.
Ottobre 1971, p.153. 65
Ibidem.
33
Ibidem. 66
Fernando Távora, “Entrevista” (entrevista por Mário Cardoso), Arquitectura, 123, Setembre/
34
Fernando Távora, “Entrevista”, pp.152-153. Ottobre 1971, p.153.
35
Le Corbusier, “L´échelle humaine”, CIAM 8, 1951, Report of Hoddesdon Conference, CIAM Archive 67
Sergio Fernandez, “Rio de Onor, 1963-1965”, Joelho – “Intersecções: Antropologia e Arquitectura”,
- ETH Zurich (42-JT-6-55). 2, Aprile, 2011, p.39.
36
Ibidem. 68
José António Bandeirinha, “A lição da ponte de Rio de Onor”, Joelho – “Intersecções: Antropologia
37
Ibidem. e Arquitectura”, 2, Aprile, 2011, p.130.
38
Le Corbusier, “L´échelle humaine”, CIAM 8, 1951, Report of Hoddesdon Conference, CIAM Archive 69
Intervista con autore, 2007.
- ETH Zurich (42-JT-6-59). 70
Intervista con autore, 2007.
39
Fernando Távora, “Entrevista” (entrevista por Mário Cardoso), Arquitectura, 123, Setembre/ 71
Oscar Newman, CIAM’59 in Otterlo: Documents of Modern Architecture, London, Karl Krämer
Ottobre 1971, p.153. Verlag, 1961, p.136.
40
Intervista con l’autore, 2010. 72
Ibidem.
41
Álvaro Siza, “Entrevista realizada a Porto, l’abril de 1983, per Pepita Teixidor”, Quaderns, 73
Per un confronto si veda Oscar Newman, CIAM’59 in Otterlo: Documents of Modern Architecture,
159, 1983, p.5. London, Karl Krämer Verlag, 1961, p.137 e 28.
42
Jorge Figueira, Escola do Porto: Um Mapa Crítico, Coimbra: e|d|arq, 2002, p.40. 74
Francis Strauven, Aldo van Eyck: the Shape of Relativity, Amsterdam: Architectura & Natura
43
Nuno Portas, “Arquitecto Fernando Távora: 12 anos de actividade profissional”, Arquitectura, Press, 1998, pp.479-480.
71, July 1961, p.16. 75
Jaap Bakema, “Concluding Evaluation of the Otterlo Congress”, Oscar Newman, CIAM’59 in
44
Álvaro Siza, “Fernando Távora”, Catálogo da Exposição, Arquitectura, Pintura, Escultura, Desenho, Otterlo: Documents of Modern Architecture, London: Karl Krämer Verlag, 1961, p.218.
Porto: Museu Nacional Soares dos Reis, 1987, p.186. 76
Intervista con l’autore, 2007.
45
Fernando Távora, “Casa em Ofir”, Arquitectura, 59, 1957, pp.10-13; Versione Inglese in Fernando 77
Per un resoconto della storia di Pancho Guedes si veda: Pedro Gadanho (a cura di), “Pancho
Távora, “Summer House. Ofir, 1957-58”, Fernando Távora, Lisboa, Editora Blau, 1993, pp.78-83. Guedes: an alternative modernist”, SAM 3, Basel, Christoph Merian Verlag, 2007; Pancho Guedes,
46
Bernardo José Ferrão, “Tradição e Modernidade na Obra de Fernando Távora 1947/1987”, Manifestos, Papers, Lectures, Publications, Lisboaa, Ordem dos Arquitectos, 2007.
Fernando Távora, Lisboa, Editora Blau, 1993, p.29. 78
Intervista con l’autore, 2007.
47
Fernando Távora, “Summer House. Ofir, 1957-58”, Fernando Távora, Lisboa, Editora Blau, 79
Fernando Távora, “O encontro de Royaumont”, Arquitectura 79, July 1963, p.1. Traduzione
1993, p.78. inglese in José António Bandeirinha (a cura di), Fernando Távora Modernidade Permanente, Mato-
48
Ibidem, p. 80. sinhos, Casa da Arquitectura, 2012, pp.164-165.
49
Ibidem. 80
Fernando Távora, “O encontro de Royaumont”, Arquitectura 79, July 1963, p.1.
50
Jorge Figueira, Escola do Porto: Um Mapa Crítico, Coimbra, e|d|arq, 2002, p.42. 81
Ibidem.
51
CIAM 9. Minutes of Meetings of CIRPAC, CIAM Archive Eth Zürich (42-SG-38-5). 82
Max Risselada and Dirk van den Heuvel (a cura di), Team 10: A Utopia of the Present, Rotterdam:

198 199
NAi Publishers, 2005, p.351. Guedes, da parte sua e nonostante il suo stretto contatto con il 105
Intervista con l’autore, 2010.

IL VERNACOLARE DAL “HABITAT RURAL” AL PROGRAMMA SAAL LA RICEZIONE PORTOGHESE DEL TEAM X | Pedro Baía
Team X, non ha giocato un ruolo attivo nella diffusione delle sue idee e la sua ricezione critica 106
Si veda il saggio di Jean-François Lejeune‘s in questo volume.
in Portogallo. 107
Alexandre Alves Costa, “Legenda para um desenho de Nadir Afonso”, Fernando Távora, Lisboaa,
83
Nuno Portas, “A responsabilidade de uma novíssima geração no Movimento Moderno em Editora Blau, 1993, p.19.
Portugal”, Arquitectura, 66, November/December 1959, p.13. 108
Alexandre Alves Costa, “Escandalosa Artisticidade”, Jorge Figueira (a cura di), Álvaro Siza
84
Nuno Portas, A Arquitectura para Hoje, Lisboaa, Livros Horizonte, 2008 [1964], p.114. Modern Redux, Ostfildern, Hatje Cantz Verlag, 2008, p.34. Si veda anche Aldo van Eyck, “Every-
85
Nuno Portas, “Prefácio à Edição Portuguesa da História da Arquitectura Moderna” [1970], body has his own story, Interview with Aldo van Eyck”, in Max Risselada e Dirk van den Heuvel
Manuel Mendes (a cura di), Nuno Portas, Arquitectura(s), História e Crítica, Ensino e Profissão, (a cura di), Team 10: A Utopia of the Present, p.331.
Porto, FAUP Publicações, 2005, p.63. 109
Alexandre Alves Costa, p.34.
86
Ibidem.
87
Ibidem.
88
José António Bandeirinha, O Processo SAAL e a Arquitectura do 25 de Abril de 1974, Coimbra,
Coimbra University Press, 2007, p.87.
89
Ibidem, p. 89.
90
Si veda José António Bandeirinha, O Processo SAAL e a Arquitectura do 25 de Abril de 1974, op. cit.
91
Sul programma SAAL e le tendenze internazionali, si veda José António Bandeirinha, op. cit.,
and in particolare, il capitolo 1, “Os sentidos do debate internacional”, pp.19-59.
92
Nuno Portas, “The S.A.A.L. Program” [1984], João Afonso e Ana Vaz Milheiro (a cura di), Nuno
Portas, Prémio Sir Patrick Abercrombie UIA 2005, Lisboaa, Ordem dos Arquitectos, Caleidoscópio,
2005, p.104.
93
Sulla dissoluzione del programma SAAL, si veda José António Bandeirinha, op. cit. e particolar-
mente il capitolo 5, “O desmantelamento de um processo incómodo”, pp.211-12, e il capitolo 6, “Os
projectos dos bairros. Continuidades, evoluções e alternativas”, pp.175-260. Per una interpre-
tazione personale, si veda Nuno Portas, “O Processo SAAL: entre o Estado e o Poder Local”
[1986] in Manuel Mendes (a cura di), Nuno Portas, Arquitectura(s), Teoria e Desenho, Investigação
e Projecto, pp.254-63.
94
Si veda il saggio da Tom Avermaete in questo libro.
95
Paulo Providência, “Prática da Arquitectura e Disposição Antropológica”, Joelho – Intersecções:
Antropologia e Arquitectura 2, Aprile, 2011, p.135.
96
João Leal, “Entre o Vernáculo e o Híbrido: a partir do Inquérito à Arquitectura Popular em
Portugal”, Joelho – “Intersecções: Antropologia e Arquitectura”, 2, April 2011, pp. 69-70.
97
João Leal, “Entre o Vernáculo e o Híbrido: a partir do Inquérito à Arquitectura Popular em
Portugal”, Joelho – “Intersecções: Antropologia e Arquitectura”, 2, April 2011, p.70. Si veda anche
João Leal, Arquitectos, Engenheiros, Antropólogos, Estudos sobre Arquitectura Popular no Século
XX Português, Porto, Fundação Marques da Silva, 2009.
98
Rui Jorge Garcia Ramos, A Casa. Arquitectura e Projecto Doméstico na Primeira Metade do Século
XX Português, Porto: FAUP publicações, 2010, p.273.
99
José António Bandeirinha, “A lição da ponte de Rio de Onor”, Joelho – “Intersecções: Antropologia
e Arquitectura”, 2, April 2011, p.132.
100
José António Bandeirinha, O Processo SAAL e a Arquitectura do 25 de Abril de 1974, Coimbra,
Coimbra University Press, 2007, pp.424-425.
101
Per un resoconto dei significati e influenze sulla Casa de Caminha (1971-1973), di Sergio
Fernandez si veda: André Tavares, Pedro Bandeira (eds.), Só nós e Santa Tecla, Porto, Dafne
Editora, 2008.
102
Sergio Fernandez, “Rio de Onor, 1963-1965”, Joelho – “Intersecções: Antropologia e Arqui-
tectura”, 2, April 2011, p.49.
103
Ibidem.
104
Gita a Morocco con Alexandre Alves Costa, Álvaro Siza, Beatrice Ekroth, José Grade, Luísa
Brandão, Maria Antónia Leite e Sergio Fernandez (Settembre 1967).
4.18. Alvaro Siza, Schizzi, Quartiere di abitazioni sociale SAAL, Malagueira, Evora,

200 201
Dialoghi mediterranei
Le Corbusier, Fernand Pouillon e Roland Simounet
Sheila Crane 05
Nell’agosto 1931, alla fine di un viaggio lungo due mesi attraverso Spagna, Marocco e Algeria,
Le Corbusier creò una serie di disegni a bordo del Governor General Chanzy, la nave che lo
avrebbe portato da Algeri a Marsiglia, sulla via del rientro a Parigi. Mentre la nave salpava dal
porto di Algeri per entrare nelle acque del Mediterraneo, Le Corbusier fece una serie di schizzi
della città, man mano che il caratteristico panorama svaniva all’orizzonte. Nel primo di questi
disegni, il paesaggio urbano emerge a grandi linee dai caratteristici portici allineati lungo il
porto di Algeri. Il profilo della città è definito dai contorni di alcuni punti di riferimento, ognuno
dei quali è indicato chiaramente nel disegno: la Cittadella (dove si trovava il Fort l’Empereur),
la Casbah, il Palazzo del Governatore e il Quartiere Marittimo. Ognuno dei sei schizzi succes-
sivi distillò le linee essenziali della città che si allontanava sempre di più all’orizzonte, mentre
allo stesso tempo l’architetto cominciò a definire i contorni grezzi di nuovi edifici nella sagoma
astratta dell’agglomerato urbano esistente. Come Jean-Pierre Giordani ha dimostrato, questa
serie di disegni definì la fisionomia caratteristica di Algeri che Le Corbusier utilizzò poi come
base concettuale e figurativa dei suoi nuovi piani urbanistici per la città1.
Verso la fine della traversata del Mediterraneo, mentre la nave giungeva in prossimità della
costa della Francia, Le Corbusier disegnò il porto di Marsiglia che si avvicinava. Quest’ultimo
disegno della serie iniziata ad Algeri raffigurava i contorni topografici generali della città,
punteggiati da una fila di edifici caratteristici raggruppati intorno al porto vecchio: la Chiesa
di San Lorenzo, le settecentesche fortezze di San Giovanni e San Nicola, la Basilica di Nostra
Signora della Guardia e il pont transbordeur attraverso la bocca del porto. Vista dal largo, con
questi monumenti allineati in processione sulla linea di incontro tra mare e terra, il disegno
di Le Corbusier definì allo stesso modo la vista iconica di Marsiglia. Come nel caso di Algeri,
questa composizione è diventata la rappresentazione iconica personale di Le Corbusier della
città, esplicitamente e sperimentalmente definita e consolidata in relazione ad Algeri.
Le Corbusier ha spesso disegnato città portuali seguendo una formula simile, come, ad esempio,
nelle raffigurazioni di Istanbul, Rio de Janeiro e Buenos Aires2. Tuttavia lo specifico rapporto di
dialogo che ha costruito in questa sequenza di schizzi tra Algeri e Marsiglia è insolito. Visti in
sequenza, questi disegni non solo testimoniano il passaggio dell’architetto da Algeri a Marsiglia,
ma anche, aspetto più importante, creano un rapporto spaziale e strutturale tra questi due siti,
rapporto fondato sulla loro vicinanza attraverso il Mar Mediterraneo e sulla rotta commerciale
molto frequentata che collegava i loro porti. I disegni di Le Corbusier erano quindi frutto della
storia della colonizzazione attraverso la quale queste città furono ricollocate come punti chiave
di collegamento all’interno della più ampia infrastruttura del sistema imperiale francese.
Questa importante via di circolazione tra Algeri e Marsiglia e l’immagine della mappa di connes-
sioni che ha prodotto costituisce un significativo terreno di Mediterraneità nell’architettura
moderna. Come numerosi studiosi hanno notato, “il Mediterraneo” è una costruzione decisa-
mente moderna, la cui definizione come concetto e il cui consolidamento come immagine, erano
di per sé il frutto della storia dell’imperialismo e della colonizzazione che ha così profondamente
ristrutturato questa regione a partire dal tardo Diciottesimo secolo 3. Le rivendicazioni medi-
terranee di un’architettura moderna sono state costruite attraverso mappature particolari e
rapporti associativi a loro volta connessi a storie locali di relazioni politiche ed economiche,
come pure a esperienze complesse di viaggio, transito e traduzione.

5.1. Fernand Pouillon. Vista parziale del plastico del complesso Climat de France con la piazza delle 200
colonne, Algeri, 1955-57. © Archives Fernand Pouillon, Association Les Pierres Sauvages de Belcastel.

203
Per districare le forme e i discorsi “mediterranei” dell’architettura moderna, si devono capire

DIALOGHI MEDITERRANEI LE CORBUSIER, FERNAND POUILLON E ROLAND SIMOUNET | Sheila Crane


le mappature concettuali e le inquadrature politiche attraverso le quali è stato possibile appro-
priarsi di forme vernacolari. Nel seguito, esamino la mappatura di una connessione diretta tra
Algeri e Marsiglia di Le Corbusier in relazione a successivi progetti architettonici di Fernand
Pouillon e Roland Simounet. Sia Pouillon che Simounet lavorarono all’ombra del loro più famoso
predecessore, mentre allo stesso tempo articolavano visioni abbastanza distinte del Modernismo
mediterraneo, basate sulle loro proprie mappature di Marsiglia e Algeri viste come immagini
speculari sulle due sponde del mare. Il mio obiettivo qui è di esaminare un filone di collega-
menti che potrebbe aiutarci a considerare con più attenzione le dislocazioni multidirezionali
del “vernacolare” e del “moderno” in architettura.

02 04

03

5.2. Le Corbusier. Vista di Algeri, Agosto 1931. Source: © Fondation Le Corbusier [FLC 5234].
5.3. Le Corbusier. Vista di Marsiglia, Agosto 1931. © Fondation Le Corbusier [FLC 5239].
5.4. Le Corbusier. Vista del Fort l’Empereur, Algeri, 1933. © Fondation Le Corbusier [FLC 5016].
5.5. Le Corbusier. Vista del Fort Saint-Nicholas, Marsiglia, 1933. © Fondation Le Corbusier [FLC 5021]. 05

204 205
Le immagini speculari di Le Corbusier Moderna), data l’impossibilità di tenere la sua terza conferenza a Mosca, come inizialmente

DIALOGHI MEDITERRANEI LE CORBUSIER, FERNAND POUILLON E ROLAND SIMOUNET | Sheila Crane


Gli effetti formativi dell’architettura vernacolare nordafricana sulla pratica architettonica di previsto, fece letteralmente del Mediterraneo il forum per i suoi incontri, sancito nella succes-
Le Corbusier sono leggendari e rappresentano un terreno ben battuto nei voluminosi scritti siva pubblicazione delle delibere conseguenti come la Carta di Atene 7. Anche se gli incontri
della sua opera. A partire dal 1931, l’architetto trascorse un decennio sviluppando una serie formali si svolsero ad Atene, le discussioni riguardanti i principi di progettazione delle città
di proposte per la ristrutturazione urbanistica della città di Algeri, proposte che furono alla moderne ebbero luogo sulla Patris II, la nave che trasportò i delegati da Marsiglia ad Atene e
fine respinte nel 1942. Nell’estate del 1931, proprio all’inizio del suo progetto per Algeri, Le poi di ritorno a Marsiglia. Come numerosi studiosi hanno riconosciuto, questo evento segnò un
Corbusier viaggiò attraverso Spagna, Marocco e Algeria, con il cugino e collaboratore Pierre nuovo investimento nelle fonti mediterranee dell’architettura moderna, un’associazione che
Jeanneret, il suo fratello musicista Albert Jeanneret e il suo amico pittore Fernand Léger. Le Corbusier proclamò con grande fanfara ad Atene8. Tuttavia, sebbene la Grecia fosse proprio
Alla fine di questo viaggio, l’architetto creò i disegni dei porti di Algeri e Marsiglia di cui si nel cuore della mappa affettiva del Mediterraneo tracciata dall’architetto, quella stessa estate
parla all’inizio di questo capitolo. Questa fu anche l’occasione della famosa scoperta da parte veniva nuovamente data una potente forma visiva a un altro asse chiave.
dell’architetto delle città del M’Zab, incluse le oasi di Laghouat e Ghardaïa. Tornato in Francia, Durante una visita ad Algeri prima di salpare per la traversata con il CIAM, Le Corbusier raffi-
pubblicò un saggio in cui descriveva questa esperienza e quello che capiva essere lo stridente gurò la città vista dal Fort l’Empereur, eretto nella metà del Sedicesimo secolo sulla cresta
contrasto tra la grandiosità delle strutture architettoniche e la semplicità della vita quotidiana delle colline che si affacciano sulla baia. Il Fort l’Empereur era un luogo strategico nell’ambito
che aveva osservato nelle città del M’Zab. Sviluppando le note scribacchiate nei suoi taccuini, delle proposte di Le Corbusier in via di sviluppo per Algeri, dato che aveva pensato di erigervi
Le Corbusier sottolineò i potenti contrasti tra le spoglie pareti esterne e i luminosi spazi interni un gruppo di caseggiati9. Il disegno, elaborato con matite colorate, esplorava il rapporto di
di questi edifici ai margini del deserto: una tale struttura con la topografia e con la vista da questa scogliera sul mare sottostante.
Le case sono completamente isolate dai vicoli. Ma l’interno, che si apre su una profusione Forse insignificante di per sé, il disegno cambia in maniera significativa se messo accanto ad
di fertili terrazzamenti alberati, è completamente attrezzato, perfetto, efficiente, eminen- un altro schizzo creato pochi giorni dopo. Dopo la traversata per tornare in Francia e lo sbarco
temente funzionale, a misura d’uomo 4 . a Marsiglia, Le Corbusier trasferì nuovamente il suo punto di osservazione dall’acqua alla
È drammatizzato lo shock della scoperta, di come muri apparentemente impenetrabili rivelino terra. A Marsiglia, registrò i contorni massicci della fortezza di Saint-Nicholas, all’imbocco del
spazi interni nascosti, adattati sorprendentemente bene alle esigenze della vita di ogni giorno, porto vecchio, vista dall’alto, con una stretta striscia blu di mare appena visibile in lontananza.
almeno nella valutazione impressionista dell’architetto. Rappresentando questi due punti di riferimento da una prospettiva simile con la stessa tavolozza
Mentre sviluppava le prime fasi delle sue proposte urbanistiche per Algeri, Le Corbusier passò di colori e lo stesso stile di esecuzione, Le Corbusier accentuò le somiglianze tra i due edifici
del tempo a visitare e disegnare edifici e strade della Casbah. Un saggio del 1933 descrive le sue e, per estensione, tra le città che difendevano. Ancora una volta, Le Corbusier mise in scena
impressioni delle abitazioni vernacolari nella città vecchia che diventarono pietre di paragone un dialogo visivo di correlazioni, vedendo il paesaggio urbano di Marsiglia attraverso la lente
importanti per la sua architettura successiva: di Algeri. Fra le due città, il Mare Mediterraneo faceva strutturalmente e metaforicamente da
Nella Casbah di Algeri ... ogni casa ... ha in cima la sua terrazza, da dove la vista si estende specchio, riflettendo reciprocamente una città sull’altra attraverso la sua superficie scintillante.
fino all’orizzonte lontano. Dove la vita della famiglia si svolge ... all’aria aperta (il patio e le I disegni di Le Corbusier per l’Unité d’habitation di Marsiglia sono stati da lungo tempo intesi
sue gallerie), in cui si vive con i benefici dell’architettura - per essere sinceri, con i benefici come un progetto che effettivamente recupera le fallite proposte urbanistiche dell’architetto per
della cultura araba - che fa di noi, architetti colonizzatori, i barbari 5 . la città di Algeri. Come molti hanno notato, il brise-soleil (frangisole) nell’Unité d’habitation prove-
Come ha sostenuto Zeynep Çelik, la comprensione dell’architettura vernacolare in Algeria di Le niva dai precedenti progetti per Algeri, in cui l’architetto aveva adattato ciò che ha descritto come
Corbusier, e soprattutto della Casbah di Algeri, fu influenzata da una più ampia ossessione colo- “un elemento primario e fondamentale dell’architettura regionale nordafricana”10. Mary McLeod
nialista per la casa indigena6. Come molti suoi colleghi, Le Corbusier fu affascinato dalle forme ha sostenuto che i disegni di Le Corbusier per l’Unité d’habitation di Marsiglia “trasformano i
dei tetti a terrazza e dei cortili interni che consentivano a edifici, che, sulle prime, sembravano brise-soleil di Algeri da un simbolo dell’integrazione musulmano-europea a uno di predominio
essere fortezze impenetrabili, di essere particolarmente aperti alla luce e all’aria, nonché alle europeo”11. Da una prospettiva un po’ diversa, Sherry McKay interpretò l’ostinata astrazione
spettacolari vedute sul paesaggio urbano circostante e sulla baia di Algeri. Nonostante le notevoli di elementi dell’architettura indigena in Algeri effettuata da Le Corbusier come un modo di
differenze tra l’architettura dello M’Zab, gli edifici della Casbah e le abitazioni separate costruite resistere alla complessità culturale del Mediterraneo e uno sforzo di riscrivere l’intera regione
per i principali membri dell’élite politica della città durante il periodo ottomano sulle colline come europea12.
Mustapha alla periferia sud di Algeri, Le Corbusier li descrisse tutti in termini sorprendentemente Sviluppando queste osservazioni, vorrei suggerire che il processo di astrazione, adattamento
simili. Invece di riconoscere la diversità dell’architettura indigena in Algeria, Le Corbusier ne e traduzione del brise-soleil da Algeri a Marsiglia fu fondato sull’equazione concettuale delle
colse le somiglianze essenziali. L’appassionata “scoperta” da parte dell’architetto di abitazioni rive nord e sud del Mediterraneo. In questo senso, l’incontro di Le Corbusier con l’architettura
tradizionali in Africa del Nord in ultima analisi servì come mezzo per confermare idee preesistenti tradizionale del Africa del Nord fu modellato dal regnante presupposto che il Mediterraneo era
che sembravano trovare la loro eco in paesaggi non familiari. Attirando l’attenzione sui tetti a una regione definita “bio-geograficamente e quindi come paesaggio”, un concetto che, come
terrazze, sui cortili, sugli effetti di luce e sull’importanza di un accesso diretto all’aria fresca ci ricorda Vojtech Jirat-Wasiutynski, era stato per lungo tempo una potente giustificazione
nelle abitazioni tradizionali in Algeria, Le Corbusier fu in grado di ri-articolare gli elementi chiave per imprese imperialiste13. A questa idea è stata data una forma particolarmente vivida in una
del suo proprio consolidato repertorio architettonico—e quindi la sua visione per l’architettura proposta per Marsiglia, non realizzata, in cui la città viene ristrutturata in base all’immagine
moderna—come il culmine di una tradizione di architettura mediterranea senza tempo. del progetto finale dell’architetto per Algeri, con il vecchio porto ricreato come centro commer-
Nei primi anni Trenta, le associazioni dell’architettura moderna con il Mediterraneo godettero di ciale, definito dalla prominente torre della Cité d’affaires. Ancora una volta, l’architetto stava
un rinnovato interesse. Nell’estate del 1933, il CIAM (Congresso Internazionale di Architettura rileggendo Marsiglia come Algeri, vedendo questi paesaggi urbani come immagini speculari che

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si riflettono l’una sull’altra sullo specchio del mare. La visione di Le Corbusier della Mediter-

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raneità dell’architettura moderna era quindi una mistura di associazioni, aspettative proiettate
ed equivalenze osservate, costruite nel tempo, durante lo spostamento tra Algeri e Marsiglia.

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5.6. Fernand Pouillon. Cité di Diar el-Mahsul (sezione d’abitazioni popolari), Algeri, 1954–55. Cartolina:
http://diaressaada.alger.free.fr/index.html.
5.7. Fernand Pouillon. Cité di Diar el-Mahsul (sezione d’abitazioni popolari), Algeri, 1954–55. Fontana al
piede della torre. Cartolina: http://diaressaada.alger.free.fr/index.html.
5.8. Fernand Pouillon. Torre al centro di Diar el-Mahsul, Algeri, 1954-55. Da ALGER, ville-pilote, Maggio
1955, http://diaressaada.alger.free.fr/index.html.
5.9. Fernand Pouillon. Complesso di abitazioni popolari, Diar es Saada, Algiers, 1953-54. © Archives
Fernand Pouillon, Association Les Pierres Sauvages de Belcastel.
5.10. Fernand Pouillon. Vista dell’alto, Diar es Saada, Algiers, 1953-54. © Archives Fernand Pouillon,
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Association Les Pierres Sauvages de Belcastel.

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Pouillon e i dislocazioni del Mediterraneo balconi con travi a sbalzo che si estendevano tra i due piani superiori del palazzo, con semplici

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Nel 1953, Fernand Pouillon venne invitato ad Algeri dal sindaco Jacques Chevallier, colpito dai supporti di legno a staffa che sembravano fare riferimento a elementi simili caratteristici degli
contributi dell’architetto alla ricostruzione di Marsiglia nel dopoguerra, sperando di convincerlo edifici nella Casbah. La torre centrale aveva la sua piattaforma verticale di logge aggettanti che
a progettare una serie di complessi residenziali per Algeri. Pouillon lavorò in direzione opposta correvano lungo tutta la sua altezza per creare spazi coperti e aperti, affacciati sul mare. La
a Le Corbusier, passando da Marsiglia ad Algeri, e le sue impressioni delle due città si fusero parete opposta della torre, dal lato sul cortile, rompeva con lo schema ordinato della finestratura
attraverso finestrini d’aereo e d’automobili, invece che dal ponte di una nave a vapore. Nella sua del complesso, combinando invece blocchi di pietra aggettanti in maniera irregolare con aperture
autobiografia, Mémoires d’un architecte, pubblicata nel 1968, Pouillon descrisse il primo viaggio squadrate senza cornice. La sequenza caratteristica di sporgenze e aperture, disposta su vari
ad Algeri e l’esperienza trasformativa di vedere la Casbah e il Fort l’Empereur: livelli del muro esterno dell’edificio, appariva come una mashrabiy’ya, reinterpretata e stilizzata,
Sentivo nascere in me una nuova architettura... Ho cominciato a vedere come creare un con la creazione di un muro elaboratamente scolpito con funzioni di schermo intermedio. Vicino
collegamento tra la Casbah e le mie cités, grazie ai volumi visti sulle colline occupate dai alla sommità della torre, una struttura in legno a due livelli che sporgeva drammaticamente
Turchi tanto tempo fa14. era ancorata alla facciata, come un’appendice esotica della fontana sottostante con sculture
Gli storici hanno sempre seguito questa formula, interpretando l’architettura di Pouillon come rappresentanti la drammatica e chiaramente classicheggiante scena di Nettuno nella sua biga
una sintesi delicata tra un Modernismo nettamente classicheggiante e un serio impegno verso trainata da cavalli.
le forme vernacolari locali. Nel suo innovativo studio sul colonialismo e la forma urbanistica Al Diar el-Mahsul, i gesti più spettacolari verso forme architettoniche “locali” adornavano gli
in Algeri, Zeynep Çelik descrisse l’architettura di Pouillon come “un ibrido modernista, ripreso edifici che ospitavano gli europei. Dall’altra parte della strada, i bassi condomini nella sezione
dal patrimonio locale e dall’antichità classica”15. Jean-Lucien Bonillo ha suggerito, in termini un algerina presentavano finestre più piccole, balconi incassati e poche delle decorazioni scultoree
po’ diversi, che Pouillon assimilò il locale non semplicemente come espressione regionale, ma visibili dall’altra parte della strada. Lì i riferimenti all’architettura della Casbah erano più obliqui:
“in una postura moderna”, o, secondo le parole di Jacques Lucan, come “un’altra modernità”16. la massa degli edifici e l’interiorità consapevole delle mura impenetrabili. In effetti, le vivaci
Voglio postulare che l’architettura di Pouillon negozia il vernacolare e il moderno in maniere decorazioni ispirate da elementi a sbalzo e dalla mashrabiy’ya che animavano le pareti esterne
meno nettamente definite. A questo proposito, l’opera di Alberto Ferlenga è importante, in della sezione europea, contribuivano con il loro aspetto caratteristico a conferire autorità a
quanto ha affermato in modo provocatorio che il rapporto di Pouillon con il luogo era insolita- questi edifici e ai loro abitanti. Secondo l’architetto Jean-Jacques Deluz, che ha lavorato ad Algeri
mente complesso. In particolare una volta avviati i suoi progetti per nuove abitazioni ad Algeri, per tutta la sua carriera e ha scritto molto sull’architettura della città, nei progetti di Pouillon,
l’architetto fu quasi sempre in movimento tra le città di Marsiglia (e dintorni), Algeri e Parigi, in I riferimenti alle fortificazioni turche, alle travi sbalzate della Casbah... mentre pretendono
particolare spostando la sua residenza principale tra queste sedi in diversi momenti chiave. Agli di produrre una storia immaginaria per nuovi quartieri o nuovi siti, esprimono invece la
occhi di Ferlenga, l’esistenza volontariamente nomade di Pouillon gli diede un’insolita capacità loro artificialità18.
di sintesi, di modo che storia passata e familiarità del luogo divennero materiali formativi della Al Diar el-Mahsul, il costrutto artificioso dei riferimenti vernacolari di Pouillon sembra voluto
sua architettura17. Attraverso l’esame di Diar el-Mahsul, il secondo complesso residenziale per dare peso e un senso palpabile di storia a questa nuova città in miniatura all’interno della
progettato da Pouillon ad Algeri, si capisce meglio l’importanza di queste trasferte e il recla- città. Questi gesti formali, tuttavia, non erano semplicemente frutto dell’incontro di Pouillon
mare luogo e appartenenza dal suo lavoro forgiato tra Marsiglia e Algeri. con la Casbah, ma erano anche articolati in relazione al suo lavoro precedente a Marsiglia.
Dal momento della sua progettazione iniziale, nel 1954, Diar el-Mahsul è stato proclamato come Numerosi commentatori hanno sottolineato le similitudini nei materiali, volumetrie, l’organiz-
il primo complesso residenziale volutamente integrato di Algeri, con il sessanta per cento degli zazione della planimetria e il rapporto col sito che legavano i complessi abitativi di Pouillon ad
appartamenti riservati per residenti algerini. Un ampio viale divideva il complesso, separandolo in Algeri ai suoi precedenti progetti a Marsiglia19. Anche se l’architetto ha insistito che il posizio-
due sezioni, una per gli europei e l’altra per gli algerini. Nonostante la retorica di integrazione usata namento di Diar el-Mahsul sulla cresta della collina era stato ispirato dal Fort l’Empereur, il
più volte per descrivere il progetto, la segregazione fu comunque applicata allo spazio. Come tutti concetto di casa come fortificazione moderna aveva già ispirato il suo disegno di La Tourette, il
i progetti di Pouillon in Algeri, Diar el-Mahsul era caratterizzato da mura monumentali esterne, primo complesso residenziale creato come parte della ricostruzione postbellica del quartiere
costruite con blocchi pre-tagliati di calcare trasportati via nave attraverso il Mar Mediterraneo Vieux-Port di Marsiglia. Lì la facciata pesante con le finestre strette che guardano verso il Mar
da una cava nei pressi di Arles. Nella sezione europea, palazzi di altezze diverse delimitavano Mediterraneo riecheggiava le mura massicce della vicina fortezza di guardia alla bocca del porto.
una serie di ampi cortili parzialmente chiusi, organizzati in terrazze e collegati da rampe e scale Come il suo predecessore e nemesi Le Corbusier aveva fatto prima di lui, Pouillon affermò una
elaborate. Una torre alta dieci piani dava peso e un punto focale al cortile centrale, mentre un connessione con l’architettura vernacolare in Africa del Nord come mezzo per dare autenticità
porticato, chiamato “la porta al mare”, conduceva a una spianata che attraversava la lunghezza e “localizzazione” a una formula sviluppata altrove. L’adozione di forme vernacolari da parte di
del complesso che incorniciava una vista panoramica spettacolare sulla città e sul mare sotto- Pouillon, tuttavia, prese una forma nettamente diversa, perché i processi di prefabbricazione
stante. In contrasto, la sezione algerina era stata collocata dietro la cresta della collina e i suoi sempre più industrializzati che aveva sviluppato per costruire i suoi edifici erano temperati dalle
edifici più piccoli erano affiancati più strettamente l’uno all’altro attorno a cortili notevolmente loro facciate monumentali in pietra e dall’incorporamento di dettagli realizzati individualmente.
angusti. In confronto ai balconi sporgenti, alle caratteristiche decorazioni, ai generosi spazi interni, Le decorazioni spettacolari che conferivano distinzione visiva alla sezione europea di Diar
e agli elettrodomestici moderni nella sezione europea, gli appartamenti di là dalla strada erano el-Mahsul non erano solo il frutto dell’incontro di Pouillon con la Casbah al suo arrivo ad
estremamente piccoli, con solo modesti cucinini e finestrature contenute. Algeri. A Marsiglia, il complesso residenziale di La Tourette presentava alcove verticali di
Così come le altezze sfalsate di edifici terrazzati nelle sezione europea davano l’impressione balconi sporgenti, con protezioni caratteristiche costruite con pannelli a grata di sottili barre
di varietà all’interno della griglia strutturale regolarizzata, gli abbellimenti con balconi e logge di legno20. I balconi-loggia a Marsiglia erano simili a quelli di Diar el-Mahsul, anche se l’aggiunta
operavano funzioni simili. Un complesso di cinque piani presentava due serie orizzontali di di supporti a sbalzo a uno di quelli di Diar el-Mahsul serviva per ancorare più saldamente la

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sua associazione agli edifici della Casbah. Ancora più suggestive, tuttavia, erano le due cosid- sue mura massicce che lo rendevano omogeneo. Rispetto all’elaborata parete separatoria di

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dette mura claustra pensate per il più grande blocco di appartamenti a La Tourette. Entrambi Diar el-Mahsul, i claustras di La Tourette sono stati creati con materiali poco costosi, prodotti
i pannelli applicati furono costruiti con piastrelle di ceramica prodotte in serie, quello rivolto in serie, il cui effetto era molto meno scultoreo o drammatico. Tuttavia, questi elementi di La
verso il cortile centrale impostava i blocchi sulla diagonale, mentre il secondo impreziosiva Tourette servivano allo stesso scopo delle mashrabiy’ya riadattate.
una sezione della facciata che guardava verso il Mar Mediterraneo. Questi elementi, visibili da Lungi dall’essere semplicemente il prodotto della sua “scoperta” della Casbah, l’adattamento
lontano, consentivano l’orientamento visivo nel complesso e servivano a controbilanciare le da parte di Pouillon di elementi ispirati all’architettura vernacolare nord-africana ha preceduto
il suo lavoro ad Algeri. Il mio obiettivo qui non è quello di sostituire una versione delle origini
architettoniche con un’altra, né di rimuovere la Casbah come riferimento essenziale dell’ar-
chitettura di Pouillon al fine di rivendicare quel ruolo per Marsiglia. Piuttosto, il fatto che i suoi
edifici in Algeri non furono semplicemente ispirati dal suo primo incontro con questa città, ma
furono anche costruiti in relazione a un immaginario architettonico delle proprie affiliazioni
mediterranee di Marsiglia, richiede un esame più attento delle proiezioni di luogo e rivendicazioni
di autenticità che l’architetto rivolse a entrambe le città. A questo proposito, l’osservazione di
Pouillon che il Vieux-Port di Marsiglia somigliava alla Casbah è significativo:
Tutto terrazzato come un anfiteatro, con le sue chiese e i suoi campanili, le sue case basse e
la sua architettura nobile, forma, come la Casbah di Algeri, un insieme armonioso, ordinato
nella sua diversità21.
Il desiderio di Pouillon di rivestire abitazioni moderne a Marsiglia e Algeri con astrazioni leggibili
come dettagli architettonici nord-africani rivela il suo interesse per la creazione di un’archi-
tettura che potrebbe esprimere un’identità mediterranea trascendente attraverso contestati e
forse anche contraddittori processi di imitazione, distinzione e identificazione22.
L’architettura di Pouillon era fondata su un’ipotetica connessione tramite il Mediterraneo,
attraverso la quale Marsiglia e Algeri si spiegavano come il riflesso dell’una nell’altra, come
fece Le Corbusier prima di lui. Tuttavia, gli stessi processi attraverso i quali Pouillon ha bilan-
ciato forme moderne e vernacolari potrebbero aiutarci a mettere ulteriormente in discussione
ipotesi familiari circa la natura statica e senza tempo del vernacolare, sui suoi confini spaziali
e in verità la sua stessa “localizzazione”. Il lavoro di Pouillon tra Marsiglia e Algeri rivela un
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desiderio di padroneggiare l’architettura vernacolare e di appropriarsi di segni culturali visi-
bili del colonizzato, creando, di fatto, un’architettura che sembra particolarmente carica di un
desiderio di identificazione. I complessi di Pouillon hanno così permesso ad abitanti europei
“moderni”, su entrambe le sponde del Mediterraneo, di identificarsi con elementi ricostruiti di
architettura islamica “tradizionale”. In questo modo, i termini del vernacolare e del moderno
vennero bilanciati attraverso connessioni immaginate e sperimentate attraverso il Mar Medi-
terraneo e attraverso la progettazione di edifici, le cui origini ambigue sfidano i presupposti
consueti circa località, identità e appartenenza al luogo.

La Nostalgérie di Simounet
13 Nel 1992 fu inaugurata a Marsiglia la Scuola Nazionale di Danza (École Nationale Supérieure de
Danse), alla presenza dell’architetto capo Roland Simounet e del Ministro della Cultura, Jack
Lang. Le austere pareti bianche dell’edificio spiccano vivamente sul paesaggio verdeggiante
circostante in un piccolo parco alla periferia sud della città, non lontano dalle Unité d’habitation
di Le Corbusier. Anche se la scuola era solo a due piani, l’esterno monolitico dava l’impressione
12 di un senso di massa unitaria che andava al di là delle sue dimensioni relativamente compatte.
L’edificio appariva come un insieme di volumi cubici accatastati, sovrastato da una torre scenica
5.11. Fernand Pouillon. Piazza delle 200 colonne, complesso Climat de France, Algeri, 1955-57. © Archives
Fernand Pouillon, Association Les Pierres Sauvages de Belcastel.
stretta che si innalzava sulla sala prove principale. Le pareti esterne simili a una fortezza
erano punteggiate lungo il bordo del tetto da uno schema regolare di merlatura, formato da
5.12. Fernand Pouillon, con Auguste Perret e André Devin, Vista della ricostruzione del Vecchio Porto,
alcove strette incassate coronate da piccole aperture nascoste che si alternavano con cappe
Marsiglia, 1948-54. Il Vecchio Porto fu distrutto dall’esercito tedesco nel gennaio 43. Cartolina, collezione
Jean-François Lejeune. rettilinee aggettanti che incorniciavano alte finestre. Una larga rampa attraverso la facciata
frontale portava a un cortile recintato e all’ingresso principale dell’edificio alla sua estremità.
5.13. Fernand Pouillon. Dettaglio di una claustra a La Tourette, Marsiglia, 1948-52. Foto S. Crane.

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5.14. Roland Simounet. Djenan el-Hasan, Algiers, 1957–62. Da “Djenan el Hasan,” Techniques et Architecture
329, Febbraio/marzo 1980. Fotos Jean de Maisonseul.
5.15. Roland Simounet, Scuola nazionale di danza, Marsiglia, 1985–92. Foto S. Crane. Sotto: Sezione, 1985–
92. © Roland Simounet collection, Centre des Archives du Monde du Travail, Roubaix.

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5.16. Roland Simounet. Schizzi per la Scuola nazionale di danza, 1986. © Roland Simounet collection,
Centre des Archives du Monde du Travail, Roubaix.

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I primi commentatori e critici hanno confrontato ripetutamente l’edificio a “un piccolo villaggio spazi secondari dispersi intorno ai due spazi vuoti dominanti—il cortile e la sala di prove prin-

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arabo”, o una Casbah moderna, sia per suggerire che era un’apparizione esotica all’interno cipale. Le pareti esterne e interne insieme servivano per isolare le sale di prova dall’esterno,
di questo piccolo parco cittadino e delle strade residenziali limitrofe, o per affermare che era sia acusticamente che visivamente, allo scopo di focalizzare l’attenzione dei danzatori verso
particolarmente di casa nel paesaggio mediterraneo di Marsiglia23. l’interno. Collocando le aperture in prossimità dei punti di incontro tra il soffitto e la parete, gli
Nato nella città di Guyotville, alla periferia occidentale di Algeri, Roland Simounet fa risalire spazi interni intersecanti consentivano di sfruttare al massimo la luce naturale per gli studi di
le radici della sua famiglia in Algeria, indietro di cinque generazioni, a un farmacista in forza danza e per altre aree di lavoro importanti. In un testo scritto per l’inaugurazione dell’edificio,
presso l’esercito francese, che arrivò tra le prime ondate di coloni in Algeria poco dopo l’inva- l’architetto sottolineò questo paradosso, descrivendo la scuola come “racchiusa da alte mura
sione francese del Paese nel 1830. Simounet frequentò brevemente l’École des Beaux-Arts di e splendente di luce”27.
Algeri prima di lasciare la scuola per dedicarsi alla sua carriera in architettura. Nel decennio Le pareti esterne stile fortezza nascondevano efficacemente i luminosi spazi interni e la
precedente l’indipendenza nel 1962, progettò una vasta gamma di progetti in Algeria, tra cui complessità spaziale della loro organizzazione. Mentre elementi tratti dalla conoscenza di
ville singole, prototipi di case popolari, un centro culturale in Chelff (all’epoca Orléansville), Simounet dell’architettura vernacolare nord-africana—tra cui terrazze, cortili interni e pareti
dedicato al suo amico Albert Camus, e una nuova città eretta vicino alle vestigia di un antico bianche—erano immediatamente evidenti, a un più attento esame la Scuola di Danza rivela
insediamento romano a Timgad (1958-60). Poco dopo l’indipendenza, Simounet si unì all’esodo un impegno molto più sottile e sofisticato con la logica tettonica e complessità spaziale degli
di massa dei residenti europei (in seguito soprannominati pieds-noirs) verso la Francia, dove edifici della Casbah.
ristabilì il suo studio di architettura a Parigi. Simounet progettò una vasta gamma di alloggi, Anche se la Scuola Nazionale di Danza di Marsiglia, quando fu proposta inizialmente nel 1982,
università e musei in Francia e all’estero, fino alla sua morte nel 199624. venne inclusa nella lista di grands projets del presidente Mitterrand, Simounet ne impostò la
Gli elementi che caratterizzano i primi lavori di Simounet in Algeria sono particolarmente progettazione come critica consapevole della prevalente retorica architettonica di trasparenza,
evidenti in Djenan el-Hasan (“i bei giardini”), un complesso residenziale progettato per un sito comune ai monumenti parigini al centro della campagna di costruzione di Mitterrand, tra cui
difficile, una gola tra le colline occidentali di Algeri. Costruito in due sezioni, la prima nel 1957 l’Institut du Monde Arabe (1981-1987) di Jean Nouvel e la Grande Pyramide du Louvre (1983-
e la seconda poco dopo l’indipendenza nel 1962, le abitazioni modulari di Simounet, progettate 1989) di I.M. Pei. Come ha dimostrato Annette Fierro, i grands projets di Mitterand condividevano
come alloggi di transizione temporanei per gli algerini, seguono i contorni drammatici della l’interesse ad articolare metodi costruttivi ad alta tecnologia da poco razionalizzati, che sfrutta-
topografia. Ogni unità, con il suo balcone e il suo tetto a volta, fu collocata in una formazione vano le possibilità del vetro. I loro dettagli raffinati offrivano una vista spettacolare dei sistemi
sfalsata per fornire una terrazza esterna all’appartamento sottostante. Il modello residenziale di costruzione e dei visitatori che ne attraversavano gli spazi interni, spazi che cercavano di
sviluppato da Simounet a Djenan el-Hasan consapevolmente si richiama alle opere precedenti rappresentare e simboleggiare l’ideologia statale di apertura e accessibilità28. Simounet era
di Le Corbusier ad Algeri e, come Zeynep Çelik ha dimostrato, ai dettagliati studi di Simounet apertamente contrario a questa tendenza, tanto da affermare in una intervista nel 1995 che
medesimo sull’architettura e i costumi sociali alla Mahieddine, allora la più grande baraccopoli “oggi, la trasparenza rende tutto banale a eccezione di alcune inimitabili, belle realizzazioni”29.
di Algeri, che lui presentò in occasione della conferenza del CIAM (Congresso Internazionale di Nei suoi disegni per la Scuola Nazionale di Danza a Marsiglia, Simounet articolò un discorso
Architettura Moderna) nel 1953 ad Aix-en-Provence25. alternativo di trasparenza, impostata sulle possibilità tettoniche del muro. In numerosi studi
A Djenan el-Hasan, i cortili interni, che Le Corbusier aveva privilegiato come cuore strutturale e per l’edificio, Simounet tornò ripetutatmente all’attenta elaborazione dei punti di giuntura,
sociale della casa nord-africana, furono trasformati in balconi esterni, mentre i tetti terrazzati dove le pareti e le colonne strutturali incontrano pavimenti, tetti, soffitti e travi. Uno di questi
furono progettati come spazi per la vita all’aperto, facendo riferimento all’architettura della disegni concentrava l’attenzione sulla facciata rivolta a sud, dove gli uffici amministrativi incon-
Casbah e agli studi di Simounet sulle abitazioni informali a La Mahieddine. A Djenan el-Hasan travano la sala da ballo centrale. Qui i supporti strutturali erano collocati più indietro rispetto
Simounet, tuttavia più che riportare semplicemente degli elementi selezionati di architettura alla superficie della parete, mentre un trave proiettata leggermente al di là di essa, offriva
indigena, sfruttò il contrasto tra luce ed ombra e le possibilità spaziali della volumetria sfalsata opportunità di aperture nascoste vicino alle giunture tra volumi interni a incastro. Con questi
per creare abitazioni temporanee caratterizzate da ampie viste sul paesaggio circostante e dettagli, Simounet ha manipolato la massa e il sistema strutturale del muro di cemento per
spazi interni protetti come rifugio. creare aperture incassate che fornivano una luminosità interna inaspettata. Implicitamente, il
Le origini algerine di Simounet e la sua esperienza di lavoro in Algeria hanno portato studiosi palese rifiuto di Simounet delle possibilità high-tech di vetro e acciaio andava contro gli obiettivi
e critici del suo lavoro a sottolineare la sua profonda conoscenza dell’architettura vernacolare di centralizzazione dei grands projets,di Mitterrand, impostazione in sintonia con il progetto di
in Africa del Nord e a valorizzare così il suo legame “autentico” col paesaggio mediterraneo26. I “decentramento culturale” proprio della Scuola di danza, quale istituzione nazionale situata a
commentari sul lavoro di Simounet concordano sul fatto che la sua lunga familiarità con l’archi- Marsiglia30. Quando la Scuola di Danza fu inaugurata nell’ottobre 1992, questa mossa avrebbe
tettura vernacolare in Algeria ha profondamente influenzato la sua architettura ed è evidenziata avuto un significato nuovo sulla scia dell’ambizioso progetto Euro-Mediterraneo di Marsiglia,
nel suo uso ripetuto di materiali grezzi e duraturi, di recinzioni monolitiche, di cortili interni e esposto per la prima volta ad una conferenza firmata quattro mesi prima.
di tetti a terrazza. A Marsiglia, tuttavia, le connessioni mediterranee e i riferimenti vernacolari Quando Simounet inizialmente vinse il concorso per la Scuola di Danza nel 1985, tuttavia, era
del lavoro di Simounet furono spinti a nuovi livelli e assoggettati a pressioni nettamente diverse. al lavoro sul progetto per un museo dedicato a “la conservazione e lo sviluppo del patrimonio
Quello che colpisce a prima vista della Scuola di Danza è l’interiorità insistente suggerita dai culturale dei francesi nativi dell’Africa del Nord”, che doveva essere eretto a L’Estaque, un
suoi monolitici esterni bianchi. La massa unificante del muro nascondeva il fatto che la strut- ex-villaggio di pescatori diventato sobborgo industriale sulla costa a nord di Marsiglia. Prodotto
tura ospitava due istituzioni separate, ma interdipendenti, la compagnia di danza e la scuola poi di un nuovo sforzo per promuovere la cultura e la storia dei coloni francesi in Algeria, il museo
diretta dal coreografo Roland Petit. Durante l’evoluzione dei suoi progetti per la scuola, Simounet cercava di rappresentare i pieds-noirs come una cultura minoritaria modello che, nei decenni
sfruttò le possibilità del disegno in sezione per creare percorsi di circolazione intersecanti e dopo l’indipendenza dell’Algeria, era stata assimilata con successo nei piani universalizzanti

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della Repubblica francese31. Il progetto di Simounet per la Scuola di Danza attinse da elementi Mentre l’esterno dell’edificio sembrava semplicemente richiamare le severe pareti bianche

DIALOGHI MEDITERRANEI LE CORBUSIER, FERNAND POUILLON E ROLAND SIMOUNET | Sheila Crane


della proposta per il museo, in particolare la sequenza d’ingresso della rampa e cortile recin- della Casbah, Simounet intendeva soprattutto ricreare gli effetti fenomenologici e sensoriali dei
tato. Qui i giardini progettati all’ingresso e nei cortili interni erano fondamentali, dato che gli paesaggi urbani di Algeri. Invece di limitarsi a ricreare cortili interni, Simounet si ispirò anche
aranci, i cipressi e gli ulivi proposti per la messa a dimora erano ispirati dal giardino di suo alla sqifa, l’ingresso a forma di L tipico degli edifici della Casbah e del Mahieddine che creava
nonno in Algeria e da ricordi dei suoi profumi evocativi32. Anche se il museo non fu mai realizzato una protezione stratificata. La scuola era quindi organizzata attorno all’esperienza dello spazio
secondo il progetto, queste idee hanno influenzato il giardino creato nel cortile interno della snodato nel tempo e attraverso il movimento, dove spazi luminosi per danza e movimento erano
Scuola di Danza. Il progetto di Simounet potrebbe quindi anche essere letto come un prodotto alternati a luoghi in ombra di riposo e di ritiro. L’intreccio dei fili di nostalgérie nella Scuola di
del rinnovato impegno dell’architetto con il proprio passato algerino riscoperto a Marsiglia. Danza articolavano l’esperienza multiforme di Simounet che ritrovava così Algeri a Marsiglia.
Man mano che i lavori della Scuola di Danza procedevano, le reminiscenze di Algeri di Simounet Mentre il movimento di Le Corbusier tra Algeri e Marsiglia era organizzato intorno a somiglianze
si intrecciavano vieppiù alle riflessioni sul suo maestro Le Corbusier. Nel 1987, Simounet parte- percepite che collegavano i paesaggi urbani delle due città, Pouillon forgiava un collegamento
cipò alla mostra “Corbu vu par ...”, tenutasi a Bruxelles, presentando un disegno accompagnato anticipatorio attraverso il mare. Attraverso processi intersecanti di imitazione e distinzione, i
da uno scritto in cui i ricordi della sua infanzia e dei paesaggi di Algeri si fondevano con un riferimenti vernacolari nei complessi residenziali di Pouillon erano riarticolati come decorazioni
lamento poetico per l’architettura moderna come articolata nelle palme della città che Simounet spettacolari. Al contrario, la mediterraneità di Simounet andava al di là di formule astratte o
descrisse come “il pilotis della mia giovinezza” 33. Questo disegno fa parte di una più ampia decorazioni esteriori per dedicarsi agli effetti tettonici e fenomenologici dei paesaggi urbani,
rivalutazione delle radici specificamente algerine del movimento moderno e la sua persistente ricreati sulla scala di un singolo edificio. Nonostante queste differenze, la “mediterraneità”
rilevanza che è emersa dagli scritti e dalle interviste di Simounet durante e dopo il suo lavoro di tutti e tre gli architetti era fondata su mappature traslocali notevolmente simili e costruita
a Marsiglia. Come ha spiegato in un’intervista nel 1989: attraverso dialoghi immaginati e rappresentati attraverso il mare, fra Algeri e Marsiglia.
Gli elementi fondamentali del Movimento Moderno in architettura sono stati trovati nella
regione di Algeri, dove sono nato, e in generale in tutto il Maghreb: le terrazze, la calce, le  
strade interne, il lato vernacolare delle cose, con questa semplice geometria che troviamo
nella Casbah ottomana di Algeri che ha sedotto molti architetti34.
Anche il disegno di Simounet sottolineava le qualità liriche del porto di Algeri, come le pareti
imbiancate e le terrazze della Casbah, quegli stessi aspetti della città che era state pietre di
paragone formative per l’architettura di Le Corbusier. Nella Scuola di Danza, i riferimenti al
mentore di Simounet potrebbero a loro volta essere letti nelle sue forti pareti bianche, nel
prominente cortile interno e, forse, più direttamente, nella rampa interna curva che conduce
dagli uffici amministrativi a una delle due accessibili terrazze sul tetto. In un chiaro omaggio alla
Villa Savoye, questa giocosa “passeggiata architettonica” portava direttamente a un’apertura
nel parapetto che incorniciava attraverso gli alberi una vista sulla vicina Unité d’habitation35. La
Scuola di Danza fu quindi costruita in dialogo diretto con l’incombente eredità di Le Corbusier.
A Marsiglia poi, una particolare convergenza di circostanze fece della Scuola di Danza tanto
un’ode alle origini del Modernismo mediterraneo reinventato attraverso l’opera di Le Corbusier,
quanto un incontro insolitamente nostalgico con la storia personale e l’intima conoscenza dei
paesaggi costruiti di Algeri. Fondata su una connessione immaginata tra Marsiglia e Algeri,
la Scuola di Danza espresse desideri interconnessi per un passato innocente perduto, una
nostalgérie fondata nelle mitiche origini algerine di Simounet e dell’architettura moderna36.
A Simounet, la città di Marsiglia fece da cassa di risonanza per la critica delle pretese centra-
lizzatrici dei grands projets di Mitterrand, per un rinnovato incontro con l’opera di Le Corbusier
e la sua eredità e per una discussione più diretta del passato algerino dell’architetto, di fronte
ai quali svanisce senza ombra di dubbio la chiara distinzione tra vernacolo e moderno. Al di là
della rampa curva che formava un ponte evocativo verso l’Unité d’habitation, la “passeggiata
architettonica” che conformava la Scuola di Danza non era la stessa di Le Corbusier. A differenza
di Le Corbusier e Pouillon, l’esperienza di Simounet dell’architettura vernacolare ad Algeri
non si concentrava semplicemente su dei punti di riferimento principali come il Fort l’Empe-
reur e la Casbah, ma comprendeva anche studi approfonditi sugli insediamenti informali di La
Mahieddine, che furono fondamentali per le sue prime opere ad Algeri, come Djenan el-Hasan.
L’impegno di Simounet con il vernacolare nord-africano si estese a costruzioni moderne come
quelle create dagli abitanti sfollati dalle campagne, un paesaggio che era un prodotto diretto
della storia della colonizzazione e degli effetti più immediati della violenza durante la guerra.

218 219
1
Jean-Pierre Giordani, “Territoire: Nouveaux plans urbaines, les Esquisses sud-américaines 14
Fernand Pouillon, Mémoires d’un architecte, Parigi, Seuil, 1968, p. 172.

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et le Plan Obus d’Alger,” in Jacques Lucan (a cura di), Le Corbusier, une Encyclopédie, Parigi, 15
Çelik, Urban Forms and Colonial Confrontations, pp. 145-46. Per una simile valutazione del lavoro
Editions du Centre. Pompidou / CCI, 1987, pp. 402-6, Jean-Pierre Giordani, “Le Plan Obus pour di Pouillon, si veda Bernard Félix Dubor, Fernand Pouillon, Milano & Parigi, Electa-Moniteur,
Alger”, in Le Corbusier et la Méditerranée, Marsiglia, Éditions Parenthèses / Musées de Marseille, 1986, p. 56.
1987, p.158, Jean-Pierre Giordani, “Le Corbusier et les projets pour la Ville d’Alger, 1931-1942, 16
Jean-Lucien Bonillo, Fernand Pouillon: Architecte Méditerranéen, Marsiglia, Éditions Imbernon,
“ Tesi del ciclo 3, Université de Paris VIII, 1987. 2001, p. 26; Jacques Lucan, “Le paysage intérieur de l’architecture, ou Fernand Pouillon comme
2
Le Corbusier ha esplicitamente messo sullo stesso piano il paesaggio di Rio de Janeiro con le problème théorique,” in Jacques Lucan e Odile Seyler (a cura di), Fernand Pouillon, architecte:
città portuali mediterranee: “Rio de Janeiro è un sito famoso. Ma Algeri, Marsiglia, Orano, Nizza Pantin, Montrouge, Boulogne-Billancourt, Meudon-la- Forêt, Parigi, Éditions du Pavillon de l’Ar-
e tutta la Costa Azzurra, Barcellona e tante città marittime o continentali hanno meravigliosi senal / Picard, 2003, p. 15.
paesaggi!”, da Le Corbusier e François de Pierrefeu, La maison des hommes, Parigi, Librairie 17
Alberto Ferlenga, “L’histoire comme Matériau”, in Jean-Lucien Bonillo (a cura di), Fernand
Plon, 1942, p. 69. Si veda anche Giordani, “Territoire”, pp. 402-3, Hubert Damisch, “Modernité: Pouillon, architecte Méditerranéen, Marsiglia, Éditions Imbernon, 2001, pp. 118-23; Alberto
Les Tréteaux de la vie moderne”, in Jacques Lucan (a cura di), Le Corbusier, une Encyclopédie, Ferlenga, “Fernand Pouillon (1912-1986): New Foundation of the City, New Foundation of a
Parigi, Editions du Centre Pompidou / CCI , 1987, pp. 253-55. Discipline”, in New City 3, 1996, pp. 71-93.
3
Thierry Fabre, La Méditerranée française, Parigi, Maisonneuve & Larose, 2000, pp. 28-38. 18
Jean-Jacques Deluz, “Alger 1962, L’Héritage”, in Techniques et Architecture 328, 1980.
4
Le Corbusier, “Retours ... ou l’enseignement du voyage: Coupe en travers Espagne, Maroc, 19
Ferlenga, L’histoire comme Matériau, p. 122, Alberto Ferlenga, “Fernand Pouilllon: Le pietre
Algérie, Territori del Sud,” in Plans 8, 1931, pp. 104-5. Salvo diversa indicazione, tutte le tradu- di Algeri”, in Casabella 66, n º 706-707, 2002-2003, pp. 49-51, Jean-Lucien Bonillo, “Fernand
zioni sono dell’autore. Pouillon in Algiers”, in Bauwelt 94, n º 26, 2003, pp. 50-59.
5
Le Corbusier, “Le Lotissement de L’Oued-Ouchaïa à Alger”, in Architecture d’aujourd’hui 10, 20
Per un importante dibattito su questi elementi dell’opera di Pouillon a La Tourette e il loro
nº 117, 1933. rapporto con il suo interesse più ampio per gli elementi decorativi e il lavoro di collaborazione
6
Zeynep Celik, Urban Forms and Colonial Confrontations:Algiers under French Rule, Berkeley, con artisti e artigiani, vedi Sylvie Denante, “De la vertu de l’ornement”, in Jean-Lucien Bonillo
University of California Press, 1997, pp. 97-103; Zeynep Celik, “Le Corbusier, Orientalism, Colo- (a cura di), Fernand Pouillon, architecte méditerranéen, Marsiglia, Éditions Imbernon, 2001, pp.
nialism,” in Assemblage 17,1992, pp. 59-77. Si veda anche Sherry McKay, “Mediterraneism: The 138-48.
Politics of Architectural Production in Algiers during the 1930,” in City and Society 12, n º 1, 21
Fernand Pouillon, Mémoires d’un architecte, p. 83.
2000, pp. 79-102. 22
Ho discusso queste dinamiche in modo più dettagliato in “Architecture at the Ends of Empire:
7
Le Corbusier, La Charte d’Athènes, Parigi, Plon, 1943. Urban Reflections between Algiers and Marseille” in Gyan Prakash e Kevin Kruse (a cura di), The
8
Si veda Jos Bosman, “Sur le Patris II: De Marseille à Athènes”, in Le Corbusier et la Méditerr- Spaces of the Modern City: Imaginaries, Politics, and Everyday Life, New York, Princeton University
anée, pp. 73-89, Eric Mumford, The CIAM Discourse on Urbanism, 1928-1960, Cambridge, The Press, 2008, pp. 99-143.
MIT Press , 2000. 23
Barbara Shortt, “Roland Simounet: National Academy of Dance, Marseilles, France”, in Archi-
9
Una serie di disegni correlati raffiguranti le colline che circondano il Fort l’Empereur sono tectural Review 82, n º 9, 1993, p. 84, Penny McGuire, “Dancing in Light”, in Architectural Review
stati inclusi tra i documenti del primo progetto Obus per Algeri ad opera di Le Corbusier in Willy 198, n º 1186, 1995, p. 61, Jean-Paul Robert, “D’une unité à l’autre” in Architecture d’aujourd’hui
Boesiger (a cura di), Le Corbusier et Pierre Jeanneret: Oeuvre complète, 1929-1934, Zürich, Éditions 287, 1993, p. 40.
d’Architecture, 1964, pp. 140-41. La fortezza, denominata “l’imperatore”, perché fu eretta nel luogo 24
Per una panoramica della carriera e dell’opera di Simounet, si veda Richard Klein (a cura
dove Carlo V si era accampato nel 1541, fu eretta sotto Hassan Pacha come parte delle nuove di), Roland Simounet à l’oeuvre: Architettura 1951-1996, Villeneuve d’Asq, Édition Musée d’Art
elaborate infrastrutture per portare acqua alla città di Algeri. Si veda Sakina Missoum, Alger à Moderne Lille Métropole & Institut français d’Architecture, 2000; Roland Simounet, d’une archi-
l’époque ottomane: La Medina et la maison traditionnelle, Aix-en-Provence, Edisud, 2003, pp. 97-99. tecture juste, Parigi, Le Moniteur, 1997; Roland Simounet, pour une invenzione de l’espace, Parigi,
10
Le Corbusier, Le Corbusier et Pierre Jeanneret: Oeuvre complète, 1929-1934, p. 169. Per il rapporto Electa-France, 1986.
tra l’Unité d’habitation di Marsiglia e le prime proposte per Algeri, si veda Jean-Louis Cohen, 25
Zeynep Çelik ha esaminato Simounet e ne ha sviscerato l’influenza formativa sulla Djenan
“Le Corbusier, Perret et les figure d’un Alger moderne”, in Jean-Louis Cohen, Nabila Oulebsir el-Hasan e altre opere residenziali progettate da Simounet in Algeria. Zeynep Celik, “Learning
e Youcef Kanoun (a cura di), Alger: Paysage urbain et architetture, 1800-2000, Paris, Éditions de from the Bidonville: CIAM Looks at Algiers”, in Harvard Design Magazine n º 18, 2003, pp. 71-74.
l’Imprimeur, 2003, p. 184; Jacques Sbriglio, L’Unité d’habitation di Marsiglia, Marsiglia, Edizioni 26
Si veda ad esempio Maurice Besset e Jean Maisonseul in Roland Simounet, d’une architecture
Parenthèses, 1992, pp. 19-22, e Jacques Sbriglio, Le Corbusier: La Unité d’habitation di Marsiglia, juste, pp. 15-16, 22.
Basilea, Birkhäuser, 2004. 27
Centre des Archives du Monde du Travail, raccolta Roland Simounet (di seguito CAMT/RS),
11
Mary McLeod, Urbanism and Utopia: Le Corbusier from Regional Syndicalism to Vichy, Ph.D. tesi manoscritto di Roland Simounet, 22 ottobre 1992.
di laurea, Università di Princeton, 1985, p. 420. Si veda anche Mary McLeod, “Le Corbusier and 28
Annette Fierro, The Glass State: The Technology of the Spectacle, Paris, 1981-1998, Cambridge,
Algiers” in Oppositions 19-20, 1980, pp. 55-85. The MIT Press, 2003.
12
McKay, “Mediterraneism”, p. 93. 29
Roland Simounet, “Leçons d’Alger” in Dialogues, p. 160.
13
Vojtech Jirat-Wasiutynski, “Modern Art and the new Mediterranean Space “ in Jiarat-Wa- 30
Almeno un critico ha descritto il progetto di Simounet precisamente in questi termini: Gilles
siutynski (a cura di), Modern Art and the Idea of the Mediterranean, Toronto, University of Toronto Davoine, “Ecole de danse Marseille” in Moniteur Architecture AMC, n º 39, 1993, p. 20.
Press, 2007, p. 6. 31
CAMT/RS, file di P124 / 2: Association pour la Conservation et le Développement du Patrimoine

220 221
Culturel des Français originaires d’Afrique du Nord, La mémoire des français originaires d’Afrique
du Nord, manoscritto inedito, 24 settembre 1984.
32
Roland Simounet, intervista con Christian Devillers (1986), ristampato in Richard Klein, Roland
Simounet: Dialogues sur l’invention, Parigi, Éditions du Moniteur, 2005, p. 84.
33
François Chaslin (a cura di), Corbu vu par, Liège, P. Mardaga, 1987. 
34
Roland Simounet, intervista a Jean-Paul Dollé (1989), ristampato in Richard Klein, Roland
Simounet: Dialogues sur l’invention, p. 118.
35
Simounet stesso osservò che la nozione di Le Corbusier della “passeggiata architettonica” fu
ispirata dalla Casbah, in un’intervista del 1995. Roland Simounet, intervista pubblicata origi-
nariamente in La Ville 1,1995; ristampato ibid, 150.
36
Il termine “nostalgérie” è stato coniato da Henri Montherlant, nei sui resoconti romanzati
immaginari, sulla vita dei pied-noirs prima dell’indipendenza e del trauma del rimpatrio. Vedere
Henri de Montherlant, “La Rose de Sable”, in Michel Raimond (a cura di), Romani, Parigi, Galli-
mard, 1982, p. 179.

5.17. Roland Simounet. Djenan el-Hasan, Algiers, 1957–62. Da “Djenan el Hasan,” Techniques et Architecture
329, Febbraio/marzo 1980. Fotos Jean de Maisonseul.

222
L’eredità di un architetto di Istanbul
Tipologia, contesto e identità urbana nell’opera
di Sedad Eldem
Sibel Bozdogan 06
Nel corso dei secoli, Istanbul, alla stregua di altre grandi città nel bacino del Mediterraneo come
Napoli, Palermo o Il Cairo, è stata oggetto di innumerevoli resoconti scritti e figurati ad opera
di viaggiatori, orientalisti, fotografi e artisti. Nella maggior parte di questi resoconti, assieme
all’inconfondibile profilo delle moschee e minareti stagliati sulle colline, si trova la descrizione di
un tessuto urbano fitto di case di legno a due o tre piani, snodate lungo strade strette e tortuose,
inframmezzato da ampi spazi verdeggianti e giardini. Queste immagini, che definiscono la forma
urbana e l’identità uniche della città, si sono conservate più o meno intatte per quasi cinque
secoli, fino a circa la metà del Ventesimo secolo1. A partire dagli anni Cinquanta, la fenomenale
crescita, espansione e cementificazione della città, esacerbatasi negli anni Ottanta, ha portato
alla rottura tragica e irreversibile di quella continuità storica, trasformandone il profilo, eroden-
done il verde e facendo rapidamente scomparire le vecchie case in legno.
Oggi il discorso sulla forma e sulla cultura urbana di Istanbul è in gran parte un discorso di
profonda perdita e nostalgia. Intellettuali, poeti, fotografi, artisti e storici dell’architettura
lottano ancora oggi per mantenere vivo questo senso di perdita, a differenza degli architetti al
lavoro che sono stati per lo più indifferenti alla situazione della città, quando non direttamente
complici nel crearla2. La vita e la carriera di Sedad Hakki Eldem (1908-1988), probabilmente il più
importante e prolifico architetto turco del XX secolo, costituiscono la più importante eccezione.
Come storico urbano di Istanbul, docente all’Accademia di Belle Arti e personaggio pubblico di
spicco coinvolto con il patrimonio storico e gli sforzi di conservazione in Turchia, i contributi di
Eldem alla nostra consapevolezza dell’identità urbana di Istanbul sono stati significativi tanto
quanto il suo lavoro di architetto, se non di più.
Ho ampiamente documentato, altrove, l’opera di Eldem e il suo preciso programma di defini-
zione di una moderna architettura turca consapevole della tradizione, dei precedenti storici e
della continuità culturale3. In questa sede, voglio offrire una lettura critica di alcuni progetti
nel contesto urbano di Istanbul, alla luce dei suoi dichiarati presupposti teorici e metodolo-
gici. Attraverso questi presupposti, voglio suggerire che, sebbene Eldem si ponesse in forte
contrapposizione al Modernismo d’avanguardia postulato universalmente di trascurare la
cultura, il contesto e la storia, è tuttavia teoricamente difficile designare il suo lavoro come
“contestuale” o “regionalista”. Piuttosto, Eldem può essere visto come un architetto razionalista
che guarda alla tradizione per astrarne certe “tipologie” che vanno al di là della storia e della
regione. In quanto tale, la sua architettura è in ultima analisi, classica e auto-referenziale,
dunque, per lo stesso motivo, “senza tempo” e “senza luogo”, prestandosi a riappropriazioni
formali e stilistiche nella Turchia postmoderna.

Documentando Istanbul e la casa turca tradizionale


Dopo aver completato gli studi presso l’Accademia di Belle Arti di Istanbul tra il 1924 e il 1928, il
giovane Eldem Sedad partì per un viaggio di due anni in Europa. In un articolo ho sostenuto che,
durante il periodo trascorso da Eldem a viaggiare e a fare schizzi, il “vernacolare” era per lui
un genere fondamentale—visto in contrasto a un’idea stereotipata e priva di connotazioni locali
del Modernismo—non ancora strumentalizzato a fini nazionalisti o a discorsi in stile Heimat.
Fece schizzi di case ispirate da vernacolari molto diversi (dai cubi bianchi del Mediterraneo alle
case in mattoni dell’Anatolia Centrale) in un ricca, inclusiva gamma di colori non riducibile alla
sua formula esclusiva di “Casa turca” codificata più tardi. Eldem, come gli architetti italiani
6.1. Sedad Eldem. “Spirito, Casa, e Natura” (dettaglio), 1928. © Aga Khan Trust for Culture, Geneva.
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L’EREDITÀ DI UN ARCHITETTO DI ISTANBUL | Sibel Bozdogan
6.2. Sedad Eldem. Dettagli da Hünkar Kasri (Imperial Pavilion), Yenicami, Istanbul. Rilievi, 1927. © Aga Khan
Trust for Culture, Geneva.
6.3. Da Sedad Eldem, Türk Evi Plan Tipleri (Plan Types of Turkish Houses), Istanbul, 1954.
e catalani degli anni Trenta che trovarono le origini del Modernismo nella tradizione edilizia
mediterranea, credeva che le tradizioni vernacolari dei Balcani, dell’Anatolia e del Mediterraneo
fossero “già moderne”4. in modo più significativo, forniscono materiale di base indispensabile per una valutazione più
Due begli schizzi del 1928 del giovane Eldem ci danno un particolare spaccato del suo stato informata dell’architettura stessa di Eldem.
d’animo in quel momento. Il primo disegno mostra un portico sostenuto da esili colonne con Essere un “architetto di Istanbul” non era la cosa più di successo in un momento in cui la gloria e
una figura slanciata di donna in un paesaggio apparentemente arido—Anatolia. La seconda è l’importanza della capitale ottomana era eclissata dall’ethos di Ankara, in ascesa come moderna
un’immagine decisamente mediterranea: una veranda con vista sul mare blu con un antico busto capitale della nuova Repubblica. Per tutto il primo periodo repubblicano (1923-1950), con il
spezzato a completare il disegno. Questi enigmatici disegni onirici accompagnano le note di un quale hanno coinciso la formazione architettonica e l’inizio della carriera di Eldem, Ankara fu
giovane architetto che immagina la casa da sogno che un giorno costruirà per sé e per la sua l’obiettivo principale del nuovo regime per l’assegnazione di fondi, privilegi ed attenzione. Più
immaginaria compagna. Come tali, essi invitano a interpretazioni psicoanalitiche complesse significativamente, una serie di contrapposizioni binarie ideologicamente e ufficialmente propa-
come le fantasie personali di un giovane Eldem alla ricerca della sua identità—personale e gate separò le due città negli anni Trenta: Ankara come capitale nuova moderna, patriottica,
culturale—ai margini dell’Europa. Allo stesso tempo, essi rappresentano la ricerca di Eldem di nazionalista della “rivoluzione kemalista” e Istanbul come sede del vecchio impero, corrotto,
un modernismo più lirico, più poetico e più “collocato”, ancora collegato alle classiche tradizioni imperialista e cosmopolita. Sebbene Eldem fosse un distinto professionista, impegnato e rispet-
vernacolari dell’architettura nel bacino del Mediterraneo, in contrasto con il prevalente discorso tato dal regime repubblicano, come discendente di una famiglia dell’élite ottomana di Istanbul
sull’età della macchina che conformava il Modernismo canonico del momento. Questo breve non si è mai pienamente riconciliato con il populismo e la retorica rivoluzionaria di Ankara. Né
periodo esplorativo e contemplativo si concluse con il suo ritorno in Turchia e il suo “sogno ha avuto molta simpatia per la cosiddetta “Ankara cubica”, un semplice, austero Modernismo
mediterraneo” cedette il posto al progetto nazionalista di “inventare la tradizione della casa centro-europeo introdotto nel Paese soprattutto da Ernst Egli e da Clemenz Holzmeister, tra
turca” e cioè alla sua carriera ben nota e prolifica. L’idea del Mediterraneo fu in gran parte vari architetti di lingua tedesca accreditati dal nuovo regime negli anni Trenta6.
dimenticata, con l’eccezione di due progetti mai realizzati (1941 e 1976) che si discostano dal Nel corso della sua carriera Eldem sostenne che le fonti più vitali di una architettura turca
resto della sua opera canonica, senza tuttavia riconquistare la brillantezza degli schizzi del 1928. moderna, ma nazionale, dovevano essere ricercate nelle tradizioni proprie del paese, nell’ar-
Sedad Hakki Eldem era un “architetto di Istanbul” per eccellenza, non solo per nascita, resi- chitettura civile e residenziale dell’Impero Ottomano. Quando era studente presso l’Accademia
denza e lavoro, ma anche per la sua dedizione di tutta una vita al patrimonio architettonico e di Belle Arti di Istanbul, egli considerava la penisola storica di Istanbul, come il suo “vero
urbano della città. Ha pubblicato numerose monografie su singoli padiglioni, chioschi, e case maestro”. La sua intuizione più importante e duratura è stata quella di avvicinarsi alla tradi-
del tardo periodo ottomano, così come due volumi documentari di incisioni e fotografie dell’inizio zione ottomana in un modo diverso dal revival accademico ottomano o dallo “stile nazionale”
del secolo che nostalgicamente intitolò rispettivamente: Reminiscenze di Istanbul: la penisola che ha dominato l’educazione e la pratica architettonica negli anni Dieci e Venti. A differenza di
storica e Reminiscenze del Bosforo5. Queste sono ancora le risorse primarie per gli studiosi quest’ultimo, focalizzato sugli edifici monumentali religiosi e le loro caratteristiche stilistiche e
che lavorano sulla storia urbana di Istanbul nei secoli Diciottesimo e Diciannovesimo. Forse decorative, l’interesse di Eldem si concentrava su case, padiglioni residenziali e palazzi. Invece

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L’EREDITÀ DI UN ARCHITETTO DI ISTANBUL | Sibel Bozdogan
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6.4. Sedad Eldem. Pianta generale e plastico dell’intervento a Beyazit Square, Istanbul, 1938. © Aga Khan Trust
for Culture, Geneva.
6.5. Sedad Eldem. Pianta della Facoltà delle Scienze e Letterature, Istanbul University, 1942. © Aga Khan Trust
for Culture, Geneva.
6.6. Sedad Eldem. Facciata principale della Facoltà delle Scienze e Letterature, Istanbul University, 1942. © Aga
Khan Trust for Culture, Geneva.
06 6.7. Sedad Eldem. Planimetria, Palazzo di Giustizia, progetto, Istanbul, 1948. © Aga Khan Trust for Culture,
Geneva.
di occuparsi di motivi stilistici e composizione classica, Eldem era interessato alle planimetrie
e ai sistemi costruttivi dell’architettura residenziale ottomana e alla loro espressione razionale (Hünkar Kasrı) annesso alla moschea di Yenicami, del Diciassettesimo secolo, testimoniano la
sulle facciate esterne. Per lui, questa razionalità funzionale, strutturale e formale era l’elemento sua sensibilità intuitiva per una tipologia di base che sarebbe stato l’obiettivo primario del suo
identificativo della “cultura edilizia” tradizionale ottomana, che
​​ si manifestava attraverso scala, programma professionale e pedagogico per il resto della sua vita. Gli ampi cornicioni sporgenti,
programmi e budget diversi—dai padiglioni imperiali del Palazzo di Topkapi alle case in legno la ripetizione modulare delle finestre e la proiezione dei piani superiori sopra una base solida,
vernacolari delle strade tortuose e delle sezioni più povere dei quartieri storici di Istanbul. I catturati in questi primi disegni, avrebbero gradualmente e sistematicamente trovato strada
suoi primi schizzi di case di legno e i disegni splendidamente realizzati del padiglione imperiale nel lavoro di Eldem, diventando il suo marchio distintivo.

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Dopo più di mezzo secolo dalla sua concezione, l’idea di Sedad Eldem di un’architettura odierno di casa moderna. Grandi finestre e luce, pianta aperta, la precedenza al comfort rispetto

L’EREDITÀ DI UN ARCHITETTO DI ISTANBUL | Sibel Bozdogan


“moderna” ma distintamente “turca”, offre ancora il programma teoricamente più elaborato all’ostentazione, l’onestà dei materiali, il rapporto della casa con la natura attraverso terrazze,
per conciliare la tradizione con l’architettura moderna. La sua eredità principale è la teorizza- cortili e giardini. Non sono queste le qualità stesse che cerchiamo in una casa moderna?”10
zione e la codificazione della “casa turca”, come una particolare “tipologia” e un riconoscibile Allo stesso tempo, la casa tradizionale in legno non era affatto l’unica fonte di ispirazione per
“prodotto culturale” che attraversa circa 500 anni e si sviluppa sui vasti territori dell’Impero Eldem. Ammirava profondamente anche l’architettura monumentale in pietra dell’Asia centrale,
Ottomano, in Anatolia e nelle province balcaniche. Per Eldem, gli esempi più elaborati della dell’Anatolia preistorica e dei monumenti ottomani, non per le loro piattaforme decorative,
tipologia si trovano a Istanbul e, anche se esistono molte varianti regionali, certe caratteri- ma per quello che percepiva come “la bellezza della loro struttura, dei loro spazi e delle loro
stiche costanti ne fanno una tipologia distinta. Queste caratteristiche sono l’area abitabile al volumetrie”. Negli anni Quaranta, queste ultime influenze, combinate con la sua ammirazione
primo piano, sopra a un’area di servizio/deposito al piano terra, una chiara differenziazione tra per la mostra sulla nuova architettura tedesca portata in Turchia da Paul Bonatz nel 1943, si
le stanze (proiezioni dei piani superiori sostenute da supporti a muro) e spazi di circolazione, svilupparono nella sua opera come una tendenza più monumentale e apertamente classica,
finestre in fila che evidenziano la struttura in legno e, infine, un tetto di tegole coi cornicioni conforme alle politiche culturali nazionaliste dell’epoca. Fu solo dopo la drammatica trasforma-
sporgenti. Numerosi esempi di queste case tradizionali sono stati studiati e documentati dagli zione della politica e della cultura turca negli anni Cinquanta che Eldem abbandonò il termine
studenti di Eldem al Seminario Nazionale di Architettura, che istituì presso l’Accademia di Belle “nazionalista” per designare il suo lavoro e si appropriò invece del termine “regionalista”.
Arti di Istanbul nel 1934 e che diventò un importante istituto con influenze formative su un’intera
generazione di giovani architetti. Il Türk Evi Plan Tipleri (Tipologie di piante di case turche) di Costruire sulla Penisola Storica
Eldem pubblicato nel 1954 e il suo monumentale Türk Evi (Casa turca), inizialmente concepito Fin verso la metà del Ventesimo secolo, la penisola storica di Istanbul era caratterizzata da
in cinque volumi, il primo dei quali fu pubblicato nel 1984, si basano in gran parte sul lavoro del un tessuto urbano fitto di case e giardini punteggiato dalle scale contrastanti e dal carattere
Seminario Nazionale di Architettura. pubblico di moschee imperiali, bagni e mercati. Fotografie riprodotte in Reminiscenze di Istanbul
In Türk Evi, Eldem fornisce un’elaborata matrice tipologica di piante di case in base alla forma, alla di Eldem testimoniano questo stretto rapporto tra il tessuto più anonimo e i monumenti maggiori.
configurazione e alla posizione della sala (sofa in turco), lo spazio di accesso principale della casa In tali aree, come intorno a Haghia Sofia, le case erano letteralmente raggruppate contro i
tradizionale. I tre tipi comuni di case sono quelli con sale esterne, con sale interne e con le sale monumenti prima che i modernizzatori ottomani ottocenteschi ripulissero e aprissero la zona
centrali con possibilità di tipi derivati collegati.
​​ Per esempio, nello schema di Eldem, anche i grandi intorno alla moschea. Nella sua storia urbana di Istanbul, Dogan Kuban sostiene che fino al
palazzi imperiali di Istanbul come Dolmabahçe e Ciragan (che hanno facciate altamente eclettiche Diciannovesimo secolo, lo spazio pubblico urbano non esisteva tra i concetti di pianificazione
con elementi rispettivamente neo-classici e neo-islamici) sono in realtà versioni elaborate della ottomani e islamici, che il privato è sempre stato più importante del pubblico e che questo era
stessa tipologia di pianta di base, che viene ripetuta lungo un asse parallelo al Bosforo. In altre “uno spazio residuo”11. Se questo argomento sia storicamente accurato o meno, è comunque
parole, per Eldem, il tipo di pianta è più importante dello stile e rappresenta la continuità anche ben noto che la modernizzazione della città alla fine del Diciannovesimo secolo tentò di aprire
quando gli stili cambiano. Vi è anche una base approssimativamente cronologica nella classifica- spazi urbani in linea con i modelli europei e intervenne su piccola scala per regolarizzare i
zione di Eldem. Il tipo di sala esterno, più comune a Bursa, Edirne, Kütahya e in altre delle prime percorsi stradali12. Queste nuove “aspirazioni europee” dell’Impero portarono anche proposte
città ottomane, è la forma più antica (con alcuni esempi superstiti del Diciassettesimo secolo) per “grandi progetti”, come lo schema non realizzato del 1902 dell’architetto francese Bouvard
in cui il sofa è una terrazza aperta collegata al giardino o al cortile. Nel Diciottesimo secolo, con di riorganizzare Piazza Beyazit in maniera del tutto estranea a cultura e topografia.
l’aggiunta di stanze e la chiusura della sala esterna, soprattutto per adeguarsi alle condizioni Il progetto di Sedad Eldem del 1938 per un piccolo intervento urbano sulla stessa Piazza Beyazit
urbane di Istanbul, fu sviluppata la tipologia della sala interna e fu talvolta definita come pianta può essere letto come una dichiarazione critica dell’idea stessa del “grande progetto” e in favore
karnıyarık (letteralmente “pancia spaccata”). Nel Diciannovesimo secolo, proliferò la variante più del ripristino del carattere storico e della scala dello spazio urbano ottomano. In questa proposta,
elaborata della stessa idea, la tipologia di sala centrale—sale centrali a forma ovale divennero vengono ricostruite le mura della Moschea di Beyazit; la medrese sul lato opposto viene circon-
popolari quando il barocco cominciò a influenzare i gusti dell’élite ottomana—e specialmente data da piccoli negozi in un insieme di vicoli e cortili con una caffetteria piccola, ma collocata in
nelle yalissul Bosforo, che ebbero un’influenza formativa su Eldem. modo da essere ben visibile13. Quest’ultima è una tipologia ricorrente nella carriera di Eldem e
Negli anni Trenta in Turchia, quando il termine “stile internazionale” era un anatema per il clima si ritrova nei progetti per i caffè di Çamlıca (1941) e di Taçslık (1948). Anche se per Eldem, l’idea
ardentemente nazionalista, la maggior parte degli amici turchi e colleghi di lingua tedesca di di città è associata a concetti di ordine e disciplina (da qui il suo gioco di parole con polis come
Eldem sostennero che la buona architettura moderna, quella che rispondeva al suo contesto, “città” e “polizia”), quello che lui proponeva era un ordine specifico distillato attraverso la storia
era, per definizione, “nazionale” in un modo spontaneo7. Eldem, che fu il principale promotore e la cultura, non sovrapposto alla città in un grande gesto14. D’altra parte, questa sensibilità alla
del “Movimento Nazionale di Architettura”, in quegli anni, propose un corollario secondo il scala e alla storia della medrese è compromessa, nella proposta Piazza Beyazit, dal traffico
quale, la casa tradizionale turca nella sua semplicità, razionalità formale e logica strutturale, dei veicoli attraverso la piazza—un gesto di urbanistica moderna che può essere visto come un
era “già moderna”8. In altre parole, per Eldem l’apprezzamento della tradizione non era dato dal riflesso delle contraddittorie correnti sotterranee nel pensiero di Eldem.
contrapporre tradizionale e moderno, ma per mostrare il profondo “carattere moderno” degli Il suo primo grande progetto costruito sulla penisola storica è la Facoltà di Scienze e Letteratura
edifici tradizionali e, in definitiva, per sostenerne la loro validità e rilevanza nell’architettura dell’Università di Istanbul (1942-1943), disegnata in collaborazione con Emin Onat (1908-1961) e al
turca moderna. Infatti, ammise apertamente di aver “scoperto” la casa turca alla fine degli culmine della stretta relazione di Eldem con Paul Bonatz. Il piano è concepito come un sistema di
anni Venti in Europa, dopo aver visto la pubblicazione Wasmuth sulle prairie houses di Frank quadrilateri e cortili aperti che furono definiti come taçslık per evidenziare l’analogia con i cortili
Lloyd Wright e osservato da vicino l’idea di Le Corbusier di sollevare la casa dal livello del pavimentati in pietra delle case tradizionali. Il piano del sito mostra una sensibilità al contesto
piano terra su pilotis9. Eldem ha scritto: “La casa tradizionale turca è molto simile al concetto storico, in particolare la relazione tra la principale area d’ingresso lungo Ordu Caddesi e le

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L’EREDITÀ DI UN ARCHITETTO DI ISTANBUL | Sibel Bozdogan
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strutture storiche adiacenti—i bagni Beyazit (hamam) e l’Hasan Pasa Medrese con una strada
interna a gradini che li separa e che culmina nella fontana (sebil) del medrese. Le due facciate
monumentali del progetto sono disposte ad angolo retto lungo le due strade principali per dare
loro un prospetto più urbano e istituzionale. In contrasto, il progetto si apre sul retro con una serie
di cortili e spazi aperti verso Vezneciler Caddesi, oltre il quale un vecchio quartiere era designato
per la conservazione.
L’intero progetto è la prima dimostrazione su larga scala del programma nazionalista di Eldem,
una traduzione del suo paradigma di “casa turca” dalla dimensione residenziale a quella di un
edificio istituzionale monumentale. La facciata principale dell’edificio lungo Ordu Caddesi è
particolarmente esemplificativa: si tratta di una versione allungata della casa turca tradizionale
di Eldem, ingrandita in scala e sollevata da un colonnato monumentale al piano terra, con chiare
allusioni alla stazione ferroviaria di Stoccarda di Paul Bonatz (1912-1928). I materiali e la facciata
caratteristici dell’edificio—soprattutto gli strati alternati di mattoni e pietra lungo il frontale
di Reçsit Pacsa Caddesi e nei cortili—replicano le tecniche murarie tradizionali ottomane che
Eldem aveva imparato da studente.

6.8. Sedad Eldem. Vista panoramica del complesso nel contesto urbano e planimetria, Complesso della Previ-
denza Sociale, Zeyrek, Istanbul, 1962-64. © Aga Khan Trust for Culture, Geneva.
6.9. Sedad Eldem. Complesso della Previdenza Sociale, Zeyrek, Istanbul, 1962-64. © Aga Khan Trust for
Culture, Geneva.
6.10. Sedad Eldem. Facciata secondaria della Previdenza Sociale, Zeyrek, Istanbul, 1962-64. © Aga Khan Trust
for Culture, Geneva. 10

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Aga Khan nel 1986. Il sito è in prossimità dell’acquedotto romano e della chiesa bizantina di

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San Pantocratore ed è circondato da uno dei pochi quartieri tradizionali rimasti a Istanbul, con
le sue strade strette e le case di legno vernacolari. Il complesso di uffici e negozi sorge su un
lotto di terreno di forma triangolare, dove la salita di Zeyrek incontra il Boulevard Atatürk,
ricavato negli anni Quaranta tagliando attraverso il fitto tessuto urbano. Una “strada interna” a
due livelli corre parallela al viale e costituisce la spina dorsale del progetto. Blocchi di diverse
dimensioni e altezze sono connessi alla spina, adeguandosi alla topografia del luogo che pende
verso l’alto in direzione dei vecchi quartieri di Zeyrek. Più di un qualsiasi altro progetto di Eldem,
qui vediamo gli edifici che veramente “si arrampicano sul sito” in blocchi frammentati, abban-
donando l’espressione più monumentale e “classica” dei suoi altri edifici sulla penisola. La
spiegazione risiede in gran parte nella cronologia e nel cambiamento della cultura architettonica
in generale, dal Classicismo nazionalista degli anni Quaranta al Modernismo più “umanizzato”
11 e contestuale degli anni Sessanta.

Lungo le rive del Bosforo


A Istanbul, le case della ricca élite ottomana erano principalmente due varianti dello stesso
tipo. Il Konak, disegnato e ammirato anche da Le Corbusier nel suo Voyage d’Orient del 1911,
era una grande casa all’interno di un giardino, con il solo piano superiore visibile dalla strada.
Il Yalı, la fonte primaria di ispirazione per Sedad Eldem, era una variante unicamente di Istanbul
di questa tipologia, che si trovava sull’acqua lungo il Bosforo e che offriva una visione completa
della casa alle barche di passaggio. Tra le molte altre testimonianze letterarie e figurate di questi
yalis in bozzetti, incisioni e successivamente cartoline, il Voyage pittoresque de Constantinople
et des rives du Bosphore (1819) di Ignace Melling è una documentazione di inestimabile valore

12 13

Il progetto successivo, il Palazzo di Giustizia (1948-1971), che per più di venti anni impegnò
Eldem a singhiozzo, si trova nel cuore della penisola storica sulla Piazza Sultanahmet, vicino
ai principali monumenti bizantini e ottomani. Fu disegnato nel 1948 in collaborazione con Emin
Onat come progetto per un concorso, con Paul Bonatz tra i membri della giuria. Ciò che è
urbanisticamente rilevante è la rispondenza del piano in termini di scala e sagoma al suo
schiacciante contesto storico. La preoccupazione per le quote di Piazza Sultanahmet è evidente
nei disegni, in particolare nell’attento aggiustamento del profilo del tetto del piano dietro al
palazzo storico di Ibrahim Pasa sulla piazza. La leggera sovrapposizione della sagoma della
Moschea Blu su questo rilievo suggerisce un tentativo di non alzare il nuovo progetto al di sopra
del livello del sistema di cupole della moschea. Da questo schema iniziale, solo la lunga spina
dorsale del progetto dietro al Palazzo di Ibrahim Pasa è stata costruita, per ospitare uffici e aule
di tribunale. I due blocchi più grandi verso Divanyolu non furono mai costruiti, i lavori vennero
interrotti a causa dei ritrovamenti archeologici incontrati durante gli scavi del sito. Molto più
tardi, nel 1978, Eldem propose di sollevare i blocchi al di sopra del livello degli scavi delle rovine
e di coprire la rotonda bizantina e la chiesa sotto strutture leggere come rispettivamente una
cupola geodetica e una struttura a forma di tenda. Queste proposte successive (mai realizzate)
14
sono interessanti, anche se non furono un successo per Eldem, come prova dei gravi problemi
di costruzione in aree storiche con strati di archeologia urbana da prendere in considerazione. 6.11. Case tradizionali Yalı . Da A.J. Melling, Voyage Pittoresque de Constantinople et des Rives du Bosphore,
A tale riguardo, Istanbul, come Roma, è una “città collage” per eccellenza, e la molteplicità Paris, 1819.
di strati (da romano e bizantino a ottomano e repubblicano) complica la questione di ciò che 6.12. Sedad Eldem. Taçslık Caffè, Istanbul, 1947. © Aga Khan Trust for Culture, Geneva.
costituisce esattamente l’identità urbana della città. 6.13. Sedad Eldem. Suna Kıraç Yalı Casa, Vaniköy, 1965. © Aga Khan Trust for Culture, Geneva (foto Engin Yenal).
6.14. Sedad Eldem. Rahmi Koç Villa, Tarabya, 1975-80. © Aga Khan Trust for Culture, Geneva.
Infine, il più acclamato schema “contestualista” di Eldem sulla penisola storica è il complesso
6.15. Sedad Eldem. Schizzo un gruppo di ville private con vista sulla baia di Tarabya, Bosforo, c. 1970. © Aga
del Ministero della Previdenza sociale a Zeyrek (1962-1964), vincitore di un prestigioso Premio
Khan Trust for Culture, Geneva.

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sua opera caratteristica più celebrata, il Caffè Taçslık (1948), è una replica in cemento armato

L’EREDITÀ DI UN ARCHITETTO DI ISTANBUL | Sibel Bozdogan


di questo yalı, non sulla riva del fiume, come l’originale, ma su una collina che si affaccia sul
Bosforo dal lato opposto.
I disegni degli anni Trenta dello stesso Eldem dei suoi primi yalis riflettono la sua fiducia nelle
tipologie tradizionali di pianta, in particolare per la pianta karnıyarık con la sala interna (sofa)
chiaramente enunciata all’esterno. Nell’Ayaçslı Yalısı a Beylerbeyi del 1938, il sofa si aggetta
sul mare sopra il piano terra, mentre nel Tahsin Günel Yalısı dello stesso anno a Yeniköy, il sofa
si differenzia per una facciata ricurva e incassata. Tuttavia, è verso la fine degli anni Cinquanta
che Eldem conquistò la sua ottima reputazione di distinto architetto degli yalis sul Bosforo. Un
esempio paradigmatico è il Suna Kıraç Yalısı a Vaniköy (1965), che segue la “tipologia di sofa
interno” del lavoro degli anni Trenta, ma eleva quest’idea a un’espressione originaria quasi
miesiana con la “casa-oggetto” che si erge su una piattaforma pavimentata. Questo modo di
trattare la casa come un oggetto a sé stante su una piattaforma o terrazza si ripete nella sua
Villa Uçsaklıgil a Emirgan (1956-1965), nel Bayramoglu Yalısı a Kandilli (1969-1974) e, più tardi,
nella villa su una collina di Tarabya con vista sul Bosforo progettata per Rahmi Koç, il maggiore
industriale turco dell’epoca. Quest’ultima fu concepita come parte di una serie di ville, ciascuna
progettata come entità indipendente sulla sua terrazza e separata dalle altre da una serie di
terrazze e muri di giardini. Questa posizione attesta i presupposti “classici”, piuttosto che
“contestuali” di Eldem.
D’altro canto, dove i vincoli del sito non consentivano un ampio impiego delle tipologie di piante
tradizionali, Eldem era in grado di adeguarsi alla topografia e alla peculiarità del sito. Un inte-
ressante esempio di questo è Semsettin Sirer Yalısı a Yenikoy (1966-1967) costruita su un lotto
stretto con un edificio adiacente e il piano distribuito su quattro livelli diversi. Sebbene non vi
sia alcuna tipologia riconoscibile di pianta tradizionale o sofa in questo yalı, la casa scende dal
livello dell’entrata sulla strada sul retro al livello del mare sulla facciata. Si vede inoltre l’im-
pegno di rispettare la linea dei tetti e dei balconi superiori del palazzo adiacente.
Il ruolo del patrocinio fu molto importante per la carriera di Eldem lungo il Bosforo. Fu l’ar-
chitetto per eccellenza della classe più ricca e più elitaria, quella degli uomini d’affari, degli
industriali e dei professionisti di Istanbul. Come gli yalis storici sul Bosforo erano costruiti per la
vecchia élite ottomana, pascià di spicco, principesse e dignitari, le ville e gli yalis di Eldem erano
particolarmente richiesti da una nuova clientela d’élite con gusti sofisticati e una forte consa-
pevolezza dell’eredità storica. Collettivamente, queste ville e yalis, insieme ad altri costruiti
nello stesso stile da colleghi e studenti di Eldem, formano un riconoscibile “stile Bosforo”, che
cerca di ricostruire dove possibile ricordi parziali del pittoresco Bosforo di Melling. Tuttavia,
anche se l’architettura dei singoli yalis lungo la riva registra in qualche modo un successo in
questa impresa, la drammatica trasformazione delle colline del Bosforo con i suoi alti palazzoni
e il rapido scemare del verde ne segna il fallimento in termini urbanistici. A paragone con le
6.16. Sedad Eldem. Semsettin Sirer Yalı, Yeniköy, 1966-67. © Aga Khan Trust for Culture, Geneva.
vecchie fotografie, le vedute contemporanee del Bosforo, anche quelle con le celebri yalis di
Eldem in primo piano, testimoniano delle limitazioni del programma tipologico di Eldem quando
non venga integrato o esteso all’interesse per la morfologia e il contesto urbano. Dopo tutti gli
del Bosforo nel Diciottesimo secolo e per Eldem una fonte di ispirazione nel corso di tutta la sforzi di Eldem di codificare un’architettura che venisse plasmata dal contesto storico e dalla
sua carriera. Gli studiosi collegano la proliferazione nel Diciottesimo secolo di questi yalis, tradizione, quel contesto è scomparso rapidamente e irreversibilmente in molte parti della città
padiglioni e chioschi lungo l’acqua allo sviluppo di nuove sensibilità estetiche nell’Impero e e le sue ville rimangono casi isolati.
al significato rituale del Bosforo come “un teatro di vita” simile al Canal Grande a Venezia15.
Le incisioni di Melling testimoniano la leggerezza e l’ariosità di queste strutture con ampie La questione del contestualismo e del regionalismo
finestre protese sull’acqua16. Gli esempi più elaborati di questi yalis, come il Sadullah Pasa e Quale principale architetto turco moderno il cui lavoro viene direttamente influenzato e risponde
il Koçeoglu a Çengelköy del Diciottesimo secolo o l’Hasip Paşa Yalısı a Beylerbeyi (Dicianno- al patrimonio culturale e storico di Istanbul, Eldem è senza dubbio un architetto “contestua-
vesimo secolo), sono stati meticolosamente studiati e documentati da Eldem. Il più antico fra lista” se il termine è inteso come l’opposto dello “stile del Modernismo internazionale” o, più
questi, Amcazade Hüseyin Pasa Yalisi (1689), è stato un modello particolarmente stimolante. La recentemente, del “postmodernismo globalizzato”. Per lo stesso motivo, è spesso caratterizzato

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come un architetto regionalista, il cui lavoro rappresenta qualcosa di unicamente “turco”, così paese come la Turchia, con almeno cinque aree geografiche diverse con differenti peculiarità

L’EREDITÀ DI UN ARCHITETTO DI ISTANBUL | Sibel Bozdogan


come Hassan Fathy è un “architetto egiziano” o Luis Barragán è un “architetto messicano”. Lo climatiche, pedologiche, di materiali locali e di tradizioni costruttive autoctone. Durante le
stesso Eldem ha spesso associato il suo lavoro con il termine regionalismo, soprattutto dopo particolari circostanze storiche della costruzione kemalista della nazione, tuttavia, l’enfasi era
che la sua prima ricerca di una architettura nazionale è diventata ideologicamente problematica sull’uniformità piuttosto che sulla diversità. Quindi, affiliazioni locali e sub-nazionali implicite
all’indomani della seconda guerra mondiale. Tuttavia, suggerirò come l’approccio tipologico e in una sensibilità regionalista erano ideologicamente problematiche, come le connotazioni
la metodologia razionalista di Eldem lo differenzino dalle premesse più empiriche di una archi- sovranazionali dello stile internazionale. Sedad Eldem l’ha espresso in questo modo:
tettura condizionata esclusivamente dal contesto locale e da considerazioni regionali. L’opera Architettura locale non è necessariamente architettura nazionale. Il popolo di una nazione
di Eldem, formata dal patrimonio storico della città, è profondamente “a casa” a Istanbul, ma può vivere in diverse regioni e di conseguenza costruire case diverse, ma ciò non le rende
il suo programma per una codificazione sistematica di una architettura turca moderna, basata tutte architettura nazionale19.
su precedenti turchi, fu presentato come una rivendicazione molto più ampia di rappresentare La sua casa turca, l’unica che qualificava come “architettura nazionale”, era una tipologia molto
la nazione nel suo complesso. sviluppata e razionalizzata, diffusa su una vasta geografia di climi umidi e terre fertili—da qui
Per una conoscenza non ortodossa critica e, soprattutto, empirica, di ciò che significa architet- la costruzione in legno e i tetti spioventi. A differenza di altri vernacoli locali e di altre tradizioni
tura moderna, la forma non dovrebbe essere una scelta stilistica a priori, ma una conseguenza edilizie, ivi comprese la pietra e il mattone di fango/mattone della Turchia centrale, orientale e
di considerazioni razionali della programmazione, del sito, del suolo, del clima, del bilancio e dei sud-orientale (e anche del bacino del Mediterraneo della vicina Grecia), si tratta di una tipologia
materiali. È molto importante notare che “razionale” qui indica semplicemente “ragionevole”, idealizzata che trascende deliberatamente dalle varianti regionali o locali ed evoca il carattere
cioè la forma è una risposta “logica” a circostanze determinate, piuttosto che a precedenti “turco” irriducibile in queste varianti.
postulati o a norme prestabilite. Questa era la definizione di razionalismo negli insegnamenti In conclusione, il lavoro di Eldem è in definitiva meno “contestualista” e “regionalista” che non
degli architetti modernisti di lingua tedesca nella prima Turchia repubblicana, Ernst Egli e Bruno “classico” nel vero senso etimologico del termine, che significa “opera autorevole per lo studio”,
Taut, in particolare, che consideravano “contesto”, come la parola chiave per nazionalizzare “senza tempo” e aperta a riappropriazioni formali e stilistiche al di là della vita e della carriera
l’architettura moderna in Turchia. Al contrario, il programma di Eldem è meglio caratterizzato dell’architetto. Se l’idea di Eldem di un’architettura moderna e consapevole della tradizione
come razionalista (o l’opposto di empirico in termini filosofici), nel senso che si separa dall’e- per Istanbul era basata su una re-interpretazione tipologica e formale di “originali” storici,
sistenza di certi costrutti culturalmente e storicamente stabiliti a priori la cui validità persiste oggi la sua opera rappresenta i nuovi “originali”, molto richiesti dai nuovi ricchi di Istanbul.
nel tempo. Come nel caso dei suoi yalis sul Bosforo o il suo uso ricorrente di colonne alte e Le progettazioni edilizie per ville esclusive sul Bosforo e per comunità ad accesso controllato
slanciate, i precedenti storici che hanno ispirato l’opera di Eldem sono astratti in una serie di nei sobborghi di Istanbul sono proliferate negli ultimi anni, la maggior parte delle quali sono
tipologie di base che trascendono esempi, programmi e periodi storici specifici. La planimetria descritte come “casa turca”, lo stile inizialmente reso popolare da Eldem. I suoi caratteristici
a sofa centrale della casa tradizionale in legno e la griglia modulare che struttura il prospetto tetti sporgenti, con i bovindi aggettanti al piano superiore e le file di finestre modulari sono ora
sono, per esempio, le fondamentali categorie formali trans-storiche e a-contestuali nel lavoro visibili in innumerevoli esempi minori, riprodotti all’infinito negli annunci di ville di lusso. Le ville
di Eldem, applicabili a una moderna villa sul Bosforo, a un caffè di Istanbul o all’edificio di di Kemer Country che rappresentano solo le più lussuose, famose e costose fra queste aree di
un’ambasciata ad Ankara17. L’opera di Eldem, indipendentemente dal sito, dal programma o dalla sviluppo urbano, la cui pianificazione porta il nome di Duany Plater-Zyberk & Company, sono
scala, mostra la sua caratteristica uniformità, che la rende uno “stile individuale” nonostante sintomatiche dell’urbanistica postmoderna del tardo Ventesimo secolo di una Istanbul che si
il suo desiderio di “fondersi naturalmente con il contesto” come fanno gli edifici tradizionali18. unisce alle altre grandi città del mercato globale. Mentre l’opera di Eldem era il prodotto di una
Pochi metterebbero in dubbio una forte preoccupazione di Eldem per il contesto storico e cultu- vita di ricerca con rigore analitico dei precedenti storici, questi esempi più recenti si appropriano
rale. Eppure contestualismo implica anche il contesto fisico: topografia e forma urbana in solo dell’immagine della “casa turca”, come un kit di identità istantanea20. Forse la più grande
particolare. Come ho già spiegato, con l’eccezione degli uffici della Previdenza Sociale, gli edifici ironia della carriera di Eldem è che, dopo la sua ricerca di un’architettura culturalmente rile-
di Eldem sono in sostanza classici oggetti-tipo, indipendenti e completi nella loro razionalità. I vante, quasi anonima, in armonia con il carattere tradizionale di Istanbul, in ultima analisi, i suoi
suoi disegni dei prospetti delle ville di Tarabya menzionati prima, mostrano la cospicua ogget- edifici sono diventati preziosi oggetti auto-referenti, ripetibili e privi di contesto. La tradizionale
tualizzazione di ogni villa, ben diversa dalle vedute storiche della stessa riva e delle colline di “casa turca” è ora solo una scelta stilistica tra le tante (Kemer Country dispone anche di ville
Tarabya, dove l’impatto complessivo è quello di un tessuto continuo o di agglomerati di case all’italiana, case inglesi e anche capanne di tronchi americane) e nell’Istanbul di oggi, l’idea
nel verde. Eldem è in ultima analisi, il progettista di case singole, yalis e ville, piuttosto che di un’identità urbana unificata e consapevole della tradizione è sempre più frammentata dalla
di complessi residenziali o tessuti urbani. Non si può ignorare che il suo interesse e la docu- pluralità delle classi, posizioni sociali, gusti, culture e visioni del mondo.
mentazione delle case tradizionali sono prevalentemente limitati allo studio analitico dei tipi
di pianta e degli elementi formali di case individuali, piuttosto che a studi di morfologia urbana
nelle città tradizionali. In gran parte mancante dalle ville di Eldem è la sensazione delle strade
tradizionali di Istanbul, Bursa, Safranbolu, Antalia e altre città turche, dove le tipologie ideali
sono deformate, manipolate e adattate alla strada, alla pendenza, alle vedute, ai confini di
proprietà e agli elementi preesistenti, come alberi e fontane.
Anche “regionalismo” è un termine difficile da applicare al programma di Eldem che venne
concepito ed elaborato al culmine del consolidamento della nazione turca in uno stato unitario.
Regionalismo, prima di ogni altra cosa, significa diversità di espressione, soprattutto in un

238 239
1
Istanbul è una delle città più rappresentate, mappate, incise e fotografate del mondo. Una 15
Shirine Hamadeh, The City’s Pleasures: Architectural Sensibility in Eighteenth Century

L’EREDITÀ DI UN ARCHITETTO DI ISTANBUL | Sibel Bozdogan


buona raccolta di queste immagini è riprodotta in Sedad Hakkı Eldem, Istanbul Anıları (Remini- Istanbul, tesi di dottorato, MIT, 1998; Tülay Artan, Architecture as a Theater of Life: Profile of
scenze di Istanbul) e Bogaziçi Anıları (Reminiscenze del Bosforo), 2 volumi, Istanbul, Alarko Kültür the Eighteenth Century Bosphorus, Tesi di Dottorato, MIT, 1988.
Yayınları, 1979. Una collezione di cartoline di Istanbul è stata pubblicata da A. Eken (a cura di), 16
Antoine Ignace Melling, Voyage pittoresque de Constantinople et des rives du Bosphore, Parigi, 1819.
Kartpostallarda Istanbul, Istanbul, Municipality of Istanbul Publications, 1992. Per una più recente 17
Come nel caso della sua ambasciata indiana (1965-1968) e di quella olandese (1973-1977) ad Ankara.
panoramica della storia urbana si veda Dogan Kuban, Istanbul: una storia urbana, Istanbul, Turkish 18
Sedad Eldem, “Gelenekselle Yaşamak ve Yeniden Insa etmek” in 50 Yıllık Meslek Jübilesi, p.44.
Economic and Social History Foundation, 1996. 19
Eldem, “Türk Evi” in Sedad Hakkı Eldem, 50 Yıllık Meslek Jübilesi, p.16.
2
Un ruolo importante è svolto dalla rivista mensile, Istanbul Dergisi, pubblicata dalla Turkish 20
Su questo punto, si veda Sibel Bozdogan, “Vernacular Architecture and Identity Politics: The
Economic and Social History Foundation, con numerosi articoli, saggi fotografici e documenti Case of the Turkish House” in Traditional Dwellings and Settlements Review, n º 2, Primavera
sul ricco mosaico culturale, sulla storia cosmopolita, sulla topografia sociale e sul patrimonio 1996, pp. 7-18.
architettonico di Istanbul.
3
Sibel Bozdogan et. al, Sedad Eldem: Architect in Turkey, Mimar Libri, Singapore, Concept Media,
1987, ristampato a Londra, Butterworth, 1990.
4
Si veda Sibel Bozdogan, “Another Sedad Eldem Trope: A Lyrical Anatolian/Mediterranean
Modernism Against the Machine Age” (in Turkish) in U. Tanyeli e B. Tanju (a cura di), Sedad Hakki
Eldem Retrospektif, 2 vol., Istanbul, Ottoman Bank Research Center Publications, 2009. Questi
volumi accompagnano la grande mostra tenutasi all’occasione del suo 100 anniversario. La
pubblicazione dei suoi primi schizzi (1928-30) ha anche permesso di ripensare la storiografia
canonica dell’architetto.
5
Sedad Hakkı Eldem, Köskler ve Kasırlar (Chioschi e padiglioni), Istanbul, Academy of Fine Arts
Publications, 1969; Eldem, Köçeoglu Yalısı (Le yali di Köçeoglu, à Bebek sur le Bosphore), Istanbul,
Academy of Fine Arts Publications, 1977; Sa’dabad, Istanbul, Ministry of Culture Publications,
1977 e Istanbul Anıları (Reminiscenze di Istanbul) e Bogaziçi Anıları (Reminiscenze del Bosforo), 2
volumi, Istanbul, Alarko Kültür Yayinlari, 1979.
6
Per il più recente e completo resoconto sugli architetti di lingua tedesca che lavorarono in
Turchia nel primo periodo repubblicano, si veda Bernd Nicolai, Moderne und Exil: Deutschspra-
chige Architekten in der Turkei 1925-1955, Berlino, Verlag fur Bauwesen, 1998.
7
In particolare come formulato nelle famose parole di Bruno Taut: “Tutta l’architettura nazio-
nalista è scadente, ma tutta la buona architettura è nazionale.” Vedi Bruno Taut, Mimari bilgisi
(Architekturlehre), Istanbul, Academy of Fine Arts Publications, 1938, p. 333.
8
Si veda Sedad Hakkı Eldem, “Türk Evi” (Turkish House) in Sedad Hakkı Eldem: 50 Yıllık Meslek
Jübilesi, Istanbul, Academy of Fine Arts Publications, 1983, p. 19.
9
Come sottolineano molti studiosi, è ironico che sia stata la casa turca di legno ad avere influenze
formative sulla ricerca di Le Corbusier di un “vernacolare moderno”, che si concluse con la
sua Villa Savoie del 1929. Si veda Francesco Passanti, “The Vernacular, Modernism and Le
Corbusier”, in Journal of Society of Architectural Historians 56, n º 4, Dicembre 1997, pp. 438-451,
e Adolf Max Vogt, Le Corbusier: The Noble Savage, Cambridge, The MIT Press, 1998.
10
Si veda Sedad Hakkı Eldem, “Türk Evi” (Turkish House) in Sedad Hakkı Eldem: 50 Yıllık Meslek
Jübilesi, Istanbul, Academy of Fine Arts Publications, 1983, p. 19.
11
Dögan Kuban: An Urban History, Istanbul, Economic and Social History Foundation, Istanbul,
1996, pp. 368-369; Zeynep Celik, The Remaking of Istanbul: Portrait of an Ottoman City in the
Nineteenth Century, Seattle, University of Washington Press, 1986.
12
Ibidem.
13
[Nota del Redattore] Durante il periodo ottomano, la medrese era una scuola superiore o
perfino università, che si trovava nelle immediate vicinanze delle moschee. Erano complessi
non solo religiosi ma anche centri genuini di vita sociale, che raggruppavano bagni, biblioteche,
cucine collettive, ecc.
14
Sedad Hakkı Eldem, 50 Yıllık Meslek Jübilesi, p. 21.

240 241
La natura e il popolo
Il vernacolare e la ricerca di una “vera”
architettura greca
Ioanna Theocharopoulou 07
Sibyl Moholy-Nagy nel 1955 ha scritto: “La storia dell’uomo come cercatore di riparo è la storia
del suo rapporto con il suo ambiente”1. Quasi dieci anni prima dell’autorevole Architecture without
Architects (1964) di Bernard Rudofsky, in un breve testo per la rivista Perspecta, Moholy-Nagy
illustrava i modi in cui l’architettura “anonima” fosse “un elemento portante di vita-continuità”
che “addomestica” l’ambiente con “umiltà e astuzia”. Rudofsky notoriamente definì il vernacolo
come “architettura senza architetti”, “non di razza” e, con un certo senso di disagio, utilizzò i
termini “vernacolare, anonimo, spontaneo, indigeno e rurale” per spiegare ciò che è ancora
“così poco conosciuto che non gli abbiamo nemmeno dato un nome”2. Egli discusse l’arte del
costruire come un fenomeno quasi universale e pensò che qualcosa di importante era stato
perso con l’introduzione della modernizzazione.
Due professionisti e pensatori influenti, Dimitris Pikionis (1887-1968) e Aris Konstantinidis
(1913-1993), discussi in questo saggio, parlarono anche di sentimenti di una perdita. Allo stesso
tempo, erano impegnati nel creare una nuova architettura moderna ispirandosi ai loro studi
del vernacolare. Cercavano di creare un moderno analogo del vernacolare che sarebbe stato
“vero”, sia nel senso di appartenere al presente e sia profondamente radicato nello specifico
clima, paesaggio e nello spazio geografico della Grecia. Come vedremo, il vernacolare signifi-
cava cose diverse per Pikionis e Konstantinidis, entrambi i quali lasciarono numerosi scritti in
cui formulavano le loro idee e iniziative di ricerca. Un’altra figura importante nell’esplorazione
del vernacolare fu Constantinos Apostolos Doxiadis (1913-1975). Questo saggio colloca il suo
contributo in relazione all’opera di Pikionis e Konstantinidis, che lui conosceva bene e con i
quali collaborò in diverse fasi della carriera.
Il termine vernacolare è usato qui per discutere prevalentemente di edifici a uso abitativo costruiti
senza alcun coinvolgimento di architetti. È significativo che in greco non esista un equivalente
esatto del termine “vernacolare”3. L’equivalente più vicino al termine, l’architettura popolare
(laikì architektonikì), ha una radice etimologica diversa dalla parola latina verna. Legato al laòs
che significa ‘popolo’, il termine greco rende “architettura vernacolare”, come l’architettura del
popolo, cioè, costruita da persone con poca o nessuna istruzione, soprattutto nelle campagne,
ma anche in città, per buona parte del Ventesimo secolo 4.
A un certo livello, il richiamo sentito dagli architetti greci nei confronti dell’idea di una archi-
tettura locale/popolare/vernacolare intimamente legata a un particolare paesaggio locale, è
simile a quella dei loro colleghi del Nord Europa. Come i tedeschi discussero il radicamento
del Volk e i finlandesi proclamarono l’importanza delle fiabe della Carelia, così i Greci in un
particolare momento storico—durante la prima parte del Ventesimo secolo—cominciarono a
riconoscere “vero” ellenismo nell’arte popolare e nell’architettura e a cercare legami profondi
tra “umili edifici” e il paesaggio greco. Come le loro controparti in Nord Europa, la connessione
percepita con la natura era ciò che permetteva loro di parlare di “senza tempo” e “immutabilità”
rispetto a questo vernacolo. I Greci “trovarono” il loro passato perso—o almeno sepolto—nella
natura ellenica e proiettarono parte delle loro storia e anche delle loro idee creative sulla loro
interpretazione del paesaggio ellenico. Ma le similitudini con il Nord Europa finiscono qui. Invece
di lodare le grandi foreste maestose, i greci parlavano di una terra assolata, sbiancata, aspra
e brulla in mezzo a un calmo mare azzurro.

7.1. Dimitris Pikionis. Ingresso a San Dimitris Loumbardiaris, Parco dell’Acropoli, Atene, 1954-58. ©
Neohellenic Architecture Archives, Benaki Museum, Atene.

243
In realtà, l’interesse degli architetti greci e di altri intellettuali per lo studio del rifugio indi- Perché rifiuta la nostra consueta idea fissa sull’oggetto tecnico e/o artistico come cosa a sé, per

LA NATURA E IL POPOLO | Ioanna Theocharopoulou


geno—non solo delle strutture formalmente interessanti ma anche di quelle esplicitamente poco non parlare del nostro atteggiamento distruttivo, prometeico nei confronti della natura, che una
interessanti, sempreché fossero costruite da “il popolo”—iniziò verso la metà del Diciannovesimo volta fu benefico, ma che ora sta assumendo le dimensioni inquietanti di una tragica eredità7.
secolo. A quel tempo c’era una preoccupazione comune per la salvaguardia di reperti culturali Come molti altri della sua generazione, Pikionis iniziò i suoi studi ad Atene ma proseguì con
prodotti ed ereditati in quasi quattro secoli di dominio ottomano (1453-1821) che in precedenza alcuni anni di ulteriore istruzione in Nord Europa prima di tornare a lavorare in Grecia. Completò
venivano trasmessi oralmente. La ricerca condotta comprendeva la raccolta e la trascrizione di i suoi studi di ingegneria al Politecnico nazionale di Atene in Grecia (fino al 1918 non c’era una
fiabe, canzoni, poesie, racconti, nonché la raccolta, il fotografare e disegnare materiale preso scuola separata di Architettura) prima di recarsi a Monaco per studiare pittura (1908-1909), e
da artigianato locale, abbigliamento, e dai primi anni Venti, di abitazioni. Coloro che studiavano a Parigi per studiare disegno e scultura (1909-12). I primi studi approfonditi di Pikionis su una
questi manufatti erano chiamati laografi [da laòs = popolo e gràfo = scrivere, trascrivere] perché casa popolare/vernacolare, la Casa Rodakis sull’isola di Egina, cominciarono poco dopo il suo
anche se sostanzialmente identica a etnografia, dato che “ethnos” significa “nazione” in greco, rientro in Grecia. Si recò a Egina spesso, solo o, in seguito, con i suoi studenti (iniziò a insegnare
la laografia, diversamente dall’etnografia, forniva un nuovo collegamento tra il laòs illetterato alla Scuola di Architettura nel 1921) per documentare questa casa con disegni e fotografie.
e l’idea di nuovo stato ellenico. Inoltre, come l’antropologo Michael Herzfeld ha sottolineato, Gli studi di Pikionis su casa Rodakis erano complessi. A un certo livello, vedeva questa casa
“ethnos non ha bisogno di un proprio ramo di studio ... [essendo] una delle verità eterne, un’entità con occhi europei, consapevole ovviamente dei principali movimenti artistici del Nord, come
morale assoluta contro cui il laòs può essere paragonato e misurato”5. il Cubismo e il Surrealismo. Per lui questa casa era un “primitivo” altro—un objet trouvé, affa-
Gli studiosi hanno parlato a lungo del progetto ideologico dei laografi greci come di un modo per scinante come alcune delle maschere africane “scoperte” da Picasso e Giacometti nei mercati
sostenere la pretesa continuità culturale “ininterrotta” tra la Grecia antica e moderna6. Chiara- delle pulci di Parigi—e Pikionis spesso ha usato i termini primitivo e popolare indifferentemente
mente l’ideologia aveva un ruolo importante, ma non era tutto. Il voler trascrivere e riportare indicando quanto vicino li sentiva nel significato. Tra le fotografie in bianco e nero incluse nel libro
aspetti della Grecia moderna era anche una ricerca opportuna, date le scarse informazioni pubblicato dai suoi amici, il pittore tedesco Klaus Vrieslander e lo scrittore e artista del teatro
durante il periodo ottomano sulla vita quotidiana dei greci sotto l’occupazione. Fino agli anni delle ombre Julio Kaimi, ci sono dettagli di figure misteriose sulla parete della proprietà: un
Quaranta, e nonostante gli ampi studi sulla Grecia classica, soprattutto da parte di non-greci, maiale, un orologio, un serpente e una colomba. Secondo Vrieslander e Kaimi potevano simbo-
c’erano pochi studi accademici più recenti su geografia, geologia, struttura della popolazione, leggiare “La Fortuna, il Tempo, il Male e la Pace”8. Altre fotografie mostrano busti in gesso “che
religioni, clima, ecc. Il desiderio da parte di intellettuali greci di studiare le vite della gente guardano lontano con sguardo mistico” appoggiate agli angoli del tetto—che ci ricordano, almeno
comune e l’architettura vernacolare locale durante i lunghi secoli di occupazione ottomana si nello spirito, altra architettura eccentrica naïve ammirata da André Breton e Pablo Picasso9.
legava anche al ripristino di un senso della storia, così come l’attribuzione di una certa dignità, A un altro livello, questa casa ha segnato l’inizio di una serie di studi sull’architettura popolare/
eleganza e perfino saggezza a questi “secoli bui” del passato della Grecia. vernacolare che Pikionis avrebbe continuato per tutta la vita, dal carattere etnografico specifi-
I due architetti discussi in questo saggio hanno scritto sull’architettura popolare/vernacolare, camente locale. Lui era chiaramente interessato non solo all’aspetto della casa e ai suoi molti
spesso in parallelo con l’”arte popolare”. Che cosa hanno dato a questi architetti questi studi e dettagli idiosincratici ed elementi decorativi, ma al modo in cui la vita quotidiana era vissuta al
cosa potremmo imparare oggi da un attento esame dell’architettura vernacolare? Nel seguito
esamino i modi in cui Pikionis e Konstantinidis hanno affrontato la questione della ricerca
“anonima”—laografa—e discuto come sia diventata una ricca fonte di ispirazione sia in termini
di lavoro teorico sia in termini di progetti edilizi. Studiando il rapporto tra gli edifici costruiti
da “uomini della terra” e l’uso del suolo e le condizioni climatiche, questi architetti sono stati
in grado di imparare dall’esempio, cioè di immaginare—soprattutto nei testi, ma anche nei
progetti, realizzati o meno—una nuova architettura contemporanea, in sintonia con i materiali
da costruzione, il clima e la vita culturale locali.

Dimitris Pikionis e il linguaggio dell’architettura popolare


L’interesse di Dimitris Pikionis per il rapporto della forma costruita con la natura e il paesaggio
è ben noto. In particolare, il suo progetto per la topografia della passeggiata verso l’Acropoli ad
Atene e per i giardini della vicina collina di Philopappou (1951-1957) sono ampiamente conside-
rati capolavori della moderna architettura e del paesaggio. In un catalogo che accompagna una
mostra delle opere di Pikionis tenuta presso l’ Architectural Association School of Architecture
nel 1989, Kenneth Frampton scrisse dell’”insistenza quasi ecologica” di Pikionis.
Oggi l’importanza di Pikionis si ritrova in quella che si potrebbe definire la sua sensibilità
onto-topografica, cioè nella sua percezione dell’interazione dell’essere con la forma glittica
del sito.... È questa insistenza quasi ecologica sull’interdipendenza tra cultura e natura che
conferisce al lavoro di Pikionis un vantaggio critico che è rilevante oggi come lo era 30 anni fa.
7.2. Dimitris Pikionis. Casa Rodakis, Egina. © Neohellenic Architecture Archives, Benaki Museum, Atene.

244 245
suo interno. In realtà la ricerca laografa fu trattata da Pikionis come un deposito di saggezza

LA NATURA E IL POPOLO | Ioanna Theocharopoulou


su come mettere mano al costruire. Vi si avvicinò con serietà e tanto rispetto10.
La Casa Rodakis aveva una pianta a L con un cortile piuttosto grande circondato da un alto muro
di pietra. La casa era composta di una serie di quattro camere, di cui solo tre, apparentemente
aree abitabili multi-uso, erano collegate. Un’altra serie di ambienti a forma di L direttamente
adiacenti, di dimensioni analoghe alle aree abitabili principali, ospitava gli animali. I pasti veni-
vano cucinati in un edificio esterno separato che conteneva un forno di pietra circolare il cui
profilo si allungava verso l’esterno della pianta altrimenti ortogonale. Il cortile conteneva anche
un’area per la trebbiatura (alòni).
Pikionis leggeva questa umile dimora di Egina come un’estensione del paesaggio e natura
dell’isola, riconoscendo caratteristiche e qualità similari in entrambe: un senso di assoluta
semplicità, la robustezza di materiali come la pietra, gli estremi di luci e ombre, i forti contrasti
di colore. Ha scritto della grande ricchezza trovata nella scarsità di risorse, una caratteristica
del vernacolare in tutto il mondo. Ciò era particolarmente valido nel contesto greco e nella storia
di secoli di dominio straniero, quando la popolazione sperimentò estreme limitazioni materiali.
Per Pikionis, per evocare una frase con la quale potremmo avere maggiore familiarità, questo
popolare/vernacolare era niente di meno che una sorta di “sopravvivenza attraverso il design”11.
Pikionis non era il solo a evocare l’interconnessione tra natura e cultura, o il rapporto tra
paesaggio (topìo) e luogo (tòpos) e gli edifici popolari/vernacolari. La generazione attiva nel
corso degli anni Trenta, generalmente nota come “La generazione dei Trenta” di alti modernisti,
è stata particolarmente impegnata nella valutazione della natura greca e nella discussione
delle sue qualità specifiche. Il decennio precedente, gli anni Venti, fu caratterizzato da eventi
politici traumatici: una guerra disastrosa contro la Turchia incoraggiata dagli alleati europei
della Grecia, che segnò le origini del moderno stato turco, ma che in Grecia è nota semplice-
mente come “La Catastrofe”, si concluse con l’arrivo di frotte di rifugiati indigenti su entrambi
i fronti. Tra la sensazione ampiamente sentita di stare sulla difensiva e un doloroso scambio
di popolazione con la Turchia, si collocò un rinnovato interesse per gli studi laografi, che alcuni
storici hanno definito “un ritorno alle radici”12.
Inoltre, gli uomini e le donne della Generazione dei Trenta sono stati i primi a viaggiare libera-
3 5
mente sul Mar Egeo. Come Artemis Leontis ha dimostrato, a quel punto la nozione di un tòpos
ellenico divenne particolarmente importante per la “mappatura della patria”:
Una genealogia dell’uso di tòpos nel linguaggio greco dimostra come il termine riceva la sua refe-
renzialità ingannevolmente trasparente nel corso di questo secolo [Ventesimo]. In determinate
circostanzi, tòpos diventa il termine preferito per evocare la presenza innata dell’ellenismo—in
competizione con éthnos, ‘nazione’, yénos, ‘nazione, popolo, razza’ (il genius latino), filí, ‘razza,
nazione’, laós, ‘popolo’, e patrída, ‘patria, terra nativa’13.
Pikionis disegnò e dipinse il paesaggio greco per tutta la vita. Oltre che Casa Rodakis, Pikionis
ha anche pubblicato in varie riviste e giornali numerosi schizzi, disegni e testi sul vernacolare
e sul suo rapporto con il paesaggio greco14. Nel 1925 scrisse un testo importante, “La nostra
arte popolare e noi stessi”, che doveva essere parte di una trilogia di teoria del popolare/
vernacolare. Nello stesso anno si collocano altre due pubblicazioni più significative sull’arte
popolare e sulle abitazioni popolari: Skyros, di Aggeliki Chatzimihali, un trattato su arti, arti-
gianato e architettura di produzione locale delle isole dell’Egeo, e Aetolian Dwellings, Utensils
4 and Foods (Abitazioni, utensili e alimenti etolici) di Dimitris Loukopoulos, illustrato da Dimitris
Pikionis. che esplorava faccia a faccia l’architettura e la cultura culinaria di questa regione
7.3. Dimitris Pikionis. Sezione e pianta della Casa Rodakis, Egina. Da Klaus Vrieslander and Julio Kaimi, della Grecia con tanto di ricette15.
Rodakis’s Casa in Aigina, [1934], Atene, 1997. Mentre Aetolian Dwellings di Dimitris Loukopoulos , un insegnante della Grecia continentale, fu
7.4. Dimitris Pikionis. Casa Moraitis, Tzitzifies, Neo Faliro, 1921-1923. © Neohellenic Architecture
l’unico studio sufficientemente lungo da diventare un libro, Chatzimihali fu autrice di diverse
Archives, Benaki Museum, Atene.
opere e fu molto attiva nell’organizzazione dello studio delle arti e dell’architettura popolari,
7.5. Pagina del libro Skyros. Aggeliki Chatzimihali, 1925. © Collezione dell’autore.

246 247
prima, durante e dopo la seconda guerra mondiale. Il lavoro sull’architettura vernacolare di

LA NATURA E IL POPOLO | Ioanna Theocharopoulou


Chatzimihali, un artista della classe medio-alta, originò nei suoi studi sulla cultura materiale in
aree rurali isolate della Grecia. Nel corso della sua vita viaggiò per tutta la Grecia vivendo con i
soggetti della sua osservazione, dalle donne di Skyros ai nomadi Sarakatsaniani che vivevano in
tende, e fu responsabile della grande varietà della raccolta di manufatti dalla civiltà popolare
che altrimenti sarebbero andati semplicemente perduti e dimenticati16.
Pikionis e Chatzimihali divennero grandi amici e collaboratori. Nel 1930 furono due dei membri
fondatori dell’Associazione per lo Studio dell’Arte Popolare Greca [Syllogos Ellinikì Laiki Techni],
fondata per documentare artefatti in via di estinzione, principalmente dalla campagna greca.
Alcuni degli altri membri, provenienti da un gruppo di artisti e architetti famosi includevano
gli artisti Nikolaos Chatzikyriakos Gikas e Yiannis Tsarouchis, e gli architetti Dimitris Moretis,
Alexandra Paschalidou-Moreti, Giorgos Giannoullelis e Maria Zagorisiou. Nel 1936 Pikionis
divenne responsabile di uno studio sistematico della casa greca. Organizzò un gruppo di persone
che si recarono in escursioni estive sulla terraferma come pure sulle isole per documentare la
cultura architettonica locale. Tennero mostre di questo lavoro (Atene 1938 e 1939) e progettarono

7.6/7. Dimitris Pikionis. Scuola elementare, Pefkakia, Lycabettus, Atene, 1931. © Neohellenic
Architecture Archives, Benaki Museum, Atene.

una serie di pubblicazioni che rimasero, a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale,
in gran parte inedite fino a non molto tempo fa.
Pikionis ha discusso il vernacolare anche come una sorta di linguaggio. L’idea di fondo era che,
come la lingua greca, in vita da millenni, ci potrebbero essere tipi di costruzioni appropriate
per il clima e il paesaggio specifico in attesa di essere riscoperte, o riattivate. Se solo si fosse
cominciato a capire bene le diverse componenti, le si sarebbero potute usare per costruire un
nuovo vocabolario contemporaneo di forme che sarebbero state di nuovo naturali e indigene,
locali per il suolo greco. Citando un frammento del poeta Dionisio Solomos, “in primo luogo,
impara a obbedire alla lingua del popolo, e poi, se sei abbastanza forte, padroneggiala”, Pikionis
ha scritto:
... come il popolo [laòs] dà parole allo scrittore, così dà a noi [gli architetti] forme, come
7
248 249
7. 8. Dimitris Pikionis. Padiglione a San Dimitris Loumbardiaris, Parco dell’Acropoli, Atene, 1954-58.
© Foto Jean-François Lejeune.
fossero altri tipi di parole, quelle del nostro linguaggio plastico. Se solo potessimo apprez- che le [popolazioni rurali] chiamano sgorpia. Le forme emergono naturalmente dall’uso di

LA NATURA E IL POPOLO | Ioanna Theocharopoulou


zare il significato di questo dono17. questo strumento sul legno. Questi sono gli elementi, le parole dell’intarsio su legno...18.
L’idea che lo studio del vernacolare architettonico fosse simile a un nuovo linguaggio plastico, Il più ampio contesto intellettuale della sua generazione fu un fattore importante che contribuì
quello del popolo, era illustrata ulteriormente da un esempio sull’intarsio del legno, accom- alla visione di Pikionis di un linguaggio plastico parallelo o equivalente a una lingua parlata.
pagnato da una fotografia in bianco e nero inserita nel testo: All’epoca, i dibattiti sull’architettura avevano come sfondo costante la cosiddetta “questione
Guardate l’esempio dell’intarsio in legno popolare [...] Osserviamo l’influenza che i materiali della lingua”. La questione era in quale lingua dovevano parlare i Greci: il demotico—la lingua
hanno nella creazione di un linguaggio plastico. Sappiamo intagliare il legno con uno strumento quotidiana, popolare, vernacolare—o la katharevousa, costruita da intellettuali ottocenteschi
adattando il greco classico a quello dei loro tempi e “ripulendolo” da tracce di parole straniere (e
7.9. Dimitris Pikionis. Scuola sperimentale, Thessaloniki, schizzo preliminario, 1935. in particolare turche). Negli anni Trenta la cosiddetta questione della lingua fu il tema centrale
© Neohellenic Architecture Archives, Benaki Museum, Atene. dell’epoca; divise appassionatamente oltre agli intellettuali, anche i politici e la stampa, e si
7.10. Dimitris Pikionis. Quartiere Aixoni, Glyfada, Prospetti delle case, schizzo preliminario, 1953-1955. ritrovava costantemente in tutti gli aspetti della vita quotidiana19.
© Neohellenic Architecture Archives, Benaki Museum, Atene. Un altro membro della cosiddetta Generazione dei Trenta, il poeta Odysseas Elytis (1911-1996),
portò oltre l’analogia tra il paesaggio e il linguaggio—nel suo caso linguaggio poetico—, soste-
nendo che si può effettivamente leggere l’alfabeto greco nel paesaggio, discutendo “luoghi qua
e là nelle terre dell’Egeo”, che portano i segni della “presenza secolare dell’ellenismo”, che
fornisce la loro ortografia, e dove
… ogni omega, ogni ipsilon, ogni accento o iota sottoscritto non è altro che una piccola baia,
una discesa, la linea verticale di una roccia sopra la linea curva della poppa di una barca,
viti rampicanti, una decorazione sulla porta di una chiesa , rosso e bianco punteggiato qua
e là da piccionaie e vasi di gerani 20 .
Il modo di Pikionis di vedere il rapporto tra lingua, architettura e natura era complesso. Cercò
di sviluppare una poetica di lettura del paesaggio e di progettare edifici come estensione di

252 253
questo paesaggio. Comprendendo il vernacolare, Pikionis si sentiva maggiormente in grado di in cui è scolpita ... è naturale ... naturale come una semplice lastra di pietra che il contadino

LA NATURA E IL POPOLO | Ioanna Theocharopoulou


comporre nuove sintesi adatte alla realtà contemporanea. Inoltre, soprattutto nelle sue prime appoggia a terra”22.
opere, Pikionis ha anche sperimentato con diversi “linguaggi” o idiomi nella sua architettura. Leggendo l’arte antica come se fosse arte popolare, Pikionis ha cercato essenziali corri-
La sua Casa Moraitis (Atene 1921-1923) era un omaggio al vernacolare di un’isola dell’Egeo. spondenze visivo-poetiche tra questi due mondi. In un segmento particolarmente pertinente
Una casa con cortile, costruita interamente in pietra, aveva architravi, aperture asimmetriche, accompagnato da un disegno dal tratto laconico, Pikionis fece un’analogia tra la gonna di una
nicchie scavate nelle pareti e un tetto piatto, mentre nel suo incarico successivo, Casa Kara- contadina mentre balla, e le scanalature di una colonna antica:
manos (Atene 1925), sperimentò con un tipo di edificio ellenistico, ispirato alla scoperta in quel Le pieghe e le falde del costume di questa contadina ondeggiano intorno alle sue caviglie,
periodo di una casa in Priene. disegnando a terra figure di montagne. L’orlo decorato della sua gonna spicca come un fregio.
Il primo edificio pubblico di Pikionis, una scuola elementare sulla collina del Licabetto ad Atene La danza si snoda come un colonnato in movimento. Il suono della zampogna, intrecciato al
(1931-32), faceva parte del programma di costruzione di scuole avviato dal governo di Eleftherios canto dei danzatori, fa oscillare le cime delle montagne e scorrere i fiumi. Il ritmo di questi
Venizelos. L’edificio di Pikionis, come se fosse desideroso di imparare dal linguaggio moder- drappeggi ondeggianti attorno al corpo, la forma di quella fronte o di quell’avambraccio,
nista—che, come scrisse, aveva “affinità segrete” con il vernacolare greco—era composto da delle onde e dei riccioli nei capelli—tutte queste cose spiegano il paesaggio23.
una serie di cubi interconnessi di un bianco abbagliante, disadorni e dal tetto piatto, che segui- Pikionis percepiva l’idioma popolare/vernacolare come un linguaggio, abbastanza ricco per
vano i contorni del paesaggio. Tuttavia, anche prima della conferenza CIAM IV svoltasi ad Atene superare le dicotomie tra antico e moderno, alto e basso, straniero e locale, e perfino Nord e
nel mese di agosto del 1933, sulla quale scrisse un testo critico, Pikionis aveva cominciato a Sud. Non smise mai di pensare alla natura, alle particolari forme del paesaggio greco e alla
prendere le distanze dalle forme e dall’ideologia del movimento moderno e a concentrare la sua importanza per immaginare una nuova architettura e una nuova cultura in senso lato. Una
sua attenzione sullo sviluppo di nuovi modi per esprimere forme vernacolari antiche21. importante attività del dopoguerra fu il suo coinvolgimento nel “Comitato per la Tutela del
Un buon esempio del suo repentino distacco dal linguaggio modernista è la Scuola Sperimentale Paesaggio Ellenico”, fondato nel 1954 da un gruppo di architetti attivisti e altri intellettuali che
di Salonicco (1935), Grecia settentrionale. Visibilmente influenzato dai suoi studi sul vernacolare si erano organizzati per proteggere le aree e siti a rischio24. A partire dal completamento del
della Grecia settentrionale, questo edificio, situato nel cuore di una zona urbana trafficata, ha suo lavoro sull’Acropoli e sulla collina di Philopappou, e fino alla fine dei suoi giorni, Pikionis
una pianta a forma di L che crea uno spazio esterno per le attività sportive ed è progettato per pubblicò numerosi testi sul legame dell’architettura alla natura e le “lezioni” di abitazioni
sfruttare appieno le specifiche condizioni climatiche di Salonicco. L’orientamento, il collocamento anonime, testi che sembrano tuttora freschi e originali e che meritano una rinnovata atten-
delle aperture e i tetti poco inclinati con lunghi sbalzi, rendono l’edificio assolato in inverno e zione accademica.
ombreggiato durante l’estate.
L’interesse di Pikionis per la natura e il vernacolare e i modi in cui i suoi studi hanno influenzato
il suo lavoro si sono evoluti nel tempo. Non solo era interessato anche all’architettura e alla
filosofia dell’Estremo Oriente, in particolare dell’India e del Giappone. Man mano che il suo lavoro Aris Konstantinidis e Due Villaggi da Mykonos
si evolveva, tutte le associazioni più dirette con il vernacolare greco cominciarono a scompa- La forte presenza di Aris Konstantinidis nella vita culturale greca non fu solo dovuta alle sue
rire. Quando Pikionis progettò il rimarchevole Modello Residenziale Aixoni (1950-1954), anche poche seppur influenti opere realizzate, ma anche ai numerosi scritti critici che pubblicò nel
se le “lezioni” del vernacolare erano visibili, in particolare nella topografia e nell’architettura corso della sua carriera. I suoi testi forniscono una critica continua all’architettura e alle strut-
del paesaggio di questo progetto prima della costruzione, le forme dell’edificio non avevano ture politiche ed amministrative che, secondo lui, creavano innumerevoli ostacoli al lavoro di
relazione diretta né con le forme moderniste né con le forme vernacolari. Allo stesso modo, un architetto. Il primo dei libri di Konstantinidis, Due “Villaggi” da Mykonos e qualche idea più
l’Hotel Xenia a Delphi (1951-1954) non ha alcuna chiara somiglianza con nessuna tradizione generale su di essi, fu pubblicato nel 1947. Fu seguito da vicino da Le vecchie case ateniesi, anche
esistente, vernacolare o meno, ma è piuttosto un nuovo lavoro di sintesi che risponde all’attuale questo scritto negli anni Quaranta e pubblicato nel 1950. In questi primi testi Konstantinidis
topografia del sito. descrisse il suo primo incontro con il popolare/vernacolare: il primo parlando dell’architettura
Infine, l’analisi di Pikionis del rapporto tra natura e vernacolare gli diede i mezzi per capire rurale, mentre l’altro fu il primo studio, nel contesto greco, di un vernacolare domestico urbano.
l’arte e l’architettura classica e per metterle in relazione alla Grecia contemporanea. Egli ha Konstantinidis iniziò a lavorare su Due “Villaggi” da Mykonos poco dopo essere tornato dai suoi
osservato che anche gli antichi greci adattarono i loro edifici al clima e alla qualità della luce, studi a Monaco di Baviera nel 1936 e prima di essere arruolato per combattere sul fronte alba-
lavorando con le ombre per creare effetti visivi, consistenza e delicate gradazioni sagomate per nese nel 1940, all’inizio della seconda guerra mondiale. Il volume sottile, di piccolo formato è
fornire superfici che cambiano continuamente alla luce forte del sole greco. Secondo Pikionis, una diatriba sul rapporto tra gli edifici e la natura. Come i primi laografi, Konstantinidis andò
l’arte degli antichi greci era “fondata sulla natura, sulle sue leggi ...” e “una colonna dorica, per a Mykonos per “ascoltare” il laòs, per avvicinarsi il più possibile alla “gente umile”. Scrisse:
esempio, è naturale, non per il suo tipo, ma a causa dell’equilibrio tra la sua massa, il modo Diciamo architettura ‘popolare’ e la nostra immaginazione costruisce un edificio quasi
divino. Ma qual è il significato di questa parola e cosa giustifica la sua esistenza? E quale tra
i lavori dell’uomo sulla terra è il lavoro del popolo—popolare—e quale non lo è? E, infine,
quale parte di noi stessi è “il popolo” [laòs] e quale non lo è? 25
A quel tempo Mykonos non era ancora stata scoperta dai turisti del jet-set, e aveva ancora—come
molte altre zone rurali montagnose in Grecia—un’economia relativamente limitata. Gli abitanti
7.11. “Dorico ritmo”: Collegamento concettuale di Pikionis tra il profilo di una colonna dorica e
dell’isola si guadagnavano da vivere principalmente con la pesca e con la coltivazione di piccoli
l’ondulazione di una gonna di una donna contadina mentre si muove in una danza. Da Dimitris Pikionis,
appezzamenti agricoli. Konstantinidis studiò due case al di fuori del principale insediamento
“Una topografía sentimentale” [1935] in Scritti (Keimena), Atene, 1987.

254 255
denso di Mykonos (Chòra), che i locali chiamano “il paese”. Case come quelle studiate da

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Konstantinidis si trovavano—e si trovano tuttora—disseminate lungo l’isola per ospitare pastori
che portano lì le loro greggi a pascolare o agricoltori che coltivano campi isolati in prossimità.
Si tratta di dimore temporanee, con solo gli elementi più essenziali per l’abitazione.
Che cosa ha trovato Konstantinidis a Mykonos? Anche se all’inizio del libro, l’autore dichiara che
avrebbe voluto che i suoi disegni “parlassero” da soli, il suo testo è lungo in confronto ai pochi
schizzi (quattro per ogni villaggio) che compaiono dopo il testo, quasi come un ripensamento.
E anche se non ci sono fotografie, i disegni sono curiosamente inquadrati come se fossero
visti attraverso un obiettivo, presi ad una distanza tale da adattarsi al centro del fotogramma,
indicando l’occhio attento da fotografo di Konstantinidis26.
Più di tutto, Konstantinidis era interessato al modo in cui queste case interagiscono con l’am-
biente esterno dato che l’argomento principale del libro è l’interazione tra gli edifici popolari/
vernacolari con la natura. Le piante mostrano i contorni di cortili e indicano sentieri e muretti
a secco. Ogni schizzo offre una vista prospettica, con pochi dettagli dei materiali e consistenza
delle superfici o altri elementi decorativi. Le linee nere e bianche sparse dovrebbero cattu-
rare solo “l’essenziale”: i volumi rettangolari in muratura, la vegetazione troppo cresciuta, la
piattaforma sopraelevata per dormire su un lato della stanza con sotto un ripostiglio, forse
un pezzo di biancheria appesa a una ringhiera, il focolare sempre in un angolo della stanza,
e alcuni grandi orci appoggiati contro, dove probabilmente si conserva olio e vino. Possiamo
anche distinguere la costruzione del soffitto fatto con doghe di legno riempite di cannicci e,
si immagina, così come si fa ancor oggi nelle Cicladi, ricoperte con una mistura speciale di
terra e sabbia e poi imbiancate a calce. Le planimetrie ugualmente laconiche ci danno una
indicazione della scala, dell’orientamento, dello spessore dei muri in pietra, delle differenze
di livello all’interno della casa e delle aperture e nicchie usate in genere per la conservazione
di vari oggetti per la casa e di icone.
In scoppi di entusiasmo giovanile, Konstantinidis annunciò nel testo di accompagnamento come
dal momento dello sbarco sull’isola si trovò in “un amplesso infinito con tutta la natura”27.
Descrisse una nuotata vissuta come un nuovo battesimo nella natura, una rinascita o un risve-
glio. L’autore ci dice che, a Mykonos, ha scoperto le più “vere”, e quindi le più “belle” opere
dell’uomo, quelle delle “semplici” e “innocenti” abitazioni locali:
Rinato, come se fossi di nuovo un neonato, ti esponi a uno spazio illimitato. E corri sulle
colline, sui sentieri, sulle spiagge di sabbia ... corri per trovare la bellezza dell’architettura.
Le pietre lucenti che erano così luminose da lontano, e che pensavi fossero state messe
lì dal nostro Grande Creatore del mondo, da vicino vedi che non sono altro che piccole,
affettuose, opere innocenti dell’uomo, create nel bel mezzo della sua fatica quotidiana 28.
Come Pikionis, anche Konstantinidis contrappose idee sulla lingua all’architettura. Alla fine
della nuotata descritta, Konstantinidis visitò una cappella dove, guardando le icone, affermò
una rinnovata spiritualità e la fede nel “linguaggio della natura”. Dopo tutto, anche se non è
considerato un membro della Generazione dei Trenta, gli anni Trenta furono il periodo forma-
tivo dell’educazione di Konstantinidis. Anche lui stava scrivendo sullo sfondo della “questione
della lingua” ed era, più di Pikionis, un ardente demoticista—un esperto del linguaggio della
“gente comune”.
In effetti, Konstantinidis fece un punto di formulare le sue opinioni sulla natura e il vernacolare
in contrasto con quelle di Pikionis. Anche senza mai menzionare l’architetto più anziano, le
osservazioni di Konstantinidis tradiscono una grande animosità nei confronti di Pikionis e in
particolare verso il suo lavoro creativo. Sebbene Konstantinidis non abbia mai esplicitamente
affrontato Pikionis, ci sono abbastanza indizi nei suoi testi che indicano come pensasse che
7.12. Aris Konstantinidis. Schizzo e pianta di una casa a Mykonos. Da A. Konstantinidis, Due villaggi di
Pikionis fosse troppo emotivo, troppo sentimentale, troppo artistico per essere un architetto
Mykonos e alcuni generali reflessioni, Atene, 1947. “vero”. Il lavoro di Pikionis sembrava troppo pittorico ai rigorosi occhi modernisti di Konstan-

256 257
tinidis: il termine “scenografico”, già usato in Due “Villaggi” da Mykonos così come in molti altri

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dei suoi libri, fu utilizzato da Konstantinidis come un’accusa contro Pikionis. Konstantinidis
aveva anche un atteggiamento critico nei confronti del più ampio progetto dei laografi, delle
loro spedizioni organizzate, delle mostre, nonché dei loro sforzi per produrre studi etnografici,
che riteneva “imbarazzanti”, e ancor più come “intrugli insipidi, compassionevoli, ma difficili da
digerire”. Egli fu particolarmente veemente contro Aggeliki Chatzimihali che, in questo libro,
fu accusata di essere “naïve”29.
Le opinioni di Konstantinidis sul rapporto tra natura e l’abitazione popolare/vernacolare greca
erano poi così diverse da quelle di Pikionis? Nonostante la sua posizione antagonistica—ha
suggerito che lui solo capiva l’”essenziale” nell’architettura vernacolare—il nucleo dell’ar-
gomentazione di Konstantinidis è simile a quella di Pikionis: per entrambi, l’architettura
popolare/vernacolare ha a che fare con la vicinanza dell’uomo alla natura e al paesaggio
indigeno. “La gente umile” non solo raggiunge una perfetta armonia tra le sue costruzioni e
il suo paesaggio, ma riesce anche a creare edifici che appaiono come radicati al suolo e che
sono organicamente legati al modo in cui le persone vivono nel quotidiano. Mentre Pikionis
suggeriva osservazioni acute Konstantinidis, in questo primo libro, sostenne che solo quando
un architetto fosse diventato “tutt’uno” con “il popolo”/laòs avrebbe compreso la “verità”
sulle costruzioni.
Questa idea portò Konstantinidis a una posizione impossibile. Perché come può qualcuno
con una formazione cosmopolita e molto istruito identificarsi a pari termini con “il popolo”?
Il contrasto rigido fra questi due mondi, quello della classe media urbana civile e quello del
contadino in campagna, ci ricorda gli scritti di Adolf Loos nella prima parte del Ventesimo
secolo. Ma mentre Loos mai provò a diventare tutt’uno con il contadino “radicato”, Konstanti-
nidis raccomandò: “prima diventate laòs voi stessi e poi mostrate agli altri ciò che è prezioso
per la vostra stessa gente”. E, “dico di nuovo, se c’è uno scopo, una destinazione finale, in
tutto questo sforzo, è solo questo: dobbiamo diventare laòs [...] in modo da essere veri e
grandi”30. Spingendo oltre la dialettica di Loos, Konstantinidis ha scritto che la città conte-
neva “un ambiente ristretto, artificiale—meccanizzato—in cui l’uomo ha perso ogni contatto
con la natura”31. In contrasto con quest’”uomo artificiale” della città, e diversamente da Loos
(e Pikionis), Konstantinidis propose che non solo le costruzioni vernacolari costituivano un
prolungamento del corpo, ma che l’uomo “popolare” era la natura/paesaggio e così, quando
costruisce, nei suoi edifici ricrea la natura. Così questi edifici “popolari” diventano paesaggio 32.
In questo primo libro di Konstantinidis spesso si sentono echi della sua formazione europea,
nell’adattamento di terminologia e concetti dal Nord al contesto del Sud. L’idea di costruire
in “verità” e di essere “veri” nei confronti di materiali e funzione, così come la lettura di
umili edifici popolari delle Cicladi come “razionali” e “funzionali” è familiare agli studenti del
Modernismo europeo. La sua interpretazione delle idee moderniste e il contesto esistente
della laografia, nonostante la sua opposizione, lo portò a rivalutare il vernacolare greco in modi
molto particolari. Poichè Konstantinidis indubbiamente credeva che il laós era l’unica fonte
per raggiungere ciò che è “vero” e ciò che è “ellenico” —e, a volte, i due erano intercambiabili.
In questo senso, ci rendiamo conto che la più alta ammirazione di Konstantinidis per i “villaggi”
di Mykonos era riservata proprio alla loro capacità di essere quasi cancellati dalla natura. È
precisamente questa qualità che ha sempre cercato di riprodurre nel suo lavoro: dal paesaggio
del suo primissimo progetto, una casa a Eleusi (1938), fino agli spogliatoi degli attori a Epidauro
(1958, 1960 e 1962), all’Hotel Xenia a Mykonos (1960) e alla Casa Weekend a Anavyssos (1962).
Per ottenere un dialogo tra i suoi edifici e i loro ambienti naturali specifici, le costruzioni, che
tendevano ad essere basse (a uno o al massimo due piani), seguivano sempre la topografia 7.13. Aris Konstantinidis. Quarti degli ospiti, Xenia Hotel, Epidavros, 1962. Da A. Konstantinidis, Progetti +
Edifizi, Atene, 1981.
del sito, non importa quanto irregolare. Usava materiali locali, soprattutto pietra, che era a
7.14. Aris Konstantinidis, Prospettiva, Xenia Hotel, Delos, 1962. © Neohellenic Architecture Archives,
volte strutturale e altre volte serviva come riempimento in una griglia di cemento armato. La
Benaki Museum, Atene.

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interno costante. In questo caso, nonostante le accuse contro i laografi, non possiamo fare a

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meno di notare che anche Konstantinidis ha studiato il vernacolare usando metodi etnografici,
soprattutto nel libro successivo Le vecchie case ateniesi, al quale stava già lavorando negli anni
Quaranta. In questa sede esplorò non solo il modo in cui gli ateniesi costruivano le loro case prima
dell’indipendenza e come quelle case apparivano in numerose fotografie, schizzi e progetti, ma
anche documentò come venivano abitate, riportando storie e rituali su un tipo di edificio che stava
ormai estinguendosi rapidamente33. Già nel libro su Mykonos, Konstantinidis aveva definito un
metodo che è inconfondibilmente etnografico, ma che lui chiama “architettonico”:
Dovremo rivedere i dati architettonici: da un lato l’uomo, dall’altro paesaggio, clima e
geografia. Studieremo i costumi, usanze e rituali (per ogni particolare area geografica),
il paesaggio e la produzione agricola. Cercheremo di capire l’economia locale ... e la reli-
gione. Anche i canti, le preghiere, le feste, così come tutte le altre espressioni della società
“popolare” e solo allora potremo dire: questi sono gli attrezzi che la gente “del popolo”
utilizza per costruire34.
Quelle che Konstantinidis chiamò “vecchie” case ateniesi datavano dalla fine del Diciottesimo
e l’inizio del Diciannovesimo secolo, il periodo immediatamente precedente all’indipendenza
greca del 1821. Studiandole attentamente con schizzi e fotografie, Konstantinidis constatò che
queste case erano sempre composte da un cortile e da una serie di stanze, disposte intorno ad
esso, su uno o due piani. Queste case erano costruite prevalentemente in legno e pietra. Se a
due piani, di solito presentavano una loggia chiusa da vetri sovrastante uno spazio parzialmente
coperto. Le caratteristiche tipiche includevano una scala esterna, un pozzo nel cortile e un alto
muro per isolare e proteggere la casa dagli sguardi dei passanti.
Konstantinidis contrappose queste Vecchie case ateniesi con gli edifici urbani di civile abitazione

griglia di cemento era spesso imbiancata o veniva lasciata a vista. Le pareti di pietra erano
quasi sempre a vista in modo che non solo si fondevano con i colori del paesaggio circostante,
ma pure evocavano i processi popolari/vernacolari. Allo stesso modo, usava volentieri la
pietra per l’architettura del paesaggio, evocando i muri a secco indigeni studiati nelle Cicladi.
Un altro contributo che Konstantinidis portò alla discussione del vernacolare era la sua ammi-
razione per le strutture contemporanee “informali”. Nel libro su Mykonos, Konstantinidis chiese
come possiamo coltivare il nostro “senso del popolare” in modo da abituare i nostri occhi e
le nostre mani a costruire, come “il popolo”. In diversi momenti della sua vita disegnò e foto-
grafò vari tipi di edifici auto-costruiti, sia nelle città sia nelle campagne, sia temporanei sia
permanenti—da tettoie di bambù costruite semplicemente per mangiare in riva al mare, alle
monocamere imbiancate per l’accoglienza dei rifugiati. In queste costruzioni informali Konstan-
tinidis riconobbe un desiderio istintivo simile a costruire bene, e scrisse con ammirazione che
“la gente del popolo” sa come costruire in questo particolare paesaggio tanto con la pietra,
quando col vetro e con il cemento.
Mentre Pikionis si presenta come uno scrittore tranquillo e umile, è caratteristica dei saggi di 7.15. Aris Konstantinidis, Xenia Hotel, Kalambaka, 1960. © Neohellenic Architecture Archives, Benaki
Museum, Atene.
Konstantinidis di avere un tono appassionato, perfino esplosivo. Anche se i suoi testi possono
7.16. Aris Konstantinidis, Xenia Hotel, Mykonos, 1960. © http://blog.sias.gr/buildingstories/643-to-be-
essere estremamente acuti e percettivi, sono spesso pieni di contraddizioni, tradendo un conflitto
traditional-is-to-be-contemporary-part-02-infrastructure-in-post-war-greece

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18

in stile neoclassico costruiti dopo il 1834. Il Neoclassicismo era un linguaggio architettonico


importato, tedesco e più generalmente europeo, che Konstantinidis ha insistito, non aveva nulla
che fare con quello che era la vera architettura greca dell’epoca. Introdotto in Grecia inizialmente
dagli architetti e ingegneri tedeschi che avevano accompagnato il giovane re bavarese, quando
Atene fu scelta come capitale nel 1834, il Neoclassicismo divenne rapidamente il linguaggio
architettonico ufficiale del nuovo Stato 35. Sul fatto che il Neoclassicismo fosse “importato”
dall’Occidente si sono concentrati i commenti polemici e, a volte apertamente irati di Konstanti-
nidis. La riscoperta di una architettura greca classica e la nascita del Neoclassicismo in Europa,
coincisero con una maggiore accessibilità ai siti classici tra la metà e la fine del Diciottesimo
secolo. In effetti, nel corso del Diciannovesimo secolo, l’identificazione culturale europea con
l’antica Grecia, da nessuna parte era pronunciata quanto in Germania.
Come suggerisce il lavoro di Konstantinidis, aspetti della cultura greca furono idealizzati,
imitati e fatti propri al fine di coronare la ricerca europea delle proprie origini. L’idealizzazione
19
dell’antica Grecia era cruciale nel filellenismo, il movimento per l’indipendenza iniziato tra la
diaspora degli intellettuali greci ed europei alla fine del Diciottesimo secolo. Questo modello è
un cliché di Orientalismo presente nella maggior parte delle situazioni coloniali. La differenza
7.17. Aris Konstantinidis. Progetti per case di week-end, 1942-45. Da A. Konstantinidis, Progetti + Edifizi, in questo caso è che questa modernità fu in qualche modo intesa come proveniente dalla Grecia
Atene, 1981. stessa. E mentre gli europei del Diciannovesimo secolo erano diventati Greci, ai loro occhi, i
7.18. Aris Konstantinidis. Fotografia e schizzo di un padiglione di spiaggia. Da A. Konstantinidis, Elementi Greci dopo l’indipendenza, si erano trasformati in selvaggi.
per la conoscenza di sé, verso una vera Architettura: fotografie, disegni, note, Athens, 1975.
Eppure, mentre accusava tedeschi ed europei di non capire il patrimonio architettonico greco,
7.19. Aris Konstantinidis. Casa tradizionale in Atene. Source: A. Konstantinidis, The Old Athenian Houses,
paradossalmente Konstantinidis probabilmente aveva maggiori affinità intellettuali con i suoi
Atene, 1950.

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contemporanei europei di quanto non si rendesse conto. Infatti, Vecchie case ateniesi è un mani- Ci sono almeno tre modi in cui le attività di Doxiadis arricchirono la discussione sull’anonimo/

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festo architettonico, simile a quelli con cui artisti e architetti modernisti europei articolarono popolare/vernacolare nel contesto greco degli anni Quaranta. Il suo primo contributo fu nel dare
le loro ambizioni e desideri rivoluzionari e come altri documenti del genere, Le vecchie case importanza all’etnografia nel corso dei suoi incarichi in varie posizioni governative. Durante
ateniesi è un libro aggressivo, politico e polemico. Inoltre, il linguaggio e la terminologia stessi l’occupazione, oltre alle sue altre attività nella resistenza, Doxiadis organizzò un gruppo clande-
utilizzati da Konstantinidis per descrivere queste case erano dominati dal pensiero modernista stino, il “Circolo dei Tecnologi” [Kyklos Technikon] che si incontrava ogni settimana per discutere
europeo e tedesco in particolare. Per esempio, uno dei modi in cui ha descritto queste Vecchie lo stato degli insediamenti greci—soprattutto rurali—e la cultura in senso più ampio. Gli atti
case ateniesi, era utilizzando la nozione di “tipo”, un concetto di cui si è servito in un modo che di queste discussioni furono pubblicati in una rivista, Chorotaxia, di cui rimane in archivio un
ricorda i dibattiti del Werkbund nel 1914. Come questi pensatori tedeschi con i quali probabil- solo volume (del 1942).
mente aveva una certa familiarità attraverso la sua educazione, anche Konstantinidis tesseva le Sia Konstantinidis che Aggeliki Chatzimihali parteciparono a questi incontri del “Circolo”.
lodi delle “vecchie” case ateniesi perché avevano raggiunto lo status di “tipico”, cioè quello che Chatzimihali presentò la ricerca su “Architettura e arte popolare”, ci furono presentazioni sull’ar-
è “puramente essenziale e funzionale nella loro architettura”36. Come questi architetti europei,
gli studi di Konstantinidis delle Vecchie case ateniesi influenzarono i suoi progetti di questo
periodo. Come loro, ha elogiato quello che vedeva come gli aspetti vernacolari dell’architettura
residenziale urbana, piuttosto che gli edifici neoclassici che erano di solito considerati come
monumenti. Ha quindi conferito un pregio a queste umili case che ha scelto di documentare.
Nelle sue parole egli ha cercato di “recuperare” o “risvegliare”37 come dal sonno o almeno dalle
tenebre della storia, ciò che vedeva come una architettura ateniese originale e di trattarla come
depositaria della memoria38.

Constantinos Doxiadis e la questione dell’architettura popolare


Qualsiasi discussione sull’architettura popolare in correlazione alla Grecia degli inizi del secolo
XX deve includere almeno una menzione di Constantinos Doxiadis. Negli anni trenta Doxiadis
lavorò con Pikionis e altri artisti e architetti dell’Associazione per l’”Arte Populare Ellenica”,
documentando l’architettura vernacolare abitativa. Negli anni quaranta e soprattutto come
sottosegretario alla ricostruzione (1945-1951), Doxiadis raccolse e classificò dati su edifici e
insediamenti indigeni, sia personalmente sia incaricando delle ricerche i suoi collaboratori.
Eppure, nei circoli architettonici greci, il suo contributo è quasi sconosciuto—se non voluta-
mente oscurato 39.
Contemporaneo esatto di Aris Konstantinidis, Constantinos Apostolos Doxiadis (1913-1975)
fu studente, assistente universitario e, più tardi, amico intimo e collaboratore occasionale di
Dimitris Pikionis. Dopo aver studiato presso il Politecnico Nazionale di Atene dove incontrò
Pikionis, Doxiadis andò a studiare un anno all’Università Tecnica di Berlino-Charlottenburg per
un dottorato di ricerca, tornando alla pratica in Grecia nel 1937 (un anno dopo Konstantinidis).
Nonostante la sua giovane età—aveva solo 24 anni—Doxiadis presto divenne Direttore della
Pianificazione Urbanistica per l’area della Grande Atene 40.
Dato che non riusciva a trovare quasi nessuna informazione affidabile su come procedere nell’in-
carico assegnatogli, Doxiadis convinse i suoi superiori a includere nel censimento nazionale del
1940 una sezione speciale con un questionario di sua creazione sulle abitazioni. Organizzò poi
un grande gruppo di lavoro per studiare queste informazioni. Il suo gruppo di lavoro produsse
ampi rilevamenti che comprendevano informazioni sia visive che scritte in forma di “tavole
multi-dimensionali” e “offrivano un’immagine di grande interesse, originale e molto dettagliata
delle condizioni ekistiche in Grecia” prima dell’inizio della seconda guerra mondiale—il termine
ekistiche ben noto che definisce “la scienza degli insediamenti umani” [da oikos = casa], fu
coniato da Doxiadis nel corso degli anni Quaranta 41. Quando l’Italia attaccò la Grecia nell’ot-
tobre del 1940, Doxiadis, come Aris Konstantinidis, combattè sul fronte albanese. Al ritorno
ad Atene, riprendendo il suo incarico di governo sotto le forze di occupazione, Doxiadis fondò
7.20/21. Constantinos Doxiadis. Nuovo villaggio di Apollonion, Porto Rafti, Attica, Grecia. Pianta e viste del
un’organizzazione clandestina di spionaggio che divenne lo stato maggiore “scientifico” del
centro culturale e di una strada residenziale, 1958 (progetto iniziale), in costruzione da 1969. © Archivio
movimento di resistenza42.
Constantinos Doxiadis, Atene.

264 265
chitettura delle isole dell’Egeo, l’architettura di Zagora nella Grecia continentale e l’architettura concetto di laografia e i metodi di ricerca etnografica fornirono agli architetti greci alcuni mezzi

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delle fattorie. John Papaioanou, musicologo e collaboratore di lunga data di Doxiadis, presentò per superare opposti inconciliabili, in particolare un modo per collegare un passato antico e
una ricerca sul clima e come questo influenza l’architettura e la pianificazione. Aris Konstantinidis, venerato a un futuro moderno incerto ma eccitante.
il cui articolo nel volume superstite discuteva il rapporto tra arte e architettura, ha anche parlato Attraverso la questione del rifugio popolare/vernacolare, i tre architetti discussi in questa sede
di quella che definì “architettura senza architetti”, notando che potremmo scoprire “il carattere stavano affrontando il problema di identità di fronte all’incombente modernizzazione della
eterno di tutta l’architettura, che si esprime in modo diverso in ogni età, ma che è, alla fine, il suo società greca. Si tormentarono su ciò che avrebbe potuto essere una nuova architettura ellenica,
aspetto più interessante”43. Inoltre il rinomato laografo Georgios Megas fornì una delle prime tesi e su che posizione prendere come intellettuali in relazione al laòs. Pikionis e Konstantinidis
metodologiche sulla laografia, nonché studi dettagliati sulla cultura materiale della campagna “lessero” le caratteristiche e le virtù dell’architettura moderna in semplici ripari popolari,
rurale del Nord includendo una grande quantità di dettagli sugli edifici. soprattutto rurali. Cercarono di trovare “radici” in un modo primordiale di costruire, natu-
Il secondo contributo di Doxiadis riguardò il linguaggio e la terminologia. Un importante nuovo rale, anche primitivo, che era in grado di fornire solo l’essenziale per la vita quotidiana, il che,
termine, Chorotaxìa, stava ad indicare la “pianificazione”, che ancora non esisteva in Grecia come in fondo, era anche una ricerca modernista per eccellenza. Doxiadis fece indagini complete
disciplina. Il termine significa letteralmente portare ordine (taxis) allo spazio (choros). Incarna dell’architettura popolare e riconobbe il contributo dell’etnografia al punto da includere borse
una ambiguità intenzionale a cui Doxiadis teneva molto, perché denotava l’idea di pianificazione in di studio etnografiche nelle sue discussioni del tempo di guerra, questionari per rilievi e, più
qualsiasi scala: Choros = spazio, Chorio = villaggio, Chora = Paese. Come dimostrato dal suo collega, tardi, per usare queste indagini ampliate nel suo lavoro di pianificatore globale. Dato che la
John Papaioannou, l’idea di questo termine nacque dai suoi studi a Berlino. Lì per la prima volta maggior parte dell’edilizia è ancora fuori dalla “influenza dell’architetto”, un rinnovato studio del
si familiarizzò con i termini Städtebau (costruzione di città) e Raumordnung e Landesplanung (uso popolare/vernacolare solleva il problema di come studiare gli edifici e i manufatti non progettati
del suolo, pianificazione territoriale) nessuno dei quali aveva un equivalente esatto in greco. Per da architetti. La storia dell’architettura deve aprirsi a questo problema in modo più ampio.
Papaioannou il termine chorotaxia “è stato inteso come una traduzione esatta del Raumordnung
tedesco con un’occhiata di sfuggita al Landesplanung”44 . Era come se Doxiadis credesse che, se
solo si potesse trovare una corrispondenza linguistica tra un concetto nordeuropeo e uno greco,
sarebbe stato anche possibile instaurare con successo una pratica nella vita reale.
Questa nuova scienza della chorotaxìa era composta da parti “pratiche” e “teoriche”, e infine da
un’altra categoria a sé stante, il termine onnicomprensivo chorognosìa che significa “conoscenza
del paese/terra”, probabilmente vicino al termine tedesco Landesplanung. La programmazione
“pratica” era lo studio dei “dettagli”, vale a dire l’architettura, l’urbanistica, la pianificazione delle
periferie e la pianificazione nazionale; la programmazione “teorica” riguardava lo studio di feno-
meni più generali, come l’economia, la demografia, l’organizzazione della produzione, l’industria,
la popolazione, l’organizzazione amministrativa, ecc. Infine egli vide la chorognosìa come “l’anima”
dell’amministrazione in quanto aveva a che fare con il rapporto dell’uomo con il suo ambiente45.
Legata alla laografia e chorotaxìa, era l’idea del rilievo a diverse scale, tra cui quella regionale,
che fu introdotta nel contesto greco da Doxiadis. Formulato dal pianificatore scozzese, Sir Patrick
Geddes (1854-1932) verso la fine del Diciannovesimo secolo, il rilievo fu in parte concepito come
un modo per studiare la società e gli effetti dell’industrializzazione che allora si stava attuando
in Scozia. Il modo di fare i rilievi proprio di Doxiadis abbracciava la laografia: le indagini dei suoi
collaboratori presso il Ministero, come quelle di Maria Zagorisiou a Creta e Mitilene, erano
principalmente studi dettagliati di architettura vernacolare/popolare.
Mentre Pikionis e Konstantinidis usarono la loro ricerca sul vernacolare per arricchire le proprie
idee sull’architettura, Doxiadis si interessò più di insediamenti di larga scala, nonché di politica
e di ricostruzione della società46. Ma i suoi studi sull’architettura “anonima”, prevalentemente
rurale, lo aiutarono a sviluppare strategie per lo sviluppo. Come Sottosegretario alla Ricostru-
zione ha pubblicato e presentato personalmente la ricerca di Megas in un fascicolo separato della
serie che coordinò attraverso il ministero 47. Il metodo di lavoro di Megas e di altri laografi ebbe
un’enorme influenza su Doxiadis, che iniziò a preparare il suo studio dell’Ekistica utilizzando
alcuni dei metodi e delle tecniche propri di Megas, e continuò a studiare la civiltà popolare locale
nei paesi per i quali, nel dopoguerra, fu incaricato della pianificazione.
Lo studio del rifugio popolare/vernacolare fu un aspetto estremamente importante della cultura
architettonica greca durante la prima parte del Ventesimo secolo. I modi in cui gli architetti
esplorarono la questione del vernacolare potrebbe aver identificato “il popolo” con un concetto
romantico della nazione e averlo idealizzato, almeno in qualche misura. Allo stesso tempo, il

266 267
1
Sibyl Moholy-Nagy, “Environment and Anonymous Architecture,” Perspecta 3, 1955, pp. 3-8. 13
Artemis Leontis, Topographies of Hellenism: Mapping the Homeland, Ithaca, Cornell University

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2
Bernard Rudofsky, Architecture Without Architects. A Short Introduction to Pedigreed Architecture Press, 1995, p. 69.
, New York, Museum of Modern Art, 1964, p. 2. 14
Un volume che raccoglie i testi di Pikionis qui utilizzati come fonte primaria di materiale,
3
Alcuni studiosi traducono il termine popolare come folk .Tuttavia folk ha altre connotazioni, Dimitris Pikionis: Testi, [in greco] Atene, Istituto per l’Educazione della Banca Nazionale, 987, fu
nordeuropee in particolare, che non sono applicabili al contesto greco (l’idea di una “patria” pubblicato dopo la sua morte, a cura di sua figlia Agni Pikionis e Michalis Parousis.
romanticizzata, così come collegamenti a regimi totalitari). La questione della impossibilità di 15
Dimitris Loukopoulos, Aetolian Dwellings, Utensils and Foods, Atene, 1925.
tradurre alcuni termini chiave come questo, mette in evidenza le esperienze molto diverse degli 16
Un primo mentore di Chatzimihali fu l’architetto Aristotelis Zachos, che ha anche pubbli-
architetti greci rispetto ai colleghi nell’Europa settentrionale e occidentale. Data l’impossibilità cato alcuni studi di architettura popolare greca, usciti all’inizio del Ventesimo secolo, “Altere
di un’esatta traduzione, si utilizzano qui assieme i termini popolare/vernacolare, sperando di Wohnbauten auf griechischem Boden”, Wasmuths, Monatshefte für Baukunst, VII. Tuttavia, poiché
catturare e trasmettere almeno in parte l’essenza dei due significati. questi studi non furono pubblicati in greco, il suo lavoro, anche se ben noto tra altri intellettuali
4
Dopo l’indipendenza, i primi edifici pubblici (1821) furono progettati da stranieri o da greci a quel tempo, non fece parte di una discussione più locale. La casa stessa di Chatzimihali,
educati all’estero. Per tutto il Diciannovesimo secolo e inizio del Ventesimo secolo, la maggior progettata da Zachos nel quartiere Plaka di Atene, oggi è sede del Museo Nazionale di Laografia.
parte degli edifici residenziali furono progettati da parte di non-architetti stabilendo un prece- 17
Dimitris Pikionis, “La nostra arte popolare e noi stessi”, Dimitris Pikionis: testi (in greco), p. 69.
dente che, sostengo, è stato influente nello sviluppo della polykatoikia urbana, e cioè` del 18
Ibid., p. 64.
condominio residenziale a più piani, costruito soprattutto senza il coinvolgimento di architetti 19
Sulla persistenza dei dibattiti ufficiali e popolari sulla lingua nella cultura greca si veda Karen
che prosperarono durante il periodo successivo alla seconda guerra mondiale. Si veda Ioanna Van Dyck: “Dalla Guerra di Indipendenza del 1820, i cambiamenti politici sono stati proposti in
Theocharopoulou, Urbanization and the Emergence of the Polykatoikìa: Habitat and Identity. Atene, termini di cambiamenti linguistici.[...] La questione della lingua consuma i Greci [ancora oggi]
1830-1974, Dissertazione del Dottorato di Ricerca (Ph.D.), Columbia University, 2007. nei loro giornali e nelle interazioni quotidiane. [...] Il potere della parola nella fantasia nazionale
5
Michael Herzfeld, Ours Once More: Folklore, Ideology and the Making of Modern Greece, New greca è in una posizione contrastante allo stato della lingua in molti altri paesi occidentali,
York, Pella Publishing Company, 1986, p. 13. È anche da notare che, a differenza di altre nazioni dove le questioni linguistiche sono spesso dibattute solo tra piccoli gruppi di intellettuali”. Da
giovani (del nord) come la Finlandia e l’Irlanda, dove la cultura “folk” è stata utilizzata per Karen Van Dyck, Kassandra and the Censors, Greek Poetry Since 1967, Ithaca / Londra, Cornell
sostenere le rivendicazioni di quelle nazioni all’indipendenza, in Grecia la laografia diventa University Press, 1998, p. 14.
oggetto di studio e disciplina accademica quasi un secolo dopo l’indipendenza. Il primo studio 20
Odysseas Elytis, The Public and the Private [Ta Dimossia kai ta idiotika], 1990, pp. 8-9, tradotto
accademico approfondito sulla laografia ad opera di Nikolaos Politis - illustrato da Dimitris da Artemis Leontis. Anche se questa particolare raccolta di poesie è posteriore a Pikionis,
Pikionis - fu pubblicato nel 1918. Odysseas Elytis, vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 1979, inserì spesso questi
6
Si tratta di un’affermazione dal lingnaggio lungo e complesso. Si veda Stathis Gourgouris, tipi di analogie nel suo lavoro.
Dream Nation: Enlightenment, Colonization and the Institution of Modern Greece, Stanford, Stanford 21
Il testo spiega le diverse ragioni per cui Pikionis ritenesse che non avesse alcun senso orga-
University Press, 1996. Si veda anche Michael Herzfeld, op.cit. nizzare il CIAM IV ad Atene. Tra i motivi citati vi era lo stato terribile della città, ovvero quanto
7
Kenneth Frampton, “For Dimitris Pikionis,” in Dimitris Pikionis, architect 1887-1968. A Sentimental avrebbe stonato con le “soluzioni ideali” discusse dai delegati, e il fatto che i giovani architetti
Topography, Londra, Architectural Association, 1989, p. 9. greci non avrebbero dovuto “soccombere passivamente” a dogmi come quello sulle “condi-
8
Klaus Vrieslander e Julio Kaimi collaborarono con Pikionis anche in una rivista progressista, zioni meccaniche contemporanee’”: “Pensieri su un convegno” [Gyro apo ena Synedrio], 1933,
forse l’equivalente più vicino a una pubblicazione d’avanguardia nella Grecia dell’epoca. The Pikionis: Texts, pp. 168-70.
Third Eye [To Trito Mati] Journal (1935-1937), è stato co-curato da Pikionis e dall’artista Nikos 22
Dimitris Pikionis, “Our Popular Art and Ourselves”, p. 65.
Chatzikyriakos-Gikas. Come anticipato sulla copertina della rivista, The Third Eye ha pubblicato 23
Dimitris Pikionis, “A Sentimental Topography” (1935), in Dimitris Pikionis, Architect 1887-1968,
articoli su “musica, arte, poesia, teatro, etnografia, gioventù e filosofia”. Londra, Architectural Association, 1989, p. 68.
9
L’esempio che ho in mente, anche se del tutto diverso in scala, forma o ambizione, è la Casa 24
Per ulteriori informazioni sul lavoro di questa commissione e sul coinvolgimento di Pikionis,
del postino Cheval, costruita con pietre trasportate per lo più a mano dal solo Ferdinand Cheval, si veda Yorgos Simeoforidis “The Architects and the Attic Landscape 1953-1963”in Yiannis
tra il 1879 e il 1892. Aesopos, Olga Simeoforidi e Yorgos Tzirtzilakis (a cura di), Dielefseis: Texts about Architecture
10
Nonostante la collaborazione con laografi, soprattutto nel corso degli anni Trenta, Quaranta and Metapolis, Atene, Metapolis Press, 2005, pp. 113-127.
e Cinquanta, Pikionis non considerava i suoi studi “etnografici”, ma parte integrante della sua 25
Due “Villaggi” da Mykonos e qualche idea più generale su di essi [Dyo “Choria” ap’ti Mykono kai
opera architettonica. La mia tesi è che la dettagliata analisi e l’interesse a documentare come merikes Pio genikes skepseis Mazi tous], Atene, 1947, p. 12.
i vari aspetti del quotidiano si vivessero all’interno di questi edifici anonimi, inclusa la cultura 26
Konstantinidis era un fotografo degno di nota. L’ultimo libro pubblicato prima della morte era
materiale al suo interno, da mobili a utensili da cucina, fosse più simile alla ricerca etnogra- una raccolta di fotografie scattate in momenti diversi durante la sua vita. Dal titolo Costruito da
fica che all’architettura - o almeno era un’architettura fortemente influenzata da e coinvolta Dio [Ta Theoktista] del 1993, include immagini di Mykonos, forse scattate intorno al periodo del
nell’etnografia. libro discusso in questa sezione.
11
Richard Neutra, Survival Through Design, Londra / Oxford, Oxford University Press, 1969. 27
“Sento qualcosa che si muove nel profondo del mio cuore - un aprirsi - i ricordi e il fuoco
12
Dimitris Philippidis, “A return to the roots”, Capitolo 5, Modern Greek Architecture: Theory bruciano ancora. Forse l’esitazione, la sorpresa e l’incertezza insieme alla malriposta incre-
and Practice (1830-1980), ) As a Reflection of Ideological Choices of Greek Culture, Atene, Melissa, dulità iniziale. Il primo dolce incontro ritorna con più forza, il primo bacio e l’abbraccio - i
1984, pp. 149-181. tanti abbracci stretti - e l’amplesso infinito, con tutta la natura “. Da Due “Villaggi” da Mykonos,

268 269
paragrafo di apertura, p. 9. 40
Doxiadis pubblicò la sua tesi di laurea, completata in un anno, come Raumordnung im grie-

LA NATURA E IL POPOLO | Ioanna Theocharopoulou


28
Ibid., p. 10. chischen Städtebau, (Heidelberg, Berlin, K. Vowinckel, 1937).Venne tradotta in inglese dal sua
29
Dato che all’epoca non vi erano altre donne laografe che lavorassero sugli edifici, questo collega Jaqueline Tyrwitt come Architectural Space in Ancient Greece, Cambridge, The MIT Press,
commento piuttosto crudele era chiaramente diretto contro di lei. Nonostante Chatzimihali 1972. Konstantinidis probabilmente ha lavorato con Doxiadis durante questo periodo, come
avesse trascorso tutta la sua vita in villaggi isolati studiando e raccogliendo materiali e manufatti impiegato del Dipartimento di Urbanistica dal marzo 1939 all’inizio della guerra (1940), per poi
preziosi, per Konstantinidis anche lei non aveva veramente capito ciò che era essenziale per il tornare a lavorare presso questo reparto fino al 1953.
vernacolare, e secondo lui, necessitava di mani “più forti”. Ibid., p. 25. 41
John Papaioannou, “C.A. Doxiadis’ Early Career and the Birth of Ekistics,” in Ekistics 247, giugno
30
Ibid., p. 26. 1976, p. 315. Anche se alcune informazioni statistiche di questa indagine esistono ancora, la
31
Ibid., p. 14. maggior parte di questo materiale fu completamente distrutta da un incendio durante o dopo
32
Konstantinidis ha scritto: “L’uomo-laos [...] anche lui è una parte della natura ed è sbocciato la guerra.
sulla terra come un cespuglio, un albero, un fiore. E quando costruisce la sua dimora si erge 42
Lavorando con il gruppo Midas 614 organizzato da Ioannis Tsigantes, un eroe della Resistenza,
come un prolungamento del suo corpo e della sua anima e della sua proprietà. Egli presenterà il gruppo di Doxiadis fornì informazioni sui trasporti ferroviari, ponti e il tipo di strutture che
ancora di nuovo le curve delle cime dei monti, le sezioni del paesaggio stesso. Così, alla fine, avrebbero potuto costituire obiettivi per la Resistenza, così come informazioni generali sul
anche lui diventerà paesaggio nella sua terra - perché l’uomo è anche paesaggio - fintanto che funzionamento dello stato durante l’occupazione e le opere militari costruite dalle forze di
rimane laòs e non diventa alieno alla natura “. Ibid., p. 15. occupazione. Si veda Constantinos A. Doxiadis: Texts, Design Drawings, Settlements, p. 339.
33
Per la lettura attenta di questo libro nel contesto dell’urbanistica ateniese del Ventesimo 43
Konstantinidis, Chorotaxia Journal, 1942, p. 7.
secolo e della cultura nazionale, si veda Ioanna Theocharopoulou, Tesi di dottorato, 2007. 44
Scritti di Papaioannou in Ekistics 247, giugno 1976, p. 314. Ringrazio il signor Panagis Psomo-
34
Two “Villages” from Mykonos, p. 33. poulos, editore di Ekistics, per avermi indirizzato a questo numero della rivista.
35
L’influenza di architetti educati in Francia fu meno pronunciata (Frederich Boulanger, Ernst 45
Il termine chorognosìa era un ennesimo nuovo termine che Doxiadis stava cercando di intro-
Troumpe, l’urbanista Hébrard furono alcuni tra i più importanti). Konstantinidis non menziona durre, insieme ad altri rami di quest’altra “nuova scienza”: “Antropoecologia”, “Fitoecologia” e
nessuna delle loro opere in particolare. Piuttosto parla degli “europei”, sempre tra virgolette, “Zooecologia” [anthropooikologìa, phytooikologìa, zooecologìa]: vedi Chorotaxìa Journal, 1942, p. 3.
come se in realtà non credesse nell’esistenza di questi esseri o per sottolineare l’ironia del 46
Nel dopoguerra un tentativo esplicito di Doxiadis per implementare le sue idee sul vernacolare
rapporto conflittuale dell’Europa con la Grecia e la Grecia classica. fu il progetto per la società “Aluminion de Grece” (1961-1975) di Aspra Spitia [Case bianche],
36
Riecheggiando soprattutto Adolf Loos, Konstantinidis ha anche scritto che “solo il tempio una cittadina industriale sulla costa del Peloponneso vicino a Delfi. Là Doxiadis Associates
(casa di Dio) e la tomba hanno il diritto di essere monumenti” (Le vecchie case ateniese, p. 27). lavorò sia nella pianificazione sia come architetto, sviluppando alcuni tipi di abitazione stan-
Konstantinidis ha anche discusso l’utilizzo di materiali contemporanei e soprattutto del vetro dardizzati, utilizzando materiali locali, e cercando di ricreare la sensazione di “una città greca
per “portare il paesaggio all’interno della casa, negli angoli più nascosti ...” (ibid. p. 45) in un del passato”. Nonostante i suoi sforzi, e in parte per difficoltà finanziarie, Doxiadis non riuscì
modo che ricorda scritti e disegni di Le Corbusier. a vedere il progetto completato prima della sua morte. Per saperne di più su Aspra Spitia, si
37
Questo è un cliché usato dagli intellettuali fin dall’Illuminismo greco, come analogia di tutto veda Constantinos A. Doxiadis, Texts, Design Drawings, Settlements.
lo stato della cultura/nazione greca durante l’occupazione ottomana. Per esempio, si veda la 47
Thessalikai Oikiseis [Abitazioni dalla Tessaglia], Atene, Ypourgion Anoikodomiseos, 1946.
frase di George Seferis “il risveglio della razza”, in un saggio risalente al 1938-9, Dokimes A,
tradotto come On the Greek Style. Selected Essays in Poetry and Hellenism, Boston /Toronto, Little
Brown and Company 1966, p. 93.
38
Tuttavia, in contrasto con le opinioni di Konstantinidis in questo libro, voglio sottolineare come
alla fine del Diciannovesimo secolo e inizio del Ventesimo secolo queste umili case neoclassiche
erano diventate un nuovo vernacolare urbano. Questa nuova architettura popolare/vernacolare
si era rapidamente diffusa in tutto il Paese, sempre comunque associata (come Kostantinidis
ha giustamente sottolineato), con l’idea di rinascita nazionale.
39
Il motivo per cui il lavoro di Doxiadis è rimasto oscuro fino ad oggi soprattutto tra gli storici
dell’architettura greca è legato all’inizio della guerra civile e la conseguente polarizzazione
politica degli intellettuali che durò fin dopo il 1970, si accentuò durante il regime della giunta
militare (1968-1974) e, certamente, durò fino alla morte di Doxiadis nel 1975. Doxiadis era
considerato di destra, anche dell’estrema destra, e fu perfino sospettato di spionaggio per
gli americani e gli inglesi. Inoltre, Doxiadis lasciò un enorme archivio per molti anni rimasto
inaccessibile. Questa situazione è cambiata: l’archivio ora è aperto agli studiosi e nel 2007 si è
tenuta una grande mostra presso il Museo Benaki sul suo lavoro: si veda Constantinos A. Doxiadis:
Texts, Design Drawings, Settlements (Constantinos A. Doxiadis: Testi, disegni di progettazione,
insediamenti), Atene, Museo Benaki, 2007.

270 271
NORD
La critica anti-mediterranea
nella letteratura dell’architettura moderna.
I Kulturarbeiten di Paul Schultze-Naumburg
Kai K. Gutschow 08
Nelle aspre battaglie per definire l’architettura moderna in Germania all’inizio del Ventesimo
secolo, immagini propagandistiche scelte oculatamente giocarono un ruolo determinante nel
plasmare tanto l’opinione pubblica quanto la professione1. Architetti su tutti i fronti dei dibattiti
si servirono della nascente cultura mediatica del giorno per rendere memorabili e facilmente
comprensibili i loro, spesso complessi, argomenti. Molte delle immagini più potenti sono state
create sulla scia della grande mostra sulle abitazioni di Weissenhof nel 1927 a Stoccarda, proget-
tate da un gruppo di famosi architetti moderni provenienti da tutta Europa. Il noto libro dallo
stesso anno di Walter Curt Behrendt, per esempio, ha utilizzato una visione eroica e patriottica
del Weissenhof Siedlung per annunciare la “vittoria del nuovo stile di costruzione”2. Immagini
simili vennero strategicamente collocate su copertine e frontespizi dei libri di Ludwig Hilber-
sheimer, Adolf Behne e del Werkbund tedesco per celebrare l’arrivo dell’architettura moderna3.
Anche se meno noti, gli avversari tedeschi del nuovo stile di architettura furono altrettanto effi-
caci nel promuovere i loro messaggi contrari, spesso con immagini simili, anche se in contesti
molto diversi. Nel suo popolare libro, Das Gesicht des Deutschen Hauses (Il volto della casa
tedesca, 1929), per esempio, l’architetto e critico tedesco Paul Schultze-Naumburg contrappose
una vista del Weissenhof Siedlung con una vista pittoresca di un villaggio balneare dell’isola
greca di Santorini4. Per i lettori alla ricerca dell’ideale mediterraneo nell’architettura moderna,
le immagini provano quanto i prismi rettangolari bianchi dal tetto piatto, collocati asimmetri-
camente, dell’architettura moderna in Germania fossero strettamente connessi a forme senza
tempo del vernacolare mediterraneo. In seguito, comparazioni simili con l’architettura vernaco-
lare italiana vennero utilizzati da modernisti italiani come Giovanni Michelucci per dimostrare
le radici mediterranee e i valori senza tempo delle loro forme5.
Ma il contesto delle illustrazioni di Schultze-Naumburg ha prodotto una lettura molto
diversa. Offrì le immagini fotografiche comparative come prova delle forme “estranee” e stiliz-
zate dell’architettura moderna. La nuova architettura, sosteneva, era “non-tedesca” nella sua
fisionomia e incompatibile con la pioggia, la neve e il clima freddo del Nord. Egli affermò che i
tetti piatti e le semplici forme cubiche erano state sviluppate in “Oriente”, nel calore del Medi-
terraneo, e che erano culturalmente inappropriate e funzionalmente non idonee per le colline di
Stoccarda6. I paralleli dell’architettura moderna con forme straniere, per Schultze-Naumburg,
erano segni di una “rottura” o di un “deragliamento” della naturale evoluzione della buona
architettura tedesca e, forse, indici anche della “fine” dell’anima del Volk tedesco7. La sua
critica era in linea con quelle di altri critici conservatori che biasimarono la zona residenziale
modernista come un “Villaggio arabo” o una “Piccola Gerusalemme”, o come “Bolscevica”
nello spirito 8. Un famoso fotomontaggio, venduto come cartolina, rese visibili queste critiche,
mostrando un mercato di strada “arabo”, completo di cammelli e leoni, nelle vie del quartiere
Weissenhofsiedlung.
Queste e altre critiche anti-mediterranee dell’architettura moderna, erano solo parte di una
campagna pubblicitaria di lunga durata che Schultze-Naumburg aveva lanciato sia individual-
mente sia in sintonia con alcune delle più influenti organizzazioni di riforma culturale della
Germania. Come sarà discusso qui di seguito nel saggio, le origini di questi attacchi, sia il conte-
nuto che le tecniche grafiche, risalgono alle discussioni ottocentesche sull’identità tedesca e il
8.1. Carta postale del Weissenhofsiedlung in Stoccarda trasformata in villaggio arabo, per dimostrare la carattere nazionale e, nel caso di Schultze-Naumburg, all’inizio della sua carriera come artista
nature ‘straniera’ e ‘mediterranea’ dell’architettura moderna, 1940. © Stadtarchiv Stuttgart, Sammlung nel movimento Arts and Crafts. Quello che nel 1890 era iniziato come un tentativo di lavorare
Weissenhof.
275
Solo pochi mesi prima della mostra di Weissenhof, per esempio, la rivista populista Der Uhu

LA CRITICA ANTI-MEDITERRANEA NELLA LETTERATURA DELL’ARCHITETTURA MODERNA | Kai K. Gutschow


incaricò Schultze-Naumburg e Walter Gropius di discutere le diverse posizioni sull’architet-
tura moderna nell’articolo “Chi ha ragione? I metodi costruttivi tradizionali o le nuove forme
di costruzione?” Schultze-Naumburg sostenne che gli architetti tedeschi si erano divisi in due
fazioni: quelli che consapevolmente respingevano il loro patrimonio nordico in favore di prece-
denti esotici e quelli che cercavano di ravvivare consuetudini costruttive tedesche provate nel
tempo. Le due posizioni erano chiaramente illustrate da immagini comparative per tutto il
corso dell’articolo, contrapponendo la “Nuova Costruzione” di Gropius, Mies van der Rohe, Le
Corbusier e Karl Schneider ad alcuni disegni di case di campagna, opera di Schultze-Naumburg
medesimo. Nel suo testo, Schultze-Naumburg espresse frustrazione nel vedere quanti architetti
tedeschi “non si sentissero richiamati dal loro sangue alle forme della famiglia nordica” e che
tante case moderne intorno a lui fossero basate su quello che lui sentiva essere influenze “asia-
tiche, indiane o negre”9. I numerosi artisti e architetti moderni ispirati da culture dall’”Est”, dal
lontano e dal vicino Oriente e dal bacino del Mediterraneo, solo confermavano Schultze-Naum-
burg nell’opposizione alla nuova architettura e nei pregiudizi nei confronti del Mediterraneo.
Schultze-Naumburg, invece, implorò i tedeschi di riallacciarsi alle proprie tradizioni nordiche.
Ma che cos’era l’architettura “tedesca” o “nordica”? La questione ha una storia lunga e compli-
cata ed è una delle questioni chiave—ora però spesso trascurata—che ha contribuito a definire
lo sviluppo dell’architettura moderna in Germania. A partire da Goethe i tedeschi avevano
promosso il Gotico come stile nostrano e adeguatamente nordico nel carattere, un sentimento
ravvivato nel Ventesimo secolo da artisti espressionisti, la prima Bauhaus di Gropius e altri10.
Ma Schultze-Naumburg ammise che i tedeschi erano sempre stati affascinati e avevano perfino
una predilezione speciale per assimilare aspetti di culture straniere e anche esotiche, iniziando
questo processo con il Classicismo nel Rinascimento. Egli stesso prediligeva un classicismo
borghese semplificato che, sosteneva, col passare del tempo era diventato “di matrice tedesca”11.
Il suo tentativo a senso unico di ravvivare le convenzioni vernacolari locali per una moderna
architettura tedesca lo indusse a trascurare il fatto che altri critici hanno visto il classicismo
come importato “dal Sud”, non diversamente da Santorini. L’architetto modernista di origine
ebraica Erich Mendelsohn, attaccato in misura crescente dai conservatori, in seguito rimproverò
a Schultze-Naumburg di aver convenientemente “ignorato” che il Mediterraneo era alla base
di tutta la cultura occidentale.12

La ricerca di un’architettura moderna


L’accusa di Schultze-Naumburg contro l’architettura mediterranea nasceva da una serie di
interconnesse convinzioni teoriche e personali. Durante i primi decenni del Reich tedesco appena
costituito, un pervasivo nazionalismo romantico portò molti artisti e ideologi come Schult-
8.2. L’isola di Mykonos e una vista del Weissenhofsiedlung, Stoccarda. Alla sinistra, casa da Hans ze-Naumburg a “inventare” tradizioni per il nuovo paese13. In qualità di leader del movimento
Scharoun, alla destra il blocco residenziale dall’architetto Karl Beer. © Paul Schultze-Naumburg, Das Arts & Crafts tedesco e direttore di un importante laboratorio regionale di arti applicate, aveva
Gesicht des deutschen Hauses, 1929. anche un interesse culturale e commerciale nella promozione delle locali tradizioni artigianali.
In un mondo in rapida globalizzazione, organizzazioni come il Werkbund e la Heimatschutzbund
contro l’eclettismo e la progettazione “senz’anima”, ben presto assunse implicazioni profonde (Associazione per la Protezione della Patria) tedeschi—alla fondazione di entrambi i quali aveva
nel plasmare lo sviluppo dell’architettura moderna in Germania. Gli attacchi contro le influenze contribuito—cercarono di definire le caratteristiche di che cosa significava essere “Made in
straniere, e le relative tecniche di propaganda, divennero sempre più duri e polarizzanti dopo il Germany”14. Questa tendenza finì per sovrapporsi al crescente interesse verso l’antropologia
1925, quando l’architettura e la progettazione moderne apparentemente aliene cominciarono a culturale, nonché l’eugenetica, come modo di organizzare ciò che era “locale” e “autentico”.
far presa in Germania, non solo con l’avant-garde, ma anche con amministrazioni municipali, Il tentativo dello stesso Schultze-Naumburg di definire un’architettura moderna tedesca
cooperative edilizie non a scopo di lucro, associazioni dei lavoratori e con il pubblico in gene- cominciò poco prima dell’inizio del secolo, quando, ventinovenne pittore, designatore e critico
rale. Anche se spesso inserite in dibattiti modernisti su forma e funzione, le proteste contro la tedesco, si lamentava, “Non abbiamo una casa moderna”15. Per moderna intendeva “realistica
“Nuova Costruzione” (Neues Bauen) rivelavano sempre più spesso un profondo nazionalismo, ... [in sintonia con] gli ideali del nostro tempo”16. Invece dell’architettura falsa della seconda
razzismo e antisemitismo, anche dove non c’erano connessioni ebraiche o mediterranee palesi. metà del secolo Diciannovesimo, che secondo lui troppo spesso era una semplice copia dell’ar-

276 277
chitettura storica, egli reclamava edifici moderni (dal latino modo che significa “del giorno”)

LA CRITICA ANTI-MEDITERRANEA NELLA LETTERATURA DELL’ARCHITETTURA MODERNA | Kai K. Gutschow


che fossero funzionali, chiari, contemporanei e locali. Determinato nella sua missione, Schul-
tze-Naumburg lanciò una campagna di propaganda trentennale per creare un’architettura
riformata specifica e appropriata per la Germania moderna.
Partì dalla premessa che arte e architettura buone emergono spontaneamente da una combina-
zione specifica di luogo, cultura e tempo. Ipotizzò che, per un lungo periodo di tempo, generazioni
di progettisti anonimi, artigiani e utenti finali avevano definito una tradizione vernacolare derivata
dagli ideali e dalle esigenze sia fisiche che spirituali fondamentali delle popolazioni locali (Volk).
Laddove gli elementi architettonici non si potevano legare alle tradizioni specificamente tede-
sche, Schultze-Naumburg postulò l’affinità a una più ampia razza, cultura e clima “nordiche”
che comprendevano Inghilterra, Scandinavia e la grande Germania. Nel corso di questa evolu-
zione naturale, forme specifiche si sono adattate di continuo a esigenze e condizioni mutevoli,
ma l’essenza complessiva ha opposto resistenza alle oscillazioni dello stile, alla moda e alla
manipolazione intenzionale da individui. Egli dichiarò che le esigenze funzionali e materiali del
momento erano sempre state rispettate e bilanciate con le qualità immateriali necessarie a
creare una casa adeguata.
Al centro della prima campagna di Schultze-Naumburg per definire un’architettura moderna
si trova il suo libro in più volumi Kulturarbeiten (Opere culturali), iniziato nel 1900, che comincia
con la seguente dichiarazione:
Lo scopo [di questi libri] è quello di lavorare contro la terribile devastazione del nostro paese
in tutti i settori della cultura visibile. Attraverso una costante ripetizione di esempi buoni e
cattivi, i libri costringeranno anche gli occhi più inesperti a confrontare e a pensare. Inoltre,
essi risveglieranno una consapevolezza del buon lavoro svolto prima della metà del Dicianno-
vesimo secolo e in tal modo contribuiranno a riconnettersi e a continuare con i chiari metodi
di lavoro della tradizione17.
Per Schultze-Naumburg, la strada verso una moderna casa tedesca poteva essere determi-
nata usando tradizioni locali come una guida e non immagini provenienti dall’estero come,
suggerirebbe più tardi, avevano fatto gli architetti moderni a Weissenhof. Indizi di perduranti
tradizioni si sarebbero trovati nella più recente epoca “sana” dell’architettura tedesca, l’archi-
tettura vernacolare Um 1800 (Intorno al 1800), prima della comparsa di stili eclettici alla metà
del Diciannovesimo secolo.
Ribadì il suo punto con più forza con un confronto grafico e didattico di due case ordinarie.
Nel considerare una residenza più vecchia nei pressi di casa sua a Saaleck, nel centro della
Turingia, scrisse:
L’una è una semplice casa con giardino, non un capolavoro architettonico, solo una semplice
casa accogliente come era del tutto naturale nel Diciottesimo secolo [quando fu costruita].
Ma che grazia, che presenza, che espressione veritiera in tutto, dalla porta fino alla tegola
più alta .... [La sagoma del tetto] riflette appieno la sua funzione, portatrice di una nobile
camera ariosa dalla quale guardare verso il fiume e più oltre la valle18.
Ammirava il semplice, onesto artigianato, le forme funzionali, il rapporto appropriato con il
paesaggio tedesco circostante e quella che considerava una bellezza senza tempo. La sua
analisi della casa copriva ogni livello di dettaglio, sempre in tono di lode, invogliando il lettore
a fidarsi della bontà intrinseca della vecchia architettura vernacolare locale della Germania
centrale. Sottolineava attento che le due finestre trompe-l’oeil dipinte al piano superiore erano
sfortunate, anche se caratteristiche aggiunte tardo-ottocentesche.
Nel confronto tra la vecchia casa con giardino e una tipica villa di recente costruzione in uno 8.3. Prima pagine dell’articolo “Chi ha ragione?”, firmato da Schultze-Naumburg e Gropius e paragonando
dei crescenti sobborghi dell’area metropolitana di Berlino, si lamentò: una casa Neues Bauen con una tradizionale casa di campagna. © Der Uhu, vol.2, 1926.
8.4. Il primo confronto didattico negli Kulturarbeiten, mostrando una casa tipo Um 1800, ammirata da
E ora l’altra. Perché ridiamo così? Non è divertente, ma terribilmente triste … È il tipo di
Schultze-Naumburg (sinistra); e una casa suburbana della periferia di Berlino, che lui abborisce (destra).
casa che si vede ovunque, centinaia e migliaia ne spuntano fuori spietatamente dalle rovine
© Paul Schultze-Naumburg, Hausbau, Kulturarbeiten 1, 1904.

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di una bella, onesta, civile, cultura comune. Sì, è questa la piccola casa ‹elegante› che oggi come le teorie di Schultze-Naumburg si svilupparono a partire da una tendenza nell’architet-

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si può trovare qui nei sobborghi di Berlino e quasi ovunque19. tura moderna tedesca ad allontanarsi da tradizioni straniere e stili eclettici, nel lungo periodo
Continuò criticando i suoi ornamenti “inutili” e sovrabbondanti, rimproverando la miscela di stili contribuendo anche a plasmarla, e verso una valorizzazione della regione e del luogo come un
classici “stranieri” che erano stati “incollati” dall’avido costruttore speculatore e pure condannò determinante importante dell’architettura moderna. Fa quindi parte di un crescente corpo di
le camere più piccole, meno gradevoli e meno funzionali al loro interno. 20 Commentò su una letteratura che mette in discussione la narrazione dominante dell’architettura moderna come
mancanza di Sachlichkeit, o semplicità nel disegno, con cui intendeva che gli ideali di chiarezza basata principalmente su “funzionalismo” e “internazionalismo” e rafforza il pensiero revi-
e di funzione in senso comune non erano stati rigorosamente applicati nel determinare le forme sionista che ha iniziato a rivalutare l’importanza del luogo e del vernacolare nella formazione
della casa21. La sua critica si estese anche alla posizione delle case: l’una radicata nel paesaggio dell’architettura moderna30.
tedesco, l’altra parte di un quartiere negligentemente organizzato. Mi concentrerò su tre temi per chiarire questo punto. Il primo fu la critica di Schultze-Naumburg
Questo confronto introduceva i più importanti temi architetturali e metodi di propaganda che dell’ambiente costruito contemporaneo, che lui vide come contaminato da elementi “stranieri”
Schultze-Naumburg promosse attraverso tutti i polemici e populisti Kulturarbeiten che pubblicò e identificò con una psiche nazionale indebolita. Il secondo implicava l’identificazione di una
tra il 1900 e il 1929. La sua visione critica della professione architettonica internazionale, la serie di ideali senza tempo e di una tradizione nazionale sana all’interno della Heimat (patria)
sua difesa dell’artigianato locale e della tradizione per combattere i malanni architettonici tedesca su cui innestare ulteriori sviluppi. Terzo, fu la necessità di sfruttare i progressi positivi
contemporanei e il suo modo di fare proselitismo hanno portato alcuni storici a vedere i Kultu- portati dalla modernizzazione al fine di creare un’architettura rispettosa dell’intramontabile
rarbeiten come collegamenti importanti dal Classicismo vernacolare del Diciannovesimo secolo tradizione e cultura tedesca ma capace di sposare il mondo moderno, contemporaneo.
al Postmodernismo e al presente22. Altri hanno elogiato i libri perché per primi aiutarono ad
attirare l’attenzione del pubblico sulla bellezza dei paesaggi culturali vernacolari ordinari, così La critica nei Kulturarbeiten
come sull’ambiente. Gli scritti di Schultze-Naumburg furono, infatti, determinanti negli sforzi Schultze-Naumburg condivise una ripugnanza per l’architettura e la progettazione tardo-ot-
per istituire alcuni dei primi movimenti nazionali di base per la conservazione storica, così tocentesche con i sostenitori contemporanei dell’architettura realista e sachlich, nonché con
come per organizzazioni di tipo Heimatschutz (protezione del territorio) a sostegno della cura posteriori architetti tardo modernisti e propagandisti. I Kulturarbeiten lottarono contro tre
e riabilitazione di ambienti antropici e naturali.23 sviluppi interconnessi attraverso uno sforzo concertato di critica e rifiuto. In primo luogo,
Più spesso, però, i Kulturarbeiten vengono analizzati alla luce cupa degli scritti successivi, più lavorarono contro lo storicismo stilistico, l’eclettismo ornamentale e le influenze straniere
ideologicamente motivati, che ​​ fecero di Schultze-Naumburg uno degli ideologi più rabbiosamente che, in Germania, raggiunsero il loro apice durante il boom edilizio del Gründerzeit (tempo del
conservatore e influente dell’arte e architettura nazista24. Gli storici vedono questi primi libri, fondatore), gli anni prosperi immediatamente successivi all’unificazione tedesca del 1871. Egli
o come gli ultimi rantoli di un romantico, arretrato, storicismo ottocentesco, 25 o come chiavi riteneva che i tedeschi, in quanto nuova nazione e miscuglio di molti gruppi culturali, fossero
di volta proto-naziste dell’anti-modernismo tedesco, sofferente di ciò che Fritz Stern ha chia- particolarmente suscettibili a essere attratti e influenzati da idee straniere31.
mato la “patologia della disperazione culturale”26. Le comuni storie dell’architettura moderna Schultze-Naumburg sostenne l’adozione di ideali “realistici” in accordo con il presente e il locale,
considerano l’opera dell’intera vita di Schultze-Naumburg, compresi i primi Kulturarbeiten, invece di imitare il gotico o il rinascimentale, stili del passato lontano o di lidi lontani32. Si lamentò
contaminata da un pensiero conservatore reazionario che portò in modo deterministico all’i- ripetutamente delle forme unsachlich (soggettive) nell’architettura recente creata per situazioni
deologia architettonica nazista27. dove non vi era nessuna esigenza. Sentiva che l’uso inappropriato di ornamenti pseudo-storici
Come parte di uno sforzo di rintracciare i sentimenti anti-mediterranei in opere più tarde di aveva portato a una confusione di tipologie e stili costruttivi in tutta la Germania moderna e lo
Schultze-Naumburg, sosterrò una posizione contraria all’interpretazione dei Kulturarbeiten condusse a protestare: “Le case dei lavoratori erano come palazzi, i palazzi come chalet svizzeri,
deterministicamente come casi di “disperazione culturale” o come architettura nazista avant- le case coloniche come prigioni, le prigioni come chiese, le chiese come stazioni ferroviarie”33.
la-lettre. Sebbene i Kulturarbeiten fossero senza dubbio precedenti importanti per l’ideologia In secondo luogo, Schultze-Naumburg inveì contro i molteplici tentativi sperimentali alla fine
nazista, che Schultze-Naumburg più tardi contribuì a formulare, il loro contenuto e il loro del secolo di inventare stili architettonici totalmente nuovi come Art Nouveau, lo stile della
formato posero le basi per tutta una serie di architetti e critici moderni che lavorarono durante Secessione e lo Jugendstil tedesco. Questi stili evitarono di ricopiare apertamente forme del
il periodo di massimo splendore dell’avant-garde modernista nella Germania di Weimar. Essi passato ed erano apparentemente in sintonia con il mondo moderno, ma lui li vide come sviluppi
illustrano perfettamente uno dei paradossi di questo periodo in Germania: riformatori che arbitrari, innaturali e inorganici sul suolo tedesco. Schivando completamente tutte le convenzioni
intorno all’inizio del secolo avevano sostenuto teorie architettoniche molto simili, proseguirono dell’architettura stabilita, che Schultze-Naumburg chiamò architettura wahrhaftig (veritiera),
fino a caldeggiare posizioni ideologiche e architettoniche radicalmente diverse ora del 1933. La esse divennero tendenze superficiali, soppiantandosi l’una l’altra in rapida successione come i
linea che divise il campo dell’architettura moderna progressista e rivolta al futuro dal campo cambiamenti insipidi della moda e, quindi, inadeguate per una architettura nazionale moderna34.
conservatore, reazionario e rivolto al passato, non fu così netta come gli storici operanti sotto Al punto in cui Schultze-Naumburg pubblicò le ultime edizioni dei Kulturarbeiten, egli era arrivato
lo spettro del fascismo, stalinismo e guerra fredda a volte ci hanno portato a credere.28 a vedere le forme astratte, bianche del movimento moderno o del Neues Bauen, come veniva
Focalizzando l’attenzione sui primi scritti di Schultze-Naumburg, piuttosto che sui suoi progetti chiamata in Germania, sotto la stessa luce: uno stile messo insieme artificialmente con scarsa
architettonici tradizionalisti o sull’ambito dei suoi tardi scritti eugenetici, questo saggio trasfe- attinenza a esigenze funzionali e culturali locali.
risce il suo abbraccio della cultura locale e il suo latente atteggiamento anti-mediterraneo entro In terzo luogo, Schultze-Naumburg affrontò quella che considerava essere l’architettura di
i dibattiti d’inizio del secolo sulla riforma dell’architettura moderna in Germania, all’incrocio tra bassa qualità, impoverita e schematica che caratterizzava la stragrande maggioranza degli
tradizione e progresso, che hanno portato non solo a un nazionalismo conservatore, ma anche, edifici ordinari costruiti di recente nel paesaggio tedesco 35. Camminando per la sua città natale
dopo la prima guerra mondiale, a una moderna architettura funzionalista29. Esso dimostra sentiva che l’architettura più recente mancava della spiritualità, dell’armoniosità e dell’onesta

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funzionalità degli edifici più vecchi. I materiali da costruzione e la decorazione, artificiali,, brutti

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e prodotti in serie esprimevano un senso di artificiosità trascurata e senza cuore. Egli sentiva
che forme innaturali come i tetti piatti ignoravano solide tradizioni artigianali ed erano destinate
a fallire nel clima tedesco 36.
La critica di Schultze-Naumburg si estese ben oltre la semplice architettura, a un ventaglio
particolarmente ampio di attuazione della filosofia romantica del Gesamtkunstwerk (opera
d’arte totale) e del movimento Arts & Crafts, che si era infiltrato in Germania dall’Inghilterra.
I Kulturarbeiten affrontarono “tutti i settori della cultura visibile”, l’intero paesaggio tedesco,
costruito e naturale, il materiale, l’ambientale e il culturale.37 A partire da un volume sulla casa
tedesca, il tema centrale degli sforzi di riforma architettonica del suo tempo, egli divise la sua
analisi completa in una serie di sezioni, ciascuna coperta in un unico volume38. Se combinato
con saggi precedenti sull’interno domestico, sul gusto nelle belle arti e sulla moda femminile,
lo spettro copriva quasi tutto ciò che era stato plasmato da mani tedesche39.
Questo approccio onnicomprensivo, per esempio, portò Schultze-Naumburg a dedurre da due
fotografie di una testa di ponte in Saale, scattate dallo stesso punto a quindici anni di distanza,
che la fisionomia dell’intero paesaggio culturale tedesco stava andando progressivamente in
rovina. Esortò i suoi lettori a non abbassare la guardia, a lottare contro la tendenza a vedere
tutti gli sviluppi attuali come “egualmente logici e dunque giustificati”, una mentalità che, ha
sostenuto, avrebbe “portato alla mentalità orientale, che semplicemente e passivamente aspetta
il suo destino”40. Se questi sviluppi fossero continuati, sentiva, presto la Germania avrebbe
avuto “il volto crudo e infelice di una nazione depravata in cui scopo stesso della vita era stato
sprecato”41. Anche se la mira era diretta contro l’esotico e arabo “Oriente” più che contro il
Mediterraneo, questi tentativi di separare il germanico “Nord” dal pigro “Sud” e l’attivo e arti-
sticamente appassionato “Ovest” dal “primitivo” e passivo “Est” erano comuni negli scritti dei
riformatori dell’epoca, anche se spesso invertiti nei termini dei loro pregiudizi42.
Queste prime correlazioni fisionomiche di cultura visiva e identità nazionale implicarono non
solo valori estetici, ma anche valori sociali. Schultze-Naumburg prese i suoi spunti da critici 8.5. Confronto da Paul Schmitthenner tra la casa di Hans Scharoun nel Weissenhofsiedlung, “macchina per
culturali tedeschi come Ferdinand Tönnies e Julius Langbehn, nonché da riformatori inglesi di vivere” (sinistra), e la casa nel giardino—detta Casa di Goethe—in Weimar (destra). © Paul Schmitthenner,
Arts & Crafts come Augustus W.N. Pugin, John Ruskin e William Morris, i cui scritti erano stati Baugestaltung, erste Folge, 1932.
ampiamente tradotti in Germania. Egli mise sullo stesso piano un ambiente costruito devastato 8.6. Due case vernacolare tipo Um 1800 nel libro di Paul Mebes. © Paul Mebes, Um 1800, 1920, 3rd edizione.
con un carattere nazionale debole e un destino nazionale fallito. Per il decadimento del paesaggio ranee di Adolf Loos e del direttore di museo Alfred Lichtwark, cercò un’architettura “realista” e
tedesco, rimproverava tutta una serie di forze sociali: l’avidità senza scrupoli dei palazzinari, sachlich (obiettiva) che avrebbe agito come un “seme” per lo sviluppo del progetto “moderno”45.
la modernizzazione rampante associata all’industrializzazione e il capitalismo laissez-faire; Trovò tale seme nelle forme tettoniche semplici e nel Classicismo distillato dell’architettura
i funzionari della burocrazia edilizia e urbanistica, l’insegnamento dell’architettura eccessi- vernacolare del periodo barocco o Biedermeier verso la fine del secolo Diciottesimo, uno stile
vamente accademico e l’importazione di stili dal Sud, in particolare il Rinascimento. Attaccò il ancora visibile nel paesaggio circostante. Basandosi sui concetti nostalgici di Heimat sviluppati
sorgere di una Gesellschaft (società) alienante e senz’anima e di una Zivilisation materialista e le in origine alla fine del Diciottesimo secolo da scrittori romantici come W.H. Riehl e i fratelli
accusò di aver distrutto un’organica Gemeinschaft (comunità) e una Kultur armonica che aveva Grimm, sentiva che le tradizioni del periodo tra il 1780 e il 1840 fornivano il più recente, e
caratterizzato il vecchio Heimat tedesco che tanto amava. 43 quindi più accessibile, esempio di un modo di costruire senza tempo che era veritiero e tedesco,
puro e funzionale 46. Con evidenti sfumature nazionaliste, Schultze-Naumburg affermò che le
Il vernacolare Um 1800 tradizioni del Biedermeier tedesco di questo periodo intorno al 1800 erano naturali e integrate
Schultze-Naumburg, alla ricerca di principi più acculturati e atemporali per contrastare l’eclet- nella cultura popolare e più accessibili al cittadino comune dell’architettura contemporanea.
tismo deplorevole e la sovra-ornamentazione del materialista fine Diciannovesimo secolo, nel Forse l’esempio più ampiamente citato del Classicismo vernacolare dal periodo intorno al 1800
1905 insisteva che: era la casa-giardino di Goethe a Weimar, modesta ma culturalmente risonante, appena a monte
Il vero progetto architettonico deve essere possibile senza decorazioni. Il valore e il signi- della casa di Schultze-Naumburg sul fiume a Saaleck 47. Le sue forme pure, le proporzioni e
ficato dei nostri edifici è totalmente indipendente dagli ornamenti applicati. Gli unici punti dettagli eleganti, l’aspetto pulito e ordinato e la generale mancanza di formalità rivelavano
importanti sono la disposizione globale del complesso della costruzione, l’uso corretto di una naturale serenità, onestà e logica. Come molti degli scritti di Goethe, la sua casa-giardino
buoni materiali e la semplicità e l’onestà di espressione 44.  incarnava i valori fondamentali della vecchia cultura borghese che Schultze-Naumburg temeva
Anticipando parte dell’ascetismo estetico e del funzionalismo dell’architettura moderna più stesse venendo distrutta in Germania. Non era né stravagante né ornamentale, ma piuttosto
tarda, aspirava a un’architettura semplice e priva di ornamenti. Proprio come le idee contempo- efficiente, pratica e funzionale, simile al paesaggio un po’ spartano della Germania, e quindi

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ancora appropriata, secondo la critica del Ventesimo secolo. La casa di Goethe venne utilizzata

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dai critici orientati verso la tradizione come un ideale da opporre sia all’eclettismo ottocentesco
sia all’architettura moderna dopo la prima guerra mondiale. Ma la casa di stucco bianco, minu-
scola e disadorna, ha costituito senza dubbio un importante precedente sia per i tradizionalisti
che per i modernisti. La chiave per renderla attraente era il collegamento con Goethe, eroe
della cultura ammirato universalmente, nonché con il periodo intorno al 1800, quando, come
reazione all’oppressione napoleonica, cominciarono a emergere il nazionalismo tedesco e la
consapevolezza di una cultura borghese tedesca unica. Non diversamente dal Colonial Revival
nelle Americhe, circa nello stesso periodo, l’architettura vernacolare del 1800 ha avuto impor-
tanti sfumature politiche nella Germania appena unificata ancora alla ricerca della propria
identità culturale.
Sebbene la casa di Goethe sia stata vista come un esempio prototipico del Biedermeier tedesco,
Schultze-Naumburg si concentrò principalmente su esempi vernacolari più anonimi, per arrivare
a principi generali, non a espressioni singole. Cercava il tipico, non lo straordinario. Egli evitò
“quei monumenti d’arte storicamente catalogati che sono stati riconosciuti come l’apice di uno
sviluppo artistico superiore” in favore dell’”ordinario, poco appariscente, utilizzato quotidiana-
mente dal Volk”48. Contemporaneo di Schultze-Numburg, Adolf Loos mostrò un disgusto simile
per la progettazione “alla moda” e nutrì rispetto e fiducia nelle tradizioni e stili senza tempo
dell’artigiano ordinario invece che negli stili artificiali di qualsiasi artista o architetto49. Entrambi
questi riformatori ritenevano che una casa moderna sarebbe nata non dalla sperimentazione di
architetti di prestigio, ma piuttosto dalla connessione con una semplice tradizione costruttiva,
8.7. Mies van der Rohe. Casa Riehl House in Potsdam/Babelsberg, 1907, nello stile Um 1800. © Moderne
tettonica completamente collegata con la cultura comune. Tuttavia, mentre Schultze-Naumburg
Bauformen 9, 1910.
si concentrò sulla cultura tedesca locale, Loos proclamò che la cultura era in evoluzione verso
ideali internazionali più uniformi, rifacendosi liberamente a Inghilterra, Stati Uniti e all’antico strumento didattico per aiutare gli architetti contemporanei a “riconnettersi” allo spirito del
Egitto. Questa tendenza verso il locale e l’ordinario fu visibile in tutta l’opera giovanile di Schul- semplice e onesto modo di costruire intorno al 1800. Egli citò i Kulturarbeiten come una delle
tze-Naumburg. Il movimento di riforma domestico e le organizzazioni di base Heimatschutz forze centrali per riportare questo periodo della storia dell’architettura nella coscienza contem-
che egli ha contribuito a fondare cercarono di far rivivere una cultura tedesca dal basso verso poranea e ripubblicò varie fotografie di Schultze-Naumburg55.
l’alto. Hanno riconosciuto la necessità di superare la ristretta cerchia di professionisti colti che Il vernacolare Um 1800 che Schultze-Naumburg aiutò a re-introdurre faceva parte di un più
già avevano capito queste idee e di convertire il Volk ordinario. In linea con il suo contenuto, generalizzato richiamo all’ordine in corso in Europa in tutte le arti, prima e dopo la prima
Schultze-Naumburg si rivolse all’uomo comune, e scrisse: guerra mondiale, e la chiave dello sviluppo dell’architettura moderna56. Ma la vasta portata
Il nostro desiderio è anche quello di conquistare le persone - i concittadini, il contadino, gli dell’influenza di Schultze-Naumburg su questi sviluppi è innegabile. Heinrich Tessenow, che
operai ... dal pavimentatore alla vecchia signora che coltiva fiori sul davanzale della sua iniziò la sua carriera di architetto lavorando nei laboratori Saalecker Werkstätten di Schult-
finestra ... tutti coloro che lavorano più da vicino per plasmare il volto della nostra nazione50.  ze-Naumburg nel 1904, fu uno dei primi ad attuare ciò che Stanford Anderson ha definito un
Più ancora del Werkbund tedesco che ha più avanti contribuito a fondare, Schultze-Naumburg “Classicismo clandestino”57. I disegni di Tessenow, tra cui molti della casa-giardino di Goethe,
cercò di andare oltre, con l’educazione dei consumatori e la riforma di arte nobile e produzione il suo libro popolare Der Wohnhausbau (La Costruzione della Casa) del 1909, e le opere effetti-
industriale. Ha insistito sul fatto che la vera riforma culturale inizia a livello della base, con vamente costruite come quelle nella città-giardino di Hellerau, aiutarono a impostare il tono
la progettazione di case normali, “l’unico oggetto su cui la persona media è artisticamente per il Classicismo riformato moderno che dominò il lavoro di architetti diversi come Peter
impegnata”51. Lungi dall’essere questioni meramente private, le case vernacolari e gli interni Behrens, Paul Schmitthenner, Bruno Taut, Ludwig Mies van der Rohe, e altri nel Werkbund sia
dell’Heimat erano l’incarnazione definitiva della cultura di una nazione. precedentemente alla prima guerra mondiale che dopo.58 La somiglianza dei loro primi lavori
L’anonimo classicismo domestico del 1800 che Schultze-Naumburg promosse e contribuì a è sorprendente alla luce dei percorsi divergenti che questi architetti presero negli anni venti.
reintrodurre nei suoi Kulturarbeiten divenne presto uno standard di riferimento in un diluvio di In una delle prime valutazioni di questa architettura Um 1800, Walter Curt Behrendt elogiò Schul-
pubblicazioni da designatori, critici e riformatori in tutta la Germania52. Hermann Muthesius, tze-Naumburg e il movimento che aveva contribuito a far nascere59. Questa unità di architetti
nel suo importante libro Stilarchitektur und Baukunst (Stile-Architettura e Arte-Costruzione) al lavoro per un obiettivo comune, Behrendt osservò, era il primo passo verso un nuovo stile
del 1902, ha concluso che l’architettura del 1800 “avrebbe potuto servire da modello per le moderno per la Germania. Inoltre, la logica e la razionalità di questo semplice Classicismo fornì
condizioni attuali”53. Il movimento ricevette un nome e una crescita di popolarità enorme con regole di base di proporzione, tettonica e tecniche di costruzione che erano facili da seguire,
la pubblicazione, nel 1908, del libro illustrato di Paul Mebes, Um 1800. Architektur und Handwerk soprattutto per i numerosi riformatori artistici che non erano educati come architetti come
im letzten Jahrhundert ihrer traditionellen Entwicklung (Intorno al 1800: Architettura e artigia- Henri Van de Velde, Behrens e anche Schultze-Naumburg stesso60.
nato nell’ultimo secolo del loro sviluppo tradizionale), che illustrava architettura vernacolare Per Behrendt, anche se l’architettura Um 1800 era collegata strettamente a Goethe e l’ascesa
e di prestigio di questo periodo 54. Come Schultze-Naumburg, Mebes intese il suo libro come del nazionalismo tedesco, in fondo non era che un “prodotto importato” dall’estero, dal “Sud”

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mediterraneo61. Si lamentava che il Classicismo era diventato uno “stile internazionale” privo di

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significato, una “lingua mondiale”, che si estendeva al di là di tutte le frontiere, perfino allo stile
coloniale d’America. Come risultato, vide lo Heimatstil e il Classicismo Um 1800 come sintomi
delle disgraziate tendenze “cosmopolite” e “internazionalizzanti” che stavano crescendo in
Germania. Riecheggiando i Kulturarbeiten di Schultze-Naumburg, si lamentava che le identità
locali, regionali e nazionali venivano distrutte lentamente in favore di questo Großstadtstil e
che le “tradizioni d’arte popolare istintive non sono più sostenibili”, non più che “in grado di
mantenere tradizioni artistiche nazionali di vecchia data”. Si rammaricava che, nelle mani di
architetti di scarso livello, di formazione accademica, il Classicismo ispirato da Um 1800 era
troppo spesso solo una semplificazione insignificante di stili ottocenteschi, una reazione digni-
tosa all’eclettismo, ma non un modello appropriato per il mondo moderno62.
Per giustificare il suo gusto per il Biedermeier di fronte a tali critiche, Schultze-Naumburg fornì
una teoria complicata in base alla quale il Classicismo era stato “germanizzato” dai grandi archi-
tetti prussiani Gilly e poi Schinkel. Nel conseguente “Stile prussiano”, come fu poi battezzato in
un libro di Arthur Moeller van den Bruck, il Classicismo degli antichi greci era assorbito, fuso
con forme indigene e ideali e convertito in un ideale germanico63. Semplicità e potenza nordica
erano state combinate con la regola e le proporzione classiche. Tale traduzione da uno stile
“meridionale” a uno stile tedesco era possibile, secondo l’autore, dal momento che tutti i veri
grandi sviluppi culturali evolvono dalla combinazione di principi opposti, “come quando padre
e madre si combinano per produrre un bambino”64.
Anche se ci sono somiglianze formali, i principi delineati nei Kulturarbeiten differivano su alcuni
punti chiave da gran parte dell’ Um 1800 e dell’architettura Heimatstil effettivamente costruita,
incluso dallo stesso Schultze-Naumburg. Egli era fermamente convinto che i suoi libri non dove-
vano essere considerati come promotori di “ideali antiquari” o come libri di modelli da copiare
8.9. Esempi positivi di edifici industriali moderni e di silos in cemento armato per cereali in Landshut
come esempi65. Sperava invece che i suoi lettori avrebbero studiato le immagini e i paragoni per
(Luitpold & Schneider). © Paul Schultze-Naumburg, Die Entstellung unseres Landes, 1908.
arrivare ad apprezzare la ricca tradizione Heimat. Attraverso le fotografie dell’Heimat tedesco 8.10. Confronto tra due vie urbani: un vicolo alla scala umana nel Függerei in Augsburg (sopra), e una triste
nei Kulturarbeiten, egli tentò di riacquisire uno spirito o metodo più antico e di trasferirne la interminable strada odierna. © Paul Schultze-Naumburg, Städtebau, Kulturarbeiten 4, 1906.
vitalità nella creazione di un’architettura moderna rinnovata. Sia Mebes che Schultze-Naum-
burg, almeno nella loro retorica, insistettero sull’approccio e sulle convenzioni di tali edifici del Progresso, tipologia e modernità
1800, non sull’appropriazione di forme o stili. Anche se Schultze-Naumburg divenne, poi, un Anche se i Kulturarbeiten reagivano contro e attiravano l’attenzione verso molti degli sviluppi
fervente anti-modernista, e la sua architettura fu revivalista, i contemporanei erano consapevoli negativi della modernità e alla perdita percepita della Kultur borghese tedesca, non erano del
che i precedenti Kulturarbeiten dimostravano chiaramente l’adozione di idee contemporanee66. tutto anti-moderni o meramente reazionari. Nonostante il suo amore per la tradizione, Schult-
Non propagandavano un altro revival o un’applicazione storicistica dei dettagli tradizionali, ze-Naumburg spesso si rivolse al mondo moderno per risposte progettuali e ispirazione. Nella
ma piuttosto una comprensiva continuazione nell’evoluzione di tradizioni costruttive locali e di prefazione di Hausbau del 1901, per esempio, scrisse poeticamente del sublime tecnologico che
tipologie nazionali conosciute. vedeva nella locomotiva:
Esiste un’espressione più vera o più potente dell’energia funzionalmente sfruttata del treno?
Quando questa mostruosità si avvicina con occhi ardenti, quando sfreccia per la grande
curva nei binari, e più tardi alla stazione siede tossendo e senza fiato mentre aggiunge altri
carichi... non è bello questo? La bellezza è ovunque quella funzione potente è costretta ad
attivarsi completamente67.
Queste parole richiamano l’attrazione per i treni degli Impressionisti pochi anni prima, ma
anticipano anche la glorificazione della velocità e della potenza dei Futuristi italiani e il resto
dell’estetica avant-garde della macchina, che si formò un decennio più tardi. L’ammirazione di
Schultze-Naumburg per la tecnologia moderna si traspose anche alla sua vita personale. Dotò
le sue case di tutti i più moderni dispositivi elettrici e, in Germania, fu uno dei primi a possedere
un’automobile, che sostituiva regolarmente con l’ultimo modello.68 Vivendo non lontano da Jena,
era un grande appassionato di macchine fotografiche e lenti Zeiss, le più moderne al mondo. Un
8.8. Confronto tra una casa “moderna” che aggiorna la tradizione senza tempo (architetto Richard
critico ipotizzò perfino che un giorno Schultze-Naumburg sarebbe stato il primo artista a viag-
Riemerschmid, a sinistra); e una tipica casa di campagna “storicista” )a destra). © Paul Schultze-
giare con il proprio aereo69. Questi nuovi prodotti industriali soddisfacevano le sue esigenze di
Naumburg, Hausbau, Kulturarbeiten 1, 1904.

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Sachlichkeit: raggiungevano un equilibrio perfetto di forma, funzionalità e bellezza. La sua ammi- Come dimostrato da Francesco Passanti, questa idea di una tipologia vernacolare anonima ebbe

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razione per prodotti tecnologici funzionali è fondamentale per comprendere lo scopo primario dei profonde implicazioni per lo sviluppo dell’architettura moderna.80 Alla fine del secolo, l’analisi di
Kulturarbeiten: determinare e ristabilire un patrimonio culturale specificamente tedesco costruito Muthesius della Casa Inglese (Das Englische Haus) e il suo invito a sviluppare una casa specifica-
sulla tradizione, che avrebbe potuto servire da base per un simile senso della progettazione mente tedesca facevano parte dello stesso sforzo di Schultze-Naumburg. Pochi anni dopo, l’idea
moderna in architettura. Schultze-Naumburg cercò di “ricollegarsi alle ultime buone tradizioni, della “tipologia” sarebbe diventata centrale per Muthesius e altri riformatori Werkbund nei loro
non per sostituirle a un ulteriore sviluppo, ma proprio per rendere possibile questo sviluppo da tentativi di riformare il design tedesco in direzione di uno standard esportabile moderno81. Dopo
una solida base”. Solo quando questa fondazione fosse divenuta solida sarebbe stato possibile essere stato adottato dal Werkbund, un’istituzione che Schultze-Naumburg contribuì a fondare,
un ulteriore sviluppo, vero, organico, moderno e “basato sulle circostanze al passo con i tempi”70. Muthesius la trasformò leggermente in un processo attivo, piuttosto che passivo, dove architetti
Queste opinioni erano, nella maggior parte dei casi, tipiche dei riformatori e architetti più volutamente creavano tipologie convenzionali. In parte è stata la familiarità di Le Corbusier con
progressisti dell’epoca. Adolf Loos, per esempio, riponeva una fiducia simile nella convenzione, queste idee architettoniche tedesche, incluse quelle di Schultze-Naumburg, che hanno portato
quando insistette che lo sgabello egiziano era una soluzione perfetta nella sua funzione e quindi lui e altri a respingere l’elitismo dell’arte nobile a favore della produzione collettiva anonima
non aveva bisogno di essere reinventato o riprogettato.71 Di conseguenza dal 1899 in poi, molti come base su cui teorizzare l’objet type e l’architettura moderna più in generale 82 . Questa
dei disegni di sedie di Loos si basarono su copie di originali egiziani, prodotte in Inghilterra da esigenza di determinare un’architettura nazionale moderna, infatti, fu alla base di gran parte
Liberty & Co., e i suoi saggi espressero costantemente ammirazione per le tradizioni del lavoro della riforma dell’architettura in Germania fino agli anni Venti avanzati83.
degli artigiani.72 Nel 1910 nella rivista espressionista berlinese Der Sturm, Loos sembrava Anche se diede credito a William Morris e al movimento inglese Arts & Crafts per l’avvio di
echeggiare Mebes e Schultze-Naumburg quando scrisse circa “la necessità di riconnettersi iniziative di riforma internazionali verso forme più semplici, più vernacolari nell’architettura
alla catena dello sviluppo interrotta [intorno al 1800]”73. domestica, Schultze-Naumburg richiese già nel 1899 che i tedeschi sviluppassero la propria
Come mezzo per raggiungere questo scopo, Schultze-Naumburg cercò le origini, quella che lui casa e architettura nazionali84. I Kulturarbeiten proponevano di ricominciare da dove tali onesti
chiamò la Ur-haus, che sarebbe stata il fondamento, o “seme”, al quale “ri-allacciare” l’ulteriore edifici Heimat tedeschi si erano interrotti nel 1840, incorporando i progressi operati nel frat-
sviluppo dell’architettura tedesca74. Cominciò ad ammirare la “fattoria tedesca” che considerava tempo dall’industria, per continuare le tradizioni tedesche. Egli sentì che la tipologia di base
un tipo di edificio unico e potente. Secondo Schultze-Naumburg, la fattoria tedesca originale era doveva essere mantenuta laddove le funzioni non erano cambiate radicalmente, come era il caso
una struttura rurale per metà in legno, auto-supportante, priva di ornamenti, con un grande con la casa tedesca. Questo era anche il caso con uno dei pochi esempi positivi di architettura
tetto spiovente coperto di tegole in argilla, spesso con finestre nel sottotetto: contemporanea illustrati nei primi Kulturarbeiten, la casa di Richard Riemerschmid nei pressi
La costruzione era di estrema semplicità e di proporzioni raffinate, l’espressione onesta di di Monaco di Baviera. Schultze-Naumburg elogia il modo in cui questa “buona casa moderna ...
materiali, la distribuzione confortevole delle camere e degli elementi edilizi, e una sincera si inserisce perfettamente nelle condizioni di Heimat, sviluppa antiche tradizioni ma con nuove
espressione di benessere e di casa. Se avessimo continuato con questa tradizione con forme in cui le antiche tradizioni sono state adeguate alle nuove condizioni”85.
aggiornamenti e adeguamenti, avremmo oggi quello che hanno gli inglesi: la casa nazionale. Quando nuove tipologie di edifici dovevano essere inventate, Schultze-Naumburg insisteva
Che per noi poi sarebbe: la casa tedesca75. che ci si dovesse preoccupare di esprimere le loro funzioni pienamente, semplicemente e
Secondo Schultze-Naumburg, la casa colonica tedesca di fine Settecento rispondeva non solo obiettivamente. Affermava che questo era stato il caso con il silo in cemento per il grano,
al duro clima nordico, ma anche alla sensibilità specifica dell’Heimat tedesco semi-rurale e un tipo di edificio relativamente nuovo, perlomeno in questa scala massiccia e in un nuovo
della sua gente. Anche se lo scopo principale della casa colonica e dell’Heimat sembrava essere materiale. Come ammirava la locomotiva moderna, altrettanto Schultze-Naumburg elogiò
quello di mantenere la tradizione, un pragmatismo naturale ha evitato eccessi e costante- il moderno vernacolare industriale dei silos in cemento già nel 1908, ben prima che Gropius,
mente l’ha adattata a forze mutevoli. Nuovi standard di tecnologia e d’igiene, appena sviluppati Le Corbusier, o anche il populista Illustrierte Zeitung annunciassero la Sachlichkeit di questi
dall’industria, vennero sempre incorporati nell’originale. Egli sostenne che “gli artigiani del volumi semplici e funzionali 86.
passato non copiarono semplicemente dettagli stilistici, ma li ristrutturarono in forme eleganti Quando nel 1917 Schultze-Naumburg pubblicò l’ultimo volume della serie originale dei Kultu-
e funzionali così profondamente, che hanno creato i migliori edifici che abbiamo in Germania”76. rarbeiten, e certamente quando le ultime edizioni vennero pubblicate nel 1929, egli annunciò
Questo processo evolutivo anonimo insegnò pure come evitare la sperimentazione per amor che, in Germania, la situazione architettonica aveva cominciato a migliorare. Influenzato dal
di novità: “Artigiani del passato diffidavano dell’inventare in proprio quello che avrebbe potuto nazionalismo, dall’orgoglio tecnologico di un paese in guerra e dagli sviluppi moderni della
essere solo il prodotto del lavoro in comune, la tipologia”. Invenzioni fantasiose come quelle Germania guglielmina, Schultze-Naumburg illustrò i silos di cemento, la fabbrica di turbine
dello Jugendstil, o poi del Neues Bauen, erano viste come controproducenti per una evoluzione AEG di Behrens e diverse opere industriali dei Krupp come esemplari di una nuova architettura
storica naturale e quindi per una casa moderna77. encomiabile87. Sostenne che, in queste circostanze, la Germania era stata spinta da un mercato
L’idea di una tipologia di architettura anonima e locale, che assicurasse la stabilità delle tradizioni mondiale competitivo a liberarsi della camicia di forza storicista e a costruire semplici edifici
ma si evolvesse naturalmente per includere nel corso del tempo modifiche, ammodernamenti e funzionali. Elogiò Behrens e altri progettisti per aver aiutato a elevare questi progetti oltre il
perfezionamenti, ha le sue radici nella teoria tedesca ottocentesca, risalendo all’epoca Bieder- meramente funzionale, trasformandoli in preziosi manufatti della Kultur, piuttosto che puri
meier e all’opera di Goethe e Schinkel, ma anche alle teorie di Gottfried Semper e di riformatori prodotti di Zivilisation. Per Schultze-Naumburg, il vero disegno e la vera creazione di archi-
della fine del secolo Diciannovesimo come Lichtwark e Richard Streiter78. L’interesse per tipo- tettura non erano il dominio di ingegneri eccessivamente razionali e fornitori di Zivilisation,
logie nazionali e vernacolari era anche parte, a livello europeo, del movimento Arts & Crafts, per ma piuttosto nel regno della Kultur 88 . Ormai era necessario uno sforzo di architetti colti e
inventare tradizioni e codificare le varie case nazionali al fine di contrastare attraverso la diffe- dell’intera nazione tedesca per sviluppare la stessa purezza e funzionalismo semplice in una
renziazione regionale, le influenze straniere e l’anonimato della produzione di massa79. moderna casa tedesca e nel resto del panorama tedesco.

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L’attrazione di Schultze-Naumburg per la tecnologia moderna è la chiave per comprendere il suo mento o presso le edicole. Più come romanzi a buon mercato che testi architettonici tradizionali,

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contributo allo sviluppo dell’architettura moderna. Il suo amore per l’architettura vernacolare, essi godettero di un successo quasi immediato e impostarono un precedente importante per la
vecchia e nuova, industriale e domestica, è parte di una lunga tradizione architettonica che risale moderna editoria architetturale93. Con l’aggiunta di immagini e la riorganizzazione del materiale
ai viaggi di Schinkel in Inghilterra e in Italia, ai dipinti di Adolf Menzel della Berlino industriale di base in diverse edizioni, Schultze-Naumburg fu in grado di pubblicare nove volumi in almeno
e arriva fino al viaggio di Josef Hoffmann a Capri e al “viaggio nell’Oriente” di Le Corbusier 89. sette diverse edizioni tra il 1902 e il 1929, rendendo il titolo una delle più lunghe pubblicazioni
Però, Schultze-Naumburg cambiò radicalmente le lezioni ricevute dal vernacolare. In passato, di architettura dei suoi tempi.
gli architetti avevano assorbito lezioni principalmente estetiche, come l’informale variata volu- Al fine di assicurare un ampio numero di lettori per le sue idee, Schultze-Naumburg pubblicò
metria delle città italiane sulle colline o il razionalismo strutturale disadorno delle fabbriche i primi capitoli dei Kulturarbeiten in formato serializzato nella rivista popolare Der Kunstwart
di Manchester. Schultze-Naumburg si concentrò, invece che sulla mera forma, sul processo (Il Guardiano delle Arti), dove lavorò egli stesso come direttore artistico94. Fondata nel 1887 da
e sullo sviluppo di una architettura autentica che continuasse le tipologie architettoniche e la Ferdinand Avenarius, la tendenza nazionalista di questa rivista assicurò un pubblico simpate-
cultura dell’Heimat. Fu questa la lezione che Le Corbusier e i moderni avrebbero preso da lui. tico, dato che anch’essa era dedicata a “tutte le importanti questioni e dilemmi riguardanti le
L’enfasi di Schultze-Naumburg sul processo più che sulla forma contesta alcune delle dicotomie arti del giorno” e cercava di combattere “tutto ciò che era falso, artificiale e spurio nell’arte
che diversi studiosi hanno proposto per capire la difficile commistione tra modernità e tradi- tedesca”95. Faceva parte di una esplosione a fine Ottocento in tutta Europa di riviste di arte e
zione nel periodo prebellico. Passanti, per esempio, ha distinto il “modernismo vernacolare” cultura borghese, che fornirono concetti-chiave nelle lotte per il rinnovamento della cultura
di Muthesius e dell’Heimatstil, dal “vernacolare moderno” di Le Corbusier e del movimento e assicurarono il successo finale di arte e architettura moderna in Germania96. Questi giornali
moderno90. Sostiene che il primo ha cercato di aggiornare convenzioni e tipologie strettamente furono i diretti antesignani delle numerose pubblicazioni avant-garde di architettura, che contri-
locali per accogliere stili di vita moderni, ma, nel complesso, ha mantenuto il modello formale buirono a promuovere l’architettura moderna dopo la prima guerra mondiale.97
del vernacolare locale. Il secondo, invece, ha respinto le forme del vernacolare locale, ma ha I Kulturarbeiten e Der Kunstwart, a loro volta, non erano che una parte di un gruppo più ampio di
tentato di emulare il loro processo evolutivo per creare un nuovo vernacolare moderno, una pubblicazioni e organizzazioni interconnesse che facevano circolare le idee di Schultze-Naum-
famiglia di moduli funzionali che venissero costantemente aggiornati e costruiti l’uno sull’altro. burg. In qualità di membro fondatore e principale ideologo di molte importanti organizzazioni
Nel contesto dei saggi di questo volume, il primo ha cercato di continuare le tradizioni formali di riforma prebellica, come il Dürerbund, lo Heimatschutzbund, la Secessione di Monaco, la
tedesche e nordiche come il percorso verso l’architettura moderna, mentre il secondo ha impa- Deutsche Gesellschaft Gartenstadt (Associazione della città giardino tedesca) e il Werkbund, era
rato dal Mediterraneo e dagli stili vernacolari meridionali e li ha applicati in modo più astratto in una posizione chiave per diffondere il suo messaggio il più ampiamente possibile98. Mentre
per generare un’architettura “internazionale”. Anche se i disegni architettonici conservatori di stava pubblicando la serie dei Kulturarbeiten, egli scrisse molti articoli su altri giornali e riviste
Schultze-Naumburg, così come le foto di architettura Um 1800, che riempiono i Kulturarbeiten lo con contenuti simili, rimandando spesso i lettori alla serie. Per esempio, in un piccolo libretto
identificano come un fautore di Muthesius, la sua attrazione per le tecnologie moderne e le forme intitolato Die Enstellung unseres Landes (La devastazione del nostro paese), parte di una serie
loro associate lo allineano chiaramente con aspetti del “vernacolare moderno” di Le Corbusier. di popolari opuscoli prodotti dalla Heimatschutzbund, egli espresse quasi gli stessi argomenti
Stanford Anderson ha creato una simile dicotomia tra le idee di Schultze-Naumburg e Muthesius dei Kulturarbeiten, utilizzando alcune delle stesse fotografie e paragoni99.
e quelle di architetti moderni come Loos e Le Corbusier, nei suoi studi penetranti delle sottili Nel 1905, come parte della sua diffusa campagna di base per salvare il paesaggio culturale tedesco
variazioni nell’uso della tradizione e della convenzione nell’architettura precedente la prima e introdurre una casa moderna, Schultze-Naumburg annunciò: “in futuro l’enfasi principale del
guerra mondiale. Ha contrapposto l’abbraccio di Schultze-Naumburg di un singolo patrimonio nostro lavoro deve essere la propaganda, per assicurare una migliore comprensione e visione”100.
culturale—e con esso il rifiuto di influenze straniere—all’approccio più critico di Loos, che chiama La sua propaganda educò un vasto pubblico alle sue idee, calunniò le opinioni contrastanti e
“convenzionalismo critico”, e che abbraccia elementi di molteplici tradizioni e convenzioni sulla rispose a una presumibilmente falsa “contro-propaganda”. Egli condusse vere e proprie guerre
base delle necessità moderne91. Anche se Schultze-Naumburg nei suoi studi dei precedenti via stampa, sature di un vocabolario bellicoso, che comprendeva “campagne”, “combattenti”,
era chiaramente più conservatore e meno cattolico degli architetti dominanti dell’avant-garde “nemici” e “attacchi” contro l’architettura contemporanea e forze come i produttori di tetti in
internazionale, le lezioni fondamentali che trasse dai prodotti vernacolari e tecnologici moderni carta catramata, che si opponevano alle sue richieste di tetti di forma e materiali più piacevoli101.
erano quasi identiche. L’ammonizione di Schultze-Naumburg di non copiare il passato, o anche Le divisioni di queste battaglie furono riprese nel metodo discorsivo dei suoi libri: una tecnica
i vicini di casa, e contro le mode arbitrariamente e volutamente nuove di molta progettazione semplice e persuasiva di contrastare coppie di fotografie. Egli affermò esplicitamente nella
moderna, preannuncia anche le critiche espresse molto più tardi da modernisti come Adolf prefazione che il “potere propagandistico e didattico di questi libri era basato esclusivamente sul
Behne e Le Corbusier, quando l’attrazione per la macchina cominciò a fondersi con l’interesse metodo dell’esempio/contro-esempio”102. Ogni coppia fu etichettata come Beispiel (esempio)—di
nel naturale e nel locale92. solito vecchi edifici dell’epoca 1800—e Gegenbeispiel (contro-esempio)—di solito architettura
più recente. Ogni coppia aveva lo scopo di dimostrare un punto specifico con lezioni chiare.
Allineando mezzo e messaggio Ammise di voler costringere il lettore non solo a dare giudizi di “brutto e bello”, ma anche ad
Probabilmente l’aspetto più moderno dei Kulturarbeiten e la caratteristica che ha avuto il associarli con un “giusto e sbagliato”—sia nel senso di “moralmente buono e cattivo”, che “utile
maggiore impatto sullo sviluppo dell’architettura moderna fu il formato di pubblicazione. Questi e non utile”103. I contrasti pedagogici venivano ripetuti e spesso rasentavano il pedante, ma i temi
libri non erano tipici trattati ottocenteschi, discorsi storici o saggi teorici per i professionisti erano chiari anche per il lettore meno sofisticato. Dopo alcune parole iniziali di spiegazione,
di architettura o elitari appassionati d’arte. Erano propaganda: libri illustrati economici, mass l’autore si aspettava che le immagini parlassero da sole104.
media con un valore di shock populista, destinati a presentare argomenti semplici a un pubblico L’uso di Schultze-Naumburg di fotografie, immagini tecniche, riprodotte meccanicamente,
molto ampio. I pratici libri in ottavo erano disponibili sia rilegati che non, acquistati in abbona- come mass medium, si rivelò un potente ed efficace mezzo per catturare e promuovere il

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valore dell’Heimat tradizionale e della casa moderna. Appassionato fotografo dilettante e una

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delle prime persone a utilizzare la nuova fotocamera portatile sviluppata dalla Zeiss, egli creò
una delle più grandi collezioni fotografiche di architettura vernacolare tedesca del suo tempo;
2500 di queste fotografie apparvero nei soli Kulturarbeiten105 . L’uso di innumerevoli coppie di
fotografie, accuratamente scelte, anziché una difficile prosa, progetti architettonici, o disegni
a mano, gli ha permesso di raggiungere il grande pubblico eterogeneo cui si rivolgeva con un
messaggio preciso e facilmente comprensibile. Anche se le fotografie erano già state utilizzate
in grandi libri di modelli architetturali, nel 1900 erano ancora una novità in libri così economici,
in particolare per i suoi lettori della classe bassa e media. Il mezzo e il gran numero di fotografie
di edifici comuni e familiari da tutta la Germania rafforzarono il suo messaggio con rassicuranti
prove apparentemente oggettive.
La tecnica comparativa offriva molte variazioni cariche di valore, tra cui prima-dopo, vecchio-
nuovo, giusto-sbagliato e rurale-urbano, il tutto a sostegno della tesi centrale. Come un pittore
che ha preso la maggior parte delle sue fotografie, Schultze-Naumburg si sentì libero di modi-
ficare e migliorare le sue fotografie al fine di ottenere il massimo effetto. L’angolo visuale,
l’illuminazione, il contesto e a volte anche il ritocco delle immagini, sottilmente rafforzavano
le sue argomentazioni. Gli esempi positivi tendevano a essere invitanti viste frontali di vecchi
edifici in contesti rurali o naturali, in una giornata di sole con ombre screziate, una siepe e un
bell’albero a incorniciare la vista e il sito. Gli esempi negativi erano spesso strane viste oblique
di nuove strutture storicistiche in una giornata grigia o in piena ombra, con pubblicità sgradevoli
o linee di servizio a guastare la vista, con l’accesso visivo all’immagine e al sito spesso ostacolati
da una brutta pavimentazione o da recinzioni industriali in primo piano. Quando aggiunse brevi
didascalie nelle edizioni successive, di solito diede il nome e la città per l’immagine positiva,
8.11. Bruno Taut. Vista aerea del Hufeisensiedlung in Berlin-Britz. Da notare che Taut mette una croce
come un amico familiare, lasciando quella negativa anonima e senza luogo, con la connotazione
sulle case Heimatstil, mentre le sue case hanno lo stesso “anti-moderno” tetto con falde. © Bruno Taut,
che avrebbe potuto essere dovunque in Europa e non appartenente alla Germania. Negli esempi
Bauen, 1927.
positivi definì i materiali e le forme più in chiaro, ripulì da difetti e rese gli edifici letteralmente
più “pittoreschi”, una qualità che ammirava negli edifici reali dell’Heimat106 . Nelle vedute negative Schultze-Naumburg e l’architettura moderna
sottolineò l’ornamentazione volgare e le brutte recinzioni con tratti aggressivi della sua penna. Nelle surriscaldate battaglie ideologiche per ridefinire la cultura tedesca e promuovere visioni
Tale metodo grafico comparativo era, naturalmente, non nuovo o unico per Schultze-Naum- distinte dell’architettura moderna che emersero in seguito alla sconfitta tedesca nella prima
burg. Le sue origini in architettura risalgono almeno alla teoria architettonica francese e guerra mondiale, architetti e scrittori di tutte le convinzioni fecero sempre più ricorso a semplici
inglese del Settecento e inizi dell’Ottocento. Il libro moraleggiante di Pugin, Contrasts (1836), fotografie contrapposte e, infine, alla correlata tecnica del foto-collage per rafforzare le loro
che Schultze-Naumburg potrebbe aver conosciuto attraverso Muthesius e un interesse generale idee architettoniche111. Le tecniche raggiunsero i loro estremi più provocatori nei tardi anni
dei riformatori tedeschi per il movimento inglese Arts & Crafts, contiene sia confronti grafici Venti e primi anni Trenta. Rotocalchi popolari come Der Uhu così come riviste professionali
simili che un’ideologia di nostalgia per un passato più sano107. Ma Schultze-Naumburg non tipo Wasmuths Monatshefte di Werner Hegemann accesero l’opinione pubblica e soffiarono sul
guardò indietro esclusivamente a un passato pre-industriale come fece Pugin e la sua pletora fuoco di queste battaglie112. In una risposta chiara alle campagne Heimatschutz, per esempio,
di fotografie della realtà promosse le argomentazioni molto più realisticamente delle fantasie l’architetto progressista Bruno Taut modificò una vista aerea della sua propria area residenziale
a penna e inchiostro di Pugin. per evidenziare dove trovare il campo nemico. I critici Adolf Behne e Sigfried Giedion usarono
Anche le dicotomie filosofiche Kultur/Zivilisation e Gemeinschaft/Gesellschaft che Schultze-Naum- tecniche simili. L’architetto più conservatore di Stoccarda Schmitthenner diffamò la “macchina
burg delineava, rendevano i confronti uno strumento naturale. Non può essere trascurata per abitare” meccanicistica di Hans Scharoun alla mostra abitativa del Weissenhof e la para-
l’influenza della storico dell’arte Heinrich Wölfflin, che, nel corso di questi stessi anni, stava gonò sfavorevolmente all’amata casa-giardino di Goethe113. Con ogni colpo in questa battaglia,
sviluppando il metodo comparativo della ricerca storico-artistica, per determinare lo sviluppo il dialogo diventò più polarizzato e le posizioni di entrambe le parti più radicate.
di tratti stilistici formali108. Nella sua analisi degli storici di architettura e cultura contempo- Quando, dopo la prima decade del secolo, il messaggio di Schultze-Naumburg e la tecnica di
ranea Josef Strzygowski, Wilhelm Worringer e Oswald Spengler, la storiografa Ulyz Vogt-Göknil riforma cominciarono a prendere piede, egli si basò sempre meno su tali semplici confronti
ha persino suggerito che il metodo comparativo è stato indispensabile per qualsiasi discus- visivi114. Come ha scritto il suo collega Ferdinando Avenarius, la “tecnica grossolana”, che “era
sione critica dell’architettura durante questo periodo109 Martin Warnke ha suggerito ancora stata necessaria per aprire gli occhi della gente”, a quel punto non era più così essenziale a causa
più ampiamente che la maggior parte dell’architettura attraverso la storia è stata costruita in dei cambiamenti che aveva già iniziato a porre in atto.115 Schultze-Naumburg, nella ristampa del
“competizione” o “opposizione ideologica” ad altri edifici, rendendo i confronti fondamentali per 1929 notevolmente revisionata degli ultimi tre volumi dei Kulturarbeiten, per esempio, contrap-
il processo di progettazione e di interpretazione110. pose il Weissenhof con Santorini, e i complessi residenziali di Ernst May e Bruno Taut con vecchie
carceri e complessi più “schematici”. Questi accoppiamenti operavano, invece che da paragone

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buono-cattivo, attraverso la colpevolezza per associazione—entrambi erano visti come negativi.

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La copertina del libro, tuttavia, metteva ancora in contrasto il duplex dall’aria “straniera” di Le
Corbusier al Weissenhof, con una grande vecchia casa dall’Heimat. In entrambi i casi, la sua
antipatia verso il stilizzato Neues Bauen era evidente.
Fu in parte in reazione all’efficacia dello sforzo pubblicitario di Schultze-Naumburg che molti
architetti moderni lanciarono le proprie campagne. Più che la promozione di alcune riforme,
io sostengo che il suo uso precursore di confronti fotografici e di argomenti ha giocato un ruolo
decisivo nello spingere architetti tedeschi—lui compreso—nei campi opposti e sempre più
polarizzati descritti nel suo articolo in Der Uhu del 1926. Architetti moderni di ogni tendenza
scavarono nella sua propaganda per le cause più disparate. I conservatori si aggrappavano allo
spirito romantico, nazionalista e anti-mediterraneo richiamato dagli inizi del Diciannovesimo
secolo, ai valori di costruzione artigianale e alle forme di vecchie tradizioni vernacolari tedesche
come il tetto pendente. Gli architetti più progressisti valorizzavano l’enfasi sulle tendenze inter-
nazionali, la costruzione tettonica, la mancanza di decorazioni e le forme semplici e funzionali,
ma anche la tendenza del vernacolare ad aggiornarsi costantemente e ad accogliere nuove
condizioni, persino l’industrializzazione.
Alla fine, l’architettura tedesca Um 1800 ha rappresentato per entrambi i campi, non solo un
passato esteticamente e simbolicamente appropriato, ma la base per un’estetica architettu-
rale tedesca moderna autoctona, non più dipendente dalla storia e da un precedente classico
mediterraneo. Nel ribattere all’articolo di Schultze-Naumburg in Der Uhu, per esempio, il
giovane modernista Hugo Häring cercò di rivendicare la definizione di “autoctono” per gli
architetti moderni. Si abbassò addirittura agli stessi tipi di argomenti razzisti, ma ora in senso
inverso. Dichiarò che il classicismo Um 1800 di Schultze-Naumburg rappresentava un’intrusione
nella cultura nordica, “un elemento estraneo, derivato dall’Oriente, dalla Grecia e da Roma”
e quindi “più strettamente associato con sangue dei mongoli e dei negri”, rispetto all’archi-
tettura del Neues Bauen116 . Häring si rammaricò che i costruttori di case tradizionali fossero
di fatto i seguaci di un patrimonio “greco e latino” e che di conseguenza avessero “decorato il
paesaggio nordico con un’architettura dei popoli del Mediterraneo” non appartenente al “nostro
paesaggio culturale nordico”. Il “purismo” e la purezza dell’architettura moderna erano ormai
strettamente associati con la purezza culturale e anche razziale. Entrambi i campi, modernisti
e tradizionalisti, erano sempre più ostili al Mediterraneo.
Sebbene nel 1929 le tecniche di propaganda di Schultze-Naumburg e il rifiuto dello stilisticamente
moderno e del Mediterraneo fossero simili ai messaggi nei Kulturarbeiten del 1900, il contenuto
di libri più tardi come Das Gesicht des deutschen Hauses discusso all’inizio di questo saggio, aveva
iniziato a cambiare drammaticamente. Alla fine, una xenofobia crescente, l’aperto razzismo e
l’antisemitismo ostentato portarono Schultze-Naumburg a condannare la diversità e tutte le
idee straniere a favore della “purezza” germanica. I suoi scritti di prima della guerra certo si
riferivano a un’architettura nazionalista tedesca e a uno spirito nordico comune, e creavano delle
connessioni tra l’architettura e la politica nazionalista borghese nel periodo Um 1800. Ma, come
abbiamo visto, riferendoci occasionalmente al lavoro di Muthesius e Loos, idee simili possono
essere trovate in un ampio spettro di riformatori dell’epoca. Dopo la prima guerra mondiale, la
fusione di Schultze-Naumburg, sempre più politicamente motivata, di architettura, fisionomia e
identità nazionale cominciò a modificare non solo il tono dei suoi scritti, ma anche il pubblico a
cui si rivolgeva. Trovò un crescente sostegno ideologico nelle teorie popolari di eugenetica che
stavano diffondendosi in tutto il mondo, e sostegno finanziario e politico nelle fazioni di destra che
stavano fiorendo in Germania117. Queste alla fine lo portarono a essere personalmente associato
con Adolf Hitler, Alfred Rosenberg e i principali ideologi nazisti118. I suoi scritti cambiarono obiettivo, 8.12. Adolf Behne. Confronto tra un soffocante salone d’epoca Wilhelmina e moda femminile (sopra) ,tra
dalla riforma architettonica e culturale, alla promozione di specifici programmi politici e razziali. la “Co-op Zimmer” arredata in maniera funzionale da Hannes Meyer, e il “uomo nuovo” in abito da tennis
Tuttavia, anche con il rispetto dogmatico per le forme tedesche rurali tradizionali e l’estrema sportivo (di seguito). © Adolf Behne, Eine Stunde Architektur, 1928.

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ideologia razzista e nazionalista nei suoi ultimi scritti e nei suoi progetti architettonici, cercare 1
Parte di questa pubblicazione venne presentata nel 2001 alla conferenza SAH a Toronto,

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di legare i suoi sforzi di riforma della fine del secolo all’ideologia nazista che in realtà si è Canada; nel 1992 alla conferenza I.A.S.T.E. a Parigi, Francia; e nel 1998 alla conferenza “The
cristallizzata solo decenni più tardi, può essere notevolmente fuorviante. Mark Jarzombek, Other Modern” a Capri, Italia. Alcune parti vennero pubblicate come “Schultze-Naumburg’s
per esempio, aggira goffamente le influenze progressiste ben documentate del Werkbund e di Heimat: A Nationalist Conflict of Tradition and Modernity”, Traditional Dwellings and Settlements:
pubblicazioni come i Kulturarbeiten sull’architettura moderna, quando implica i riformatori in Working Papers 36, 1, 1992, pp. 1-36. La ricerca su queste pubblicazioni è stata finanziata in
un complotto borghese accuratamente pianificato per trovare un’identità nazionalista adatta parte da Getty Foundation, Columbia University, Fulbright Commission, Abgeordnetenhaus of
alla Germania moderna attraverso le arti applicate119. L’attenzione alla qualità, all’artigianato Berlin e da una borsa di studio Chester-Miller Thesis del Department of Architecture presso
e alla cultura di una progettazione armoniosa promossa dal Werkbund, secondo Jarzombek, University of California a Berkeley. Desidero ringraziare i a cura di, Robin Middleton, Mary
ha contribuito a stabilire e legittimare idee estremamente stereotipate su arte, architettura e McLeod, Margaret L. Anderson, Richard Feldman, Dell Upton, Kathleen James-Chakraborty,
cultura estetica che, nei decenni successivi alla prima guerra mondiale, vennero sfruttate da Diane Shaw, per la pazienza dimostrata nella rilettura delle bozze di questa pubblicazione,
critici culturali reazionari come Schultze-Naumburg e altri nazisti. Qui Muthesius e Behrens e Christian Otto, Hartmut Frank e Niels Gutschow per il loro incoraggiamento iniziale. Salvo
vengono analizzati accanto a Schultze-Naumburg come esempi della “disperazione culturale” di diversa indicazione, le traduzioni dal tedesco sono dell’Autore, le enfasi sono nell’originale e
Stern. Allo stesso modo, etichettando le prime idee di Tessenow, antecedenti alla prima guerra tutte le citazioni sono delle prime edizioni citate.
mondiale, “proto-fasciste” piuttosto che, semplicemente, una popolare e romantica “critica del 2
Walter Curt Behrendt, Der Sieg des neuen Baustils, Stuttgart, Akademischer Verlag Dr. Fritz
capitalismo”, K. Michael Hays rischia di rendere la storia più operativa che basata sui fatti120. Wedekind, 1927; tradotto da Harry Francis Mallgrave, pubblicato come The Victory of the New
Argomenti come questi sono facilmente contaminati da anacronismi e da argomenti teleologici. Building Style, Santa Monica, Getty, 2000.
Non prendono in considerazione le mutevoli situazioni politiche e culturali e riducono al minimo 3
Ludwig Hilberseimer, Internationale Neue Baukunst, nº 2, Stoccarda, Verlag J. Hoffmann, 1927;
il ruolo dei contesti e del pubblico in evoluzione. Adolf Behne, Eine Stunde Architektur, Stoccarda, Akademischer Verlag Dr. Fritz Wedekind, 1928;
La retorica nazionalista e l’uso polarizzante di forti contrasti nei Kulturarbeiten di Schul- Deutscher Werkbund (a cura di), Bau und Wohnung: die Bauten der Weissenhofsiedlung n Stuttgart,
tze-Naumburg hanno contribuito a impostare il tono e la direzione per le polemiche Bücher der Form, Stoccarda, F. Wedekind & Co., 1927.
architettoniche successive nella Germania moderna. Concentrando le sue critiche esclusiva- 4
Paul Schultze-Naumburg, Das Gesicht des Deutschen Hauses, Stoccarda, GW Callwey, 1929.
mente sulla Germania e denigrando le importazioni dall’estero, in particolare quelle provenienti 5
Richard Etlin, Modernism in Italian Architecture, 1890-1940, Cambridge, The MIT Press, 1991,
dall’Oriente e dal Mediterraneo, i Kulturarbeiten di Schultze-Naumburg furono determinanti per pp. 297-312; Giovanni Michelucci, “Fonti della moderna architettura Italiana,” in Domus, Agosto
allontanare gran parte dell’architettura moderna tedesca dalle tradizioni classiche e straniere 1932, pp. 460-461. Si veda anche in questo volume il saggio di Michelangelo Sabatino: “La Politica
e da stili eclettici— molti dei quali erano associati con il Mediterraneo. Al contrario gli architetti della Mediterraneità nell’Architettura Modernista Italiana”.
tedeschi attribuirono un valore crescente alla regione e al luogo come determinanti principali 6
In tedesco, “Orient” si riferiva all’estremo e medio oriente, sinonimo della maggior parte
dell’architettura moderna. Anche se chiaramente influenzata da precedenti e sviluppi dall’estero, del mondo culturale arabo-islamico, e nel contesto di questo volume si riferisce al Mediter-
l’evoluzione dell’architettura moderna in Germania è rimasta sostanzialmente nazionalista e raneo Orientale. A differenza della parola in inglese, in genere non include Asia Orientale, Asia
anti-mediterranea. Sud-occidentale o Asia Meridionale. Cosi, come Schultze-Naumburg soleva utilizzarla, aveva
un significato ancora più generico di “Est,” e sembra includere tutto quello che era a est degli
imperi tedesco e austro-ungarico, fino al Caucaso e al Mediterraneo orientale. Sulle influenza
de “l’Oriente” sull’architettura moderna, si veda Simone Hain, “’Ex oriente lux’. Deutschland
und der Osten” in Romana Schneider e Vittorio Magnano Lampugnani (a cura di), Moderne Archi-
tektur in Deutschland 1900 bis 1950: Reform und Tradition, Stoccarda, Francoforte, Hatje, 1992;
Francesco Passanti, “The Vernacular, Modernism, and Le Corbusier,” in Journal of the Society
of Architectural Historians 56, n. 4, 1997, pp. 443, 449 n. 27; parzialmente rivisitato in Maiken
Umbach e Bernd-Rüdiger Hüppauf (a cura di), Vernacular Modernism: Heimat, Globalization, and
the Built Environment, Stanford, Stanford University Press, 2005.
7
Schultze-Naumburg, Das Gesicht des Deutschen Hauses, p. 5.
8
Karin Kirsch, The Weissenhofsiedlung. Experimental Housing Built for the Deutscher Werkbund,
Stoccarda, 1927, New York, Rizzoli, 1989, pp. 199-200; Richard Pommer e Christian Otto, Weis-
senhof 1927 and the Modern Movement in Architecture, Chicago, University of Chicago, 1991, pp.
138ff.; Barbara Miller-Lane, Architecture and Politics in Germany, 1918-1945, Cambridge, MA,
Harvard University Press, 1985 (1a ed. 1968), pp. 125ff.
9
Paul Schultze-Naumburg e Walter Gropius, “Recht cappello Wer? Traditionelle Baukunst
oder Bauen in neuen Formen. Zwei sich wiedersprechende Ansichten”, Der Uhu 2, n. 7, 1926,
pp. 30-40, 103-113, qui p. 40.
10
Magdalena Bushart, Der Geist der Gotik und die expressionistische Kunst, Munich, Silke Schreiber,
1990; Werner Oechslin, “The Janus-head figure of ‘Greek-Gothic’... Fragments in the (never-en-

296 297
ding) story of modern architecture’s search for identity”, in Barry Bergdoll e Werner Oechslin 24
Borrmann, Paul Schultze-Naumburg; Stephanie Barron (a cura di), Degenerate Art. The Fate of

LA CRITICA ANTI-MEDITERRANEA NELLA LETTERATURA DELL’ARCHITETTURA MODERNA | Kai K. Gutschow


(a cura di), Fragments: Architecture and the Unfinished, Londra, Thames & Hudson, 2006. the Avant-Garde in Nazi Germany, Los Angeles, LACMA, 1991.
11
Paul Schultze-Naumburg, Hausbau, Kulturarbeiten 1, Munich, G.W. Callwey, 1903 (1a ed. 1901), p. 35. 25
Rolf Peter Sieferle, “Heimatschutz und das Ende der Romantischen Utopie”, in Arch+, n. 81,
12
Erich Mendelsohn, “Neu-Athen,” in Berliner Tageblatt nº 261, June 5, 1931; ripubblicato in Ita 1985, pp. 38-42; Marco Pogacnik, “The Heimatschutz Movement and the Monumentalization of the
Heinze-Greenberg e Regina Stephan (a cura di) Erich Mendelsohn. Gedankenwelten. Unbekannte Landscape,” in Monique Mosser e Georges Teyssot (a cura di), The Architecture of Western Gardens:
Texte zu Architektur, Kulturgeschichte und Politik, Ostfildern-Ruit, Hatje-Kantz, 2000, pp. 118-119. A Design History from the Renaissance to the Present Day, Cambridge, The MIT Press, 1991, pp. 63-5.
13
Barbara Miller-Lane, National Romanticism and Modern Architecture in Germany and the Scandina- 26
Sulla critica culturale in Germania si veda il saggio bibliografico di Armin Mohler, Die Konser-
vian Countries, Cambridge, Cambridge University Press, 2000; Jacek Purchla and Wolf Tegethoff vative Revolution in Deutschland, 1918-1932, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft,
(a cura di), Nation, Style, Modernism, Cracovia, Monaco, Zentralinstitut für Kunstgeschichte, 2006. 1989; George L. Mosse, The Crisis of German Ideology. Intellectual Origins of the Third Reich, New
14
Frederic Schwartz, The Werkbund, New Haven, Yale University Press, 1996; Mark Jarzombek, York, H. Fertig, 1981 (1a ed.1964); Fritz Stern, The Politics of Cultural Despair: A Study in the Rise
“The Kunstgewerbe, the Werkbund, and the Aesthetics of Culture in the Wilhelmine Period,” of a Germanic Ideology, New York, Doubleday, 1961. I Kulturarbeiten non vengono menzionati
in Journal of the Society of Architectural Historians 53, n. 1, 1994, pp. 7-19; Mark Jarzombek, in nessuno di questi lavori, sebbene Schultze-Naumburg, Der Kunstwart e le organizzazioni
“The Discourse of a Bourgeois Utopia,” in Francois Forster-Hahn (a cura di), Imagining Modern Heimatschutz fossero implicate.
German Culture, Studies in the History of Art, 53, Washington, DC, National Gallery of Art, 1996. 27
Kenneth Frampton, Modern Architecture, A Critical History, London, Thames&Hudson, 1992,
15
Paul Schultze-Naumburg, Häusliche Kunstpflege, Lipsia, Eugen Diederichs, 1899, p. 1. pp. 217-218; Nikolaus Pevsner, Pioneers of Modern Design: from William Morris to Walter Gropius,
16
Ibid., pp 1-3. Harmondsworth, Penguin, 1960 (1a ed.1936), p. 33.
17
Schultze-Naumburg, Hausbau, n.p. Una prefazione praticamente identica venne inserita in ogni 28
Miller-Lane, Architecture and Politics in Germany, 1918-1945.
volume di Kulturarbeiten, poiché ognuno era pensato come l’elaborazione di un idea centrale. Per 29
Sulla riforma dell’architettura in Germania all’inizio del secolo si veda Kai Buchholz (a cura di),
informazioni biografiche su Schultze-Naumburg e sull’unica estesa investigazione a tutt’oggi Die Lebensreform: Entwürfe zur neugestaltung von Leben und Kunst um 1900, 2 vols., Darmstadt,
su Kulturarbeiten si veda l’a-critico Norbert Borrmann, Paul Schultze-Naumburg 1869-1949. Institut Mathildenhöhe, Häusser, 2001; Kevin Repp, Reformers, Critics, and the Paths of German
Maler. Publizist. Architekt, Essen, R. Bacht, 1989; Vittorio Magnano Lampugnani, “From the ‘Kultu- Modernity, Cambridge, MA, Harvard University Press, 2000; Stanford Anderson, Peter Behrens
rarbeiten’ to the Deutscher Werkbund,” Part I of “A History of German Modern Architecture,” in and a New Architecture for the Twentieth Century, Cambridge, The MIT Press, 2000; Diethart
A+U, n. 259, Aprile 1992; Julius Posener, “Kulturarbeiten,” in Berlin auf dem Wege zu einer neuen Kerbs e Jürgen Reulecke (a cura di), Handbuch der deutschen Reformbewegungen 1880 bis 1933,
Architektur: das Zeitalter Wilhelms II, Studien zur Kunst des 19. Jahrhunderts, vol. 40, Munich, Wuppertal, Hammer, 1998; Ringbeck, “Architektur und Städtebau”; Francesco Dal Co, Figures of
Prestel, 1979, leggermente rivisto in “Kulturarbeiten,” Arch+, 72, pp. 35-38. Architecture and Thought. German Architecture Culture 1880-1920, New York, Rizzoli, 1990; Posener,
18
Paul Schultze-Naumburg, “Kulturarbeiten I,” in Der Kunstwart 14, n. 1, 1900, pp. 23-24. 1900: Berlin auf dem Wege; Gerhard Kratzsch, Kunstwart und Dürerbund. Ein Beitrag zur Geschichte der
23-24, in seguito in Schultze-Naumburg, Hausbau, pp. 14-15. Gebildeten im Zeitalter des Imperialismus, Göttingen, Vandenhoeck u. Ruprecht, 1969; e Kratzsch,
19
Ibidem, p.24. “’Der Kunstwart’ und die bürgerlich-soziale Bewegung,” in Ekkehard Mai and Stephan Waetzoldt
20
Ibidem. (a cura di), Ideengeschichte und Kunstwissenschaft Philosophie und Bildende Kunst im Kaiserreich,
21
Stanford Anderson, “Introduction: Style-Architecture and Building-Art: Realist Architecture Kunst, Kultur und Politik im Deutschen Kaiserreich, nº 3, Berlin, Gebr. Mann, 1983.
as the Vehicle for a Renewal of Culture,” in Hermann Muthesius, Style-Architecture and Building 30
Umbach e Hüppauf (a cura di), Vernacular Modernism; Purchla and Tegethoff, Nation, Style,
Art: transformations of Architecture in the Nineteenth-Century and its Present Conditions, Santa Modernism; Jennifer Jenkins, Provincial Modernity: Local Culture and Liberal Politics in Fin-de-
Monica, Getty, 1994, pp. 5ff, 14ff; Stanford Anderson, “Sachlichkeit and Modernity, or Realist Siècle Hamburg, Ithaca, Cornell University Press, 2003.
Architecture,” in Harry Francis Mallgrave (a cura di), Otto Wagner. Reflections on the Raiment of 31
Schultze-Naumburg, Das Gesicht des Deutschen Hauses, p. 15.
Modernity, Santa Monica, Getty, 1993; and Harry Francis Mallgrave, “From Realism to Sachlichkeit: 32
Schultze-Naumburg, Häusliche Kunstpflege, pp. 1-3.
The Polemics of Architectural Modernity in the 1890s,” in Mallgrave, Otto Wagner. 33
Paul Schultze-Naumburg, Dörfer und Kolonien, Kulturarbeiten 3, Monaco, G.W. Callwey, 1908
22
Il lavoro di Schultze-Naumburg è stato paragonato a quello di Christopher Alexander, Robert (1a ed. 1903), pp. 123-125.
Stern e Leon Krier; si veda Borrmann, Paul Schultze-Naumburg, pp. 226, 241 n. 898-900; P. Peters, 34
Schultze-Naumburg, Hausbau, p. 23. Schultze-Naumburg era uno dei primi riformatori a
“Robert Stern und der moderne Traditionalismus,” in Baumeister 83, nº 7, July 1986, pp. 44-61. dichiararsi contrario agli elementi “disfunzionali” dell’abbigliamento delle donne del Dician-
23
Sulle modernità e prescienza delle idee ambientaliste proposte da Schultze-Naumburg e novesimo secolo, come il corsetto, una critica che eventualmente si estese a promuovere la
sulle organizzazioni Heimatschutz, si veda William H. Rollins, A Greener Vision of Home. Cultural semplicità degli orli corti della moda del dopoguerra; si veda Paul Schultze-Naumburg, Die
Politics and Environmental Reform in the German Heimatschutz Movement, 1904-1918, Ann Arbor, Kultur des weiblichen Körpers als Grundlage der Frauenkleidung, Leipzig, Eugen Diederichs, 1901;
University of Michigan Press, 1997; Matthew Jefferies, “Back to the Future? The Heimatschutz Alfred Lichtwark, “Das Zimmer des neunzehnten Jahrhunderts”, in Wolf Mannhardt (a cura
Movement in Wilhelmine Germany”, in Politics and Culture in Wilhelmine Germany. The Case of di), Alfred Lichtwark, eine Auswahl seiner Schriften, Berlino, B. Cassirer 1917; Hubertus Adam,
Industrial Architecture, Oxford & Washington, DC, Berg Publishers, 1995; B. Ringbek, “Architektur “Krieg gegen die Mode: Architekten und Künstler als Protagonisten der Bekleidungserform um
und Städtebau under dem Einfluß der Heimatbewegung 1918-1945”, in Edeltraud Klueting (a 1900”, in Archithese 30, n. 2, 2000, pp. 6-9. Mark Wigley ha dimostrato in maniera convincente
cura di), Antimodernismus und Reform. Zur Geschichte der deutschen Heimatbewegung, Darmstadt, la relazione fra la semplificazione della moda e la semplificazione dell’architettura moderna,
Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1991; Christian F. Otto, “Modern Environment and Historical anche se ha principalmente trattato le idee dei modernisti; Mark Wigley, White Walls, Designer
Continuity: The Heimatschutz Discourse in Germany,” in Art Journal 43, n. 2, 1983, pp. 148-157. Dresses. The Fashioning of Modern Architecture, Cambridge, The MIT Press, 2000.

298 299
35
Schultze-Naumburg, Dörfer und Kolonien, p. 37. estensione, politico - sul luogo, l’appartenenza e l’identità. Come idea, venne sviluppata inizialmente

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36
Schultze-Naumburg, Hausbau, pp. 35, 154-157. Schultze-Naumburg era anche fra i primi a dallo scrittore Justus Möser e ampliata da romantici come Riehl e i fratelli Grimm. La stalla, una
sostenere l’inadeguatezza del tetto piatto per l’architettura tedesca, un argomento in seguito forma praticamente perenne della Heimat tedesca preindustriale non era né urbana né industriale
divenuto uno dei principali oggetti del contenzioso fra tradizionalisti e modernisti in lotta per il ma qualcosa a metà. Era un sistema di fitte ragnatele di relazioni che nutrivano una cultura armo-
futuro dell’architettura moderna. Schultze-Naumburg pubblicò in seguito un libro sulla contro- niosa e una società con un intimo senso della tradizione e dei valori. Un forte senso di autosufficienza
versia del tetto piatto: Flaches oder geneigtes Dach?, Berlino, Seger & Cramer, 1927; si veda condusse ad un orgoglio nell’identità regionale e nella differenziazione. Un naturale pragmatismo
Richard Pommer, “The Flat Roof: A Modernist Controversy in Germany”, Art Journal 43, n. 2, evitava l’eccesso e costantemente si adattava alle mutevoli forze, nonostante lo scopo principale
1983, pp. 158-169. delle cittadine sembrava essere quello di mantenere le abitudini: cambiamenti drammatici erano
37
Schultze-Naumburg, Hausbau, n.p. Il tedesco Werkbund tentò più tardi di riformare un ampio anatema. Si veda Maiken Umbach, “The Deutscher Werkbund, Globalization, and the Invention of
spettro di artefatti culturali mentre Muthesius cercava di riformare tutto “vom Sofakissen Modern Vernaculars,” in Umbach and Hüppauf (a cura di) Vernacular Modernism; Peter Blickle,
zum Städtebau” (dai cuscini alla città); Muthesius, “Wo stehen wir?,” Jahrbuch des Deutschen Heimat: A Critical Theory of the German Idea of Homeland, Rochester, NY, Camden House, 2002; Celia
Werkbundes 1912, Jena, Eugen Diederichs, 1912, p. 16. Applegate, A Nation of Provincials: The German idea of Heimat, Berkeley, University of California Press,
38
Tutti i volumi di Kulturarbeiten vennero pubblicati dall’ufficiale Kunstwart, editore G.W. Callwey 1990; Otto, “Modern Environment and Historical Continuity”; Mack Walker, German Home Towns.
a Monaco: volume 1, Hausbau, edizioni 1901, 1904, 1907, 1912; volume 2, Gärten, edizioni 1902, Community, State and General Estate 1648-1871, Ithaca & Londra, Cornell University Press, 1971.
1905, 1909; Ergänzende Bilder zu Band 2: Gärten, edizioni 1905, 1910; volume 3, Dörfer und Kolo- 47
La casa-giardino di Goethe nel palazzo reale di Weimar era in realtà una costruzione barocca
nien, edizioni 1903, 1908; volume 4, Städtebau, edizioni 1906, 1909; volume 5, Kleinbürgerhäuser, del primo periodo, inizialmente abitata da Goethe nel 1776, e modificata solo parzialmente
edizioni 1907, 1911; volume 6, Das Schloß, 1910. Gli ultimi tre volumi assieme erano anche intitolati dall’eroe culturale. Schultze-Naumburg spesso si riferiva a Goethe e alle sue case, ma non ha
Die Gestaltung der Landschaft durch die Menschen: volume 7 = Part I, “Wege und Strassen”, “Die mai davvero illustrato la casa giardino nei Kulturarbeiten, nonostante la casa-giardino fosse
Pflanzenwelt,” edizioni 1915, 1928; volume 8 = Part II, “Geologische Aufbau der Landschaft”, uno dei luoghi più disegnati e illustrati in Germania. La sua popolarità dopo la fine del secolo
“Wasserwirtschaft,” edizioni 1915, 1928; volume 9 = Part III, “Industrie”, “Siedlungen,” edizioni si può tracciare nell’importanza di Weimar come un luogo di riforma culturale e artistica. Si
1917, 1928. Tutte e tre le parti sono state pubblicate come volume unico nel 1922 e 1928. veda Paul Mebes, Um 1800: Architektur und Handwerk im letzten Jahrhundert ihrer traditionellen
39
Questa prima serie di saggi, come Kulturarbeiten, venne pubblicata per la prima volta in Der Entwicklung, Monaco, F. Bruckmann, 1908, sebbene, curiosamente, fosse omessa nella seconda
Kunstwart, e più tardi come libro. Portarono a Schultze-Naumburg fama e la vasta schiera di e terza edizione del libro di Mebes curato da Behrendt nel 1918 e 1920. Si veda Thomas Heyden,
lettori che fece di Kulturarbeiten un grande successo. Si veda Paul Schultze-Naumburg, “Über Biedermeier als Erzieher: Studien zum Neubiedermeier in Raumkunst und Architektur 1896-1910,
Kunstpflege im Mittelstande,” in Der Kunstwart, 11, n. 1, 1897, p. 226 ff; in seguito pubblicato in Weimar, Verlag und Datenbank für Geistewissenschaften, 1994, pp. 168 ff; Wolfgang Voigt,
Schultze-Naumurg, Häusliche Kunstpflege; e Paul Schultze-Naumburg, Kunst und Kunstpflege, “Vom Ur-Haus zum Typ: Paul Schmitthenners ‘deutsches Wohnhaus’ und seine Vorbilder,”
Leipzig, Eugen Diederichs, 1901. and Hartmut Frank, “Heimatschutz und typologisches Entwerfen. Modernisierung und Tradi-
40
Paul Schultze-Nuamburg, Der Städtebau, Kulturarbeiten 4, p.442. tion beim Wiederaufbau von Ostpreußen 1915-1927,” both in Schneider e Lampugnani, Modern
41
Schultze-Naumburg, Hausbau, n.p.; Paul Schultze-Naumburg, “Entwicklung und Ziele des Architektur in Deutschland 1900 bis 1905; Manfred Kahler, Goethes Gartenhaus in Weimar, Weimar,
Heimatschutzes in Deutschland,” in Heimatschutz 7, n. 4, 1911, p. 131. Klassikerstätten, 1991. Paul Schmitthenner diffuse l’edificio nel suo insegnamento a Stoccarda
42
Gli espressionisti tedeschi come Bruno Taut, per contro, assegnavano all’arte orientale grande e nel suo libro Baugestaltung: Erste Folge, Das deutsche Wohnhaus, Stuttgart, K. Wittmer Verlag,
creatività e forza comunitaria in confronto all’arte moribonda e decadente dell’ovest; si veda 1932 (3 a ed. 1950, ripubblicato da Hartmut Frank, Stoccarda, Deutsche Verlags Anstalt, 1984).
Simone Hain, “’Ex oriente lux’. Deutschland und der Osten”. 48
Schultze-Naumburg, Enstellung unseres Landes, p. 10.
43
Sulla dicotomia Gemeinschaft/Gesellschaft si veda Ferdinand Tönnies, Community and Society, 49
Burkhardt Rukschcio e Roland L. Schachel, Adolf Loos. Leben und Werk, Vienna, Residenz
tradotto da C. Loomis, New York, Harper & Row, 1963 (Gemeinschaft und Gesellschaft, 1887). La Verlag, 1987, pp. 50-51, 115-121; Adolf Loos, “Architektur,” Der Sturm, 1910, estratto da A. Opel
frattura correlata Kultur/Zivilisation aveva le sue origini nei pensatori idealisti tedeschi del 1800, (a cura di), Über Architektur: Ausgewählte Schriften die Originaltexte, Vienna, Georg Prachner
come Kant e Wilhelm von Humboldt. Si veda Stern, The Politics of Cultural Despair, p. 246; Dal Verlag, 1995.
Co, Figures of Architecture and Thought, pp. 23; Norbert Elias, The History of Manners, vol. 1, The 50
Schultze-Naumburg, Hausbau, np, 2-3.
Civilizing Process, New York, Urizen, 1978; Richard Hamann e Jost Hermand, Stilkunst um 1900, 51
Ibid., pp 2, 23
Epochen deutscher Kultur von 1870 bis zur Gegenwart, 4, Francoforte, Fischer Taschenbuch, 52
Si veda per esempio il campionario di fotografie per architetti di A. Lambert e E. Stahl (a cura
1977, pp. 102-120. di) Architektur von 1750-1850, 3 volumi, 1903; e C. Zetsche, Zopf und Empire, 3 vols., Berlino, 1906.
44
Paul Schultze-Naumburg, Die Entstellung unseres Landes, Flugschriften des Bundes Heima- Stanford Anderson ha descritto questo classicismo “copertura”, “addomesticato” e “quoti-
tschutz, 2, Meiningen, Bund Heimatschutz, 1908 (1a ed. 1905), p. 60. diano” in gran dettaglio; si veda Stanford Anderson, “The Legacy of German Neoclassicism and
45
Mannhardt, Alfred Lichtwark; Mallgrave, “From Realism to Sachlichkeit”, pp. 298-304; Hamann Biedermeier: Behrens, Tessenow, Loos and Mies,” Assemblage 15, 1991, pp. 63-87; Stanford
and Hermand, Stilkunst um 1900, pp. 440-464. Anderson, “Architecture in a Cultural Field,” in Taisto Makela e Wallis Miller (a cura di), Wars
46
Heimat (la radice delle parole Heimatschutz e Heimatstil) è una parola difficile che può nel migliore of Classification: Architecture and Modernity, New York, Princeton Architectural Press, 1991; si
dei casi essere tradotta come “patria” o “città natia”. Il termine nostalgico denota il passato veda anche Heyden, Biedermeier als Erzieher.
germanico che comprende tutta la visione del mondo al centro del concetto di sana cultura di 53
Hermann Muthesius, Style-Architecture and Building Art. Transformations of Architecture in
Schultze-Naumburg. Per secoli il termine Heimat è stato al centro del discorso tedesco - e, per the Nineteenth Century and its Present Condition, Santa Monica: Getty, 1994 (orig. 1902), p. 53.

300 301
54
Mebes, Um 1800; Frank, “Heimatschutz und typologisches Entwerfen”; Edina Meyer, Paul Functionalismus in der Architektur, Monaco, C. Hanser, 1974; e Borrmann, Paul Schultze-Naum-

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Mebes. Miethausbau in Berlin 1906-1938, Berlino, Seitz, 1972, pp. 148ff. burg, p. 234.
55
Mebes, Um 1800, vol. 2, p. 15 n.1. 80
Muthesius, Style-Architecture and Building Art, p. 90; Passanti, “The Vernacular, Modernism,
56
Kenneth Frampton, “The Classical Tradition and the European Avant-Garde: Notes on France, and Le Corbusier”.
Germany and Scandinavia 1912-37,” in Simo Paavilainen (a cura di), Nordic Classicism 1910-1930, 81
Fedor Roth, Hermann Muthesius und die Idee der harmonischen Kultur, Berlin, Gebr. Mann, 2001;
Helsingfors, Finlands arkitekturmuseum, 1982; Elizabeth Cowling e Jennifer Mundy, On Classic Winfried Nerdinger (a cura di), 100 Jahre Deutscher Werkbund, 1907-2007, Munich, Prestel, 2007;
Ground: Picasso, Leger, de Chirico, and the New Classicism 1910-1930, Londra, Tate Gallery, 1990 Frederic Schwartz, The Werkbund, New Haven, Yale University Press, 1996.
57
Anderson, “The Legacy of German Neoclassicism and Biedermeier”; Anderson, “Architecture 82
Giuliano Gresleri, Le Corbusier, Viaggio in Oriente, Venezia, Marsilio Editori, 1984; Beatriz
in a Cultural Field”. Colomina, “Le Corbusier and Duchamp: the Uneasy Status of the Object”, in Makela and Miller
58
Heinrich Tessenow, Der Wohnhausbau, Monaco, G.W. Callwey, 1909 (2a ed. 1914, 3 a ed. 1927); (a cura di), Wars of Classification, p. 47.
Marco de Michelis, Heinrich Tessenow, 1876-1950. Das architektonische Gesamtwerk, Stoccarda, 83
Julius Posener, “Müller-Wulckows: Deutsche Architektur und die Suche nach einer nationalen
Deutsche Verlags-Anstalt, 1991. Kultur”, in Gerd Kuhn (a cura di), KonTEXTe. Walter Müller-Wulckow und die deutsche Architektur
59
Walter Curt Behrendt, Kampf um den Stil im Kunstgewerbe und in der Architektur, Stoccarda, von 1900-1930, Königstein im Taunus, Langewiesche, 1999; Werner Oechslin, “Politisches, allzu
Deutsche Verlags-Anstalt, 1920, p. 81; Walter Curt Behrendt, Preface, in Paul Mebes, Um 1800, Politisches... ‘Nietzschlinge,’ der ‘Wille zur Kunst’ und der Deutsche Werkbund vor 1914”, in
pp. 11-12; Kai K. Gutschow, “Revising the Paradigm: German Modernism as the Search for a Hermann Hipp e Kurt von Beyme (a cura di), Architektur als politische Kultur: philosophia practica,
National Architecture in the Writings of W.C. Behrendt,” M.Arch. thesis, U.C. Berkeley, 1993. Berlino, D. Reimer, 1996.
60
Behrendt, Kampf um den Stil, pp. 80-83. Schultze-Naumburg frequentò un collegio di arti 84
Schultze-Naumburg, Häusliche Kunstpflege, p. 2, Schultze-Naumburg, Hausbau, pp. 11-12.
applicate e l’accademia d’arte a Karlsruhe dal 1886 al 1893, quando si trasferì a Monaco per 85
Schultze-Naumburg, Hausbau, pp. 88-89.
aprire la sua scuola privata di pittura. Nel 1895 si unì alla Secessione di Monaco e nel 1897 si 86
Schultze-Naumburg, Enstellung unseres Landes, pp. 25,35; Paul Schultze-Naumburg, “Indu-
trasferì brevemente a Berlino prima di spostarsi a Saaleck in Thuringia nel 1901. strie,” parte V di Die Gestaltung der Landschaft durch die Menschen, Kuturarbeiten vol.9, Monaco,
61
Behrendt, prefazione, in Mebes, p. 11. Callwey, 1917, p. 40; Jarzombek, “The Discourse of Bourgeois Utopia,” p. 133. L’immagine popo-
62
Walter Curt Behrendt “Die deutsche Baukunst der Gegenwart”, in Kunst und Künstler 12, n. 5, lare dei silos di grano tedeschi in cemento tedesco nel Landshut venne pubblicato per la prima
1914 Behrendt, Kampf um den Stil, pp. 81-83. volta in Süddeutsche Zeitung; e in W. Klatte, “Zur Umgestaltung des Fabrikwesens,” Heimatschutz
63
Arthur Moeller van den Bruck, Der Preussische Stil, Monaco, Piper, 1916. 4:1-3 (1908) fig. 9. Sull’uso dei silos in Le Corbusier e Gropius, si veda Reyner Banham, A Concrete
64
Schultze-Naumburg, Hausbau, p. 35; Behrendt, prefazione in Mebes, pp. 9-11. Atlantis, Cambridge, MA, MIT Press, 1986. L’idea di celebrare la “bellezza” della tecnologia stava
65
Schultze-Naumburg, Die Enstellung unseres landes, np. diventando progressivamente più comune, come Henri van de Velde, Alfred Gotthold Meyer e
66
Wilhelm Bode, “Paul Schultze-Naumburgs Bauten,” in Dekorative Kunst 16, 1908, pp. 234-237. Josef August Lux tutti, scrissero libri e saggi esprimendo opinioni similari.
67
Schultze-Naumburg, Hausbau, p. 5. 87
Schultze-Naumburg, “Industrie”, pp. 29-32.
68
Borrmann, Paul Schultze-Naumburg, p. 60; Andreas Knaut, “Paul Schultze-Naumburgs Kultur- 88
Ibid., p. 37.
theorie um 1900,” in Jürgen John (a cura di), Kleinstaaten und Kultur in Thüringen, Colonia, 89
Si veda il capitolo di Benedetto Gravagnuolo in questo libro.
Böhlau, 1994, p. 547; Ludwig Bartning, Paul Schultze-Naumburg. Ein Pionier deutscher Kulturarbeit, 90
Passanti, “The Vernacular, Modernism, and Le Corbusier”.
Monaco, G.D.W. Callwey, 1929, p. 5. 91
Anderson, “Critical Conventionalism in Architecture”; Anderson, “The Legacy of German
69
Bode, “Paul Schultze-Naumburgs Bauten”. Neoclassicism and Biedermeier”.
70
Schultze-Naumburg, Hausbau, pp. 10-11; Schultze-Naumburg, Dörfer und Kolonien, pp. 38-39, 204-205. 92
Adolf Behne, “Dammerstock,” in Die Form 5, n. 6, 1929; ristampato in Kristiana Hartmann (a
71
Anderson, “Critical Conventionalism in Architecture”, in Assemblage 1, 1986, pp. 7-23. cura di), Trotzdem Modern, Brunswick, Vieweg, 1994.
72
Hubert Locher, “‘Enough of the Original Geniuses! Let us Repeat Ourselves Unceasingly! - 93
Una rivista contemporanea di Muthesius si entusiasmava per il semplice potente formato e
’Adolf Loos, the New and ‘The Other’”, Daidalos 52, 1994, pp. 79; Rukschcio e Schachel, Adolf il messaggio del libro che poteva essere capito e letto da tutti; Hermann Muthesius, “Cultu-
Loos. Leben und Werk, pp. 32, 33. rarbeiten” [sic] Zentralblatt der Bauverwaltung 22, n.103, dicembre 27, 1902, p. 641. Anche Le
73
Loos, “Architektur”, p. 82. Corbusier riconosceva l’“enorme” influenza, anche nel suo lavoro; si veda Leo Schubert, “Jean-
74
Schultze-Naumburg, Dörfer und Kolonien, pp. 16,19. neret, the City, and Photography”, in Stanislaus von Moos e Arthur Rüegg (a cura di), Le Corbusier
75
Schultze-Naumburg, Dörfer und Kolonien, p. 33; Schultze-Naumburg, Hausbau, p. 112. before Le Corbusier. Applied Arts, Architecture, Painting, Photography, 1907-1922, New Haven, Yale
76
Schultze-Naumburg, Hausbau, p. 112. University Press, 2002. Un altra recensione nel Berliner Tageblatt di Fritz Stahl del 1910 riporta,
77
Schultze-Naumburg, Dörfer und Kolonien, p. 32. “I wish a million copies of this book would go in circulation,” citato in Paul Schultze-Naumburg,
78
Mallgrave, “From Realism to Sachlichkeit”, pp. 300 ff; Barry Bergdoll, Karl Friedrich Schinkel: Das Schloß, Kulturarbeiten 6, Monaco, G.W. Callwey, 1910, p. 310. Lo stesso Schultze-Naumburg
an Architecture for Prussia, New York, Rizzoli, 1994; Werner Oechslin, Stilhülse und Kern: Otto disse, “The success of the series went far beyond all my expectations”; Borrmann, Paul Schult-
Wagner, Adolf Loos und der evolutionäre Weg zur Modernen Architektur, Zurigo, Berlino, ETH, ze-Naumburg, p. 59. Parecchio dopo Lewis Mumford sosteneva che Kulturarbeiten fosse “A work
Ernst & Sohn, 1994. of fundamental importance upon the artful and orderly transformation of man the environment
79
Umbach, “The Deutscher Werkbund”; Purchla and Tegethoff, Nation, Style, Modernism; Miller- by man. One of the original documents of its generation” in Lewis Mumford, City in History: its
Lane, National Romanticism; Sebastian Müller, Kunst und Industrie. Ideologie und Organisation des Origins, its Transformations, and its Prospects, New York, Harcourt, Brace & World, 1961, p. 622.

302 303
Posener commentava che la loro influenza “non poteva essere esagerata”; Posener, Berlin auf ff.). Interessanti esempi paralleli a Schultze-Naumburg ebbero luogo nella rivista Ladies Home

LA CRITICA ANTI-MEDITERRANEA NELLA LETTERATURA DELL’ARCHITETTURA MODERNA | Kai K. Gutschow


dem Wege, p. 191. Journal (e.g. Feb. 15, 1911), parte del movimento di riforma domestica americana, che affondava
94
Un esempio simile è il saggio di Le Corbusier in L’Esprit nouveau che culminò nel suo libro Vers le radici in Pugin e nel movimento inglese di Arts & Crafts.
une architecture (1923). Il numero di lettori effettivo del Kulturarbeiten potrebbe meglio essere 108
Il suo primo lavoro comparativo di Wölfflin fu Renaissance und Barok (1888), con successive
stimato in base a quello di Der Kunstwart, una delle riviste d’arte più diffusa dell’epoca, con una edizioni, e altri libri come Klassische Kunst (1899) e Kunstgeschichtliche Grundbegriffe (1915) sono
stampa di circa 20,000 copie mensili nel 1900; Si veda Kratzsch, Kunstwart und Dürerbund, p. 133. tutti basati sull’analisi di forma comparativa. Wölfflin era nell’elenco dei membri del consiglio
Il Dürerbund, un’organizazione fondata da Avenarius per promuovere gli ideali Kunstwart, vantava Dürerbund di Schultze-Naumburg, assieme ad una lista impressionante di intellettuali tede-
300,000 abbonati nel 1919, mentre i manifesti dei più strettamente associati Heimatschutzbund schi. Si veda Kratzsch, Kunstwart und Dürerbund, p. 466.
come quello dello stesso Schultze-Naumburg Die Entstellung unseres Landes stampava regor- 109
Ulyz Vogt-Göknil, “Polarisation der Stile als Methode der Architekturrepresentation”, in V.
larmente 50,000 copie; Frank, “Heimatschutz und typologisches Entwerfen,” p. 130. Rentsch (a cura di), Das architektonische Urteil: Annäherungen und Interpretationen von Archi-
95
Ferdinand Avenarius, editoriale, Der Kunstwart 10, n. 1, 1896, p. 1. tektur und Kunst, Basilea, Birkhäuser, 1989; Paul Brandt, Sehen und Erkennen: Eine Anleitung
96
Il più famoso di questi includeva The Studio (Londra, 1893 ff.), seguito in Francia da Art et zur vergleichenden Kunstbetrachtung, Leipzig, F. Hirt & Sohn, 1911; Werner Oechslin, “A Cultural
Décoration (Parigi, 1897 ff.) e in Germania da Das Kunstgewerbe (1890-1895) di Avenarius, History of Modern Architecture,” A+U, 235, 1990, pp. 50-64.
Julius Meier-Graefe’s Pan (Berlino, 1895-1900), Jugend di Georg Hirth (Monaco, 1896-1940), 110
Martin Warnke, “Bau und Gegenbau”, in Hipp e Seidl, Architektur als politische Kultur.
Alexander Koch’s Deutsche Kunst und Dekoration (Darmstadt, 1897-1932), Dekorative Kunst 111
Kai Gutschow, “Example-Counterexample: The Role of Visual Comparisons in Creating a
(Munich, 1897ff.) di Bruckmann e Kunst und Künstler (Berlino, 1902-1933) di Karl Scheffler; si Modern German Architecture”, articolo inedito al 13mo Berkeley Symposium “Interdisciplinary
veda Maria Rennhofer, Kunstzeitschriften der Jahrhundertwende in Deutschland und Österreich Approaches to Visual Representation”, Marzo 16, 2002.
1895-1914, Asburgo, Bechtermünz Verlag, 1997. 112
Paul Schultze-Naumburg e Walter Gropius, “Wer hat Recht? Traditionelle Baukunst oder
97
Annette Cirè e Haila Ochs, Die Zeitschrift als Manifest, Basle, Birkhäuser, 1991; Jacques Gubler Bauen in neuen Formen. Zwei sich wiedersprechende Ansichten,” in Der Uhu 2, n. 7, Aprile 1926,
(a cura di), “Architecture in Avant-garde Magazines”, numero speciale di Rassegna 4, n. 12, 1982. pp. 30-40, 103-113; Werner Hegemann, “May und Schultze-Naumburg”, in Wasmuths Monatshefte
98
Kratzsch, Kunstwart und Dürerbund; Bernd Kulhoff, Bürgerliche Selbstbehauptung im Spiegel für Baukunst 11, 1927, pp. 108-127.
der Kunst: Untersuchungen zur Kulturpublizistik der Rundschauzeitschriften im Kaiserreich (1871- 113
Schmitthenner, Baugestaltung.
1914), Bochum, Brockmeyer, 1990. 114
Schultze-Naumburg, Gesicht des Deutschen Hauses; Paul Schultze-Naumburg, Kampf um die
99
Schultze-Naumburg, Die Enstellung unseres Landes. Kunst, Nationalsozialistische Bibliothek, vol.36, Munich, Frz. Eher Nachf., 1932.
100
Ibid., pp. 6, 64; Schultze-Naumburg, “Entwicklung und Ziele des Heimatschutze in Deut- 115
Avenarius, editorial; Ferdinand Avenarius, “Beispiel und Gegenbeispiel”, in Der Kunstwart
schland”, p. 135. 25, n. 12, 1912, p. 410.
101
Schultze-Naumburg, ibid., p. 136. 116
Hugo Häring, “Die Tradition, Schultze-Naumburg und wir”, in Die Form 1, n. 8 maggio 1926,
102
.Schultze-Naumburg, Hausbau, n.p. p. 180.
103
Ibid. 117
I suoi scritti proto-nazisti dopo la prima guerra mondiale includono: Kunst und Rasse,
104
Schultze-Naumburg, Dörfer und Kolonien, n.p. Il volume 2 sui giardini e il volume 5 sui palazzi Munich, J.F. lehmann, 1928, 1935, 1938, 1942; il manifesto ufficiale nazista Kampf um die Kunst;
di Kulturarbeiten erano in realtà interamente fotografici. Schultze-Naumburg intendeva servir- Rassengebundene Kunst, Erfurt, K. Stenger, 1934; Die Kunst der Deutschen, Stoccarda, Deut-
sene semplicemente come ulteriori esempi di punti e questioni già discussi. sche Verlags Anstalt, 1934, 1936; Kunst aus Blut und Boden, Leipzig, E.A. Seemannm, 1934; e
105
Schultze-Naumburg, “Künstlerische Photographien”, in Der Kunstwart 13, n. 18, 1900, pp. Nordische Schönheit, Monaco, J.F. Lehmann, 1937, 1943. Sull’eugenetica, si veda ad esempio la
201-203. Alcune foto nel Kulturarbeiten erano prese a prestito dall’editore, altre da Hermann pubblicità per i libri sull’eugenetica del conservatore J.F. Lehman Verlag a Monaco sul retro di
Muthesius e Otto Bartning. Borrmann e Posener entrambi stimano che vi fossero oltre 2500 foto copertina Schultze-Naumburg, Kunst und Rasse, come ad esempio H. Günther, Rasse und Stil
rappresentate nel libro, ancora più rimarchevole considerato che erano state realizzate prima (1926); l’estremamente popolare H. Günther, Rassenkunde des Deutschen Volke, costantemente
delle macchine fotografiche portatili. Probabilmente si tratta solo di una parte di una collezione ristampato dal 1923 fino al 1943; L. Clauß, Rasse und Seele (1926); e Siedlungskunde des deut-
ben più vasta, una risorsa inestimabile del paesaggio vernacolare in Germania. Purtroppo la schen Volkes (1927). L’attivista socialista americana Margaret Sanger (1883-1966), e diversi altri,
collezione è andata perduta; Borrmann, Paul Schultze-Naumburg, p. 26; Posener, Berlin auf usava similari teorie di eugenetica nelle sue discussione sul controllo delle nascite e altri mali
dem Wege, p. 190. Knaut, “Paul Schultze-Naumburgs Kulturtheorie um 1900”, p. 545, va notato sociali; per esempio Margaret Sanger, Women and the New Race, New York, Brentano’s, 1920.
che Schultze-Naumburg ricevette la sua prima macchina fotografica dal suo editore Avenarius. 118
Borrmann, Paul Schultze-Naumburg; Konrad Nonn, “Die Kulturarbeit Schultze-Naumburgs”,
106
.Schultze-Naumburg, Hausbau, p. 96. in Zentralblatt der Bauverwaltung, 59, n. 23, 1939, pp. 633-639.
107
I libri di Pugin potrebbero essere stati influenzati dal famoso “Red Book” di Humphrey Repton, 119
Jarzombek, “The Kunstgewerbe, the Werkbund, and the Aesthetics of Culture in the Wilhel-
mostrando viste prima-e-dopo degli schizzi panoramici, che cercavano anche di combattere mine Period”; Jarzombek, “The Discourse of a Bourgeois Utopia”.
contro i mali del paesaggio industrializzato; Stephen Daniels, Humphry Repton: Landscape 120
K. Michael Hays, “Tessenow’s Architecture as National Allegory: Critique of Capitalism or
Gardening and the Geography of Georgian England, New Haven, Yale University Press, 1999. La Protofascism”, 9H: On Rigor, 1988, pp. 54-71; anche in Assemblage 8, Feb. 1989, pp. 105-124.
tecnica del contrasto grafico era stata utilizzata almeno fin dai tempi di A.B. Desgodets (1682)
e i numerosi trattati e “Parallels” dell’Illuminismo francese come Fréart de Chambray (1650),
Dumont (1765), e J.D. Leroy, che culminarono con J.N.L. Durand’s Recueil et Parall`les (1799,

304 305
Le nostalgie mediterranee di Erich Mendelsohn
L’Accademia Europea Mediterranea
e oltre in Palestina
Ita Heinze-Greenberg 9
Nel 1932, la chiusura del Bauhaus a Dessau fu capeggiata dall’architetto Paul Schultze-Naum-
burg, membro influente del Kampfbund für deutsche Kultur (un’associazione nazionalista dedicata
alla lotta per la cultura tedesca). Nello stesso periodo in cui il Modernismo veniva messo in
discussione in Germania, l’architetto berlinese Erich Mendelsohn, insieme al pittore francese
Amédée Ozenfant e all’editore e architetto olandese Hendricus Theodorus Wijdeveld, concepì
l’Académie Européenne Méditerranée (AEM) come una scuola d’arte europea sulle rive del
Mediterraneo nel sud della Francia. Anche se l’idea in definitiva rimase sulla carta come un’u-
topia mai realizzata, fu un’impresa ambiziosa, che progredì ben oltre la fase della pianificazione
concettuale. I potenziali finanziatori erano stati assicurati; un terreno edificabile adeguato era
stato acquistato; artisti di discipline diverse e di vari paesi europei avevano firmato contratti
come futuri insegnanti dell’accademia; e brochure, disegnate con molta eleganza, con il curri-
culum di insegnamento, erano state già stampate in cinque lingue. Oltre a ciò, un impressionante
elenco di celebrità, dalla scienza alla politica e alle arti, aderì al comitato consultivo in qualità
di membro, a partire da Albert Einstein, per continuare con Paul Valéry, Frank Lloyd Wright e
Igor Stravinsky. Il programma didattico elencava tutte le arti, compresi musica, cinema e danza,
mostrando così un carattere multidisciplinare innovativo. Sarebbe stata una sorta di Bauhaus
sulla Costa Azzurra. Ma l’Académie Européenne Méditerranée aveva di più all’ordine del giorno:
presentava—poco prima della sua crisi—una visione dell’Europa “senza confini”, alla quale
la cultura mediterranea avrebbe dato una identità unificante e universalista. Soprattutto, si
trattava di rivalutare l’arte moderna e la sua connessione con i valori delle tradizioni classiche
e vernacolari. O come la mise Mendelsohn in uno dei suoi bons mots arguti:
Lasceremo che siano gli Schultzes da Naumburg a ignorare il Mediterraneo come padre
della teoria occidentale internazionale dello stile1.
A iniziare il progetto originale dell’Accademia fu l’olandese Hendrik Wijdeveld (1885-1987). Egli
è meglio conosciuto per il suo impegno di lunga data come direttore della rivista Wendingen, la
voce della Scuola di Amsterdam, un gruppo informale di architetti riuniti intorno al prominente
giovane architetto, Michel de Klerk 2. “Dutchy”, come i suoi amici lo chiamavano, era il termine
per un “jack-of-all-trades”. Egli conosceva tutte le persone influenti della scena artistica inter-
nazionale e per diversi anni aveva coltivato l’idea di riunire i suoi numerosi contatti e di farli
convergere su un progetto speciale: la fondazione di una scuola internazionale d’arte.
Nella seconda metà degli anni Venti, Wijdeveld sviluppò un piano per een internationale
werkgemeenschap [una comunità di lavoro internazionale] in Olanda, che avrebbe avuto sede
in un paesaggio idilliaco intorno ai laghi di Loosdrecht, nei pressi di Utrecht. Pubblicò il suo
programma in un attraente libretto rilegato, che includeva due diversi progetti architettonici3. La
sua scuola d’arte fu concepita come una comunità di lavoro non accademico, dove insegnanti e
studenti, architetti, artisti e artigiani, avrebbero tutti dovuto vivere e lavorare insieme. Avrebbero
imparato insieme con il fare, il cenare insieme in una sala comune e il prender parte ad attività
culturali e sportive o, in scala minore, ad attività agricole finalizzate a rendere la comunità
autosufficiente. Queste inclinazioni comunitarie più romantiche venivano controbilanciate da
un netto schieramento con i più moderni sistemi di produzione e dall’appassionata adozione
di tecnologia e industria.
Tutti questi aspetti hanno suggerito una forte influenza del Bauhaus di entrambi i periodi,
9.1. Erich Mendelsohn. Schizzi per la Casa Weizmann, Rehovot, 1934. © The Museum of Modern Art/
Weimar e Dessau. Tuttavia, mentre Gropius aveva dovuto raddoppiare l’importo delle tasse
Licensed by SCALA / Art Resource, New York.

307
scolastiche pagate dagli stranieri che studiavano presso la Staatliches Bauhaus rispetto a quelle

LE NOSTALGIE MEDITERRANEE DI ERICH MENDELSOHN L’ ACCADEMIA EUROPEA MEDITERRANEA E OLTRE IN PALESTINA | Ita Heinze-Greenberg
pagate dagli studenti tedeschi, Wijdeveld sottolineava con forza il carattere internazionale nel
programma del suo progetto:
I giovani provenienti da tutte le parti del mondo vengono a vivere e lavorare là e saranno
immersi nell’internazionalismo che là regnerà ovunque.… Scienziati e artisti provenienti
da Europa e America, dall’Asia e altre parti del mondo, non solo saranno i nostri ospiti, ma
diventeranno anche parte del personale permanente 4.
L’iniziativa generò grande interesse, ma apparentemente più all’estero che in patria. Anche se
Wijdeveld aveva ritenuto determinante il ruolo dell’Olanda nel discorso europeo, il progetto
attirò soprattutto colleghi influenti di altri paesi, tra i quali Frank Lloyd Wright negli Stati Uniti,
Erich Mendelsohn in Germania, e Amédée Ozenfant in Francia5. Mendelsohn e Ozenfant alla
fine riuscirono a convincere Wijdeveld a scambiare i laghi di Loosdrecht per il Mediterraneo,
l’azzurro del mare e il sole giallo del sud e, soprattutto, a tornare alla culla di una tradizione
classica e vernacolare senza tempo. Così già, a partire dall’inizio del 1931, era dato per scon-
tato che la costa mediterranea della Francia fosse il posto giusto per questa futura comunità
internazionale di lavoro.

Il triumvirato fondatore dell’Accademia del Mediterraneo


Quando Mendelsohn, Wijdeveld e Ozenfant cominciarono a collaborare, tutti e tre erano sulla
quarantina e all’apice della loro carriera. Avevano caratteri molto diversi e ognuno di loro si
esprimeva nel suo linguaggio artistico. Eppure, erano pronti a contribuire al progetto ciascuno
9.2. Hendrik Th. Wijdeveld. Edizione tedesca dell’Internationale Werkgemeenschap [Internazionale Commu-
con la sua capacità speciale: Mendelsohn mise a disposizione la sua potente capacità di tradurre nità del Lavoro]. Copertina raffigurante il forte accento sulla internazionalità: tutti i cinque continenti sono
le idee in realtà, Wijdeveld il suo entusiasmo creativo, e Ozenfant la sua teoria basata sul tenuti ad essere presenti nella sua comunità di lavoro. © H. Th. Wijdeveld, Eine internationale Arbeitsge-
pensiero mediterraneo. Insieme formarono un interessante triumvirato di futuri direttori meinschaft, Santport, 1931.
dell’Accademia. 9.3. Hendrik Th. Wijdeveld. Disegno in prospettiva del suo progetto di edificio scolastico, seconda versione,
Wijdeveld, il padre dell’idea, aveva viaggiato molto, era cosmopolita, e parlava diverse lingue 1929. © Collezione dell’autore.
europee6. Aveva trascorso la sua giovinezza in Sudafrica e aveva lavorato in diversi studi di archi-
tettura, in Olanda, Inghilterra e Francia, prima di aprire il proprio studio nel 1914 ad Amsterdam. Erich Mendelsohn (1887-1953) è tutt’oggi noto soprattutto per il suo debutto architettonico, la
Gli amici lo ricordavano come un grande entusiasta, che stabiliva facilmente contatti7. Wim de Torre Einstein a Potsdam, che lo catapultò in prima pagina e lo aiutò a stabilire uno dei più attivi
Wit lo definì “il più esuberante di tutti gli architetti della scuola di Amsterdam”8. Frank Lloyd studi di architettura in Germania. Quando cominciò a essere coinvolto nel progetto dell’Acca-
Wright descrisse Wijdeveld in una lettera a Lewis Mumford come un egoista “lirico” che demia, aveva alle spalle un’opera imponente, principalmente progetti di grandi dimensioni
fa sembrare il mio egocentrismo come un singolo colore dello spettro, mentre lui li ha tutti. per l’industria e il commercio, e una serie di residenze private14. Il suo più grande edificio in
Questo mi ha sorpreso. Pensavo di essere io il massimo9. costruzione al momento era la Columbus House, un imponente edificio per uffici su Potsdamer
In ogni caso, Wijdeveld deve essere stata una persona eccezionale, un grande visionario e Platz a Berlino. Inoltre, aveva appena finito di realizzare casa sua, Am Rupenhorn, sul lago
sognatore con sorprendente forza fisica e poteri mentali. Raggiunse l’età di 102 anni. Quando Havel a Berlino, e pochi mesi prima vi si era trasferito con la moglie e la figlia. Questo rifugio
ne aveva ottantacinque, scrisse che si sentiva ancora pieno di energia per affrontare ogni nuovo familiare appena costruito parlava una lingua sobria di eleganza classica e di moderazione,
compito10. Mendelsohn ci ha lasciato una delle più belle descrizioni di Wijdeveld: molto diversa dalle prime opere dinamiche di Mendelsohn in Germania15. Era stata decorata
L’ho visto ballare sul muro che circonda l’antica Gerusalemme al ritmo sincopato di operai con tre murales eseguiti da Ozenfant.
arabi … e al sorridente movimento della risacca sulla sabbia d’argento della Costa Azzurra Amédée Ozenfant (1886-1966) fu un artista poliedrico: oltre ad avere una posizione importante
francese11. nelle fila dei pittori cubisti, era anche un prolifico scrittore. Agì come portavoce di tutti gli
La relazione tra Mendelsohn e Wijdeveld risale agli anni immediatamente successivi alla prima artisti francesi che hanno sostenuto una tradizione classica all’interno del Modernismo. Già
guerra mondiale. La loro corrispondenza iniziò nel 1920, quando Wijdeveld invitò Mendelsohn nel 1916, Ozenfant fondò la rivista L’Élan, e lì pubblicò il suo articolo molto letto “Notes sur le
a pubblicare le sue opere in Wendingen. Alcuni mesi dopo, nel febbraio del 1921, i disegni di Cubisme” [Note sul Cubismo] in cui espresse con forza il suo desiderio di ripulire e di raziona-
Mendelsohn riempirono un intero numero. Inoltre, Wijdeveld organizzò per Mendelsohn due lizzare, in qualche modo, il cubismo. Era un appello per un nuovo ordine e per un ritorno, entro
giri di conferenze attraverso l’Olanda, nel 1921 e 192312. Quando Mendelsohn si recò in Pale- l’avanguardia, ai principi di ordine classico. Dopo la guerra continuò a sviluppare il suo rappel à
stina all’inizio del 1923, Wijdeveld accettò spontaneamente il suo invito ad accompagnarlo. l›ordre [richiamo all’ordine], insieme al suo famoso co-autore Charles-Edouard Jeanneret, alias
La loro comprensione reciproca diventò un’amicizia profonda, ed è stato a casa di Wijdeveld, Le Corbusier. Nel loro saggio pubblicato congiuntamente nel 1918, Après le Cubisme [Dopo il
Vossiusstraat 50 ad Amsterdam, che Mendelsohn e sua moglie Luise trovarono rifugio, mentre Cubismo], gettarono le basi teoriche per il Purismo, che si potrebbe definire una sorta di Cubismo
in fuga dalla Germania l’ultimo giorno di marzo del 193313. classico purificato. Fino al 1925, i due artisti lavorarono insieme per sviluppare ulteriormente

308 309
Wijdeveld. Potrebbe aver risvegliato in Mendelsohn sentimenti atavici per la sponda orientale

LE NOSTALGIE MEDITERRANEE DI ERICH MENDELSOHN L’ ACCADEMIA EUROPEA MEDITERRANEA E OLTRE IN PALESTINA | Ita Heinze-Greenberg
del Mediterraneo. Ozenfant forse diede anche a Mendelsohn l’impulso iniziale a visitare la
Grecia, cosa che fece nella primavera del 193121. Il viaggio si rivelò un’esperienza travolgente
per Mendelsohn, la Grecia diventò una nuova fonte di ispirazione per il suo pensiero e la sua
comprensione architettonica. Dopo quel viaggio scrisse sei saggi molto poetici per il Berliner
Tageblatt, che testimoniano dell’amore appena scoperto e del forte impatto che ebbe su di lui
la Grecia. Chiamò Atene “madre dell’Europa” e il Mediterraneo “padre della teoria dello stile
occidentale internazionale”22.
Ozenfant era l’unico tra i futuri direttori della scuola ad avere esperienza d’insegnamento.
Nel 1924 aveva fondato, insieme a Fernand Léger, l’Académie Moderne di Parigi, e più tardi,
nel 1932, aprì la sua propria scuola d’arte, l’Académie Ozenfant, che ebbe una filiale a Londra
dal 1936 fino a quando egli trasferì la scuola interamente a New York. L’Académie Ozenfant,
con sede nello stesso edificio del suo famoso studio, costruito da Le Corbusier, al 53 Avenue
Reille, era incentrata su dessin, peinture, sculpture [disegno, pittura, scultura]. Il programma
prometteva che questi corsi sarebbero stati integrati da lezioni interdisciplinari, tenute da
critici d’arte, architetti, incisori, poeti e musicisti. Inoltre, offriva introduzioni a diversi concetti
filosofici e scientifici. L’idea pedagogica era di portare ogni studente a scoprire i propri talenti e
stile, liberi da qualsiasi pressione esercitata dal maestro23. Ozenfant considerava la sua scuola
d’arte come un “centro internazionale di cultura artistica”24 . Così, le sue idee coincidevano
con quelle di Wijdeveld e, in seguito, con i punti fondamentali del programma dell’Accademia
del Mediterraneo, che venne stilato meno di un anno dopo. Ozenfant probabilmente vedeva
entrambi i progetti delle due accademie come imprese complementari. Dato il suo impegno per
la fondazione della sua scuola a Parigi, furono soprattutto Wijdeveld e Mendelsohn a occuparsi
inizialmente di rendere operativo il progetto nel sud della Francia.

9.4. Stanza di soggiorno nella casa di Mendelsohn Am Rupenhorn, con il murale di Amédée Ozenfant.
L’attuazione del Progetto dell’Accademia
© Erich Mendelsohn, Neues Haus – Neue Welt, Berlin, 1932.
Nell’estate 1932, Mendelsohn e Wijdeveld partirono da Parigi lungo il fiume Rodano per visitare
queste idee, sia nel loro lavoro artistico che nei loro scritti teorici, per lo più pubblicati sulla la costa mediterranea della Francia meridionale, alla ricerca di un sito idoneo su cui costruire
rivista L’Esprit nouveau di cui erano co-editori. Purismo era l’espressione artistica del ristabili- la futura accademia. Mendelsohn scrisse ogni giorno a sua moglie lettere o altre brevi note di
mento di un ordine, una sorta di liricismo matematico, che avrebbe dovuto integrarsi in un ordine viaggio piene di entusiasmo per l’esperienza del Mediterraneo e per il progetto dell’Accademia.
cosmico universale naturale. La sua fonte di riferimento era la tradizione classica e vernacolare L’8 agosto 1932:
del Mediterraneo16. Ozenfant sviluppò queste idee nel suo libro molto noto e controverso Art, Si beve, si affoga nel Beaujolais e si è - salvati. La Germania è ben dietro di noi, e il midi
che fu pubblicato a Parigi nel 1928, e tre anni più tardi tradotto in tedesco, come pure in inglese di fronte al nostro naso. Sentiamo già l’odore di olive, di macchia e il profumo d’estate25.
col titolo Foundations of Modern Art17. E tre giorni dopo:
Mendelsohn espresse la sua scelta di una sensibilità mediterranea per la sua casa con la Stiamo prendendo ogni stradina tortuosa per scoprire ogni singolo magnifico posto -
decisione di incaricare Ozenfant. In particolare, il grande murale per la sala di ricevimento, dal guidando lungo la costa, entrando in proprietà private, dando loro un voto e annotandoli
titolo Musik und die bildenden Künste [Musica e le Arti Plastiche], considerato come ultima opera sulle mappe26.
purista di Ozenfant—con motivi come l’arpa e il vaso di terracotta—sembrava l’introduzione E di nuovo due giorni dopo:
alla Mediterraneità di Mendelsohn18. Conoscendo già da alcuni anni le sue opere e i suoi scritti, Stiamo vedendo molto, perché intuiamo che la nascita della realtà dipende dal posto giusto27.
il primo contatto personale di Mendelsohn con Ozenfant probabilmente risale alla sua prima All’inizio del 1933 il triumvirato decise di acquistare un terreno edificabile di cento ettari a
visita a Parigi, all’inizio del 192919. Un anno dopo, nel 1930, Ozenfant andò a stare per diverse Cavalière sulla baia tra Cap Nègre e Pointe du Rossignol, a metà strada tra Cannes e Marsiglia.
settimane nella casa appena costruita di Mendelsohn, Am Rupenhorn, al fine di eseguire i suoi Doveva occupare terreni in una posizione magnifica, appartata rispetto a tutte le distrazioni
murali. Questo fornì un’eccellente opportunità ai due uomini di conoscersi meglio, generando della Riviera, tuttavia sulle linee di comunicazione internazionali. Il finanziamento di tutto il
un profondo rispetto reciproco. L’esuberante elogio di Ozenfant della casa di Mendelsohn, progetto doveva essere garantito da una società a responsabilità limitata. I costi totali erano
pubblicato nel 1932 nel libro trilingue New House–New World, testimonia quanto seguissero stati stimati in tre milioni di franchi francesi28. Parallelamente alla ricerca di un sito appropriato
approcci artistici simili20. Si può presumere che la cultura e la tradizione del mondo mediterraneo per la costruzione, Mendelsohn, Wijdeveld e Ozenfant cercarono di trovare futuri insegnanti
siano state oggetto di molte discussioni tra questi due artisti. Ozenfant sicuramente raccontò competenti e idonei per l’Accademia. L’elenco del personale che accettò l’invito a insegnare
storie dei suoi recenti viaggi in Grecia e nel Vicino Oriente che, a loro volta probabilmente dimostra come il triumvirato dei direttori fosse riuscito a convincere artisti famosi provenienti
ricordarono a Mendelsohn del suo felice viaggio in Palestina nel 1923 e nei paesi limitrofi con da vari paesi europei a dirigere i vari dipartimenti29.

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LE NOSTALGIE MEDITERRANEE DI ERICH MENDELSOHN L’ ACCADEMIA EUROPEA MEDITERRANEA E OLTRE IN PALESTINA | Ita Heinze-Greenberg
9.5. A sinistra: Pagina della brochure dell’Accademia del Mediterraneo (AEM) mostrando il sito della futura
accademia. A destra: Questionario inviato ai potenziali studenti, 1933. © Mendelsohn-Archive, Staatliche
Museen zu Berlin—Preussischer Kulturbesitz, Kunstbibliothek.
9.6. Hendrik T. Wijdeveld. Progetto per il complesso dell’Accademia a Cavalière, 8 Gennaio 1934.
© Wijdeveld-Archive, The Nieuwe Instituut, Rotterdam.

Lo svizzero Paul Bonifas (1893-1967), per il Dipartimento di ceramica, e l’artista spagnolo Pablo
Gargallo (1881-1934), come capo del Dipartimento Scultura, aderirono grazie ai contatti personali
di Ozenfant. Bonifas aveva una formazione professionale in ceramica, incisione, stampa e musica. venne momentaneamente chiuso. I tre direttori avrebbero dovuto occuparsi personalmente
All’inizio degli anni Venti aveva lavorato come segretario generale della rivista L’Esprit nouveau, del dipartimento di architettura (Mendelsohn), di teatro (Wijdeveld), e di pittura (Ozenfant). Si
con Ozenfant e Le Corbusier. Gargallo, amico di Picasso dai tempi di Barcellona, lavorava a prevedeva di aggiungere, in seguito, altri corsi, come danza, tessitura, fotografia e cinema.
Parigi ed era rappresentato dalla famosa galleria di Leon Rosenberg. Aderirono anche due Ancora più notevole della lista del futuro personale docente era la composizione del comitato dei
artisti dall’Inghilterra Serge Chermayeff (1900-1996) ed Eric Gill (1882-1940). Quest’ultimo, che membri onorari. Sembra di leggere un’edizione dell’epoca del Who’s Who. Con Albert Einstein in
si sarebbe dovuto occupare della facoltà di tipografia, era uno degli scultori e tipografi inglesi testa, questo comitato era composto di uomini rinomati nel mondo della scienza, della politica
di maggior successo. Gill aveva un carattere affascinante, molto ambivalente: provenendo dalla e delle arti e da una donna, Hélène de Mandrot de Sarraz, che aveva fondato il congresso CIAM;
tradizione di Arts & Crafts, egli stesso fondò tre comunità basate sull’attività artigianale, in cui altri nomi su questa lista di tutto rispetto di personaggi di fama internazionale erano gli insigni
riuscì a fondere la religione, l’arte e il sesso 30. Chermayeff era una figura artistica non meno architetti Hendrik Petrus Berlage, Auguste Perret, Charles Herbert Reilly, Raymond Unwin,
intrigante. Nato nei pressi di Grozny in Cecenia era cresciuto a Londra, con un periodo all’estero, Henry van de Velde e Frank Lloyd Wright, lo scenografo inglese Edward Gordon Craig, il regista
in Sudamerica. Dopo una breve carriera come ballerino professionista si era specializzato con teatrale tedesco Max Reinhard, lo scrittore e poeta francese Paul Valéry e i musicisti Leopold
grande successo nella decorazione di interni e venne quindi scelto dal triumvirato come capo Stokovsky e Igor Stravinsky 33.
del futuro dipartimento di interior design 31. Il musicista tedesco Paul Hindemith (1895-1963), La fase successiva comportava di pubblicizzare l’intero progetto. Brochure disegnate lussuosa-
infine, si unì alla lista dei membri del personale. Era docente presso l’Accademia Musicale di mente e opuscoli vennero stampati in francese, inglese, olandese e tedesco, cinquecento copie
Berlino dal 1927, aveva la reputazione di un rivoluzionario evolutosi in uno studioso del Moder- in ogni lingua, per essere distribuiti presso gli ambienti interessati in tutta Europa34. Fornivano
nismo classico 32. Con questo numero di eminenti artisti, il circolo dei futuri membri dello staff informazioni sugli ambiziosi obiettivi dell’Accademia ed erano arricchiti da suggestive foto del

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sito. Aprivano il testo della brochure dichiarazioni generali sulle caratteristiche della futura sentire allo stesso tempo vivo e sereno. Lo sfondo di quella nostalgia che mi ha accom-

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AEM. L’obiettivo della scuola veniva definito come il metodo d’oro per mediare tra gli effetti pagnato da quando ero bambino e che mi ha portato attraverso il tempo, dà un senso alla
aberranti causati dalla formazione accademica tradizionale e la libertà dello studio privato, mia consapevolezza dello spazio, all’armonia dei volumi, al rapporto di ogni parte al tutto,
che può portare a eccentricità individuale. Il termine ‘accademia’ veniva utilizzato per mettere all’equilibrio delle tre dimensioni40.
in chiaro che il Modernismo non era inteso come una rottura con la tradizione, ma piuttosto E ancora da Cavalière nel giugno 1933:
come uno sviluppo organico radicato nel passato. Sei giorni in riva al Mediterraneo, sentiamo un pezzo di antichità diventare parte di noi,
L’unione di tradizione e innovazione era sentita nel contenuto dei corsi, così come nelle stesse allontanandoci inconsapevolmente dal nord, dal cambiamento di temperatura e di sentimenti,
forme didattiche. Invece di rompere radicalmente con metodi di insegnamento tradizionali, il verso quell’equilibrio di vita che non conosce alcun eccesso di peso 41.
programma di studio era costruito su idee tradizionali. Nuovi e creativi approcci pedagogici La vita sulle rive del Mediterraneo viene raffigurata come una grande sensuale esperienza di
e artistici non sostituivano quelli vecchi, ma venivano aggiunti a essi. Se l’Accademia fosse felicità, lo stimolo vitale viene attribuito alle tre divinità del Mediterraneo: il sole, il mare e il
stata realizzata secondo il programma descritto nella brochure, l’AEM sarebbe indubbiamente cielo. È quello che i francesi chiamano la pensée midi, letteralmente “pensiero meridiano”. Ma
diventata un centro dell’esperienza vissuta del Movimento Moderno, in contrasto con il Bauhaus, è molto di più. È la filosofia mediterranea di armonia e di equilibrio, di unità con la natura, di
che divenne il centro degli esperimenti vissuti del Modernismo. Inoltre, l’identità europea veniva luce del sud come fonte del pensiero, di ricorso alla moderazione come centro dell’esistenza, di
sottolineata nel testo della brochure e messa in rilievo nelle mappe, che riunivano idealmente stabilità interna del mondo mediterraneo come culla della forma, insieme all’omaggio esube-
una unità culturale europea, che si trovava in forte contrasto con le divisioni politiche esistenti rante alla cultura dell’antichità greca e del Rinascimento italiano, la filosofia alla base dello
ed emergenti all’epoca. Due motivi furono dati per giustificare la scelta del sito: in primo luogo, spirito vitale dell’epoca classica e della sua eredità.
l’ottimo clima mediterraneo, e secondo, la sua collocazione culturale come culla storica e La Pensée Midi conduce ad alcuni dei più grandi pensatori francesi dell’epoca e, soprattutto, a
patria dei principi di fede, legge e forma 35. In definitiva l’iniziativa dell’Accademia supponeva Paul Valéry. Il suo Eupalinos sembra essere onnipresente nel progetto dell’accademia. Eupa-
uno spostamento geografico del Modernismo, indietro verso le radici mediterranee che avevano lino—il personaggio storico era un ingegnere di Megara noto per la costruzione del tunnel
ispirato tanti contemporanei con Le Corbusier. Fu un allontanamento dal pragmatismo nordeu- dell’acquedotto di Samo (ca 550 a.C.)—è la figura centrale del famoso saggio di Valéry del 1921-
ropeo—protestante/calvinista per così dire—con implicazioni politiche oltre che estetiche. Il 1923, concepito come dialogo platonico 42. Il tema del dialogo sono le arti—pittura, letteratura,
suo programma affermava nulla di meno che il ruolo centrale dell’Europa mediterranea nel danza, musica, scultura e, soprattutto, l’architettura—con le loro relazioni reciproche e il loro
mondo culturale. impatto sull’uomo. È il credo di Valéry nella forma, nell’uomo creatore a immagine di Dio, nel
trasformare un mucchio informe di pietre in un mondo di forze precise, nell’equilibrato sacro
La Pensée Midi ordine fissato nel paesaggio della tradizione greca mediterranea.
Il Mediterraneo ha affascinato i nordeuropei per secoli. Goethe scrisse nel suo diario di viaggio La formazione dello spirito e dell’intelletto dal Mar Mediterraneo e l’eredità del Classicismo
italiano (1786-1788): mediterraneo, fu uno dei temi centrali di Valéry. Lo chiamava Inspirations Méditerranéennes,
Ognuno è in strada, seduto al sole, finché splende. Il napoletano è convinto di possedere il (ispirazioni mediterranee), che divenne il titolo di un saggio autobiografico43. In altri scritti Valéry,
suo Paradiso. Ha un concetto molto triste dei paesi nordici … sempre neve, case di legno, con la percezione del Mediterraneo come centro spirituale dell’Europa, aggiunse un importante
grande ignoranza, ma un sacco di soldi36. concetto socio-politico alla nozione emotiva e intellettuale. In un’antologia di saggi, pubblicati
Dei tre futuri amministratori della AEM, fu soprattutto Mendelsohn che diverse volte evidenziò nel 1931 dal titolo Regards sur le monde actuel—che includeva il suo “Notes sur la Grandeur et la
questa contrapposizione Nord-Sud. I suoi appunti di viaggio dalla Costa Azzurra attestano il Decadence de l’Europe” (Note sulla grandiosità e decadenza dell’Europa)—descriveva il destino
suo stato d’animo esaltato, così da Ajaccio nell’autunno 1931: dell’Europa come dipendente dalla conservazione della sua cultura originaria, elaborata dal
Il Mediterraneo contempla e crea, il Nord si chiude su se stesso e fatica. Il Mediterraneo Mediterraneo44. Senza il suo centro mediterraneo di forze creative, Valéry non vedeva possibilità
vive, il Nord si difende37. di sopravvivenza per l’Europa, per la sua identità, la sua integrità e la sua unità.
Mendelsohn, che definiva se stesso ein Orientale aus Ostpreußen [un orientale dalla Prussia Nel 1933, Anatole de Monzie, ministro francese dell’educazione, nominò Valéry direttore ammi-
dell’est], non solo si sentiva legato a entrambi i circoli della percezione, ma anche sentiva nistrativo del Centre Universitaire Méditerranéen (Centro Universitario Mediterraneo), in corso
in se stesso le loro forze divergenti 38. Da una parte nutriva forti sentimenti atavici verso la di fondazione da parte del governo francese a Nizza. Valéry definì lo scopo di questo centro come
riva orientale del Mediterraneo, dall’altra difendeva con forza il suo retroterra prussiano. Era l’analisi e la conservazione dell’immenso contributo intellettuale e umanitario della cultura
proprio l’ambivalenza tra familiarità e diversità che gli apriva nuove dimensioni. Rifletteva sul mediterranea alla civiltà45. Sembra utile richiamare l’attenzione sul fatto che il progetto AEM
Mediterraneo come un estraneo coinvolto. Le sue lettere di quegli anni erano odi incantevoli al risale esattamente allo stesso periodo. Dato che Valéry faceva parte del comitato consultivo, si
Mare Mediterraneo. Da Hyères nel mese di agosto 1932 può ben concludere che il progetto dell’Accademia si sviluppò secondo gli orientamenti intellet-
L’acqua trasparente come il vetro blu chiaro. In lontananza punti immaginari, nebbia, foschia tuali delle idee di Valéry. Potremmo anche arrivare a considerare l’Accademia come un ramo
e perdita di coscienza. Duecento metri di baia solitaria circondata da enclave mondana di ideologico, anche se non istituzionale, del suo progetto universitario. Si può presumere che le
un piacere sconosciuto - di uno stile di vita - di una forma di piacere, che viene percepito opere di Valéry fossero ben note ai tre futuri direttori 46. In ogni caso condivisero una visione
dentro di noi dall’inizio alla fine39. romantica del Mediterraneo come culla della cultura occidentale, e contrapposero i suoi valori
E da Cavalière nel maggio 1933: senza tempo con le carenze dell’Occidente industrializzato.
Com’è splendido, questo fresco vento di mare. Di un calore tenero, femminile. Il cielo, le
isole, il mare, si immergono nella stessa meraviglia di questo blu distante, il che mi fa

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Il grande incendio un giardino in comune, entrambi di importanza fondamentale nella visione di Wijdeveld di una

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Vediamo qui gli intellettuali più importanti coinvolti nel portare avanti idee di un’Unione Europea, comunità viva e funzionante52.
alla quale la cultura mediterranea classica avrebbe fornito una identità unificante e univer- Eppure, i piani erano destinati a rimanere sulla carta, un’utopia mai realizzata. Il suo destino
sale. La realtà politica dell’Europa, tuttavia, era spinta da forze paneuropee di ben diversa sembra anticipare di molto lo sviluppo storico. Nell’estate del 1934, gran parte del terreno
natura, quelle che tolsero a poeti e pensatori come Valéry—durante il regime di Vichy, nel 1941, dell’Accademia venne distrutto da un grande incendio, che lasciò dietro di sé terra annerita
fu spogliato del suo lavoro di direttore del Centro Universitario Mediterraneo—o ad artisti come coperta di cenere. Wijdeveld scrisse:
Wijdeveld, Ozenfant e Mendelsohn il diritto di continuare tale lavoro. Queste forze si adoperarono Un grande incendio ... Abbiamo visto la catastrofe con grande timore. Le montagne tra
anche per la creazione di una nuova identità europea, riferita ad un nuovo Classicismo, ma ne Le Lavandou e Le Rayol sono diventate una massa grigia. Gli ampi pendii che circondano
venne fuori una storia completamente diversa. la nostra proprietà sono coperte di legno bruciato … Tutto appare come un vasto campo
Tornando alla cronologia dell’Accademia, Mendelsohn , dopo essere fuggito alla fine di marzo del di battaglia. In queste circostanze continuare col nostro progetto dell’Accademia sembra
1933 dalla Germania, concentrò tutte le sue energie sull’AEM. Per i mesi successivi fu la forza impossibile … Il destino ha deciso53.
trainante dietro di essa, mettendo in atto l’idea dell’Accademia. Ebbe particolarmente successo Col senno di poi, Ozenfant corredò la fine dolorosa del progetto con auguri per rosee prospet-
nella ricerca di finanziatori e i preparativi per l’inizio effettivo dei lavori sul sito a Cavalière tive future:
andavano avanti a pieno ritmo. Alla fine di agosto del 1933, tuttavia, dopo un viaggio in Inghilterra Così è andato in fumo un bel progetto; altri, un giorno, lo riprenderanno ed costruiranno
per reclutare nuovi patrocinatori, Mendelsohn informò Wijdeveld della sua decisione di stabi- un luogo di ottimismo e di bellezza in questa nuova potenziale Attica, la Costa Azzurra,
lirsi in Inghilterra e di aprire un ufficio a Londra insieme a Serge Chermayeff47. Questa notizia antica colonia greca54.
arrivò all’improvviso e dovette essere un terribile shock per Wijdeveld. Anche se Mendelsohn
sottolineò ripetutamente che la sua mossa non avrebbe necessariamente posto fine alla sua La “casa mediterranea” a Gerusalemme
partecipazione attiva al progetto dell’Accademia, tuttavia segnò il destino di questo progetto Nonostante Mendelsohn fosse stato spinto da considerazioni pragmatiche ad abbandonare
promettente. Senza dubbio, Mendelsohn era stato il potente motore dell’intero programma il progetto dell’Accademia per perseguire nuove opportunità professionali in Inghilterra,
durante il periodo decisivo della primavera ed estate del 1933. Si era anche adoperato come l’esperienza sul Mediterraneo rimase sempre viva nella sua mente come stimolante scin-
mediatore influente tra Wijdeveld, l’appassionato, e Ozenfant, il purista. Senza un pieno impegno tilla. Chiaramente, mescolata alle sue dichiarazioni d’amore per il Mediterraneo, c’era la
di Mendelsohn, Ozenfant e il resto degli insegnanti si dimisero e alcuni dei possibili finanziatori nostalgia per la “terra dei suoi padri”, sulla riva orientale. In una lettera alla moglie Louise
ritirarono le loro offerte 48. In una lettera a Eric Gill, Wijdeveld descrisse i tristi sviluppi: scritta nel maggio 1933 confessò in un scritto un mese dopo la fuga con la sue moglie dalla
Dopo diversi mesi di preparazione, pianificazione, visite in Francia, acquisto dei terreni, un Germania in aprile 1933: “Il Mediterraneo è un primo passo verso il ritorno a quel paese, alla
solo uomo ha dovuto fare il lavoro. Mendelsohn, che era fuggito da Berlino, si era rifugiato tappa finale alla quale entrambi apparteniamo. Fa piacere saperlo”55.
a casa nostra ad Amsterdam, non aveva nessun ufficio, nessun lavoro, avrebbe potuto Un anno e mezzo dopo Mendelsohn aprì il suo ufficio a Gerusalemme. Lavorando col il Neues
cominciare subito a Cavalière. Il suo carattere però gli fece desiderare di vivere e lavorare Bauen, che stava facendo di Tel Aviv una metropoli internazionale che riflettesse l’origine europea
in mezzo alla folla e di elaborare i suoi progetti da solo. A un tratto se ne andò a Londra, dei suoi abitanti, egli mise in guardia contro l’aderenza unilaterale e avventata agli standard
poi in Palestina … Ozenfant è un vero francese e sarebbe sicuramente venuto a Cavalière, occidentali56. Non si stancò mai di criticare le tendenze occidentali dei suoi colleghi architetti
se si fosse potuto portare dietro Parigi. Anche ai Chermayeff sembra che avessero bisogno in contrasto con lo sfondo sociale e culturale:
della luce scintillante di una Métropole! Rimasti soli, si sono ritirati Hindemith e Gargallo. Per quanto riguarda questa terra, le sue abitazioni sono orientate ai modelli europei con
Quindi noi, mia moglie e mio figlio più giovane, abbiamo iniziato da soli49. troppa forza. C’è troppa imitazione e troppo poco spirito inventivo indipendente. Il clima
Alcuni studenti accompagnarono la famiglia Wijdeveld a Cavalière50. In seguito, al gruppo si unì della Palestina e lo stile di vita dei suoi abitanti, legato strettamente alla natura, ci impon-
un giovane architetto del paesaggio tedesco Reinhold Lingner (1902-1968), che si occupò, oltre gono di liberarci da queste planimetrie normali per ottenere una freschezza e una scala
che della progettazione del paesaggio e del giardino, anche della formazione degli studenti più ampie per gli interni. Questo scopo si raggiunge con la sala, è il centro rinfrescante
in queste discipline51. Durante i mesi invernali del 1933-1934 Wijdeveld preparò almeno tre della casa urbana araba e la tenda di pietra monolocale dei beduini sedentari in Es-Salt. I
diversi disegni per il futuro campus dell’Accademia, tutti su una scala più modesta di quanto balconi aperti, per esempio, non hanno un ruolo in un clima subtropicale, mentre gli alberi
inizialmente previsto. Due semplici vecchie case in pietra, l’una di fianco all’altra, esistevano accanto alla facciata sono ben più efficaci per dare ombra e più gradevoli di aspetto. Così
già sul terreno. Wijdeveld pensava di preservarle, utilizzandone una come abitazione del giar- resta ancora molto da fare57.
diniere e l’altra come sala da pranzo comunitaria con cucina annessa. Le nuove strutture, da Ai suoi colleghi nel paese raccomandò di studiare l’intera gamma di architettura vernacolare
costruire appositamente, dovevano essere tre ampi atelier (rispettivamente per l’architettura, mediterranea tradizionale prima di costruire in Palestina58. Egli stesso tradusse, nella sua
la pittura e la scultura), dieci residenze con camere singole per gli studenti, un ampio garage architettura in Israele, tutto ciò che aveva sperimentato e imparato nei suoi lunghi viaggi attra-
e un piccolo ufficio per l’amministrazione. I disegni suggerivano un trattamento architetto- verso i paesi del Mediterraneo. Soprattutto il suo primo progetto edificato, Villa Weizmann in
nico che si potrebbe definire sobrio, moderno, in armonia col carattere degli edifici di pietra Rehovoth, attesta il suo credo. La villa fu progettata e costruita tra il 1934 e il 1936. All’epoca
esistenti. Solo le dieci cabine dal tetto piatto, Cellules pour une personne [letteralmente ‘cellette Chaim Weizmann era il presidente dell’Organizzazione Sionista Mondiale. Così, la casa fu conce-
per una persona’], ciascuna a sé stante circondata da cespugli e boschi, con una grande parete pita non tanto come un rifugio privato di famiglia, ma piuttosto come un luogo in cui Weizmann
di vetro aperta verso il Sud, verso il Mediterraneo, rivelano un’impronta di Le Corbusier. Gli avrebbe potuto ricevere gli ospiti ufficiali più disparati da tutto il mondo. In retrospettiva si
edifici principali della scuola erano organizzati intorno a un teatro all’aperto semicircolare e potrebbe chiamarla la casa per un futuro presidente di un futuro stato. Mendelsohn si servì

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di vari “trucchi” per presentare il suo capolavoro in questo contesto. Secondo uno degli suoi

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assiomi, “l’architettura valida è progettata dietro l’angolo”59. Definiva il rapporto tra l’uomo e
l’architettura come un processo dinamico, come la tensione tra l’energia che sposta e l’energia
spostata. Ora l’elemento del movimento può risiedere sia con l’oggetto che con lo spettatore,
il che significa che l’oggetto si “muove” di fronte a uno spettatore immobile o quest’ultimo si

muove intorno a un oggetto statico. Queste erano le due possibilità esplorate dal Futurismo e
dal Cubismo. L’architettura tedesca estroversa di Mendelsohn parla il linguaggio futurista. Lì,
le sue volumetrie di cemento ricurve sembrano muoversi intorno agli angoli, con lunghe file di
finestre che fluttuano orizzontalmente.
Le pareti chiuse di Villa Weizmann, invece, nella loro introversione e tranquillità geometrica
interpongono un carattere statico. Per produrre comunque un senso di tensione dinamica,
Mendelsohn utilizzò una tecnica che ricordava il gioco prospettico dei cubisti: mosse lo spetta-
tore intorno al suo oggetto, in questo caso in un senso letterale, fisico. Mendelsohn sviluppò un
programma di prospettiva attentamente calcolato per la villa, e una serie di schizzi lo mostravano
esplorando varie viste della villa da diverse angolazioni. Progettò l’accesso alla villa come un
sentiero tortuoso in modo da mostrare al visitatore con orgoglio tutti i lati del suo monumento.
Prima di entrare attraverso la porta principale all’interno della casa, il visitatore avrebbe già
visto tutte le facciate e le viste d’angolo della Casa Bianca israeliana.
In questo gioco di prospettive cangianti, Mendelsohn sembra essere stato ispirato dall’archi-
tettura della Grecia classica, visitata solo tre anni prima. Louise ricordò:
... Non fece mai molto caso all’architettura greca fino a quando non la vide con i suoi occhi.
L’Acropoli di Atene lo sopraffece. Fu particolarmente impressionato dal modo in cui l’ap-
proccio è così calcolato e integrato con l’intero complesso60.
Così, nel suo primo progetto realizzato per la “vecchia-nuova” terra, Mendelsohn, uno dei
profeti del tempo della macchina in Germania, tornò alle antiche radici del Mediterraneo. Il
complesso è costituito da quattro blocchi a incastro disposti simmetricamente lungo l’asse est-
ovest intorno a un cortile interno aperto. Due elementi essenziali violano la rigorosa simmetria:
un’ala di servizio attaccata all’angolo nord-est, e l’ingresso della casa, spostato fuori asse a
sud, sul lato anteriore. Questa soluzione mostra la tecnica brillante tipica delle prime opere di
9.7. Erich Mendelsohn. Casa Weizmann, Rehovot, 1934-36. © Mendelsohn-Archive, Staatliche Museen zu
Berlin—Preussischer Kulturbesitz, Kunstbibliothek.
Mendelsohn: la trasformazione di una composizione simmetrica in un’esperienza asimmetrica.
Infine Villa Weizmann rappresenta un ottimo esempio di simbolismo nautico applicato. La chiara
9.8. Erich Mendelsohn. Piani e planimetria schematica, Casa Weizmann, Rehovot, 1934-36. © Architectural
simmetrica gerarchia dei lunghi blocchi bassi ricorda la sezione longitudinale di una nave. La
Review, October 1937.
torre sporgente della scala semicircolare con il suo nastro continuo di finestre sotto la linea
9.9. Erich Mendelsohn. Casa Schocken, Gerusalemme, 1934-36. Vista del lato nord con pergola e terrazza.
del tetto ricorda un ponte di comando, mentre le piccole finestre rotonde, gli oculi delle sale
© Architectural Heritage Research Center, Technion, Haifa.

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9.10. Erich Mendelsohn. Hadassah Centro Medico Universitario, Mount Scopus, Gerusalemme, c. 1935.
Schizzi in prospettiva della scuola di Medicina e auditorio. © The Museum of Modern Art/Licensed by
SCALA / Art Resource, New York.
9.11. Erich Mendelsohn. Hadassah Centro Medico Universitario, ingresso, Gerusalemme, c. 1936.
© Archives of the Hebrew University, Gerusalemme.

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di rappresentanza principali, assomigliano agli oblò di una nave a vapore. Nell’architettura desideri dei benefattori americani. Le uniche strutture realizzate sotto la sua direzione furono​​

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moderna, allusioni alla costruzione navale sono ben noti. Ricordiamo, per esempio, l’opera l’Hadassah University Medical Center e altri due modesti edifici. Nonostante questo fallimento,
di Le Corbusier, Hans Sharoun, Ernst May e Antonio Sant’Elia. La maggior parte di queste l’Hadassah Center divenne il simbolo dell’università e l’ingresso con le tre cupole il marchio
allusioni sono basate su una glorificazione della funzionalità e dell’estetica della macchina. A architettonico dell’ospedale. Egli scrisse:
Villa Weizmann, tuttavia, entrarono in gioco altri significati associati con l’immagine della nave, Siamo sul Monte Scopus a Gerusalemme e stiamo guardando giù verso villaggi vecchi di
come ad esempio: partenza e viaggio verso mete lontane, fuga e liberazione, movimento verso tremila anni, o sono seimila, chi lo sa? Ovunque ci sono piccole case di pietra a cupola. Così
l’utopia e speranza di un “mondo nuovo”. L’archetipo associato a questi significati è l’arca di ho adottato la forma della cupola ...64.
Noè. Quasi tutte le utopie letterarie utilizzano il motivo della nave in una forma o nell’altra. Villa Senza dubbio, le sue tre cupole rappresentano un omaggio all’architettura araba che elogiò più
Weizmann simboleggia un’arca di Noè che si è posata sul monte Ararat, carica di speranze per volte per il suo senso originario di armonia. Eppure, invece di copiare, ha “citato” e dal momento
una società migliore in una nuova patria. che la citazione è stata strappata dal suo contesto originario, si sentì libero di giocarci senza
Nello stesso periodo 1934-1936, Mendelsohn progettò la casa di Salman Schocken, un altro inibizioni, traducendo la tradizionale cupola da muratura a cemento, sollevandola dalla sua
uomo importante nei circoli ebraici in Palestina61. Nonostante le analogie tipologiche con Villa funzione di elemento che racchiude uno spazio per collocarla sopra un passaggio aperto e
Weizmann, la residenza Schocken non avrebbe potuto essere più diversa. Situata nella parte triplicandola.
nord-est di Rehavia, una città-giardino progettata nei primi anni Venti da Richard Kauffmann, L’utopia sionista di Mendelsohn era una visione di un Medio Oriente aperto—un Commonwealth
la casa si presenta come una tipica abitazione cittadina integrata nella struttura del quartiere semitico—con la possibilità per lui di costruire al Cairo, a Damasco, ad Amman e a Beirut. Il
di ville62. Ogni casa è il ritratto del suo committente e del suo ruolo nella società. Weizmann era nazionalismo pragmatico della politica del paese era una scena troppo stretta per lui: “La Giudea
un politico che rappresentava il movimento sionista; di conseguenza, la sua casa di campagna è celestiale, ma troppo piccola per me”, scrisse a un amico65. Per coloro che hanno continuato a
era carica di simboli che rappresentavano una missione politica pubblica. Schocken, d’altra costruire la “Terra Promessa”, ha lasciato uno saggio sulla Palestine and the World of Tomorrow
parte, evitava di esporsi al pubblico, si trovava meglio ed era più a suo agio stilando piani alla sua (Palestina e il mondo di domani), che è sorprendente per la sua lungimiranza e attualità. Egli
scrivania, come potere organizzatore del movimento sionista dietro le quinte. La sua residenza colloca la Palestina all’interfaccia di due vecchie regioni culturali, l’arabo-semitica e il Medi-
era libera da sovrastrutture simboliche e fu progettata dall’interno verso l’esterno. terraneo. Invita i popoli del Mediterraneo a contemplare e riflettere sulla propria ricca cultura,
La costruzione asimmetrica è sottoposta al ritmo graduale di porte in vetro verticali e fascie invece di correre dietro a “vitelli d’oro”. Non si stanca di mettere in guardia con immagini
orizzontali di logge, consolidate in una composizione omogenea dalla ripetizione di motivi quali le linguistiche sempre nuove e originali contro una svendita dei loro valori tradizionali per amore
forme arrotondate sporgenti (terrazzo, balcone, piscina) e pergolati (lato orientale del terrazzo del denaro e del cosiddetto progresso:
sud, terrazzo a nord, portico del giardino pensile). La struttura lunga e stretta, come tutti gli I popoli del Mediterraneo non ottengono alcun vantaggio dallo sfruttamento del loro splen-
edifici successivi a Gerusalemme, era una costruzione in cemento con un rivestimento in pietra dore enigmatico a beneficio degli pseudo-stili europeo-americani. Vendono i diritti d’autore
verso l’esterno. La muratura di quasi quaranta centimetri di spessore fu prodotta con un metodo delle loro creazioni originali per le mance lasciate da artisti romantici, snob e archeologi
tipico di Gerusalemme: si costruivano due strati di pietra e poi si riempivano di cemento o calce- entusiasti. Non ottengono nessuna royalty per le loro creazioni uniche, elencate in un campio-
struzzo, con rinforzi di travi di ferro in importanti punti di supporto. Il modo in cui Mendelsohn nario di dettagli architettonici e decorazioni.
si serve della pietra giallastro-oro di Gerusalemme colpisce particolarmente nella cura attenta La cattiva gestione e lo sfruttamento delle loro foreste fa diventare sterile le montagne della
dei serramenti di porte e finestre. Nel calcolare il taglio della pietra egli pose grande enfasi Grecia e le colline della Giudea. L’arroganza che disprezza chi preferisce la benedizione
nell’estensione delle linee primarie alla stessa altezza intorno a tutto l’edificio. In questo uso spirituale ai benefici della tecnologia, fa diventare sterili gli sforzi umani. Il declino del
della pietra naturale, Mendelsohn ha seguito l’antica tradizione edilizia di Gerusalemme, su potere creativo del Mediterraneo e la perdita della sua importanza politica sono in stretta
cui erano basati i codici di costruzione sia ottomani che britannici63. e continua correlazione. La Palestina è solo una parte di questo processo66.
Dato che Weizmann e Schocken erano entrambi coinvolti nelle vicende della nuova Università Con lettere di presentazione di persone non meno importanti di Henry Morgenthau e Lewis
Ebraica sul Monte Scopus, era chiaro che Mendelsohn sarebbe stato l’uomo nuovo dell’uni- Mumford, Mendelsohn entrò nella “terra delle possibilità illimitate”67. Nel 1941 dopo l’arrivo in
versità. Nel 1919 Sir Patrick Geddes ideò il primo progetto generale e vennero costruiti un paio America, rimase a New York per alcuni anni per trasferirsi poi sulla costa occidentale. Da San
di edifici in un vocabolario formale orientale contaminato da un accento europeo. Negli anni Francisco scrisse al suo vecchio amico Oskar Beyer nel dicembre 1951:
Trenta, i tempi erano maturi per una revisione e un significativo ampliamento del progetto. Nel Costruisco, insegno all’Università, vivo nelle mie idee e dalla quiete, che dà vita a tutto—in
1937, Mendelsohn creò un modello del nuovo progetto per Monte Scopus, che fu presentato un paese in cui ho fiducia, in uno stato che unisce il respiro del Mediterraneo, la mia prima
all’Expo mondiale di Parigi dello stesso anno, non distante dai padiglioni della Germania di casa limitata—alla brezza del Pacifico sconfinato, su una collina in una città la cui posizione
Hitler, della Russia di Stalin, dal padiglione della cadente Repubblica spagnola dove Guernica si avvicina alla baia di Corinto, al Golfo di Napoli e alla baia di Merabelo a Creta68.
faceva risuonare il suo lamento contro la guerra e il fascismo. In questo contesto, il modello di
Mendelsohn rappresentava la più importante testimonianza dell’antica-nuova patria ebraica e la
sua rinascita intellettuale e culturale. Qui, sullo sfondo dell’inferno che si avvicinava, il concetto
di apprendimento e di erudizione—profondamente ancorato nella tradizione ebraica—portava
l’unico barlume di speranza per il futuro.
Il progetto di Mendelsohn, tuttavia, venne gradualmente eroso tra le esigenze burocratiche del
governo mandatario britannico, il pragmatismo dell’amministrazione universitaria e gli egoistici

322 323
1
Erich Mendelsohn, “Neu-Athen,” Berliner Tageblatt, giugno 1931, p. 14. Questo saggio è una Schmidt (a cura di) , Canto d’Amore. Classicism in Modern Art and Music 1914-1935, Berna, Benteli

LE NOSTALGIE MEDITERRANEE DI ERICH MENDELSOHN L’ ACCADEMIA EUROPEA MEDITERRANEA E OLTRE IN PALESTINA | Ita Heinze-Greenberg
versione riveduta di un articolo precedente dell’autore: “An Artistic European Utopia at the Abyss Verlags AG, 1996, pp. 334-335.
of Time: The Mediterranean Academy Project”, in Architectural History 45, 2002, pp. 441-482. Il 17
Amédée Ozenfant, Art, Parigi, Jean Budry & Cie., 1928; edizione tedesca: Leben und Gestalten,
saggio include nuovi dati di ricerca e osservazioni derivanti da una più ampia ricerca corrente Potsdam, Müller & Kiepenheuer, 1931, edizione inglese: Foundations of Art, Londra, John Rodker, 1931.
dell’autore sullo stesso argomento, condotta sotto gli auspici della Zentralinstitut für Kunstge- 18
Susan L. Palla, Ozenfant and Purism. The Evolution of a Style 1915-1930, Ann Arbor MI, UMI
schichte, Monaco, finanziato dalla Deutsche Forschungsgemeinschaft (DFG). La sezione finale è Research Press, 1981, p.147.
presa in prestito dal mio capitolo “I am a free builder. Architecture in Palestine 1934-41” (Io 19
Louise Mendelsohn scrive nelle sue memorie, My Life, p. 867, che lei e suo marito conoscevano
sono un costruttore libero. Architettura in Palestina 1934-1941), in Regina Stephen (a cura di), Ozenfant e le sue opere dai vari numeri di L’Esprit nouveau. Quando si arrivò alla decorazione
Eric Mendelsohn. Architetto 1887-1953, New York, The Monacelli Press, 1999. della loro casa decisero per il Purismo di Ozenfant, dal momento che “Eric ed io amavamo quelle
2
Per una valutazione delle opere architettoniche di Wijdeveld e progetti di pianificazione urba- forme pure che Ozenfant ha equilibrato così armoniosamente nel colore e nel soggetto.” Accenna
nistica, si veda Mariëtte van Stralen, “De Landhuizen van H.Th. Wijdeveld “ in Forum 37, 3-4, anche alla breve sosta del marito a Parigi in viaggio verso la Spagna all’inizio del 1929, p. 198.
gennaio 1995, pp. 3-144; Jean-Paul Baeten e Aaron Betsky, Ontwerp het onmogelijke. De Wereld 20
Erich Mendelsohn, Neues Haus-Neue Welt, Berlino, Mosse, 1932 (ristampa Berlino, Gebr.
van architect Hendrik Wijdeveld (1885-1987), Rotterdam, NAi Uitgevers, 2006. Mann, 1997).
3
Hendrik Th. Wijdeveld, Naar een internationale werkgemeenschap.Santpoort, CA Mees, 1931, 21
Mendelsohn ricevette un invito da parte dell’Istituto archeologico tedesco di Atene, il cui
pubblicato anche in traduzione tedesca: Eine internationale Arbeitsgemeinschaft, Santpoort, CA direttore era il Prof. Georg Karo, un ottimo amico della baronessa Elsa von Bissing, sostenitrice
Mees, 1931. di vecchia data di Mendelsohn.
4
Ibidem, pp. 13-16, traduzione dell’autore dall’edizione tedesca. 22
Quattro dei sei articoli in totale sono ristampati in: Ita Heinze-Greenberg e Regina Stephan
5
Dal 1926 un progetto comune di scuola fu un argomento della corrispondenza tra Frank Lloyd (a cura di), Eric Mendelsohn. Gedankenwelten. Unbekannte Texte zu Architektur, Kulturgeschichte
Wright e Wijdeveld. Nel 1931 Wright invitò Wijdeveld a Spring Green a prendere parte in una und Politik, Ostfildern-Ruit, Hatje Cantz, 2000, pp. 116-123.
collaborazione paritaria per la creazione del Taliesin Fellowship. Un contratto fu redatto (Wijde- 23
Annuncio stampa della Académie Ozenfant al 53, Viale Reille, Parigi, 4 gennaio 1932; colle-
veld Archives, Nederlands Architectuurinstituut a Rotterdam, NAi, WIJD, B 26.198), ma non zione dell’autore.
implementato. Tuttavia la potenziale assunzione di Wijdeveld come direttore della Fellowship 24
Ibidem: “L’Académie Ozenfant sera, en quelque sorte, à Paris, un centre international de culture
era ancora in discussione nel 1933 (NAi, WIJD B 4.13). artistique”.
6
La fitta corrispondenza di Wijdeveld include lettere scritte in olandese, tedesco, francese e 25
Lettera di Erich Mendelsohn a Luise Mendelsohn, Lione, 8 agosto 1932, copia dattiloscritta
inglese (NAi, WIJD). da Luise Mendelsohn nella collezione dell’autore.
7
Louise Mendelsohn, My Life in a Changing World, memorie inedite, San Francisco, pp. 274-276. 26
Lettera di Erich Mendelsohn a Luise Mendelsohn, Hyères, 11 agosto 1932, ibidem.
Copie del manoscritto sono conservate nell’Archivio Mendelsohn, Staatliche Museen zu Berlin 27
Lettera di Erich Mendelsohn a Luise Mendelsohn, Cavalière, 13 Agosto, 1932, ibidem.
- Preussischer Kulturbesitz, Kunstbibliothek Berlino, e in The Getty Research Institute for the 28
Prospetto della Académie Européenne Mediterranée 1933, Mendelsohn Archive, Staatliche
History of Art and the Humanities, Department of Special Collections and Visual Resources, Los Museen zu Berlin, senza numero, e NAi WIJD.
Angeles, Erich e Louise Mendelsohn Papers, 1887-1992, così come nella collezione dell’autore. 29
L’elenco dei futuri membri del personale e le loro responsabilità per certi dipartimenti è
8
Wim de Wit (a cura di), The Amsterdam School, Cambridge MA, The MIT Press, 1983, p. 168. contenuto nel prospetto informativo. NAi WIJD conserva una fitta corrispondenza con i potenziali
9
Lettera da F.L. Wright a Lewis Mumford, Spring Green, 9 dicembre 1931, in Bruce Brooks insegnanti dell’Accademia.
Pfeiffer e Robert Wojtowicz (a cura di), Frank Lloyd Wright + Lewis Mumford. Thirty Years of Corre- 30
Per ulteriori informazioni su Eric Gill, si veda Fiona MacCarthy, Eric Gill, Londra /Boston, Faber
spondence, New York, Princeton Architectural Press, 2001, p. 122. and Faber, 1989. Lei cita il coinvolgimento di Gill nel progetto dell’accademia e lo descrive come
10
Lettera H.Th. Wijdeveld a Hermann Finsterlin, np, 31 giugno 1971, NAi, WIJD B 32.7. ‘una sorta di Bauhaus al mare’, pag. 253.
11
H.Th.Wijdeveld, Time and Art, Hilversum, Rotting’s Printing Works, 1947, p. 9. 31
Per ulteriori esaurienti informazioni su Serge Chermayeff, si veda Alan Powers, Serge Cher-
12
Secondo i documenti in NAi WIJD, la corrispondenza tra Mendelsohn e Wijdeveld iniziò con una mayeff: Designer Architect Teacher, Londra, RIBA Publications, 2001.
lettera di Wijdeveld del 5 giugno 1920. Lettere da Mendelsohn concernenti la pubblicazione delle 32
In una lettera da Cavalière il 1° settembre del 1933, Mendelsohn scrisse a sua moglie: “Ho
sue opere in Wendingen e i suoi due giri di conferenze in Olanda si trovano al NAi, WIJD B 28,9-11. sentito dire che Hindemith è stato licenziato perché la sua moglie è ebrea. Così è sicuro per
13
Louise Mendelsohn, My life, p. 255. l’Accademia”: in Oskar Beyer, Eric Mendelsohn.Letters of an Architect, Londra /New York/Toronto,
14
Per una panoramica dell’opera architettonica di Mendelsohn, vedere Regina Stephan (a cura Abelard-Schuman, 1967, p. 136.
di), Eric Mendelsohn. Architect 1887-1953, New York, The Monacelli Press, 1999. 33
Si veda il prospetto informativo (nota 29).
15
Ita Heinze-Greenberg, “Spesso temo l’invidia degli Dei. Successo, Casa e Patria “, in Regina 34
Oggi le copie si trovano in vari archivi. Fino ad oggi l’autore ha potuto individuarne alcune alla
Stephan (a cura di), Mendelsohn, pp. 170-181, e “Das Haus Am Rupenhorn in Berlin von Erich KB Berlin, al NAi WIJD e alla Avery Library, Columbia University. Ci sono due versioni diverse:
Mendelsohn, “ in Christoph Hölz (a cura di), Hauser, die Geschichte machten 1920 bis 1940, Monaco, una è un libretto quadrato dal ricco design e con belle foto della costa mediterranea, l’altra è
HypoVereinsbank, 1998, pp. 74-93. un semplice prospetto.
16
Cfr. Charles Harrison e Paul Wood (a cura di), Art in Theory 1900-1990. An Anthology of Chan- 35
Si veda il prospetto informativo (nota 29).
ging Ideas, Oxford, Cambridge, MA, Blackwell, 1996, pp. 217-245, e Gottfried Boehm, “Amédée 36
Johann Wolfgang von Goethe, edizione Hamburger in 14 volumi, Erich Trunz (a cura di), vol. 11,
Ozenfant and Le Corbusier: Works of Purism”, in Gottfried Boehm, Ulrich Mosch e Katharina Monaco, 1994, p. 184.

324 325
37
Lettera di Erich Mendelsohn a Luise Mendelsohn, Ajaccio, 29 ottobre 1931, copia dattiloscritta 54
Amédée Ozenfant, Mémoires, Parigi, Seghers, 1968, p. 299, testo originale francese: “Ainsi

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da Luise Mendelsohn nella collezione dell’autore. finit en fumée un beau projet; d’autres, quelque jour le reprendront et construiront un relais de l’op-
38
Lettera di Erich Mendelsohn a Luise Mendelsohn, Herrlingen 26 agosto 1923 in Oskar Beyer, timisme et de la beauté en cette nouvelle Attique potentielle, la Côte d’Azur, vieille colonie grecque”.
Briefe, p. 54. 55
Lettera di Erich Mendelsohn a Luise Mendelsohn, Cavalière, 30 maggio 1933, in Oskar Beyer,
39
Lettera Erich Mendelsohn a Luise Mendelsohn, Hyères, 12 agosto 1932, in Oskar Beyer, Briefe, p. 85. Briefe, p. 90.
40
Lettera di Erich Mendelsohn a Luise Mendelsohn, Cavalière, 30 maggio 1933, copia dattilo- 56
Su Tel Aviv, si veda ad esempio Irmel Kamp-Bandau, Winfried Nerdinger, Pe’era Goldman (a
scritta da Luise Mendelsohn nella collezione dell’autore. cura di), Tel Aviv Modern Architecture, 1930-1939, Tübingen, Wasmuth, 1994; Neal Payton, “Modern
41
Lettera di Erich Mendelsohn a Luise Mendelsohn, Cavalière, 3 giugno 1933, ibidem. Architecture and Traditional Urbanism: Patrick Geddes and the Plan for Tel Aviv”, The New City
42
Paul Valéry, Eupalinos ou l’architecte, précédé de L’âme de la danse, Parigi, Gallimard, 1923. 3, Autunno 1996, pp. 4-25.
Pubblicato la prima volta nella Nouvelle Revue Française, nº 90, 1 marzo 1921, pp. 237-285. In 57
Eric Mendelsohn, Twenty Years of Building in Tel Aviv (1940), manoscritto di una recensione
italiano, Eupalinos: preceduto da L’anima e la danza seguito dal Dialogo dell’albero, Milano, A. inedita, Staatliche Museen zu Berlin, Kunstbibliothek, IV B 5a/1. Si veda anche Alona Nitzan-Shi-
Mondadori, 1947. ftan, “Contested Zionism—Alternative Modernism: Erich Mendelsohn and the Tel Aviv Chug in
43
Paul Valéry, “Ispirazioni Méditerranéennes”, in Jean Hytier (a cura di), 2 vol, I, Parigi, Galli- Mandate Palestine”, in Architectural History 39, 1996, pp. 147-180.
mard, 1957-1977, pp. 1086 e seg. 58
Lettera di Erich Mendelsohn a Julius Posener, Capri, 30 Marzo 1937, in Oskar Beyer, Eric
44
Paul Valéry, Regards sur le monde actuel, Parigi, Gallimard, 1931. Mendelsohn: Letters of an architect, Londra, New York, Toronto, 167, p. 148.
45
Paul Valéry, “Le Centre Universitaire Méditerranéen”, in Regards sur le monde actuel & autres 59
Memorie di Hans Schiller, assistente di lunga data di Mendelsohn a Gerusalemme, così come
essais, Parigi, Gallimard, 1945, p. 301 e seg; pubblicato la prima volta come libretto con il titolo a San Francisco, citato secondo Louise Mendelsohn, My Life, p. 604.
Projet d’organisation du Centre Universitaire Méditerranéen à Nice, Nizza, Université Aix, 1933. Si 60
Susan King, “Interview with Mrs. Eric Mendelsohn,” in The Drawings of Eric Mendelsohn,
veda anche: Willy-Paul Romain, Paul Valéry et la Mediterranée, Lourmarin de Provence, Fondation Berkeley, Berkeley University Art Museum, 1969, p.26.
de Lourmarin Laurent-Vibert et Association des Amis de Lourmarin, 1987. 61
Sugli Schocken e i rapporti di Mendelsohn con la famiglia in Germania e in Palestina, si veda
46
Mendelsohn sicuramente conosceva la traduzione di Rainer Maria Rilke di Eupalinos di Valéry, Regina Stephan, Eric Mendelsohn, op. cit.
pubblicata nel 1927 da Insel Verlag di Lipsia. Entrambi i Mendelsohn tenevano Rilke in grande 62
Richard Kauffmann era un ex-compagno di studi di Mendelsohn e allievo di Theodor Fischer
considerazione. Oltre a ciò, André Gide, amico intimo di vecchia data di Valéry, fu almeno una presso la Technische Hochschule di Monaco di Baviera. Nel 1921 emigrò in Palestina, dove
volta ospite di Mendelsohn a Berlino a casa sua Am Rupenhorn. Ozenfant, d’altra parte, si ispirò diventò il più importante progettista di insediamenti, con progetti che includono 150 moshavim
alle stesse fonti di Valéry. Già nel 1916 aveva ristampato stralci del dialogo di Platone, Filebo e kibbutz.
in L’Élan. Ulteriori indagini sull’argomento dell’influenza di Valéry fanno parte della nuova 63
Cfr. Michael Lewis, “The Stones of Jerusalem”, in Journal of Jewish Art 2, 1975, p.72 e seg.
ricerca dell’Autore. 64
Manoscritto di un’intervista del Prof. J. Murphy (Washington University School of Architecture)
47
​​Lettere di Erich Mendelsohn alla moglie Louise, Parigi, 22 agosto 1933 e Parigi, 30 agosto con Eric Mendelsohn, 13 marzo 1944, KB, E.M. Archives, B IV A.
1933, copie dattiloscritte da Louise Mendelsohn nella collezione dell’autore. 65
Lettera di Erich Mendelsohn a Chaim Yaski, 1936, citata secondo: Gilbert Herbert, “The Divided
48
Louise Mendelsohn, My Life, p. 280 e seg. Heart: Erich Mendelsohn and the Zionist Dream,” in Erich Mendelsohn in Palestine, Haifa, Tech-
49
Lettera di H.Th.Wijdeveld di Eric Gill, Olanda, dicembre 1936, NAi WIJD B 4.16. nion, 1987, ristampa 1994, p. 13.
50
Nulla si sa delle loro identità, molto poco della formazione artistica o d’altre attività davvero 66
Eric Mendelsohn, Palestine and the World of Tomorrow, Gerusalemme, 1940, p.6 e seg.
svolte all’Accademia. 67
Lettera di Henry Morgenthau al Segretario di Stato, 23 dicembre 1940; lettera di Lewis
51
Lingner soggiornò a Cavalière per circa un anno, poi tornò in Germania. Dopo la seconda Mumford al Segretario di Stato, 7 dicembre 1940, Mendelsohn Archive, Staatliche Museen zu
guerra mondiale divenne uno dei più famosi e influenti architetti di paesaggi nella Repubblica Berlin, Kunstbibliothek, IV, 8.
Democratica Tedesca, un insegnante produttivo e capo del dipartimento di paesaggio presso 68
Lettera di Erich Mendelsohn a Oskar Beyer, San Francisco, 24 dicembre 1951, in Oskar Beyer,
l’Institut für Bauwesen der Akademie der Wissenschaften [Facoltà di Architettura presso Letters, p.175 e seg.
l’Accademia di Scienze] e docente di progettazione del paesaggio presso la Landwirtschaftli-
ch-Gärtnerische Fakultät der Humboldt-Universität [Facoltà di Orticoltura presso l’Università
Humboldt], entrambe a Berlino.
52
Le planimetrie del NAi WIJD A34 sono datate 2 novembre 1933, 20 Novembre 1933, 8 gennaio
1934. Il libretto di Wijdeveld Time and Art (nota 12), p. 13 ha tre ulteriori disegni prospettici
minuscoli che sembrano appartenere a una fase di pianificazione precedente. Non ci sono piani
per l’AEM di Mendelsohn. Mariette van Stralen, ‘De Landhuizen’, Forum, p. 101, ha pubblicato
“Design for a country house at the Académie Européenne Mediterrannée Cavalière, Southern France”,
che sembra correlato al piano di erigere piccoli bungalow per gli azionisti sul terreno dell’AEM.
53
Lettera H.Th.Wijdeveld ai membri della società a responsabilità limitata, Cavalière, 22 Giugno
1934, Mendelsohn Archive, KB Berlin, senza numero.

326 327
Risonanze mediterranee nell’opera
di Erik Gunnar Asplund
Tradizione, colore e superficie
Francis Lyn 10
Tunisi, è la cosa più divertente che io abbia incontrato nei ventotto anni della mia esistenza! ...
Sopra le nostre teste, un cielo limpido e profondo, come non ne ho visto mai, un tono di colore
tale che immagino costantemente il cielo come una grande cupola dipinta di blu1.

Erik Gunnar Asplund nacque a Stoccolma, in Svezia il 22 settembre 1885, dove visse fino alla
sua morte, il 20 ottobre del 1940. Nel 1905 iniziò gli studi di architettura presso l’Istituto Reale di
Tecnologia di Stoccolma e, nel 1910, quando sembrava chiaro che il passo successivo nella sua
formazione sarebbe stato quello di frequentare l’Accademia Nazionale di Belle Arti, decise invece,
insieme ad alcuni compagni di studio, di fondare la propria accademia libera. Klara Skola sarebbe
stato il nome di quest’accademia. Chiesero a quattro dei più importanti architetti svedesi del tem-
po—Erik Bergman, Ivar Tengbom, Carl Westman e Ragnar Ostberg—di diventare i loro insegnanti,
dichiarando di non essere soddisfatti del programma e della facoltà dell’Accademia Nazionale2.
Questi architetti erano già stati fortemente influenzati da un cambiamento radicale nel discorso
architettonico svedese, verso un più romantico paradigma nazionalista. Secondo Luca Ortelli, la
Klara Skola fu “...una sorta di istituzione liberale che attrasse come suoi insegnanti i più grandi
esponenti di quella tendenza”3.
Con la nascita dello Skansen Outdoor Museum di Vita Agraria, il mondo dell’architettura—rico-
nosciuta come professione da poco—iniziò a sviluppare l’idea che l’architettura doveva essere
emancipata dal conflitto tra forma classica e tecnologia del Diciannovesimo secolo. Quest’idea fu,
in effetti, la causa della nascita del movimento chiamato Romanticismo Nazionale, e poi, Realismo
Nazionale. Questo movimento chiedeva un ritorno a “... materiali originali e di carattere nazionale”,
e ebbe una chiara influenza su la personalità e pensiero di Asplund4.
Nel corso della sua carriera iniziale, Asplund fece numerose visite all’entroterra svedese per
studiarne l’architettura del folk5 . Secondo Michelle Facos il Romanticismo nordico nazionale ha
collocato l’essenza di “habitus” (metaforicamente rappresentato da una serie di cerchi concentrici
attorno alla persona che, in progressiva successione, appartiene prima alla famiglia, poi al paese,
alla provincia, alla nazione, e così via, con diminuzione delle caratteristiche comuni coll’allargarsi
della categoria) in campagna, e ne ha immaginato i contadini come i suoi protettori, i cui legami con
i tempi primordiali proseguivano ininterrotti nelle foreste e nei villaggi. I contadini erano l’anima
primitiva del folk (la gente).
Nei taccuini di un viaggio che Asplund fece nel 1912, ci sono rappresentazioni di edifici rurali umili
che confermavano la sua profonda convinzione nell’architettura vernacolare svedese6. Le forme
trascendenti, i materiali, la consistenza e i colori che ha documentato non sono mai entrati a far par-
te del suo lavoro come citazioni, ma vennero invece trasformati, per rivelarne un nuovo significato.
Allo stesso tempo, tra i suoi contemporanei scandinavi si poteva assistere alla scomposizione degli
ordini e l’attenuazione dell’importanza delle proporzioni—esempi di trasgressioni note col nome di
Grazia Svedese7, e la cui semplificazione raffinata presagiva il linguaggio formale del Modernismo8.
Sembra anche chiaro che Asplund non accettò mai in modo acritico la nozione di uno “Stile Inter-
nazionale” o della tecnologia come mezzo di espressione. Piuttosto usò queste nozioni come un
modo per esplorare una nuova lettura dello spazio e del luogo in relazione alle nuove esigenze
di una società che stava cambiando e sviluppandosi rapidamente. Questo atteggiamento sembra
essersi evoluto da una consapevolezza che era in realtà diffusa nella teoria nazionale romantica
10.1. Gunnar Asplund. Cimitero di Woodland, prospettiva dell’ingresso, c. 1935-40. © Arkitekturmuseet
svedese. In Svezia, il concetto di folk era politicamente progressista. Come scrisse Michelle Facos,
Stockholm, foto Nikolaj Alsterdal.

329
il Romanticismo nazionale in Svezia si è distinto dallo stesso movimento altrove e dal mero

RISONANZE MEDITERRANEE NELL’OPERA DI ERIK GUNNAR ASPLUND | Francis Lyn


nazionalismo promuovendo una visione modernista del mondo che abbraccia il cambia-
mento, non la statica visione pastorale/agraria, che caratterizzava altrove i movimenti
culturalmente conservatori9.
Nel lavoro di Asplund, quindi, la lettura della modernità che si sviluppò non era dogmatica, ma
piuttosto pragmatica e interamente derivata dal luogo.
Nell’estate del 1910, prima di iniziare i suoi studi presso la Klara Skola, Asplund fece un viaggio di
studio di tre mesi in Germania, dal quale nacque in seguito un articolo sull’uso del cemento come
materiale per le facciate. Secondo Claes Caldenby, questo sembra essere “... un primo passo
nell’allontanamento graduale dall’ortodossia di materiali naturali”10. Sebbene denigrasse l’uso
artificiale di questo nuovo materiale (cioè, per imitare il granito o il calcare) alla fine accettò il
concetto di rivestimento come legittimo. Un altro punto importante suggerito da questo viaggio
è che Asplund doveva possedere qualche conoscimento della lingua tedesca e, probabilmente,
era a conoscenza delle recenti teorie e dei metodi di rivestimento presi in considerazione in
Germania, Austria e Francia. Goran Sidenbladh, studente di Asplund, ha notato come Asplund
si aspettasse che i suoi studenti avessero una buona conoscenza della letteratura moderna
francese e tedesca. Relativamente a queste nuove teorie, quindi, nonché al prerequisito di
Asplund di un corpo studentesco colto, sembra ragionevole ipotizzare che egli conoscesse
almeno gli scritti di Gottfried Semper (1803-1879)11.
Chiaramente, in quel periodo, proprio le teorie proposte da Semper venivano messe in discus-
sione e lo stesso Asplund richiedeva “la verità” nell’architettura. Nel suo articolo sul calce-
struzzo, dichiarò: “I sostenitori del sensato principio moderno della verità in architettura sono
propensi a respingere integralmente questa nuova forma di materiale, perché può essere solo

03

un’imitazione della pietra naturale…”12. E così qui, come più avanti nella sua carriera, mise in
02 discussione il concetto di superficie come una logica legittima per il fare architettura. Tuttavia,
come nel Cinema Skandia (e in misura minore, in molti altri suoi progetti), avrebbe razionalizzato
10.2. Gunnar Asplund. Schizzo di Girgenti (ora Agrigento) vista da nord-ovest, 1914. © Arkitekturmuseet
a volte l’uso dell’articolazione della superficie come architettura, e alla fine, lo avrebbe accet-
Stockholm, foto Nikolaj Alsterdal.
tato come un punto di partenza appropriato per la manifestazione di un’opera di architettura.
10.3. Gunnar Asplund. Schizzo di viaggio a Tunis, 1914. © Arkitekturmuseet Stockholm, foto Nikolaj
Al volgere del secolo, le nozioni di articolazione di superficie come mezzo di espressione della
Alsterdal.

330 331
documentato un secolo prima. A Pompei fu colpito dalla strada delle tombe ai piedi del Vesuvio

RISONANZE MEDITERRANEE NELL’OPERA DI ERIK GUNNAR ASPLUND | Francis Lyn


04
e incantato dalle loro decorazioni, a Siracusa, dai teatri e dal loro rapporto con il paesaggio e, a
Tunisi e a Taormina, dal clima di festa e dalla gente. Nei suoi diari, si trovano continui riferimenti
al colore e al modo festoso di vivere:
Palermo: “... forte nei colori e grande in indolenza ... Ragazzi spruzzano ... nelle acque blu,
il porto è pieno di alberi di navi e di barche variopinte ...”
Girgenti: “templi greci e il mare blu profondo ... le strade e le rocce di un giallo ardente ...”
Pompei: “Si vedono spesso grandi superfici di colore ma sempre individuate da linee sottili
e decorazioni in altri colori, che nulla toglie alla colorazione principale, anzi ci gioca. Le
ampie pareti chiare scarsamente separate da linee sottili, ghirlande, colonnine graziose e
simili sono per me una delizia. Uno zoccolo giallo intenso, soprattutto immaginato contro
un pavimento scuro e pannelli luminosi, sta bene…”14
L’insistenza di Asplund sul colore è uno degli aspetti che hanno reso i suoi diari dal sud diversi e
unici. La maggior parte dei suoi contemporanei preferirono concentrarsi, invece, sul “biancore”
e sulla qualità astratta del Mediterraneo. Nel 1911 Le Corbusier scrisse della parte italiana
dei suoi viaggi:
L’Italia è un cimitero dove ora giace, decomponendosi, il dogma della mia religione. Tutto il
bric-a-brac che mi deliziava, oggi mi riempie di orrore. Farfuglio di geometria elementare;
sono posseduto dal colore bianco, dal cubo, dalla sfera, dal cilindro e dalla piramide15.
05 Allo stesso modo, commentando la Casa Scheu del 1912 di Adolf Loos, Benedetto Gravagnuolo
scrisse della “forma pura, radicale ed estremamente moderna di questa conchiglia bianca a
10.4. Jacques Ignace Hittorf. Ricostruzione del Tempio di Empedocle a Selinunte, 1830. © Jacques Ignace
gradini ... [che] dà luogo alla scoperta di un nuovo modello tipologico per ampie costruzioni
Hiittorf, Atlas. Restitution du temple d’Empédocle à Sélinonte ou l’architecture polychrôme chez les Grecs,
Paris, 1851.
residenziali al di fuori ... del Mediterraneo”16.
L’interesse di Asplund nel vernacolo del Nord l’aveva reso di certo ben consapevole dell’im-
10.5. Henri Labrouste. “Agrigentum, 1828”. © Académie d’architecture, Paris.
portanza del colore nel contesto nazionale. La sua gioia nelle superfici e nei colori osservati
verità architettonica erano in via di codificazione. Numerosi architetti avevano cominciato a stu- durante il suo viaggio al Sud avrebbe presto tradito le strategie che avrebbe impiegato in seguito
diare la separazione tra la pelle esterna dell’edificio dalla sua struttura; l’interesse di Asplund in molti dei suoi progetti. Bjorn Linn afferma che “... [dal]la seconda metà degli anni Dieci, lo
nella questione sembrava chiaramente allineata a quello dei suoi contemporanei continentali. stile architettonico di Asplund si stava cristallizzando. Egli aveva assimilato i suoi studi italiani
Quindi, all’epoca in cui partì per il suo viaggio al sud, molti degli elementi essenziali della sua e li aveva combinati con la sua profonda empatia per la campagna svedese e per il tradizionale
formazione di architetto erano probabilmente già presenti. Il suo interesse per il rivestimento piccolo edificio urbano in legno”17. Tuttavia esiste la possibilità che l’importanza della superficie
e l’articolazione della superficie e la sua comprensione dell’importanza del luogo erano già e del colore nel suo lavoro derivi anche da una lettura della teoria Semperiana e dai dibattiti
chiaramente definiti. Questo viaggio non fece di lui l’architetto che doveva diventare, ma piut- sulla scoperta del colore nei templi antichi, iniziati circa un secolo prima del suo viaggio. Sembra
tosto sembrò rafforzare quelle convinzioni che già aveva, e ispirare modi nuovi di interpretare ragionevole ipotizzare, inoltre, che circostanze relative agli cambiamenti sociali e culturali,
il mondo in cui avrebbe costruito. così come i progressi tecnologici dell’edilizia (alcuni dei quali derivati dalla teoria Semperiana)
Nel 1914, Asplund fece un viaggio in Italia. L’importanza del suo viaggio al Sud e la sua rilevanza abbiano svolto un ruolo significativo nello sviluppo di Asplund.
per l’architettura che ha prodotto nel corso dei decenni successivi sono stati discussi in nume- Questo articolo cerca di stabilire, rivisitando le questioni di colore e di superficie analizzate dagli
rosi articoli da diversi studiosi (Ortelli, Caldenby e Wrede, per citarne solo alcuni). È stato sì un studiosi francesi del Diciannovesimo secolo e combinandole con le scoperte architettoniche
viaggio nella tradizione del Grand Tour, ma fu auto-intrapreso e auto-finanziato. Il suo viaggio proprie di Asplund, sia in Svezia che nel suo viaggio al sud, uno dei paradigmi significativi entro
in Italia, quindi, può essere meglio compreso come “empirico” piuttosto che “accademico”. A i quali Asplund avrebbe lavorato per gran parte della sua carriera. Mi auguro che, analizzando
differenza dei viaggi ufficiali delle accademie, era più legato ai suoi interessi personali. Non una serie dei suoi progetti più importanti (Villa Snellman, il progetto per la Cancelleria Reale,
aveva rapporti da fare, nessun envois, per così dire. I suoi resoconti, invece, consistevano in il cimitero e la cappella Woodland, la Biblioteca Pubblica di Stoccolma, la dependance del
volumi di diari ricchi di appunti e schizzi realizzati durante il suo viaggio attraverso l’Italia e il Palazzo di Giustizia a Göteborg e la sua stessa casa estiva a Stennas), saranno rivelate le sue
Mediterraneo. Questi diari lasciano intravvedere i vari interessi e argomenti che si sarebbero strategie di figure stratificate associate con la manipolazione della superficie per rappresentare
sviluppati nel suo lavoro13. un significato sia culturale che architettonico.
Asplund si recò prima a Parigi, dove si sentì del tutto fuori posto, e proseguì velocemente verso
l’Italia e il Mediterraneo. Là visitò Roma, Palermo, Girgenti, Siracusa, Taormina, Tunisi, Napoli, Il dibattito sulla policromia
Pompei, Paestum, poi di nuovo verso nord a Roma, attraverso le regioni di Umbria e Toscana, La policromia nello studio dell’architettura apparve per la prima volta nei primi decenni del
a Perugia e, infine, a Venezia. In questo viaggio si assicurò di aver visto molte di quelle stesse Diciannovesimo secolo, al culmine del movimento romantico ed era incentrata sul fatto che i
cose che studenti dell’École des Beaux Arts, come Abel Blouet e Henri Labrouste, avevano templi greci antichi erano stati dipinti all’esterno. Stuart e Revett, nel primo volume del loro

332 333
Antiquities of Athens (Antichità di Atene), pubblicato nel 1762, avevano notato decorazioni dipinte Paestum, Labrouste stava lavorando anche su una serie di ricostruzioni di antichi paesaggi

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sul fregio del tempio di Ilisso. Un interesse generale per l’uso del colore nell’antichità tuttavia urbani. Particolarmente interessante è quella che sul retro porta la scritta Agrigento, 1828. Si
non venne alla ribalta fino al 1815. Quell’anno, Antoine-Chrysostome Quatremère de Quincy tratta di una fantasia ad acquerello in cui la policromia è “... distesa sul substrato architettonico
(che divenne in seguito il segretario permanente dell’Académie des Beaux Arts) pubblicò le sue come un guscio”23. Ogni monumento all’interno della rappresentazione è dipinto in modo diverso
osservazioni sull’uso del colore nella scultura antica, in un saggio intitolato Jupiter Olympien, dagli altri. Questa policromia sottolinea il rapporto con i modelli attici. Le mezze colonne sono
ou l’art de la sculpture antique considérée sous un nouveau point de vue; ouvrage qui comprend dipinte in modo da stagliarsi sul muro, come se fossero indipendenti24 . Una linea di triglifi è
un essai sur le goût de la sculpture polychrome18 . Questo lavoro studiava l’uso dell’avorio, delle dipinta su una parete rossa dietro un cancello. Si capisce che questo dettaglio è dipinto perché
pietre dure e preziose, dell’oro, del bronzo e della pittura nella scultura greca antica. Il testo, Labrouste fa vedere la vernice che si stacca sul muro stuccato. Sembra suggerire che i motivi
favorevolmente recepito, aveva una serie di illustrazioni, fra le quali una tavola colorata a scolpiti che dovevano seguire “... avevano la loro origine nel tentativo di rendere permanenti
mano in cui la scultura, naturalmente, includeva il colore. Forse più significativo è il fatto che le più primitive e immediatamente significative decorazioni dipinte e applicate”25. Eppure, per
l’architettura circostante rimaneva incolore, conservando così la “purezza” a cui aspirarono Labrouste, la policromia aveva un significato più ampio. Il colore diventò un elemento di lettura
Winckelmann e altri studiosi del Diciottesimo secolo. Questa aspirazione fu peraltro diffusa in “regionale” dell’architettura dove gli edifici avrebbero risposto alle condizioni locali—in parti-
tutto il Diciottesimo secolo. Harry Francis Mallgrave nell’introduzione alla sua traduzione di colare il tipo di materiali—e alle particolari condizioni funzionali, storiche e culturali del posto.
Die vier Elemente der Baukunst (I quattro elementi dell’architettura) di Gottfried Semper, sostiene Semper sviluppò questi argomenti nelle sue Osservazioni preliminari sulla policromia del 1834.
che questa forma estetica per la fine del secolo si era estesa a tutte le arti figurative. Nei primi Dove Hittorff aveva preparato il terreno per l’argomento del colore come un elemento base
decenni del Diciannovesimo secolo, il crescente interesse per gli studi classici, in concomitanza dell’architettura antica, come un “ordine” che poteva essere utilizzato in tutta l’architettura
con le nuove scoperte del colore applicato ai lavori antichi, fece sì che questo punto di vista classica, Semper utilizzò il colore come punto di partenza per descrivere una teoria che aveva
“bianco” dell’architettura fosse messo seriamente in discussione19. la sua essenza nella superficie, dove la superficie poteva essere intesa come architettura.
Nel 1834, Gottfried Semper, che aveva viaggiato per il bacino del Mediterraneo tra il 1830 e il
1833, pubblicò il suo pamphlet intitolato, Vorläufige Bemerkungen über bemalte Architektur und 106. Gunnar Asplund (con Ture Ryberg). Progetto di concorso per la Cancelleria di Stoccolma, planimetria
Plastik bei den Alten (Osservazioni preliminari sull’architettura e scultura policroma nell’Anti- generale, 1922. © Arkitekturmuseet Stockholm, foto Nikolaj Alsterdal.
chità)20. L’opuscolo uscì sulla scia del grande dibattito sulla policromia che si stava tenendo nelle 10.7. Gunnar Asplund (con Ture Ryberg). Progetto di concorso per la Cancelleria di Stoccolma, prospetto
accademie e che era incentrato principalmente sulle rappresentazioni colorate del Tempio B di sull’acqua, 1922. © Arkitekturmuseet Stockholm, foto Nikolaj Alsterdal.
Selinunte di Jacques-Ignace Hittorff, esposte a Parigi nel 1824 e pubblicate, con notevoli reazioni
negative, in Architecture antique de la Sicile (1827-30). Hittorf era chiaramente appassionato di
archeologia, ma il suo interesse era anche contemporaneo. Considerava la pittura come una
sostanza protettiva e la vedeva come molto adatta alla luce di Parigi e del nord per far risaltare
la forma21. Di conseguenza, il dibattito diventò un importante catalizzatore dell’interesse dei
vincitori del Grand Prix de Rome per la policromia della Grecia antica. I pensionnaires di Villa
Medici non desideravano più rimanere in Italia22. Tuttavia il viaggio in Grecia non fu ufficialmente
sanzionato dalla École fino al 1845. In precedenza, studenti come Abel Blouet potevano intra-
prendere progetti in Grecia solo al di fuori delle loro funzioni ufficiali o dopo il loro soggiorno
di cinque anni a Roma. Tali escursioni si sarebbero rivelate essere tra le più significative per
la questione della policromia.
Nel 1828 durante il suo quarto anno come pensionnaire, Henri Labrouste studiò tre templi a
Paestum, una colonia greca e poi romana, a sud di Napoli. Nei suoi envois, le rappresentazioni
erano contenute, con la colorazione limitata alla corona. Durante l’esecuzione dell’envoi di 06

07

334 335
Come Labrouste, sviluppò una visione “vernacolare” della policromia, come risposta ed effetto secondo le tradizioni locali e la loro destinazione, ma erano rappresentati artisticamente

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dell’ambiente naturale. Sentiva che, nella sua ingenua genialità, la policromia era democratica. e quindi incorporati nei monumenti stessi come un elemento caratteristico28.
Allo stesso tempo, seguì l’argomento di Brønsted riguardo alla policromia negli antichi templi Da qui, Semper continuò sviluppando una teoria che sarebbe culminata nel suo libro Die vier
di legno greci, che suggerisce come il modello dipinto costituisse un sostituto per la forma Elemente der Baukunst (1851) e Der Stil in den technischen und tektonischen Künste (1860-63).
plastica mancante, come “... il colore [fosse] utilizzato per creare l’illusione, come un sostituto Particolarmente interessante è la sua discussione sull’essenza del muro. Qui descrive la storia
per gli effetti scultorei”26. Semper, tuttavia, ritenne che il colore unificava il significato formale del muro, iniziato come siepe di recinzione, sviluppatasi in seguito nella tessitura di stuoie, che
e simbolico. Quest’idea derivò dalla sua convinzione che la decorazione nell’architettura mo- a loro volta si potevano appendere ad un supporto strutturale. Il supporto diventa secondario.
numentale fosse una diretta emanazione dei manufatti naturali appesi o drappeggiati su un Per Semper ciò che conta è la superficie del tessuto che crea lo spazio, che crea l’architettura.
supporto strutturale27. Egli afferma: Sviluppa questa tesi affermando che, anche dopo essere arrivati a pareti in muratura sulle quali
Costruzioni semplici furono consacrate per uno scopo nobilitante, per il culto, ad esempio. appendere tessuti come decorazione superficiale, questa parete in muratura è pur sempre
Decorazioni con un significato religioso più definito (non sempre designate come tali) veni- un’intelaiatura strutturale accessoria di supporto all’articolazione della superficie.
vano adeguatamente fissate alle pareti esterne e all’interno dei santuari: fiori appesi, festoni
e rami, oggetti per il sacrificio, armi, i resti delle vittime sacrificali e altri simboli mitici. Con L’impatto del viaggio nel Mediterraneo e altre influenze
l’ulteriore sviluppo del culto e in concomitanza con la crescente attività artistica, divennero Temi principali, in un gran numero delle opere più importanti di Asplund, sono le nozioni di esten-
fissi come simboli tipici. Non venivano più semplicemente attaccati alle pareti al naturale, sione spaziale, di inversione di spazio, di portare l’esterno verso l’interno e di ambiguità spaziale
e strutturale. Questi temi, influenzati sia dal suo interesse per il vernacolo scandinavo sia dal suo
tour del Mediterraneo, consentirono la manifestazione di un’architettura che si è spinta oltre una
semplice derivazione della forma dallo stile, struttura o funzione. Asplund, conseguentemente,
sviluppò un paradigma di progettazione sempre più complesso in cui la manipolazione di super-
ficie e colore, allargata a queste strategie tematiche primarie, cominciò ad emergere come idea
centrale significativa.
Nella Villa Snellman (1917-1918), una delle prime commissioni ricevute al ritorno dal suo viaggio
nel Mediterraneo, Asplund progettò una casa tipologicamente vicina alla tradizionale casa svedese,
profonda una stanza e mezza, e alla tradizionale fattoria svedese. Con una reinterpretazione della
fattoria svedese e con un’attenta strategia di manipolazione delle soglie tra interno ed esterno,
08
Asplund ricava una lettura nuova e ambigua della parte pubblica rispetto a quella privata e, in
sostanza, crea un cortile ibrido che non è spazio né pubblico né privato29. Questa ambiguità è
indicativa di un atteggiamento generale verso l’architettura della casa—cioè, del desiderio di
Asplund di creare un edificio dove molteplici letture, sulla base della propria interazione con la
casa, potevano essere formulate.
A questa nozione è dato maggiore risalto dalla sua introduzione di estensione spaziale. All’interno
della casa gioca con lievi spostamenti delle pareti, con l’allineamento di finestre e un numero di
altri dispositivi che suggeriscono un desiderio di creare la lettura di spazi in espansione uno dentro
l’altro e oltre, verso l’esterno30. Alla fine, questo tirare lo strato esterno e questo manovrare gli
spazi all’interno dell’edificio (diretta conseguenza della necessità di cambiare il sistema strutturale
da muratura pesante a legno leggero e stucco), tradiscono un desiderio di separare la superficie
dalla struttura. Strategie sulle proporzioni apprese in Italia—le proporzioni della facciata sem-
brano essere riprese da quelle dei casolari italiani visitati fuori Roma—gli hanno consentito di
affinare ulteriormente il rapporto tra le pareti e le aperture, così che, in sostanza, egli poté creare
una strategia impercettibile ma concisa per la facciata che andò oltre le preoccupazioni stilistiche.
Influenze urbane veneziane sono evidenti nel suo progetto per il concorso per la Cancelleria
Reale (1922; con Ture Ryberg). Studi di facciate di palazzi, con le loro logge e i loro porticati che
ondeggiano leggeri sui canali, emergono come fantasmi dalle pagine dei suoi diari. Scale scivo-
lano silenziosamente nell’acqua, quasi come una premonizione della strategia che avrebbe poi
09 usato per il progetto della Cancelleria. Una qualità quasi medievale di stretta interconnessione
si manifesta nei percorsi destinati all’acqua, mentre assi mutevoli si intrecciano di nuovo nel
10.8. Gunnar Asplund. Piano terreno e sezione, Cappella, Cimitero di Woodland, Enskede, 1918-20.
tessuto del contesto.
© Arkitekturmuseet Stockholm, foto Nikolaj Alsterdal.
Asplund rafforza ulteriormente il rapporto con il contesto attraverso un’attenta manipolazione
10.9. Gunnar Asplund. Vista prospettica del portico, Crematorium, Cimitero di Woodland, Enskede,
della scala. Progetta la Cancelleria essenzialmente come due grandi edifici; però, dalla facciata
c. 1935-40. © Arkitekturmuseet Stockholm, photo Nikolaj Alsterdal.

336 337
scura e pesante, posta sopra colonne bianche le cui proporzioni sono riprese dai ​​ tronchi dei pini

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circostanti. Alla base di questa piramide, l’Angelo della Morte saluta una persona in lutto. Al di
là di questa soglia, un basso porticato conduce il funerale allo spazio principale della cappella. A
causa delle sue piccole dimensioni e della stretta spaziatura delle colonne, si ha la sensazione di
essere soli nel bosco. Lo spazio è di fatto una continuazione dei boschi circostanti. La geometria
formale dello spazio, tuttavia, lascia emergere una simultanea monumentalità. Il movimento
continua attraverso lo spazio del portico, attraverso le porte rivestite di metallo e, più oltre,
attraverso i cancelli, per arrivare infine a uno spazio che è intimamente e fondamentalmente
vasto: la cappella. In questo spazio si potrebbe ipotizzare una trasformazione del Tempio di Vesta
a Roma, dove la leggerezza del colonnato periptero è invertita per creare uno spazio luminoso
con una cupola che, secondo Asplund, avrebbe dovuto “... librarsi senza peso sopra il tozzo
portico e l’ingresso ... “32. Questa inversione prefigura una strategia che vedremo in seguito nel
piccolo vestibolo adiacente alla lobby del Cinema Skandia. Applicando un sottile strato di gesso
su un telaio in legno chiaro e manipolando con cura la luce su questa grande superficie bianca,
consente davvero alla cupola di librarsi sopra lo spazio ed, effettivamente, di dematerializzarsi.
Lo spazio diventa una radura nel bosco, una stanza esterna, il cui cielo è una cupola.
Anche il Crematorio di Woodland (1935-1940) rivela echi dei suoi viaggi al Sud. Avvicinandosi
al portico del crematorio, si incontra forse l’opera più sublime dell’architettura paesaggistica
moderna, una strada di Pompei insieme con i templi greci di Agrigento e di Paestum, il tutto
10 contro lo sfondo del bosco nordico, mitico e tuttavia tangibilmente reale. All’interno del por-
10.10. Gunnar Asplund. Vista prospettica degli interni, Crematorium, WoodlandCimitero, 1935. tico e della Cappella della Santa Croce, questa complessità simbolica è sottolineata quando
© Arkitekturmuseet Stockholm, foto Nikolaj Alsterdal. dettaglio tradizionale e moderno e forma si innestano su rappresentazioni di speranza, come
10.11. Gunnar Asplund. Espozione di Stockholm, vista notturna, 1930. © Arkitekturmuseet Stockholm,
illustrato dal “Monumento della Resurrezione” di John Lundquist e dal murale di Sven Erikson
foto Matti Östling. intitolato “La vita, la morte, la vita”.
In modo simile, la sala prestiti rotonda della Biblioteca pubblica di Stoccolma (1918-1927) si legge
sul l’acqua appare come una serie di edifici più piccoli che fanno referenza al tessuto medie- come un tamburo su cui la pelle è stata ben tesa, con file di libri impiallacciati alla superficie,
vale di questa parte di città. Ugualmente significativo è il suo allontanamento da questo stesso
contesto. Nel progetto per il concorso, egli rappresenta la Cancelleria come una serie di palazzi
veneziani e li satura di colore. Anche se questo progetto è molto complesso dal punto di vista
urbanistico, i disegni per il concorso danno l’impressione di estrema piattezza e cominciano a
suggerire una sorta di scenografia che è significativamente diversa dal resto del lungomare di
Stoccolma. Questo disegno magistrale, con la sua attenta manipolazione di scala e di artico-
lazione della superficie, evoca strategie che egli avrebbe usato in diversi altri progetti, tra cui
quello di Gotaplatsen e di Gustaf Adolf Torg a Göteborg. In particolare, sembra anche che abbia
utilizzato questa strategia “scenografica” nel Cinema Skandia a Stoccolma, progettato grosso
modo nel periodo di questa competizione.
Nel Cimitero di Woodland (1915-1940; con Sigurd Lewerentz), sono di nuovo evidenti i riferimenti
al suo viaggio in Italia. Stuart Wrede descrive la partecipazione al concorso come:
… una composizione tratta in parte dalle tradizioni dei paesaggi nordici e mediterranei e in
parte da archetipi di sepoltura. Tutti questi elementi erano liberamente mescolati ... sulla
passeggiata ... che portava alla cappella principale, fiancheggiata da tombe e sarcofaghi
come la Via Sepolcrale di Pompei, e collocata in mezzo a un bosco di abeti31.
Con la sovrapposizione di sensibilità settentrionali e meridionali, combinate con immagini de-
rivate dalla pittura romantica tedesca del Diciannovesimo secolo, si stabilisce una dialettica in
cui simboli e immagini provenienti da vari luoghi collimano, eppure apparentemente lasciano
l’un l’altro manifestare insieme un paesaggio sublime, ricco in spirito e significato, nel modo in
cui la narrazione della morte si mostra come il tumulo, la piramide e la Via Crucis.
La Cappella di Woodland (1918-1920) è un edificio ricco di simboli. Un tetto in legno, la cui co-
struzione scaturisce dal disegno tradizionale svedese del tetto, prende la forma di una piramide 11

338 339
che raccontano la storia di questo posto. Scene dell’Iliade sono raffigurate in bassorilievo da e non ancora materializzati, diventano elementi simbolici, che invitano il lettore, i loro misteri

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Ivar Johnsson su una superficie decisamente piatta e scura vicino alla sala dal lato dell’ingres- in attesa di essere svelati.
so principale. La loro scala, piccola rispetto alla spinta verticale dello spazio, conferisce un Nella dependance del Palazzo di Giustizia a Göteborg (1913-1937), la finezza e la leggerezza
senso di intimità. Queste rappresentazioni pittoriche sono in diretto contrasto con i libri veri prevalgono, con superfici che sembrano sfaldarsi e pavimenti e scale che sembrano librarsi
presentati nella sala dei prestiti, dove si è sottinteso che le storie si raccontano soprattutto nello spazio. Si potrebbe ipotizzare che queste manipolazioni della superficie derivino sem-
con parole. Superando scale laterali ricurve e disposte simmetricamente, ci si muove verso plicemente dal desiderio di Asplund di creare un interno alla maniera modernista, ma è anche
la sala prestiti. Il ritmo di luce e ombra, come nella Cappella di Woodland, viene nuovamente importante notare come il suo uso di un sistema strutturale di colonne e travi consentì questa
utilizzato con grande effetto drammatico. Avvicinandosi alla sala prestiti, le file di libri sembrano chiara espressione di una nuova era in Svezia. Quasi invisibili all’interno, le colonne e le travi
come una superficie piatta, forse carta da parati, forse un motivo verniciato. Non ancora libri vengono rivelate in pochi posti, più apertamente, forse nel loro sostegno del pavimento e della
scala adiacente alla grande parete di vetro del cortile. Tutte le altre superfici—l’intonaco e i
rivestimenti decorativi—sembrano essere in costante movimento, fluttuanti e sospesi sopra
il pavimento di pietra. All’esterno dell’edificio, la manipolazione del rivestimento è di nuovo
evidente. Esprimendo deliberatamente la struttura dell’edificio, Asplund fa sì che i pannelli di
tamponamento siano letti come schermi simbolici. Con la creazione di un modello di finestratura
asimmetrica all’interno di questi pannelli, ci viene fatta capire la deferenza della struttura più
nuova verso la vecchia, forse l’una si inginocchia all’altra. La manipolazione del rivestimento in
questo edificio, quindi, non è semplicemente un’espressione manierista di un edificio modernista.
Piuttosto, è usato come un gesto simbolico per descrivere le relazioni tra le parti, così come,
forse, i bassorilievi suggeriscono gli eventi dietro la superficie.
La Mostra di Stoccolma (1928-1930) segna probabilmente il momento della cristallizzazione
di tendenze moderniste di Asplund cominciate molti anni prima. Queste tendenze apparirono
inizialmente in misura limitata in progetti come quelli presentati per i concorsi per il Padiglione
Svedese al Salone di Parigi e per la Biblioteca pubblica di Stoccolma. In effetti, la rappresen-
tazione di Asplund per la piazza del mercato sotto la Biblioteca pubblica di Stoccolma (1928)
indica chiaramente la direzione che avrebbe seguito per il resto della sua carriera. C’era anche
una serie di edifici funzionalisti progettati da vari architetti negli anni precedenti alla mostra,
ma pochi furono completati entro il 1930 33.
Questa notevole espressione di una nuova era nella progettazione svedese presenterà una
12 visione architettonica singolare legata tanto ai vari cambiamenti culturali verificatisi negli
ultimi tempi, come lo sviluppo della nuova cultura borghese, quanto ai cambiamenti tecnolo-
gici nell’artigianato e nella produzione e fabbricazione di merci. Ci sono state anche influenze
significative di contemporanei di Asplund in Francia e Germania, che a questo punto avevano
già chiaramente stabilito vocabolari formali allineati con la tecnologia e il nuovo spirito. Ma a
differenza di questi contemporanei, anche a fronte di una ideologia funzionalista, Asplund non
volle rinunciare a idee legate al luogo o alla tradizione. Piuttosto vediamo una sovrapposizione di
queste tendenze, dove l’espressione formale è temperata da una strategia di pianificazione del
sito che è, possiamo dire, abbastanza tradizionale. Qui crea strade, piazze, slarghi e monumenti
e li organizza in maniera da rispondere intimamente al contesto, in qualche modo evocativo di
una piccola città. Questa strategia è in netto contrasto con progetti dove il contesto e la scala
erano irrilevanti, come la Ville Radieuse (c. 1930) di Le Corbusier. In tutto il sistema anche il
colore fu utilizzato in modo sorprendente per stabilire un clima di festa che era importante per
il successo della manifestazione. Sembra probabile che ciò fosse una conseguenza (almeno
parziale) delle osservazioni di Asplund su un festival a Taormina. Scrive nel suo diario:
Era l’ultimo giorno di carnevale lì, con lanterne colorate e figure comiche variopinte e una
13 grande orchestra in piazza, e sopra il cielo stellato, e sotto il fragore del mare...34.
Consentendo alla modernità austera dei suoi funzionali padiglioni espositivi di essere vestiti in
10.12. Gunnar Asplund. Piano preliminare per la casa estiva di famiglia a Stennas, 1936. © Arkitekturmuseet
abbigliamento da festival—con striscioni colorati, bandiere, luci, insegne, fiori e alberi—Asplund
Stockholm, foto Nikolaj Alsterdal.
estese la conversazione a un pubblico diffidente e, coraggiosamente, inaugurò una nuova sen-
10.13. Gunnar Asplund. Vista degli interni, casa estiva di famiglia a Stennas, 1936-37. © Arkitekturmuseet
sibilità modernista nel design svedese.
Stockholm.

340 341
In uno degli ultimi progetti prima della morte, la sua casa a Stennäs (1937), Asplund rivisita

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molti degli argomenti di cui si era occupato in progetti già descritti in questo saggio. Nei primi
schemi per questa casa, l’aveva divisa in tre blocchi, con attraversamenti che correvano sul lato
corto dell’edificio. Questa strategia organizzativa sembra chiaramente allineata a quella delle
case svedesi tradizionali della Cascina Okthorp al museo all’aperto di Skansen, appena fuori
Stoccolma35. Sembra anche probabile, però, che questo schema derivasse dall’osservazione di
fattorie fuori di Roma, dove sono comuni i volumi interconnessi dei singoli edifici vernacolari.
Questa nozione sembra particolarmente evidente quando si confrontano la volumetria della
Villa Snellman e quella della versione finale della sua casa a Stennas con la casa colonica che
vide e documentò nei pressi di Villa Madama a Roma.
Si entra nella casa a Stennas attraverso una sorta di cortile che, come a Villa Snellman, è de-
finito dai due volumi della casa e da un elemento naturale, una grande rupe di granito. Come
a Villa Snellman, lo spazio si legge chiaramente come fosse una stanza. Asplund rafforza la
lettura attraverso la collocazione di un caminetto (la cui scala suggerisce un interno) sulla
parte esterna della casa, creando ancora una volta una condizione di ambiguità tra interno ed
esterno. All’interno della casa, le proporzioni degli elementi e i tipi di materiali cambiano per
sfidare la loro interiorità. Nella sala, accanto a un enorme camino e davanti alla maestosa vista
del fiordo, ci sono larghi gradini in mattoni, che ricordano i sedili del teatro greco di Siracusa.
Nel suo diario, Asplund scrisse:
Il teatro greco è imponente per l’impatto e le dimensioni. La stessa gravità raffinata dei
templi. La chiave di tutto è lo spazio aperto con sopra il cielo, la pianura e il mare tutti
raccolti intorno al palcoscenico. Una semplicità di concezione e grande unità, con lo scopo 14
e il significato che legano il tutto, per dare pienezza architettonica36.
In questo contesto, Asplund sfidava le nozioni contemporanee di spazio. L’idea che una definizione di
spazio non era più assoluta (un interno, per esempio, non era più necessariamente solo un interno)
è stata chiaramente evidenziata nel suo lavoro. Simo Paavilainen, nelle sue note dal simposio di
Asplund del 1985, descrive “come riccamente e abbondantemente Asplund ... costruisse case
negli interni ed esterni dentro le case...37. Questo tipo di inversione non accade come abile trucco
architettonico, piuttosto come mezzo per indagare su alcune tendenze del momento, in particolare
la necessità di definire una cultura borghese che stava cambiando radicalmente e sviluppandosi
rapidamente38. Mentre alcune strategie di progettazione derivate dal suo viaggio per il Mediter-
raneo cominciarono ad avere effetti ben precisi sulla sua opera, l’evoluzione delle tecnologie di
costruzione in Scandinavia creò un’altra serie di paradigmi entro cui si potrebbe lavorare.
15 16
Il Cinema Skandia
Nel Cinema Skandia a Stoccolma, diventa forse più evidente l’importanza delle esplorazioni di 10.14. Gunnar Asplund. Cinema Skandia. Vista dell’auditorium, Stockholm, 1923. © Arkitekturmuseet
Asplund dello spazio aperto, della tradizione, del simbolo, del colore, della superficie, e delle Stockholm, foto Nikolaj Alsterdal.
loro relazioni con i suoi viaggi. Per Asplund il teatro aveva grande valore. Scrisse, parlando 10.15. Gunnar Asplund. Cinema Skandia. Vista del corridoio al piano terreno, Stockholm, 1923.
ancora del teatro greco di Taormina: © Arkitekturmuseet Stockholm, foto Nikolaj Alsterdal.
È difficile immaginare una situazione più intrisa di devozione e di gravità. Si è colpiti dalla 10.16. Gunnar Asplund. Cinema Skandia. Vista del corridoio al primo piano, Stockholm, 1923.
solennità signorile e dalla grandezza dello spirito che deve aver accordato le idee ed i © Arkitekturmuseet Stockholm, foto Nikolaj Alsterdal.
sentimenti degli antichi per l’arte, sia l’arte del teatro che della scultura, l’una usata per
fornire l’infrastruttura all’altra39. processo di composizione venne data maggiore importanza ai punti di vista indicati con chiarezza
Significativo in questo brano è il suo collegamento della scultura con il teatro, arti entrambe dal cliente, esperto nel settore: il desiderio del pubblico di una cornice vivace, improbabilmente
presentate a tre dimensioni. Il film, invece, è un mezzo e un’arte presentata in due dimensioni, splendida per il mondo fantastico del cinema e il suo bisogno di un’intimità accogliente”40. Fin
e come tale l’articolazione del Cinema Skandia potrebbe essere interpretata come un gioco dall’inizio, il cinema venne inteso come un luogo di ritrovo, in particolare per la nuova borghesia.
attorno a questa idea. Da molti punti di vista questa impostazione si basa sul suo viaggio a Tunisi e Taormina nei primi
Il Cinema Skandia fu progettato tra il 1922 e il 1923. Si trattava di un incarico che prevedeva mesi del 1914. Nei suoi diari di questo viaggio, Asplund descrive le piazze che ha visitato, dove
la costruzione di un teatro all’interno di un edificio esistente. Secondo Asplund, “... durante il la gente si ritrovava in un clima di festa. Erano riunioni che potrebbero essere descritte come

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10.17. Gunnar Asplund. Skandia Cinema. Vista dell’auditorium verso il schermo cinematografico, Stock-
holm, 1923. © Arkitekturmuseet Stockholm, foto Nikolaj Alsterdal.

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quasi primordiali. Queste suggestioni seguono la concezione di Gottfried Semper, quando scrive dell’assemblea e trofei militari. Con questa interpretazione, Labrouste mostra il decadente

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che “... il primo e più importante, [è] l’elemento morale dell’architettura”41. Qui egli afferma che: vocabolario formale del tempio greco, che a sua volta si trasforma in un altro vocabolario de-
Il primo segno di insediamento umano e di riposo dopo la caccia, la battaglia e il vagabondag- corativo, che riveste lo scheletro della vecchia architettura con la carne di una nuova46.
gio nel deserto è oggi, come quando i primi uomini persero il paradiso, la preparazione del Asplund pensa a una piccola rotonda dove il nuovo vocabolario decorativo, il segno, assume
caminetto e l’accensione della ... fiamma che riscalda e ravviva. I primi gruppi si riunirono il ruolo di architettura, in modo simile alla concezione di Labrouste di un’architettura nata da
intorno al focolare; intorno a esso si formarono le prime alleanze; intorno a esso i primi una manipolazione della superficie. Lo spazio sviluppa un proprio significato in base alla sua
rozzi concetti religiosi furono stabiliti nei riti di un culto 42. decorazione, al di là dell’essere semplicemente una galleria di immagini. Qui è il segno a dare
Harry Francis Mallgrave approfondisce questo tema. Egli argomenta che, secondo Semper, significato allo spazio e, in effetti, questo spazio diventa rappresentativo della strategia che
l’origine dell’architettura monumentale si trova nella celebrazione festosa e nella festa im- Asplund avrebbe impiegato per tutto il progetto.
provvisata di apparati43. Idee chiaramente identificabili nel Cinema Skandia, dove incontriamo Oltre l’atrio, Asplund collocò un corridoio. Questo spazio, ancora una volta, offre indicazioni di
il concetto di ritrovarsi intorno a una fonte di luce. Le tende del palcoscenico sono in penombra un gioco tra interno ed esterno. Le pareti sono colorate in modo diverso (le pareti esterne verde
e brillano prima di essere trasformate nelle immagini sullo schermo; la fiamma brilla, proprio scuro, le pareti interne bianche) per consentire una lettura più chiara della loro interiorità ed
come la storia narrata intorno al fuoco. esteriorità. Forse però non si comprende appieno l’impatto delle teorie di Semper su Asplund
Nell’articolazione di pareti, soffitti e pavimenti, Asplund riesce di nuovo a fare riferimenti sem- finché non si raggiunge lo spazio interno dell’auditorium. Qui egli ha creato uno spazio che
periani. In tutta la progettazione, il concetto di portare l’esterno dentro e poi ribaltare l’interno è una vera e propria illusione, ma che è anche inteso come una vera e propria architettura.
fuori è consistentemente concretizzata. La pavimentazione del portico, per esempio, si articola L’architettura è la decorazione.
in un pavimento in pietra di un colore che richiama la pavimentazione della parte esterna. A Nella sua descrizione della galleria, Asplund afferma che fu costruita più ampia possibile
proposito di questo spazio Asplund afferma: per ridurre la proporzione della stanza, e al contempo, la decorazione delle barriere della
Il portico è pensato per illustrare con gli strumenti dell’architettura la transizione tra la galleria fu costruita il più grande possibile per dare un senso di vicinanza. La galleria centrale
bella facciata di Scholander, seria e segnata dalle intemperie, e la modernità colorata, un era separata dalle gallerie laterali per dare l’impressione di una stanza più lunga. Uno studio
po’ stridente, del cinema. Di conseguenza le sue pareti e soffitti a cassettoni sono trattati dettagliato di queste superfici rivela un numero di esplorazioni diverse sull’effetto del colore e
nel tono grigio-marrone scuro della facciata e l’asfalto della pavimentazione esterna entra della scala sullo spazio. Il motivo pompeiano sovradimensionato sulle barriere della galleria,
come pavimento 44. per esempio, assolve il ruolo di rendere la stanza più piccola e, quindi, di offrire quell’”intimità”
Attraverso un uso deliberato di colore, Asplund è stato in grado di manipolare uno spazio in che era un requisito e un simbolo della nuova cultura borghese. Forse più significativo è l’uso
modo tale che la sua lettura sia completamente controllata. Ha portato dentro l’esterno, e così della proporzione per collegare l’architettura del cinema all’”architettura dell’arte del cine-
facendo ha creato il tema per l’intero progetto. ma”, che comprende in parte la manipolazione della proporzione per raggiungere un effetto
Al di là del portico c’è l’atrio, che mostra ancora una volta tracce della manipolazione della drammatico. Un secondo esempio è il corridoio al piano superiore, che circonda gli ingressi ai
superficie. All’interno della piccola rotonda, adiacente all’atrio, Asplund crea uno spazio che palchi. Qui, ancora una volta, Asplund gioca in modo raffinato con proporzione e fantasia. Sulle
può essere visto come emblematico del disegno dell’intero progetto. Qui c’è uno spazio pensato porte dei palchi sono suggerite aperture, ma è tutta la superficie ad aprirsi. Queste porte si
semplicemente per l’esposizione di “... immagini (disegni preferibilmente) per rendere omag- sporgono dalla superficie della parete verso il percorso di circolazione principale, come per
gio—e per pubblicizzare—le stelle del cinema, famose e celebrate ... nell’intonaco grigio chiaro invitare il visitatore. Il loro ruolo fisico e architettonico è chiaro: sono porte, ma stanno anche a
del tetto c’è un compluvio, avvolto in un casto lavoro di traforo dorato, attraverso il quale si può indicare un concetto sottostante. Attraverso la loro manipolazione della superficie creano un
vedere un nulla oscuro”45. Di nuovo, attraverso un’articolazione molto specifica, Asplund crea nuovo significato. Non sono più porte, ma stanno anche a rappresentare il mondo irreale del
uno spazio che è il risultato della modulazione di superfici, che alla fine sono simboli e, dunque, film proiettato dietro di loro.
l’architettura. Il più evidente di questi simboli sono le immagini delle stelle del cinema. La forza E infine c’è il soffitto. Asplund qui approfondisce il tema dello spazio aperto nell’ambito di una
della sua concezione complessiva sarebbe sminuita senza questi elementi. stanza completamente chiusa. Le stelle elettriche nel cielo, che era “... stato ottenuto dipingendo al
Guardando questo spazio, i riferimenti alla ricostruzione di Labrouste della Basilica di Paestum fresco in nero-blu una volta a botte …”, paradossalmente sono definite da Asplund come un’idea
possono non essere evidenti. Da un’analisi più attenta però, visto che anche Asplund doveva del tutto non-architettonica che, di fatto, crea l’atmosfera di una festa sotto un cielo notturno47.
disegnare un luogo di assembramento, una sorta di basilica, diventa chiaro come valesse la Si potrebbe sostenere che il film è un ideale semperiano. Appena si abbassano le luci e la
pena esplorare alcuni degli stessi problemi affrontati da Labrouste. Nel contesto della storia storia comincia, la superficie piatta dello schermo assorbe completamente l’attenzione degli
e della teoria dell’architettura, è anche importante notare che Asplund deve davvero essere spettatori. Si tratta di un media completamente bidimensionale che semplicemente si occupa
stato a conoscenza del lavoro di Labrouste e dell’importanza di opere come la Bibliothèque di raccontare storie con la luce. Il Cinema Skandia, grazie a tutte le manipolazioni delle sue
Sainte Geneviève e la sua influenza sullo sviluppo di paradigmi modernisti in architettura, in superfici, è una rappresentazione di questo ideale. Secondo Asplund,
particolare per quanto riguarda sistemi di struttura e articolazione della superficie. Il carattere distintivo del cinema, che potrebbe ben emergere dalla rappresentazione im-
Labrouste, nella sezione longitudinale della Basilica, ha ignorato tutte le sottigliezze degli personale, puramente meccanica, della vita negli spettacoli, dalla loro ripetizione nelle ore
ordini in modo da lasciare solo un diagramma strutturale (uno scheletro, per così dire), con le serali, dalla loro immediata disponibilità e l’informalità democratica del pubblico, questo
pareti della basilica in un altro piano di rappresentazione. Secondo David Van Zanten, Labrouste carattere distintivo deve ancora acquisire una veste completamente appropriata48.
presenta queste pareti non più come muri del tempio, ma piuttosto pareti di una sala riunioni,
che hanno il loro cumulo di decorazioni: iscrizioni a registrare eventi, vignette, i regolamenti Inerenti nella tipologia dell’edificio ci sono implicazioni che hanno più a che fare con l’artico-
lazione della superficie che con qualsiasi tipo di struttura formale. Erik Gunnar Asplund, con
346 347
grande abilità, manipolò queste idee per creare un capolavoro architettonico senza precedenti. 1
Erik Gunnar Asplund a Tunisi nel 1914, come citato in Luca Ortelli, “Heading South: Asplund’s

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Non si trattava né di struttura né di decorazione, ma contemporaneamente di entrambe. Alvar Impressions”, Lotus International 68, 1991, p. 31.
Aalto dichiarò: 2
Su questi architetti, si veda Simo Paavilainen, Nordic Classicism, 1910-1930, Helsingfors, Fin-
Ho avuto l’impressione che questa fosse un’architettura in cui i sistemi ordinari non erano lands Arkitekturmuseum, 1982.
serviti come parametri. Qui, il punto di partenza era l’uomo, con tutte le innumerevoli 3
Luca Ortelli, “ Heading South: Asplund’s Impressions” p. 23.
sfumature della sua vita emotiva e della sua natura49. 4
Claes Caldenby, “Time, Life and Work: An Introduction to Asplund,” in Asplund, Claes Caldenby
In Svezia l’uso del colore non era certo una novità quando Asplund stava costruendo. Le amate e Olof Hutlin (a cura di), New York, Rizzoli International, 1985, p. 9. Per il movimento del ro-
cascine di legno della campagna sono state vestite per secoli in un rosso profondo. Ma si stavano manticismo nazionale nei paesi scandinavi, si veda Barbara Lane Miller, National Romanticism
anche verificando cambiamenti nell’applicazione del colore, legati allo sviluppo di nuovi metodi and Modern Architecture in Germany and the Scandinavian Countries, Cambridge, Cambridge
di costruzione e di nuovi materiali, un risultato diretto dell’industrializzazione del commercio University Press, 2000.
del legno così importante per la regione. A questo punto, secondo Henrik O. Andersson, “... 5
Secondo Michelle Facos, il termine “folk” svedese tuttavia, riflette più sfumature della parola
l’architettura in legno e quella in pietra si stavano avvicinando l’una all’altra ... Case fatte di inglese. In Svezia il concetto di folk è culturalmente conservatore e politicamente progressista,
travi erano spesso rivestite con intonaco e toni simili venivano scelti spesso per la tinta a olio e denota la libertà, l’uguaglianza e la solidarietà di le peuple nel concetto francese repubblicano.
applicata alle parti in legno come per lo strato di colore intonacato”50. Questa trasformazione Allo stesso tempo, però, comprende una fetta ben più vasta di società che non in Francia. La
del rivestimento dell’edificio, da uno in cui la vernice veniva applicata per proteggere la ricca percentuale di folk in Svezia è stato più grande di quello di le peuple in Francia, e da questa
lavorazione del legno all’applicazione di una copertura, è fortemente allineato allo sviluppo del classe in Svezia è spuntata una classe borghese più numerosa che in Francia. Si veda Michelle
pensiero architettonico all’inizio del Ventesimo secolo. La forma architettonica non nasceva Facos, Nationalism and the Nordic Imagination: Swedish Art of the 1890s, Berkeley, University of
più dal taglio del legname e dall’espressione tettonica che risultava associata a questo meto- California Press, 1998, pp. 4-5.
do di costruzione. Elementi costruttivi standardizzati prodotti in fabbrica, invece, avrebbero 6
Caldenby, p. 23.
consentito maggiore libertà di espressione. Con lo sviluppo di nuove tecniche e materiali per 7
Caldenby, p. 27.
intonaco, cambiò anche la gamma di colori. 8
Eva Rudberg, “Aalto in Svezia”, Aalto – Toward a Human Modernism, Monaco, Prestel Verlag,
L’intonaco di calce pura fu sostituito da intonaco di cemento, che era contemporaneamen- 1999, p. 92.
te più sottile e più forte, ma aveva diversi requisiti di sbiancamento. Dato che l’intonaco 9
Michelle Facos, p. 3.
vero e proprio era più grigio, più scuro e rifletteva meno luce a causa del cemento e della 10
Claes Caldenby, “Beginnings”, Lectures and Briefings from the International Symposium on
maggiore quantità di sabbia che conteneva, il risultato era un tono di colore naturalmente the Architecture of Erik Gunnar Asplund, Christina Engfors (curatrice), Stockolm, The Swedish
più scuro e opaco51. Museum of Architecture and the Royal Academy of Fine Arts, 1986, p . 9.
Questi progressi nella tecnica e nei materiali consentirono di trasformare il modo in cui le 11
Christina Engfors e E.G. Asplund, Architect, Friend and Colleague, Stoccolma, Arkitektur For-
superfici erano articolate. Tuttavia, per Asplund, questi non erano gli unici motivi per riconside- lag, 1990, p. 68.
rare la superficie. Egli fu in grado di rendere palese un’architettura basata su una molteplicità 12
Erik Gunnar Asplund, come citato in Gunnar Asplund Architect 1885-1940, Gustav Holmdahl,
di strategie, grazie alla sua chiara comprensione del contesto e del luogo, così come alla sua Sven Ivar Lind e Kjell Odeen (a cura di), Stoccolma, Ab Tidskriften Byggmastaren, 1950, p. 16.
comprensione delle tecniche di costruzione e delle esigenze di un nuovo tipo di società. 13
Non vi è alcuna traduzione in inglese dei suoi appunti di viaggio. Si veda la versione spagnola
Il viaggio al Sud colpì visceralmente Asplund e ne influenzò chiaramente il lavoro da venire. Egli illustrata: Erick Gunnar Asplund, Escritos 1906-1940. Cuaderno de viaje a Italia en 1913, El Escorial,
usò quelle impressioni per ricavare un nuovo significato in un contesto completamente diverso. El Croquis Editorial, 2002.
Queste derivazioni diventano più chiare quando vengono intese relativamente al contesto della 14
Erik Gunnar Asplund, come citato in Gustav Holmdahl, Sven Ivar Lind e Kjell Odeen (a cura
pedagogia del viaggio. Come Blouet e Labrouste, Asplund utilizzò i suoi viaggi per scoprire di), Gunnar Asplund Architect 1885-1940, pp 20-27.
qualcosa di sconosciuto dei luoghi visitati. Labrouste aveva riorganizzato la cronologia storica 15
Le Corbusier, come citato in William JR Curtis, Modern Architecture Since 1900, Londra, Phaidon
dei templi di Paestum, per esplorare e scoprire una nuova concezione dell’ evoluzione architet- Press Limited, 1982, p. 166.
tonica. Nella sua ricostruzione di Agrigento, Labrouste utilizza il disegno per esplorare un’idea 16
Benedetto Gravagnuolo, Adolf Loos, New York, Rizzoli International Publications, 1988, p. 148,
dell’importanza della superficie rispetto al luogo. Asplund utilizza queste stesse tecniche per si veda anche il saggio di Benedetto Gravagnuolo in questo libro.
scoprire un nuovo significato e forma in progetti architettonici reali. Ricombinando tempo e luogo 17
Bjorn Linn, Introduzione a Dan Cruikshank (a cura di), Erik Gunnar Asplund, Londra, The Ar-
Asplund crea un’architettura che non è né vecchia né nuova. È intesa piuttosto come a-spaziale e chitects Journal, 1988, p.13.
atemporale—eppure contemporaneamente del tutto parte del suo tempo e del suo luogo. La Via 18
Cfr. Antoine-Chrysostome Quatremère de Quincy, Giove Olympien, ou l’art de la sculpture antique
Crucis non è Pompei rivisitata, il cinema Skandia non è una piazza a Tunisi. Eppure applicando considérée sous un nouveau point de vue; ouvrage qui comprend un Essai sur le goût de la sculpture
queste immagini a un nuovo contesto, in una nuova era e attraverso una manipolazione piuttosto polychrome, Parigi, 1815. L’illustrazione fondamentale si può trovare anche sulla copertina di
deliberata della superficie, Asplund seppe manifestare un’architettura che esprimesse metodi Quatremère de Quincy, Essai sur la nature, le but et les moyens de l’imitation dans les Beaux-Ar-
e materiali con i quali ha lavorato, nonché la società per la quale ha costruito. ts, Bruxelles, Archives d’architecture moderne, 1980; riproduzione fac-simile dell’edizione di
Parigi del 1823.
19
Harry Francis Mallgrave, Introduzione a Gottfried Semper, The Four Elements of Architecture
and Other Writings, New York, Cambridge University Press, 1989, pp. 4-5. Sul dibattito sulla

348 349
policromia, si veda in particolare David Van Zanten, “Architectural Polychromy: Life in Archi- 33
Eva Rudberg, The Stockholm Exhibition, 1930: Modernism’s Breakthrough in Swedish Architecture,

RISONANZE MEDITERRANEE NELL’OPERA DI ERIK GUNNAR ASPLUND | Francis Lyn


tecture”, in Robin Middleton (a cura di), The Beaux Arts and Nineteenth Century French Architecture, Stoccolma: Stockholmia Forlag, 1999, pp. 32-3.
Cambridge, The MIT Press, 1982, pp 197 -215; Neil Levine, “The Romantic Idea of Architectural 34
Erik Gunnar Asplund, come citato in Gunnar Asplund Architect 1885-1940, (a cura di) Gustav
Legibility: Henri Labrouste and the neo-Greek” in Arthur Drexler (a cura di), The Architecture Holmdahl, Sven Ivar Lind e Kjell Odeen, Stoccolma: Ab Tidskriften Byggmastaren, 1950, p. 23.
of the Ecole des Beaux-Arts, Cambridge, The MIT Press, 1977, pp. 325 ff. 35
Peter Blundell Jones, “La casa a Stennas,” in Erik Gunnar Asplund, (a cura di) Dan Cruikshank,
20
Gottfried Semper, Vorläufige Bemerkungen über bemalte Architektur und Plastik bei den Alten Londra: Deimer e Reynolds, 1988, pp123-4.
(Hamburg-Altona, 1834). La sua tesi è stata sviluppata ulteriormente in The Four Elements of 36
Erik Gunnar Asplund come citato in Luca Ortelli “Heading South: Asplund’s Impressions” p. 31.
Architecture. I viaggi di Semper sono stati dominati dal tema della policromia. Andò in Grecia 37
Simo Paavilainen come citato in Colin St. John Wilson, “Gunnar Asplund e il dilemma del
con Jules Goury, che si recò poi in Spagna. Da questo viaggio, pubblicò la sua opera più impor- Classicismo,” in Vicky Wilson (a cura di), Gunnar Asplund 1885-1940 The dilemma of Classicism,
tante, Der Stil in den technischen und tektonischen Kunsten oder Praktische Ästhetik, 1861-1863, Londra, AA Publications, 1988, p.11.
in inglese: Style in the Technical and Tectonic Arts, or Practical Aesthetics, Los Angeles, Getty 38
Alla fine del secolo, stavano prendendo forma alcuni temi caratteristici dell’emergente cul-
Research Institute, 2004. tura borghese. Il tempo diventò un concetto lineare piuttosto che ciclico e la natura un rifugio
21
La sua teoria fu pubblicata la prima volta nel suo Mémoire sur l’architecture polychrome chez dalle esigenze razionali della vita in città. La casa e la famiglia diventarono la pietra angolare
les Grecs (1830). Nel 1831 pubblicò le sue interpretazioni del Tempio di Empedocle a Selinunte, della società e come tali un microcosmo della dicotomia della società borghese, tra privato e
che divennero il centro della sua teoria policroma. L’amico di Hittorff, Franz Christian Gau, pubblico. Claes Caldenby, “Time, Life and Work: An Introduction to Asplund” in Asplund, Claes
aveva presentato l’antica architettura egizia come colorata nelle sue illustrazioni di Antiquités Caldenby e Olof Hutlin (a cura di), New York: Rizzoli International Publications, Inc., 1985, p. 9.
de la Nubie (1821-1827). 39
Erik Gunnar Asplund, come citato in Gunnar Asplund Architect 1885-1940, Gustav Holmdahl,
22
Secondo Neil Levine, il Prix de Rome, che in architettura è stato conferito dal 1793 al 1968, era Sven Ivar Lind e Kjell Odeen (a cura di), Stoccolma: Ab Tidskriften Byggmastaren, 1950, pp 23-4.
l’ultima fase nella formazione di un architetto francese del Diciannovesimo secolo. Era il più alto 40
Erik Gunnar Asplund, come citato in Claes Caldenby, “The Sky as a Vault” di Claes Caldenby
riconoscimento conseguibile dall’École des Beaux Arts e, praticamente, assicurava una carriera e Olof Hutlin (a cura di), Asplund, p. 25.
prestigiosa. Gli studenti vincitori avrebbero fatto il Grand Tour, studiando architettura in Italia per 41
Gottfried Semper, The Four Elements of Architecture, tradotto da Harry Francis Mallgrave e
cinque anni. Questi pensionnaires, come venivano chiamati, erano basati a Roma, a Villa Medici e, Wolfgang Herrmenn, New York, Cambridge University Press, 1989, p. 102.
alla fine di ogni anno, dovevano spedire rapporti chiamati envois, che comprendevano i loro studi e 42
Ibidem.
tutto ciò che avevano concluso in Italia e, prevalentemente, si trattava di riproduzioni in acquerello. 43
Harry Francis Mallgrave, Introduzione a Gottfried Semper, The Four Elements of Architecture,p. 2.
Si veda Neil Levine, “The Competition for the Grand Prix in 1824,” The Beaux Arts and Nineteenth 44
Erik Gunnar Asplund, come citato in Claes Caldenby, “The Sky as a Vault”, p. 25.
Century French Architecture, Robin Middleton, (a cura di), Cambridge, MIT Press, 1982, pp. 139-173. 45
Ibid., p. 28.
23
Ibid., p. 199. 46
Davide Van Zanten, “Architectural Polychromy: Life in Architecture”, p. 198.
24
Ibid. 47
Erik Gunnar Asplund, come citato in Claes Caldenby, “The Sky as a Vault,” p. 26.
25
Ibid. 48
Ibid., p.27.
26
Harry Francis Mallgrave, Introduction, p. 9. 49
Alvar Aalto come citato in Stuart Wrede, p. 94.
27
Ibid., p. 15. 50
Henrik O. Andersson, “Swedish Architecture around 1920” in Simo Paavilainen (a cura di),
28
Gottfried Semper, Preliminary Remarks on Polychrome Architecture and Sculpture in Antiquity, Nordic Classicism 1910-1930, Helsinki, Museo di Architettura Finlandese, 1982, p. 125.
New York, Cambridge University Press, 1989, p. 63. 51
Ibid.
29
Per comprendere la relazione tra il modello e questa nuova casa che stava progettando, basta
guardare gli antichi casali Okthorp, edifici che Asplund di sicuro aveva conosciuto. Questi edifici,
che comprendevano una casa colonica e una serie di fienili, in genere si chiudevano intorno a
un cortile rettangolare. Questo cortile era considerato in primo luogo uno spazio privato che
la casa colonica separava dalla sfera pubblica. La cascina Okthorp nel museo all’aperto Skan-
sen a Stoccolma, iniziata nel 1891 da Artur Hazelius, fu la prima del genere al mondo. La sua
fondazione fu contemporanea al movimento Romantico Nazionale che era al suo apice durante
gli anni formativi di Asplund. Per più di un decennio, il nuovo edificio fu fortemente influenzato da
Primitivismo, irregolarità e rispondenza alle condizioni locali e regionali. Peter Bludnell Jones,
“House at Stennas,” in Dan Cruikshank (a cura di), Erik Gunnar Asplund, pp. 123-4.
30
Cfr. il saggio di Val Warke “The Plight of the Object” per una più approfondita analisi della
progettazione degli interni di questa casa e il suo rapporto con le facciate esterne, in Cornell
Journal of Architecture 3, 1987, pp. 78 - 95.
31
Stuart Wrede, The Architecture of Erik Gunnar,Asplund, Cambridge, The MIT Press, 1980, p. 27.
32
Erik Gunnar Asplund come citato in Elias Cornell “The Sky as a Vault,” in Claes Caldenby e
Olof Hutlin (a cura di), Asplund, p. 23.

350 351
Bernard Rudofsky e la sublimazione
del vernacolare
11
11.1. Bernard Rudofsky. Oia, Santorini, 1929. Fonte: The Getty Research Institute, Los Angeles.
© Ingrid Kummer. Andrea Bocco Guarneri

Quando Bernard Rudofsky (1905-1988) entrò alla Technische Hochschule di Vienna nel 1923, le idee
e il linguaggio del Neues Bauen (Nuova Architettura) erano già ben diffusi e riconosciuti. Mentre Otto
Wagner e Adolf Loos avevano disposto le base teoriche e prodotto gli esempi costruiti che aveva
aperto la nuova via, Josef Frank era, in quel momento, l’unico architetto viennese a sopportare il
marchio di fabbrica “Movimento Moderno”1. Tuttavia, alla metà degli anni Venti, ad uno studente
della scuola viennese veniva offerta una formazione ormai solidamente moderna dal punto di
vista della concezione tecnologica e strutturale, mentre dal punto di vista stilistico lo scontro tra
formalismo storicizzante e “nuova architettura” era molto meno violento che nella maggior parte
delle altre accademie europee. Le idee e il linguaggio della ‘nuova architettura’ erano ormai stati
recepiti ed accolti. La ricostruzione della città del dopoguerra tendeva ormai correntemente ad un
moderno senza avanguardie infatuate del mito della tecnica, un “altro moderno”, professionistico
e senza grida. Non è un caso se, alla fine del suo primo anno di università, la diciottenne Rudofsky
decise di intraprendere un viaggio in Germania per scoprire le nuove opere e visitare la prima
mostra del Bauhaus a Weimar. Da lì, si recò a nord di Svezia, di nuovo con l’intenzione di studiare
i più recenti edifici di Asplund, Lewerentz e altre moderni-classicisti architetti2.
Il giovane Rudofsky iniziò la sua carriera nello studio di Salvisberg a Berlino (1928-1930) e divenne
poi collaboratore di Theiss und Jaksch a Vienna (1930-32) 3. Le opere cui Rudofsky collaborò
dimostrarono un vocabolario maturo, impiegato con le nuove tecniche e metodi di composizione
che la generazione del 1880, tra cui Emil Fahrenkamp, Clemens Holzmeister e Josef Frank,
avevano stabilito. Buona parte degli architetti viennesi nati tra la fine del secolo XIX e i primi anni
del XX—la generazione di W. Loos, Fahrenkamp, Plischke, Neutra, Kiesler, Wlach, Augenfeld,
Sobotka, Kleiner, Bayer, Strnad, Haerdtl, Wenzel, coetanei o poco più anziani di Rudofsky—visse
profondamente la trasformazione culturale in corso e ne divenne attore. A quell’epoca si aveva
la percezione che Vienna sembrasse insegnare il valore di una nuova architettura “senza archi-
tetto”—cioè che l’opera degli architetti viennesi mettesse al centro il senso di domesticità ed una
disponibilità ad accogliere, anche in edifici “moderni”, arredi e oggetti che avevano l’aspetto di
essere scelti dall’abitante, e che continuavano la tradizione di qualità d’uso delle arti applicate4.
A noi interessa sottolineare che persino il grande polemista e riformatore Adolf Loos non
intendesse tanto creare una cultura alternativa, ma importare elementi nuovi, da lui giudicati
positivamente5, e che Josef Frank, nell’epoca dei testi fondanti del Movimento, affermava l’im-
portanza dei valori sentimentali (anche psicologici) e della comodità nell’abitazione6. Azzardo
ipotizzare che, se è possibile riconoscere una differenza tra un moderno viennese e quello, a sua
volta eterogeneo, dei CIAM da La Sarraz in avanti, questa tragga la sua origine dal senso etico
della professione interessata alla soddisfazione dell’abitante e dal senso critico ed antidogmatico
che caratterizzavano la cultura viennese dopo la caduta dell’Impero7. Come ha scritto Claudio
Magris, “Vienna ... era ... [a] luogo di uno scetticismo generale per quanto riguarda l’universale
e il sistema di valori”8.
Rudofsky condivideva quello scetticismo con molti dei suoi compatrioti; di conseguenza, non era
un vero sostenitore del nuovo credo del moderno. I sue uniche simpatie erano dichiarate con il
movimento della Lebensreform (vita-riforma) e lo spirito polemico di Karl Kraus. Allo stesso modo,
non vi sono documenti che potrebbero accreditare contatti diretti con Adolf Loos ma sarebbe
difficile negare che, nelle sue lezioni e l’insegnamento, non vi era una maggiore influenza da
qualsiasi altro pensatore. Aforismi come “complessità non è mai stata una virtù”9, o “ricordare:
l’arte significa omettere,” potrebbe benissimo essere da Loos stesso10.

353
Il viaggio verso il Mediterraneo

BERNARD RUDOFSKY E LA SUBLIMAZIONE DEL VERNACOLARE | Andrea Bocco Guarneri


Ormai da secoli, e ancor più dalla scoperta di Ercolano e di Pompei, il completamento di una
buona formazione artistica comprendeva un viaggio in Italia11. La curiosità del viaggiatore e le
casualità del viaggio potevano portare a prestare attenzione non solo ai monumenti codificati
ma anche all’architettura rurale; esisteva anzi ormai, dalla fine del Settecento, una tradizione
d’interesse nell’architettura italiana anonima. Sia nelle lettere ad Humboldt sia nell’Italienische
Reise, Goethe parlava dell’importanza dell’architettura “quotidiana”, la cui comprensione è
necessaria a capire la classicità. Più tardi, nel corso dell’Ottocento, l’interesse per l’architettura
anonima si era esteso, certamente in parte legato alle nuove istanze ‘morali’ che filtrano dalle
pagine di William Morris e John Ruskin.
Nel corso del suo viaggio in Italia (1896), Josef Hoffmann dedica molta parte del suo tempo ad
osservare e disegnare gli edifici tradizionali campani. Vi riconosce un forte richiamo visivo e vi
attribuisce una “moralità” sentimentale, basata su suggestioni di una vita di campagna immu-
tabile, al di fuori della storia, su ipotesi di assenza di speculazione intellettuale, sull’appeal
dell’affabilità e della serenità12. Pubblica alcuni di suoi disegni e queste considerazioni su una
importante rivista viennese, Der Architekt13 . Sulla scorta di alcune teorie e in particolare di quelle
di Semper, guardando la dimora rurale, specie di Paesi esotici o considerati arretrati, come
l’Italia del Sud, a quell’epoca era possibile pensare di avere davanti qualcosa che discendeva
direttamente, e senza sostanziali modificazioni nel corso dei secoli, da un’idea originaria di
architettura14. Sembrava inoltre di poter riconoscere un rapporto diretto tra bisogni (in genere
ritenuti “elementari”) e soluzione progettuale (talvolta considerata quasi “istintiva” o “spon-
tanea”), in contrasto con l’architettura accademica, il suo repertorio di stili ed il suo metodo
compositivo formalista. Non solo i principi alla base, ma anche le forme di alcune architetture
vernacolari entrarono legittimamente a far parte del repertorio della progettazione moderna.
Nella prestigiosa edizione europea delle sue opere conosciute come il Wasmuth Portfolio del
1910, Frank Lloyd Wright ha dichiarato che l’osservazione di edifici tradizionali costituiva la 11.2. Tetti e camini in Oia, Santorini, 1929. Fonte: The Bernard Rudofsky Estate, Vienna, foto Bernard
base di ogni serio studio dell’arte dell’architettura. Tra questi edifici e l’architettura (pensato Rudofsky. © Ingrid Kummer.
come arte di élite), esisteva un rapporto simile a quello che collega la fiaba e la musica popolare
con la letteratura e la musica classica15. Per Wright così come molti altri architetti, i principi moderna18; i modernisti italiani vivevano la contraddittoria esaltazione dell’architettura popolare
di base e le stesse forme dell’architettura vernacolare erano strumenti sempre più legittimi del golfo di Napoli come via che conciliasse il nuovo stile con la retorica autarchica19; i modernisti
di composizione moderna. catalani ritrovavano nell’architettura minore delle Baleari gli elementi per affermare il proprio
Rudofsky aveva letto tutte queste pagine; aveva, sin da ragazzo, una gran voglia di viaggiare: diritto a partecipare alle nuove tendenze internazionali20.
ogni estate, dal 1923, trascorreva tre mesi in giro per l’Europa; il suo primo viaggio a Sud è del Rudofsky fu attratto dalle rive del Mediterraneo, al di là del romanticismo esotista e delle moti-
1925 (Bulgaria e Turchia, Istanbul, Asia minore, mar Nero); nel 1926, nel 1927 e nel 1931 visita vazioni ideologiche, dai profumi, dal calore, dalla “verità” della vita ancora “autentica”. E fu la
l’Italia; nel 1929 torna sul mar Nero, visita Istanbul e, soprattutto, la Grecia, da Atene alle Cicladi, sua curiosità antropologica e architettonica a spingere Rudofsky al viaggio, al cambiamento di
permanendo sull’isola di Santorini, alla cui architettura tradizionale dedicherebbe la sua tesi di esperienza di vita. Nei seguenti decenni, egli scriverà pagine anche di valore teorico e meto-
dottorato, che difese nel 1931 sotto il titolo Eine primitive Betonbauweise auf den südlichen Kykladen dologico sull’arte del viaggiare, ormai decaduta a fruizione di un bene di consumo massificato,
(Un tipo primitivo di costruzione in cemento negli Cicladi del Sud)16. Dal 1932, si trasferisce in privo di emozione, di scoperta, di imprevisto21. Nei libri e nell’insegnamento Rudofsky stimolò
Italia, vivendo prima sull’isola di Capri, poi a Napoli, a Procida, a Positano e a Milano. il suo pubblico a sviluppare a healthy appetite for architecture, a farsi guardatori, goditori, così
Nel loci della tradizione letterario—di Goethe, Pierre Loti, e molti altri—Rudofsky non cercava come lui lo era e lo era stato negli anni della sua formazione, durante i viaggi mediterranei,
il mito delle origini, che eccitava la curiosità intellettuale dei moderni in quel momento, o per i quando aveva avuto l’esperienza esistenziale della rivelazione dell’essenza non accademica,
monumenti codificati nel canone accademico. Piuttosto ha voluto sperimentare in situ le cose ma felicemente domestica, dell’architettura:
da lui stesso. Egli non ha viaggiato per sviluppare una poetica creativa, ma per raccogliere Le case diroccate e i giardini di Pompei hanno esattamente nulla in comune con il sistema
immagini e storie, oggetti e costumi, in una sorta di parafrasi del sottotitolo di Adolf Loos alla cabalistico degli ordini classici22.
sua rivista Das Andere-Zur Einführung weltbürgerlicher Kultur im Abendland (Una introduzione Buona parte della riflessione di Rudofsky sull’architettura, illustrata dalla mostra Architecture
alla cultura cosmopolita nell’Occidente)17. without Architects (1964) e raccontata in The Prodigious Builders (1977) e in Streets for People
Rudofsky si trasferí sulle rive del Mediterraneo nello stesso periodo in cui gli architetti moder- (1969), analizza e dignifica ciò che chiamava “the dough, the bread”, cioè all’edilizia corrente,
nisti ne andavano scoprendo la consonanza estetica ed etica con i loro programmi: Le Corbusier che costituisce la maggior parte del tessuto urbano, sottraendo per un istante il palcoscenico
riusciva a imporre le forme dell’“ordine mediterraneo” come origine autentica dell’architettura all’edilizia formale23.

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meno con il consumismo). “Loos era un architetto”—Joseph Rykwert ha osservato—che è stato

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posseduto dalla qualità immediata della vita, in cui l’uomo ha messo i suoi spazi e camere, dalla
qualità degli odori, la qualità del tessuto, la qualità di ogni sensazione”26. Allo stesso modo,
Rudofsky fu un edonista convinto e un epicureo aristocratico, nel senso di “una minoranza di
esseri umani incontaminati con i loro menti intatti”27. Questa definizione era vicina a quella
proposta da Gio Ponti:
... La modernità è un’aristocrazia nella scelta; è l’adozione di una semplicità misurata che
si sposa alle esigenze più educate; è un atteggiamento di vivere, di pensare, di conoscere,
di giudicare28.
Tale visione è stata condivisa da molti architetti. All’inizio del secolo, Frank Lloyd Wright aveva
trovato in Italia e in Giappone tradizionale, come Rudofsky avrebbe trovato più tardi, il vero
luogo della “gioia di vivere”29. Allo stesso modo, Schindler ha dichiarato una volta, “il senso
di percezione dell’architettura non è gli occhi, ma la gioia di vivere”30. Secondo Esther McCoy,
egli considerava “il lavoro di De Stijl e del Bauhaus come espressione delle menti di un popolo
che aveva vissuto la prima guerra mondiale, vestito in uniforme, rifugiato, costretto a massima
efficienza e magro sostentamento, senza alcun pensiero per la gioia, il fascino, il calore”31. A
parere di Richard Neutra,” nessuno può esaudire i desideri di altre persone, prendersi cura di
loro, e far loro tanto bene, come qualcuno che crea l’ambiente fisico della loro attività e della
loro ricreazione “32.
Gio Ponti ha dedicato il primo numero di Domus con la sua dichiarazione poetica per la casa come
luogo di felicità33. Per quanto riguarda Josef Frank, la casa stava “per rendere felici i suoi abitanti
per la sua stessa esistenza, e portare loro il piacere in ogni sua parte”34. Frank rappresentava il
parere che i principi senza sentimento umano “creano estremi, che sono in opposizione con la
vita reale e quindi si traducono in nostra contemporanea “architettura cannibale”35. In Vers une
architecture, Le Corbusier aveva affermato che, “noi meritiamo compassione, perché viviamo
in case indegne, che rovinano la nostra salute e il nostro morale”36. Ha anche dato una serie di
prescrizioni operative, forse derivate da movimenti di riforma precedenti, e che coincidono in
parte con quelle in seguito proposte da Rudofsky 37. Dall’articolo Des yeux qui ne voient pas. II. Les
11.3. Bernard Rudofsky. Schizzo per il concetto del patio residenziale. avions (Gli occhi che non vedono. II. Gli Aeroplani), nonostante il titolo dedicato all’abitazione, la
© Interiors, Maggio 1946. Collezione privata. maggior parte dei critici ritenne solo il famigerato slogan “La casa è una macchina da abitare”
Mi pare importante ribadire che il richiamo del Mediterraneo era, per Rudofsky, essenzialmente e non la maggior parte dei suggerimenti provenienti dal Manuel de l’habitation 38 . Lo stesso
un richiamo fisico. Egli era interessato a descrivere e a condurre personalmente, una vita sana, Le Corbusier, che certamente non credeva che la nuova abitazione consistesse nella mera
psicofisicamente integra; ad esplorare le modalità dell’esistenza (Lebensweise), la cultura soddisfazione di bisogni fisici elementari, progettò insediamenti collettivi e scrisse pagine in
materiale nella sua completezza. Abbigliamento, alimentazione, e abitazione costituiscono un cui il nuovo modo di vivere resta troppo immateriale, troppo intellettuale, e vagamente poetico.
tutto inscindibile, al quale Rudofsky dedicò la propria indagine ed applicò i propri tentativi di Solo Siegfried Giedion e Rudofsky, tra i critici moderni, indagarono gli argomenti triviali della
riforma, attraverso la pratica progettuale e la divulgazione24. Quest’ultima, alle volte affettuosa, vita domestica. Giedion concentrò la sua attenzione sullo sviluppo degli impianti e sulle conse-
altre volte caustica, si fondava sulla considerazione che “we don’t know how to live”: troppo guenze da essi determinate nella vita quotidiana e nello sviluppo dell’architettura39. Rudofsky,
spesso si cade vittime di modi di fare le cose—come stare quando si mangia e quali strumenti convinto che le attività svolte da esseri umani dentro una casa non hanno nulla di meccanico,
usare per portare alla bocca il cibo, quali posture del corpo adottare nei diversi momenti della si interessò alla qualità materiale dell’esistenza40.
giornata, come vestirsi e perché… – imposti da consuetudini, da modelli pubblicitari, da norme La sostanza dell’atteggiamento rudofskiano è racchiuso in quell’efficacissimo binomio anti-
sociali irrazionali e insoddisfacenti, che andrebbero messi in discussione con spirito critico e nomico Sparta/Sybaris: l’esercizio dell’epicureismo è nondimeno scelta morale comportante
indipendente, anche comparando pratiche culturali diverse. un ordine, una regola. Qui, la concordanza con Gio Ponti è completa: “Lo stile (...) è appunto
disciplina”41.
L’abitazione come teoria e prassi
Per Rudofsky, il problema principale dell’architettura contemporanea era il concetto di residenza: La “stanza all’aperto” sul Mediterraneo
La residenza è stata, ed è tuttora, vista ... come una cosa inanimata, come [se] potesse La produzione architettonica di Rudofsky fu quantitativamente limitata, e non dimostra un
essere staccato dalla vita dei suoi occupanti25. particolare interesse per le sperimentazioni formali. I suoi edifici sono contenitori neutri per le
Come Adolf Loos, egli era interessato a capire come gli edifici erano abitati. Era anche osses- persone e le attività che prendono vita e devono essere riempiti. Per Rudofsky, la personalità di
sionato dalla qualità della vita materiale (cosa che non ha nulla a che fare con il lusso, men che una casa è espressa da variazioni intorno a un motivo e il modo di vivere dei suoi abitanti, non

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frugali maniere di vivere dei suoi abitanti un ritegno, una dignità, ed anche una ingenuità sapien-

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temente controllata.
Nella sua opera teorica ed in quella architettonica, si possono riconoscere segni molto raffi-
nati dello studio dell’architettura tradizionale mediterranea: da una parte la sublimazione di
alcuni elementi formali e costruttivi, dall’altra la formulazione, a partire da quanto appreso
nell’osservazione dell’architettura anonima, di alcuni principi compositivi. Gio Ponti lo riconobbe
schiettamente ed efficacemente: “Il Mediterraneo insegnò a Rudofsky, Rudofsky insegnò a me”42.
Il lessico modernista di ampie aperture e di volumi semplici, lisci, piani, ortogonali, per così dire
la lingua appresa da Rudofsky nel corso del periodo formativo, è ricco di tratti che restituiscono
alla dimora qualità umane di raccoglimento e di affabilità nei confronti degli abitanti. Non negano
la materialità dei muri—e quand’è necessario, come in Brasile, l’utilità dei tetti a falde—che
comprendono la ceramica dipinta a mano e le ragioni estetiche e ambientali dell’intonaco bianco,
che sanno pur nella purezza dei volumi adattarsi al sito invece che usargli violenza, che rega-
lano ampie vedute senza esporre gli abitanti a eccessi di irraggiamento solare o dispersione
termica 43. I felici dettagli delle case di Rudofsky—l’angolo di un giardino, una pergola, una
vasca per il bagno, un letto, uno stipo, un muro— sono modellati sui modi di vita e sulle attività
domestiche. Sono capaci di creare quei piccoli e placidi effetti d’intimità, caratteristici di una
possibile “architettura senza architetto”, così come la intese anche Gio Ponti.
Per quanto riguarda i principi essenziali della progettazione, con particolare riferimento all’e-
sperienza rudofskiana del Mediterraneo, intendo segnalare la sua nitida teorizzazione del
concetto di stanza come entità architettonica fondamentale. Secondo lui, la più decisiva qualità
percettiva di uno spazio architettonico è stato il suo essere racchiuso da mura. Il recinto dà
concreta dimensione all’abitazione umana e definisce il suo carattere intimo. Quegli spazi che
sono racchiusi da mura, ma privi di copertura, sono anche considerati come stanze. Quello che
conta è l’intimità. I giardini—come a Pompei e in Giappone— sono visti come stanze all’aperto,
tranquille e autosufficienti. Questo concetto le ha portato a combattere contro le grandi pareti
vetrate che esemplificano il linguaggio dell’International Style, anche se li valutavo “inspiega-
bilmente belli”44 . Nelle ville californiane di Richard Neutra, per esempio, il rapporto con la
natura è dominante; in altre parole, la natura si esibisce come sfondo filmico all’architettura45.
Allo stesso modo, la necessità di isolamento spaziale era un principio che è stato formulato da
molti maestri del moderno nelle loro case unifamiliari, ma contraddetto nei loro grandi progetti
di edilizia abitativa e nei modelli di case di produzione di massa. Per Rudofsky, tuttavia, è il
comandamento più importante che l’architetto debba osservare e realizzare.
All’esplorazione e alla promozione del tema “stanza all’aperto” Rudofsky dedicò uno dei suoi
più argomentati ed estesi articoli, uno dei primi della sua attività americana 46. La centralità
dei principi della privacy e della “stanza all’aperto” è testimoniata da molte opere rudofskiane,
dall’atrium della casa a Procida, passando per i patii delle ville brasiliane, e soprattutto il giardino
per l’artista emigrato italiano e scultore Costantino Nivola ad Amagansett, New York, che gli
darà l’occasione di scrivere una delle sue più belle pagine47. Tali principi derivano certamente,
in parte, dallo studio dell’architettura domestica mediterranea ma anche da sperimentazioni
11.4. Bernard Rudofsky. Piano terreno, sezione e prospettiva della casa per il dottore Berta a Procida,
progettuali che si andavano realizzando all’epoca48.
1938. © Domus 123, marzo 1938. Nel periodo della sua collaborazione con la rivista Domus (1938), Rudofsky pubblica alcuni
aforismi sul tema “stanza all’aperto”, ed esempi di case a patio tratti dal libro di Guido Harbers 49.
per originalità formale. In parallelo, l’esempio della codifica giapponese di gesti gli ha permesso In uno dei suoi disegni più caratteristici, uno schizzo usato come un editoriale in Domus, Rudofsky
di sviluppare la sua teoria di un purismo architettonico minimalista di un timbro monastico. Per raffigurò un giardino, circondato da alte mura e presentato come un salotto—anche il pianoforte
lui, quando gli occupanti non devono concentrare la loro energia in architettura—sia in forma è presente. Per lui, queste stanze all’aperto—piccole e definite in tre dimensioni—possiedono,
di sforzo creativo o di distrazione visiva—allora possono dedicarsi alla intensità della loro vita. al di là di loro evidenti vantaggi, “meriti immateriali e inestimabili”. Ha sottolineato, “la parola
L’impossibilità di fingere—in un progetto architettonico moderno—un’innocenza primordiale persiana Paradiso significa un giardino di divertimento circondato da mura”50. Questo concetto
non esclude tuttavia la possibilità, per Rudofsky, di assumere dall’architettura minore e dalle contiene per Rudofsky l’intera idea della casa.

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11.5. Bernard Rudofsky e Gio Ponti. Albergo San Michele, non realizzato, Anacapri, ca. 1938. © Archivio
Gio Ponti, Centro Studi e Archivio della Communicazione, Università di Parma.
11.6. Bernard Rudofsky e Gio Ponti. Prospettiva della Stanza della Parete nera, e pianta delle due Stanze
degli angeli. Albergo San Michele, non realizzato, Anacapri, ca. 1938. © Archivio Gio Ponti, Centro Studi e
Archivio della Communicazione, Università di Parma.
11.7-8. Gio Ponti. Villa ideale di vacanze, 1939. © Stile 8, August 1941.

Secondo la Poétique de l’espace (La poetica dello spazio) di Gaston Bachelard (1957), la casa è,
nella sua intimità, la perfetta espressione del carattere, il luogo che può rivelare la pienezza
dell’”essere”; dà luogo a sensazioni fisiche ed erotiche51. Invece di creare una casa-modello
che avrebbe presentata come l’ennesima, megalomaniaca “soluzione definitiva”, Rudofsky ha
cercato il suo cammino proprio. Ha deciso di pubblicare il suo ricco bagaglio di esperienza e di
scoperta, al fine di consentire al pubblico di usarlo e sfruttarlo a piacimento. Il suo ordine del
giorno era quello di estrarre l’architettura fuori dei territori della teoria, facilmente dominati da
iniziati, per renderla umana e di posizionarla a livello della vita reale. Come ha scritto Giancarlo
De Carlo, “l’architettura è troppo importante per essere lasciata agli architetti”52.

Case in Napoli e nel Brasile


Vero e proprio manifesto di Rudofsky sulla dimora fu il progetto per la propria casa sull’isola di
Procida, pubblicata in Domus nel 193853. I piani sono stati concepiti negli anni 1934-1935 durante
la sua ricerca di architettura vernacolare napoletana, quando ha scoperto a Procida il luogo
segnato dal suo destino54. Tuttavia, come l’autorità militare impedì la costruzione sull’isola, la
casa è stata inevitabilmente riclassata al rango di un punto di partenza del suo discorso teorico
e anche nelle modalità di presentarlo al pubblico—come una “pietra di paragone teorica”55.
L’edificio è collocato in un luogo elevato dell’isola; domina, verso sud-est, il paesaggio marino;
05 è però racchiuso da un muro di cinta, che assume quasi il valore di muro perimetrale dell’abi-
tazione. Verso il centro del lotto si trova l’edificio principale, quadrato; le stanze sono disposte

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sione negli anni Trenta per descrivere progetti di interior design da architetti austriaci come

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Hoffmann, Frank, Wlach, Strnad, e Haerdtl. L’aspetto vernacolare è dovuto a più cause concomi-
tanti: il gran parlare che si andava facendo, da circa vent’anni ormai, dell’”architettura caprese”,
anche per via degli sforzi di preservazione di Edwin Cerio62; l’idillio allora in voga in Italia tra il
moderno et il Mediterraneo; la passione rudofskiana per l’architettura “spontanea”; ed anche
l’autarchia (d’altronde, perché usare cemento armato per casette di uno, due piani?) che dominò
la politica italiana dopo il 1936. La solidità dei muri, la curvatura delle volte sono dunque strut-
turali, climatiche, tradizionali e poetiche ad un tempo. E la vita degli ospiti dell’albergo sarebbe

a C intorno ad un patio centrale, anch’esso quadrato; il quarto lato, coperto, è tuttavia aperto
a rendere comunicanti il patio col giardino attorno. Un altro piccolo edificio, al margine sud
del lotto, quasi sulla scogliera, è un “triclinio d’estate”. L’edificio principale è semplicissimo:
tetto piano, nessuna scala (viene anzi rifiutato il modello di casa unifamiliare a più piani), quasi
nessuna finestra (le aperture sono per lo più portefinestre), nessun corridoio. I vani sono
collegati in una sequenza anulare. Le stanze hanno pochi mobili, ciò nondimeno rispondono in
maniera rigorosa a modalità inusuale di espletare funzioni dell’abitare. La stanza per dormire,
ad esempio, non ha alcun mobile ed ha, invece, un pavimento costituito interamente di materassi;
il suo volume cubico è reso più raccolto da una zanzariera che pende da un punto centrale del
soffitto. La stanza per il bagno è totalmente spoglia, con solo una vasca incavata nel pavimento
(le funzioni corporali solitamente associate alla stanza da bagno sono ospitate in una stanza
adiacente). Il pavimento del patio è indicato, a seconda delle versioni, in piastrelle oppure a prato.
Evocazioni classicheggianti, nei disegni che illustrano l’articolo oltre che nella forma ad atrio
romano-italico, si accompagnano alla radicalità del modo in cui questa casa va abitata, in cui
Rudofsky esprime tutto il suo distacco dalle consuetudini del tempo. Rudofsky dà indicazioni
anche su quale abbigliamento è indicato per consentire al corpo le posture appropriate56. Attilio
Podestà ha scritto che, in questo progetto, Rudofsky mostra “una posizione spirituale che
intende la moralità dell’edificio come un prodotto spontaneo del cuore e dello spirito”57. Ha
anche osservato uno degli aspetti più belli della sua architettura, “le varie tonalità di bianco
sulle pareti in intonaco che creano una policromia infinitamente ricca e in continua evoluzione”58.
Diverse le circostanze nelle quali è nato il progetto dell’albergo San Michele ad Anacapri, anche
questo non costruito: si tratta di un incarico commissionato a Gio Ponti, che Rudofsky aveva
conosciuto probabilmente nel 1934 e del quale era divenuto associato alla fine del 193759. Il sito
è molto elevato, sul margine di un’alta scogliera, sulla costa settentrionale dell’isola di Capri, a
poca distanza dalla Villa San Michele di Axel Munthe. La soluzione adottata è un’”architettura-
villaggio”60. Ogni stanza è una casetta (alle volte sono accoppiate); la zona dei servizi generali
è come un centro urbano intorno alla sua piazza. Ogni stanza era contraddistinta da un nome,
11.9. Bernard Rudofsky and Luigi Cosenza. Fotomontaggio del plastico e piante, Villa Campanella, con
richiamante una decorazione o una caratteristica fisica di ciascuna casetta61.
costruita, Positano, ca. 1938. © Domus 109, 1937.
Nella purezza di questo progetto quasi spontaneo, si può scorgere un possibile “architettura
11.10. Bernard Rudofsky e Luigi Cosenza. Vista delle terrazze, Casa Oro, Naples, 1935-37. © Research
senza architetto”, come Gio Ponti la promuoveva in quegli anni—Domus faceva uso di tale espres-
Library, The Getty Research Institute, Los Angeles.

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11.11. Bernard Rudofsky e Luigi Cosenza. Fotografie, Villa Oro, Napoli, 1935-37. © Domus 120, 1937. 11.13. Bernard Rudofsky. Sezione prospettiva della Casa Frontini, São Paulo, Brasile, c. 1939-1941.
11.12. Bernard Rudofsky e Luigi Cosenza. Piante, Villa Oro, Napoli, 1935-37. © Domus 120, 1937. © Ingrid Kummer. The Bernard Rudofsky Estate, Vienna.
11.14. Bernard Rudofsky. Pianta e sezione della Casa Frontini, São Paulo, Brasile, c. 1939-1941. © Ingrid
stata certo amena in queste casette: il confort era studiato, con innumerevoli varianti, in modo Kummer. The Bernard Rudofsky Estate, Vienna.
da garantire a ciascuna di esse quella vita sana e rigenerante, che dovrebbe essere il fine non
solo dell’architettura per lo svago ma, a maggior ragione, di quella residenziale. Ed ecco, qui, con la riduzione ad unità abitative minime degli alberghi. Domus (cioè Gio Ponti) vi riconosce
riemergere—stravaganze permesse dall’eccentricità di Capri e dal trattarsi d’un albergo—le “non esibizioni edilizie borghesi (il famigerato villino), ma una onesta dimora per la pura e
vasche (“fresca acquea grotta nella casa”) grandi e scavate nel pavimento, separate dai cessi; beata evasione dalle preoccupazioni cittadine”, “senza idee polemiche e senza utopie”65. La
i letti e le scale in muratura, queste ultime con le alzate in ceramica dipinta; gli affacci interni; casa è progettata su uno scoglio, ed è costituita da due volumi, di cui uno rivestito d’intonaco
il guardaroba all’ingresso dove gli ospiti, arrivando, dovrebbero lasciare in un ripostiglio tutti di cemento, mentre nell’altro la struttura muraria in pietra calcarea è lasciata a vista. È un
i loro indumenti, per trovarne altri disegnati dagli architetti63. repertorio minimale di spazi in grado di offrire riparo: c’è “l’alloggio coperto”, stanza racchiusa
Un esempio minimo di casa al mare è quella progettata presso Positano—forse per il costrut- da muri, completa di copertura e di porta chiudibile; ci sono stanze (l’area dell’entrata e del
tore edile Campanella— non realizzata ma pubblicata ampiamente su Domus nel 193764 . In focolare al piano di sotto, la “stanza all’aperto” di soggiorno al piano di sopra) con un guscio
questo progetto si mescolano alcuni elementi della domesticità radicale della casa a Procida perimetrale incompleto; c’è, infine, la stanza principale il cui involucro, percettivamente deter-

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minato dai volumi delle altre stanze, dalla copertura piana (forata per consentire lo sviluppo di Entrambe le case hanno ricevuto il plauso entusiasta. Philip L. Goodwin ha scritto, per

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un fico e di una magnolia) e da una parete fondale (unico elemento di sicuro ancoraggio), si riduce esempio, che sono “luoghi di vita per persone sicure di loro stesse da formazione ed espe-
ad una sorta di portico che simboleggia il riparo, che offre ombra e da cui si gode della vista rienza, progettati da uno che ha compreso bene sia loro che il suo lavoro”69. E continuò:
del mare. Inutile dire che—indipendentemente dal grado di protezione e di facilità di accesso Non esiste un esempio tan omogeneo e riuscito della casa-giardino moderna nelle
dall’esterno—tutti gli ambienti della casa sono trattati con eguale spartana cura, in termini di Americhe ... Durante i tre anni di lavoro di architettura in Brasile, Rudofsky costruì alcune
scelta di materiali (pietra calcarea o lavica, ceramica di Vietri), di affabilità degli arredi e delle case, considerate come le migliori del continente americano70.
attrezzature (il caminetto, la doccia all’aperto). Anche se Rudofsky postulò l’interpretazione dell’architettura come ricettacolo per la vita, le
Se nessuno dei progetti descritti sinora è stato realizzato, lo è stata però la Villa Oro, a Napoli sue soluzioni in piano sono rimasti molto lontani da un’estetica organica dell’abitazione come
Mergellina in collaborazione con Luigi Cosenza. Il terreno edificabile era stretto, discosceso, a involucro: il mio parere è che intendeva la vita come organica, e l’architettura come inorga-
picco: ne nacque una casa in rapporto diretto quasi solo col mare, largo all’orizzonte, e perfet- nica. Dal punto di vista della composizione, la sua opera architettonica si accorda allo stile
tamente esposta, sì da prendere il sole tutto il giorno. Nella forma volumetrica, la casa era già dei moderni, senza particolare originalità. Essa si manifesta in volumi semplici, chiaramente
risolta dal 1935: ma se ne poté intraprendere la costruzione solo dopo il termine della guerra delineati, e cartesiani. Nel corso della sua carriera Rudofsky ha avuto un numero limitato di
d’Etiopia un anno dopo. Rudofsky, tornato apposta dagli Stati Uniti, dove si era recato qualche occasioni per progettare edifici. Forse per questo motivo rimase incrollabile nell’uso delle
mese prima, riprese la progettazione nella seconda metà di quell’anno. Il cantiere fu diretto forme architettoniche che hanno caratterizzato le sue opere degli anni 1930 e 1940.
da Cosenza; entro il 1937 la casa era terminata 66. Qui non c’è quasi nulla del Rudofsky rivo- Inoltre, si deve purtroppo riconoscere che, con l’eccezione della casa di Procida (1935), le sue
luzionario, dei modi di vita originali: solo un mirabile incastro di spazi—di servizio, padronali, proposte di riforma dell’ambiente domestico non hanno prodotto risultati, nemmeno nei propri
per ospiti—su terrazze sostenute da muri di tufo. È solo una casa borghese, coraggiosamente edifici. Le sue idee si sono rivelate troppo radicali da imporre sui suoi clienti occasionali in
modernista: cubi bianchi e netti, parapetti di tondino, in linee orizzontali, come allora in voga; Italia, in Brasile e poi negli Stati Uniti. Questo appare come un fallimento per qualcuno che
una serie di giardini e terrazze, alcuni nascosti, alcuni esibiti in mano al sole, sono ricavati dalla aveva più volte dichiarato che “non abbiamo bisogno di un nuovo modo di costruzione, abbiamo
pendenza con la caparbietà di un viticoltore. I volumi, quasi uno per ogni stanza, dimostrano bisogno di un nuovo modo di vita” 71.
l’attento studio della dimora vernacola; seguono con pazienza e lievità la curvatura del lotto,
e le due convergenti pendenze del terreno. La strada panoramica a monte è ripresa dal profilo La modernità di Rudofsky
dei tetti con una fedeltà in cui si coglie tutto l’amore per le cose così come sono date, senza Rudofsky era distante da molti architetti modernisti prima di tutto perché non poteva credere
l’arroganza di volerle cambiare. La casa ha a ovest tre piani, ad est due: e ciò avviene quasi in una soluzione definitiva della questione della casa derivante da un approccio illuministi-
impercettibilmente, con un gioco di dislivelli continui. co-positivistico, cioè dalla fede nella costanza dei bisogni umani. Dichiarare immutabili nel
La più intima delle stanze di soggiorno, al piano più basso, s’affaccia da una larga finestra tempo l’animo umano e i suoi “bisogni” è il prerequisito per l’omogeneizzazione planetaria
tagliata nella parete di tufo: il pavimento è una mappa dell’intero golfo, da Licola alla penisola dello “stile internazionale”; come risulta evidente dalla convinzione di Gropius che l’univer-
sorrentina, con Capri, Ischia, Procida, dipinta da Rudofsky su piastrelle di ceramica di Vietri, salità dell’Existenzminimum sia giustificata dalla “imminente perequazione dei requisiti di
nel suo stile naïf. vita sotto l’influenza del viaggio e del commercio mondiale” 72.
Nel dicembre del 1938, Bernard Rudofsky se recò a San Paolo a lavorare in una galleria d’arte, Almeno fino agli anni Quaranta, mi sembra che Rudofsky conservasse fiducia nella possibilità
fondata e diretta dall’immigrato tedesco, Theodor Heuberger. Tra il 1939 e il 1940, progettò che una moderna rivoluzione del lifestyle passasse anche attraverso la figura dell’archi-
per gli europei emigrati in Brasile, la Casa Hollenstein in Minais Gerais, e le Case Frontini e tetto, “advocate of a better life” 73. Tuttavia, dagli articoli scritti negli anni Trenta per Domus,
Arnstein a San Paolo, e tre case non costruite. Le due case costruite a San Paolo sono state sono evidenti le critiche agli architetti che impongono le proprie scelte all’abitante e che non
particolarmente rilevanti per il loro trattamento della sfera privata, il rispetto illimitato per mettono radicalmente in questione i presupposti che stanno alla base di pratiche consolidate.
una vita condotta in modo semplice, e lo sfruttamento intelligente delle possibilità che sia il Mi pare che la speranza che alcuni principi etici della modernità informassero l’impegno dei
clima locale e la vegetazione offra. Eppure, per i suoi clienti brasiliani, ha solo parzialmente progettisti venisse definitivamente delusa negli anni Cinquanta. Con i suoi libri Are Clothes
implementato le sue teorie. Le stanze finirono piuttosto convenzionali, e l’architetto focalizzò la Modern? (1947) e Behind the Picture Window (1955), Rudofsky avvia una critica—poi diventata
sua attenzione sui giardini che dispose come spazi civili per una vita raffinata. Come ha scritto asperrima in Streets for People: A Primer for Americans (1969)—delle responsabilità della
Lisa Ponti, i suoi progetti brasiliani erano principalmente dedicati “per fornire ai residenti una professione architettonica nella perdita di qualità dell’abitare domestico e dello spazio
vita deliziosa nelle più piccole cose”67. pubblico74 .
La Casa Arnstein (1939-1941) si distinse con l’articolazione sapiente dei giardini; in pratica, ogni Secondo Rudofsky il principale problema della cultura architettonica contemporanea è che
camera ha il suo omologo all’aperto. Una particolare attenzione è stata data ai colori dei fiori “la residenza è stata, ed è tuttora, vista ... come una cosa inanimata, come [se] potesse essere
durante le quattro stagioni, nonché alla selezione di alberi fatta per attirare le farfalle e colibrì. staccata dalla vita dei suoi occupanti”75. Gli architetti hanno accettato, sottoscritto e promosso
Al contrario, la Casa Frontini (1939-1941) è circondata da un giardino unico, ma possiede una l’interesse degli speculatori immobiliari, dimenticando quello che avrebbe dovuto essere
corte interna pavimentata e arredata. L’intera casa circonda il cortile, con una galleria allegra- l’oggetto principale delle loro preoccupazioni: il benessere dell’abitante.
mente ritmica. In accordo con la sua teoria, Rudofsky non elaborò una vera e propria facciata; La casa come macchina per vivere dovrebbe essere gestita da un detenuto più prevedibile,
decise di creare edifici “senza l’abito esterno a cui la nostra civiltà attribuisce tanta importanza più affidabile di quanto l’uomo ... Assumendo che in futuro saremo in grado di vivere la vita di
esagerata; l’architettura è solo un guscio per il suo proprietario ... è appena percettibile nella esseri umani, la casa dell’uomo dovrà diventare ancora una volta uno strumento per vivere,
sua discrezione”68. invece di essere una macchina per vivere76.

366 367
Pertanto, specie negli ultimi decenni, Rudofsky cercava, attraverso le mostre e i libri, un ha rappresentato la prima fase della storia dell’architettura. E ‘stata fondamentale ma fino

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contatto diretto col pubblico, dando suggerimenti per il miglioramento della vita materiale. ad allora trascurata. Così non poteva essere giudicata con criteri accademici:
Egli era cosciente che “al termine del lungo processo storico di riduzione dell’abitare a una Il vernacolo è molto più di uno stile; si tratta di un codice di buone maniere che non ha
singola funzione, (...) il pubblico si compiace in un consumo di simboli ove scompare comple- parallelo nel mondo urbano. E ‘il frutto di un genio inconscio ... libero dalla isteria dei
tamente l’atto di abitare”77. Ma continuava ad auspicare che la soluzione passasse attraverso progettisti 81.
la presa di coscienza e l’attivazione degli abitanti: Egli ha sottolineato il suo prezioso senso comune di affrontare i problemi pratici, e la sua
Raramente mi rivolgo a un pubblico di architetti, se non altro perché io li considero una comprensione dei limiti insiti nella natura e architettura stessa. Egli ha sostenuto che lo
razza senza speranza, e una minaccia per l’umanità. Io preferisco parlare con profani, studio della lingua volgare ci potrebbe liberarci dal mondo angusto dell’architettura formale
invece, poiché è da loro che ogni riorientamento nel campo dell’architettura deve venire78. e commerciale, che è stato sempre più omogenea e monotona. Questo repertorio è stato
La forse solo provocatoria conclusione di Rudofsky permette di paragonarlo alla critica radi- l’alimentazione più ricca e più pura di ispirazione per la gente dell’era industriale, ed era
cale delle “disabling professions” di Ivan Illich: niente di più distante dalla figura dell’architetto ricca di soluzioni tecniche.
come progettista globale, demiurgo della felicità della vita altrui, tecnico ed artista, così come Rudofsky, come Giuseppe Pagano in Italia, ha avuto lo stesso punto di partenza: l’idea di una
propagandata dagli architetti moderni79. “onesta architettura rurale”82, “libera da ogni moda, piena di una bellezza modesta e anonima,
Un altro punto focale del rapporto tra Rudofsky ed il Moderno è costituita dalla sua ricerca— [che] ci insegna come conquistare il tempo e superare le varianti decorative e stilistiche del
estesa lungo l’intero arco della sua esistenza—sull’architettura popolare. Già nel 1931, aveva passato”83. È interessante notare che questa predisposizione teorica potrebbe anche essere
esposto le sue fotografie di architettura spontanea, per lo più presi a Santorini, nella sezione trovata nel famoso saggio di Adolf Loos, Architektur:
austriaca del Deutsche Bauaustellung Berlino. Lo stesso anno, espone ventisei acquerelli La fattoria è, contrariamente alla casa dell’architetto, un lavoro di natura, non di uomini.
alla Wiener Künstlerhaus. Venti anni dopo, il punto di maggiore celebrità di questa ricerca È bella, come fanno gli animali che si lasciano guidare dal loro istinto ... Sì, è bella, come
fu la mostra Architecture without Architects, già suggerita nel 1941 e che venne esposta nel sono belli la rosa o il cardo, il cavallo e la mucca 84 .
1964 nel tempio dove era stato consacrato l’International Style. La mostra ebbe un successo La sensibilità di Rudofsky verso l’architettura vernacolare è anche paragonabile all’apprez-
straordinario, venendo esposta in ottantaquattro luoghi diversi circolando per dodici anni zamento di Le Corbusier per l’architettura esotica che ha incontrato in Italia, Turchia, Grecia,
consecutivi, probabilmente “the longest-running project in the MoMA’s Department of Archi- Spagna e Algeria, o di edifici rurali in villaggi come Vézelay. Come i suoi predecessori e
tecture and Design”; il libro che accompagnava la mostra, tradotto in sette lingue, vendette, Rudofsky stesso nei suoi testi seguenti, Le Corbusier riconosceva in ciascuna di queste case,
solo negli Stati Uniti, 100.000 copie nei primi 20 anni ed è ancora in stampa 80. costruite da “uomini in sintonia con i fondamentali”, “un centro di felicità, di serenità ... fondata
sulla solida roccia della verità fondamentale”. Le loro soluzioni architettoniche “sono pieni
Architettura senza architetti di vita, intelligenti, economici, costruttivi, e scrupolosi; sono amabili e cortesi; architettoni-
Si sono ormai spenti gli echi delle reazioni, anche veementi (Architecture without Architects camente parlando, sono cortesi vicini di casa”85.
venne definita “truly subversive” da Progressive Architecture), alla “critica implicita” dell’archi- Rudofsky parlò poco dei protagonisti dell’architettura moderna e quando lo fece, a partire dagli
tettura moderna che la mostra di Rudofsky conteneva. Per Rudofsky, l’architettura vernacolare anni Settanta, non fu generalmente in termini molto lusinghieri. Con pochi di loro conservò
un reciproco rapporto di stima, tra quelli, Ponti, Belluschi, Chermayeff e Le Corbusier, da cui
era lontanissimo nell’esibizionismo, ma a cui era legato da sensibilità e idee comuni:
I profeti e pionieri dell’architettura moderna, le cui dottrine andarono incontrastate per
anni, erano quasi sempre uomini di mente parrocchiale e restii ad avventurarsi oltre il
loro tavolo da disegno. Il loro scopo principale era quello di omogeneizzare il mondo
dell’architettura imprimendo su di essa un insulso ‘stile internazionale’. Innamorati di
meccanizzazione, dediti al spreco, hanno considerato le nazioni che dipendevano principal-
mente sull’utilizzo del sole, del vento e acqua-energia come irrimediabilmente primitive
… Un estate, la curiosità mi ha portato a Weimar, dove la prima mostra del Bauhaus aveva
appena aperto. Questa era la mia prima premonizione del vento male che era a soffiare
sul campo dell’architettura. Weimar, e più tardi Dessau, ho scoperto, aveva tutto il fascino
di un riformatorio per minorenni.
Al contrario, i primi scritti di Le Corbusier e i suoi primi edifici sono stati una rivelazione
per me. La sua eleganza latina del ragionamento e la sua raffinatezza nativa hanno fatto
sembrare noiose le dichiarazioni pesanti dei suoi colleghi teutonici. Inoltre, lui era pittore
e scultore, e ha molto ammirato le case liberamente modellate delle isole greche e città
del Nord Africa 86.
In Architecture without Architects e nel successivo The Prodigious Builders, Rudofsky denunciò
un impoverimento dell’architettura, derivante dalla riduzione della diversità culturale, del
tutto paragonabile alle critiche espresse da Claude Lévi-Strauss sin da Tristes tropiques 87.
11.15. Bernard Rudofsky. Pagine da Architecture Without Architects, New York, MOMA, 1964.

368 369
Rudofsky e Lévi-Strauss perseguirono gli stessi obiettivi—dimostrare la ricchezza culturale logicamente piacevole, sano e quindi ecologico. La posizione di Rudofsky fu, insomma, in bilico

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del mondo, “percorrere la strada più lunga” per tornare alle origini e riscoprire l’umanità 88. tra modernità e anti-modernità. Queste due tendenze convissero in lui, non senza che lui fosse
Entrambi teorizzarono l’impiego di elementi di culture straniere per il rinnovo del decoro segnato profondamente da questa contraddizione. Egli non avrebbe mai seguito molte delle
occidentale. L’analisi comparativa delle varie esperienze culturali, che riconosce l’adozione tendenze che lui stesso aveva contribuito, forse inconsapevolmente, ad alimentare, e che si
critica e l’adattamento di principi stranieri, pratiche e oggetti, era dunque alla base del libro rivelarono tutte più deboli ed effimere della mitologia del Movimento Moderno.
di Rudofsky Behind the Picture Window (1955), e le mostre successive Now I Lay Me Down to Eat
(1980) e Sparta / Sybaris (1987), con i loro cataloghi omonimi 89.
Nonostante questi importanti meriti, è già stato fatto notare da più parti, e con dettaglio di
argomentazioni da Paul Oliver, che l’approccio di Rudofsky nei confronti dell’architettura
vernacolare era metodologicamente lacunoso (per mancanza di contestualizzazione storica
e culturale) e risente delle categorie interpretative idealistiche e pregiudiziali del libero,
dell’anonimo, del collettivo, dell’atemporale. In Architecture without Architects (non così,
però, in The Prodigious Builders) la lettura delle affascinanti architetture “spontanee” è quasi
sempre formale ed estetizzante e, curiosamente per uno come Rudofsky che contemporane-
amente dedicava tanta attenzione allo studio dell’abitare domestico, sono presentate quasi
esclusivamente fotografie di esterni.
Rudofsky si preoccupò di precisare—specie considerandone l’inatteso successo—che l’Ar-
chitecture without Architects non era proposta come l’apoteosi dell’arte architettonica e che la
polemicità della sua ricerca andava riferita al dibattito culturale del tempo e andava assunta
per il suo valore critico. Certamente Rudofsky non aveva alcuna intenzione prescrittiva.
Tuttavia, vuoi per i toni talvolta dogmatici delle affermazioni di Architecture without Archi-
tects e di Streets for People, vuoi perché i tempi erano maturi per sferrare l’attacco finale a
quanto rimaneva ancora dell’establishment culturale dell’architettura moderna (nel 1966
vedrà la luce Complexity and Contradiction di Robert Venturi) Rudofsky diventò uno degli eroi
dell’antimodernismo, fornendo, più o meno intenzionalmente, appigli teorici per lo sviluppo
di approcci caratterizzati dall’attenzione per l’ambiente, dalla mimesi del lessico compositivo
vernacolo, dalla cura del benessere psicologico dell’abitante, dalla centralità della collettività
e della comunità locale, dall’autocostruzione, o che semplicemente desideravano allontanarsi
radicalmente dalle forme dell’architettura tardo-modernista90.
Inoltre, com’era accaduto—specie nella Parigi d’inizio Novecento—con l’interessamento
di etnografi ed artisti per l’arte primitiva91, l’opera di Rudofsky contribuì all’ampliamento
del campo della storia dell’architettura92, nel senso che dopo Architecture without Architects
incominciò ad essere meno facile dare per scontato che l’architettura è il prodotto del lavoro
di progettisti di professione (architetti “pedigreed”, come avrebbe detto Rudofsky), e che la
storia dell’architettura debba dedicarsi esclusivamente agli edifici “che ospitavano i principali
attori nella storia formale”93.
L’imparzialità con cui Rudofsky affiancava aquiloni e tende nomadi, habitat dei termiti e colom-
baie, cimiteri e abitazioni rupestri, potrebbe scioccare le persone fredde e razionali che
difendono un vero metodo scientifico. Eppure, cioè non ha modificato la validità e la libertà
del confronto, di cui era intimamente convinto e con cui ha principalmente cercato di discutere
questioni generali e profonde di architettura. La ricchezza di materiale che ha presentato nelle
sue mostre intendeva, prima e per tutto, stimolare l’immaginazione del visitatore. Leggendo
Streets for People—un libro che incitò un’intera generazione a lottare per i diritti umani pedo-
nali e le città—Gio Ponti, per esempio, ha invitato i suoi lettori a diventare “amici, amanti e
connaisseurs” dell’architettura94 .
In conclusione, si deve riconoscere l’influenza di Rudofsky su un’intera generazione di architetti
che hanno utilizzato Architecture without Architects e i suoi altri libri come un’opportunità per sfug-
gire al formalismo dei Moderni. Anche se non può essere considerato un vero e proprio precursore
di una teoria come il regionalismo, di certo era un combattente presto verso un ambiente psico-
11.16. Bernard Rudofsky. Casa a Procida, ca. 1935. © Domus 123, March 1938.

370 371
1
“Dal punto di vista della principale corrente dell’architettura moderna, le tendenze viennesi Rudofsky, Streets for People: A Primer for Americans, Garden City, N.Y., Doubleday & Co, 1969.

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erano precursorie e marginali allo stesso tempo”: Da Hermann Czech, “Introduzione”, in Josef 24
William Morris, Paul Schultze-Naumburg, Adolf Loos, Rudolf Steiner e Bruno Taut erano illu-
Frank, Architettura come simbolo, Bologna, Zanichelli, 1986. stri precedenti di un’attenzione estesa dall’architettura ad altri aspetti della vita materiale (e,
0
Si veda Andrea Bocco-Guarneri, Bernard Rudofsky: A Humane Designer, Wien/New York, Springer, per Steiner, non solo di quella). Sappiamo che Rudofsky aveva letto e apprezzato le loro opere.
2003; e Architekturzentrum Wien (a cura di), Lessons from Bernard Rudofsky: Life as a Voyage, Sappiamo inoltre che Rudofsky, forse anche grazie a contatti avuti durante il periodo berlinese,
Basel/Boston, Birkhäuser, 2007. aveva assimilato le lezioni del movimento della Riforma della vita, attivo specie in Germania
3
In relazione a Otto Rudolph Salvisberg, si veda Claude Lichtenstein, Otto Rudolph Salvisberg, die all’inizio del secolo nei campi dell’esercizio fisico e della cura del corpo, dell’alimentazione, dell’ab-
andere Moderne, Zürich, Gta Verlag, 1985. bigliamento, dell’abitazione. Le sue maggiori opere in questo campo sono Bernard Rudofsky, Are
4
Lisa Licitra Ponti, Gio Ponti. L’opera, Milano, Leonardo, 1990, p. 47. Clothes Modern?: An essay on contemporary apparel, Chicago: P. Theobald, 1947); il libro Bernard
5
La rivista fondata e diretta da Adolf Loos, di cui apparvero solo due numeri nel 1903, s’intitolava Rudofsky, Behind the Picture Window, New York: Oxford University Press, 1955.
significativamente Das Andere: Ein Blatt zur Einfuehrung abendlandischer Kultur in Oesterreich. I 25
Bernard Rudofsky, “Notes on Patios,” in New Pencil Points XXIV, June 1943, pp. 46 [44-47].
testi ivi pubblicati furono poi raccolti in Adolf Loos, Trotzdem, Innsbruck, Brenner-Verlag, 1931. 26
Joseph Rykwert, Introduzione a Adolf Loos, Ins Leere Gesprochen, Wien-München, Herold,
6
Josef Frank, Architettura come simbolo, op. cit. 1960, p. xxviii.
7
Pensatori apocalittici come Huizinga e Mumford, critici radicali della modernità come Morris 27
Bernard Rudofsky, Are Clothes Modern?, p. 230.
avevano costituito punti forti della formazione e dello sviluppo delle idee di Rudofsky. 28
Gio Ponti, “Falsi e giusti concetti nella casa”, in Domus 123, March 1938, p. 1.
8
Claudio Magris, Danubio, Milano, Garzanti, 1986, p. 220. 29
Frank Lloyd Wright, Ausgeführte Bauten und Entwürfe, Berlin, Wasmuth, 1910, p. 2.
9
Bernard Rudofsky, Behind the Picture Window, New York, Oxford University Press, 1955, p. 7. 30
Citato in Esther McCoy, Five California Architects, New York, Reinhold, 1960, p. 149.
10
Bernard Rudofsky, “Introduzione al Giappone,” I, 4 del manoscritto inglese pubblicato in italiano 31
Esther McCoy, p. 153.
in Domus 319, June 1956, p. 45-49. 32
Richard Neutra, Introduzione a Esther McCoy, Richard Neutra, Milano, Il Saggiatore, 1961, p. 13.
11
Cesare De Seta, “L’Italia nello specchio del Grand Tour”, in Cesare De Seta (a cura di), Annali 33
Gio Ponti, “La casa all’italiana,” Domus 1, 1928, p. 1.
5 - Il paesaggio, Storia d’Italia, Torino, Einaudi, 1982; e Fernand Braudel, “L’Italia fuori d’Italia: due 34
Josef Frank, Architektur als Symbol, p. 174.
secoli e tre Italie”, in Storia d’Italia vol. II tomo II, Torino: Einaudi, 1974. 35
Ibid., p. 113.
12
Eduard Sekler, Josef Hoffmann: The Architectural Work, Princeton (NJ): Princeton University 36
Le Corbusier, Vers une architecture, Paris, Crès, 1923, p. 6.
Press, 1985. 37
Si veda Marco De Michelis, “La casa della riforma della vita” in Georges Teyssot (a cura di), Il
13
Josef Hoffmann, “Architektonisches von der Insel Capri”, Der Architekt, Jhg. III, 1897, p. 13. progetto domestico. La casa dell’uomo: archetipi e prototipi, Milano, Triennale di Milano/Electa, 1986.
14
Si veda Joseph Rykwert, La casa di Adam in Paradiso, Milano, Adelphi, 1991. 38
Le Corbusier-Saugnier (Le Corbusier and Amédée Ozenfant), “Manuel de l’habitation,” sezione
15
Frank Lloyd Wright, Ausgeführte Bauten und Entwürfen von Frank Lloyd Wright, Berlin, Wasmuth, 1910. dell’articolo “Des yeux qui ne voient pas… II: Les Avions,” in L’esprit Nouveau 9, June 1921, senza
16
Durante questi viaggi, Rudofsky realizza alcune fotografie e molti acquerelli. Esposti le une a paginazione.
Berlino nel 1931 (informazione derivante da note autobiografiche che non è stato possibile veri- 39
Sigfried Giedion, Mechanization Takes Command, New York, Oxford University Press, 1948.
ficare), gli altri a Vienna nel 1931 ed a São Paulo nel 1939, sono oggi conservati presso il Getty 40
Bernard Rudofsky, Behind the Picture Window, New York, Oxford University Press, 1955.
Research Institute, Los Angeles. 41
Gio Ponti, “Verso funzioni nuove”, Domus, n° 82, ottobre 1934, p. 3.
17
Si veda nota # 5. 42
Aria d’Italia, numero monografico titolato “Espressione di Gio Ponti”, Milano, 1954, pp. 23-36.
18
Danièle Pauly (a cura di), Le Corbusier et la Méditerranée, Marsiglia, Parenthèses-Musées de 43
Rudofsky nota e dimostra la proprietà di un muro bianco di risultare policromo e decorato agendo
Marseille, 1987; Giuliano Gresleri, Le Corbusier Viaggio in Oriente, Venezia-Parigi, Marsilio-Fon- da schermo sul quale vengono proiettate le mutevoli forme delle ombre del fogliame, e che assume
dation Le Corbusier, 1984. il colore della luce atmosferica col variare delle ore. Questa è uno dei più convincenti esempi di
19
Silvia Danesi, “Aporie dell’architettura italiana in periodo fascista - mediterraneità e purismo”, in soluzione che, pur in formale consonanza con l’architettura moderna, ne elimina totalmente le
Silvia Danesi e Luciano Patetta (a cura di), Il razionalismo e l’architettura in Italia durante il fascismo, sovrastrutture teoriche per esprimere una poetica personale, derivante da un’esperienza di vita.
Venezia, 1976, pp. 21-28. Non escludo peraltro influenze espressioniste: si confronti la rappresentazione vivacemente
20
Josep M. Rovira, José Luis Sert. 1901-1983, Milano, Electa, 2000. Dalla prima edizione nel 1931, policroma delle architetture dell’isola di Santorini nelle opere pittoriche di Rudofsky.
la rivista catalana A.C. ha avviato la pubblicazione di diversi saggi dedicati all’architettura medi- 44
Rudofsky, Behind the Picture Window, pp. 159, 194.
terranea rurale della Catalogna e delle Isole Baleari. Di particolare interesse è il saggio di Josep 45
Neutra “non poteva immaginare che ci sono persone che hanno bisogno di solitudine, il silenzio
Lluis Sert che ha curato nel 1934 un numero della rivista D’Aci i d’Alla dedicato all’arte del XX monastico, le porte che possano chiudere, l’ambiente visibile solo se lo si desidera e solo in parte,
secolo all’Arte del XX Secolo (1934) con il titolo “Arquitectura sense ‘estil i sense ‘arquitecte’”. finestre con la comparsa di immagini incorniciate”: Da Manfred Sack, Richard Neutra, Zürich/
21
Bernard Rudofsky, Introduzione al Giappone, pp. 36-38. London, Verlag für Architektur, 1992, p. 26.
22
Bernard Rudofsky, discorso ad Aspen, non pubblicato, 1980. 46
Bernard Rudofsky, “Notes on Patios”, The New Pencil Points, v. 24, Giugno 1943, pp. 44-47.
23
Bernard Rudofsky, Architecture without Architects: A Short Introduction to Non-pedigreed Archi- 47
Bernard Rudofsky, “The bread of architecture”, Arts and Architecture, v. 69, Ottobre 1952, pp.
tecture, New York, Museum of Modern Art, 1964; Bernard Rudofsky, The Prodigious Builders: Notes 27-29 e p. 45.
Toward a Natural History of Architecture with Special Regard to those Species that are Traditionally 48
È possibile che Rudofsky sia stato influenzato dall’atrio visto nella casa sperimentale am Horn,
Neglected or Downright Ignored, New York-London, Harcourt Brace Jovanovich, 1977; Bernard progettata per la mostra di Bauhaus del 1923 a Weimar da Georg Muche assieme a Walter Gropius

372 373
e dalla casa con atrio Oivala di Oiva Kallio a Helsinki (1925), simile alla precedente (ma in legno). 69
Quoted in Bernard Rudofsky, “Three Patio Houses,” Pencil Points 24, June 1943, p.54.

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Entrambe rappresentano un’evoluzione modernizzata (ma non poi tanto) della casa ad atrio roma- 70
Philip L. Goodwin, Brazil Builds, New York, The Museum of Modern Art, 1943, p. 100.
no-italica e possono dirsi direttamente derivate delle prime due case con patio centrale progettate 71
Si veda Bernard Rudofsky, “Non ci vuole un nuovo modo di costruire ci vuole un nuovo modo di
da Rudofsky: quella a Capri (1932) e quella a Procida (1935). Si veda Duncan Macintosh, The Modern vivere”, in Domus 123, pp. 6-15. Quest’espressione se ritrova anche nel titolo Sparta/Sybaris: Keine
Courtyard House, Londra, Architectural Association/Lund Humphries, 1973. neue Bauweise, eine neue Lebensweise tut not, Salzburg, Residenz, 1987.
49
Bernard Rudofsky, “Problema”, Domus, n° 123, marzo 1938, p. xxxiv; “Variazioni”, Domus, n° 72
Walter Gropius, Social premises for the minimum dwelling of urban industrial population, 1929;
124, aprile 1938, p. 14; Guido Harbers, Der Wohngarten: Seine Raum- und Bauelemente, Monaco: Gropius, Die Wohnung für das Existenzminimum, Frankfurt, Englert & Schlosser, 1930.
Callwey, 1933. 73
Bernard Rudofsky, “On Architecture and Architects. An address delivered at the invitation of the
50
Bernard Rudofsky, “Der wohltemperierte Wohnhof,” in Umriss 10, 1/1986, pp. 5-20. Fogg Museum, at the Boston Museum of Art, in the course of the exhibition of Brazilian Architecture
51
Gaston Bachelard, La poetica dello spazio, Bari, Dedalo, 1975. Brazil Builds, The New Pencil Points, v. 24, aprile 1943, p. 63.
52
Giancarlo Da Carlo, “Il pubblico dell’architettura,” in Parametro 5, 1970, p. 4. 74
Bernard Rudofsky, Streets for People, pp. 337-342.
53
Bernard Rudofsky, “Non ci vuole un nuovo modo di costruire, ci vuole un nuovo modo di vivere” 75
Bernard Rudofsky, “Notes on Patios”, The New Pencil Points, v. 24, giugno 1943, p. 46.
in Domus 123, Marzo 1938, pp. 6-15. 76
Bernard Rudofsky, Behind the Picture Window, pp. 200-201.
54
Bernard Rudofsky, “Scoperta di una isola” in Domus 123, Marzo 1938, pp. 2-5. 77
Antonio Tosi, Ideologie della casa: contenuti e significati del discorso sull’abitare, Milano: Angeli,
55
Bernard Rudofsky, “Non ci vuole un nuovo modo di costruire ci vuole un nuovo modo di vivere”, p. 6. 1980, pp. 41-42.
56
Rudofsky non era uno dei molti personaggi stravaganti che frequentavano Capri in quei tempi, 78
Bernard Rudofsky, Back to Kindergarten (discorso a Copenahgen, inedito), aprile 8, 1975, p. 1
e si limitava a proporre abbigliamenti e pratiche domestiche anticonvenzionali. Personalmente, del manoscritto.
dubito che Rudofsky avrebbe davvero mangiato sdraiato su un triclinio, foss’anche in una casa 79
Ivan Illich, et. al., Disabling Professions, London/Salem, M. Boyars, 1977.
per l’estate ed il tempo libero. 80
Per un’analisi di Architecture without Architects rispetto al dibattito architettonico americano
57
Attilio Podestà, “Una casa a Procida dell’architetto Bernard Rudofsky,” Casabella X, 117, dell’epoca, si veda Felicity Scott, “Architecture without Architects”, Harvard Design Magazine,
Settembre 1937, pp. 12-17. Autunno 1998, p. 69-72.
58
Ibid., p. 15. 81
Bernard Rudofsky, The Prodigious Builders, p. 235.
59
Rudofsky aveva già elaborato progetti di alberghetti marini e non possiamo escludere che queste 82
Giuseppe Pagano e Guarniero Daniel, Architettura rurale italiana, Milano, Hoepli, 1936, p. 6.
esperienze abbiano avuto qualche parte nella scelta di Ponti di chiamarlo a Milano con sé. Tra 83
Pagano e Daniel, p. 76.
questi, l’alberghetto per Procida, cui talvolta si fa riferimento come “Rio di Raia delle Rose”, che 84
Adolf Loos, Trotzdem, p. 93.
nacque forse in partenariato con Cosenza, è costituito da un edificio unico, distribuito a ballatoio; 85
Le Corbusier, Sur les quatre routes, Paris, Gallimard, 1941.
mentre quello per Positano è composto di casette separate, disposte su un terreno terrazzato 86
Bernard Rudofsky, discorso al Walker Art Center, non pubblicato, Minneapolis, 1981.
assai ripido. Si veda Andrea Bocco Guarneri, op. cit. 87
Claude Lévi-Strauss, Tristes tropiques, Parigi, Plon, 1955. Si veda la lezione tenutasi al UNESCO,
60
Va da sé che oggi si provi un brivido nel riconoscere qui un archetipo dello scempio delle coste del 1971, sotto il titolo, “Race et culture,” in Claude Lévi-Strauss, Le regard éloigné, Paris, Plon, 1973.
Mediterraneo: la proliferazione incontrollata guasta comunque, indipendentemente dal modello. 88
“Il giro più lungo, ovvero il senso dell’antropologia” in Francesco Remotti, Antenati e antagonisti,
Certo l’artigianalità degli edifici costituenti l’Albergo San Michele è lontana dalla reiterazione Bologna, Il Mulino, 1986.
potenzialmente infinita di un edificio-stanza d’albergo di produzione industriale ed anche da 89
Bernard Rudofsky, Sparta-Sybaris: Keine neue Bauweise, eine neue Lebensweise tut not, Salzburg:
progetti seriali adattati al sito, come Roq e Rob di Le Corbusier (1949-51), anch’essi irrealizzati, Residenz/VM, 1987; Bernard Rudofsky, Now I Lay Me down to Eat: Notes and footnotes on the lost art
che ebbero vasta diffusione ed influenza. of living, Garden City, New York: Anchor Press-Doubleday, 1980.
61
In ambito caprese, la trovata di un edificio composto da costruzioni indipendenti e contraddistinte 90
Si veda ad esempio Paul Overy, “A touch of Mediterranean sentimentality”, The Times, settembre
da un nome è già nella casa di Cerio, “Il rosaio”: si veda Giuseppe Capponi, “Architettura e acca- 10, 1974; Michel Ragon, L’Architecte, le Prince et la Démocratie, Parigi: Michel, 1977.
demia a Capri: Il Rosaio di Edwin Cerio”, in Architettura e arti decorative, Dicembre 1929, pp. 177-188. 91
Si veda Robert Goldwater, Primitivism in Modern Art, Cambridge (Massachusetts)/Londra, The
62
Si confronti ad esempio Edwin Cerio, Il Convegno del Paesaggio, Capri, Edizioni delle “Pagine Belknap Press of Harvard University Press, 1986; Sally Price, Primitive art in civilized places,
dell’isola”, 1923 (riedizione: Capri, Edizioni La Conchiglia, 1993). Chicago: The University of Chicago, 1989.
63
Questa è un’idea mutuata dal Giappone, cui Rudofsky era particolarmente affezionato. Lisa 92
John Maas, “Where Architectural Historians Fear to Tread”, Journal of the Society of Architectural
Licitra Ponti in Gio Ponti. L’opera (Milano: Leonardo, 1990, p. 96) testimonia a quale dei due partner Historians, v. 28, # 1, marzo 1969, pp. 3-8.
vadano attribuite le diverse soluzioni progettuali. 93
Karsten Harries, The Ethical Function of Architecture, Cambridge, Massachusetts–Londra: The MIT
64
“Una villa per Positano e per... altri lidi”, Domus, n° 109, gennaio 1937, p. 11-17. Press, 1997, p. 285, nota peraltro che anche testi recenti, like Marvin Trachtenberg and Isabelle
65
ivi, pp. 12-13. Hyman’s Architecture, from Prehistory to Post-Modernism: The Western Tradition (1986) come Spiro
66
Si veda Alfredo Buccaro e Giancarlo Mainini (a cura di), Luigi Cosenza oggi, 1905-2005, Napoli, Kostof’s A History of Architecture: Setting and Rituals (1985) allargano il contest storico ma senza
Clean, 2006; Inken Baller, Evelyn Hendreich, e Gisela Schmidt-Krayer (a cura di), Villa Oro: Luigi cambiarlo. La distinzione Pevsneriana tra “architecture” e “building” persiste.
Cosenza, Bernard Rudofsky, 1937, Berlin, Westkreuz, 2008. 94
Gio Ponti, “Rudofsking,” in Domus 486, maggio 1970, p. 54.
67
Lisa Ponti, “Le piú desiderabili ville del mondo,” in Domus 234, 1949, p. 4.
68
Rudofsky, “Notes on Patio”, p. 45.

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Le traduzioni di Bruno Taut fuori dalla Germania
Verso un’etica cosmopolita nell’architettura

LE TRADUZIONI DI BRUNO TAUT FUORI DALLA GERMANIA | Esra Akcan


Esra Akcan
12
Più forte è la convinzione che Oriente e Occidente si appartengono, più forte è la spinta
a conoscere l’estraneità della loro natura. Con la crescita di questa forza, la malinconia
affonderà nella tomba che si merita1.

Questo articolo ha un duplice scopo, chiarire una pratica culturale che complica le nozioni comuni
sui rapporti tra Modernismo e paesi “non occidentali”, utilizzando un quadro teoretico che io
definisco traduzione, e discutere le distinzioni concettuali tra ibridismo ed etica cosmopolita2.
A questo scopo, mi concentro sugli scritti teorici dell’architetto di origine tedesca Bruno Taut
in Giappone e Turchia, e analizzo la sua casa a Istanbul attraverso la lente di queste teorie.
Anche se studi recenti hanno dimostrato che l’architettura del primo Novecento era molto più
complessa, varia e sfaccettata di quello che i sostenitori iniziali del post-Modernismo fossero
disposti a riconoscere, la relazione del Modernismo con il mondo in generale è ancora un
settore di ricerca in sviluppo 3. Il consueto resoconto sull’impatto dei movimenti architettonici
modernisti sui paesi che restano al di fuori dei confini immaginari di Europa e Nord America
di solito condanna il Modernismo per i monotoni quartieri in “stile internazionale”, privi di
specificità locale. Anche se questa considerazione può sembrare valida per la maggior parte
delle città in tutto il mondo, difficilmente spiega gli intenti di molti architetti moderni medesimi,
e, di sicuro, non quelli di Taut. La reazione a questa presunta omogeneizzazione del mondo
attraverso la modernizzazione è di solito interpretata come architettura “regionalista”. Però
è troppo comune pensare l’architettura moderna in paesi “non occidentali” come oscillazione
tra il regionale e il moderno, il nazionale e l’internazionale. Una simile analisi bipolare rimane
superficiale nell’accettare la complessità delle relazioni interculturali in questo periodo. L’au-
mento della mobilità geografica, la collaborazione e il confronto tra professionisti di diversi
paesi in tutto il Novecento hanno continuamente prodotto nuovi ibridi e relazioni dialettiche.
In questo senso, non c’è uno stile di espressione regionale o internazionale puro, né architet-
tura pura prodotta in un luogo completamente isolato da altri luoghi. La definizione di locale
cambia in continuazione. Né può esistere un’architettura prodotta in qualche spazio astratto
al di fuori delle forze delle condizioni locali. Capire l’architettura moderna richiede, quindi,
un concetto esplicativo che superi le dicotomie comuni di stile internazionale contro stile
nazionale o di edificio modernista contro edificio regionalista. Come struttura concettuale
che spiega la modernizzazione in termini di interazione tra diversi luoghi e stati-nazione,
traduzione discute la dipendenza reciproca e l’interazione tra diversi paesi, e traccia i flussi
di persone, idee, immagini, informazioni e tecnologie attraverso lo spazio geografico, così
come i loro diversi gradi e modalità di trasformazione nelle nuove destinazioni. Traduzione è
quindi lo studio di un campo (una zona) che esplora e valuta le diverse esperienze dello stra-
niero, dell’”altro” e di ciò che, in un determinato momento, era ancora rimasto al di fuori, in
un contesto determinato. È attraverso la traduzione che un paese si apre all’estero, cambia
e si arricchisce, mentre confronta le sue norme domestiche con quelle degli altri. Tuttavia, la
traduzione non può ignorare la distribuzione geografica del potere. Si può difficilmente consi-
derare un neutrale scambio tra pari, o un “ponte” tra culture che sono facilmente traducibili.
La traduzione deve pertanto venire considerata come una zona controversa in cui si scoprono
differenze geografiche, riconciliate o contrapposte, dove vengono risolti o accentuati i conflitti
tra occidentalizzazione e nazionalizzazione.
12.1. Bruno Taut. Carte a Mihara, 1938. © Taut Archiv, Akademie der Künste, Berlin.

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Bruno Taut fu uno dei pochi architetti del periodo moderno a impegnarsi consapevolmente nella

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comprensione di queste tensioni e potenzialità insite nelle traduzioni interculturali. Esiliato
dalla Germania nel 1933, trascorse tre anni in Giappone e due anni in Turchia, dove morì nel
1938. Vivere all’estero gli offrì un’opportunità unica per riflettere sui problemi della moderniz-
zazione al di fuori dell’ Europa. Taut si era interessato all’architettura “non occidentale” molto
prima di trasferirsi in Giappone e Turchia. Ovviamente la curiosità per l’”Est” non è un valore
in sé, poiché questo difficilmente qualifica qualcosa a meno che si possa distinguerla in modo
specifico dall’interesse orientalista (nel senso di Edward W. Said) di numerosi pittori, poeti o
scrittori. Il caso di Taut è interessante per via della sua crescita intellettuale nel corso degli anni
e per le conseguenti trasformazioni nel suo approccio durante la sua carriera. Taut considerò i
suoi impegni architettonici in Giappone e Turchia come esperienze continuative4. Di conseguenza,
la sua carriera dopo aver lasciato la Germania e le sue ultime dichiarazioni teoriche possono
difficilmente essere comprese senza discutere il loro sviluppo graduale in tutti e tre i paesi.
Questo articolo, tracciando lettere, diari e manoscritti di Taut in Giappone e Turchia, suggerisce
la ricostruzione di una teoria che potrebbe essere definita un’etica architettonica cosmopolita.

Ex oriente lux: Germania, 1919-1933


I primi testi di Taut (quelli attribuiti di solito al suo “periodo espressionista”) erano pieni di
richiami all’Asia5. Come Rosemarie Bletter ha dimostrato, le utopie di vetro di Paul Scheerbart
e Taut o il padiglione di vetro di quest’ultimo per l’Esposizione Werkbund nel 1914 sono stati più
che impulsi tecnocratici per l’esplorazione delle potenzialità di un nuovo materiale. Al contrario,
come pure Taut e Scheerbart erano consapevoli, il vetro aveva una lunga storia come meta-
fora di fonti sacre, spirituali e romantiche, comprese quelle asiatiche6. Nel suo Die Stadtkrone
(scritto durante la guerra e pubblicato nel 1919) Taut illustrò esempi di città in tutto il mondo
con una “corona della città” per mostrare come, in contrasto con il “caos” delle città europee
moderne, negli insediamenti urbani si potesse raggiungere una “unità organica”. In questo
libro Taut incluse esempi di città medievali, indiane, cinesi e ottomane, nonché un confronto
tra la città-giardino di Ebenezer Howard e la città cinese di Küfu. Per Taut, questo confronto
dimostrava che “tutti gli uomini razionali finiscono con l’avere principi simili” anche se clas-
sificava la città-giardino in una posizione leggermente superiore per il suo potenziale di guida
per gli insediamenti moderni7. Attraverso questo confronto Taut non stava solo aggiungendo
alla sua lista un ulteriore esempio dall’Oriente. L’affermazione che i principi della città-giardino
potevano essere osservati in una città cinese rivendicava una verità universale al modello che
stava promuovendo, in assenza di prove di comunicazione tra le due o di un’analisi approfondita
12.2. Bruno Taut. Progetto per il concorso de la Casa dell’Amicizia, Istanbul, 1916. © ODTU, Mimarlık
dell’esempio cinese. Qui un esempio dall’Oriente diventava un mezzo per dimostrare la presunta
Fakültesi Dergisi 1, nº 2, 1975.
universalità dei principi propri dell’architetto, invece di venire esaminato nel suo proprio merito.
12.3. Bruno Taut davanti a la sua casa in Giappone. © Taut Archiv, Akademie der Künste, Berlin.
In “Ex Oriente Lux” (Il sole sorge da Est, 1919), le idee di Taut sull’Oriente come il “salvatore
d’Europa” sono state affermate in modo più radicale: Le idee pacifiste di Taut devono aver motivato la sua ricerca nell’Oriente di un modello di pace e
Uccidi l’europeo, uccidilo, uccidilo, sterminalo! Canta St. Paulus [Scheerbar t].... armonia che, all’alba della guerra, non riusciva a trovare nelle moderne città europee9. Questo
Ogni piccola parte della grande cultura dal Quarto al Sedicesimo secolo nell’India del Nord, non è un tipo di Orientalismo comune che sostiene la superiorità dell’Occidente, né afferma
Ceylon, Cambogia, Amman, Siam e Indulines - che crogiolo di forma, che maturità feconda, alcun desiderio di controllare, manipolare o dominare l’Oriente. Tuttavia, qui è ancora presente
che moderazione e che forza e quale incredibile fusione con l’arte plastica! ... Inchinatevi un altro tipo di sottotono orientalista. L’idea del potere salvifico dell’Oriente nei momenti di
con umiltà, voi europei! L’umiltà vi redimerà. Vi darà amore, amore per la divinità della terra crisi è, sempre nell’interpretazione di Edward Said, uno dei sintomi di base dell’Orientalismo,
e per lo spirito del mondo. Non tormenterete più la vostra terra con dinamite e bombe a nel suo aspetto apparentemente positivo. Questo tipo di Orientalismo, non solo isola l’Oriente
mano, vorrete adornarla, coltivarla e prendervi cura di lei - cultura!8 come la soluzione a portata di mano da tirar fuori dall’armadietto dei medicinali ogni volta
L’enfasi della prosa di Taut ha bisogno di essere compresa nel contesto aggressivo della prima che “il progresso occidentale” è sotto accusa, ma considera anche l’Oriente come un’esotica,
guerra mondiale. Offrendo come prova di redenzione decine di esempi architettonici provenienti immutabile e armoniosa terra di sogno scevra di progresso, modernità e idea della storia.
da paesi non europei, Taut non solo continuava la sua posizione sociale utopica di assegnare un L’approccio di Taut a queste questioni diventò molto più raffinato in Giappone e Turchia. La
valore santificante all’architettura, ma per questo scopo rivolgeva anche il suo sguardo verso est. trasformazione era iniziata prima di venir esiliato dalla Germania, come esemplificato nel suo

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libro Die Neue Wohnung. Die Frau als Schöpferin (La nuova casa. La Donna come Creatore, 1924)10. Taut presentò le sue ricerche principalmente nel libro, Houses and People of Japan (Case e

LE TRADUZIONI DI BRUNO TAUT FUORI DALLA GERMANIA | Esra Akcan


Esempi storici di case vernacolari giapponesi e ottomane tenevano un luogo specifico nella Persone del Giappone), (in origine il titolo avrebbe dovuto essere The Japanese House and Its
formulazione di Taut delle caratteristiche delle abitazioni moderne. Per esempio, le stanze Homelife (La casa giapponese e la sua vita domestica, 1937) che, scritto in forma di diario,
senza pareti in Giappone affascinavano Taut. Le partizioni mobili che cambiavano continua- racconta un anno di soggiorno in Giappone12 . Immaginato come un “contributo all’amicizia
mente la divisione dello spazio e le pareti scorrevoli esterne che permettevano diversi livelli internazionale”, il libro è una vivace, dettagliata e interrogativa rappresentazione della ricerca
di continuità con l’esterno, lo ispirarono a fare della flessibilità un principio importante dell’a- di Taut sulle “case giapponesi” tradizionali, i modi di vita, l’artigianato e l’abbigliamento, nonché
bitazione moderna. Taut anche ammirava gli armadi a muro delle case ottomane vernacolari il loro conflitto con le esigenze della vita moderna14. Deciso a non “tornare indietro ignorante
(Wandschränke) che funzionavano come spazi di servizio minimizzati, liberando il resto della come ... era arrivato”, Taut aspirava a divulgare e sfidare le opinioni sul Giappone degli orien-
stanza. Nelle sue proprie abitazioni moderne nel periodo di Weimar, gli spazi di servizio come talisti occidentali, il che alla fine lo portò a sviluppare pensieri più profondi sulla nozione di
la cucina, il bagno e gli armadi furono ispirati dagli armadi ottomani e allo stesso modo trattati modernizzazione “non occidentale”15.
come scatole minime che potevano essere aperte e chiuse, lasciando il massimo spazio per Non sono riuscito a vedere come i giapponesi possano affermare che la loro casa sia il loro
le sezioni abitative11. castello.… Ma dopo tutto, queste case non sono altro che tende, anche se dotate di tetti e
Così Taut affermò che, senza lasciare la Germania, aveva trovato la vera legge di insediamento miglioramenti strutturali16.
territoriale semplicemente dichiarando che una città cinese aveva gli stessi principi della città- Queste furono le parole che Taut usò per esprimere la sua meraviglia nel corso della sua
giardino di Howard. In tal modo, non solo assimilava senza sforzo l’esempio “non occidentale” prima visita alla casa in cui avrebbe abitato in Giappone. Taut racconta con parole volutamente
nelle proprie strutture di riferimento, ma anche lo usava per rivendicare l’”universalità” del ironiche, come durante il suo primo giorno sbatte la testa contro i bassi telai delle porte, ha
proprio approccio. Pochi anni dopo, Taut trattò l’Oriente come una regione dove si poteva cercare difficoltà a trovarne le maniglie e altre cose del genere, come cerca disperatamente mobili
un’alternativa e, infine, riscattare quello che percepiva come la crisi “occidentale” che culminò familiari, e i suoi tentativi di abituarsi alle “stranezze” del suo nuovo habitat, come togliersi le
con la prima guerra mondiale. Lui non affermò che l’architettura orientale era inferiore— al scarpe prima di entrare in casa, sopravvivere all’acqua calda nel bagno e a temperature da
contrario—ma ancora la separava e stereotipava quasi come uno stile non-storico che avrebbe congelamento in casa, a dormire su stuoie, mangiare con le bacchette e così via. A proposito
potuto criticare il progresso storico della “civiltà occidentale”. Durante il periodo di Weimar, delle case e dei modi di vivere che ricercò con passione durante il resto del suo soggiorno in
l’interesse di Taut per l’architettura di Giappone e la Turchia sbiadì. Tuttavia, i riferimenti occa- Giappone, Taut continuò:
sionali ad esempi storici di queste regioni raramente è venuto a patti con i loro problemi reali Ma si poteva chiamare una stanza? In realtà non era nient’altro che una sala aperta, rialzata
di modernizzazione. Questo cambiò quando Taut, costretto all’esilio dopo la presa del potere rispetto al livello del terreno ... Il problema era dove poter mangiare, dormire e lavorare
dei Nazionalsocialisti nel 1933, immigrò in questi paesi. ... Sulle stuoie di paglia morbida non si potevano usare mobili ... Dove potevo lavorare, e
come potevo sistemare i miei libri e le carte? ... Mia moglie non fu meno turbata quando
Malinconia d’Oriente: Giappone, 1933-1936 venne a ispezionare la cucina ... Non c’era né stufa, né gas, né un tavolo da cucina ... [In]
L’associazione internazionale giapponese degli architetti invitò Taut in Giappone dove si occupò questa cosiddetta cucina ... non c’era altro da vedere ... Ma come diavolo avremmo potuto
principalmente di disegnare oggetti di artigianato e della ricerca dell’architettura vernacolare sentirci a casa?17
del paese. Rispetto alle sue pesante responsabilità in Germania e poi in Turchia, Taut ebbe Queste parole all’inizio di Houses and People of Japan sono volutamente fuorvianti. Riecheg-
poche opportunità di costruire in Giappone e trascorse il suo tempo scrivendo diversi libri giando alcuni degli stereotipi orientalisti, l’architetto, in realtà, stava preparando il terreno
sull’architettura giapponese12. Una nuova teoria dell’architettura emerse da questa ricerca, per criticare le percezioni europee del Giappone. Le intenzioni reali di Taut sono esposte nelle
culminata in Mimari bilgisi (Letture sull’Architettura), un libro scritto e pubblicato in Turchia, pagine seguenti del libro:
poco prima della sua morte. Qual è ancora oggi l’immagine del Giappone, che in genere prevale tra le masse dell’Oc-
In esilio, Taut, per la maggior parte dei suoi progetti fece di più che trasportare semplicemente cidente - eccezion fatta per pochi intenditori? Non è forse quella di un’isola strana i cui
la sua pratica tedesca in posti nuovi. I suoi disegni sembrarono così trasformati che molti abitanti singolari, diversamente dalle consuetudini in ogni altro posto, hanno introdotto
studiosi e colleghi lo interpretarono come un cambiamento radicale. Per esempio, in Germania, nell’arte un’eleganza sofisticata, una leggerezza, una minuscola diminuzione, una irre-
Taut era stato molto critico del Heimatstil perché sosteneva nostalgicamente la riscoperta di golarità, una anomalia, una stranezza, in una parola, un capriccio?... L’Occidente vedeva
valori rappresentati nelle case coloniche tradizionali tedesche. In Giappone, invece, dopo aver solo quello che capiva, e l’apprezzava tanto più in quanto sembrava essere una provocante
trascorso la maggior parte del suo tempo studiando l’architettura vernacolare della regione, curiosità esotica18.
promosse le “case giapponesi” e il Palazzo Katsura come guida delle caratteristiche di una E ancora:
architettura moderna adeguata a quel paese. Lo scopo [di questo libro] è stato quello di dimostrare che maniere strane e insolite hanno
Perché avrebbe un progettista visionario di avanguardia promosso una pratica edilizia basata una ragione molto semplice e naturale. Chiunque guardi a questi costumi come qualcosa di
sullo studio delle tradizionali case vernacolari? È possibile che Taut, invece di sostenere una esotico, si comporta come un bambino allo zoo a bocca aperta davanti alla gabbia di vetro
conservazione nostalgica, durante il suo esilio in Giappone e Turchia verificasse i limiti geogra- di un boa constrictor. Ma un simile approccio sentimentale e romantico verso ciò che non
fici del Modernismo tedesco e si rendesse conto della necessità di tradurre le proprie idee? La ci è familiare è tanto ingiusto quanto irragionevole, dal momento che gli esseri umani in
risposta a queste domande può essere trovata nei testi di Taut dell’epoca, dove, secondo me, tutto il mondo sono dotati di una quantità uguale di ragione19.
aveva due scopi principali: criticare le percezioni degli orientalisti occidentali di queste regioni L’Occidente, che “vedeva solo quello che capiva” considerava l’Oriente nulla di più di un “esotico”
e criticare la modernizzazione in corso in Giappone e Turchia. paese delle fate, lontano e strano, anomalo e singolare. Mentre viveva in “Oriente”, il tono degli

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12.4. Bruno Taut. Schizzi di case giapponesi. © Bruno Taut, Houses and People of Japan, Tokyo, 1937.
12.5. Bruno Taut. Diagramma comparativa del corpo umano (Est-Ovest). © Bruno Taut, Houses and People
of Japan, Tokyo, 1937.
12.6. Bruno Taut. Case di contadini giapponesi (che ricordano santuari). © Bruno Taut, Houses and People
of Japan, Tokyo, 1937.
12.7. Bruno Taut. Pagina da Houses and People of Japan, paragonando case vernacolari in Giappone ed
Europa. © Bruno Taut, Houses and People of Japan, Tokyo, 1937.
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inni orientalisti di Taut divenne più moderato. Inoltre, si rese anche conto intuitivamente di Taut osservò che una sensazione di insicurezza turbava i suoi colleghi giapponesi. In una parte

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alcuni dei problemi di base dei paesi non europei in fase di occidentalizzazione. Ad esempio, precedente del testo, Taut aveva già criticato i “saloni europei” collocati in case moderne,
basandosi sul numero crescente di suicidi e sulle raffigurazioni scure di film come Alpus Teisho, nonostante la disapprovazione dei loro proprietari, solo perché erano “considerati necessari
Taut affermò in un capitolo intitolato Melancholie, del suo manoscritto Japans Kunst (L’arte del ... per compiacere gli europei”27.
Giappone, 1936), che uno stato d’animo depressivo e la malinconia governavano la scena artistica Il tema dell’inferiorità si ripeteva anche quando Taut e Suzuki parlavano di come il popolo
giapponese e sul quale liberamente discuteva in tutto il testo20. Taut parlò soprattutto di una giapponese desiderasse essere più alto, perché prendevano l’altezza europea come modello
fondamentale dicotomia (Zwiespalt) che provocava una sorta di “depressione” e “rassegnazione”. umano e perché consideravano il “modo di vivere occidentale” “molto più sano”28. Così le ideo-
L’architetto sosteneva che le recenti indicazioni di questa dicotomia erano in gran parte dovute al logie di eurocentrismo in viaggio verso l’Oriente interpretavano il corpo occidentale (che a sua
divario percepito tra l’Oriente e l’Europa, la decadenza della tradizione giapponese a semplice volta varia e non dovrebbe essere standardizzato) come il modello umano ideale. L’orientale
“pezzo da museo esotico”, e il contrasto sentito tra i sistemi di vita tradizionale e il Modernismo medesimo—Suzuki—credeva nel mito della superiorità di questo modello occidentale. Se il
europeo21. La scelta di Taut della parola “malinconia” è più teoricamente suggestiva di quanto corpo ideale maschile europeo veniva considerato un modello universale, allora possiamo
appaia a prima vista. Essa implica il suo intuitivo riconoscimento di una delle più rilevanti reazioni affermare che una verità regionale e particolare era stata universalizzata nel corso della
culturali alla modernizzazione in molti paesi “non occidentali”. La malinconia è la tensione che modernizzazione. Pertanto, i soggetti “non occidentali” potevano parlare di un sentimento di
deriva dalla percezione dalla disuguaglianza tra “Occidente” e “non-Occidente” al momento inferiorità causato dall’aver perduto il diritto naturale di appartenenza a questa universalità.
della traduzione interculturale—una condizione che ho chiarito altrove più in dettaglio come L’ideologia ergonomica influenzò l’architettura mondiale più di quanto non si possa imma-
“la malinconia del non-occidentale”22. ginare. Da libri di standard grafici come Neufert, generazioni di architetti in tutto il mondo
Le osservazioni di Taut in Melancholie possono essere convalidate ulteriormente dall’analisi hanno imparato e applicato diversi standard fisici per il loro arredamento moderno, per le
dei suoi manoscritti e articoli pubblicati su riviste giapponesi, dove l’architetto espresse le sue cucine, per i bagni e per le scale 29. Queste norme moderne erano basate sulle dimensioni e
critiche e suggerimenti sull’architettura moderna23. Per esempio, nel capitolo intitolato “What proporzioni del corpo maschile bianco idealizzato alla Vitruvio, e ignoravano differenze di razza
Now?” di Houses and People of Japan, discusse il suo scontro con i problemi contemporanei o di sesso. In questo senso, il diagramma di Taut che metteva a confronto i corpi idealizzati
moderni del Giappone. Questo capitolo fu scritto come una discussione immaginaria con il europei e giapponesi può essere definito come un rivoluzionario ma trascurato commentario
signor Suzuki, sebbene fosse in realtà il collage di vere conversazioni tra Taut e i suoi colleghi sulla politica dell’ergonomia. Con questo diagramma, che è apparso sia in Houses and People
giapponesi24. Conteneva alcune frasi che possono suggerire una ricaduta di Taut nelle speranze of Japan sia nella versione originale (turca) di Mimari bilgisi, l’architetto ammise che il suo
orientaliste degli inizi della sua carriera. Eppure, questo sogno sul potere di redenzione dell’O- disagio iniziale nel muoversi nella sua casa in Giappone, a causa dei telai bassi delle porte,
riente apparve solo momentaneamente in questa conversazione, poiché l’amico immaginario delle altezze “scomode” delle maniglie delle porte e simili, non era causato da una mancanza
di Taut, signor Suzuki, lo avvertì di non idealizzare i “giorni gloriosi del passato” e di non igno- di raffinatezza nel disegno ergonomico, ma era una questione di differenza. Oggi, questo
rare gli sviluppi moderni del Giappone25. Inoltre, il fatto che Taut ora si trovasse in Giappone diagramma deve essere considerato come un avvertimento senza precedenti contro l’ideo-
lo costrinse a notare la crescente occidentalizzazione del paese. A differenza dei precedenti logia della standardizzazione basata su norme europee e nordamericane. Invece di prendere
resoconti, dove l’architetto trattava l’Oriente come non storico e redentore, Taut era ora molto il corpo dell’”uomo occidentale”, come modello umano, questo diagramma sfida la nozione di
più attento allo sviluppo dell’architettura moderna in Giappone, così come ai problemi reali che una norma universale mostrandone due. Diversamente dal corpo dell’uomo bianco, il corpo
stavano emergendo nel corso di questo processo. Valutò il problema principale come la scelta maschile giapponese con le braccia spalancate non rientra geometricamente in un quadrato.
tra copiare forme occidentali e ricercare un Modernismo alternativo. In “What Now?” Taut Mentre le gambe dell’uomo bianco sono la metà di tutto il suo corpo, le gambe dell’uomo
mise in discussione tanto l’entusiasmo a favore quanto la reazione contro l’occidentalizzazione: giapponese proporzionalmente non sono le stesse. Anche se il diagramma comparativo di Taut
Taut: Quello che voglio dire è in che modo mirabile la casa giapponese si è adattata al ignora differenze di sesso o razza, esso deve essere considerato come un passo per de-u-
clima particolare del Giappone ed è in armonia con le abitudini locali e con le occupazioni niversalizzare il corpo maschile occidentale come lo standard di design ergonomico. Quindi
quotidiane .... E poi, perché quella veranda splendidamente concepita non è stata adattata già dalla metà degli anni Trenta l’intuizione istintiva di Taut circa la distanza tra il soggetto
da nessuna parte all’edificio di stile moderno? Dove sono gli ampi frontoni, veramente “non occidentale” e l’ego ideale lo portò a uno dei contributi più importanti sulla condizione
necessari in Giappone per mantenere le grandi aperture delle finestre protette da sole e della standardizzazione architettonica.
pioggia in quanto bisogna lasciare tutto aperto durante la stagione calda. Terrazze e balconi Houses and People of Japan fu uno studio dell’architettura vernacolare in Giappone e delle sue
sono imitazioni occidentali! implicazioni per l’era moderna. Oltre alla ricerca sull’architettura giapponese, il libro aprì
Suzuki: Ah, bene, puoi aver ragione. Ma vedi, l’antico stile di costruzione non è per niente prospettive multiple per il pensiero architettonico di Taut. Per esempio, lo portò a riflettere
adatto alla vita moderna. sulla definizione di architettura come professione istituzionalizzata. In vari passaggi Taut
Taut: Nessuno ha detto che si debba imitare il vecchio stile in tutto e per tutto! Sarebbe un fece considerazioni sulla distinzione tra il muratore e l’architetto, che rimane ancora oggi
errore terribile quanto l’imitazione servile degli stili stranieri. Ma sembra che alcuni dei tuoi uno dei principali criteri dove la professionalizzazione dell’architettura, e la distinzione tra
connazionali si vergognino, se le loro case non sembrano esattamente come ogni casa a “Architettura” e “costruzione vernacolare”, sono in contenzioso 30. Piuttosto che suggerire una
Parigi o a Berlino. Questo sembra portare altri a reagire, costruendo le loro case intera- differenza gerarchica tra un artigiano e un architetto, tra vernacolare e architettura moderna,
mente nella vecchia maniera classica, il che pure è sbagliato. Dopo tutto, non deve essere Taut era interessato a migliorare la standardizzazione dei materiali per l’architettura in rela-
terribilmente difficile trovare un sistema per avere contemporaneamente tetti che danno zione al retaggio delle stuoie giapponesi, da lui considerato un esempio di standardizzazione
ombra e fornire luce alle stanze interne26. pre-industriale 31. In un altro punto, Taut cominciò a formulare una matrice tipologica della

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casa giapponese secondo il suo sviluppo storico 32. In seguito alla sua ricerca sul vernacolare

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giapponese, commentò ulteriormente sull’importanza del clima per modellare l’architettura33.
Per i nostri scopi, la più rilevante è la definizione di Taut del vernacolare giapponese, o più
specificamente delle fattorie (Bauernhaus), come edifici “cosmopoliti”. Nel suo saggio “Il villaggio
giapponese”, Taut ha sostenuto che la fattoria giapponese era sia “nazionale” sia “interna-
zionale” 34 . In Houses and People of Japan, raccolse un numero impressionante di immagini
comparabili di case coloniche del Giappone e di un paese europeo che sembravano sorpren-
dentemente identiche. Ponendo la foto di una casa in Giappone, accanto a una curiosamente
simile in Austria, Germania, Italia, Serbia, Svezia e Svizzera, l’architetto attirò l’attenzione del
lettore su un provocatorio insieme di prove. Anche se ammise che le ragioni di queste somi-
glianze straordinarie dovevano essere spiegate dopo alcune ricerche, egli non si astenne dal
sostenere che il “cosmopolitismo” della fattoria giapponese, così come l’”universalità” della
vita contadina, avrebbe potuto benissimo creare questa somiglianza:
Il contadino giapponese, che non parla al mondo con parole, parla attraverso le sue case.
Lui è la nazione giapponese e la sua lingua è cosmopolita. Ed essendo cosmopolita ha potere
universale ... . La mente cosmopolita dei contadini si mostra nella sua socialità e nella sua
tolleranza di diversi tipi di desideri o inclinazioni. Tuttavia, c’è sempre lo stesso spirito,
che unisce tutte le diverse varianti e produce un insieme estetico ... . (l’enfasi in tondo è
dell’Autore)35.
L’organismo della casa giapponese origina naturalmente dalla vita e dal lavoro della gente
di campagna. Tuttavia nonostante la diversità di clima e tipi di coltivazioni, i contadini di tutto
il mondo fondamentalmente si assomigliano… Le case coloniche di tutto il mondo avevano 12.8. Bruno Taut. Scuola in Trabzon, Turchia, c. 1936. © Winfried Nerdinger & Manfred Speidel, Bruno Taut,
un tempo lo stesso camino aperto tutt’oggi presente in Giappone … un bollitore era appeso 1880-1938, Milano, Electa, 2001. Foto: M. Speidel.
o poggiava sul fuoco, ove ci si riuniva per scaldarsi e asciugare i vestiti bagnati, essendo il Il lavoro di Taut in Turchia avrebbe poi deluso i suoi amici e un certo numero di storici
caminetto il punto centrale per la famiglia e per l’abitazione36. dell’architettura. Per esempio, Wagner stesso si lamentò in una lettera a Walter Gropius dell’al-
La validità di queste affermazioni è sospetta naturalmente, ma non è sull’evoluzione storica lontanamento di Taut dall’architettura moderna:
o l’espansione geografica di queste case di per sé su cui voglio soffermarmi, ma sulle aspira- Come tutti quelli che invecchiano, Taut è rimasto ai principi rinascimentali e non riesce a
zioni di Taut nell’ interpretarle. È fondamentale la scelta dell’architetto di usare qui il termine trovare una via verso il Nuovo! Sono molto deluso ... È una vergogna per un tale esponente
cosmopolitismo contrapposto, diciamo, a nazionalismo. Nello stesso periodo, la riscoperta di dell’avanguardia38.
tipi nazionali vernacolari, come la dissertazione sulla fattoria tedesca, stava repentinamente Per fare un altro esempio, Paul Bonatz fece affidamento sull’uso da parte di Taut del tradizionale
diventando uno strumento per le politiche culturali del nazional-socialismo. Un pericolo simile sistema costruttivo Almaşık sulle pareti esterne del palazzo della Facoltà di Lingue, Storia e
andava evidenziandosi anche in altri paesi, Turchia inclusa, dovuto all’ascesa dello sciovinismo Geografia ad Ankara, a sostegno della sua posizione di difensore del nazionalismo in architet-
nazionalista. Al contrario, Taut si faceva promotore dello studio dell’architettura vernacolare per tura39. Questi giudizi erano corretti? Taut iniziò a sostenere un Heimatstil nazionalista in Turchia
divulgare i principi architettonici del cosmopolitismo, non del nazionalismo. Che cosa può aver dopo aver criticato tale sviluppo in Germania negli anni Venti? Che cosa stava effettivamente
spinto Taut a vedere un filone cosmopolita negli edifici vernacolari giapponesi? Se stava cercando cercando in Turchia l’architetto visionario delle utopie espressioniste tedesche—il progettista di
di differenziare il proprio interesse nel vernacolo da quello degli architetti del Heimatstil tedesco, decine di migliaia di case di lavoratori e della classe media in oltre venti Siedlungen e quartieri
e se stava cercando di dimostrare la somiglianza tra fattorie di diverse nazioni, perché si è aste- residenziali, il promotore di case pure, funzionali, flessibili ed efficienti per i moderni abitanti
nuto dall’usare parole come internazionale? Le risposte implicite a queste domande si possono della Germania? 40
trovare in Mimari bilgisi, il libro successivo di Taut. Appena arrivato, a Taut furono affidate serie responsabilità. Divenne il capo sia del Dipartimento
di Architettura presso l’Accademia di Belle Arti che del Dipartimento di Costruzioni al Ministero
Malinconia d’Oriente: Turchia, 1936-1938 dell’Istruzione. In lettere agli architetti Ernst May e Hans Scharoun, Wagner sostenne che la
Il 30 settembre 1936, Martin Wagner—un collega di Taut dei tempi della riforma edilizia della carriera di Taut in Turchia non fu brillante, poiché riuscì ad ottenere commissioni “solo” per
Repubblica di Weimar—all’epoca esiliato in Turchia, inviò un telegramma in Giappone, chiedendo pochi edifici41, e dal momento che “si è alienato tutti gli insegnanti e mecenati”, commettendo
a Taut di partire “immediatamente” per la Turchia. Wagner convinse le autorità a invitare Taut un sacco di “gaffe” all’Accademia42. Anche se i rapporti di Taut con i suoi colleghi turchi all’Ac-
al posto di Hans Poelzig in seguito alla morte improvvisa di quest’ultimo poco prima del suo cademia non fossero sempre dei migliori43, il diario e le lettere dell’architetto indicano come
arrivo in Turchia37. Dopo aver ricevuto la notizia, Taut scrisse nel suo diario: “Bums!!!Schluss mit spesso fosse intensamente occupato, ma soddisfatto del suo lavoro 44, e come abbia avuto una
Japan” (Bum!! Fine del Giappone). Riferì di aver mangiato la sua ultima colazione e il suo ultimo vita appagante trovando la sua “patria” e “felicità” nell’architettura, non necessariamente in
pranzo con gli amici e di essere partito per la Turchia, il suo terzo paese in esilio, dopo un breve un nazione specifica 45. Taut fu anche uno dei primi architetti tedeschi il cui lavoro fu ampia-
soggiorno in Russia e tre anni in Giappone. Dieci giorni dopo, il 10 ottobre, Taut arrivò in Turchia. mente trattato nella rivista architettonica turca Arkitekt, dove i giovani architetti turchi avevano

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attaccato i loro colleghi “stranieri” per non avere l’educazione necessaria a creare la “nuova il Modernismo veniva percepito come una forma “universale” di espressione, allora dovremmo

LE TRADUZIONI DI BRUNO TAUT FUORI DALLA GERMANIA | Esra Akcan


architettura turca”. Taut, tuttavia, guadagnò rapidamente il loro apprezzamento, come sugge- poter parlare della reazione di un soggetto che fosse valutato dalla sua (di lei o di lui) capacità
risce la sua corrispondenza con Zeki Sayar, il direttore della rivista46. di mettersi al passo con questo Modernismo come stile. L’”imitazione servile di stili stranieri”
Taut progettò numerose scuole ad Ankara, Istanbul, Izmir e Trabzon. Questi progetti edificati e un nativismo “banale”, osservati da Taut come due paradigmi a fondo cieco dell’architettura
sono conosciuti comunemente come i suoi unici progetti in Turchia, eppure il suo diario e una moderna in Giappone e Turchia, possono giustamente essere interpretati come nient’altro che
relazione del Ministero dell’Istruzione indicano che lavorò su più di venti edifici, molti dei quali le due facce di questa stessa reazione. In questo caso il soggetto oscilla tra l’attrazione e la
rimasero in sospeso alla sua morte 47. Taut collaborò con diversi assistenti e colleghi tedeschi, resistenza nei confronti dell’”occidente”. Nella fase dell’”imitazione servile di stili stranieri”
come Grimm (che aveva lavorato nell’ufficio di Taut & Hoffmann), Mundt, Franz Hillinger (che c’era una connessione con l’”Occidente”, come sostituto del diritto negato di condividere questo
aveva lavorato con Taut per Gemeinnützige Heimstätten AG), Margarete Schütte-Lihotzky e concetto di “universalità”. Nella fase del nativismo “banale”, c’era una resistenza contro l’”Oc-
Wilhelm Schütte (che Taut stesso invitò in Turchia e collaborarono in un paio di progetti al cidente” o l’”universalità” che apparentemente rappresentava e una devozione nei confronti
Ministero turco dell’Istruzione) 48. Organizzò anche una grande mostra retrospettiva accolta delle forme tradizionali come sostituto di gloriosi passati trascorsi. Questi passati trascorsi
favorevolmente presso l’Accademia di Istanbul nel 1938 49. erano visti come non ancora guastati dalla sensazione di insicurezza. Trent’anni prima, Taut
Taut fu anche estremamente influente come insegnante e riformò un programma pedagogico per aveva osservato lo stesso dilemma che Frantz Fanon illustrò come le due risposte basilari ma
l’Accademia50. Come suggerisce il suo diario, Taut era in contatto con molti degli architetti turchi improduttive dell’algerino alla percezione dell’”inferiorità della sua cultura”. Il soggetto o “critica
giovani e affermati, lavorando a stretto contatto con loro sia all’Accademia sia nell’ideazione e la propria cultura nazionale negativamente “ o “si rifugia” in una sua appassionata difesa65.
disegno dei suoi progetti. Sempre dai suoi diari e lettere, si capisce che Taut parlava tedesco e
francese con i suoi colleghi turchi, e tedesco, francese e inglese con i suoi amici giapponesi, ma
aveva anche imparato un po’ di turco e giapponese. Taut morì improvvisamente nel dicembre
1938 in Turchia, poco dopo aver progettato il catafalco di Atatürk. Soffriva da tempo di asma51.
Quando Taut arrivò in Turchia si trovò sotto pressioni simili a quelle che aveva osservato in
Giappone. Come in Giappone, reagì contro la cieca copiatura di forme sia dal Modernismo
“occidentale” che da un passato anacronistico52. In Houses and People of Japan, Fundamentals
of Japanese Architecture (Case e Persone del Giappone, Fondamenti di Architettura giapponese)
e in New Japan. What its Architecture Should Be (Nuovo Giappone. Quale dovrebbe essere la sua
architettura), Taut aveva già denigrato esempi di Modernismo europeo importato in Giappone.
Passeggiare lungo la strada tra Yokohama e Tokyo fu per lui “una doccia fredda di delusione”,
a causa della “ridicola aspirazione alla modernità delle facciate di latta”53, delle “molte cose
brutte, molte cose ‘moderne’ e tanta spazzatura”, eredità di una “importazione frenetica di
civiltà occidentale”54. Invece di migliorare le condizioni strutturali, le opere moderne avevano
aumentato il rischio di terremoti e incendi nelle grandi città.55 Le case moderne non avevano
nulla della tradizionale sensibilità vernacolare per il clima56. Le statistiche dimostravano che un
terzo dei bambini in età scolare a Tokyo erano malati, a causa delle “case falsamente costruite”57.
Anche nelle sue pubblicazioni in Turchia, Taut non nascose la sua ostilità per simili pratiche 09 10
architettoniche. Criticò apertamente la “casa come una macchina”58, “architettura cubica” impor-
12.9. Bruno Taut. Piante della casa K, Germania, 1925. © Winfried Nerdinger, Bruno Taut, 1880-1938:
tata che “ha collocato scatole su aghi”59, grattacieli americani meccanizzati a scopo di lucro60, e
Architekt zwischen Tradition und Avantgarde, Stuttgart, 2001.
Modernismo “degenerato”61. Questo non significa che l’architetto difendesse una visione tradi-
zionalista. Era ugualmente contrario a una cieca “imitazione di vecchi stili” che era giustificata 12.10. Bruno Taut. Piante e prospetti. Casa dell’architetto in Ortakoy, Istanbul, 1938. © Winfried Nerdinger
& Manfred Speidel, Bruno Taut, 1880-1938, Milano, Electa, 2001.
come una reazione alla “imitazione servile di stili stranieri”62. In Giappone, Taut aveva concluso:
Ormai da più di settanta anni il Giappone sta importando la civiltà occidentale con tutta la Invece di percepire questo dilemma come una lotta tra due gruppi con posizioni contrastanti,
sua forza. Ma quello che è successo in questi anni non può essere paragonato a una crescita di solito è più utile concepirlo come una tensione che esiste simultaneamente in un individuo o
naturale... Bisognerebbe dare tempo ai giapponesi. Forse devono fare ancora più errori gruppo di individui. In altre parole, l’”imitazione servile di stili stranieri” e il nativismo “banale”,
prima di risolvere finalmente il loro problema di sintesi culturale. Verrà il giorno in cui una l’ammirazione e la resistenza nei confronti dell’”occidente” sono le due facce di una stessa condi-
pianta straniera farà radici nel nuovo terreno. Ma per il momento, l’entusiasmo per il gusto zione—condizione che definisco come la malinconia dell’”altro”66. Da una parte, la condanna di
straniero sarà seguito da reazioni corrispondenti nella direzione di un banale ‘Nipponismo’63. tutte le tendenze regionaliste per il loro sciovinismo e anacronismo avrebbe mancato di suggerire
La posizione di Taut in Turchia era simile. In lettere ai suoi amici giapponesi, l’architetto scrisse un’alternativa all’occidentalizzazione egemonica di contesti “non occidentali”. Con la condanna,
che “rimaneva fedele nel combattere contro” l’approccio architettonico “noto come cubico” in si sarebbe ignorato il potenziale strategico e di emancipazione nella promozione temporanea di
Turchia64. Le osservazioni acute di Taut sui dilemmi di base del Modernismo al di fuori dell’Europa espressioni regionali o nazionali in questi paesi. D’altra parte, sottolineando alcune identità in
non devono essere rapidamente liquidate come semplici generalizzazioni. Al contrario, le sue apparenza determinate in modo sempre più rigido, si sarebbe caduti in definizioni essenzialiste,
osservazioni possono essere teoreticamente suggestive nel rivelare condizioni tipiche. Finché miti delle origini, e il “non-occidentale” avrebbe continuato a essere segregato dall’”Occidente”.

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Taut aveva già messo in guardia i suoi colleghi dal pericolo di una omogeneizzazione globale

LE TRADUZIONI DI BRUNO TAUT FUORI DALLA GERMANIA | Esra Akcan


attraverso la modernizzazione71. Fu uno dei primi architetti a rendersi conto che lo Stile Inter-
nazionale stava stimolando la diffusione del Modernismo europeo, sostenendo il carattere
universale di una forma di espressione che originava da un’area limitata. Eppure, era anche
pienamente consapevole della minaccia reazionaria del nazionalismo che stava prendendo il
controllo di nazioni come il suo paese nativo. Mimari Bilgisi era piena di passaggi che critica-
vano duramente i sostenitori del nazionalismo, sia espresso in forme moderne sia in forme
storiche: “Sia che gli architetti siano costretti a creare un’architettura nazionale attraverso le
espressioni moderne come nell’‘Italia fascista’ o che siano costretti a utilizzare stili storici ...
entrambi i risultati sono disastrosi”72.
Allora come pensava Taut di riuscire a conciliare le due forze al cuore stesso del dilemma che
aveva svelato? Sebbene Taut fosse contrario al considerare il corpo dell’uomo occidentale
come una norma mondiale, era tuttavia profondamente convinto che l’architettura potesse
rappresentarne l’universalità. Mimari Bilgisi era un tentativo di definire i principi universali
dell’architettura in un modo che integrasse le differenze geografiche e culturali. Nelle esem-
plificazioni di “tempio greco”, “cattedrale gotica”, “moschea turca” e “casa giapponese”, Taut
definì i principi architettonici fondamentali come la tecnica, la costruzione, la funzione e infine la
proporzione, che, dal suo punto di vista, dominava gli altri tre73. Poi introdusse una categoria: il
clima, che potesse rispondere alle differenze geografiche. Secondo Taut, quasi tutte le condi-
zioni esterne dell’architettura erano in funzione del clima e, in ogni progetto, i quattro principi
astratti dovevano essere concretizzati per ottenere un edificio adatto al clima74. Taut affermò
che il clima non solo dava “una specificità, una tonalità, una coloritura musicale all’edificio”, ma
anche rispecchiava le differenze etniche nelle proporzioni del corpo e nelle espressioni umane75.
12.11. Bruno Taut. Casa dell’architetto in Ortakoy, Istanbul, 1938. © www.piramithaber.com. In altre parole, per lui il clima non era solo una questione funzionale, come per la maggior
parte degli architetti europei, ma un soggetto più ampio, perfino metafisico. La nozione del
Il suggerimento di Taut per risolvere questo dilemma fondamentale era niente di meno che una clima di Taut si distingue perché egli la concepì come una categoria che aiutava a raggiungere
aspirazione a costruire un’etica cosmopolita in architettura. l’universalità piuttosto che il regionalismo: “… più le forme architettoniche sono appropriate
per il clima, la luce e l’aria dei loro luoghi, più sono universali”76.
Verso una Weltarchitektur: Turchia, 1937-1938 Con questa affermazione, Taut suggeriva che la specificità del clima forgiava un’architettura
Nel corso del 1937, Taut annotò nel suo diario che stava lavorando al manoscritto di un libro che “universale”, che era “non-europea”, un’architettura che catturava quella che forse si potrebbe
ha più tardi descritto come la sua “grande opera”. Questo libro apparve originalmente in turco chiamare una universalità non eurocentrica. Secondo Taut, l’idea di natura era universale,
come Mimari Bilgisi (1938, Lectures on Architecture), poco prima della morte dell’architetto 67. poteva essere applicata in tutto il mondo, era la terra stessa. Il clima, invece, era sia un fatto
Poiché la versione tedesca, Architekturlehre, non uscì che nel 1977 e fu pubblicata senza illu- naturale, qualcosa di terreno, sia specifico di un posto. Di conseguenza, il clima era la base per
strazioni, la versione turca è l’unica che esprime esattamente le intenzioni dell’autore68. Taut in un’architettura universale non eurocentrica. Il suo soggiorno in Giappone e in Turchia lo portò a
questo libro critica soprattutto la generalizzazione dell’architettura moderna come stile globale: verificare i limiti geografici del Modernismo europeo e a sostenere una teoria dell’architettura
Il mondo sta diventando sempre più uniforme e omogeneo, proprio come i soldati che moderna che sfidasse le pretese universalistiche della modernizzazione (nel senso dell’im-
trasportano armi uguali in abiti uguali69. portazione del Modernismo occidentale), ma che comunque salvaguardasse una nozione di
Quando la tecnologia domina la casa, le macchine, le attrezzature, i servizi meccanici e cose universalità. Così Taut fu in grado di mantenere l’importanza che aveva assegnato alla natura
simili che si possono utilizzare ovunque nel mondo conquistano l’ambiente ... allora si arriva come guida per l’architettura già agli inizi della sua carriera in Germania77. Anche se allora non
a una situazione in cui gli edifici in tutto il mondo sembrano macchine che possono essere aveva elaborato una categoria di differenziazione in natura, interpretava ora il clima come il
utilizzate senza modificarne la forma in relazione al posto. Il risultato è un’architettura fattore che negoziava la diversità geografica.
comune [cihan mimarisi in turco, Allerweltsarchitektur in tedesco], cioè, gli innumerevoli Taut criticò coloro che rifiutavano le influenze straniere nel ringiovanire le norme locali78. Eppure,
edifici moderni le cui immagini vediamo in tutte le riviste.... L’architettura è quindi dinanzi sollecitava un’influenza straniera che fosse, diceva “senza falso internazionalismo, senza
a una tale devastazione che ci vorrà troppo tempo per recuperare. Se questa fosse solo uniformalizzazione (Weltuniformierung) del mondo, senza banalizzazione (Langweiligmachen)
una delusione estetica, non sarebbe troppo terribile. Tuttavia, la natura, nel nostro caso il della terra”, ovvero una ibridazione che “rendesse entrambe le parti più ricche” 79. In Mimari
clima, prenderà la sua rivincita su questa negligenza terrificante: presto si capirà che un Bilgisi, ha usato la parola Allerweltsarchitektur per criticare le tendenze omologanti dell’Archi-
edificio che è adatto a un paese non lo è a un altro70. tettura Moderna.80 Se Taut era contro l’internazionalismo e l’uniformazione del mondo, quale
La seconda citazione è una delle prime critiche di ciò che è stato successivamente chiamato parola è riuscita a fissare le sue intenzioni? Quale concetto potrebbe aprire un paese alle
Stile Internazionale. In Modern Architecture (Architettura Moderna) scritto nel 1929 in Germania, influenze straniere, senza assimilare completamente la sua prassi nazionale all’interno della

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prassi straniera? Può essere che la fattoria “cosmopolita” che Taut ha difeso così volentieri e all’interno ha un soffitto inclinato, come in una tomba sotto l’impero Seljuk. È circondata,

LE TRADUZIONI DI BRUNO TAUT FUORI DALLA GERMANIA | Esra Akcan


in Houses and People of Japan fosse un’anteprima di ciò che egli desiderava vedere rinvigorito inoltre, quasi su tutti i lati, da finestre ad altezza di tavolo con vista sul Bosforo.
dall’architettura contemporanea? La parola cosmopolita non solo garantisce l’apertura verso Piuttosto che nascondere le influenze straniere o addomesticare del tutto un’idea importata, o
l’estero, ma sfida anche le separazioni orientaliste tra “Oriente” e “Occidente”. La possibilità ancora, piuttosto che assimilarla e circoscriverla come se non fosse straniera, Taut fu esplicito
dell’esistenza di una “fattoria cosmopolita” deve essere stata la prova stessa contro la persi- nell’esprimere l’eredità del Giappone nella sua casa. Questa casa ha un effetto alienante, stranie-
stenza del divario geografico. Nelle sue parole, solo quando si “arriva a conoscere l’estraneità rizzante, ben diverso però da quello di altri edifici stranieri divenuti comuni in Turchia all’epoca del
nella propria natura” si può trovare la forza di spingere la “malinconia ... giù nella tomba che suo arrivo. In un paese fortemente recettivo alle influenze straniere provenienti dal suo Occidente
si merita”. Una cultura potrebbe sfidare la malinconia solo dopo essersi aperta all’estero con ma altrettanto reticente verso quelle provenienti dal suo Oriente, la costruzione di una “casa
“la convinzione che Oriente e Occidente si appartengono”81. giapponese” rappresentava sicuramente un gesto critico e originale. La casa integrava elementi
Il confronto franco e la denuncia finale di Taut delle percezioni degli Orientalisti circa i paesi non provenienti dalla Germania e dalla Turchia. La sua somiglianza ad altri due progetti di Taut del
europei, nonché delle conseguenze della diffusione del Modernismo europeo, lo hanno spinto 1925 in Germania (la sua casa a Dahlewitz e Haus K) non può essere passata sotto silenzio. Taut,
nella sua ricerca di un’etica cosmopolita. Se l’architetto criticò sinceramente la diffusione dello in tutte le case, diversificò le aree di servizio dalle principali sale abitative, le cui piante circolari
Stile Internazionale in paesi come il Giappone e la Turchia, fu altrettanto critico dell’ascesa servivano a catturare la maggiore apertura verso l’esterno. L’organizzazione tripartita della
dei discorsi nazionalisti. Nel tentativo di riconciliare la sua aspirazione a una serie di principi planimetria e le volumetrie della Haus K sono particolarmente simili alla casa in Ortakoy. In
architettonici validi universalmente con la sua aspirazione alla vitalità delle differenze culturali, quest’ultima, dispositivi per ombreggiare sostituiscono le terrazze. Di fatto più si guarda la casa
Taut sottolineò l’idea del valore determinante e cosmopolita del clima. L’abbozzo della teoria di Taut a Ortaköy da angolazioni diverse, più l’edificio diventa complicato. Da alcuni punti di vista,
alla quale stava lavorando cercava di distinguere Allerweltsarchitektur—definita come espor- i cornicioni pendenti su vari livelli sembrano pagode. Ma guardando da altri punti di vista, non
tazione dell’architettura moderna europea in tutto il mondo—dalla sua aspirazione per ciò che sembrano differenti dalle case vernacolari di Istanbul. Ci si rende conto che i cornicioni della
si potrebbe chiamare una Weltarchitektur cosmopolita. casa sono stati progettati come dispositivi di ombreggiatura per le finestre a doppia altezza degli
interni. L’uso dei dispositivi di ombreggiatura a metà livello di finestre a doppia altezza era in realtà
Personalità cosmopolita, casa cosmopolita (Istanbul, 1938) molto comune nelle costruzioni vernacolari tradizionali della regione, chiamate di solito “vecchie
A un europeo verrebbe mai voglia di costruire in Europa una casa giapponese con operai case turche”. In un’intervista a una rivista turca, gli venne chiesto di commentare la “casa turca
europei? Lavorare sul ponte tra le culture sarebbe possibile solo con una realizzazione moderna”. La sua risposta alluse a un Modernismo residenziale che esplicitamente condannava
cosciente delle singolarità straniere e mostrando come lo spirito umano operi in modo sia la copia delle case europee moderne, sia l’imitazione “kitsch” di quelle tradizionali. Suggerì,
logico e ragionevole anche se le sue concezioni possano essere diversissime da luogo a in alternativa, il filtraggio di entrambi i principi attraverso la categoria del clima. La definizione
luogo ... In questo modo diventiamo consapevoli dello spirito comune i cui vari risultati non di Taut della “casa turca moderna” era in realtà una descrizione di casa sua a Istanbul:
sono altro che la conseguenza di premesse diverse 82. [La casa turca moderna nascerà] quando gli architetti si libereranno dalla moda di stile
Di solito, al primo acchito, i visitatori rimangono scioccati quando vedono la casa che Taut cubico che qui è diventata una pratica comune. Solo allora i principi dell’architettura
progettò per sé a Ortaköy, Istanbul, nel 1938. Come la sua casa in Dahlewitz che fu costruita moderna saranno applicati con una mentalità aperta. Sia per le case che per alcuni altri
per incarnare i principi della “casa razionale”, la casa di a Istanbul colpisce come un po’ fuori edifici, sarà data priorità al clima, e quindi alcune delle caratteristiche della casa tradizionale
posto. L’edificio si erge sulle pendici che si affacciano sul Bosforo, come un faro che galleggia turca saranno messe in pratica automaticamente, come i cornicioni per l’ombreggiatura,
su un mare denso di alberi. La casa spesso sorprende per i suoi gesti simbolici. La popolazione le strutture tipo padiglione e le finestre a doppia altezza in ambienti con soffitti alti. Di
locale comunemente ne parla come della “casa giapponese”. Se gli strati multipli di cornicioni queste finestre, quelle in basso serviranno per la vista e la necessaria illuminazione per
sono intesi come riferimenti a pagode, che significato hanno esattamente in Turchia? Perché il la casa e quelle in alto daranno una luce armoniosa e dolce a tutta la stanza ... Di sicuro, si
Giappone in Turchia? Perché un riferimento a un qualsiasi simbolo da qualsiasi paese? Che cosa dovrebbero evitare copie precise. Altrimenti, questo tentativo si trasformerà in un romanti-
è successo ai progetti d’avanguardia ispirati da utopie espressioniste o ai progetti di edilizia cismo sentimentale, cioè un nazionalismo frainteso. Il risultato sarà un brutto manierismo
sociale con tetti piatti? chiamato kitsch85.
Come suggerisce questa citazione, Taut considerava la sua Casa a Ortaköy anche come una
Sulla base della discussione precedente, la casa di Taut (e altri progetti in Turchia e Giappone) continuazione particolare della memoria dell’architettura vernacolare in Turchia. Dal suo diario,
si può analizzare da una diversa prospettiva. Il senso iniziale di shock lascia allora il posto a si capisce che egli aveva appena studiato una tipica casa in legno nel suo viaggio a Edirne con
quello che può essere considerato, stranamente, tradizionalista e fuori luogo. Lo stesso Taut Celal Esat [Arseven],86 il più importante storico dell’arte all’Accademia, che fu uno dei primi a
riconobbe questo edificio come una importante realizzazione del suo pensiero più recente. Per richiamare l’attenzione sul termine “casa turca” come una categoria importante della storia
esempio, nelle sue lettere dalla Turchia a Walter Segal e Kurata, scrive del suo entusiasmo per dell’arte 87. Molto prima di lasciare la Germania, Taut aveva già incluso una lunga descrizione
“mostrare come applicare la teoria alla pratica”83 e per progettare edifici che spicchino come di una “oda (camera) orientale”, nel suo libro Die Neue Wohnung 88 . All’Accademia, aveva già
“esempi della mia comprensione dell’architettura di oggi”84. fatto conoscenza con il Seminario di Architettura Nazionale di Sedad Eldem. Nel suo diario,
Si entra nella casa dal retro e si passa avanti verso il soggiorno principale, ottagonale e con Taut parlò brevemente anche dell’idea di Eldem di milli mimari (architettura nazionale), basata
soffitti alti. La luce e la vista del Bosforo entrano dalle finestre che si trovano a due altezze sull’interpretazione modernizzata delle case vernacolari89. In particolare, le finestre a doppia
diverse attraverso lo spazio. La stretta scala di legno incassata in un angolo del soggiorno porta altezza della “casa turca” furono un argomento di interesse per Taut, che nel suo libro Mimari
su allo studio. Questa sala ottagonale più piccola sembra all’esterno come la torre della casa Bilgisi affermò che le proporzioni di queste finestre erano ispirate dalla natura.90

392 393
Conclusione Kant stesso originarono in un mondo dove la categoria moderna stessa di uno stato-nazione

LE TRADUZIONI DI BRUNO TAUT FUORI DALLA GERMANIA | Esra Akcan


Nel suo discorso di apertura all’Accademia di Istanbul Taut aveva legato la propria crescita non era ancora ben consolidata94 . Inoltre, Kant non intendeva promuovere uno stato unico
intellettuale all’influenza dell’umanesimo di Immanuel Kant91. È solo appropriato, dunque, che mondiale onnicomprensivo95.
Taut, avendo condiviso la città natale con Kant, si sforzasse di stabilire un’etica cosmopolita Vorrei tuttavia preservare la categoria dell’etica cosmopolita come aspirazione, anche se modi
nell’architettura. La sua teoria su quella che potrebbe essere chiamata Weltarchitektur non era per realizzarla, senza ripetere l’Eurocentrismo, devono ancora essere definiti. Questo cosmo-
né completa né una pronta soluzione avulsa dalla storia. Inutile dire che oggi sarebbe discutibile politismo non deve necessariamente essere idealista, assoluto o senza tempo, come a volte
glorificare la posizione di Taut come la “terapia” per la malinconia, come a lui sarebbe piaciuto è inteso nella versione kantiana convenzionale ma può piuttosto essere ridefinito come aspi-
vederla. L’eccessiva enfasi sul valore redentore del clima come una posizione critica dell’euro- razione storicamente costituita e cosciente raggiunta dopo l’esperienza, un “progetto”, dopo il
centrismo, anche se non del tutto irrilevante, è, naturalmente, un’esagerazione. Tuttavia, Taut fu riconoscimento delle trappole di ideologie o separatismi anti-cosmopoliti e restrittivi, basati su
uno dei primi architetti ad occuparsi dei problemi difficili di un mondo caratterizzato dall’aumen- nazione, etnia, razza o altro. In questo senso, un’etica cosmopolita che sarebbe rilevante per il
tare di connessioni e trattative tra diverse geografie. Quello che emerge dall’ultima fase della mondo di oggi è un’aspirazione per ciò che Bruce Robbins definisce come un “genuino impegno
carriera di Taut è la sua apertura a influenze ibride da una varietà di regioni e la sua disponibilità verso norme comuni e traducibilità reciproca”—un’aspirazione che vede le potenzialità nella
a tradurre queste influenze. Tuttavia, l’ibridismo di per sé non è sufficiente a distinguere la sua circolazione globale di merci, immagini e idee, in materia di immigrazione e di trasporto, vale
proposta teorica, né mostra adeguatamente la continua rilevanza di Taut. Suggerisco che il suo a dire nelle formazioni culturali ibride, ma non è soddisfatto con queste96.
contributo ancora coinvolgente vada inteso in termini di un’aspirazione cosmopolita. Contro le obiezioni che il cosmopolitismo deve imporre necessariamente valori modernisti
Vorrei quindi differenziare il concetto di artefatto ibrido da uno che incarna l’etica cosmopolita. eurocentrici, ho usato come controesempio un caso di studio moderno. Vale a dire, la simultanea
Definisco ibrido come un prodotto de facto dei tempi moderni in cui non ci sono risorse “nazionali aspirazione di Taut per un’architettura cosmopolita non eurocentrica può presentarsi come un
pure”, “occidentali pure” o “orientali pure” a causa delle costanti traduzioni tra paesi. Anche se esempio rappresentativo, anche se prematuro. Da un lato, l’etica cosmopolita e la pace perpetua
questa ibridazione è stata amplificata con la globalizzazione, non è sicuramente un fenomeno che Taut deve aver scoperto attraverso Kant erano il compito ultimo del Modernismo quale
recente, anzi la possiamo rintracciare tanto presto quanto ci permettono i nostri strumenti erede dell’Illuminismo. D’altro canto, molti degli scritti e progetti di Taut miravano a costruire
storiografici, anche se si è affermata in contesti politici ed economici diversi con intensità un’alternativa alle tendenze omologanti di quella che lui chiamava Allerweltsarchitektur, che
accelerata. Anche gli architetti del periodo moderno hanno tradotto lo straniero nel locale ha esportato il Modernismo europeo in tutto il mondo. È per questo motivo che ho interpretato
e il locale nello straniero in così tante occasioni, che dopo un po’ sono rimasti solo gli ibridi, l’ultima affermazione teoretica dell’architetto come una che lanciasse una sfida contro la moder-
rendendo necessaria una comprensione molto più sottile della traduzione. Le opinioni della nizzazione eurocentrica, non soltanto per l’ibridazione, ma anche per un’etica cosmopolita.
maggior parte degli architetti sono state plasmate dall’associazione locale o globale affidata
alle forme, piuttosto che dall’esistenza di forme pure locali o globali di per sé. Artefatti ibridi
testimoniano l’esistenza di traduzioni paradigmatiche tra paesi. Ce ne sono molte. Tuttavia,
l’essere un ibrido di per sé non impedisce la separazione ideologica tra “Occidente” e “non-  
Occidente”, né è un antidoto al nazionalismo sciovinista o all’etnocentrismo. Artefatti ibridi sono
i presupposti di un’etica cosmopolita, ma non sono in grado di realizzarla da soli. Ci sono molti
esempi storici di edifici (o qualsiasi tipo di artefatti) che erano ibridi espliciti e leggibili, ma che
erano bene connessi alle scioviniste ideologie nazionaliste ufficiali dei loro paesi o utilizzati
come strumenti di propaganda per le stesse ideologie. Avere una tavolozza mista di influenze
provenienti da numerose parti del mondo, non è certo un valore in se stesso nel mondo moderno.
L’ibrido sfugge al suo potenziale rischio di preservare ideologie separatiste o identità politiche
fondamentaliste solo quando è accoppiato con un un’etica cosmopolita, nel senso kantiano
del termine. Legge cosmopolita e ospitalità erano i due prerequisiti di quella che Kant chiama
“pace perpetua”, una pace che annienta la possibilità di qualsiasi guerra futura92. Collocata nel
contesto della sua opera complessiva, l’obiettivo di Kant non si può ridurre ad una semplice
formula legale per una federazione globale di stati legittimi, che si potrebbe erroneamente
ritenere conseguita in istituzioni soggette a fallire, come la Società delle Nazioni o le Nazioni
Unite. Piuttosto, l’aspirazione di Kant deve essere stata anche per un’etica che identifica la
risposta di un individuo all’idea di una comunità universale inclusiva. Sono consapevole che il
riferimento a Kant può sembrare, a prima vista, riportare l’affermazione gerarchica dei valori
dell’Illuminismo europeo. Il testo di Kant è stato contestato per numerosi motivi, soprattutto
per il suo eurocentrismo nascosto nel senso dell’aspirazione del filosofo a estendere le proprie
strutture giuridiche al resto del mondo, sotto la maschera della pace perpetua93. Molti critici
hanno anche giustamente messo in dubbio la rilevanza di questo testo per discutere un ordine
post-nazionale del mondo, se ce ne dovesse essere uno, poiché le definizioni costituzionali di

394 395
1
Bruno Taut, “Japans Kunst. Mit europäischen Augen gesehen”, Manoscritto del 1936, Nachlass Baukunst Sammlung, Akademie der Künste, Berlino; Bruno Taut, Houses and People of Japan

LE TRADUZIONI DI BRUNO TAUT FUORI DALLA GERMANIA | Esra Akcan


Taut, Baukunst Sammlung, Mappe 1. Nr 14. BTS 323. p.24, Akademie der Künste, Berlin. (1937), Tokyo, Sanseido Co. Ltd., 1958.
2
Per ulterionri discussioni su questa teoria della traduzione, si veda Esra Akcan, “Modernity in 13
Bruno Taut, Houses and People of Japan, op. cit. Il libro è stato pubblicato in inglese nel 1937
Translation. Early Twentieth Century German-Turkish Exchanges in Land Settlement and Resi- con adattamenti di Taut. La versione tedesca non uscì fino al 1997: Manfred Speidel (a cura
dential Culture”, Tesi dottorale, Columbia University, 2005 e la pubblicazion che ne ha resultato: di), Bruno Taut, Das japanische Haus und sein Leben (1937), Berlino, Gebr.Mann Velag, 1997.
Esra Akcan, Architecture in Translation : Germany, Turkey, and the Modern House, Durham, Duke “The Japanese House and its Homelife” è il titolo utilizzato da Taut per il prospetto del 1935. (Il
University Press, 2012. Si veda anche la ricca bibliografia sulla “traduzione” (nota #1) nella prospetto è ristampato alla fine della versione tedesca).
prima pubblicazione di questo saggio in New German Critique, n º 3, Autunno 2006, pp. 7-39. 14
Taut, Houses and People of Japan, ii.C
3
Il postmodernismo in architettura solitamente denota un significato diverso da “condizione 15
Ibid., p. 40.
postmoderna” (Jameson e Harvey) o “pensiero postmoderno” (Lyotard). Cfr. in particolare i 16
Ibid., p. 21.
primi manifesti del post-Modernismo in architettura, Robert Venturi, Complexity and Contra- 17
Ibid., pp. 5-8.
diction in Architecture, New York, Museum of Modern Art, 1966; Aldo Rossi, The Architecture of 18
Ibid., p. 175.
the City, Cambridge, The MIT Press, 1982 [1966]; Si veda anche Charles Jencks, The Language 19
Ibid., p. 75.
of Post-Modern Architecture, Londra, Academy Editions, 1987. 20
Taut, “Japans Kunst.Mit europäischen Augen gesehen”.
4
Bruno Taut, Lettere da Istanbul, Manoscritti in Nachlass Taut, Baukunst Sammlung, BT - Slg 21
Ibid., pp. 12-12.
- 01-9 bis 13, BT-SLG-01-142, Akademie der Künste, Berlino. 22
Esra Akcan, “Modernity in Translation”; Esra Akcan, “Melancholy and the ‘Other’” sul sito
5
Paolo Scheerbart, Glass Architecture, New York, Praeger, 1972 (tradotto da Glasarchitektur, www.eurozine.com.
1914), Bruno Taut, Die Stadtkrone, Jena, Eugen Diederichs Verlag, 1919; Bruno Taut, Alpine Archi- 23
Bruno Taut, “New Japan. What its Architecture Should be”, manoscritto del 1936, Nachlaß
tektur, Hagen, Folkwang-Verlag, 1919, Bruno Taut, “Ex Oriente Lux: Call to Architects” (1919), in Taut, BT-SLG-01-86, Baukunst Sammlung, Akademie der Künste, Berlino.
Tim e Charlotte Benton (a cura di), Form and Function, London, Crosby Lockwood Staples, 1975, 24
Questa informazione è tratta da una nota editoriale di Manfred Speidel: Bruno Taut, “Houses and
pp. 81-82. Si veda anche: Simone Hain, “Ex Oriente Lux”, in Vittorio Magnano Lampugnani e People of Japan “ [Ristampa del capitolo “What Now?”], in Daidalos 54, dicembre 1994, pp. 62-73.
Romana Schneider (a cura di), Moderne Architektur in Deutschland 1900 bis 1950. Expressionismus 25
Taut, Houses and People of Japan, pp. 259-60.
und Neue Sachlichkeit, Stoccarda, Verlag Gerd Hatje, 1994, pp. 133-160. 26
Ibid., pp. 262-263 (la sottolineatura è dell’Autore).
6
Rosemarie Bletter, “Bruno Taut and Paul Scheerbart’s Vision. Utopian Aspects of German 27
Ibid., pp. 177-8.
Expressionist Architecture”, tesi dottorale, Columbia University, 1973; Rosemarie Bletter, “The 28
La discussione inizia quando il signor Suzuki aggiunge al “catalogo dei nostri progressi” che
Interpretation of the Glass Dream - Expressionist Architecture and the History of the Crystal i giapponesi stanno diventando più alti. Taut contesta questa dichiarazione affermando che
Metaphor,” in Journal of the Society of Architectural Historians 40, marzo 1981, pp. 20-43; Rose- “la statura non ha nulla a che fare con il genio” e che né le proporzioni del corpo giapponese
marie Bletter,“Expressionism and the New Objectivity” in Art Journal 43, no. 2, Estate 1983, né il tradizionale modo di sedersi o dormire hanno necessariamente causato uno stile di vita
pp. 108-20. meno sano (rispetto all’Europa). Per avvalorare il suo punto, Taut dichiara che butterà via il
7
Taut, Die Stadtkrone, p. 82. suo materasso a molle e si sdraierà sulle stuoie al suo “rientro a casa”. (Taut non tornò più in
8
Taut, “Ex Oriente Lux”, pp. 81-82. Germania). Suzuki risponde: “Beh, devo dire che questo è divertente e interessante!.... General-
9
Boyd Whyte ha anche sostenuto che l’interesse di Taut per l’”Oriente” è direttamente legato mente pensiamo che il modo occidentale di vivere sia molto più sano. E qui arrivi tu, un europeo,
alla sua delusione per gli eventi europei precedenti e durante la prima guerra mondiale. Si veda a dirci il contrario. “ Ibid., pp. 261-62.
Ian Boyd Whyte, Bruno Taut and the Architecture of Activism, Cambridge, Cambridge University 29
Paul Bonatz portò Neufert in Turchia. Vorrei ringraziare Can Bilsel per questa informazione.
Press, 1982. 30
Bruno Taut, Houses and People of Japan, pp. 173, 193.
10
Bruno Taut, Die Neue Wohnung.Die Frau als Schöpferin (1924), Leipzig, Verlag Klinkhardt & 31
Ibid., pp. 206-8.
Biermann, 1928. Ristampato come Manfred Speidel (a cura di), Bruno Taut, Die Neue Wohnung. 32
Ibid., p. 121.
Die Frau als Schöpferin, Berlino, Gebr.Mann Verlag, 2001. 33
Disse, per esempio: “Così è stato il clima che ha costruito la casa giapponese, soprattutto
11
Taut notò anche come la divisione tra zona giorno e zona notte non esiste nelle camere (oda) l’estate ... Per mantenere il corpo nel suo normale equilibrio non c’è mezzo migliore della vita
delle case ottomane vernacolari. Questo era un’organizzazione che, suggerisce in seguito, in una casa giapponese ... Si dovrebbero altrimenti utilizzare apparecchiature costose per
potrebbe essere plausibile per piccole case operaie in Germania. Ibid., pp. 21-23. ottenere lo stesso effetto di ventilazione. Questa ventilazione, però, è artificiale e può essere
12
Bruno Taut, “Nippon, mit europäischen Augen gesehen,” Manoscritto del 1933, Nachlass utilizzata solo temporaneamente”: Taut, Houses and People of Japan, p. 72.
Taut, Baukunst Sammlung, Akademie der Künste, Berlin; Bruno Taut, “Die Architektur des 34
“Chi intraprendesse uno studio più approfondito del villaggio giapponese, non dovrebbe essere
Westens mit ihrer Bedeutung für Japan,” Manoscritto per la serie di conferenze del 9, 10, 12, bloccato da alcuna impressione di apparente ‘stranezza esotica’. Piuttosto, a eccezione di alcune
13, 16, 17 luglio 1934, Kaiserlichen Universität Tokyo; Bruno Taut, Fundamentals of Japanese specialità giapponesi come stuoie e finestre di carta, sentirà che tutti i tipi di case coloniche
Architecture, Tokyo, Kokusai Bunka Shinkokai, 1935; Bruno Taut, Japans Kunst, Tokyo, Verlag in tutto il mondo si riflettono nella fattoria giapponese .... La fattoria giapponese è quindi un
Meiji Shobo, 1936; Bruno Taut, “Japanese Village,” manoscritto (in inglese) del 1936, Nachlass enigma in sé stesso. È davvero degno di nota che qui, a differenza di qualsiasi macchinario di
Taut, BT-SLG-01-85, Baukunst Sammlung, Akademie der Künste, Berlino; Bruno Taut, “New guerra o di pace, si presenta un fenomeno culturale nato dal suolo stesso del Giappone, e che è
Japan. What its architecture should be”, manoscritto del 1936, Nachlass Taut, BT-SLG-01-86, assolutamente nazionale, anche se le varie forme di questa stessa cultura in tutti i suoi dettagli

396 397
e variazioni appaiano essere abbastanza internazionali”: Da Bruno Taut, “The Japanese Village” felicità? Risposta: nel costruire”, Bruno Taut, Lettera a Ueno, 9 agosto 1938, Nachlaß Taut. BT

LE TRADUZIONI DI BRUNO TAUT FUORI DALLA GERMANIA | Esra Akcan


manoscritto inglese del 1936, Nachlaß Taut. BT-SLG-01-85, Baukunst Sammlung, Akademie - SLG-01-13, Baukunst Sammlung, Akademie der Künste, Berlin.
der Künste, Berlino. 46
All’apertura della propria esposizione all’Accademia, Taut ebbe una breve conversazione con
35
Ibid., pp. 112-3. Sayar, che aveva scritto un editoriale critico degli “architetti stranieri” utilizzando uno schizzo
36
Ibid., pp. 116-117. dell’edificio di Taut per la Facoltà di Lingue, Storia e Geografia. Alla mostra, Sayar ringraziò Taut
37
Bruno Taut, “Tagebuch - Japan” manoscritto del 16 luglio1936 - 02 Novembre 1936. Nachlaß e dichiarò di essere interessato alla pubblicazione del progetto dell’ architetto per il Concorso
Taut, BTS 01-75, p.20-21, Baukunst Sammlung, Akademie der Künste, Berlino. per il Parlamento. Taut disse scherzosamente: “Enfin je suis aussi turc” (Infine, sono anche
38
Martin Wagner, Lettera a Walter Gropius, 29 agosto 1937, citata in Manfred Speidel, “Bruno turco), e il rapporto tra i due nel seguito migliorò. Oltre al progetto dell’esposizione, Sayar
Taut. Wirken und Wirkung, “in Atatürk için Düşünmek.Iki Eser: Katafalk ve Anıtkabir. Iki Mimar: pubblicò anche capitoli del libro di Taut, Lezioni sull’Architettura, come serie in Arkitekt: Taut,
Bruno Taut e Emin Onat, Istanbul, Milli Reasürans, 1997. “Istanbul Journal,” voce in data 4 giugno 1938, p. 125.
39
Paul Bonatz, Leben und Bauen, Stuttgard, Engelhornverlag Adolf Spiemann, 1950. 47
Relazione di Taut al Ministero della Pubblica Istruzione, Manfred Speidel Archiv.
40
Le seguenti biografie di Taut includono brevi informazioni sul periodo turco: Kurt Junghanns, 48
Bruno
​​ Taut, Lettera a Schüttes, 17 marzo 1938. Vorrei ringraziare Manfred Speidel per avermi
Bruno Taut, 1880-1938, Milano, Franco Angeli, 1978; Luciana Capaccioli, Bruno Taut. Visione e fornito questo documento.
Progetto, Bari, Delado Libri, 1981; Bettina Zöller-Stock, Bruno Taut. Die Innenraumentwürfe des 49
Conferenza pubblica di Bruno Taut a Istanbul in occasione dell’apertura della mostra dell’
Berliner Architekten, Stoccarda, Deutsche Verlags-Anstalt 1993. Tra i molti articoli che commen- architetto, il 4 giugno 1938. Pubblicato come Bruno Taut, “Ansprache zur Eröffnung der Taut –
tano le opere di Taut in Turchia, si veda Özer Bülent, “Casa dell’Anima/A House of the Soul”, Ausstellung” in Istanbul am 4.6.1938”, in Bruno Taut 1880-1938, p. 260.
in Domus 611, 1980, p. 28; Inci Aslanoglu, “Bruno Taut Wirken als Lehrer und Architekt in der 50
Taut cambiò il programma di Egli all’Accademia, e si concentrò su questioni sociali come
Türkei in den Jahren 1936-1938,” in Bruno Taut 1880-1938, Berlino, Akademie der Künste, 1980, progetti di case popolari: Sibel Bozdogan, “Against Style: Bruno Taut’s Pedagogical Program
pp. 143-150; Kristina Hartmann, “Bruno Taut im türkischen Exil”, in Der Architekt 2, gennaio in Turkey, 1936-1938”, e Bernd Nicolai, “Bruno Taut Akademiereform und sein weg zu einer
1992, pp. 111-117; Sibel Bozdogan, “Against Style: Bruno Taut’s Pedagogical Program in Turkey neuen Architektur für die Türkei”, in Ömer Gülsen (a cura di), Erinnerungen an Bruno Taut, op.cit.
1936-1938”, in Martha Pollak (a cura di), The Education of the Architect. Historiography, Urbanism 51
Le ultime parole che scrisse nel suo diario furono sui suoi studenti all’Accademia, per chiedere
and the Growth of Architectural Knowledge, Cambridge, Londra, MIT Press, 1997, pp. 163-192; il permesso di lasciarli lavorare nella scuola fino alle 9 di sera: Taut, “Istanbul Journal,” voce
Bernd Nicolai, Moderne und Exil. Deutschsprachige Architekten in der Turkei 1925-1955, Berlino, in data 13 dicembre 1938, p. 144.
Verlag für Bauwesen, 1998; Esra Akcan, “Öteki ‘Dünyanın Melankolisi.Bruno Taut’un Dogu 52
Alla conferenza per la sua mostra all’Accademia, Taut riassunse la sua posizione come una
Deneyimi”, in Domus, febbraio-marzo 2001, pp. 36-41. “ricerca di sintesi tra tradizione e civiltà moderna”: Da Taut, “Ansprache zur Eröffnung der
41
In una lettera a Hans Scharoun, Wagner ha scritto: “Bruno Taut qui non ha ricevuto compiti Taut - Ausstellung in Istanbul am 4.6.1938,” p. 260.
grandi o gratificanti. Ora sta costruendo solo una scuola ad Ankara, progetta due ministeri, 53
Taut, Houses and People of Japan, pp. 2-3.
un grande teatro dell’Opera per 1.200 persone. Ha anche contribuito un bel bozzetto per un 54
Ibid., pp. 53-54.
concorso per il Parlamento. Ma non è ancora certo che questi progetti saranno realizzati”: Da 55
Ibid., p. 239.
Martin Wagner, Lettera a Hans Scharoun, 30 dicembre 1937, Nachlaß Scharoun, Mappe. 6.3, 56
Ibid., p. 53.
Baukunst Sammlung, Akademie der Künste, Berlino, Martin Wagner, Lettera a Ernst May, 12 57
Taut, “New Japan. What its Architecture Should Be”, Bruno Taut, in Mimari Bilgisi, Istanbul,
marzo 1937, Nachlaß Wagner Doc. 26, Baukunst Sammlung, Akademie der Künste, Berlino. Güzel Sanatlar Akademisi, 1938. Versione tedesca: Tilmann Heinisch e Goerd Peschken (a cura
42
Martin Wagner, Lettera a Ernst May, 10 febbraio 1939, Nachlaß Wagner. Doc.26, Baukunst di), Bruno Taut, Architekturlehre, Hamburg, VSA, 1977.
Sammlung, Akademie der Künste, Berlino. 58
Taut, Mimari Bilgisi, p. 89.
43
Inoltre, molti dei suoi colleghi, come Asim Mutlu, Sedad Eldem, Rebi Gorbon, Eyup Kömürcü- 59
Ibid., p. 166.
oğlu e Zeki Sayar, sottolinearono quanto fosse forte l’influenza giapponese su Taut, non appena 60
Ibid., pp. 43, 157.
giunse in Turchia. Tuttavia, gli stessi architetti aggiunsero che presto manifestò anche interesse 61
Ibid., p. 166.
a conoscere il patrimonio architettonico turco (ottomano). Si veda Asim Mutlu, Anılarda Mimarlık, 62
Taut, Houses and People of Japan, p. 263
Istanbul, YEM, 1995; Ömer Gülsen (a cura di), “Erinnerungen an Bruno Taut”, in Bauwelt 75, n. 63
Ibid., p. 265 (l’enfasi è dell’Autore).
39, 1984, pp. 1675-1684. 64
Bruno Taut, Lettera a Tokugen Mihara, senza data, Nachlaß Taut, BT - Slg - 01 -145/2, Baukunst
44
Il diario di Taut a Istanbul mostra come abbia trascorso quasi tutto il suo tempo lavorando Sammlung, Akademie der Künste, Berlino.
su progetti di edifici o sulla revisione del programma di architettura dell’Accademia. Si veda 65
Frantz Fanon, The Wretched of the Earth, New York, Grove Press, 1963, p. 237.
Bruno Taut, “Istanbul Journal,” manoscritto, Nachlaß Taut, Mappe III, 18, Baukunst
​​ Sammlung, 66
Questo dilemma, secondo me, è causato dalla malinconia dello stesso soggetto “non occi-
Akademie der Künste, Berlino; Bruno Taut, Lettere a Karl e Li Crayl, Nachlaß Taut.BTS - 01-337, dentale”. L’oggetto perduto, che causa malinconia, rimane qui centrato sul diritto naturale di
Baukunst Sammlung, Akademie der Künste, Berlino; Bruno Taut, Lettere a Tokugen Mihara, appartenere alla condizione di “universalità” (un ideale dell’inizio del Novecento). L’oscillazione
Nachlaß Taut, BT - Slg - 01-141, Baukunst Sammlung, Akademie der Künste, Berlino; Bruno tra attrazione e resistenza all’”occidente” è simile alla condizione malinconica in cui l’ego freu-
Taut, Lettere a Isaburo Ueno, Nachlaß Taut, BT - Slg - 01 - 9 fino a 13, Baukunst Sammlung, diano oscilla tra l’amore e l’odio, nelle parole di Freud. Allo scopo di una discussione più mirata
Akademie der Künste, Berlino. sull’etica cosmopolita, dovrò tralasciare di discutere più in dettaglio la teoria della malinconia,
45
In una lettera a Ueno, Taut scrisse: “Dov’è la patria? Risposta: nel costruire. Dove si trova la ma per ulteriori spiegazioni si veda Modernity in Translation di Esra Akcan.

398 399
67
Parti del libro sono apparse in Arkitekt nel 1938. Anche se si trattava di un lavoro teorico, Taut “Perpetual Peace”, influenzò fortemente il giovane Taut: Rosemarie Bletter, “Bruno Taut and
fece riferimento a esempi storici da molte parti del mondo, tra cui Europa, Stati Uniti, Giappone, Paul Scheerbart’s Vision. Utopian Aspects of German Expressionist Architecture”.
Turchia e Africa: Taut, Mimari Bilgisi. 92
Immanuel Kant, “Perpetual Peace. A Philosophical Sketch”, in H. Reiss (a cura di), Political
68
Il libro è più tardi apparso sotto il titolo Architekturlehre (Lectures on Architecture) in tedesco, Writings, Cambridge, Cambridge University Press, 1991, pp. 93-130 [1795]. Per saggi informa-
anche se Taut può aver considerato di intitolare la versione tedesca Architekturgedanken (Thou- tivi, si veda soprattutto Allen W. Wood, “Kant’s Project for Perpetual Peace,” in B. Robbins e P.
ghts on Architecture), come suggerisce una lettera di sua moglie Erica a Isaburo. In un’altra Cheah, (a cura di), Cosmopolitics. Thinking and Feeling beyond the Nation, Minneapolis, University
lettera, menzionò quanto questo libro fosse importante per il marito: Erica Taut, Lettere a of Minnesota Press, 1998, pp. 59-76; Jürgen Habermas, in C. Cronin e P.de Greiff (a cura di), The
Isaburo, 1 Febbraio 1939, 10 Febbraio 1939, Nachlaß Taut, BTS-01-16 BTS-01-17, Baukunst Inclusion of the Other: Studies in Political Theory, Cambridge, The MIT Press, 2001, pp. 165-203;
Sammlung, Akademie der Künste, Berlino. Martha Nussbaum, in Jean-Louis Cohen (a cura di), For Love of Country: Debating the Limits of
69
Ibid., pp. 45-46. Patriotism, Boston: Beacon Press, 1996.
70
Ibid., pp. 85-86, versione tedesca, p. 69 (la sottolineatura è dell’Autore). 93
Cfr. ad esempio, Jacques Derrida, Adieu to Emanuel Levinas, Stanford, Stanford University
71
Bruno Taut, Modern Architecture, Londra, Studio Limited, 1929. Press, 1999; David Harvey, “Cosmopolitanism and the Banality of Geographical Evils”, in Public-
72
Taut, Mimari Bilgisi, p. 334. Culture, 12, 2000/2, pp. 529-64, Walter Mignolo, “The Many Faces of Cosmo-polis: Border
73
Ibid., pp. 4-5, 24. Thinking and Critical Cosmopolitanism”, in C. Breckenridge, S. Pollock, H. Bhabha, e D. Chakra-
74
Ibid., p.62. barty (a cura di), Cosmopolitism, Durham e Londra, Duke University Press, 2002, pp. 157-187.
75
“Quando si osserva l’espressione di un particolare viso [umano] in una massa di persone, è 94
Pheng Cheah e Bruce Robbins (a cura di), Cosmopolitics. Thinking and Feeling beyond the Nation,
sempre possibile affermare che quest’espressione è il risultato del clima. Le nazioni si sono Minneapolis, University of Minnesota Press, 1998.
adattate al clima e questo ha creato diverse espressioni. L’importanza di questo per l’arte della 95
Kant dichiarò che tale stato mondiale singolo si tradurrebbe in un “dispotismo senz’anima”:
proporzione è che queste espressioni sono riflesse in certa misura nelle proporzioni del corpo”: da Emmanuel Kant, “Perpetual Peace”, p. 112.
Ibid., p. 65, vedi anche p. 74. 96
Bruce Robbins, “Actually Existing Cosmopolitanism,” in Robbins e Cheah (a cura di), Cosmo-
76
Ibid., p. 92. politics, pp. 12-12.
77
Bruno Taut, “La Terra è una buona dimora”. Per saperne di più sulle idee di Taut sulla natura
si veda Rosemarie Bletter, “Bruno Taut e la visione di Paul Scheerbart. Aspetti utopici dell’ar-
chitettura tedesca espressionista”.
78
Già in “Japans Kunst”, Taut aveva sostenuto che un’architettura moderna feconda in Giappone
sarebbe stata il frutto di una sintesi con influenze europee: p. 206.
79
Ibid., p. 206.
80
Taut, Mimari Bilgisi, p. 46.
81
Taut, “Japans Kunst. Mit Europäischen Augen Gesehen”, p. 24.
82
Taut, Houses of People of Japan, p. 40.
83
Bruno Taut, Lettera a Walter Segal, 2 marzo 1937, citato in Speidel, “Bruno Taut. Wirken und
Wirkung”, p. 57.
84
Bruno Taut, Lettera a Kurata, 6 novembre 1937, citato in Speidel, ibidem.
85
Bruno Taut, “Türk Evi, Sinan, Ankara,” in Her Ay, no. 2, 1938, pp. 93-94.
86
Nella casa vernacolare di Edirne, Taut era interessato al principio di quello che ha definito
Wohnveranda (sofa semi-aperto) e lo spazio abitabile al secondo piano. Da Bruno Taut, “Istanbul
Journal”, nota in data 20 gennaio 1938, p. 95.
87
Djelal Essad, Constantinople.De Byzance a Stamboul, Parigi, Librairie Renouard H. Laurens,
1909; Celal Esad, 1912, in Dilek Yelkenci (ca cura di), Eski Istanbul, Istanbul, Çelik Gülersoy
Yayınları, 1989; Celal Esad, Türk SANATI, Istanbul, Akgam Matbaasi, 1928. Celal Esad Arseven,
L’Art Turc. Depuis son origine jusqu’à nos jours, Istanbul, Devlet Basimevi, 1939.
88
Taut, Die Neue Wohnung, p. 21.
89
Nel suo diario, Taut occasionalmente ha menzionato la posizione di Eldem sul “milli mimari”
(architettura nazionale). Per esempio: Taut, “Istanbul Journal”, nota in data 10 maggio 1938 e
30 giugno 1938.
90
Taut, Mimari Bilgisi, pp. 92-93, pp. 151-152.
91
Bruno Taut, “Ansprache zur Eröffnung der Taut - Ausstellung in Istanbul am 4.6.1938,” p.
260. Rosemarie Bletter suggerisce anche che l’umanesimo di Kant, elaborato in particolare in

400
Tra Dogon e Bidonville
CIAM, Team X e la riscoperta
degli insediamenti africani
Tom Avermaete 13
Il mio istinto mi dice che oggi ci sono alcuni che sono al di là del ciglio di una nuova sensibilità,
una sensibilità sulle città, una sensibilità su modelli umani e forme costruite collettive. Guar-
dando indietro agli anni Cinquanta, fu allora che è stato attraversato il baratro, fu allora che
la teoria architettonica si è scossa, allora che le scienze sociali all’improvviso sembrarono
importanti. Un cambiamento di sensibilità, penso ora, è quello di cui consisteva Team X1.

L’interesse significativo tra gli architetti che lavoravano in Europa e Nordamerica negli anni
Cinquanta e Sessanta per gli insediamenti urbani e rurali del versante mediterraneo del conti-
nente africano è un fenomeno ben noto. Le motivazioni erano diverse. Per un piccolo gruppo di
architetti europei l’Africa diventò un vero e proprio terreno di lavoro, spesso descritto come un
“laboratorio di sperimentazione”, in cui si potevano provare le più moderne concezioni architet-
toniche e urbane. Questo è stato, per esempio, il caso degli architetti francesi che erano attivi
in Marocco e in Algeria e poterono elaborare progetti sperimentali su tutti i territori coloniali
nel corso degli anni Cinquanta e anche dopo l’indipendenza2. Spesso questi progetti sono stati
pubblicati in autorevoli riviste di architettura come è esemplificato dai numeri speciali Maroc e
Afrique du Nord della L’Architecture d’aujourd’hui, rispettivamente nel 1951 e nel 1955.
Queste fonti secondarie sono diventate per un gruppo molto più ampio di architetti europei i vettori
attraverso i quali svilupparono un interesse per l’architettura africana. Oltre a periodici e libri,
grandi convegni internazionali come quello del 1953 del Congrès Internationaux d’Architecture
Moderne (CIAM 9) ad Aix-en-Provence e mostre successive come Neues Bauen in Afrika di Udo
Kultermann (1966, Berlino) sono stati propulsori importanti di questa nuova attenzione. Molti
viaggi di studio in Africa sono stati fatti sia da architetti professionisti europei e nordamericani
sia da studenti di architettura—viaggi che, il più delle volte hanno avuto grandi ripercussioni nelle
strategie di progettazione architettonica e urbana. In quel periodo emersero anche pubblicazioni
su insediamenti africani da una varietà di angoli metodologici, compresi i contributi di Erwin
Gutkind in Architectural Design sulle case indigene africane, articoli di Aldo van Eyck in Forum e
Architectural Forum sui Dogon, House Form and Culture di Amos Rapoport, altre pubblicazioni in
L’Architecture d’aujourd’hui e nell’importante periodico con sede a Helsinki Le Carré Bleu3. Nel
numero di gennaio 1965, si trova, con molti dettagli, l’analisi e il progetto del importante progetto
di Candilis-Woods-Josic per la città africana di Fort Lamy.
Questo rinnovato interesse per il continente africano è stato spesso dipinto come una curiosità.
È stato descritto come uno sguardo tardo-romantico e orientalista sull’Africa e discusso come
un momento di smarrimento in cui gli architetti europei e nordamericani hanno guardato l’ar-
chitettura tradizionale africana con l’aspettativa, errata, di trovare soluzioni per i loro problemi
moderni. Questa rappresentazione come un excursus marginale e insignificante nell’ambito
dello sviluppo dell’architettura moderna ha ingiustamente oscurato il carattere specifico e la
diversità di approcci inclusi in questo “rivolgersi all’Africa” —e più precisamente, alla sponda
africana del Mediterraneo.
A posteriori, questa concentrazione sull’Africa potrebbe apparire oggi come anacronistico. Gli
architetti olandesi, francesi e inglesi svilupparono un interesse per l’architettura vernacolare
dell’Africa a metà degli anni Cinquanta, quando stavano disegnando progetti architettonici e
urbani storicamente grandi e sofisticati per l’ambiente costruito nei loro paesi in fase di rapida
13.1. CIAM-Algiers, Roland Simounet and Michel Emery. Bidonville Mahieddine Grid [dettaglio], 1953.
modernizzazione. Eppure, vorrei sostenere che le pubblicazioni dei futuri membri del Team
© CIAM Archives, Institut für Geschichte und Theorie der Architektur / eTH Zürich.

403
X esemplificarono un importante cambiamento epistemologico nello sviluppo del movimento

TRA DOGON E BIDONVILLE | Tom Avermaete


moderno, che derivò dall’instaurazione di un rapporto più significativo tra pensiero architettonico
europeo e le realtà architettoniche africane. L’interesse di Aldo van Eyck per gli insediamenti del
Sahara, le riflessioni di George Candilis e Shadrach Woods sui villaggi tradizionali marocchini
sulle montagne dell’Atlante, e i film di Herman Haan sui villaggi e la cultura Dogon, sono solo
alcune articolazioni di questo rapporto.
Anche se questi esempi a prima vista sembrano paragonabili, i rapporti tra l’Europa e l’Africa
che suggeriscono sono piuttosto diversificati. È possibile vedere tutte quelle pubblicazioni come
casi di studio che ci permettono di distinguere tra almeno due principali correnti di attitudine nel
nesso Nord-Sud. In un tentativo di delineare all’interno del movimento moderno un’immagine
alternativa di questo interesse per l’Africa, il mio saggio si concentra su quello che può essere
considerato come uno dei protagonisti-chiave nel pensiero architettonico moderno degli anni
Sessanta, il Team X. Questo gruppo di “giovani turchi” che comprendeva, tra gli altri, Alison e
Peter Smithson dal Regno Unito, Aldo van Eyck e Jacob Bakema dall’Olanda e Georges Candilis
e Shadrach Woods dalla Francia, evocò una trasformazione importante nel pensiero dell’orga-
nizzazione CIAM e nel suo successivo crollo nel 19594.

Team X: nato da un interesse per il Sud


La storia dei giovani architetti del Team X non può essere raccontata senza riflettere sul ruolo
particolare giocato dall’Africa del Nord nell’ambito delle loro vicende. Dopo tutto, gli architetti
al lavoro in Marocco e Algeria modificarono radicalmente il corso del CIAM al 9° convegno nel
1953 ad Aix-en-Provence e gettarono le basi per quello che divenne Team X. Di conseguenza,
e senza esagerare, si può sostenere che il Team X sia emerso dalla creazione di una relazione
significativa tra il Sud e il Nord.
In particolare, le presentazioni ed i dibattiti legati al cosiddetto Reticolo o Grille CIAM accelerarono 02

la frattura tra i membri più anziani e quelli più giovani del CIAM. Nel 1946 Le Corbusier aveva intro-
dotto il sistema del Reticolo CIAM—una grande matrice composta secondo categorie CIAM fisse
che consentivano la presentazione di un progetto urbano moderno in modo standard5. Egli credeva
che il reticolo fosse uno degli strumenti con cui paragonare diverse soluzioni della progettazione
moderna e che quindi offrisse la base per trovare soluzioni universali per la città futura. Tuttavia,
invece di mostrare una progettazione iper-moderna per un nuovo quartiere urbano come si faceva
normalmente con i reticoli CIAM, i due gruppi che rappresentavano l’Africa del Nord al CIAM 9
scelsero di concentrarsi su un ambiente urbano completamente diverso: le cosiddette bidonvilles
o baraccopoli di Casablanca e Algeri. Questi insediamenti informali di baracche che sono stati
costruiti integralmente senza il coinvolgimento di architetti stavano sorgendo, infatti, a un ritmo
molto veloce nelle periferie delle città nordafricane a causa della modernizzazione coloniale.
Il gruppo CIAM-Marocco includeva una quindicina di architetti, tra i quali Pierre Mas, Michel
Écochard e Georges Candilis. Presentò due reticoli: Mas e Écochard il reticolo GAMMA (Groupe
d’Architectes Modernes Marocains) sulle Case Marocchine, e la presentazione Reticolo Habitat per il
maggior numero di ATBAT-Afrique preparata da Candilis6. Questi reticoli rappresentavano studi
sulla bidonville nota come Carrières Centrales nella città marocchina di Casablanca. Il reticolo
era composto di una lunga serie di schizzi, fotografie e collage che documentava le condizioni
di vita nella vecchia medina e nella bidonville, nonché dettagli sui programmi di ristrutturazione
presentati dalla Direzione di Pianificazione, compreso uno studio dei disegni per alloggiamenti
collettivi basati sul sistema del patio7.

13.2. Georges Candilis e Shadrach Woods. Panelli (selezione) della GAMMA Grid, presentati al CIAM IX,
Aix-en-Provence, 1953. © Ministère de l’habitat, photographic archives, Rabat.
13.3. CIAM-Algiers, Roland Simounet e Michel Emery. Bidonville Mahieddine Grid [partim], 1953. 03
© CIAM Archives, Institut für Geschichte und Theorie der Architektur / eTH Zürich.

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Il secondo gruppo di architetti dell’Africa del Nord—il gruppo CIAM-Alger sotto la direzione degli capacità di adattamento delle pratiche abitative tradizionali a colpire i giovani architetti europei

TRA DOGON E BIDONVILLE | Tom Avermaete


architetti Roland Simounet e Michel Emery—presentò il cosiddetto Reticolo Bidonville Mahieddine che commentarono su di esse nei testi dei pannelli.
nella periferia di Algeri. Il reticolo mostrava uno studio molto dettagliato delle ragioni per la Al fine di illustrare questo particolare punto di vista per quanto riguarda le pratiche socio-econo-
nascita dell’area, i problemi sanitari e di salute che metteva in evidenza, analisi fotografiche e miche della baraccopoli, gli architetti francesi invocarono una tradizione di ricerca antropologica
grafiche del modo in cui la bidonville era praticata, nonché proposte progettuali per le nuove che tra le altre si era sviluppata presso il Service de l’Urbanisme a Casablanca. Dopo la seconda
unità abitative che avrebbero dovuto sostituirla8. guerra mondiale, questi servizi urbani del protettorato francese avviarono ampi programmi di
Alison Smithson, uno dei partecipanti al CIAM 9, ha notato come entrambi i reticoli nordafri- ricerca su modelli abitativi indigeni in città e villaggi. Dal 1947 in poi, il Service de l’Urbanisme
cani causarono un gran subbuglio. La vera ragione di questo scompiglio, secondo Smithson, (Dipartimento di Pianificazione), istituì una metodologia di ricerca che consisteva principalmente
non si trovava nella composizione dei reticoli, che praticamente erano conformi alla standard di un’unità mobile o atelier ambulant—composto da un ingegnere, un progettista urbano, un
Grille, ma piuttosto nel loro contenuto effettivo9. In questi reticoli non vi era alcun riferimento a topografo e due disegnatori—che letteralmente viaggiava attraverso il paese per indagare la
forme pure, a estetiche attraenti e ricche di tradizioni architettoniche, ma piuttosto all’ambiente cultura abitativa in modo veramente etnologico11.
urbano disordinato di ogni giorno—le bidonville—che emerge dalla povertà e dalla necessità. La L’atelier ambulant può essere considerato come l’esponente di un diverso atteggiamento nei
presentazione della realtà ordinaria e spesso disprezzata del bidonville, come se si trattasse di confronti della progettazione architettonica e urbana. Se nel periodo pre-bellico lo studio era
un ambiente urbano prezioso, venne percepita da maestri moderni quali Le Corbusier e Gropius, stato il punto di partenza per il “maestro-architetto”, nel dopoguerra la realtà quotidiana del
come il superamento di un confine importante. In realtà, alcuni architetti della vecchia guardia terreno divenne il campo di azione iniziale per l’”architetto-etnologo”. Il Service de l’Urbanisme
del CIAM intesero questa presentazione come una deviazione negativa dal proposito originale introdusse un’idea di progettazione architettonica e urbana che prendeva come punto di partenza
del CIAM che comprendeva la delineazione di soluzioni di progettazione radicalmente moderne l’analisi approfondita e dettagliata delle tipologie di abitazione, delle loro logiche sottostanti
e universali. Al contrario, questa “deviazione” rappresentò l’inizio di un nuovo percorso per il e dei loro usi. Oltre ai disegni, il Service de l’Urbanisme utilizzò la tecnica relativamente nuova
movimento moderno per un gruppo intero di altri architetti, come Alison e Peter Smithson, Aldo della fotografia aerea per creare un inventario delle caratteristiche di ambienti quotidiani.
van Eyck e Jaap Bakema, Georges Candilis e Shadrach Woods. L’aspetto più interessante delle ricerche dei giovani architetti francesi è che essi non rimangono
  limitati al terreno degli ambienti rurali tradizionali. Gli spazi urbani quotidiani degli bidonvilles
La bidonville come sito di mediazione di Casablanca o di Algeri furono studiati in un modo etnologico simile attraverso disegni e foto-
Nei reticoli GAMMA-ATBAT-Afrique e nel reticolo Bidonville Mahiedinne, lo squallido ambiente grafie. Utilizzando questo approccio gli architetti di GAMMA/ATBAT-Afrique e CIAM-Alger furono
costruito degli bidonville di Casablanca e Algeri era al centro dell’attenzione. Non era un caso in grado di rappresentare il bidonville come la sostanza delle pratiche quotidiane di abitazione
che gli architetti francesi che non erano solo in viaggio, ma che lavoravano nel bel mezzo del e costruzione, come il materiale attraverso il quale gli abitanti lasciano le tracce simboliche e
territorio nordafricano, rappresentarono il bidonville principalmente come luogo di lotte quoti- spaziali più rudimentali nell’ambiente costruito. Il bidonville fu anche descritto come il luogo
diane con abitazione, malattie e condizioni igieniche. Anche se molti di questi architetti francesi di lotte simboliche e spaziali.
(spesso molto giovani) si erano trasferiti in Marocco e Algeria per realizzare le loro ambizioni Inoltre, questa particolare modalità di analisi ha anche consentito di ritrarre la baraccopoli
architettoniche sulla tabula rasa del territorio coloniale, non si può trascurare il punto di vista come un punto di incontro tra una cosiddetta “cultura tradizionale”, che faceva ancora parte
dell’empatia con la dura realtà del bidonville di cui sono testimonianza il reticolo GAMMA e il delle quotidiane abitudini abitative e la cultura moderna di città come Algeri e Casablanca con le
reticolo Bidonville Mahiedinne. loro case cinematografiche, automobili, negozi e industrie. I pannelli del reticolo GAMMA degli
A partire dalla prima guerra mondiale il bidonville o baraccopoli, una configurazione urbana architetti marocchini riconobbero anche certe qualità d’ambivalenza13. Ad esempio, gli archi-
emersa dalla migrazione di massa dalle aree rurali verso quelle urbane in via di rapida moder- tetti di ATBAT-Afrique sottolinearono che il bidonville rappresentava un cambiamento radicale
nizzazione, divenne una parte integrale delle città del Nordafrica come Casablanca e Algeri. Il nelle condizioni di tradizionale dimora rurale, come indica il pannello con il sottotitolo Cause
bidonville era la rappresentazione per eccellenza della situazione coloniale venuta alla ribalta psicologiche del movimento verso la città—Desiderio dell’individuo di fuggire dal patriarcato rurale?—
con il suo sviluppo ineguale di zone urbane (considerate solo come luoghi di fabbricazione e di Città=Eldorado?13 Allo stesso tempo, tuttavia, essi sottolinearono la qualità duratura della cultura
trasporto di prodotti) e aree rurali (considerate come territori vuoti che offrivano materie prime). abitativa tradizionale dentro l’ambiente urbano moderno del bidonville. Dimostrarono come la
Si tratta di una zona urbana in cui venivano assorbiti i nuovi arrivati ​​dalla campagna e in cui le tipologia con cortile imitava le tradizionali case con cortile sulle montagne dell’Atlas, mentre la
loro lotte quotidiane con l’abitazione divennero letteralmente visibili. Da relazioni del periodo loro integrazione in un tessuto urbano denso funzionava più come un ambiente urbano moderno.
sappiamo anche che il bidonville era spesso il luogo iniziale di protesta e di azione contro il potere Questa presenza contemporanea di elementi tradizionali e moderni all’interno dei quartieri
coloniale. Nel 1952, l’anno del 40° anniversario del Protettorato del Marocco e il momento in cui bidonville fece credere a Candilis e Woods che l’ambiente abitativo avrebbe potuto affrontare il
gli architetti ATBAT-Afrique perseguirono le loro iniziative di ricerca, il bidonville delle Carrières campo delle tensioni tra tradizione e modernità che la modernizzazione creava. E spiega perché
Centrales (chiamata ‘Karyan central’) fu al centro di sommosse contro il potere coloniale10. uno dei pannelli del reticolo GAMMA raffigurava i bidonvilles come interessanti “nuove forme
Su questo sfondo non è sorprendente che giovani architetti di sinistra e impegnati come Georges [che] appaiono in città industriali”.
Candilis e Roland Simounet rappresentassero la baraccopoli come un ambiente urbano rimar- La ricerca di nuove forme che corrispondessero a un nuovo modo di vivere fu al centro della
chevole a causa della persistenza e potenza simbolica dei modi di dimora e prassi di costruzione. ricerca da parte dei gruppi GAMMA e CIAM-Alger. Tuttavia, le risposte non vennero cercate
Pratiche abitative di preparare pasti, dormire, raccogliere, pratiche per la costruzione di all’interno della “grande tradizione vernacolare”, ricca e di lunga data, ma piuttosto nell’ambiente
baracche, così come pratiche collettive di raccolta, visita alla moschea e vendita di beni e prodotti vernacolare ordinario e transitorio della bidonville stessa—proprio a causa della sua capacità
alimentari, furono tutte raffigurate in grande dettaglio. Furono soprattutto la persistenza e la di mediare tra i modelli tradizionali e moderni di vita. Secondo gli architetti il bidonville apriva

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prospettive per ripensare futuri ambienti di abitazione su territori coloniali e oltre. Nel Reticolo

TRA DOGON E BIDONVILLE | Tom Avermaete


Bidonville Mahiedinne, il CIAM-Alger lo formulò in questo modo:
Qui, data la povertà dei materiali utilizzati, la casa è un’espressione spontanea di vita. Si
è modellata sull’essere umano, respira con lui e conserva, anche nella sua carcassa in
decomposizione, la dignità di linee e proporzioni vitali.
Ma la vita moderna comporta tecniche che, per ragioni di economia, portano a strutture
standardizzate sulla base di concezioni occidentali (échelle occidentale de vie). In un’epoca
in cui una civiltà meccanizzata sta permeando tutto il mondo, sarà l’Orientale in grado di
evitare di essere presi nella macchina e di preservare intatta la sua freschezza primitiva?
Sta a noi fornire gli elementi strutturali di base e indispensabili, che possono permettere
a queste persone di dare nuova espressione alle proprie concezioni tradizionali. E forse in
quell’espressione creativa anche noi ritroveremo di nuovo noi stessi14.
Al di là dei pannelli del Reticolo, i progetti e le realizzazioni presentati al CIAM 9 furono tenuti in
alta considerazione come “un nuovo modo di pensare” la città, i suoi quartieri, spazi e tipologie.
La mistura di singole case con patio (che venivano confrontate con le vecchie case delle medine)
e i tre alloggiamenti collettivi di ATBAT-Afrique, in contrasto con le bidonville adiacenti, furono
elogiati da Alison e Peter Smithson:
Consideriamo questi edifici in Marocco come il più grande successo dai tempi dell’Unité
d’habitation di Le Corbusier a Marsiglia. Mentre l’Unité era la somma di una tecnica di
pensare l’”habitat” che iniziò cuaranta anni fa, l’importanza degli edifici marocchini è che 05
sono le prime manifestazioni di un nuovo modo di pensare. Per questo motivo vengono
presentati come idee; ma è la loro realizzazione in forma costruita che ci convince che qui Il Sahara, il Dogon e il radicamento del grande vernacolare
ci sia un nuovo universale15. Nel 1953, l’anno in cui i due reticoli nordafricani furono presentati al Congresso CIAM 9, Aldo
Anche se non erano così ben adatte alle condizioni di vita dei musulmani marocchini, le nuove van Eyck pubblicò un articolo memorabile nella rivista olandese di architettura Forum17. In
“costruzioni fotogeniche delle Carrières Centrales ... denotavano un cambiamento di paradigma questo articolo, dal titolo Bouwen in de Zuidelijke Oasen (Costruire nelle Oasi del Sud), l’architetto
tra l’approccio universalista dell’architettura moderna e un’ambizione di adattarsi a culture e olandese presentò una relazione fotografica dei viaggi che fece insieme all’artista olandese
identità locali che hanno caratterizzato la generazione di Team X”16. del Cobra, Corneille, e all’architetto Herman Haan nel 1951 e nel 1952 in diversi insediamenti
nelle oasi del Sahara algerino. Van Eyck descrisse gli insediamenti tradizionali come i resti di
una tradizione di lunga durata che
non differiscono poi molto dalla situazione di cinquemila anni fa. Queste sono le stesse pietre
faticosamente formate (...), gli stessi spazi intorno a un cortile interno, la stessa intimità
embrionale, la stessa transizione assoluta del buio verso la luce...18.
Anche se l’interesse di Van Eyck per questa architettura tradizionale è stato spesso spiegato
come un interesse in forme architettoniche primarie, una questione centrale nel suo lavoro
all’epoca—e anche la caratteristica più importante del suo saggio—era la sua comprensione
degli insediamenti come articolazioni materiali di una “tradizione intelligibile”. I commenti di
Van Eyck sulle fotografie raffiguravano le strutture edilizie nel Sahara come il risultato di una
tradizione secolare di costruzione, radicata nella conoscenza di materiali e clima locali, che
tocca i bisogni umani fondamentali e che risulta in forme primarie di architettura.
Per Van Eyck la tradizione costruttiva degli insediamenti nelle oasi era tanto comprensibile
quanto le altre tradizioni architettoniche con cui si era confrontato nella sua formazione di archi-
tetto europeo. Inoltre, egli considerava questa intelligibilità complementare ad altre tradizioni
che il pensiero architettonico occidentale aveva portato alla ribalta: la tradizione classica e la
tradizione moderna. Questo diventò evidente nella presentazione che Van Eyck fece all’ultimo
congresso ufficiale del CIAM a Otterlo nel 1959. In questa riunione egli presentò un diagramma,
04
conoscuito come “i cerchi di Otterlo”. Per Van Eyck le due cerchi del diagramma illustravano
una critica dell’avant-garde moderna, che aveva:
13.4. Aldo Van Eyck. I cerchi di Otterlo, CIAM XI, 1959. © The Nieuwe Instituut, Rotterdam. ... insistito continuamente su ciò che è differente nel nostro tempo a tal punto che ha perso
il contatto con ciò che non è diverso, con ciò che è sempre essenzialmente lo stesso19.
13.5. Pagine dal saggio di Aldo Van Eyck, “Architecture of the Dogon”, 1961. Architectural Forum, settembre 1961.

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TRA DOGON E BIDONVILLE | Tom Avermaete
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Nel cerchio di sinistra (“da noi”), l’architetto rappresentò con tre fotografie tre tradizioni architet-
toniche: il tempio di Atena Nike sull’Acropoli di Atene, una costruzione moderna di Van Doesburg
e un gruppo di case nei villaggi di Aoulef nel Sahara algerino. Più tardi, Van Eyck avrebbe
indicato le diverse tradizioni rispettivamente come “immutabilità e riposo”, “cambiamento e
movimento” e il “vernacolare del cuore”. Il cerchio di destra (“per noi”) mostrava un gruppo di
uomini e donne a forma di spirale. Commentando questo cerchio scrisse:
Sono stato innamorato di tutte e tre per anni, con i valori divisi tra di loro. Non posso sepa-
rarle più. Semplicemente non posso. Si completano a vicenda, si appartengono. Aggiungete
San Carlo alle Quattro Fontane, non solo per evitare la trinità, e possiamo iniziare a ricon-
ciliarle, nell’essenza, non nella forma, in una sequenza infinita di possibilità che davvero
si adatta all’uomo20.
Con i suoi cerchi di Otterlo Van Eyck voleva suggerire e illustrare che, se l’architettura contem-
poranea tentava di rispondere all’identità umana completa, allora doveva impegnarsi con i valori
di base che le diverse tradizioni architettoniche avevano portato alla ribalta nel corso dei secoli.
I villaggi di Aoulef nel Sahara giocavano un ruolo chiave in questa prospettiva. Erano, secondo
Van Eyck, l’espressione di un’architettura che si impegnava direttamente con le aspirazioni e
le esigenze simboliche degli abitanti. Questo concetto di un “vernacolare del cuore” si sarebbe
ulteriormente sviluppato in due articoli nelle riviste Forum e Via, in cui i villaggi Dogon, costruiti
a partire da terra e fango, vennero utilizzati come esempi21.
In questi articoli Van Eyck illustrò la sua attrazione per il ruolo importante della mitologia
all’interno della società Dogon. Ispirato dal lavoro di antropologi come Marcel Griaule e Ruth
Benedict, spiegò come il tempo e lo spazio Dogon sono ripartiti con una grande varietà di
simboli22. I Dogon guardano al mondo come “un gigantesco organismo umano, e tutte le sue 07
parti come riproduzioni della stessa immagine su una scala più piccola o più grande”23. Per
13.6. Pagina dal saggio di Alison Smithson, “How to Recognize and Read Mat-Building”. © Architectural
Van Eyck, il modo Dogon di fare insediamenti rappresentava un modo di ritrovare una relazione
Design, 9, 1974.
significativa con l’ambiente costruito, un modo di localizzarsi o radicarsi dell’essere umano nel
13.7. ATBAT-Afrique (Georges Candilis, Shadrach Woods, Vladimir Bodiansky). Compagnie immobilière franco-
suo ambiente. A suo parere,
marocaine, edifici in altezza, Carrières Centrales, 1952. © Fototeca, Ecole Nationale d’Architecture, Rabat.

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come il territorio di una grande tradizione architettonica di tutti i giorni che rappresenta usanze

TRA DOGON E BIDONVILLE | Tom Avermaete


e organizzazioni di vecchia data. Gli insediamenti nel Sahara e i villaggi Dogon furono presentati
come ambienti costruiti che consistono di forme primarie significative, non unheimlich (inquie-
tanti) come la maggior parte degli ambienti abitativi europei, ma piuttosto abitabili e in una certa
armonia. Per Van Eyck questi ambienti costruiti erano riusciti “a risolvere problemi di competenza
tra uomo e cosmo, uomo e ambiente, uomo e uomo, e, infine, l’uomo in termini di se stesso”25.
Al medesimo congresso di Otterlo, Van Eyck mostrò un progetto di Piet Blom, un suo allievo
all’Accademia di Amsterdam. Il progetto era intitolato Le città saranno abitate come Villaggi; Van
Eyck aggiunse accanto a esso il motto vers une casbah organizée (verso una casbah organizzata).
In tal modo mise in discussione la tradizione occidentale come l’unico modo per risolvere i
problemi moderni e fece chiaramente riferimento agli insediamenti dell’Africa del Nord e al
loro valore di modello per la progettazione urbana contemporanea26.
08 10
Mat-Building
Le prospettive distinte sugli insediamenti africani, rispettivamente come siti di mediazione con
la modernità e “Grande Vernacolare”, portò anche a specifici concetti architettonici. A questo
proposito, l’articolo How to recognize and read MAT-BUILDING: Mainstream architecture as it deve-
loped towards the mat-building (Come riconoscere e leggere Mat-Building. Come l’architettura
tradizionale si è sviluppata verso il Mat-building) che Alison Smithson pubblicò nel 1974 in Archi-
tectural Design è rivelatore27. In questo saggio Smithson tentò di delineare la relazione tra certe
esperienze nell’architettura vernacolare africana e alcuni dei concetti architettonici e urbani
sviluppati da alcuni architetti del Team X in Europa. In particolare, Smithson definì la tendenza
architettonica di Mat-Building come segue:
Si può dire che il Mat-building incarnasse il collettivo anonimo, in cui le funzioni vengono
ad arricchire il tessuto, e l’individuo guadagna nuove libertà d’azione attraverso un nuovo
rimescolato ordine, basato sull’interconnessione, modelli di associazione interconnessi, e
possibilità di crescita, diminuzione e cambiamento28.
La possibilità per gli edifici di consentire l’appropriazione e di accogliere modifiche delle pratiche
edilizie è stata una delle caratteristiche più importanti del principio della teoria del Mat-Building.
Per sottolineare questa qualità, Smithson fece esplicito riferimento alle “lezioni” che erano state
09 ricevute da insediamenti africani:
Un’intercambiabilità ancora presente nella semplice città araba, in cui il cubo neutro contiene
13.8. ATBAT-Afrique (Georges Candilis, Shadrach Woods, Vladimir Bodiansky). Compagnie immobilière
franco-marocaine, Vista aerea delle Carrières Centrales, 1951-55. © Fototeca, Ecole Nationale
una cellula calma che può cambiare, da casa a laboratorio; da negozio di verdura a deposito
d’Architecture, Rabat. di paraffina, un vicolo di case in mezzo al quale c’è un fornaio, trasformato in un Souk dal
semplice espediente di aggiungere pezzi di tessuto sopra la strada pubblica ... al crescere
13.9. Georges Candilis, Alexis Josic, Shadrach Woods. Plastico del progetto di concorso per la Freie
Universität Berlin, 1963. © Avery Library Special Collections, Columbia University, New York. dei bisogni29.
Al di là di questa prospettiva Alison Smithson fece una distinzione tra due strutture Mat-building
13.10. Aldo van Eyck. Orfanotrofio comunale, Amsterdam (1955-1960).
seminali—l’Orfanotrofio di Aldo van Eyck ad Amsterdam (1957-1960) e la Freie Universität Berlin
© Oscar Newman, CIAM’59 in Otterlo: Documents of Modern Architecture, London: Karl Krämer Verlag, 1961.
(Libera Università di Berlino) di Candilis-Josic-Woods (dal 1963), perché questi due progetti rappre-
[i Dogon] hanno reso il sistema del mondo afferrabile, hanno portato l’universo nei loro sentavano un modo diverso di organizzare e comporre lo spazio. Mentre l’Orfanotrofio di Van
confini misurabili; hanno reso il mondo un luogo abitabile, hanno portato quello che era Eyck si basa sul cosiddetto “principio configurativo” che mette assieme strutturalmente elementi
‘fuori’, ‘dentro’24. architettonici simili, il Mat della Freie Universität Berlin dimostra un altro principio organizzativo:
L’interesse di Van Eyck per il vernacolare nordafricano, e più in particolare le connotazioni di nell’Orfanotrofio, è la ripetizione della “semplice monotonia”; nel Mat a Berlino, l’”apparente
radicamento che accolse nel suo discorso sul “vernacolare del cuore”, non può essere scollegato monotonia è l’ordine fondamentale”, scrisse Smithson30.
dall’alienazione portata dagli ambienti urbani del dopoguerra in Europa. L’effetto sulla gente di Innegabilmente, nel modello di densità che Alison Smithson indicò con la sua metafora per il
questa “architettura per il maggior numero” fu una delle principali preoccupazioni degli architetti Mat, la monotonia non è un problema. La densità è qui considerata come la tessitura inestrica-
del Team X. In risposta all’alienazione e al disagio psicologico, Van Eyck offrì un punto vista sul bile di diverse entità costruttive e funzionali a diversi livelli di scala, come può essere percepita
“Grande Vernacolare”—cioè, un vernacolare che trascende le sue origini modeste per essere in insediamenti tradizionali africani. Ella resta intesa come la capacità di intrecciare i diversi
qualcosa che è più della grandezza naturale. L’Africa del Nord è apparsa nelle sue pubblicazioni elementi architettonici e funzionali in un tessuto interconnesso. Alison Smithson riconobbe questo

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atteggiamento nella Chiesa di Pastoor van Ars (1970-1973), un altro progetto di Aldo van Eyck.

TRA DOGON E BIDONVILLE | Tom Avermaete


All’interno di un tradizionale volume architettonico chiuso, vennero contrapposte diverse figure
urbane: cappelle, strada in salita (“Via Sacra”) e luogo d’incontro (“Cripta”), tutti uniti nella forma
architettonica austera della chiesa31. Smithson riteneva che l’interrelazione e la tessitura di figure
urbane risultano nella capacità dell’edificio di invitare diverse forme di appropriazione e perciò
pratiche diverse. Precisamente, questa “sovrapposizione di modelli di consumo: la disgregazione
della rigidità attraverso questa mescolanza ... fanno di questa un gioiello di mat-architecture”32.
Allo stesso modo, la Libera Università di Berlino di Candilis-Josic-Woods è una mescolanza di
figure urbane e architettoniche. La sovrapposizione dello strato di tracés e lo strato di espaces
ouverts risulta in un tessuto ortogonale. Strade interne, piazze e ponti si intrecciano con gli spazi
a galleria, cortili all’aperto, terrazze e rampe. Il risultato è un intreccio primario o un tessuto di
elementi infrastrutturali. Tra i fili di questo tessuto primario, si può intrecciare una grande varietà
di entità architettoniche e programmatiche. Auditorium, uffici, laboratori e sale per seminari sono
annidati tra i percorsi infrastrutturali primari. Il prodotto che ne deriva è un denso pezzo di tessuto
urbano bidimensionale che sta a metà strada tra un edificio architettonico e un progetto urbano.
Durante i primi decenni dopo la seconda guerra mondiale, l’ambiente costruito in Europa occi-
dentale stava diventando sempre più soggetto al controllo dello stato sociale e della società dei
consumi. Quindi, per diversi architetti europei dell’avant-garde, la partecipazione attiva degli
abitanti nel loro ambiente fu considerata di primaria importanza. All’interno del circolo del Team
X, questa idea di partecipazione assunse forme diverse. Giancarlo De Carlo organizzò incontri
animati con i futuri abitanti del suo progetto a Terni, e Shadrach Woods scrisse manifesti con titoli
impegnativi come L’Urbanismo è un affare di tutti e Che cosa puoi FARE TU33. Nel caso dei progetti
di Mat-Building, la partecipazione fu intesa come il ritiro intenzionale del disegno architettonico
per aprire le possibilità di appropriazione e di identificazione. È da questa prospettiva che Alison
Smithson ha scritto che le fondazioni dense non erano da considerarsi solo come “il modello
vivente giusto per il nostro stile di vita, e per l’attrezzatura al suo servizio, ma anche … [come] i
simboli giusti per soddisfare le nostre aspirazioni culturali attuali”34.
Il Mat non simboleggia questa facoltà di appropriazione e di identificazione tramite precondizioni
linguistiche o attraverso l’adozione di un certo tipo di stile, ma piuttosto attraverso la sua stessa
materialità. È il tessuto del Mat, il suo materiale di spazi raggruppati e interconnessi, che simbo-
leggia la possibilità di appropriazione. Quindi, il Mat risulta essere una strategia di progettazione 13.11. Piet Blom. “Practical planning exercise”, progetto di studio, 1959. © Forum, vol. 15, nº5.
mirata, attraverso l’introduzione di una densità che era stata scoperta in Africa, a stabilire una
relazione più colta tra uomo moderno e spazio fisico. La concezione del Mat come un tessuto resse per il Sud nella cultura architettonica degli anni Cinquanta e Sessanta supera sguardi
urbano che invita l’appropriazione illustra una comprensione dello spazio costruito come una romantici, fascino e stupore, ma è piuttosto l’espressione di una ricerca fondamentale all’interno
piattaforma per pratiche spaziali, e il loro risultato. del movimento moderno, di un approccio all’ambiente costruito che vada al di là dei concetti
razionalisti occidentali.
Una nuova prospettiva sul movimento moderno I Dogon e il bidonville—il grande e l’ordinario vernacolare—rappresentano due facce di un ampio
Quando Aldo van Eyck sperimentò la presentazione dei due reticoli nordafricani al CIAM 9, li spettro di approcci agli insediamenti africani. Queste due facce mostrano approcci chiaramente
considerò come un punto di svolta che permise al CIAM di lasciare il suo ristretto punto di vista distinguibili, ma comunque condividono una base comune. Dopo tutto, proprio come Van Eyck,
occidentale. I verbali del congresso hanno chiarito che l’architetto olandese analizzò i Reticoli come gli architetti dei gruppi CIAM-Alger e ATBAT-Afrique/GAMMA erano alla ricerca di nuove forme
tentativi di scartare il pregiudizio razionalista occidentale al fine di ottenere l’accesso ai valori architettoniche che si sarebbero conformate alle aspirazioni e alle esigenze di un’abitazione
umani-generali arcaici che sono sopravvissuti nelle culture nordafricane. Van Eyck sostenne che: contemporanea. Tuttavia, mentre Van Eyck era alla ricerca di una dimensione simbolica nei
Attraverso sia i loro manufatti che i loro habitat, queste civiltà testimoniano la capacità valori duraturi dell’architettura Dogon—è utile ricordare che Van Eyck visitò anche gli insedia-
umana primaria per l’auto-espressione in forme elementari cariche di molteplici significati: menti indiani di Taos, New Mexico, negli Stati Uniti—gli architetti di GAMMA e CIAM-Alger si
forme pregnanti che danno voce contemporaneamente alla condizione naturale locale, a focalizzarono sul vernacolare ordinario del bidonville e la sua capacità di mediare tra tradizione
una struttura sociale e a visioni cosmologiche35. e modernità36.
Nonostante il tentativo di Van Eyck di proiettare la sua personale prospettiva sugli studi dei Questi approcci al vernacolare africano non rimasero limitati ai circoli del Team X. Attraverso
gruppi GAMMA e CIAM-Alger, è chiaro che entro i confini del Team X emersero atteggiamenti tutta la cultura architettonica degli anni Cinquanta e Sessanta sono apparsi e riapparsi come
molto diversi nei confronti del vernacolare africano. La storia del Team X dimostra che l’inte- elementi di definizione del nesso Nord-Sud, seppure in forme mitigate. La ricaduta sembra così

414 415
grande che potrebbe costituire uno degli elementi di base per una revisione sostanziale della  1 Peter Smithson, “The Slow Growth of Another Sensibility: Architecture as Townbuilding,” di

TRA DOGON E BIDONVILLE | Tom Avermaete


storiografia del Movimento Moderno come la conosciamo. Almeno ci ricorda che lo sviluppo del James Gowan (a cura di), A Continuing Experiment. Learning and Teaching at the Architectural
Movimento Moderno in architettura non è solo una questione di progetti d’avant-garde, ma anche Association, Londra, Architectural Press, 1973, p. 56.
di atteggiamenti nei confronti del vernacolare, così come di storie condivise di migrazione, di 2
Per un’introduzione a questi diversi progetti, si veda per esempio Udo Kultermann, Neues
incontro e di scambi tra l’Africa mediterranea e l’Europa.  Bauen in Afrika, Ernst Wasmuth, Tübingen, 1963, e Maurice Culot e Jean-Marie Thiveaud (a cura
di), Architectures Francaises Outre-Mer, Mardaga, Liege, 1992.
3
Si vedano ad esempio Aldo Van Eyck, “Bouwen in de Zuidelijke Oazen”, in Forum 8, nº 1, 1953,
pp. 28-38; Aldo Van Eyck, “Architecture of the Dogon”, in Architectural Forum, settembre 1961,
pp. 116-121; Aldo Van Eyck, “Dogon: mand-huis-dorp-Wereld”, in Forum 17, luglio 1967, pp.
30-50; Bernard Rudofsky, Architecture Without Architects: A Short Introduction to Non-Pedigreed
Architecture, New York, Museum of Modern Art, 1964; Georges Candilis, Shadrach Woods e
Alexis Josic, “Fort Lamy” in Le Carré Bleu, gennaio 1965, s.pg.; Amos Rapoport, House Form And
Culture, Englewood Cliffs, Prentice-Hall, 1969.
4
Per un’elaborata introduzione a questo gruppo si veda: Max Risselada, Max e Dirk van den
Heuvel, Team 10: A Utopia of the Present, Rotterdam, Nai Publishers, 2005.
5
Per una descrizione dettagliata vedere Eric Mumford, The CIAM Discourse on Urbanism,1928-1960,
Cambridge, The MIT Press, 2000, e Tom Avermaete, Another Modern: The Postwar Architecture
and Urbanism of Candilis-Josic-Woods, Rotterdam, Nai Publishers, 2005.
6
Il Reticolo era composto di cinque parti: 1. Introduction et bidonville di Mas, 2. Planification et
Urbanisme di Ecochard; 3. L’ordre et construction di Godefroy e Mas; 4. La concentration horizontale
di Beraud e Godefroy; 5. La concentration verticale di Bodiansky, Candilis, Kennedy, Piot e Woods.
7
Per un’introduzione al Reticolo GAMMA si veda Jean-Louis Cohen e Monique Eleb, Casablanca.
Colonial Myths and Architectural Ventures, New York, The Monacelli Press, 2002; Tom Avermaete
e Maristella Casciato, Casablanca Chandigahr: A Report on Modernization, Montréal, CCA, 2014.
8
Per una discussione del Reticolo Bidonville Mahiedinne vedere: Zeynep Çelik, “Learning from
the Bidonville,” Harvard Design Magazine, primavera/estate 2003, n. 18, pp. 70-74.
9
Alison Smithson, Team 10 Meetings, New York, Rizzoli, 1991, p. 19.
13.12/13. Georges Candilis, Shadrach Woods e Alexis Josic, pagine della pubblicazione del progetto “Fort
Lamy” in Le Carré Bleu, gennaio 1965, s.pg. © Le Carré Bleu.

416 417
10
Cfr. ad esempio Bruno de Rotalier, «Les yaouleds (enfants des rues) de Casablanca et leur
participation aux émeutes de décembre 1951», in Revue d’histoire de l’Enfance irrégulière, nº 4,
2002, pp. 20-28.
11
Per questo approccio specifico alle zone rurali si veda E. Mauret, «Problèmes de l’équipement
rural dans l’aménagement du territoire», in L’Architecture d’aujourd’hui 60, giugno 1955, pp.
42-45.
12
Per una descrizione elaborata si veda Monique Eleb, “An alternative to functionalist universa-
lism: Écochard, Candilis and ATBAT-Afrique”, in Sarah Williams Goldhagen (a cura di), Anxious
Modernism: Experimentation in Postwar Architectural Culture , Cambridge, The MIT Press, 2001.
13
Panel 208-I, Reticolo preparato dal Service de l’Urbanisme per il CIAM IX, Aix-en-Provence,
1953, in CIAM Collection al gta/ETH.
14
Reticolo Bidonville Mahiedinne, in CIAM Collection presso la Fondation Le Corbusier, Paris.
15
Da Alison e Peter Smithson, “Collective Housing in Morocco”, in Architectural Design 25, n° 1,
gennaio 1955, p. 2. Citato da Jean-Louis Cohen e Monique Eleb, p. 332.
16
Ibid., p. 339.
17
Sul lavoro di Aldo Van Eyck, si veda Francis Strauven, Aldo Van Eyck: The Shape of Relativity,
Amsterdam, Architectura & Natura, 1998.
18
Aldo Van Eyck, “Dogon: mand-huis-dorp-Wereld”, in Forum, luglio 1967, p. 53.
19
Francis Strauven, p. 350.
20
Ibid., p. 351
21
Aldo Van Eyck, Aldo, “Dogon: mand-huis-dorp-wereld”, p. 53.
22
Le fonti primarie di Van Eyck per capire questi villaggi furono il noto lavoro di Marcel Griaule e,
in particolare, Dieu d’eau: Entretiens avec Ogotommêli, Parigi, 1948; Marcel Griaule e G. Dieterlin,
“The Dogon”, in Daryll Forde (a cura di), African Worlds, Londra, 1954, pp. 83-110, nonché i
contributi di Griaule alla rivista surrealista Le Minotaure. Un’altra fonte di ispirazione fu il lavoro
dell’antropologa americana Ruth Benedict, Patterns of Culture, New York, Houghton Mifflin, 1934.
23
Geneviève Calame-Griaule, Ethnologie et language. La Parole chez les Dogon, Paris, 1965, p. 27.
24
Forum, luglio 1967; versione inglese in Via 1, 1968, p. 15 e anche ripubblicato in Charles Jencks
e Georges Baird (a cura di), Meaning in Architecture, New York, Braziller, 1969. Si veda anche
Aldo Van Eyck, “A Miracle of Moderation”, in Via 1, pp 96-125. Sulla presentazione di Van Eyck a
Otterlo, si veda Francis Strauven, pp. 346-54.
25
Aldo van Eyck, The Child, the City, and the Artist, 1962 (libro inedito ciclostilato), p. 252.
26
Eric Mumford, “The Emergence of Mat or Field Buildings”, in Hashim Sarkis e Pablo Allard (a
cura di), Le Corbusier’s Venice Hospital and the Mat-Building Revival, Monaco/New York, Prestel,
2001, pp. 66-67.
27
Alison Smithson, “How to recognize and read MAT-BUILDING. Mainstream architecture as it
developed towards the mat-building”, in Architectural Design, no. 9, 1974, pp. 573-590.
28
Ibidem.
29
Ibid., p.576.
30
Ibidem.
31
See Francis Strauven, Aldo Van Eyck. The Shape of Relativity.
32
Alison Smithson, “How to recognize and read MAT-BUILDING”, p. 575.
33
Shadrach Woods e Joaquim Pfeufer, Stadtplannung geht uns alle an. Urbanism is Everybody’s
Business. L’Urbanistica come problema di interesse collettivo, Stuttgart, K. Kramer, 1968; Shadrach
Woods, “What U Can Do, “Architecture at Rice, nº 27, primavera 1970.
34
Alison Smithson e Peter Smithson, Ordinariness and Light. Urban theories 1952-1960 and their
application in a building project 1963-1970, Cambridge, The MIT Press, 1970, p. 161.
35
Francis Strauven, Aldo Van Eyck, p. 255.
36
Cfr. Aldo Van Eyck, “De Pueblos”, in Forum 16, nº 3, pp. 95-114, 122-123

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