Sei sulla pagina 1di 26
GUIDO ALLINEY Fra Scoto e Ockham: Giovanni di Reading e il dibattito sulla liberta a Oxford (1310-1320) Nell’ultimo scorcio del XIII secolo Giovanni Duns Scoto, giovane baccelliere sentenziario a Oxford, sostiene la rivoluzionaria tesi per la quale il beato in patria, in presenza della stessa essenza divina, mantie- ne la propria capacita di scelta, sicché, prima dell'illapsus e della confirmatio, il beato, invece di abbandonarsi immediatamente all'amo- re verso Dio, pud astenersi da ogni azione. Venti anni pit tardi, in una lunga questione densa di spunti polemi- ci, Giovanni di Reading, fedele seguace di Scoto, ripete le stesse conclu- sioni, se pur con un linguaggio pid aspro. In questo ventennio trova posto l'avventura umana di Duns Scoto: ‘insegnamento a Oxford, Cambridge, Parigi, Colonia; I'elaborazione in forma teoreticamente pid sicura del suo pensiero; la creazione di un gruppo di discepoli devoti, anche se spesso critici. Se la morte lo coglie a Colonia, Parigi resta il luogo centrale della sua vita accademica, ed & infatti nella citta francese che il suo pensiero trova numerosi sia etitori sia continuatori pid innovativi: basti citare Francesco di Meyronnes, Giovanni di Bassoles e Guglielmo di Alnwick. Ma quando Reading, uno dei primi teologi a difendere in Inghilterra il pensiero del teologo scozzese, legge per la prima volta il Lombardo, gli si presenta una situazione ben diversa: a meno di qualche influenza spesso solamente terminologica, le dottrine di Scoto incontrano una dura opposizione nell'ambiente accademico oxoniense; gli stessi fran- cescani si mostrano ostili, restando maggiormente legati al pensiero di Enrico di Gand. A Oxford lo scotismo ha in realta da poco un difensore in Guglielmo di Alnwick, recentemente ritornato da Parigi: ma sul tema specifico della modalita della fruizione egli non si discosta dalle conclusioni pitt tradizionali. 244 GUIDO ALLINEY Su questo punto, invece, nel proprio Commentario Giovanni di eading si dichiara esplicitamente difensore delle tesi del maestro: non are per® avere alleati. Di fatto, nei vent'anni che intercorrono dalla tura scotiana a quella di Reading, nessuno sembra aver pil sostenu- to la contingenza della fruizione. Questo dato fa comprendere la lunghezza della questione readin- ghiana, e 'asprezza dei toni: il teologo si trova a fare i conti da un lato con una ormai consolidata tradizione francescana inglese che, certo evidenziando significative diversita, si richiama pur sempre alle tesi del andavense: basti citare Roberto Cowton e Riccardo di Conington. Yaltro lato perd egli deve guardarsi anche da certe dottrine di recen- te provenienza parigina, piti pericolose perché pid aggiornate e atten- fealle rationes scotiane, ma comunque convergent alla conclusione ge- nerale della necessita della fruizione in patria: si pensi al gia nominato Guglielmo di Alnwick, ma anche e soprattutto a Pietro Aureolo, E tuttavia Giovanni subisce contemporaneamente un ulteriore attac- co da parte di un giovane studioso di teclogia, Guglielmo di Ockham, ilquale formula una teoria piti radicale di quella di Scoto, avanzando persino Vipotesi della possibilita di un atto di odio verso Dio, e icollocando il dibattito su un piano affatto diverso, del tutto estraneo a quello indicato da Scoto. Costretta fra il forte tradizionalismo dell’ambiente accademico e la jodernita dell’approccio antimetafisico occamiano, isolata anche dai pochi teologi inglesi che in qualche modo si possono collegare allo scotismo, la voce di Reading si alzd dunque per un breve attimo, “inascoltata, per spegnersi subito. Il Commento del francescano trovd he puntuali di Ockham e di Walter Chatton, per es- sere presto dimenticato e, per uno strano gioco del destino, giungere a “noi, testimone di questa lontana querelle, attraverso un unico codice fiorentino. T. It propiema Ennoto come il pensiero antico e tardo antico manchi del concetto di volonta libera intesa come facolta spirituale distinta da ragione e istinti'. Del # Sul problema in generale si veda ad esempio G. Rvte, The Concept of Mind, New fork 1949 (trad. it. Lo spirito come comportamento, Roma-Bari 1982); R. Monoo.ro, GIOVANNI DI READING E IL DIBATTITO SULLA LIBERTA A OXFORD 245 resto, anche il termine ‘liberta' & usato solo sporadicamente, e per lo pid riferito o a uno stato d’assenza di servitd, e quindi inteso in un'ac- cezione politica, o a uno stato oggettivo di salute del corpo e alla cor- retta conoscenza delle conseguenze dell’azione. In questo secondo caso Yuso rimanda alla differenza che il sapere giuridico pone fra intenzio- nale e colposo?. A ragione Gilson puo percid affermare che Aristotele «non parla né di liberta né di libero arbitrio »*. L'esigenza di rifarsi ad un ordine esterno per la valutazione ogget- tiva dell’azione umana aveva impedito sia all'etica greca —e a quella del cristianesimo platonizzante dei primi secoli — sia a quella ebraica di giungere alla formulazione del concetto di volonta. Il pensiero gre- co coglie questo ordine nella razionalita del cosmo, in quella identita fra essere e pensiero che garantisce la presa teoretica sul reale: di qui Vottimismo greco, basato appunto sull’armonia fra uomo e natura; ma anche il pessimismo, stante Vincapacita della mente del singolo di com- prendere pienamente il processo cosmico. La Bibbia riporta l'eticita all'ascolto del comando divino, e all’obbe- dienza, collocandola cosi in una prospettiva non razionale:: 'adesione al piano divino del mondo non nasce infatti da una ricerca teoretica, né la capacita di fare il male segue lignoranza. Il diverso atteggiamento della cultura ebraica si fonda sulla cosmologia biblica, dove l'atto cre- atore é posto dalla volonta di Dio, il quale pud interferire in qualsiasi momento con lordine da lui stesso stabilito, ma da cui non é vincolato. Mentre nella speculazione greca Dio é la struttura razionale del co- La comprensione del soggetto umano nell'antichita classica, Firenze 1958; A. W. H. ‘Apxixs, Merit and Responsibility. A Study in Greek Values, Oxford 1960 (trad. it. La ‘morale dei Greci da Omero ad Aristotele, Roma - Bari 1987); E. R. Dovos, The Greeks and the Irrational, Berkeley - Los Angeles - London 1963; H. Jonas, Philosophical Essays: From Ancient Creed to Technological Man, Chicago 1974 (trad. it. Dalla fede antica all'vomo tecnologico. Saggéfilosofici, Bologna 1991); H. ARexor, The Life of the Mind, New York - London 1978 (trad. it. La vita della Mente, Bologna 1987); R. Soraait, Necessity, Cause and Blame. Perspectives on Aristotle's Theory, London 1980; A. Dinte, The Theory of Will in Classical Antiguity, Berkeley - Los Angeles - London 1982. fr. AneNpr, La vita della Mente cit., pp. 330-331; Diute, The Theory of Will p71; Soraen, Necessity, Cause cit., pp. 250-251; pp. 270-271 e pp. 292-293, anche per la differenza fra ‘libero’ e ‘volontario’ nel pensiero di Aristotele; Akins, La morale dei Greci cit., pp. 444 ss. SE, Giusox, Lo spirito della filosofia medievale, Brescia 1988°, pp. 369-370; cfr. anche Soren, Necessity, Cause cit., p. 250; ARENDT, La vita della Mente cit., pp. 326 ss 246 GUIDO ALLINEY smo, per la tradizione ebraica Dio, soggetto volente, da una struttura al cosmo, I comune rimando a una normativita esterna limita l'analisi dell’in- teriorita del singolo, ed é solo attraverso la riflessione paolina che que- st'ultima trova cittadinanza nell'etica‘. Nell’Epistola ai Romani Paolo scopre che il peccato nasce da un insanabile conflitto interiore, per cui «non faccio quello che voglio, ma faccio proprio quello che odio» (Rom 7, 15). L'uomo non pud adempiere alla legge perché nel suo animo vie una volonta scissa, incapace di rendere efficaci le proprie determina- zioni. La separazione del volere dalla sua efficacia, punto centrale del pensiero paolino, non é perd riducibile alla classica opposizione fra ragione e istinti: si tratta di una lotta fra due aspetti della stessa volon- 12, di un conflitto senza soluzione fra legge e peccato, che segue alla ca- duta e per questo non pud essere sanato dagli sforzi umani, ma solo dalla grazia divina. Quando non é pit sufficiente seguire i comanda- menti divini, che impongono azioni, ma @ necessario anche volerli se- guire, cio’ aderire volontariamente ad essi, appare nell’intimo dell’uo- mo la capacita di ribellarsi anche a cid che contemporaneamente si vuole fare. Ogni disposizione della volonta suscita nell'intimo una con- tro-volonta, « perché se alla volonta non si desse la facolta di dire ‘no’ non sarebbe pitt una volonta»5; ecco quindi che proprio la sua naturale iberta diviene ostacolo all'agire della volonta umana, e costringe al peccato, ma é al contempo condizione necessaria per raggiungere la salvezza, in quanto fondamento della responsabilita etica. E’ qui tutta Taporeticita di questo soggetto cos) difficile da trattare, e da essa na- sceranno le interminabili dispute scolastiche. Paolo non usa un termine inequivoco per la nozione di volonta; vig percid un sostanziale accordo fra gli studiosi che si sono occupati della genesi di questo concetto nell’attribuirne ad Agostino l'invenzione* Egli sviluppa infatti le intuizioni paoline, creando anche un lessico sufficientemente preciso, e assegna alla volonta un ruolo autonomo nel reciproco riferirsi delle facolta dell’anima, all interno di una psicologia tripartita in memoria, intelletto e volonta, costruita sul modello della Trinita divina, Collocata in questa nuova antropologia’, la volonta *Per questa ricostruzione della morale precristiana cfr. le opere gia citate, ¢ in particolare Dune, The Theory of Will cit. Aexor, La vita della Mente cit., p. 384. “Dine, The Theory of Will cit, p. 88 e p. 123, * Agostino, basandosi sulla nostra esperienza interiore del volere divino, assume GIOVANNI DI READING E IL DIBATTITO SULLA LIBERTA A OXFORD 247 mantiene al suo interno la divisione di un conflitto che le & proprio, le Confessiones testimoniano lo strazio di Agostino di fronte all'inspie~ gabile evento per cui «imperat animus corpori, et paretur statim; imperat animus sibi, et resistitur »: la caduta ha incrinato l'identifica- zione fra volere e potere che contraddistingueva lo stato edenico, € nella volonta prendono consistenza due aspetti distinti e egualmente attivi, il velle e il nolle. La libera volonta non é per® divisa solo in due nature, l'una buona, Valtra cattiva, ma in molte pit, dato che pud essere indecisa fra possibilita tutte riprovevoli (0 tutte encomiabili) ed egualmente desiderate; allora ¢ la volonta stessa che si deve unificare ponendosi autonomamente un fine’, «Le agostiniane fluttuazioni del- anima tra pit fini parimenti desiderabili sono qualcosa di completa- mente diverso dalle deliberazioni di Aristotele: queste ultime non con- cernono i fini, bensi i mezzi in vista di un fine che @ dato dalla natura umana.»*: cosi Hannah Arendt certifica la novita insita nella capacita di scelta della volonta agostiniana rispetto alla proairesis aristotelica. Si tratta di uno scarto tanto pit significativo in quanto investe proprio Yambito potestativo dell’azione volontaria che qui principalmente in- teressa, L’arbitrio che Aristotele concede all'individuo serrato fra le esigenze delle passioni e la cogenza della ragione, se pur importante novita nel panorama etico della grecita, non giunge ad un concetto moderno di liberta in quanto esclude dal proprio dominio la determi- nazione dei fini, e rimane strumento di quella naturale determinazio- ne per cui il fine ultimo é per tutti gli uomini e per ogni loro atto la fe~ licita. Se la psicologia di Agostino porta a tali conclusioni, non va dimen- ticato che su questa analisi si innesta la trattazione kerigmatica del destino umano, ove assume particolare rilevo la dottrina della grazia. La volonta, obietta Agostino a Pelagio, @ costretta a scegliere il male anche se lintelletto conosce il bene, dato che I'amore, il motore delle Ja Trinita come modello per la psicologia umana, mentre i padri della Chiesa, mag: giormente influenzati dal neoplatonismo, analizzano la Trinita in termini puramen- te ontologici, comprensibili dall’uomo attraverso uno sforzo intellettuale, e non tra- mite una spontanea adesione del volere: cfr. Diite, The Theory of Will cit. pp. 116-119 e pp. 123-127, Aucusrinus, Confessiones, VIII, 8-10 (CSL 27, pp. 126 ss.) Aner, La vita della Mente cit., p. 415, "Gilson nota come ela dottrina della grazia # penetrata nell’analisi del libero arbitrio e ne ha modificato la strutturas (Lo spirito delta filosofia cit., p. 385). 248 GUIDO ALLINEY azioni volontarie — Agostino lo chiama pondus animae, per intendere come esso ne sia la gravita — si é trasformato, con la cacciata dal Pa- radiso, in concupiscenza, e l'umilta che accompagna 'amore disinteres- sato @ divenuta superbia, incapacita di uscire dal proprio egocen- trismo'". Riprendendo Paolo (Rom. 9, 11), il vescovo di Ippona ribadisce che solo la grazia divina pud restaurare la liberta originaria, e consen- tire all'uomo di non peccare pitt. Questo punto della sua dottrina ha suscitato notevoli polemiche fra chi ha sostenuto di trovarsi di fronte alla distruzione della liberta, poiché l'uomo pud fare solo il male, e non il bene", e chi invece nega ogni opposizione fra grazia e liberta, in quanto solo la grazia conferisce all’uomo la libert&'* In realta si confrontano qui due significati ben diversi di ‘liberta’, termine polisemico e sfuggente: da un lato esso rimanda all'autodeter. minazione che I'uomo possiede per natura, e rispetta «il giustissimo sentimento dello stretto legame che unisce la liberta del volere con la sua efficacia»'*; dall'altro allude alla capacita di possedere la giustizia eimmortalita, perfezione che, se pur compromessa pro statu isto, pud essere acquisita per mezzo della grazia, e che garantisce l'eternita della beatitudine'’. Agostino tenta di controllare le fluttuazioni semantiche del termine introducendo la fortunata distinzione « ra il libero arbitrio dell’'uomo, il cui cattivo uso non ne distrugge la natura, ela liberta, che ne @ il buon uso stesso »'*; dunque, anche se la liberta & perita con il peccato del primo uomo, la volonta resta sempre dotata di libero arbi- trio, che le assicura il dominio sui propri atti”. E allora conseguente che l'intrinseca capacita di opporsi ad ogni determinazione, che carat- terizza la psicologia, e non l'ontologia come per i manichei, della cre- atura razionale, si stemperi infine, tramite il dono gratuito di Dio, nella "Duius, The Theory of Will cit., pp. 130-131, * Cosi ad esempio K. Fiascu, Agostino d'ippona. Introduzione all opera filosofica, Bologna 1983, p.214, eK. Jasrens, I grandi filosofi, Milano 1973, pp. 413-414 ep 445, ® Si veda fra gli altri W. Loewentcn, Augustin. Leben und Werk, Munchen ~ Hamburg 1965, p. 105; E. Gitsox, Introducione allo studio di Sani'Agostino, Casale Monferrato 1983, p. 190; F. ve Carrraxt, Studio introduttivo. Il problema del libero arbitrioe della liberta, in Savcri Avnet AvaUstisi De Libero Arbitrio Libri Tres, Mila. no 1987, p. 191 Gitsos, Lo spirito della filosofia cit, p. 378 ‘Per una classificazione dei vari significati del termine ‘iberta’ cfr. J. A Morriuer, The Idea of Freedom, New York 1958, pp. 586 ss. "*Guuson, Introduzione allo studi cit. p. 188 n. 5 "Agostino non resta sempre fedele a questa distinzione; su questo punto e sul GIOVANNI DI READING E IL DIBATTITO SULLA LIBERTA A OXFORD 249 felix necessitas del beato, e Agostino pud affermare che, se la prima li- berta @ poter peccare, I'ultima @ invece non poter peccare'* Va perd osservato che, di fatto, le differenze sostanziali fra le dottri- ne di Agostino e di Aristotele scomparvero del tutto nel corso della sco- lastica, tanto che le due auctoritates per eccellenza furono sempre pitt spesso citate assieme, a sostegno e conferma l'una dell’altra, Cid non accadde soltanto per la superficialita dei teologi medievali, ma anche perché lo stesso Agostino, nonostante le profonde osservazioni sull’in- teriorita umana, per un altro, vitale aspetto «rimane sul terreno delle scuole dogmatiche della filosofia antica»". Se infatti la desideranda necessitas ¢ ottenibile solo con aiuto divino, I'Ipponate tuttavia non dubita mai che tutti vogliano essere felici (cristianamente, beati), e che Ja naturalita di questo desiderio ne assicuri la realizzabilita, non discostandosi dunque dall’etica dell’eudaimonia tipica del pensiero gre- co. Ma proprio queste conclusioni, condivise con Aristotele, mostra- no come Agostino non portasse a pieno sviluppo le conseguenze impli- cite nel concetto stesso di volonta, riducendo I'indomabile conflitto interiore di una natura essenzialmente spontanea all'incapacita di una natura decaduta, ma comunque naturalmente determinata a volere il bene, il cui possesso solo garantisce la beatitudine. Questi aspetti sono certo ambedue presenti nella volonta, ma non si pud parlare di « volon- ta spontanea di un fine che gli é naturale »” senza ridurre davvero la li- berta a pura capacita di errare, privandola della capacit& progettuale che le @ caratteristica. Se nessuno colse alcuna tensione fra Etica Nicomachea e il De libero arbitro, cid & conseguenza del fatto che nes- suno, neppure Agostino, dubitd della forza necessitante della disposi- zione al bene presente nell’'uomo, senza pensare che cosi facendo si arrestava la lotta tipica della volonta davanti alla questione centrale, si disattendeva la pretesa, avanzata dalla volonta al suo nascere, di porsi autonomamente i propri fini, appiattendo di fatto la liberta significato del termine ‘liberta’ nel pensiero dell Ipponate & utile A. Taare, Introduzio- ne generale, La liberta: questione semantica, in Saxt’Acostino, Grazia e Liberta, Roma 1987, pp. XLIX-LXUL. “'auoustinus, De correptione er gratia 12, 33, in Io., Grazia e Liberta cit.,p. 164 Fasc, Agostino d’Tppona cit.,p. 60 ® Questo aspetto della psicologia agostiniana é generalmente riconosciuto e accet tato: cfr. oltre a Fasc, Agostino d’Ippona cit., p. 60, ad esempio Gitsox, Lo spirito delta filosofia cit., p. 368, e MoxooLro, La comprensione cit., pp. 496-497. "'Gutsow, Lo spirito della filosofia cit., p. 368. 250 GUIDO ALLINEY (progettuale) sulla liberta di scelta (fra possibilita gia date), riducendo insomma la liberta alla proairesis. Come é stato acutamente osservato da Henri Bergson, anche oltre il medioevo i filosofi che hanno creduto nel libero arbitrio «I'ont réduit a un simple ‘choix’ entre deux ou plusieurs partis, comme si ces partis étaient des ‘possibles’ dessinés d’avance et comme se la volonté si bornait a ‘réaliser’ I'un des deux»: @ tutto il pensiero occidentale ad essere segnato da un pregiudizio originario nei confronti di cid che @ contingente, cio? volontario, e a restare affascinato dall’immutabilita della necesita, dalla superiorita della teoresi sulla prassi. In base a questa concezione, la contingenza é un'illusione, cosi come la volont& stessa, e il futuro sempre gia contenuto nel passato come poten- ialita®. Nel linguaggio aristotelico-scolastico, cid equivale a dire che Ja volonta, in quanto principio attivo interno all’anima, seguendo la rigida dinamica aristotelica potenza-atto, solo indebolita dallo stato di natura lapsa che caratterizza il viator, si realizza compiutamente, € quindi necessariamente, nell'atto proprio, cio? nella volizione del bene, suo fine sempre gia dato™. Il pregiudizio verso la contingenza @ perd un retaggio delle metafisiche greche, platoniche come aristoteliche, che poco si accorda con la concezione biblica della storia che, si gia detto, sottolinea piut- tosto la volizione a-razionale del Dio vivente. Se Agostino, inventando il concetto di volonta, si fa interprete di un’antropologia non classica, sembra perd fermarsi dinanzi a questo pregiudizio, perché in ultima analisi la sua trattazione della grazia intende la contingenza come una caratteristica meramente negativa della volonta’. Nel solco del pensie- ro ebraico, invece, la contingenza potrebbe essere intesa in senso pit forte: come Dio crea ex nihilo il mondo, e lo governa in base a volizioni 2H. Bencsow, La pensée et le mouvement, Essais et Conférences, in Io. Euvres, Paris 1959, p. 1260, *Thid., pp. 1260-1261; si veda anche Jonas, Dalla fede antica cit., pp. 72-75; Anenpr, La vita della Mente cit., pp. 323-326, * Secondo una formulazione duecentesca: « Omnis potentia est ex se determina- ta ad suum proprium et formale obiectum » In realta nelle opere di Agostino si possono trovare riferimenti ad ambedue que- sti aspetti, che convivono senza soluzione strutturale: egli giunge a sostenere che la volonta sceglie con necessita cid che produce un maggior piacere (Episiolae ad Galatas expositionis liber unus 49, CSEL 84, p. 126), ma afferma anche che I'atto vo- Jontario @ un inizio assoluto che non rimanda ad alcuna altra causa precedente (De libero arbitrio 17 48, CCSL 29, p. 303). I teologi scolastici potranno casi, qualunque GIOVANNI DI READING E IL DIBATTITO SULLA LIBERTA A OXFORD 251 che non rimandano ad altro (si pensi a Giobbe), cosi l'uomo costruisce la propria storia con la (relativa) autonomia dovuta al suo stato creatu- rale. La contingenza diverrebbe quindi non solo segno dell'imperfezio- ne, ma anche dell’autonomia progettuale dell’'uomo. Se «non sorpren- de che i Greci non possedessero alcuna nozione della facolta della volonta, il nostro organo spirituale di un futuro per principio indeter- minabile e pertanto foriero di novita»*, certo sorprende di pit che le possibilita implicite nella nozione di volonta non siano state sviluppate per lunghi secoli di pensiero cristiano. Sul finire del XIII secolo la pitt ampia conoscenza dei testi aristo- telici, accompagnati spesso dai commenti dei filosofi arabi, modifica i riferimenti culturali dei teologi cristiani. L'influsso delle opere plato- niche e neoplatoniche si riduce, e la speculazione teologica occidentale sembra piuttosto tendere a identificare il Dio della Bibbia con il Dio del XII libro della Metafisica d’Aristotele. Tale evento non produsse di per sé una rivalutazione della contingenza, ma proprio perché si trattd di «uno dei paradossi pit strani nella storia occidentale » — cosi Lovejoy” — suscité tali e tante discussioni da rendere il cinquantennio a cavalie~ re fra il ‘200 e il 300 uno dei periodi pitt stimolanti e creativi della sto- Tia del pensiero. A seguito delle polemiche ¢ delle condanne che carat- terizzano soprattutto gli anni settanta del XIII secolo si giunge a una riflessione pitt approfondita e sul rapporto fra necesita e contingenza, cio’ fra intelletto e volonta, nel processo di creazione del cosmo; e sulla ‘amica e sui rapporti gerarchici fra le potenze dell’anima nell'uomo; la liberta diviene uno degli oggetti privilegiati delle investigazioni del periodo, e ben presto si dimostra insufficiente la fondazione ontologica della liberta generalmente accettata, basata sull’immaterialita del- Vagente. Lo sviluppo dottrinale & noto e ben studiato’’. Quello che qui interessa & che ancora negli ultimi decenni del secolo i dottori dei vari ordini colgono della lezione agostiniana solo la trattazione teologica della grazia, collocandola nell’involucro aristotelico della dinamica tesi vorranno dimostrare, sostenerla con appropriate citazioni agostiniane. ‘Anewor, La vita della Mente cit., p. 329; si veda anche Jonas, Dalla fede antica cit. pp. 87-88. ¥ A. 0, Lovesoy, La Grande Catena dell’Essere, Milano 1981, p. 12. Oltre agli studi sui singoli autori, per un primo inquadramento del problema cfr. 0. Lornin, Psychologie et Morale aux XII et XIIF sidcles, 1, Gembloux 1957, e an- che A. Sav Cristonat-Sesasrian, Controversias acerca de la voluntad desde 1270 a 1300, Madrid 1958, 252 GUIDO ALLINEY delle potenze attive, e dimenticano in questo schematismo le possibi- lita garantite dalla concezione paolina della liberta: neppure i pitt in- transigenti fautori dell'autonomia e dell’egemonia della volonta si discostano dalla communis opinio per cui questa si volge con naturale necessita al bene sommo quando le viene presentato dall'intelletto”. Nell’ambiente francescano parigino qualcosa comincia tuttavia a cambiare, e Pietro di Giovanni Olivi"® e Gonsalvo di Spagna”, investen- * Naturalmente la ricezione dell'Etica Nicomachea da parte del pensiero cristia- 10 medievale non fu del tutto priva di problemi, soprattutto per quel che concerne identificazione dell eudaimonia con la beatitudo, dato che la prima, in accordo con Aristotele, ¢ un’operazione naturale dell'intelletto, mentre la seconda & un atto volon- tario, necessitante la grazia divina: sullo sviluppo della questione, in particolare in Enrico di Gand, Pietro di Giovanni Olivi, Duns Scoto e Guglielmo d’Ockham, si veda A.J. CeLano, Act of the Intellect or Act of the Will: the Critical Reception of Aristotle's Ideal of human Perfection in the 13th and early 14th Centuries, «Archives Thistoire doctrinale et littéraire du Moyen Ages, 57, 1990, pp. 93-119 "Pietro afferma con chiarezza che « patet falsum esse quod quidam dicunt quod berum arbitrium non est respectu finis». Egli rifiuta infatti la determinazione na- turale al bene sommo perché ogni bene, anche imperfetto, pud essere oggetto della volonta, dato che «voluntas multos fines sibi de novo prestituat», e quindi «patet quod non est necessitata nec determinata respectu sui finis». In definitiva: « Angelus et homo in statu meriti potuit peccando a summo bono recedere», anche se non «post confirmationem suam> (II Sent. q. 57, in Peraus Ionawxis Ou1vi, Quaestiones in Secundum Librum Sententiarum, ed. B. JanseN, Quaracchi 1922—1926, Il, p. 359). In aperta contraddizione con Agostino ed Anselmo, Pietro prende in considerazione Vipotesi che la peccabilita sia fondamento della liberta umana, poiché questa diffe risce essentialiter da quella divina: «Sicut libertas creata differt essential libertate increata, sic definitio libertatis creatae debet in se includere different illam: hoc autem est quod est [...] quantum est de se mobilis et vertibilis et peccabilis» (II Sent. q, 41, ed. cit., 1, p. 696 e p. 698); altrove esplicitamente afferma: «Prout peccabilitas dicit possibilitatem competentem voluntati sine habitu ad contrarium determinante sumptae, sic est essentialis nostrae voluntatis (II Sent. q 40, ed. cit. 1, p. 688). L'ampiezza del debito di Scoto nei confronti delle dottrine di Pietro di Giovanni Olivi appare chiaro a chi legge, in II Sent. q. $7 ad 17 (ed. cit. TI, pp. 358-360), oltre alle conclusioni ora ricordate, la difesa della dignita della contin. genza in riferimento alle creature. Sulla teoria della volonta di questo teologo si veda F. Simonciou, If problema della liberte umana in Pietro di Giovanni Olivi e Pietro de Trabibus, Milano 1956, in particolare pp. 108-110, e E. Betron1, Le dottrine filosofiche i Pier di Giovanni Olivi, Milano 1959, pp. 398-466, ® Nelle questioni disputate a Parigi nel 1302-1303 Gonsalvo afferma che « finem possumus non velle et abducere» (Quaestiones de Quolibet q. 7, ed. L. Awoxo ‘Quaracchi 1935, p. 123); non é perd noto che cosa egli sostenesse nella sua lettura del Lombardo, avvenuta prima del 1288, dato che il Commento, se pur fu composto, & andato perduto (L. Aworos, Inivoduzione a Goxsatvus Hispanus, Quaestiones de Quoliber, ed. cit., pp. XXIV-LXV). GIOVANNI DI READING E IL DIBATTITO SULLA LIBERTA A OXFORD 253 do in pieno il nucleo centrale della dinamica potenza-atto applicata ai principi razionali, negano la necessita dell’assenso volontario al bene perfetto. A contatto con il pensiero di questi teologi si andd formando a Parigi la personalita filosofica di Duns Scoto; quando ritorna in In- ghilterra e commenta le Sentenze egli si fa propugnatore di questa dot- trina, ribadendola nelle successive lezioni parigine e nelle questioni quodlibetali che concludono la sua produzione testuale. IL, Duys Scoro Nessun teologo medievale ha mai dubitato della necessita che carat- terizza lo stato beatifico; ma nel passaggio dalla vertibilita caratteristi- ca del libero arbitrio defettibile dell'uomo pellegrino sulla terra all'immutabilita della libera fruizione del beato in patria, confermato € sostenuto dalla grazia, vi é una sottile zona d’ombra, e proprio que- sta fu il ogo degli accesi dibattiti trecenteschi che andiamo a ricostruire. La dottrina tradizionalmente accettata anche in ambiente france- scano supponeva che, « gratia stante et fine praesentato», la volonta fosse obbligata dalla propria natura ad un atto d’amore verso l'essenza divina. Come si @ gia avuto occasione di dire, si trattava della concezione agostiniana per la quale l’aiuto divino, infondendo habitus caritatis, rende il libero arbitrio postlapsario giustizia, cioé dirittura della volonta voluta per se stessa: in una parola, liberta. E appunto qui che si sviluppa la critica scotiana®: non é vero che la liberta umana & Per una prima introduzione alla teoria della volonta di Duns Scoto efr. in par- ticolare W. Hoeres, Der Wille als reine Vollkommenheit nach Duns Scotus, Minchen 1962 (trad. it. La volonta come perfecione pura in Duns Scoto, Padova 1976) e J. AUER, Die menschliche Willensfreiheit im Lehrsystem des Thomas von Aguin und Johannes Duns Scotus, Miinchen 1938, nonché: E. Loxpae, La philosophie du B. Duns Sco! Paris 1924; E. Gu.sox, Jean Duns Scot. Introduction a ses positions fondamentales, Paris 1952, pp. 574-624; E. Bertoni, Duns Scoto filosofo, Milano 1966, pp. 127-134 ¢ bp. 241-271; B, M. Bonansea, Man and his Approach to God in John Duns Scotus, Lanham - New York - London 1983, pp. 51-89 (trad. it. L'uomo ¢ Dio nel pensiero di Duns Scoto, Milano 1991); A. Vos Jaczn, Contingency and Freedom, in Jon Duns ‘Scotus, Lectura I 39, Dordrecht - Boston - London 1994, pp. 1-37. Studi particolari si ossono rinvenire soprattutto negli atti dei vari congressi scotistici internazionali: si vedano, ad esempio: I. Gnavan, The Idea of Freedom as a basic Concept of human Existence according to John Duns Scotus, in De doctrina loannis Duns Seoti, Acta Congressus Scotistici Internationalis Oxonii et Edinburgi 11-17 sept. 1966 celebrati, TL, Romae 1968, pp. 645-669; P. ScaPin, Il significato fondamentale della liberta divi. 254 GUIDO ALLINEY necessaria determinazione alla giustizia, ma @ invece capacita di scegliere in ogni momento, persino al cospetto dell’Essenza divina L'uomo libero non é un uomo zoppo, che pud perd camminare con la stampella della grazia, ma é un essere ontologicamente diverso dal suo creatore. Il teologo scozzese abbandona la prospettiva strettamente teologica per fondare sulla propria metafisica dell’univocita del concetto di essere” anche la teoria della volonta. E’ il centro del pensiero di Scoto: il concetto di essere, nozione comunissima attribui- bile a tutto cid che é diverso dal nulla, é predicabile univocamente di Dio e della creatura, restando indifferente, in questo primo momento d'analisi, ai modi del finito e dell'infinito. Scoto pone cosi la possibilita di parlare, se pur imperfettamente, dei concetti propri di Dio partendo da quelli umani, prima risolvendo, tramite l'esclusione di ogni imper- fezione, quest'ultimi in nozioni trascendentali univoche, per poi attribuire loro ogni perfezione, rendendoli cosi adeguati a Dio. Anche Ja volonta®, in quanto concetto generalissimo che sfugge all’analisi categoriale ed indica una perfezione attribuibile sia a Dio sia alla creatura, é un concetto trascendentale; proprio per questo essa, intesa come nozione comunissima, antecedentemente alla differenza modale fra essere infinito ¢ essere finito, @ indifferente alla necesita e alla contingenza. Se si realizza illimitatamente, la libera volonta assume le caratteristiche di assoluta necessita dell’essere infinito, mantenendo la sola distinzione formale nei confronti delle altre perfezioni divine. Nell’ambito del finito la volonta agisce invece con contingenza a causa na, in De doctrina loannis Duns Scott cit., I, pp. 519-566; R, Prentice, The Degree and Mode of Liberty in the Beatitude of the Blessed, in Deus et Homo ad mentem I. Duns Scoti, Acta Tertii Congressus Scotistici Internationalis Vindobonae 28 sept. 2 oct 1970 celebrati, Romae 1972, pp. 327-342 (cfr, anche Ip., The Voluntarism of Duns Scotus, as seen in his Comparison of the Intellect and the Will, «Franciscan Studies », 38, 1968, pp. 63-103); L. D. Roserts, John Duns Scotus and the Concept of human Freedom, in Deus et Homo ad mentem I. Duns Scoti cit., pp. 317-325 "Sulla metafisica di Scoto, oltre alle opere generali gia citate, si vedano: A. B. Wotter, The Transceridentals and Their Function in the Metaphysics of Duns Scotus, Washington, D. C., 1946; 0, Boutnois, Introduction. La destruction de Vanalogie ef Vinstauration de la métaphysigue, in Jean Dus Scot, Sur la connaissance de Dieu et Tunivoeité de Uézant, Paris 1988, * Per una ricostruzione pia approfondita del rapporto fra metafisica ¢ teoria della volonta in Duns Scoto si veda G. Autiney, La contingenza della fruizione beatifica nel- lo svituppo del pensiero di Duns Scoto, in Via Scoti. Methodologica ad mentem Joannis Duns Scoti, Atti del Congreso Scotistico Internazionale, Roma 9- 11 marzo 1993, II, Roma 1995, pp. 633-660. GIOVANNI DI READING E IL DIBATTITO SULLA LIBERTA A OXFORD 255 della minore intensita dell'essere, che non le consente di esplicarsi come perfezione pura: la contingenza ontologica fonda la contingenza operativa della volonta, che nell’ambito creaturale mantiene la propria essenziale instabilita, non pitt assorbita dalla perfezione dell'infinita divina. Pur non ascrivibile alla ratio formalis della liberta, la contingenza & dungue inalienabile caratteristica della finitudine: essa non é qui una imperfezione, ma piuttosto una perfezione in relazione al modo dell’es- sere finito. Per la creatura sarebbe infatti un'imperfezione la necessi 1a, perché non contrassegnerebbe la compiuta realizzazione della vo- lonta, ma piuttosto la perdita della costitutiva capacita di agire contingentemente che, nel creato, distingue gli agenti volontari dagli agenti naturali, La contingenza evidenzia dunque la capacita di operare autono- mamente nell’ambito etico che segna I'uomo, e non solamente la sua incapacita di giungere da solo alla salvezza. Il viator padrone del proprio destino, e, nel mondo creato, sufficiente a se stesso. La carita soprannaturale, se pur necessaria alla continuita della beatitudine, non lo é tuttavia, come riteneva invece Tommaso d’Aquino, alla produzione della volizione nei confroni dell’essenza divina: la volonta, infatti, 2 gid in grado ex naturalibus suis di volere Dio prima dell’infusione dell/habitus caritatis, poiché la caduta non ha leso la sua essenza, che daltro canto, insiste Scoto, non potrebbe certo essere modificata da qualcosa di esterno a sé, come é appunto la carita. La dignita della volonta umana é cosi sancita con forza: se la grazia la mette in grado diessere beata, é la volonta stessa che pud scegliere se voler essere tale, in base, & bene ripeterlo, alla perfezione relativa al proprio esse diminutum. A fronte dell'essenza divina, pur volta al bene dal suo fattore, e quin- di incapace di non volerlo con un atto positivo (nolle), la volonta & co- munque in grado di non volerlo (non velle) astenendosi dall’agire. A questa affermazione non segue una concezione della liberta come ar- bitrio irrazionale, poiché, se da un lato @ causa prima ed ultima delle proprie azioni, la volonta é tuttavia anche intrinsecamente razionale, tanto che Scoto stesso prevede le circostanze in cui essa si fissa con immutabile necessita sul fine ultimo. Quando infatti questo é colto intuitivamente, cio® quando lessenza divina & presente per illapsum alla mente umana, capace di coglierla solo passivamente, la volonta non scorge pid! motivo di allontanarsi da essa, che la attira come cau- sa finale, e non certo come causa efficiente. La confirmatio deve perd 256 GUIDO ALLINEY cementare questa scelta, altrimenti labile appunto a causa della creaturalita, della provenienza ex nihilo dell'uomo®. E’ stato detto che le teologie di Scoto e di Ockham, poiché «elimi- nano tutto cid che potrebbe limitare la volonta... favoriscono lo svilup- po della virtus individuale, lo scatenarsi delle passioni» dell’'uomo tar- do medievale*; se cid pud essere vero, certamente perd la concezione di liberta difesa dal dottor sottile rispetta soprattutto l'esigenza avan- zata, in Paolo e in Agostino, dall'interiorita dell'uomo cristiano. E’ pro- prio con Scoto che per la prima volta la filosofia occidentale da digni- ta alla contingenza intesa come spazio di agibilita dell'uomo nella storia, strutturalmente fondata sull ontologia stessa della creatura. Ed @ ancora Scoto che prevede, se pur con un semplice accenno, la possi- bilita per la volonta umana di porsi autonomamente i propri fini, rifiu- tando cosi alla base la concezione aristotelica di volonta*”. Dunque, B interessante notare come Riccardo di Mediavilla, temendo che la provenien 2a ex nihilo della creatura le impedisca di fissarsi immutabilmente, secondo la pro- pria natura, nell'amore per Dio, supponga che il vellfinem sia determinato da un atto divino speciale (Ricwanbus De Mrbiavi.ta, II Sen. d. 24a. 1 q. 2, Briviae 1591 Nachdruck Frankfurt a. M. 1963, 11, pp. 328.329; Il Sent. d. 38, 2q. 2, ed. cit. Mp. 468), mentre sia Pietro di Giovanni Olivi Pereus Toxnwis Oui Il Sent.g. 40, ed. cit 1, p. 688) sia Duns Scoto basano proprio sulla tenuita dell’essere creato la possibili- 18 di un atto inordinato nei confronti de fine ultimo. % J, Le Gorr, Il cristianesimo medievale in occidente dal Concilio di Nicea alla Ri: forma, in Storia delle Religioni, ed. H. C. Puscu, X, Roma - Bari 1977, p. 104 ™ Scoto distingue, in Ord. Id. 1 p. 1g. 1 n. 16 (Opera Omnia, Studio et cura Commissionis Scotisticae ad fidem codicum edita, Citta del Vaticano, 1950 s., II, 10), il fine hberamente posto dalla volonta dal vero fine e da quello ritenuto tale solo per un errore valutativo della ragione. Walter Hoeres a questo proposito ha rilevato come Scoto consider 'autodeterminazione dei fini un «elemento costitutivo essenziale alla volonta come perfezione pura, e come invece, per quel che riguarda la volonta uma- na, «chiami espressamente imperfezione Iattivita arbitraria della produzione dei fini ‘dove imperfezione deve essere presa nel senso di debolezza>», clot di incapacita di seguire l'intrinseca razionalita della volonta, e uindi di possibilita di progettare fini malvagi (Hosnes, La volonta come perfezione pura cit., pp. 141-143; fr. anche pp. 270 ss.). Anche Courtenay ha recentemente notato come per Scoto «things other than God could legitimately be loved for their own sake... they could be enjoyed and non simply ‘used’ in reference to a further volition directed towards God» (W. J. CouRTENAY, Between despair and love. Some late Medieval Modifications of Augustine's Teaching on Fruition and psychic States, in Augustine, the Harvest, and Theology (1300-1650). Essays Dedicated to Heiko Aug. Oberman in Honor of his Sixtietk Birthday, ed. K. Hactx, Leiden 1990, p. 17). Per questa «attivita del libero concepire disegni si veda anche Anewor, La vita della Mente cit.,p. 454; per I'influsso di Giovanni Olivi su Scoto Si veda supra, p. 254, nota 30. GIOVANNI DI READING E IL DIBATTITO SULLA LIBERTA A OXFORD 257 come ha efficacemente scritto Hans Jonas, per Duns Scoto «I'uomo eredita il ruolo di creatore e protettore dei valori, senza alcuna luce che guidi la sua scelta>®, Appare del tutto comprensibile, di conseguenza, Y'allarme suscitato da questa teoria nei teologi sostenitori di una concezione solo negati- va della libera volonta; non si tratta solo di dottori tomisti, o comun- que propugnatori di un'etica in qualche misura intellettualistica, ma degli stessi francescani, i quali non sempre e non ovunque accettarono Ja rivoluzionaria tesi scotiana. Per comprendere nelle sue linee essen- i il dibattito su queste conclusioni @ bene riportare brevemente le argomentazioni addotte da Scoto a loro difesa, e maggiormente discus- se nel periodo a lui successivo. Il teologo scozzese sostiene la superio- rita della volonta sull'intelletto, che @ una potenza naturale irraziona- le, perché naturalmente determinata — dalla logica argomentativa — al proprio atto, cio® alla comprensione del vero, Percid solo la volon- taé libera, in quanto non obbligata neppure dalla propria essenza a produrre un determinato atto. Dato poi che ogni principio attivo ope- ra solo in base alle proprie caratteristiche essenziali, senza essere in- fluenzato dall’oggetto a cui si volge, la volonta pone il proprio atto sem- pre con liberta, cosi come ogni altra potenza agisce con naturalita. Mentre dalla naturalita consegue immediatamente la necessita, questa implicazione non @ praticabile dalla liberta alla contingenza, in quan- to la liberta, nella sua ragione formale, @ indifferente sia alla necessi- ta sia alla contingenza, e assume I'una 0 l'altra caratteristica a secon- da che si esplichi nella modalita infinita o finita dell'essere. La liberta creata implica perd sempre contingenza: infatti, poiché la volonta umana non vuole con necessita il bene sommo in via (e questo & prova~ to dal fatto che altrimenti essa comanderebbe all'intelletto, suo suddi- to, di non presentarle altro, per poter restare cosi in continua contem- plazione del bene voluto), allo stesso modo agira nei confronti dell'essenza divina, dato che non pud cambiare il proprio modus agendi se non in conseguenza di una modifica della propria essenza®. Jonas, Dalla fede antica cit., pp. 92-98. Questa ricostruzione schematica del pensiero del dottor sottile & fondamental- ‘mente basata su Ord. Id. 1 p. 2 q. 2 (ed. Vat. Il, pp. 59-108), che riprende, amplia e corregge le argomentazioni di Lect. Id. 1 p. 2 q. 2 (ed. Vat, XVI, pp. 89-102) ¢ che, come si vedra, @il testo maggiormente frequentato dai dottori dell epoca, a discapi- to soprattutto delle Collariones XV e XVI, delle quali non pare siano mai citate né la lettera né le conclusioni 258 GUIDO ALLINEY Proprio su questo ultimo passaggio, dallo status viae allo status patriae, verteranno le critiche degli oppositori, i quali per lo pid trascu- reranno la fondazione sistematica del volontarismo scotiano per una disamina puntuale, ma troppo spesso fine a se stessa, dei singoli pro- cessi dimostrativi II. Rozerto Cowron, La reazione al volontarismo scotiano assunse, a Oxford, forme diver- se. Ancora a vent'anni dalla morte di Enrico di Gand vi era operante Vinfluenza della sua dottrina, importante riferimento per la speculazio- ne minorita inglese®, tanto da trovare in Roberto Cowton, energico op- positore del teologo scozzese, un eclettico ripropositore. Considerato propugnatore di un volontarismo per certi versi pitt in- transigente e radicale di quello di Scoto", in merito al problema della fruizione il Gandavense non si discosta tuttavia dalla soluzione tradi- zionale, ammettendo in ogni volonta una naturale disposizione al bene che rende necessaria la volizione del bene sommo®. L’apparato dimo- strativo messo in opera dal maestro secolare fa perno, fra I'altro, su alcune citazioni da Aristotele di uso affatto comune tra i teologi suoi contemporanei', Si tratta di luoghi instancabilmente riproposti per de- * Cfr. J. 1. Carto, Theology and Theologians 1220-1320, in The History of the University of Oxford, 1, The Early Oxford Schools, ed. J. . Carvo, Oxford 1984, p. 505, ce W. J. Courtenay, Schools and Scholars in Fourteenth-century England, Princeton 1987, p. 187. *'Prentice, The Voluntarism cit., p. 67, Cir. Hennicus De Gaxoavo, Summa a. 60 q. 1, Parisiis 1520, Reprint New York - Louvain - Paderborn 1953, Il, 154r R; Ip., Quodlibet I, a. 16, ed. R. Macken, Louvain 1979, p. 103, dove Enrico sostiene che la volonta naturalter habetquiescere nel sommo bene. © Qui si vuole solo sottolineare come il maestro di Gand, su questo punto preci- so, riproponga tesi consuete, e non si vuole negare l'importanza e loriginalita della sua teoria della volonta; su questa si veda: W. ScHosticeN, Das Problem der Willensfreiheit bei Heinrich von Gent und Herveus Natalis. Ein Beitrag zur Geschichte des Kampfes zwischen Augustinismus und Aristotelismus in der Hochscholastik, Dusseldorf 1927; E. Staprer, Psychologie und Metaphysik der menschlichen Freiket. Die ideengeschichtliche Entwickung zwischen Bonaventura wnd Duns Scotus, Miinchen 1971; R. Macken, Heinrich von Gent im Gesprach mit seinen Zeitgenossen iiber die smenschliche Fretheit, «Franziskanische Studien », 59, 1977, pp. 125-182; J. Decoete, Der Einflu8 der Willenpsychologie des Walter von Brigge O. F. M. auf die Willenpsychologie und Freiheitslehre des Heinrich von Gent, « Franziskanische Studien», 65, 1983, pp. 215-240 GIOVANNI DI READING E IL DIBATTITO SULLA LIBERTA A OXFORD 259 cenni: la scelta riguarda i mezzi e non il fine“; come Vintelletto assente necessariamente al primo principio, cosi la volonta vuole il fine ulti- mo*. Proprio la frequenza di queste citazioni conferma la generale ten- denza dei dottori del periodo a leggere Agostino attraverso Aristotele, disattendendone quindi, come si @ gia ripetuto, i pitt rilevanti aspetti innovativi rispetto all’etica classica Un elemento di novita si deve perd scorgere nell'approfondimento dell’analisi della necesita: se Aristotele, e poi Agostino, avevano esclu- so dalle azioni libere la necessita derivante dalla costrizione, Enrico precisa che cid non & sufficiente, poiché bisogna distinguere la neces- sita che precede l'azione, ¢ la determina - come nel caso degli agenti na- turali -, dalla necessita che é concomitante con I'azione stessa, e che la potenza si autoimpone nella produzione dell’atto - come nel caso del- le volizioni spontanee*. La terminologia adottata (necessitas praevia necessitas concomitans) & diversa, ma la soluzione proposta sembra ri- mandare allultima riflessione anselmiana, dove il vescovo di Canterbury, nel Cur Deus homo, tenta di conciliare la liberta di Dio con la cogenza della razionalita del suo agire, e, nel De concordia praescien- tiae et praedestinationis et gratiae Dei cum libero arbitrio, affronta il pro- blema della compossibilita fra liberta umana e prescienza divina: Anselmo distingue fra la necessitas antecedens, che determina una po- tenza all'azione, e la necessitas sequens, che certifica solamente I'esi- stenza di un fatto prodotto senza alcuna necesita”. II maestro di Gand pone una distinzione in qualche misura simile, e come Anselmo in tal * Anisroretes, Eth. ad Nic. IL 2 1111b 26-27; TT 3 1112a 27-28. *Anistorezes, Physica II 9 200a 15-16; Ip., Eth. ad Nic, VI 12 1151a 16-17. #Heynicus De Ganpavo, Summa a. 47 q. 3, ed. cit., If, ff. 27v-28v, ¥- Z. © ANSELMUS CanrUARENSIS, Cur Dews homo, II 17, in Io., Opera omnia, ed. F. S, Scuurrr, I, Edinburgi 1946, p. 125: «Est namque necessitas praecedens, quae causa est ut sit res; et est necessitas sequens, quam res facit, Praecedens et efliciens necessitas est, cum dicitur coelum volvi, quia necesse est ut volvatur; sequens vero et quae nihil efficit sed fit, est cum dico te ex necessitate loqui, quia loqueris » Anselmo ricava questa distinzione dalla Philosophiae consolatio di Boezio, il quale ne @ a sua volta debitore, nella sostanza, all'Aristotele del capitolo 9 del De interpretatione: si veda su questo punto F. Corvino, Necessitae liberté di Dio in Pier Damiani e in Anselmo d'Aosta, in Io., Studi di filosofia medievale, Bari 1974, pp. 116 ss. II vescovo di Canterbury sviluppa perd la dottrina boeziana, poiché nel Cur Deus homo «la necessitas sequens non & soltanto la necessita del principio di non contrad- dizione ... essa indica altresi la “necessita dellimmutabilita” del volere divino, per cui, se Dio ha inizialmente voluto qualcosa con un preciso proposito, deve poi compiere una serie di altri atti, perché quel proposito sia realizzato» (ibid, p. 118). 260 GUIDO ALLINEY modo approfondisce la distinzione fra la necessita degli agenti naturali e quella della volonta, reagendo cos! alla diffusa tendenza ad assimilare i due casi, evidente soprattutto nei teologi che maggiormente accolgono Varistotelismo nel proprio pensiero, come Tommaso d’Aquino, ma presente anche nelle opere di dottori francescani*. La soluzione del Gandavense é diversa da quella di Scoto, dato che non esclude la naturalita dall’azione libera, e ben piti moderata, poiché in definitiva riduce, per quel che riguarda il velle finem, la liberta al solo aspetto psicologico. Roberto Cowton®, dimostrandosi teologo assai poco originale, pro- pone soluzioni cautamente tradizionali, per poi citare tutto il lungo e *L’Aquinate avvicina il proprio concetto di liberta a quello di esercizio indi- sturbato della propria natura, riducendo la distanza fra volonta e natura, dato che & Ia forza naturale che Dio ha posto nella volonta a rendere necessario I'atto primo, esattamente come la gravita rende necessaria la caduta verso il basso di una pietra. Cir. Hones, La volonta come perfezione pura cit., p. 160 n. 52; efr. anche M. Scisavs, Der Liber propugnatorius des Thomas Anglicus und die Lehrunterschiede zwischen Thomas vor Aguin und Duns Scotus, Minster 1930, pp. 160 ss., dove l'autore anal zain questo senso un passo del De porentia (q. 10 2. 2 ad 5) dell’Aquinate, e, fra i tanti, J.1. Daty, The Metaphysical Foundations of Free Will as a Transcendental Aspect of the ‘Act of Existence in the Philosophy of St. Thomas Aguinas, Washington, D. C., 1958, p. 22, dove l'autrice sostiene che «will is the natural appetite of an intellectual being, and its freedom is entirely compatible with natural necessitation of the appetite to the ultimate end of man» “7 Si vedano ad esempio Ricuarous De Mepiavitia, II Sent. d. 38 q. 2, ed. cit., pp. 465-468, e Marruazus De Aquasranta, Quodlibet I, Quaestio Utrum aliquid bonum apprehensum sub ratione optimi necessario appetatur a voluntate, ed. F. Simonciout, in Ib., Il problema cit., pp. 233-234, dave ambedue i teologi pongono un parallelo fra la necessita della volonta verso il bene sommo e quella di un grave «determinatum ad ‘motum deorsum ». Ovviamente, qui come in Tommaso, non si tratta di confusione fra ali agenti naturali e la volonta, ma piuttosto della tacita accettazione della completa naturalezza e cogenza della tensione umana verso il bene, che & il luogo naturale de! anima cosi come il centro dell'universo lo @ della pietra: da qui la possibilita det paragoni succitati Roberto Cowton, francescano coetaneo di Scoto, ebbe notevole fama a Oxford, tanto che il suo Commento, composto intorno al 1311-1312, fu riprodotto in numerosi manoscritti e studiato fino al secolo successivo. Sulla vita e le opere di Roberto cfr. H. Tuerssixc, Glaube und Theologie bei Robert Cowton OFM, in Beitrage zur Geschichte der Philosophie und Theologie des Mitielalters, XLII, 3, Manster 1969, pp. 4-12. Giu- dicato in un primo tempo vieino a Scoto (0. Lornx, Robert Cowon et Jean Duns Sco Recherches de théologie ancienne et médiévale», 22, 1954, p. 294; H. ScHwamn, Robert Cowton uber das géttlichen Vorkerwissen, Innsbruck 1934, p. 43), € ora cons derato piuttosto come un suo eclettico oppositore (B. Hecuicn, De Immaculata GIOVANNI DI READING E IL DIBATTITO SULLA LIBERTA A OXFORD 261 decisivo passo della Summa enrichiana ora analizzato, come appare dalla trascrizione di alcuni passi del suo Commento alle Sentenze: «Contra opinionem (scilicet non necesse est voluntatem fruifineultimo, sed manet in libertate contradictionis ad fruendum vel non fruendum ‘quantum est ex parte voluntatis in se) primo ostendo quod voluntas naturaliter vult finem ultimum in universali, et ex hoc concludo quod necessario vult finem ultimum in particulari, scilicet beatitudinem perfectam in obiecto quod natum est eam perfecte beatificare. Secundo ostendam quod sic velle beatitudinem de necessitate non repugnat libertati voluntatis, et tertio quod ille actus quo sic vult finem non procedit ab ea ut est arbitrio libera, sed magis ut libera est. De primo sic: secundum Philosophum II Physicorum, param ante finem, et VI Ethicorum capitulo 6, finis se habet in operativis sicut principium in speculativis. Si ergo intellectus adheret principiis primis scibilibus apprehensis, non potest ab eis dissentire, ita voluntas adheret ultimo fini apprehenso ut non possit ab eo resilire »*! «Secundo declaro quod hec necessitas non repugnet eidem (ms.: eadem) libertati in hoc, quod voluntas vult finem de necessitate determinatione etiam determinante actum volendi ut egreditur a voluntate. Distinguendum est tamen de necessitate secundum quod Philosophus distinguit de necessitate V Metaphysice et Augustinus V De Civitate Dei: quod est quedam necessitas violentie sive coactionis ab alio, et est quedam necessitas immutabilitatis, que est ex seipsa absque aliquaalia causa. Necessitas primo modo non cadit in voluntate respect actus interioris, quamvis posset cadere in ea respectu actus alicuius exterioris, quia talis necessitas respectu doloris est contristabilis secundum Commentatorem V Metaphysice ‘de necessario’, et ista repugnat voluntatis libertati. Necessitas tamen immutabilitatis bene cadit circa voluntatem ineliciendo actum circa finem, nec sta repugnat libertati, De hac tamen necessitate immutabilitatis subdistinguo, quia potest conceptione beatae Mariae Virginis secundum Thomam de Sutton O. P. et Robertum de Cowton 0. F, M, Textus et doctrina, Roma 1958, pp. 45-47; Tusissinc, Glaube und Theologie cit., p. 246; CourreNay, Schools and Scholars cit., p. 187). Riguardo alla te- oria della volonta si pud vedere con una certa cautela THEISSING, Glawbe und Theologie it., VII Kap., § 23, pp. 206-220. SiRopeatus Cowrox, I Sent. d. 1 q. 4 (Oxford, Merton College, ms. scelta di questo manoscritto oxoniense fra i vari che testimoniano Cowton & stata fatta in accordo con Theissing, il quale lo considera particolarmente affidabile (Glaube und Theologie cit, p. 9). 262 GUIDO ALLINEY considerari ut previa vel quasi previa ad voluntatem, ut voluntas intelligatur cadere sub ipsa necessitate in eo quod ab ipsa egreditur actus voluntatis, vel potest considerari ut est concomitans ipsam voluntatem, ut ipsa necessitas intelligatur cadere sub ipsa voluntate in eliciendo actum diligendi finem. Necessitas primo modo aufferret libertatem in eliciendo actum voluntati ita quod in eliciendo non esset aliud quam natura, et sic non esset plus libertatis in voluntate ineliciendo actum quam in natura ut natura, sed precisa necessitas coactionis. Unde de hoc modo necessitatis, ut includit voluntatem, dico quod voluntas non vult finem de necessitate, sed libere tanturm. Secundo autem modo considerata necessitate dico quod non aufert libertatem sed magis firmat eam in actu suo ita quod voluntas talem actum volendi delectabiliter et eligibiliter eliciat, et hoc modo Deus libere vult se et tamen de necessitate, et similiter beati in patria, ubi erunt liberioris voluntatis, volendo tantum bonum, quam modo sumus volendo bonum vel malum. Et si queris unde surgit ista necessitas concomitans voluntatem in eliciendo actum respectu finis, dico quod partim surgit ex obiecto summealliciente et partim ex voluntate que, propria libertate stabiliente (ms.: stabilitatem) in summo bono affectando, necessitatem huius sibi ipsi imponit, quod [non] preveniat voluntatem vel quod voluntas cadat sub ipsa necessitate, sed magis eadem necessitas cadit sub voluntate, et solum concomitetur voluntatem in eliciendo actum. Unde de ratione libertatis simpliciter non est posse velle et non velle, ut dicunt aliqui de contraria opinione, sed affectualiter solum et quasi eligibiliter velle »* Significativo @ il fatto che Cowton critichi espressamente le tesi del dottor sottile, ma utilizzi argomenti poco appropriati, perché desunti dall’armamentario genericamente volontarista precedente agli scritti di Scoto, € quindi non mirati a contrastare le nuove rationes di questi® Giovanni di Reading si opporra polemicamente alla tradizione © Ibid. (ms. cit. f. 24va-24vb). Dal paragrafo che inizia con « Distinguendum est famen ...» il passo ora trascritto & una citazione letterale, ma non esplicita, dalla Summa di Enrico (a. 47 q. 5, ed. cit,, I ff, 27v-28v, YZ), "Cid @ vero anche per la citazione dalla Summa del Gandavense: gli argomenti esposti avevano permesso ad Enrico di spiegare come il necessario atto d'amore di Dio aad intra sia compossibile con la libert della volonta divina, mentre Roberto, u zandoli per dimostrare la necessita della fruizione, li piega ad uno scopo ben diver so. Cowton & quindi costretto a piccole variazioni, e infatti per due volte scrive svoluntas vult finem» anziché «Deus vult seipsum », come recita invece il testo or! sinale, GIOVANNI DI READING E IL DIBATTITO SULLA LIBERTA A OXFORD 263 gandiana di Oxford riferendosi, come assicurano le note marginali, e come conferma il confronto col testo ora fornito, al Commento di Ro- berto Cowton. Pur citando con una certa ampiezza dall'opera di Cowton, Reading mette tuttavia in rilievo il debito di questi nei con- fronti di Enrico di Gand («aliqui, accipientes a precedente doctore, scilicet Henrico»), mostrandosi ben consapevole di polemizzare in re- alta col maestro secolare. IV. Riccarpo pt CoxiNctox Le novita dirompenti contenute nella dottrina di Duns Scoto ebbe- ro come conseguenza, in chi non si limitd a ripetere teorie preesistenti, una complicazione delle soluzioni proposte, e la dottrina che Riccardo di Conington espone in tre brevi questioni quodlibetali* ben rappresen- ta questo processo. Conington distingue le potenze libere da quelle naturali in base a tre caratteristiche di queste ultime: la loro potenzialita & accidentale e non essenziale; non @ in loro potere agire 0 non agire; la disposizione al- Vazione @ prodotta efficientemente da qualcosa di esterno™. Questa prima classificazione gli consente di affermare che anche l'azione di- vina ad intra, bench® necessaria, ¢ comunque libera, poiché si tratta di una necesita che Dio si impone da sé*. Diverso é il caso della volonta “Si tratta delle tre queestiones philosopicae del primo Quodlibet numerate rispe siamerie 6,7 ¢8 de Victoria Douce qualba dimostato convincentements le pas ternita di questo Quodliber anonimo contenuto nel codice Vaticano, ms. Ottb. lat ha proposto una datazione che assume come termine post quem iL 1306, probabil inizio della reggenca di Riecardo di Conington a Oxford, t come termine ante quem il 1310, data dela sua nomsina a ministro provinciale del Tordine,¢ quindi di Sua carriera universitaria (cfr. V. Doveer, Lwunre seolastigue de Richard de Coningion, O.F-M.,« Archivum Franciscanum Historicum», 29, 1936, pp. 396-442), * Letre condizion! perché una potenza agisca natualiter sono: «Primum e ipsa, quantum est de se, non sit nata in potentia essential (ms: accidental operandum (.] Secundum est quod non sit in potestate sua operari vel non operari [el Tertium est quod potentia sit huiusmodi ab aliquo effective» (Ricnanovs De Cosnsctox, Quodliber I, g. 8, ms. cit. f.10rb) * «bic id poten ee naturale deteminatam ad aliquam operations nom est idem quod per se et per suam naturam exire proprie et necessari in illam Ear aes act caer sae em Le deters alec cssentiam elus co quod per se el per suam naturam proprie necessario Vult 264 GUIDO ALLINEY umana, e pitt articolato: essa non @ un agente naturale, dato che le @ essenziale essere capace di scelte, e tuttavia agisce naturaliter nei con- fronti del sommo bene. L’immediata volizione del sommo bene non @, infatti, oggetto di deliberazione, ma é causata dalla naturale disposizio- ne al bene che Dio le ha voluto attribuire, e dalla bonta dell’oggetto recepito passivamente”, e proprio la naturalita dell’atto impedisce di considerare questo libero". Libera e contingente @ invece la prosecuzio- ne dell’azione, ma ancora bisogna distinguere. In via la fruizione & con- tingente perché l'incertezza della conoscenza sensibile si pué riflette- re sulla valutazione dell’oggetto, facendolo apparire imperfetto, e dunque & possibile sospendere l'azione. In patria invece la visione di Dio soddisfa assolutamente la volonta: questa agisce quindi con neces- sit&®, ma in questo non é obbligata né dalla propria natura né da Dio, e mantiene anzi la propria contingenza, intesa come capacita reale di volere altro, se solo — per impossibile — trovasse motivo di rinuncia- omnia, quod falsum est [...]. Unde, licet voluntas Dei non sit in potentia essentiali ad velle Deum, et licet non sit in potestate sua velle et non velle eum, immo per naturam sam habeat necesse velle se ipsum, quia tamen hoc non habet ab aliquo efficiente et necessitante sibi in potestate, ideo non est naturaliter determinata» (ibid., ms. eit., £ 10rb), «Voluntas de se est in potentia essentiali ad operandum [...] ex quo patet quod voluntas de se non est naturaliter determinata ad aliquem actum. Sed voluntas affecta per impressionem in ea factam a bono in communi apprehenso est naturaliter deter Tinata ad actum volendi ipsum subitum et indeliberatum, et hoc ostendo: voluntas ‘enim, ut sic, non est in potentia nisi accidentali ad velle ipsum; ipsa etiam exercet lum necessario nisi impediatur ab aliquo, et hoc totum habet ab aliquo efficiente et huiusmodi necessitante in potestate sibi» (ibid., ms. cit, £. 10va). ® Conington spieghera poi pili chiaramente: «Licet sponte et non coacte velit, sed convenienter sue inclinationi, non tamen libere sed naturaliter; unde illa necessitas repugnat libertati» (ibid., q. 8, ms. cit. f. 117b). * Conington, affrontando qui l'argomento scotiano per cui una potenza non pud modificare il proprio modo d’agire, da contingente a necessario, in mancanza di un cambiamento della sua essenza, osserva che questa conclusione é valida solo per #! agenti naturali, dato che la necesita naturale esclude la contingenza, ma non per la volonta, poiché essa pud agire con necessita e, allo stesso tempo, con contingenza. La causa del passaggio dalla contingenza del viator alla necessita del beato é poi indi duata nella superiorita della conoscenza intuitiva dell'essenza divina su quella astrattiva: «Secunda questio philosophica est utrum voluntas sic passa a Deo viso possit impedire ne actum volendi ipsum statim exerceat [..] Et quod non necessitatur ostenditur, quia eadem potentia non mutata secundum naturam non fertur in idem obiectum nunc necessario nunc contingenter. Sed voluntas creata fertur in Deum in via contingenter. Ergo et in patria, ubi Deus videbitur, non ferretur necessario» (ibid 4g. 7, ms. cit. f, 10va). «Ad argumentum. Ad principale dicendum quod maior est vera GIOVANNI DI READING E IL DIBATTITO SULLA LIBERTA A OXFORD 265 re all'essenza divina. La liberta, conclude Conington, implica sponta- neita senza sudditanza a qualunque altro agente esterno o interno. Per agente interno necessitante intende qualunque tendenza istintiva, in quanto disposizione naturale posta in noi da Dio nell’atto creatore, e di conseguenza considera non libere, oltre all'istantanea volizione del bene sommo, anche tutte le volizioni delle cose convenient, dato che, benché siano spontanee, avvengono seguendo un‘inclinazione naturale, Stante la rilevanza del passo, conviene riportarlo per esteso: « Tertia questio philosophica et pertinens ad voluntatem est utram voluntas velit libere ea que vult necessario. Et arguitur quod sic, quia voluntas non meretur nisi volendo libe- re, sed ipsa meretur quandoque volendo necessario, ergo etc. [ ...] Dicendum ergo quod, cum divina voluntas velit divinam essentiam necessario et omnis voluntas creata velit commodum, cum in mentem venerit et in voluntatem impresserit, statim et necessario omnis voluntas videntis Deum continuet velle Deurn ut sic. Hic tamen est diversimode necessitas enim qua Deus vult se necessario non est illata ei ab aliquo preveniente actum volendi se extrinseco, vel excedente intrinseco differente a se, re vel intellectione, quia swum velle est sua voluntas et sua essentia et suum esse, Unde voluntas eius non est obnoxia, nec est subiecta alicui esse, et ideo eius necessitas non est naturaliter immutabilitas nec ullacm> includit servilitatem; nunc autem spontaneitas et ultroneitas potentie in operando, non admixta servilitati, est libertas, cum igitur eius voluntas velit quicquid vult sponte, quia, si nollemus non vellemus, ut dicit Augustinus, V De civitate Dei 11. Voluntas enim ex sua ingenua libertate nulla cogitur necessitate, ut dicit Bernardus, De libero arbitrio. Sequitur quod Deus vult libere se, licet velit se necessario. Necessitas de necessitate naturali que non potest stare cum contingentia; et cum aceipitur in minore quod voluntas fertur in Deum contigenter in via, falsum est quantum ad exercitationem subitam actus indeliberati, Sed verum est quantum est ad continuationem eiusdem actus; et cum in via, ergo et in patria voluntas continuat, ‘actum contingenter, concedo, cum quo stat quod necessario continuat ipsum, ut patebit in proxima questione. Et si queretur quare voluntas in via continuat actum volendi Deum ita contingenter quod non necessario, in patria vero continuat necessario licet contingenter, precipue cum obiectum utriusque sit omne bonum et sub ratione omnis boni apprehensum, dicendum quod omne bonum conceptum sub ratione omnis boni via sensus non est omne bonum sub ratione omnis boni ut est in se, sed ut potest colligi via sensus [..] ideo visio Dei sub ratione qua non potest apparere in eo defectus est causa huius necessitatis in patria que non est in via» (ibid., ms. cit. f. 10vb). 266 GUIDO ALLINEY autem qua omnis voluntas creata vult commodum, quandocumque venit in mentem, statim et necessario est ei illata a causa differente ase et preveniente, scilicet a Deo voluntatem cum tali affectionecreante et obiecto imprimente voluntati huiusmodi passionem naturaliter inclinantem. Unde voluntas est obnoxia et subiecta et magis agitur quam agat, et sic ...(? ), et ideo, licet sponte et non coacte velit, sed convenienter sue inclinationi, non tamen libere sed naturaliter. Unde illa necessitas repugnat libertati. Necessitas autem qua omnis voluntas videntis Deum continuat ne- cessario velle Deum non est immutabilitas nature voluntatis eius, sicut in Deo, nec est ei illata ab aliqua causa positiva. Manet tantum a causa privativa que est defectus cur, ut supra ostensum est, et quia cause privative non est effectus positivus. Patet quia illa voluntas non est necessitas positiva, et ideo statim vult cum contingentia sim- pliciter, quia posito per impossibile aliquo appetibili cuius bonitatem non gustasset modo eminentiori volendo Deum apprehensum [di] per intellectum, voluntas haberetur cur posset prediligere ipsum et, posset prodire in alterum prediligendum (ms.: prediligendi), nec autem, esset hoc impossibile propter defectum cur. Unde dico quod, quia hec necessitas non reddit voluntatem obnoxiam. nec subditam alteri cause positive prevenienti et necessitatem positivam, inferenti, ideo non includit aliquam servilitatem; et secundum: spontaneitas non mixta cum servilitate est libertas ; patet quod voluntas videntis Deum concipiat actum volendi eum libere et tamen neces- sario et contingenter, ut supra ostensum est »* Le opinioni espresse da Conington mostrano indubbiamente, a dif- ferenza di quelle di Roberto Cowton, un forte carattere di originalita, facendo interagire i classici richiami ad auctoritates — Agostino, Bernardo, Anselmo, il cui Cur Deus homo @ ampiamente citato nel se- guito della questione — sia con argomenti tipici del secolo precedente, sia con le nuove rationes scotiane. Questo tentativo, mirato alla difesa del nucleo teorico del volontarismo moderato contro il radicalismo dello scozzese, suggerisce soluzioni che si ritroveranno, utilizzate in altri contesti e per altri scopi, nella dottrina di diversi teologi di poco successivi 11 debito pitt cospicuo nei confronti del pensiero duecentesco é certo la teoria dell’atto primo causato dall'esterno. Questa teoria suppone che il velle finem non sia causato dalla volonta stessa, ma direttamen- © Ibid., q. 8 (ms. cit. f. 11ra-b) GIOVANNI DI READING E IL DIBATTITO SULLA LIBERTA A OXFORD 267 te da Dio, ed era utilizzata con finalita diverse nell’ultimo scorcio del secolo precedente. Nella formulazione tomista l'atto primo non causato & causa efficiente dei successivi: ! Aquinate evita cosi aristotelicamente il regressus in infinitum delle cause*. In ambito francescano la teoria — utilizzata per esempio da Riccardo di Mediavilla — impedisce alla volonta umana, vertibile perché ex nihilo, di volgersi ad altro piuttosto che a Dio, e riguarda solo la determinatio della volonta, in grado da sé di agire efficientemente®. Enrico di Gand la critica, poiché ritiene suf- ficiente 'inclinazione fornita alla volonta dall'atto creativo divino, sen- za bisogno di interventi speciali®*: ma ne accetta, in fondo, la sostan- za, cio? la genesi non deliberata dell'atto primo della volonta. Cosi fa anche Conington, per altro definito da un contemporaneo discipulus del Gandavense*; il francescano elimina pero tale atto dal novero delle azioni libere, in quanto appunto conseguenza di una tendenza naturale impostaci da Dio. Questa esclusione evidenzia con chiarezza I'influenza della lezione scotiana: natura e liberta si oppongono in quanto principi, e non Possono mai coesistere. La necesita della continuazione dell’atto, affinch® questo si possa considerare libero, non pud sorgere dalla na- turale disposizione al bene della volonta, poiché in questa @ essenzia- le la capacita di agire in modi diversi; deve percid derivare da una cau- sa esterna privativa — non positiva, perché altrimenti ci sarebbe costrizione —, cioé dalla mancanza di motivo per volere altro: di nuovo Ja soluzione ha sapore scotista, e richiama quella proposta dal dottor sottile nella Collatio XV*. Chr, Tuowas 0: Aovixo, Summa Theologiae I Il, q. 9. 3: «Voluntas per hoc 4quod valtfinem movet seipsam ad volendum ea quae sunt ad finem», eIo., De Malo 4g. 6 ad 3: «Relinguitur [... quod id quod movat voluntatem et intellectum sit aliquid supra voluntatem et inteliectum, scilicet Deus» © Si veda supra, p. 258, nota 35, © Hewnicus De Gaxoavo, Quodliber IX, q 5, ed. R. Macken, Louvain 1983, p. 121 «Deus enim, etsi movet secundum generalem administrationem, et diversimode secundum diversitatem mobilium, ut gravia deorsum, leva sursum, sic et voluntatem secundum eius inclinationem, Non tamen ex hoc motus omnium debent ei adseribi nisi ut causae universal.» © Si traita dell'anonimo autore della questione Utrum aliguis conceptus simpliciter simplex prime intentionis possit esse communis univoce Deo et creature, contenu in Vaticano, Cod. vat lat. 869, If. 29a-39b, il quale sostiene «et hoc idem dicit Conington discipulus eius (scilicet Henrici)» (ibid., ms. cit, 32a; efr. Doucer, Lieuvre scolastigue cit., p 420, nota 1) ‘Per Scoto la volonta, che agisce in base alla propria forza intrinseca, «habet in

Potrebbero piacerti anche