Nel nostro ordinamento soggetti di diritto non sono soltanto le persone fisiche ma anche gli
<<enti>>. Gli enti infatti possono, al pari della persona fisica, essere titolare di situazioni
giuridiche soggettive, attive o passive (ad es. un ente può stipulare un contratto di
compravendita di un immobile; viceversa un ente può contrarre anche dei debiti, per
esempio verso una banca).Si dice per designare questa particolarità che l'ente ha soggettività
giuridica, ossia è un'organizzazione dotata di capacità giuridica, che è la capacità di porre in
essere atti di rilevanza giuridica.
Distinta è la nozione di <<personalità giuridica>> : con questo termine si indica solo
quell'ente dotato di autonomia patrimoniale perfetta, ovvero quell'ente che risponde soltanto
col proprio patrimonio.
L'ente di per sé per agire ha bisogno di consociati che siano preposti a svolgerne le funzioni.
Le persone predisposte dall'ente in grado di compiere atti rilevanti per l'ente stesso sono
detti “organi”. Gli organi possono essere sia esterni sia interni; i primi sono essenzialmente
tutti gli organi che svolgono un ruolo di rappresentanza dell'ente, cioè che pongono in essere
con i terzi le operazioni decise per conto dell'ente (es. portare a termine un contratto di
compravendita,contrarre un mutuo,etc...) ; i secondi sono gli organi decisionali veri e propri
e si occupano di decidere una determinata operazione da compiere (es. il consiglio di
amministrazione che decide come investire i fondi).
La classificazione degli enti è piuttosto complessa. Innanzitutto bisogna distinguere tra gli
enti pubblici (es. lo Stato, o una PA) e gli enti privati (es. una compagnia telefonica). Già
questa prima distinzione comporta delle problematiche, giacché è da sempre discusso quali
siano i criteri effettivi per sancire che un ente sia pubblico o privato. Ciò perché si è assistiti
al fenomeno sempre crescente delle <<privatizzazioni>>, ossia di enti pubblici che per
ottenere maggiori introiti si sono aperte ai privati. Alcuni criteri di identificazione degli enti
pubblici possono essere, per citarne alcuni, l'esistenza di un potere decisionale in capo allo
Stato o ad altro ente pubblico controllato dallo Stato, agevolazioni e privilegi tipici delle PA,
partecipazione dello Stato alle spese di gestione.
Tuttavia oggi la nozione di ente pubblico non è più considerata fissa e immutabile, ma in
continua mutazione : basti pensare che gli enti pubblici possono avvalersi di funzioni
privatistiche (ad es. stipula di un contratto di affitto) ed enti privati possono avvalersi di
funzioni pubbliche (ad es. possono fornire dei servizi al cittadino per conto dello Stato).
Tracciare una linea di confine tra le due entità quindi impossibile.
Prima di parlare nello specifico dei vari tipi di enti è bene fare una introduzione circa
l'evoluzione dell'associazione. La tradizione liberale ottocentesca vedeva di cattivo occhio
le associazioni, questo perché erano considerate come degli “enti intermedi” che si
frapponevano tra l'individuo e lo Stato, ostacolando il rapporto diretto del primo col
secondo, punto dottrinale fondamentale per il liberismo d'epoca. Per porre un freno al
fenomeno associativo e cercare di controllarlo, si decide di dividere le associazioni in
<<riconosciute>> e <<non riconosciute>>. La differenza era sostanzialmente che le prime
avevano più agevolazioni e il loro ordinamento era deciso con legge (per essere dichiarate
riconosciute le associazioni dovevano ottenere un permesso governativo), mentre le seconde
avevano meno tutele ed erano libere di autogestirsi.
Col mutare dei tempi anche il fenomeno associativo prese una nuova direzione. La
Costituzione repubblicana del 1948 riconosceva il diritto di associarsi liberamente.
Questo nel segno di una società pluralista in cui gruppi di individui coi più svariati interessi
uniscono le proprie forze per ottenere dei risultati; in questo modo è stata incentivata la
partecipazione politica della gente, nonché le attività di solidarietà sociale (es. di assistenza
ai portatori di handicap).
Inoltre vi è stata una radicale inversione di tendenza dalla preferenza all'associazione
riconosciuta a quella non riconosciuta : soprattutto per evitare ingerenze statali
nell'organizzazione interna delle associazioni (pensiamo a un partito politico o a un
sindacato) e darsi dei propri regolamenti.