Se
Gli animali nella Grande Guerra
Maria Grazia Suriano
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Table of Contents
0. Frontespizio ....................................................................................................... 0
0. Dedica ................................................................................................................. 0
INTRODUZIONE ............................................................................................... 11
3. Il progetto ......................................................................................................... 13
4. Gli strumenti .................................................................................................... 15
0. Ringraziamenti .................................................................................................. 0
I. GLI ANIMALI NELLA GRANDE GUERRA. IL LAVORO SULLE
FONTI ................................................................................................................... 19
6. Raccontare il vissuto animale per una storia inclusiva ............................. 21
7. Subalterno, chi? Superare la costruzione della subalternità animale ..... 27
8. Raccontare gli animali di guerra in aula ..................................................... 35
9. L'empatia, un approccio didattico ................................................................ 41
II. I PROTAGONISTI .......................................................................................... 43
10. Il cane .............................................................................................................. 45
11. Bally Shannon, Satan e Stubby ................................................................... 50
12. Strumenti di approfondimento ................................................................... 55
13. Il piccione ....................................................................................................... 57
14. Cher Ami, Mocker e Valiant ....................................................................... 62
15. Strumenti di approfondimento ................................................................... 66
16. Il cavallo ......................................................................................................... 68
17. Warrior ........................................................................................................... 73
18. Strumenti di approfondimento ................................................................... 76
19. Una guida multimediale .............................................................................. 79
20. Bibliografia ..................................................................................................... 87
0. Copyright ........................................................................................................... 0
Table of Figures
case studies | S e
9
A Novembre, sempre
10
Introduzione
3. Il progetto
L’e-Book, Gli animali nella Grande Guerra, nasce nell’ambito delle proposte di
dattiche sviluppate dall’Associazione culturale Se e risponde all’impegno da
essa assunto nel promuovere lo studio della storia del Novecento, diffon
dendo un sapere inclusivo, che valorizzi i soggetti subalterni esclusi dalle
narrative istituzionali, allo scopo di ampliare la definizione di una disciplina, la
storia, che non sia più soltanto la “scienza dell’uomo nel tempo”, quanto piuttosto la
“scienza dei viventi nel tempo”.
Gli animali, in tal senso, sono da considerarsi dei soggetti peculiari. Esatta
mente come gli umani essi sono soggetti di vita, “sentono” ovvero provano
emozioni, ma diversamente dall’uomo, che spesso necessita di prolungate
sedute psicanalitiche per esprimerle, essi hanno un’incredibile facilità di ac
cesso alle proprie emozioni. Vivono una vita sociale complessa, sviluppano
tra di loro dei rapporti appassionati e amano disperatamente i propri cuccio
li. La prolungata abitudine dell’uomo a considerare non degno di rispetto
tutto ciò che non gli somiglia fisicamente ha determinato un impoverimento
complessivo nei rapporti sociali e con l’ambiente naturale e ha avuto e conti
nua ad avere un riflesso nel modo di pensare e produrre riflessioni critiche.
Solo di recente si è arrivati ad accogliere la possibilità, almeno negli studi,
che sebbene non scrivano autobiografie, gli animali sono soggetti di biogra
fie da scrivere1.
1. J. M. Masson, S. McCarthy, Quando gli elefanti piangono. Sentimenti ed emozioni nella vita degli
animali, Baldini & Castoldi, Milano 1996 e M. Bekoff, The Emotional Lives of Animals, New World
Library, Novato, 2008. Si vedano, inoltre: A. Horowitz, Inside of a Dog. What Dogs See, Smell, and
Know, Simon & Schuster, New York 2009; J.-L. Guichet (dir.), Douleur animale, douleur humaine,
Quae, Versailles 2010; nonché C. Darwin, L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli
animali [1872], Newton Compton, Roma 2008 e A. R. Damasio, L’errore di Cartesio. Emozione,
ragione e cervello umano, Adelphi, Milano 2007 (nona edizione).
14
4. Gli strumenti
Gran parte del patrimonio culturale europeo è oggi fruibile online grazie
all’iniziativa promossa dal portale Europeana, espressione del lavoro con
dotto dalla fondazione omonima nel rappresentare e valorizzare il patrimo
nio culturale comune attraverso una ampia iniziativa di digitalizzazione e
conservazione, che ha reso accessibili oltre 23 milioni di elementi, in forma
di testi, immagini, filmati e audio, relativi a tutti i periodi storici e movimen
ti culturali d’Europa, da nord a sud, da est a ovest. Al suo interno, è disponi
bile la collezione Europeana 1914-1918, dedicata alla Grande Guerra.
15
dini un patrimonio composto da libri, quotidiani, giornali di trincea, carte
geografiche, fogli di musica, racconti per l’infanzia, fotografie, manifesti,
pamphlet, volantini di propaganda, opere d’arte, testi religiosi, medaglie e
monete. Le istituzioni che hanno partecipato alla realizzazione del database
Europeana 1914-1918 sono state la Staatsbibliothek di Berlino, che ha svolto il
ruolo di coordinamento, e il portale Clio-Online, che è stato incaricato di ef
fettuare le rilevazioni e l’analisi dei requisiti. Vi hanno, inoltre, partecipato in
qualità di partner e fornitori di contenuti la Bibliothèque Nationale de Fran
ce e la Bibliothèque Nationale et Universitaire de Strasbourg (Francia); la Bi
blioteca Nazionale Centrale di Roma “Vittorio Emanuele II”, la Biblioteca
Nazionale Centrale di Firenze e l’Istituto Centrale per il Catalogo Unico del
le Biblioteche Italiane e per le Informazioni Bibliografiche (Italia); la Biblio
thèque Royale de Belgique (Belgio); la British Library (Gran Bretagna); la
Kongelige Bibliotek (Danimarca); la Österreichische Nationalbibliothek (Au
stria) e la Narodna Biblioteka Srbije (Serbia).
In occasione del centenario anche i contenuti italiani hanno trovato una ade
guata collocazione. I manifesti, le stampe, i periodici e le fotografie conserva
ti nella Biblioteca Universitaria Alessandrina, nella Biblioteca di Storia Mo
derna e Contemporanea e presso l’Istituto per la Storia del Risorgimento Ita
liano sono stati opportunamente digitalizzati. Oggi è possibile, infatti, con
sultarli attraverso il sito 14-18. Documenti e immagini della Grande Guerra.
16
narrativa istituzionale della Grande Guerra e a favorire un approccio multi
disciplinare allo studio della stessa. Il secondo capitolo propone tre case stu
dies e i relativi strumenti di approfondimento, a cui potrà attingere tanto
l’insegnante per preparare la lezione quanto lo studente per sviluppare
un progetto individuale o di gruppo. Ognuno dei tre paragrafi, che
compongono il capitolo, presenta una parte introduttiva dedicata al caso
specifico preso in esame, rispettivamente il cane, il piccione, il cavallo,
seguita da una dedicata alle esperienze di singoli protagonisti e da
un’altra specifica sugli strumenti di approfondimento necessari per
sviluppare un percorso didattico. Il terzo capitolo è dedicato alle fonti e
propone una guida multimediale di risorse selezionate. A conclusione del
volume è stata inserita una Bibliografia generale aggiornata tesa ad
illustrare le linee-guida, che attraversano la riflessione sulla presenza
animale in guerra.
17
Ringraziamenti
Sono tanti coloro che hanno reso possibile questo progetto. Un sincero ringrazia
mento va ad amici, colleghi, familiari e sconosciuti sostenitori, che con il loro sup
porto economico hanno fatto sì che Gli animali nella Grande Guerra diventasse real
tà.
18
I. Gli animali nella Grande Guerra. Il lavoro sulle fonti
6. Raccontare il vissuto animale per una storia inclusiva
“A week since, I was lying out in no-man’s-land, a little German dog trotted up and
licked my British face. I pulled his German ears and stroked his German back. He
wagged his German tail. My little friend abolished no-man’s-land, and so in time
can we (Lt Melville Hastings, killed in action, 3 October 1918)" 1 .
21
o le lettere dei familiari; gli animali da cortile, che, quando non preventiva
mente razziati, fuggivano da case, stalle, aie in seguito alle rotture dei fronti;
senza dimenticare gli animali da macello, bovini e suini per lo più, destinati
al rancio dei militari3.
Fatte salve le rare pubblicazioni delle memorie di ufficiali apparse negli anni
Venti e Trenta, nelle quali sono spesso rintracciabili evocazioni dei rapporti
instaurati con gli animali al fronte, è stato necessario attendere i primi anni
Ottanta, perché la storia di Warrior, il cavallo del generale britannico Jack
Seely operativo con il suo reggimento in Francia, catturasse l’attenzione del
lo scrittore per l’infanzia Michael Morpurgo. Warrior ha ispirato il protago
nista del romanzo War Horse pubblicato nel 1982, la cui voce narrante è il ca
vallo di guerra Joey, portato sul grande schermo nel 2011 da Steven Spiel
berg.
Negli stessi anni l’Imperial War Museum commissionò ad una nota autrice
britannica, Jilly Cooper, la realizzazione di un libro, che accompagnasse la
mostra dedicata agli animali in guerra in programma per il 1984. La pubbli
cazione di Animals in War ispirò la costituzione dell’Animals in War Memo
rial Fund, che nell’arco di circa vent’anni ha raccolto i due milioni di sterline
necessari alla costruzione dell’imponente ed omonimo memoriale dedicato
come si legge nell’iscrizione “a tutti gli animali che servirono e morirono a
fianco delle truppe britanniche ed alleate nelle guerre e nelle campagne mili
tari nel corso del tempo”, ed inaugurato a Park Lane (Londra) nel novembre
2004 in occasione del 90° anniversario della fine della Grande Guerra.
22
A partire da quella data e per i dieci anni successivi, sono state inaugurate
numerose mostre dedicate agli animali in guerra o alla Grande Guerra in
quasi tutti i paesi del Fronte occidentale (Londra 2005, Péronne 2007, Camp
bell 2008, Osnabruck e Bruxelles 2010, Gorizia 2014), la cui organizzazione
ha richiesto un notevole lavoro di scavo archivistico, permettendo di portare
alla luce e riorganizzare molto materiale, soprattutto quello iconografico.
Questi materiali sono diventati oggetto di attenzione e cura da parte di ap
passionati di storia della guerra, ai quali si deve la creazione di numerosi siti
internet e la pubblicazione di diversi studi, che sarebbe riduttivo definire
amatoriali, sia per la puntualità delle ricostruzioni proposte sia per il valore
delle fonti utilizzate. Un carattere comune a questa produzione, tuttavia, è
dato dal fatto che essa è focalizzata essenzialmente sulle modalità di utilizzo
pratico degli animali in guerra. Le narrazioni proposte non pongono mai in
primo piano l’animale in quanto soggetto e protagonista di una attività o di
una azione, ma rimangono sul versante umano e da quel privilegiato punto
di vista restituiscono la storia al lettore5. Non si discostano da tale canone
neppure alcuni pregevoli studi italiani, come quelli di Bucciol e Fabi, che pur
guardando con maggiore insistenza alla condizione degli animali durante il
conflitto, non pongono al centro delle proprie analisi i loro vissuti, per quan
to Fabi non manchi di rilevare che, pur essendo impiegati principalmente co
me elementi dei corpi d’armata, gli animali “sono anche e soprattutto esseri
viventi che accompagnano i militari in una avventura difficile e impegnati
va, a tratti disperata e impossibile, ma anche spensierata e divertente, a volte
pericolosissima, altre inevitabilmente noiosa”6. L’animale rimane un bene
d’uso sia che esso funga da cibo, da supporto logistico o da strumento di pet
therapy. Vale la pena ricordare che la presenza animale è servita, fra l’altro,
ad alleviare l’orrore della trincea. Prendersi cura di esseri indifesi e assoluta
mente dipendenti dall’uomo, significava per i soldati recuperare, anche solo
per un breve lasso di tempo, la propria umanità offesa dalla esperienza della
guerra7.
23
Fig. 6.1: Soldato britannico che alimenta un gatto a Neulette coperta di neve, 17
December 1917 © IWM (Q 6399)
I pochi storici di professione, che fino ai primi anni duemila si sono occupati
della questione della presenza animale nelle guerre non sono stati da meno
nel riprodurre lo schema interpretativo appena delineato, limitando il loro
approccio al versante umano per convinzione o abitudine al fatto che la sto
ria, intesa come disciplina, sia esclusivamente la scienza che studia l’uomo
nel tempo. Pur essendosi interessati all’utilizzo dei cavalli e dei piccioni
viaggiatori, alle rappresentazioni culturali e alle proiezioni affettive operate
dai soldati sugli animali loro affidati, all’organizzazione dei servizi veterina
ri e alle sfide inedite derivate dal dover affrontare le malattie e i traumi di
guerra, di cui gli animali furono vittime, anche in questi casi gli animali si in
travedono appena a côté degli sforzi fatti dal personale medico veterinario
ad esempio, sebbene le cartelle veterinarie si sarebbero potute rivelare delle
ottime fonti per evocare i loro vissuti soprattutto alla luce delle informazioni,
di cui oggi si dispone in riferimento al loro mondo emozionale, la loro capa
cità di sentire il dolore e di reagire alla sofferenza8.
24
Si è registrata, al contrario, una mancata volontà a decentrare lo sguardo e a
legare le proprie analisi alle conoscenze provenienti da altre discipline, come
le scienze naturali, la psicologia, l’etologia e, soprattutto, dalla riflessione
femminista e animalista, in virtù del pregiudizio ancora piuttosto saldo, che
vuole l’animale subalterno all’uomo ed in quanto tale oggetto delle sue pro
iezioni, delle sue attenzioni, siano esse cure o violenze, allo scopo di soddi
sfarne e confermarne il ruolo nella scala gerarchica, in continuità con il dua
lismo proprio della tradizione culturale e filosofica occidentale teso a perpe
tuare le logiche e le pratiche del dominio patriarcale, che nei secoli è stato
esercitato su chiunque risultasse in posizione di svantaggio (la gente di colo
re, i lavoratori, per fare degli esempi) e che continua con costante e violenta
pervicacia ad essere esercitato sulle donne, gli animali e la natura. Tre
espressioni di viventi, che non aderendo al modello gerarchico costruito da
gli uomini per se stessi, sono in grado di “rompere lo specchio” in cui il do
minio cerca a tutti i costi il proprio riflesso9.
1. R. van Emden, Tommy’s Ark: Soldiers and Their Animals in the Great War, Bloomsbury, Lon
don 2011, p. 12 .
2. Sul progresso scientifico applicato alla guerra, con particolare riferimento alla Prima,
rimando a M. G. Suriano, “Will this terrible possibility become a fact?”. Il progresso scientifico
applicato alla guerra nella riflessione di Gertrude Woker e Kathleen Lonsdale, in "Dep. Deportate,
Esuli, Profughe", n. 35, 2017, pp. 26-41, http://www.unive.it/media/allegato/dep/
n35/02_Suriano_modello.pdf .
3. É. Baratay, Bêtes des tranchées. Des vécus oubliés, CNRS Éditions, Paris 2013, pp. 8-9. Si veda,
inoltre, D. Baldin (dir.), La guerre des animaux, 1914‐1918, Artlys, Versailles 2007. Per un
quadro d’insieme sull’esperienza bellica degli animali dal carattere più divulgativo, si
rimanda a E. Bucciol, Animali al fronte. Protagonisti oscuri della Grande guerra,
Nuovadimensione/Ediciclo, Portogruaro 2003 e L. Fabi, Guerra bestiale: uomini e animali nella
Grande Guerra, Persico, Cremona 2004.
4. L. Fabi, Guerra bestiale, pp. 8-13.
5. Senza alcuna pretesa di esaustività al riguardo, si rimanda a: S. Bulanda, Soldiers in Fur and
Feathers. The Animals that Served in World War I - Allied Forces, Alpine Publications, Crawford
2013; J.-M. Derex, Héros oubliés: les animaux dans la Grande Guerre, Pierre de Taillac Editions,
Villers-sur-Mer 2014; L. Fabi, Il bravo soldato mulo. Storie di uomini e animali nella Grande
guerra, Mursia, Milano 2012; J. Gardiner, The Animals War: Animals in Wartime from the First
World War to the Present Day, Portrait, London 2006; I. George, R. L. Jones, Animals at War,
Usborne Publishing, London 2006; E. Le Chene, Silent Heroes: The Bravery & Devotion of
Animals in War: An Animals’ Roll of Honour , Souvenir Press Ltd, London 1997; D. Leoni, La
guerra verticale. Uomini, animali e macchine sul fronte di montagna, Einaudi, Torino 2015 e F.
Quilici, Umili eroi: storia degli animali nella Grande Guerra, Mondadori, Milano 2016. Si
segnalano, inoltre, gli articoli disponibili online ed elencati nel terzo capitolo di questo e-
Book, Una guida multimediale .
6. L. Fabi, Guerra bestiale, p. 16.
25
7. Giuseppe Ungaretti, poeta-soldato, si esprimeva in tal senso a proposito del ritrovamento di
una gazza (G. Ungaretti, Lettere a Giovanni Papini 1915-1948, a cura di M. A. Terzoli,
Mondadori, Milano 1988) e numerose sono le testimonianze rese dai soldati nelle lettere e nei
diari, come quelli utilizzati in R. van Emden, Tommy’s Ark .
8. Questo approccio tradizionale è presente negli studi di D. Baldin, direttore dell’opera La
guerre des animaux, 1914‐1918 e già autore di saggi sugli animali al fronte, in particolare il ca
vallo e il cane: De la continuité anthropologique entre le combattant et le cheval: le cheval et son
image dans l’armée française durant la Première guerre mondiale, in “Revue historique des ar
mées”, n. 249, 2007, pp. 75-87 e Le chien, animal exemplaire d’une anthropologie historique des re
lations hommes-animaux en temps de guerre (1914-1918), in “Ethnozootechnie”, n. 78, 2006, pp.
159- 162. Non diversamente si collocano i lavori di R. Bruneau, Les équidés dans la Grande
Guerre, in “Bulletin de la Société Française d’Histoire de la Médecine et des Sciences Vétéri
naires”, IV, n. 1, 2005, pp. 20-33; J. Kramer, Animal Heroes. Military Mascots and Pets, Secker &
Warburg, London 1982 e J. Wajerowski, La Grande Guerre des pigeons voyageurs, in D. Baldin
(dir.), La guerre des animaux, pp. 59-67; e volumi che raccolgono contributi importanti come
quelli di R. Pöppinghege (dir.), Tiere im Krieg. Von der Antike bis zur Gegenwart, Schöningh,
Paderborn, 2009 e D. Roche (dir.), Le cheval et la guerre, Académie d’Art Équestre, Versailles
2002.
9. Si rimanda, in particolare, alla riflessione sui diritti degli animali nell’impostazione
antispecista proposta dal filosofo P. Singer nel volume del 1975 Animal Liberation (tra le
traduzioni italiane recenti si veda Liberazione animale. Il manifesto di un movimento diffuso in
tutto il mondo, Il Saggiatore, Milano 2010) e al più recente studio di P. Jouventin, D. Chauvet,
E. Utria (dir.), La raison des plus forts: la conscience déniée aux animaux, Imho, Paris 2010.
Mentre per quel che riguarda il superamento del dualismo (uomo/donna; uomo/animale) e
della cultura del dominio, che esso alimenta, il riferimento va a due libri di D. Haraway,
Manifesto Cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo , Feltrinelli, Milano 1995 (l’ed. or. è
del 1985) e Primate Vision: Gender, Race and Nature in the World of Modern Science, Routledge,
New York 1989.
26
7. Subalterno, chi? Superare la costruzione della
subalternità animale
27
Fig. 7.1: Soldato con "Sammy", la mascotte del quarto battaglione, Royal
Northumberland Fusiliers © IWM (Q 1451)
Portare l’attenzione sugli aspetti peculiari della relazione che gli animali
hanno instaurato con i soldati ed i civili, con cui interagirono, significa assu
merne il punto di vista, porre al centro dell’indagine i loro vissuti, abbando
nare la limitante prospettiva antropocentrica, invertendo gli approcci, le ana
lisi e, quindi, la struttura stessa del racconto. In questa direzione vanno gli
studi recenti proposti da Éric Baratay e Jean-Christophe Bailly3, da cui si ap
prende come per conoscere e comprendere meglio questi esseri viventi, le
cui capacità sono spesso importanti, ben superiori a quelle che noi comune
mente attribuiamo loro e le cui individualità sono spesso pronunciate4, lo
storico debba accogliere necessariamente delle aperture disciplinari.
28
e naturali5. La condizione necessaria per prendere nella giusta considerazio
ne le altre specie e produrre un allargamento della nozione di storia, che da
questa prospettiva non può essere esclusivamente considerata la scienza che
studia degli uomini nel tempo, ma deve quantomeno porsi l’obiettivo di stu
diare i viventi nel tempo, è il superamento della distinzione tra l’uomo e
l’animale, una distinzione le cui origini sono riconducibili alla religione e al
la filosofia occidentale e che risulta, in ultima analisi, vana, puerile e falsa.
Per riprendere la riflessione espressa da Baratay, essa è:
Vana, perché l’animale non esiste, non è che un concetto teso a mascherare la
realtà della molteplicità delle specie. Puerile, perché la questione della diffe
renza tra una specie reale, l’uomo, e un fantasma (il concetto di animale) non
è mai servita a conoscere i diversi animali, bensì a permettere agli umani di
prevalere, quando invece è necessario pensare alla molteplicità delle specie
viventi, dunque anche l’umana, non già in termini di superiorità e gerarchia,
ma di differenza, di specificità e di ricchezza di ciascuna. Falsa, perché cono
sciamo ancora molto male gli animali (ci teniamo anche poco a conoscerli,
preferendo spesso i comodi stereotipi sugli animali) e stabiliamo nella mag
gior parte del tempo le differenze sulle credenze, confondendo l’indagine
con un discorso di dominio6.
La maggiore difficoltà nel raccontare la storia dal punto di vista degli anima
li è quella relativa ai documenti utilizzabili. Le fonti disponibili sono relative
alle reazioni fisiologiche e comportamentali immediate, rintracciabili solo se
gli uomini le hanno osservate e raccontate7.
29
Gli archivi militari, che rappresentano la fonte primaria per indagare i vissu
ti di guerra, sono spesso deludenti circa il vissuto animale: conservano, ad
esempio, documenti evocanti le attività dei conduttori di cani, ma non i regi
stri con le informazioni relative alla provenienza degli animali, le loro fun
zioni e la loro ricollocazione a fine servizio. A colmare i vuoti possono con
tribuire le testimonianze dei combattenti, dalle lettere ai romanzi passando
per i diari8, per quanto la memorialistica ponga allo storico la questione
stringente dell’attendibilità della fonte. Il valore delle memorie va misurato
in base a tante variabili: l’epoca di produzione della testimonianza (durante
o dopo il conflitto), il contesto sociale e culturale dell’autore, la natura dei te
sti (lettere, scritti privati, testi destinati al pubblico, quindi rivisti per
l’edizione); lo stato dello scritto (racconto diretto o indiretto). Si tratta di no
di importanti da sciogliere, affinchè si possa arrivare alla ricostruzione coe
rente e veritiera di un episodio inerente i vissuti umani, sebbene rispondere
a tali quesiti non è necessariamente pertinente alla ricostruzione del vissuto
animale. Nella maggioranza dei casi, la memorialistica non dice nulla in spe
cifico sugli animali, lasciando piuttosto degli indizi: è facile trovare annota
zioni del tipo “il cannone … arriva al galoppo”; mentre vi è scarsa traccia
della carneficina di cavalli provocata dall’artiglieria, nonostante si riscontri
no espressioni di dispiacere per la loro sorte. Da questi scritti emerge piutto
sto come dato sociologico che mentre gli autori di ispirazione nazionalista,
evocando i corpo a corpo, la necessità del sacrificio, l’odio del nemico, si in
teressano anche degli animali e della loro presenza al fronte, gli scrittori
d’ispirazione pacifista, pur denunciando la violenza e la sofferenza, non di
cono nulla sugli animali e la loro sorte9.
Un’altra fonte di grande valore per lo storico è costituita dai bilanci e dai
rapporti stilati dai veterinari militari. Si tratta di scritti ufficiali, destinati ai
governi per i finanziamenti e agli approfondimenti professionali che, pur es
sendo focalizzati quasi esclusivamente sui cavalli, si sono rivelati indispen
sabili per conoscere la vita quotidiana degli animali al fronte, dal tipo di ali
mentazione loro somministrata e dai traumi subiti, alla loro capacità di resi
stenza e alla relazione da essi instaurata con i commilitoni umani10.
30
Fig. 7.2: Soldato del RAVC con un cavallo bendato presso l'ospedale veterinario n.5,
Abbeville, 22 Aprile 1918 © IWM (Q 8726)
31
retroterra tedesco ed austro-ungarico, conservate nell’Archivio di guerra au
striaco, oggi integrato nel database Europeana 1914-1918.
I dati che concorrono all’indagine storica sono tutti soggetti a cautele, per cui
studiare le condizioni di produzione delle testimonianze e le loro caratteri
stiche culturali è indispensabile, ma non deve essere una finalità insormon
tabile. L’incrocio dei documenti è il modo migliore per superarne le insuffi
cienze. È necessario incrociare i racconti dei combattenti con le informazioni
in possesso dei ricercatori attuali e leggerli dal punto di vista degli animali,
dunque invertendo le informazioni, rintracciando i dati messi in secondo
piano, leggendo tra le righe, indovinando o facendo supposizioni a partire
dai precedenti, proprio come gli storici hanno imparato a fare per recuperare
alla storia i vinti, i sottomessi, gli anonimi. Per fare questo, il ricorso ad altri
saperi diventa necessario. Si ha bisogno dell’etologia per comprendere i
comportamenti e la socialità animale, in particolare dell’etologia applicata,
che si interessa delle specie domestiche nella loro condizione di utilizzo
umano, e dell’etologia cognitiva, che focalizza sugli stati mentali e le rappre
sentazioni all’origine di tali condotte, nonchè della psicologia e della neuro
biologia per apprendere le emozioni, i dolori, le sofferenze provate dalle
specie importate nel conflitto. È necessario sottrarsi alla orgogliosa tentazio
ne di negare o ridurre le facoltà degli animali e, dunque, adottare delle defi
nizioni suppletive e plurali delle loro capacità, poiché esse variano a seconda
delle specie, dei gruppi e delle epoche, al pari dell’intelligenza che gli etologi
non definiscono più in maniera unica per tutte le specie, preferendo piutto
sto parlare di intelligenze multiple, senza cadere nella tentazione antropo
morfica di proiettare le capacità umane sugli animali15.
32
Il caso degli animali nella Grande Guerra deve essere considerato come un
percorso in costruzione dal punto di vista dell’indagine storica. Esso consiste
nello studio dei comportamenti e della socialità degli animali in un’epoca e
situazione ben precisa, lavorando su indicazioni sparse, puntuali, particolari
o parziali che siano, provenienti da molteplici fonti. L’importante è rendere
conto del vissuto degli animali a partire dalle variabili che ne determinano
l’esperienza, siano esse ambientali o emozionali, laddove i documenti e le
conoscenze lo permettono. Ma più di ogni altra cosa è necessario provare
empatia: si tratta di un’intenzione, di un’attitudine, di un metodo per tende
re verso l’animale.
33
13. J. Kramer, Animal Heroes. Military Mascots and Pets.
14. E. Bucciol, Animali al fronte.
15. É. Baratay, Bêtes des tranchées, p. 15.
34
8. Raccontare gli animali di guerra in aula
35
Fig. 8.1: Membri australiani dell'Imperial Camel Corps vicino Jaffa, Palestina, 1918 ©
IWM (HU 75737)
36
Fig. 8.2: Cavalli refrattari © IWM (Q 33569)
Sulle navi militari furono imbarcati anche numerosi gatti. I soldati e i mari
nai consideravano la loro presenza e vicinanza di buon auspicio, una sorta
di porta fortuna a quattro zampe in grado di proteggere gli umani. Era con
suetudine per i militari portare con loro i gatti, ad esempio nelle lunghe tra
versate oceaniche che condussero le armate australiane in Europa. E tanti fu
rono i gatti adottati nei paesi stranieri, lungo i fronti dove si trovarono a
combattere. Si conta che durante il conflitto vi furono circa 500.000 gatti pre
senti nelle trincee e sulle navi di guerra. Il loro compito ufficiale era quello di
dare la caccia ai topi ed evitare infestazioni da parte di vermi o altri parassiti,
benché alcuni fossero utilizzati anche come rilevatori di gas venefici. I dove
ri militari non ne esclusero, tuttavia, la loro adozione in qualità di mascotte e
animali da compagnia. In questa veste contribuirono a tenere alto il morale
dei soldati. Prendersi cura degli animali, replicare una sorta di normalità, eb
be il vantaggio di distrarre i militari dal quotidiano di guerra, altrimenti in
sopportabile7.
Questo aspetto interessò anche i cani, il cui ruolo fu tuttavia più strategico.
Nei primi mesi di guerra, infatti, venne istituita nei vari paesi europei una
sorta di leva canina su base “volontaria”: ai proprietari fu richiesto di porta
re i propri cani alla visita militare e gli esemplari ritenuti idonei furono re
quisiti dietro il rilascio di un documento d’ingaggio. Le razze predilette per
37
lo svolgimento dei compiti militari erano quelle classiche da riporto, in parti
colare rottweiler, pastore tedesco, terrier e meticci robusti di media taglia. A
supporto dell’esercito italiano vennero impiegati numerosi pastori marem
mani. Appositamente addestrati, furono utilizzati nelle operazioni di rico
gnizione, per verificare che non vi fossero stati sabotaggi lungo le linee tele
foniche, oltre che in quelle di recupero dei feriti e dei caduti nella “terra di
nessuno”. Spesso venivano mandati oltre le linee nemiche per raccogliere in
formazioni. Nelle zone particolarmente impervie, come ad esempio le Alpi,
venivano utilizzati per trasportare armi e trainare le lettighe dei feriti8.
Fig. 8.3: Carro da guerra per lampade elettriche trainato da cani, Dorimbergo, Fronte
dell'Isonzo, 1916 ca © ÖNB, Europeana Collections 1914-1918
38
sempre alle loro colombaie anche se queste nel frattempo avevano cambiato
posizione. Tanto era considerata strategica la loro funzione da vietarne la
cattura a scopo alimentare e gli esemplari feriti venivano soccorsi e, se possi
bile, curati9.
Fig. 8.4: Piccioni di ritorno alla propria colombaia, Pernes, 1918 © IWM (Q 9000)
Per gli animali al fronte erano previste misure di soccorso e cura e, in assen
za di un vero e proprio ospedale veterinario da campo, intervenivano gli uf
ficiali medici preposti alla cura degli uomini. Su tutti i fronti, in particolare,
sul Fronte occidentale e in una certa misura in Palestina, fu imponente
l’impegno dei Corpi veterinari britannici, supportati dalla Royal Society for
the Prevention of Cruelty to Animals (RSPCA), che fu molto attiva nel racco
gliere fondi, stimati in circa 250.000 sterline, destinati all’allestimento di
ospedali veterinari da campo, all’acquisto di ambulanze, medicinali,
foraggio oltre che a garantire la convalescenza degli animali feriti, per lo
più cavalli e muli, ma non solo10.
Di tutte queste creature solo alcune, come si vedrà nel capitolo II, ricevettero
il riconoscimento ufficiale e l’attribuzione di medaglie al valore per le azioni
39
compiute sul campo a fianco dei commilitoni: la maggioranza, infatti, non ha
avuto purtroppo diritto neppure alla memoria.
1. Diego Leoni, La guerra verticale. Uomini, animali e macchine sul fronte di montagna, Einaudi,
Torino 2015.
2. Esemplare anche la storia dell’asino protagonista del volume di M. Greenwood, F.
Lessac, The Donkey of Gallipoli: A True Story of Courage in World War I, Candlewick Press,
Cambridge (MA) 2008.
3. Cfr. J. Cooper, Animals in War, pp. 96-109; nonché E. Bucciol, Animali al fronte e L. Fabi, Il
bravo soldato mulo.
4. Cfr. J. Cooper, Animals in War, pp. 154-163.
5. Ivi, pp. 85-95.
6. R. Bruneau, Les équidés dans la Grande Guerre, S. Butler, The War Horses: The Tragic Fate of a
Million Horses Sacrificed in the First World War, Halsgrove, Wellington (UK) 2011, D.
Kenyon, Horsemen in No Man’s Land: British Cavalry and Trench Warfare 1914-1918, Pen &
Sword, Barnsley 2011, G. Tempest, All the Muddy Horses: Giving a Voice to the “Dumb
Creatures” of the Western Front (1914-1918), in R. Pöppinghege (dir.), Tiere und Krieg, pp.
217-234 e G. Winton, ‘Theirs Not To Reason Why’. Horsing the British Army 1875-1925, Helion
and Company, Solihull 2013. Si vedano, inoltre, gli articoli disponibili online ed elencati nel
cap. III, Una guida multimedia.
7. Cfr. M. Strauss, These Are the Brave and Fluffy Cats Who Served in World War I, “GizMondo”,
22 August 2014, http://io9.gizmodo.com/a-gallery-of-cats-who-served-in-world-war-
i-1624713212, L. Fabi, Guerra bestiale e S. Ferrari, S.E.L. Probst, 1914/18: la guerra e gli animali.
8. Cfr. J. Cooper, Animals in War, pp. 54-71 e L. Fabi, Guerra bestiale. Si vedano, inoltre, N.
Allsopp, Cry Havoc: The History of War Dogs, New Holland Publishers, Chatswood, 2009, D.
Castellani, Cani in guerra, storie di soldati a quattro zampe, Nordpress, Chiari 2000, I.
George, Dog Soldiers. Love, Loyalty and Sacrifice on the Front Line, Harper Collins, London
2016, M. G. Lemish, War dogs: A History of Loyalty and Heroism, Potomac, Washington, D.C
2008, D. Lewis, War Dog: The no-man’s-land puppy who took to the skies, Sphere, London 2014,
K.-G. Petzl, Hundee in Krieg und Frieden, Petzi, Wien 2005, L. Rogak, The Dogs of War: The
Courage, Love and Loyalty of Military Working, Saint-Martin’s Press, New York 2011 e R.
Todero, Cani e soldati nella Prima Guerra Mondiale, Gaspari Editore, Treviso 2011. Utili al
riguardo anche i numerosi articoli disponibili online ed elencati nel cap. III, Un guida
multimediale.
9. Cfr. F. Calvet, J.-P. Demonchaux, R. Lamand, G. Bornert, Une brève histoire de la colombophilie,
in “Revue Historique des Armées”, n. 248, 2007, pp. 93-105, https://rha.revues.org/1403 -
tocto2n3, M. Marchisio, G. Morei, L’impiego dei piccioni viaggiatori durante la Prima guerra
mondiale, in “Veterinaria Militare”, n. 12, 2007, pp. 541-542, http://
www.ordiniveterinaripiemonte.it/rivista/07n12/pdf/09.pdf, A. Salles, La colombophilie
militaire. I. 1870-1918 Un drôle d’oiseau, in “Histoire de Guerre, Blindés et Matériels”, n. 93,
2010, p. 44-53 e J. Wajerowski, La Grande Guerre des pigeons voyageurs, in D. Baldin (dir.), La
guerre des animaux, pp. 59-67. Si vedano, inoltre, i numerosi contributi di articoli e saggi
online indicati nel cap. III, Un guida multimediale.
10. J. Cooper, Animals in War.
40
9. L'empatia, un approccio didattico
41
Studiare la Grande Guerra a partire dagli animali, che vi parteciparono, pre
senta inoltre diversi vantaggi. L’assunzione del punto di vista di un soggetto
subalterno, proprio perché richiede una inversione di approccio e di analisi
rispetto a quello del soggetto dominante, provoca un allargamento di oriz
zonti, portando a riflettere su degli aspetti peculiari di un singolo evento sto
rico che non avremmo mai neppure preso in considerazione, riflettendosi
inevitabilmente sul modo di guardare il presente. La visione dilatata e dal
basso verso l’alto propria del punto di vista animale permetterà di sviluppa
re una nuova narrativa della guerra, emancipandola dalla narrazione ma
nualistica incentrata spesso esclusivamente sui fronti europei, sulle perdite,
le sconfitte e le vittorie delle singole nazioni e quasi mai sul quotidiano di
chi la guerra l’ha agita, subita, vissuta.
42
II. I protagonisti
10. Il cane
Fig. 10.1: Cane messaggero con il cilindro, in cui il messaggio veniva trasportato,
Etaples, 28 Agosto 1918 © IWM (Q 9277)
45
l’elevato investimento di carattere tecnico-scientifico messo in campo da tutti
gli schieramenti.
L’importanza e l’utilità dei cani al fronte si fece evidente sin dai primi mesi
del conflitto, tanto che tutti i paesi coinvolti e, soprattutto, quelli dell’Intesa
iniziarono una corsa all’arruolamento del maggior numero possibile di cani
per sopperire al deficit accumulato rispetto all’avversario germanico. In pae
si con una più spiccata sensibilità verso il mondo animale e in particolare ca
nino, come la Gran Bretagna, si cercò agli inizi di rastrellare gli elementi ido
nei fra i randagi e i cani abbandonati, temendo la scarsa collaborazione dei
proprietari. Nei vari paesi europei, infatti, fu istituita una sorta di leva cani
na, definita “volontaria”, ma che difatti obbligava i proprietari a portare i
propri cani alle visite militari. Le memorie degli ufficiali preposti alle sele
zioni tramandano scene struggenti di proprietari, che si affannavano nel ri
cordare ai soldati il nome dei propri cani, istruendoli sulle loro abitudini ali
mentari e implorandoli di trattarli con gentilezza e di restituirglieli alla fine
della guerra; nonché il ricordo delle lettere dei bambini, che scrivevano alle
autorità chiedendo di poter tenere il loro cane perché anziano, specificando
di avere già consegnato quelli più giovani. Una volta superata la visita mili
tare, gli animali ritenuti idonei venivano arruolati dietro rilascio di un certi
ficato di arruolamento, attestante l’impegno delle autorità a restituirli alla fi
ne della guerra, e inviati all’addestramento3.
46
solido rapporto tra il cane e il suo conduttore. L’addestramento era duro e si
protraeva per diverse ore al giorno, poiché era indispensabile raggiungere
presto i risultati desiderati per poter inviare i cani in prima linea. Ai cani ve
niva insegnato a portare a termine i propri compiti, nonostante i rumori as
sordanti delle armi e la confusione, e ad addentrarsi in zone impervie. A ga
ranzia del fatto che avrebbero svolto il loro compito con successo, venivano
tenuti a digiuno in attesa di essere spediti in missione, per essere ricompen
sati con la ciotola al loro rientro4. Una volta al fronte avrebbero svolto man
sioni di portaordini, ricognizione contro i sabotaggi alle linee telefoniche,
supporto alle compagnie sanitarie per il recupero dei feriti e dei caduti nella
“terra di nessuno” e per il trasporto di medicinali, oltre che di bonifica delle
trincee dai ratti. L’utilizzo dei cani nella consegna dei messaggi ad esempio
aveva dei vantaggi oggettivi, poiché erano tre volte più veloci di un uomo,
schivavano con maggiore agilità il mirino del nemico, erano abbastanza leg
geri da poter passare su una mina senza innescarla e, contrariamente ai pic
cioni, potevano essere inviati in missione anche in condizioni atmosferiche
avverse. In zone particolarmente impervie, come ad esempio le Alpi, venne
ro utilizzati per trasportare armi, cibo e per trainare le lettighe dei feriti, tan
to che venne avviata la produzione di appositi carretti trainabili da una cop
pia di cani. Sul fronte italiano dell’Adamello, in particolare, i cani trainarono
le slitte attraverso i tunnel scavati nel ghiaccio. Accanto ai cani messaggeri e
trasportatori non mancarono quelli addestrati per fare la guardia e, loro mal
grado, terrorizzare i prigionieri. Infine, pur non entrando nel computo dei
cani arruolati, non si può non tener conto della presenza al fronte dei cani da
compagnia e delle mascotte. Accolti dai soldati e, spesso, adottati dagli uffi
ciali, si trattava di animali abbandonati durante gli sfollamenti, che trovava
no cibo e riparo nelle trincee, tenendole in cambio sgombre dai ratti, dando
l’allarme, poiché sentivano in anticipo l’arrivo delle granate, e restituendo ai
soldati una sorta di normalità attraverso un semplice scodinzolio5.
47
Fig. 10.2: Ufficiali si rilassano attorno ad un grammofono con i loro cani, sul campo a
Poperinghe, 26 Settembre 1917 © IWM (Q 2897)
La presenza dei cani al fronte fu a tal punto indispensabile da spingere gli al
ti comandi a diramare ordini, affinché i soldati prestassero massima atten
zione al loro benessere complessivo, introducendo precauzioni tese a garan
tire loro il giusto riposo dopo ogni missione, cibo adeguato e in quantità suf
ficienti, nonché le cure in caso di malattia e di incidenti in missione, come i
ferimenti da armi automatiche e l’esposizione ai gas. Un soccorso che nella
maggior parte dei casi veniva effettuato direttamente dagli ufficiali medici,
poiché il personale veterinario, la cui presenza era prevista nelle zone di
operazione, non era in servizio permanente al fronte. La cura sanitaria, che
avrebbe avuto una ricaduta positiva nel determinare i progressi della scien
za veterinaria nel dopoguerra, non rispondeva ad un principio di compas
sione e maggiore sensibilità verso la sofferenza del commilitone a quattro
zampe, quanto piuttosto ad un principio utilitaristico basilare, finalizzato a
non sprecare l’investimento fatto nell’addestramento e mantenimento
dell’animale. Nonostante il legame creatosi tra animale e soldato fosse inne
gabile, come le fonti dimostrano, furono gli stessi soldati ad abbandonare al
proprio destino i tanti cani civili, con cui condivisero i lunghi mesi nelle trin
48
cee e i cani regolarmente arruolati non ebbero una sorte migliore. Alla fine
della guerra, infatti, i cani sopravvissuti ai campi di battaglia, se feriti e ma
lati venivano soppressi, altrimenti abbandonati nelle aree di operazione.
L’esperienza più tragica fu probabilmente quella dei cani italiani
dell’Adamello, abbandonati alla catena nel 1918: solo i più robusti riuscirono
a liberarsi disperdendosi in montagna, mentre gli altri morirono di stenti6.
49
11. Bally Shannon, Satan e Stubby
I cani eroi della Grande Guerra non furono numerosi, ma di alcuni esemplari
è rimasta memoria. È il caso di Bally Shannon, il cane-sanitario britannico, a
cui si deve il recupero di diversi feriti dalla “terra di nessuno” sul fronte
francese; di Satan, il cane-messaggero francese, che cambiò le sorti
dell’assedio di Verdun; e di Stubby, il pluridecorato sergente dell’esercito
americano. La storia di quest’ultimo è peculiare perché non si trattava di un
cane militare arruolato e addestrato come i primi due, quanto piuttosto di un
cane da compagnia, che seguì il suo proprietario partito per l’Europa nel
1917.
50
Fig. 11.1: Prima pagina di Le Miroir del 17 giugno 1917
51
recupero, che avvenne il giorno successivo. Si narra che quando Shannon
giunse in prossimità del gruppo, il suo conduttore gli intimò di non avvici
narsi, poiché il suo peso avrebbe fatto affondare l’improvvisata zattera. Il ca
ne allora nuotò tutta la notte a fianco dei commilitoni, poggiando solo il
mento alla tavola quando era completamente esausto.
52
schera antigas, i soldati trovarono il contenitore con il dispaccio del quartier
generale, che chiedeva loro di resistere fino il giorno successivo, quando sa
rebbero arrivati i rinforzi e di inviare le coordinate tramite i due piccioni, che
Satan portava sulle spalle. I piccioni vennero rimandati indietro con le coor
dinate. Uno fu abbattuto subito, mentre l’altro riuscì a raggiungere il quar
tier generale, facendo sì che il giorno dopo l’attacco sferrato alle spalle dei te
deschi aprisse il varco, che avrebbe ricongiunto le truppe britanniche a quel
le francesi, cambiando il corso della guerra. Quanto alle sorti di Satan non si
hanno notizie certe, potrebbe aver ricevuto le cure necessarie ed essersi sal
vato, oppure essere morto una volta compiuta la propria missione.
Stubby, diversamente da Bally Shannon e Satan, non era un cane militare, ben
sì una mascotte, un cane di piccola taglia congedato con il grado di sergente.
Si imbarcò nella primavera del 1917 con il suo padrone, uno studente di
Harvard, il caporale Robert Conroy, partito dal Connecticut alla volta delle
trincee francesi con il 102° reggimento di fanteria dell’esercito americano.
Stubby al seguito del suo compagno umano si ritrovò a prestare servizio in
Francia per 18 mesi, durante i quali si conquistò un’enorme popolarità per il
coraggio dimostrato in azione. Grazie alla sua piccola taglia, venne utilizzato
per infiltrarsi tra le linee nemiche e per trasportare i cavi necessari al ripristi
no delle linee telefoniche sabotate. Ferito in diverse occasioni, tornò sempre
53
in prima linea dopo il periodo di convalescenza, guadagnandosi decorazioni
ed encomi, fino ad ottenere il grado di sergente per l’apporto dato alla cattu
ra di una spia tedesca. La sua fama era tale che, quando gli americani entra
rono a Château-Thierry, le donne del posto realizzarono per lui il giubbotto
su cui furono appese le numerose medaglie, di cui fu insignito4.
Tornato negli Stati Uniti, Stubby partecipò con Conroy agli incontri pubblici
dedicati alla Grande Guerra, diventando un eroe nazionale. Quando nel
1926 morì di vecchiaia, il suo corpo fu imbalsamato ed esposto al National
Museum of American History di Washington DC, dove è visibile ancora og
gi.
54
12. Strumenti di approfondimento
Europeana 1914-1918
È il sito tematico curato dalla BBC dedicato alla Prima guerra mondiale. Alla
pagina Animals during the war è possibile trovare una sezione specifica de
dicata ai cani.
British pathé
Articoli online
55
Didier Arnold, Le chien et l’artilleur, Pataud et Louis Bedu, Archives départe
mentales et patrimoine du Cher, http://www.archives18.fr/article.php?
laref=825&titre=le-chien-et-l-artilleur-pataud-et-louis-bedu
Warren Manger, Satan the messenger dog who helped Allies turn tide of Great
War remembered 100 years on, http://www.mirror.co.uk/news/world-news/
satan-messenger-dog-who-helped-7404457
Alexander Robertson, Revealed: How a messenger dog called Satan dodged Ger
man fire in a gas to help Allied forces turn the tide in one of the Great War's bloo
diest battles, http://www.dailymail.co.uk/news/article-3456252/How-mes
senger-dog-called-Satan-dodged-German-fire-gas-mask-help-Allied-forces-
turn-tide-one-Great-War-s-bloodiest-battles.html
Joe Shute, "Dogs of war: the unsung heroes of the trenches", The Telegraph, 29
oct. 2014, http://www.telegraph.co.uk/history/world-war-one/11195378/
Dogs-of-war-the-unsung-heroes-of-the-trenches.html
C. N. Trueman, Dogs In World War One, The History Learning Site, 16 Apr.
2015, http://www.historylearningsite.co.uk/world-war-one/the-western-
front-in-world-war-one/animals-in-world-war-one/dogs-in-world-war-
one/
56
13. Il piccione
Nei primi anni di guerra, benché tutti gli eserciti fossero dotati di reparti
speciali con personale apposito per la cura e l’addestramento dei piccioni, si
cercò di fare affidamento soprattutto sui nuovi mezzi di comunicazione (te
lefono, telegrafo, cablogramma, radio), ritenendo il servizio dei piccioni
viaggiatori necessario solo in caso di assedio. Ben presto, però, ci si rese con
to che il loro utilizzo poteva essere non soltanto utile, ma persino più affida
bile nelle comunicazioni tra le linee e il quartier generale. Le telecomunica
zioni e la radio erano, infatti, oggetto di sabotaggio e intercettazioni e, quin
di, spesso inutilizzabili, mentre i piccioni, salvo in caso di ferimento grave o
abbattimento, non si fermavano finché non raggiungevano la loro destina
zione, consegnando il messaggio loro affidato1.
57
Ogni divisione disponeva di 4 colombaie distinte in auto-colombaie, allog
giate su veicoli a quattro ruote, e in colombaie a rimorchio, disposte su vei
coli a due ruote trainati da automezzi leggeri. Queste strutture potevano
ospitare complessivamente dai 90 ai 120 colombi e si muovevano lungo il
fronte a seconda delle necessità logistiche. Le colombaie fisse, invece, erano
installate nei fienili o nei sottotetti in località lontane dalle operazioni e rifor
nivano le colombaie mobili di piccioni giovani e appena addestrati. Il loro
supporto logistico era indirizzato principalmente alle armate di terra, ma
erano presenti anche sulle navi, sugli aeroplani e nei sottomarini. In caso di
attacco, venivano inviati ad avvisare i quartier generali dell’accaduto, recan
do messaggi con le coordinate e le richieste di rinforzo e soccorso. In molti
casi rappresentarono l’ultima possibilità di salvezza per i loro commilitoni. I
piccioni erano veloci, resistenti e, a loro modo, davvero impavidi. Volavano
ad una velocità di 40km/h ed erano in grado di percorre fino a 100km senza
sosta, recapitavano messaggi di vitale importanza e, grazie al loro portento
so senso dell’orientamento, come avevano dimostrato durante la battaglia di
La Marne nel 1914, tornavano sempre alle loro colombaie anche se queste nel
frattempo avevano cambiato posizione. Oltre che nel recapitare i messaggi,
potevano essere impiegati in operazioni di spionaggio mediante piccole fo
tocamere posizionate sul loro petto che, grazie ad un timer di autoscatto, re
gistravano le immagini durante il volo2.
58
Fig. 13.2: Apparecchio fotografico in miniatura da posizionare sotto il ventre dei piccioni
viaggiatori, © Bnf, Europeana Collections 1914-1918
I colombi, al pari dei cani, svolsero una funzione militare strategica al punto
da introdurre misure precauzionali per la loro salvaguardia,
dall’accudimento all’adeguata alimentazione, dal divieto assoluto di cattura
a scopo alimentare alle misure di protezione antigas. Gli esemplari feriti ve
nivano soccorsi e, se possibile, curati dal personale sanitario o veterinario,
quando era presente.
59
Fig. 13.3: Scatola anti-gas per 15 piccioni viaggiatori, Trento, © ÖNB,
Europeana Collections 1914-1918
60
I piccioni arruolati nella Grande Guerra furono circa 200.000, la maggioranza
dei quali morta sul campo. Essi erano considerati alla stregua di un’arma se
greta e, come tutte le armi segrete, venivano contrastati da armi altrettanto
letali, in questo caso cecchini appositamente addestrati per fermarne il volo.
Della loro presenza nei libri di storia non vi è traccia, sebbene anche tra loro
si possono annoverare degli eroi.
61
14. Cher Ami, Mocker e Valiant
L’eroe più celebrato è stato Cher Ami, che durante l’offensiva della Mosa-Ar
gonne (settembre-novembre 1918) compì dodici viaggi
da Verdun a Rampont, riuscendo a recapitare con successo tutte le comuni
cazioni; non meno valoroso fu Mocker, che nonostante la perdita di un occhio
e di parte del cranio riuscì a consegnare il messaggio, che permise
all’esercito americano di contrastare l’attacco tedesco (settembre 1918); e, in
fine, Vaillant, il coraggioso piccione di Fort Vaux, che nel giugno del 1916,
durante il lungo assedio di Verdun, mantenne le comunicazioni tra le truppe
e il comando.
Cher Ami è il piccione più famoso della Prima guerra mondiale, anzi la più
famosa come si è scoperto durante le procedure per l’imbalsamazione. Era
stata donata alla 77 divisione di fanteria dell’esercito americano dagli ingle
a
si e, durante il periodo di servizio, riuscì a consegnare con successo dodici
62
messaggi di vitale importanza tra il fronte di Verdun e il quartier generale
con sede a Rampont, conquistandosi l’amicizia dei commilitoni, che la chia
mavano per nome e si affidavano al suo servizio avendone riscontrato la
grande affidabilità fino all’ultima missione, in cui salvò il “battaglione
perduto” (The Lost Battalion) della sua divisione. Nell’ottobre del 1918 un
a
battaglione della 77 divisione fu circondato dai tedeschi. Dopo diversi gior
ni di combattimento, la metà del battaglione era stato ucciso e le razioni di
cibo ed acqua rimaste erano appena sufficienti per un giorno. In tali condi
zioni una effettiva resistenza era impossibile così come l’idea di accettare la
richiesta di resa inviata dai tedeschi, poiché l’ordine era di resistere fino alla
fine. L’ultima speranza rimasta al comandante fu, dunque, Cher Ami. Colpita
ripetutamente dalle armi nemiche, nonostante le ferite riportate riuscì a per
corre la distanza di 40 km, che separava il battaglione dal quartier generale
in appena 25 minuti, consegnando il messaggio, che lo salvò. Cher Ami era
stata colpita da un proiettile al petto, mentre un altro le aveva staccato una
zampa. Fu il generale Pershing in persona ad organizzarne il ritorno negli
Stati Uniti, dove fu curata, accudita e, infine, morì nel giugno del 1919 a Fort
Monmouth (New Jersey). Per il valore dimostrato sul campo, fu insignita
della Distinguished Service Cross dell’esercito americano e della Croix de
Guerre francese. Al pari di Stubby, anche il corpo di Cher Ami fu imbalsama
to ed è visibile ancora oggi al National Museum of American History di Wa
shington DC3. La vicenda che la vide protagonista è stata ricostruita nel 2001
dal film per la televisione, The Lost Battalion, diretto da Russell Mulcahy e di
stribuito a livello internazionale da 20th Century Fox Television.
63
Service Cross e della Croix de Guerre, Mocker venne rimandato negli Stati
Uniti, dove fu curato e visse per altri 19 anni4.
64
sco con i gas, la maggior parte dei soldati se non morta era gravemente in
tossicata e l’intenso fumo impediva le comunicazioni ottiche con il forte di
Souville nelle retrovie. Il messaggio, che Raynal attaccò nell’anello sulla
zampa di Vaillant, era disperato. Una testimonianza anche della grande diffi
coltà a gestire gli attacchi con i gas tossici, numerosi sul Fronte occidentale: non
sapeva, infatti, fino a quando avrebbero potuto resistere e non aveva altri
mezzi per comunicare. Malgrado le difficoltà dovute al fumo e
all’esposizione ai gas, Vaillant riuscì ad arrivare seppur in fin di vita alla propria
colombaia, consegnando il messaggio, che salvò Fort Vaux. Sopravvissuto,
morì all’età di 24 anni nel 1939, nella stessa settimana in cui morì anche il
comandante Raynal. Per l’eroismo dimostrato, Vaillant ha ricevuto due
onorificenze, la Bague d’honneur e la Citation à l’ordre de la Nation ed è stato in
signito, inoltre, della Croix de Guerre. La sua storia ha ispirato un famoso
cartone animato francese ambientato nella Seconda guerra mondiale, intitolato
Vaillant, pigeon de combat5.
65
15. Strumenti di approfondimento
Europeana 1914-1918
Partendo dal foglio fotografie si accede alla pagina album fotografici da dove,
inserendo nella stringa parola da cercare piccioni viaggiatori, si potrà accede
re a diverse immagini di colombaie militari.
Alla pagina Animals during the war si trova una sezione completamente de
dicata ai piccioni con interessanti spunti didattici.
British pathé
Articoli online
66
CECOM Historical Office - U.S. Army Live Blog, Mocker - Distiguished Pigeon,
http://cecomhistorian.armylive.dodlive.mil/2013/04/25/mocker-distingui
shed-pigeon/
Office of the Deputy Chief of Staff for Operations and Plans - U.S. Army CE
COM Life Cycle Management Command, A history of Army communications
and electronics at Fort Monmouth, New Jersey, 1917-2007,https://
openlibrary.org/books/OL22977787M/
A_history_of_Army_communications_and_electronics_at_Fort_Monmouth_New_Jersey_19
Matteo Rubboli, Cher Ami: il piccione che salvò 194 soldati volando senza una
gamba e un occhio nella battaglia delle Argonne, http://
www.vanillamagazine.it/cher-ami-il-piccione-che-salvo-194-uomini-volan
do-senza-una-gamba-e-un-occhio-nella-battaglia-delle-argonne/
C. N. Trueman, Pigeons And World War One, The History Learning Site, 16
Apr. 2015, http://www.historylearningsite.co.uk/world-war-one/the-we
stern-front-in-world-war-one/animals-in-world-war-one/pigeons-and-
world-war-one/
67
16. Il cavallo
Fig. 16.1: Uomini e cavalli dell'Army Service Corps (ASC) sottoposti ad una
esercitazione anti-gas, da qualche parte nel Regno Unito, probabilmente Aldershot ©
IWM (Q 34105)
I cavalli sono forse gli animali più noti nell’immaginario collettivo per la
propria sensibilità e timidezza, oltre che per la loro delicatezza, a dispetto
del fisico imponente, questo però non ha evitato che la loro presenza negli
eserciti fosse costante sin dal 2000-1000 a.C., quando presumibilmente nac
que la cavalleria. Nel corso dei secoli, ed in particolare tra Ottocento e inizi
Novecento, il progresso tecnico-scientifico se, da un lato, ha rafforzato gli
eserciti, dotandoli di armi sempre più sofisticate e distruttive, dall’altro, ha
contribuito ad incrementare la carneficina di questi animali. Non a caso la
confisca dei cavalli da parte delle autorità militari viene oggi considerata un
68
vero e proprio atto di guerra rivolto a questi animali, il cui servizio effettivo
negli eserciti cessò di fatto con la Grande Guerra.
69
Fig. 16.2: Italiani catturati seppelliscono i cavalli giacenti per strada, 1917 © ÖNB,
Europeana Collection 1914-1918
L’aspettativa di vita al fronte non superava i dieci giorni. Accanto alle deci
mazioni subite in battaglia, si ricordano quelle sul Fronte occidentale e, du
rante le prime fasi della guerra, le operazioni della cavalleria russa per la
conquista del territorio tedesco, i cavalli furono vittime delle insidie della
guerra di trincea e della loro stessa sensibilità. Le condizioni atmosferiche
estreme e gli esplosivi provocavano loro delle reazioni difficili da gestire, de
terminandone spesso l’abbattimento, affinché non fosse messa in pericolo
l’incolumità dei militari attorno a loro, senza contare che l’esposizione alle
mitragliatrici nemiche, ai gas asfissianti e ai reticolati metallici producevano
ferite tali da non lasciare loro scampo. Con il protrarsi del conflitto e
70
l’immobilità dei fronti, la loro funzione militare venne ridotta alle retrovie,
alle mansioni di trasferimento dei soldati e dei pezzi di artiglieria, oltre che
del rifornimento. La riduzione di operatività ne rese le condizioni di vita
pessime, a cominciare dalle scarse quantità di cibo, spesso marcio, e di ac
qua, generalmente inquinata.
Questo non significa che non fossero state predisposte misure per garantire
loro le cure necessarie in caso di bisogno. Su tutti i fronti ma, in particolare,
sul Fronte occidentale e, in una certa misura, in Palestina l’impegno dei Cor
pi veterinari britannici fu imponente e la RSPCA fu molto attiva nel racco
gliere i fondi necessari all’allestimento di ospedali veterinari da campo,
all’acquisto di ambulanze, medicinali, foraggio oltre che a garantire la con
valescenza degli animali feriti. Risorse, di cui beneficiarono organizzazioni
come la Blue Cross, che allestì ospedali veterinari in territorio francese desti
nati alla cura e alla riabilitazione dei cavalli, sebbene le possibilità di vita e di
recupero per questi animali rimasero minime.
71
In altri casi si trattò di una violenza premeditata, dettata spesso dagli eventi,
e sicuramente gratuita. Non mancano le testimonianze di soldati, che arriva
rono a macellare gli animali più deboli per garantirsi il sostentamento, come
pure le fonti relative alle decisioni assunte dagli alti comandi alla fine della
guerra di vendere i pochi reduci ai mattatoi presenti in prossimità delle aree
di smobilitazione3. La crudeltà della guerra, tuttavia, non impedì che tra sol
dato e cavallo si sviluppasse comunque un legame molto forte e reciproco.
Era frequente vedere i soldati sfidare il pericolo per stare vicini ai propri ca
valli morenti e cavalli impazziti di disperazione alla perdita del proprio ca
valiere4.
72
17. Warrior
I cavalli sopravvissuti alla Grande Guerra furono pochi e di questi solo qual
cuno ebbe la fortuna di invecchiare e morire serenamente molti anni dopo la
fine del conflitto. È il caso di Warrior, il cavallo del generale britannico Jack
Seely.
A molti anni dalla fine della guerra, la sua storia avrebbe catturato
l’attenzione dello scrittore Michael Morpurgo, da cui trasse ispirazione per
creare il protagonista del romanzo per ragazzi War Horse pubblicato nel
1982, in cui la voce narrante è quella in un cavallo di guerra, Joey, che rac
conta le sue avventure al fronte. Romanzo, che a sua volta avrebbe ispirato
l’omonimo film di Steven Spielberg uscito nel 2011. La vera storia di Warrior,
tuttavia, era nota sin dall’immediato dopoguerra grazie ai militari canadesi, i
quali ne raccontarono le leggendarie imprese e contribuirono ad accrescerne
la fama presso il pubblico di lingua inglese, al punto che il suo proprietario e
conduttore, il generale Jack Seely, nel 1934 decise di scriverne la biografia,
My horse Warrior, per soddisfare le curiosità del pubblico che, affezionato da
lungo tempo al cavallo, era desideroso di conoscerne la vita.
73
Fig. 17.1: Truppe del genio britannico, che portano via i cavalli dopo lo sbarco in
Francia, © IWM (Q 33311)
74
Warrior arrivò in Francia nell’agosto del 1914 al seguito del generale Seely,
comandante del corpo di spedizione britannico. Dopo un primo periodo, nel
febbraio del 1915 fece ritorno in Gran Bretagna per sottoporsi ad un periodo
di addestramento con la Brigata di cavalleria canadese, di cui Seely era di
ventato comandante. Ritornato due mesi dopo in Francia, non abbandonò il
Fronte occidentale fino al Natale del 1918, quando fece rientro nella casa di
famiglia sull’Isola di Wight, dove morì all’età di 33 anni nel 1941. Warrior
partecipò ad alcune tra le più importanti battaglie combattute sul Fronte oc
cidentale, come la battaglia della Somme nel 1916 e quella di Cambrai nel
1918 e, pur riportando delle ferite, ritornò sempre in prima linea, anche
quando Seely, vittima di un attacco con i gas, dovette fermarsi per ricevere le
cure necessarie. Si distinse per il suo atteggiamento impavido sul campo,
sempre a fianco del suo conduttore e i commilitoni canadesi contribuirono
ad accrescerne la fama, soprannominandolo “il cavallo che i tedeschi non
riuscirono ad uccidere”1. Nonostante la sua esperienza fosse nota, solo nel
2014 Warrior è stato insignito della People’s Dispensary for Sick Animals
(PDSA) Dickin Medal alla memoria, per essersi distinto in guerra a 100 anni
dagli eventi che lo videro protagonista2.
75
18. Strumenti di approfondimento
Europeana 1914-1918
Dedica uno spazio speciale ai cavalli di guerra sia nella pagina Animals du
ring the war che nell’approfondimento curato da Matt Baker, “Who were
the real war horses of WW1?”.
Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals e Blue Cross Society
Si tratta dei siti delle due maggiori organizzazioni britanniche, che contribui
rono ad organizzare il servizio sanitario veterinario durante la guerra.
British pathé
76
Effettuando una ricerca per animals in war, si può accedere ad un filmato
d’epoca relativo ad un ospedale della Blue Cross (v. cap. III, Una guida multi
mediale).
Articoli online
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78
19. Una guida multimediale
Risorse fotografiche
Piccioni viaggiatori
Il piccione di Verdun
79
Cani militari
Cavalli
Filmati d'epoca
80
La selezione di filmati proposta di seguito deriva dal sito di cross-media Bri
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