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Il teatro sociale

di Francesco Ridolfi
http://psicoterapia.it/rubriche/print.asp?cod=10537

“Un attore [possiede] una straordinaria risorsa potenziale per creare un legame fra la
immaginazione e quella del pubblico, col risultato che un oggetto da banale può essere
trasformato in magico. Un buon attore può far credere che una brutta bottiglia di plastica
tenuta fra le braccia in un certo modo sia un bambino. Ci vuole un attore di grande qualità
per operare l’alchimia secondo cui una parte del cervello vede una bottiglia, e l’altra, senza
contraddizioni, senza tensione, ma con gioia, vede il bambino, la genitrice che lo tiene in
braccio e la natura sacra del loro rapporto” (Peter Brook, 1988).

Questo esempio per introdurre un articolo sul teatro sociale rende molto chiara la capacità
dell’arte di esprimere la forza dell’esperienza oggettiva della realtà che si integra, attraverso
il meccanismo della finzione teatrale, con l’esperienza emotivo/ affettiva dell’attore/ persona.
Dunque, proprio per ciò, l’attore, misurandosi di continuo con le proprie emozioni, può
contribuire attraverso la propria ricerca ad alimentare positivamente una strategia formativa
rivolta al sociale.

L’attore sociale è prima di tutto una persona che scegli di collocarsi in una posizione attiva
di ricerca su temi che riguardano l’uomo, il suo rapporto con la vita, i suoi conflitti, i suoi
bisogni e le sue aspirazioni.

L’essere umano è dunque lo sfondo iniziale di una ricerca nella quale entrano in gioco, oltre
alle emozioni, il corpo, la parola scritta e detta, lo spazio, i suoni, gli oggetti, la luce, le forme,
tutti elementi che rappresentano la materia vitale del teatro, spazio di revisione della persona
e degli elementi esterni che con essa interagiscono e che ne determinano il benessere o il
disagio.

In questa concezione il teatro può inserirsi nell’esperienza quotidiana delle persone, in quanto
struttura dinamica capace di raccogliere e rielaborare espressivamente le diverse
rappresentazioni per trasformarle in materia di confronto, di scambio, di comunicazione e di
crescita sia individuale che di gruppo.
“Il luogo in cui l’attore sociale si forma, sviluppa le proprie competenze e affina la propria
sensibilità è quello del laboratorio teatrale. Al suo interno i diversi ruoli e le diverse funzioni
di regista, attore, drammaturgo, musicista, scenografo e così via, si intersecano in un training
che si propone come cornice di una serie di azioni espressive finalizzate allo scambio
circolare delle molteplici competenze artistiche, oltre che alla codificazione di specifiche
metodiche teatrali che, proprio per mezzo del laboratorio, possono essere assimilate e nello
stesso tempo sottoposte a una continua messa in discussione”
(Cassanelli – Garzella 2002)
Quindi l’attore di colloca nel laboratorio non più come un passivo strumento di riproduzione
ma come essere umano totale, con un corpo, una mente, una spiritualità, e in conflitto costante
tra ciò che è e ciò che desidererebbe essere. Il laboratorio di ricerca è un luogo di sospensione,
uno spazio non ancora del tutto occupato dal mondo reale.

Nel laboratorio l’attore mette in gioco la propria personalità per una ricerca espressiva mirata
a contrastare le abitudini interpretative e psicofisiche, è un training volto a contrastare la
rigidità e gli stereotipi. Il teatro come spazio di verità, di cerchi magico. All’interno del
laboratorio ogni idea, intuizione, difficoltà, tecnica può essere trasformata in proposta
formativa.

La storia del teatro sociale


La storia italiana del teatro sociale comincia nel 1947 con la fondazione del Piccolo Teatro
di Milano. Dopo la catastrofe delle guerra e del fascismo occorreva risorgere. Serviva un’idea
precisa dell’arte e della cultura come impegno civile e morale. Da questo modo di pensare
nasce il primo teatro pubblico italiano, concepito come servizio pubblico. Il termine “sevizio
pubblico” indica la concezione dello stato come emancipatore degli individui, al servizio del
cittadino, per creare benessere economico e psicofisico.

Nel programma del Piccolo, Apollonio intreccia due concezioni del teatro pubblico: la prima
è quella della democrazia illuminata, il teatro come luogo di rischiaramento delle menti e di
acculturazione del popolo. La seconda concezione era riferita al processo generativo del
teatro, cioè non più dal regista e dal direttore artistico, ma dal pubblico, inteso come un coro,
come un gruppo protagonista attivo della vita sociale, culturale e politica (Bernardi 2004).

Nel ’47 inizia anche l’avventura che De Marinis definisce come il “nuovo teatro”, noto anche
come “teatro d’avanguardia” o “teatro di ricerca” o “teatro sperimentale” ossia quell’insieme
di esperienze e proposte teatrali che puntano ad un profondo e radicale rinnovamento del
modo di fare e concepire il teatro. La data simbolica del ’47 è riferita alla fondazione del
Living Theatre di Beck e Malina.

Alla fine dei rivolgimenti sessantottini gli esponenti del teatro di avanguardia devono fare i
conti con se stessi e con il proprio lavoro. L’elemento che accomuna il teatro d’avanguardia
è stata la
“crescente tensione al superamento dei limiti storicamente imposti alla scena occidentale,
della sue convenzioni ormai svuotate e delle sue chiusure. Ma tensione verso dove? Verso
cosa? Diciamo verso un dopo, un aldilà, un oltre teatro, che per alcuni non avrà più niente a
che vedere con il teatro stesso (si pensi almeno a Grotowski) e per altri sarà invece il teatro
talmente trasformato nelle sue modalità, e ancor di più, nelle sue funzioni che non si riuscirà
più a riconoscerlo come tale restando al di qua di quei limiti”
(De Marinis, 1987).
Oltre al teatro c’era l’utopia di una società libera, pacifica, creativa, gioiosa completamente
diversa da quella società che aveva esaltato la razionalità e la tecnica.

La contestazione giovanile aveva messo al centro della vita individuale, il sociale, il


collettivo, la comune, il movimento, la liberazione degli oppressi, la festa, strada,
manifestazione, il rito, il sesso, il corpo, la natura, la spiritualità, la politica. Tutte le forme
di autoritarismo e repressione vennero contestate.

Il teatro rifiutava il principio di rappresentazione che limita la realtà per reprimerla,


controllarla, finalizzarla agli scopi del potere. Si voleva andare oltre alla figura del regista e
dell’attore: antropologi, psichiatri, studiosi di comunicazione studenti divennero operatori
teatrali unendosi alle figure che già operano del teatro.

L’utopia teatrale degli anni settanta perseguì la via


“della promozione di un processo di elaborazione culturale dal basso e di base, attraverso
l’instaurazione di un rapporto costante e prolungato fra operatori e comunità, che prefiguri,
in una prospettiva utopica, la totale intercambiabilità e reciprocità dei ruoli e il conseguente
porsi del fatto teatrale come pratica sociale generalizzata, autonoma e collettiva”
( De Marinis, 1987).
Alla fine degli anni settanta nasce il teatro d’animazione con l’intento di trasformare
l’istruzione in formazione attiva e dinamica dei processi di conoscenza e creatività. Uno dei
punti di ispirazione di questa nuova corrente era la scuola per bambini orfani e sbandati
organizzata dalla regista Asja Lacis dopo la rivoluzione d’ottobre. Il teatro era usato come
metodo pedagogico, le recite di fine anno venivano eliminate privilegiando
l’improvvisazione, l’autonomia creativa dei ragazzi, il coinvolgimento del territori,
l’irripetibilità dell’evento scenico, la discussione e la critica.

Un altro punto di riferimento fu il teatro della spontaneità di Moreno, l’inventore dello


psicodramma. Il campo d’azione dell’animazione teatrale fu principalmente la scuola, con
l’intento di portare sul palco la drammatizzazione dei contenuti didattici al fine di rendere
più piacevole e più efficace l’apprendimento scolastico, di creare un teatro dei ragazzi, di
creare un teatro di figura o di animazione che abituava i ragazzi a creare burattini, marionette
e ombre cinesi a fini espressivi.

La portata utopica di questa corrente portò nei primi anni innovazioni e modificazioni di
ordine culturale all’interno della scuola, nel teatro e nelle istituzioni pubbliche in genere. Ma
una volta rinnovate le istituzioni fecero si che l’animazione divenisse uno strumento al loro
servizio. La scuola trasformò l’animazione in una disciplina come le altre.

Questa nuova corrente portò alla nascita di moltissime cooperative, gruppi, collettivi,
associazioni, e la stessa amministrazione pubblica la usò come strumento di riaggregazione
sociale, di educazione popolare e di promozione culturale.

Uno dei più celebri lavori dell’animazione teatrale è quello di Giuliano Scabbia. Con la
concomitanza dell’esplosione di gruppi, comuni, collettivi e del crollo della famiglia, vista
adesso come luogo di repressione e castrazione delle pulsioni erotiche e creative, le scienze
umane, in particolare quelle psicoanalitiche, divennero un sapere non solo per le loro
denuncie ma in quanto crearono pratiche in grado di dare espressione al se, alla gestione dei
conflitti, alla condivisione delle emozioni.

Moreno definiva lo psicodramma come “la scienza che esplora la verità attraverso metodi
drammatici”. La scoperta principale di Moreno fu quella di capire la profonda valenza socio
– psicologica dell’esperienza teatrale e soprattutto la rilevanza non solo terapeutica ma anche
culturale e sociale del gruppo. Moreno si prodigò ad incontrare nei loro ambienti, bambini,
prostitute, profughi per aiutarli a prendere coscienza di se, a reagire e interagire.

Il teatro dell’oppresso è nato in america Latina come metodo per cambiare la coscienza
politica delle masse sfruttate di contadini e lavoratori, condizionati dalla tradizione a credere
ad un destino ineluttabile.

Boal, il suo inventore, rifiuta il teatro borghese, aristotelico, catartico, quello che rappresenta
i drammi della gente ma lo fa senza darne spiegazione o senza ricercarne una soluzione.
Rifiuta quel teatro catartico che appaga l’animo e non fa nascere le domande. Lo spettatore
del tdo è attivo, non in senso brechtiano dove lo spettatore è si critico ma rimane sempre
seduto nella sua poltrona. Qui lo spettatore è attivo, si alza, può andare sul palco e
sperimentare uno dei ruoli in scena. Così facendo può capire come arrivare al cambiamento.

Boal cercava la rivoluzione nel teatro. Fece un teatro non solo per il popolo, ma formato dal
popolo, ricercando le espressioni, le culture, il linguaggio e le forme del popolo.

Tutto ciò doveva favorire la presa di coscienza e l’azione, l’organizzazione, la vita e la lotta
degli oppressi (Bernardi, 2004).
Facevano parte del tdo anche il teatro invisibile e quello di immagine. Il primo veniva svolto
in ambienti di vita quotidiana, con tematiche apparentemente casuali, sui temi più scottanti
del momento, provocando reazioni sulle persone, discussioni, prese di posizione.
Fondamentale è che il pubblico non sospetti mai la finzione.

Nel teatro di immagine lo spettatore è invitato a fare una scultura, modellando i corpi degli
attori, sul tema proposto dai partecipanti. Da qui nasce la discussione.

Ognuno potrà proporre delle modifiche affinché si raggiunga una decisione comune, o quanto
meno della maggioranza. Il teatro di base nasce in un momento politico – sociale molto
delicato, nell’italia degli anni settanta.

Giovani che con il teatro di strada o d’animazione andavano nelle periferie più degradate
socialmente, denunciando alienazione, oppressione e emarginazione. Altri lavori vedevano
la riscoperta e la rivalutazione delle tradizioni popolari, dei canti, delle feste cancellati
dall’omologazione borghese.

Attori
Le esperienze di teatro sociale sono moltissime. Ad oggi sono infinite le esperienze teatrali
e le riflessioni sul campo dell’handicapp; pressoché tutte le realtà istituzionali di cura,
assistenza, formazione, accoglienza disabili promuovono attività teatrali ed espressive. In
questi posti il teatro inizialmente era visto come un ludico passatempo ma poi, vedendo gli
incredibili risultati che si ottenevano in termini psicomotori, affettivi, sociali e anche artistici
il teatro è stato accolto come attività educativa e potendo come professione artistica. Sono
molte le compagnie formate da persone disabili che producono spettacoli di qualità elevata.
“A differenza degli attori normali, il disabile in scena fa trasparire la necessità del teatro:
ogni gesto, ogni parola, ogni movimento non è mai routine, tanto meno mestiere, ma violento
spasmo di vita, una sfida a superare quella specie di campo minato che è il proprio corpo, la
voce, la mente, la relazione con gli altri e le cose. Convivono nell’attore rabbie profonde e
gioia del gioco”
(Bernardi 2004, pag.126).
Il problema più grande è la forte dipendenza dei laboratori e della preparazione degli
spettacoli dai finanziamenti pubblici e dalle speculazioni che in nome dell’arte vengono
fatte.

Le attività di animazione e di teatro a favore degli anziani sono moltissime. I problemi etici
e di gestione della terza età sono gravissimi nel nostro paese, non è qui la sede giusta per
discuterne, dirrò solo che il teatro in questo campo cerca di
“superare la prospettiva tradizionale di intrattenimento e di occupazione più o meno
piacevole del tempo, cercare di andare oltre l’aspetto puramente terapeutico o di attività
separata, per entrare il più possibile nel vissuto quotidiano e renderlo men duro”
(Bernardi 2004, pag. 131)
Il teatro ha un grande successo anche con persone che sono in cura per liberarsi da varie
dipendenze da sostanze. Sono molte le esperienze italiane. Quella a me più vicina, vissuta
direttamente, è quella fatta con “isole comprese” nella comunità di Galceti, Prato. Per un
approfondimento dell’esperienza rimando a successivi scritti. Esperienze di grande
importanza di teatro nelle carceri sono quelle della “compagnia della Fortezza” di Volterra,
diretta dal grande Armando Punzo.

Molte altre esperienze di teatro sociale sono state fatte in comunità rom e in quartieri dove il
conflitto, per varie ragioni, è alto.

Isole comprese teatro


Girando tra gli scritti che portano la firma di questa compagnia o tra i libri che essi
consigliano si evince un pensiero, una concezione di teatro che può essere descritta come
segue. Questo modo di fare teatro affonda le sue radici nell' esperienza di animazione e nel
teatro politico degli anni Sessanta, nel teatro di base degli anni Settanta, nelle istanze del
nuovo teatro rappresentato da modelli quali il Living Theatre, l'Odin di Barba, Grotowski,
Boal.
Un’ottimo punto di partenza è la riflessione di Artaud che sottolinea come la vita è
un'avventura imprevedibile e che quello di normalità e patologia è un concetto formale, con
una certa funzione classificatoria e basta. Nessuno è assolutamente psicotico e nessuno è
assolutamente sano, e soprattutto nessuno di noi è Dio e può sentirsi così onnipotente da
credere di guarire qualcuno. Si può aiutare uno psicotico a sviluppare le parti sane della sua
personalità.

Esistono almeno in astratto due ottiche completamente diverse, alle quali ricondurre le
proposte teatrali nell' ambito del disagio e della marginalità : La considerazione sociale che
pone l' accento sui risultati della terapia effettuata con strumenti teatrali - migliorare le
possibilità del malato - La considerazione artistica che guarda alla qualità del lavoro e al
risultato spettacolare.

Le due considerazioni non sono così distanti : l' efficacia pedagogico -terapeutica è
direttamente proporzionale alla qualità artistica. Gli strumenti del teatro risultano più efficaci
dal punto di vista socio-terapeutico, quanto più alta e rigorosa e' la qualità artistica. Le
capacità professionali messe in gioco. Il prodotto finale rappresenta integralmente il processo
di lavoro, riassume il percorso e le modalità di realizzazione: nello spettacolo si realizza la
"premessa"del Teatro : la comunicazione con l' altro e con la comunità. Il rito ha luogo.
Importante è un'altra distinzione : quella tra teatro terapeutico e terapia teatrale. In effetti le
grandi esperienze di pedagogia teatrale del 900 fanno ritenere che:
1. il teatro è ( può essere )tanto più terapeutico quanto meno si pone come obiettivo la
terapia.
2. le potenzialità terapeutiche del teatro (l' efficacia benefica ) non sembrano crescere in
relazione a un suo specializzarsi in genere autonomi con metodi, tecniche,principi
specifici ( psicodramma, drammaterapia, movimentoterapia, danzaterapia,).
Il teatro si definisce come lavoro su sè stessi e come relazione con l' altro :Gioco Rito Festa.
Il teatro si definisce teatro tout court : più alto livello possibile di rigore e qualità artistica.
Ciò che lo definisce come teatro si può ricondurre a 5 caratteristiche principali:
1. il teatro e' azione ,agire
2. il gioco : to play – jouer
3. l' assenza di distinzione tra attori e spettatori :nel teatro si partecipa
4. il corpo mente inteso come presenza totale di colui che agisce, come interezza
psicofisica
5. il viaggio verso e nell' alterità intesa come esperienza extraquotidiana dell' altro e dell'
altrove sul piano energetico e percettivo.
Il teatro consiste sostanzialmente nell' addestramento tecnico, psichico e fisico,insomma nel
lavoro su se stessi.. Che consiste nell' addestramento all' azione organica cosciente e
volontaria, e quindi addestramento alla disarticolazione dei blocchi,degli automatismi che
condizionano l' individuo e il disagiato.

Un altro dato e' importante : ciò che serve all' attore per apprendere e agire in scena non è poi
molto diverso da quello che può servire all' uomo per agire nella vita. Ciò significa che la
formazione al teatro può diventare una dimensione nuova: si tratta di passare dall' uso
pedagogico del teatro alla pedagogia teatrale ,dall'uso terapeutico del teatro alla terapia
teatrale: Grotowski riassume tutto in tre definizioni:
 il teatro è riducibile a una relazione tra attore e spettatore;
 è auspicabile una espressione autentica contro la recitazione dei ruoli sociali
quotidiani;
 l' arte non e' solo arte della rappresentazione ma anche veicolo di conoscenza
Può corrispondere a una autentica forma di conoscenza,solo ciò che l' uomo realizza " con "
e " nel " proprio corpo. Il teatro possiede in sé in quanto tale ( atto biologico e spirituale ) un
valore formativo,conoscitivo e anche curativo terapeutico . (teatro-teatro ) Le grandi
esperienze innovative del Teatro del Novecento hanno scoperto la dimensione etica,
conoscitiva, pedagogica , riguardante chi lo fa e chi lo vede (spettatore ). La ricerca sulle
tecniche si e' sviluppata per oltrepassare lo spettacolo come fine , e oggi si considerano le
tecniche dell' attore come uno dei possibili veicoli dell' esperienza spirituale,per una ricerca
di sé e su di sé.

Il laboratorio e' il luogo extra ordinario di organizzazione non sanitaria (gli attori -il regista)
dove "avvengono delle cose strane" che hanno a che fare con l' energia, il mistero,
l'interiorità. Nel laboratorio si lavora su ciò che accade stabilendo una relazione spazio
temporale con il qui e ora, mediata dal conduttore traghettatore dello stato dell' essere, che
dà le coordinate della relazione. Il ruolo del conduttore è di impedire di impedire e favorire
lo sviluppo di emozioni, favorire la presa in carico di responsabilità del se. Non si tratta di
somministrare esercizi ma di aiutare a intravedere una opportunità di relazione con l'altro, di
muovere l'emozione, comunicare. Il corpo e' un territorio inesplorato di scoperta. La
scommessa, il rischio, il mistero, sono leit -motiv centrali del laboratorio. Si lavora sul ritmo,
sull' energia, sulla materia: si vuole stabilire l' unità corpo mente. Si può giocare, manifestare
la propria verità, creare, inventare e siamo tesi a un obiettivo centrale: il cambiamento. Che
cosa cambia ? Il Teatro si rivela una opportunità preziosa per identificare canali di
comunicazione e abilità preziose per la ricerca di un altro tema importante: l' identità. Tutto
questo nella relazione. Formazione e motivazione del gruppo di lavoro. Nel corso del
Laboratorio è possibile sperimentare le sensazioni che il proprio corpo prova nello spazio
attraverso il movimento creativo, sempre stimolando l'attore- utente ad una riflessione sul
vissuto. Una prima fase è costituita dalla conoscenza e dall' identificazione dei componenti
del gruppo, nonché del gruppo come unità, attraverso il lavoro sul corpo e le improvvisazioni;
si osserva la nascita quindi di un gruppo di lavoro affiatato, costituito da utenti, operatori,
conduttori.

Il setting del laboratorio teatrale per sua natura si pone come spazio/tempo separato dalla
quotidianità. Il rimodellamento della sfera esperienziale investe oltre al corpo, alla mente, al
linguaggio, anche le relazioni o meglio gli schemi di relazione interpersonale.

Tutti coloro che partecipano al laboratorio teatrale condividono un progetto di cambiamento.


Si forma quindi una comunità teatrale che mettendo in comune una situazione di
spaesamento, di insoddisfazione, di solitudine mette in atto una ricerca oltre la quotidianità.
L'attività teatrale apre la dimensione simbolica come riconoscimento del valore della nostra
esistenza, nei nostri gesti e nel rapporto con gli altri e con le cose; il contatto con gli altri
nello spazio scenico e la loro testimonianza ci aiutano a recuperare il senso della vita.

Il Laboratorio teatrale racchiude in qualche modo l'insieme di molte discipline legate all'uso
del corpo, della voce, dell'espressività. Il risultato conseguito nel laboratorio è il
riconoscimento della capacità di emozionarsi e la gestione delle relazioni all' interno del
gruppo di teatro. Gestione delle relazioni che ha influenzato e modificato in senso positivo il
rapporto operatori –utenti La tecnica teatrale è utilizzata per aiutare la comunicazione,
l'espressione di sé, il rapporto con gli altri. La caratteristica fondamentale del Laboratorio è
dunque l' affrancamento dal proprio ruolo di operatore e di paziente, consentendo una libera
espressione e un comune confrontarsi sulle difficoltà che si incontrano nell'acquisizione delle
tecniche teatrali. La metodologia di lavoro applicata in questo caso consiste nell' incontro tra
i pazienti psichiatrici e i conduttori e nella proposta di stimoli e sollecitazioni psico -motorie
che fanno parte del training dell' Attore e di percorsi artistico -creativi. La stanza dove si
svolgono le attività diventa terreno di esperienza e di confronto, luogo delle "stimolazioni" e
degli "effetti" dove tutto passa dal fare e dall' essere presenti. L' obiettivo primario è senz'altro
il coinvolgimento a un progetto comune, per cui solo il fatto di muoversi e raggiungere il
luogo degli incontri ,costituisce IL PRIMO risultato importante. La motivazione contiene in
sé un'istanza trasformativa e sicuramente è un tema che riguarda tutto il lavoro.

Alcuni blocchi tematici:

Conoscenza . E' fondamentale che il Gruppo si debba conoscere in un' altra maniera.
Presentarsi, essere presenti: mostrare il corpo e la voce. Attivare delle energie. Balli.
Partecipare e costruire un obiettivo comune attraverso il movimento e la scoperta del gruppo.
Prendersi per mano. Lasciarsi andare. Ballo a coppia .Proporre il proprio movimento all'altro.
Imparare. Insegnare. Cercare l' armonia. Giochi di improvvisazione. Attraverso un modulo
teatrale, si attiva un gioco di ruolo, dove ognuno esprime uno stato d'animo, un tipo
psicologico, una caratteristica fisica. Relazione teatrale tra i partecipanti. Improvviso quindi
creo dal nulla. Esercizi sulla fiducia. Approfondimento della conoscenza. Guidare e lasciarsi
guidare a occhi chiusi. Scambio dei ruoli. Prendersi delle responsabilità nei confronti del
partner. Risposta alla domanda. Attraverso suggestioni e richieste stimolare delle risposte
psico fisiche attivando risorse segrete e inconsce. Associazioni di idee .Movimento
performativo -creativo. Energia, la persona intesa come autore delle proprie azioni. L'ultimo
momento riguarda il concetto di energia, ovvero, analizzando il lavoro svolto, si cerca di
capire come sia possibile porsi non solo come attori delle situazioni che dobbiamo affrontare,
ma anche autori, scoprendo quindi una consapevolezza dell'energia che è in ogni persona e
che permette di controllare la propria emotività e di guardarsi nel profondo senza pregiudizi
. La terapia nello spazio teatrale recupera il suo legame con le origini di arte della guarigione
rituale, che avveniva fondamentalmente attraverso rappresentazioni mitiche e simboliche.
Nel momento in cui l' utente svolge un certo ruolo in una scena, prende consapevolezza del
riflesso che le sue parole e i suoi movimenti producono sul pubblico, sui compagni,su se
stesso. Diviene consapevole che le sue parole e azioni hanno in se valore di "universalità"
che permette ai diversi interlocutori di entrare in contatto reciproco. E questo permette in
termini terapeutici di comprendere il senso di ciò che il personaggio teatrale del testo sta
esprimendo, correlandolo con i tratti più significativi della propria esistenza. L' attore nel
nostro caso si avvicina all'universale non uscendo fuori di sè, ma tirando dentro di se il
personaggio. Il punto di partenza è il mondo interiore degli utenti,i propri rapporti ed equilibri
emozionali che arricchiscono la costruzione del "personaggio teatrale". La rappresentazione
teatrale è un fatto sacrale. Viene proposta sul palco e lo spettatore la guarda: è in grado di
creare un evento autentico quando tutti sanno che non è vero: Il motore della creazione e dell'
autenticità è la capacità dell' attore di creare una trama di realtà fra lui, i compagni,gli
spettatori. C'e' una altra funzione del Teatro e dell' Arte: proseguire la funzione svolta nell'
infanzia del gioco, come momento in cui la persona esplora nuove possibilità di essere,
maggiore intensità di sentimenti o sentimenti che normalmente non ritiene "lecito" vivere
nella quotidianità consociativa. L' equilibrio tra esperire e esprimere sembra il dato più
significativo del lavoro su di sè che lo spazio teatrale può fornire. L' insieme di questi tre
elementi:
1. Attenzione alla dimensione simbolica
2. Primato del momento scenico e dei relativi equilibri emozionali
3. Esplorazione dei propri confini personali ci aiuta a comprendere meglio come si
esplica lo spazio simbolico teatrale e terapeutico.
Stimolare questa possibilità di consapevolezza - totalmente assente nel vissuto degli utenti -
presenta una prospettiva in cui la stessa esistenza umana in sè trova una sua rivalutazione. L'
attività teatrale apre la dimensione simbolica come riconoscimento del valore della nostra
esistenza,nei nostri gesti e nel rapporto con gli altri e con le cose; il contatto con gli altri nello
spazio scenico e la loro testimonianza ci aiutano a recuperare il senso della vita.
La fortuna di conoscere bene i padri fondatori di “isole comprese teatro”, di aver iniziato con
lo una piacevolissima collaborazione, di essermi iscritto alla loro scuola , di frequentare con
entusiasmo i loro laboratori, mi ha permesso di poter intervistare uno di loro. Ho cercato di
indagare dove sono i veri punti di forza che, il teatro in genere e il teatro sociale in particolare,
ha nell’influenzare il wellness dell’individuo, e non solo, dove è e come è la capacità che
questo metodo ha di andare nel profondo di una persona.

Mentre ponevo le mie domande sono stato preso (chissà come!!!) dalle parole di Elena e dalla
piacevolissima atmosfera creata a tal punto che, solo adesso che ho trascritto l’intervista mi
rendo conto che avrei potuto chiedere molte più cose, che sarei potuto andare molto più in
profondità.

Comunque ciò che è venuto fuori non è di poco conto.

La compagnia “isole comprese teatro” nasce nel 1998 e si caratterizza per l' importanza data
alla formazione e al percorso teatrale, rivolgendosi a categorie svantaggiate e a non - attori
(giovani a rischio, ex - tossicodipendenti, senza fissa dimora ).

E' formata da attori professionisti,educatori professionali e arteterapeuti. Si occupa dal 1994


dei rapporti tra teatro e disagio sociale organizzando laboratori teatrali per bambini, ragazzi
e giovani a rischio. L'Associazione Teatro 334 ha curato per il Comune di Firenze,l' ASL
10,la Regione Toscana progetti di laboratorio teatrale rivolti a Rom,giovani,disabili psichici.
La finalità dell' associazione è lo studio della pedagogia teatrale ,la terapia attraverso l' uso
del Teatro,la progettazione e realizzazione di spettacoli teatrali con bambini e ragazzi.

Sempre su Vertici Network, a cura dell’autore del presente articolo, è riportata


una intervista a Elena Turchi di “Isole comprese teatro” [n.d.c.]

Conclusioni
Il teatro sociale è dettato dalla passione per l’uomo. In quest’arte si deve far da parte il
narcisismo tipico degli artisti che si presentano come tali senza volersi confrontare con i
terapeuti, con gli operatori, tecnici e i pazienti. E’ fondamentale formare equipe di ricerca,
lavorare a tutto campo nella drammaturgia sociale. Non si possono non analizzare i risultati,
migliorare le tecniche, sprecare tempo per i processi interni al gruppo. E’ di vitale importanza
donare le proprie competenze ed uscire dalla logica, troppo ancora presente, del tenersi stretto
il proprio sapere, o peggio ancora venderlo a caro prezzo. Il teatro va sfruttato, come tutta
l’arte del resto, per la sua capacità di creare comunità.

Il teatro sociale può creare profondi rapporti, sia all’interno che all’esterno dei laboratori.

Il teatro sociale può dare voce a chi, grazie a varie repressioni o emarginazioni forzate, voce
non ha.

Il teatro sociale può rendere la voglia di vivere a chi l’ha persa o a chi non l’ha mai
conosciuta.

Il teatro sociale ha grandi possibilità per il benessere della comunità e del singolo, usiamolo.

Bibliografia

Artuad A., Il teatro e il suo doppio. Einaudi, Torino.

Barba E., La terra di cenere e diamanti. Il mulino

Beckett S., (2002), Teatro. Einaudi, Torino.

Bernardi C., (2004), Il teatro sociale, l’arte tra disagio e cultura. Carocci, Roma.

Boal A., (1977), Il teatro degli oppressi. Teoria e tecniche del teatro latinoamericano.
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Boal A., (1993), Il poliziotto e la maschera. Giochi, esercizi e tecniche del teatro degli
oppressi. A cura di R. Mazzini. La meridiano, Molfetta (BA).

Boria G., (2005). Psicoterapia psicodrammatica. Francoangeli, Milano.

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Cassanelli F., Garzella A., (2002), L’attore sociale, l’utopia formativa nell’arte teatrale.
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Del Bono P., (2000). Barboni, il teatro di Pippo del Bono. Ubilibri, Milano.

Grotowski J., (1970), Per un teatro povero. Bulzoni, Roma

Isole Comprese Teatro (2005), L’attore Sociale. Autoprodotto.

Siti internet

www.piccoloteatro.org

www.isolecompreseteatro.com

www.lacompagniadellafortezza.it

www.volterrateatro.it

www.nonsoloteatro.com

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