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IL CLASSICISMO
Haydn, Mozart e Beethoven vengono chiamati i tre classici viennesi e la città di Vienna, grazie anche alla sua posizione
geografica, diventa il centro culturale di questo periodo. Il termine classico è sinonimo di perfetto e si applica a quelle
correnti di pensiero o artistico-culturali che nella storia hanno fatto riferimento ai modelli greco-latini. Il Classicismo
musicale succede al Barocco e precede il Romanticismo; esso va dal 1770 al 1830, mentre dal 1750 (fine dell’epoca Barocca),
al 1770, abbiamo come fase intermedia, l’epoca Rococò e Galante che prepara l’epoca successiva del periodo classico appunto.
Il periodo classico coinvolge soprattutto la musica strumentale ed è caratterizzato da:
1. Perfezionamento della “Forma Sonata”: il termine si riferisce al primo tempo del brano (solitamente di quartetti e
sinfonie), il quale viene suddiviso in tre parti (tripartita); la prima parte si chiama Esposizione, la seconda Sviluppo e la
terza Ripresa.
2. Chiarezza: maturazione dello stile galante con una costruzione su piani armonici ben precisi.
3. Riesposizione: regola dell’arte retorica, dopo lo sviluppo si ripresenta il tema iniziale.
4. Contrappunto: a volte si trova nelle fughe, ma in altri casi si divide la parte tra i vari strumenti che diventano
intercambiabili, omogenei.
5. Sul piano estetico persiste la teoria degli affetti di Frescobaldi: espressività e sensibilità
6. Sviluppo della musica da teatro, in particolare quella di Gluk, il quale già si orientava al classico ovvero: l’equilibrio delle
forme.
TEORIA DEI TRE STILI: Il musicologo Lenz individuò “tre stili” nella produzione di Beethoven:
1) Un primo periodo giovanile IMITATIVO (fino al 1802), teso all’appropriazione dei modelli compositivi di Haydn e
Mozart. Ne è un esempio la Sonata Op13 per pianoforte/clavicembalo.
2) Un secondo di RESCRINSECAZIONE (1803-1815), in cui si denota un Beethoven maturo e con un personalissimo stile.ne
è un esempio il Quartetto Op59.
3) Un terzo periodo di RIFLESSIONE (1815-1827) di superamento e meditazione astratta.
IL ROMANTICISMO
Tra il Settecento e l’Ottocento va registrato un netto dualismo stilistico: tra il modo tradizionale di intendere la musica
tipico dell’opera italiana ed uno totalmente divergente, realizzatosi nella musica strumentale. A ciò va sommato il controverso
rapporto tra Classicismo viennese e Romanticismo, correnti musicali collegate da alcuni elementi in comune ma separate da
posizioni inconciliabili: nel nord della Germania il settecentesco stile galante, coagulatosi sotto forma di stile della sensibilità,
sarebbe approdato direttamente al Romanticismo; al sud, questo percorso sarebbe stato inframezzato da una fase detta
Classicismo viennese. Furono i primi letterati romantici ad inaugurare, alla fine del Settecento, una nuova concezione della
musica: nella riflessione estetica del Settecento il ruolo della musica era quello di rendere un determinato affetto,
potenziando le capacità evocatrici della parola. La musica strumentale non era che una pallida imitazione di quella vocale,
irrimediabilmente inferiore.
Ma nella riflessione dei primi letterati romantici la visione cambiò radicalmente: crollata l’illusione illuministica di poter dare
una spiegazione razionale alla realtà, ci si rese conto che l’essenza del mondo continuava a rimanere oscura. L’unica chiave per
attingere a questi segreti è l’intuizione artistica; mentre a tendere verso l’assoluto è la musica, soprattutto quella
strumentale. Si compie così un ribaltamento rispetto alla concezione passata: per la prima volta nella storia la musica è
elevata ai massimi livelli dell’attività umana, in più quella vocale viene considerata inferiore perché costretta ad attenersi ad
un significato ristretto e determinato. Se comporre musica è attingere alle vette dell’umano e del divino, non c’è più spazio
per le musiche di circostanza, di intrattenimento o commissionate dall’esterno, poiché ogni composizione deve essere una
summa dell’esperienza interiore del compositore, un messaggio da inviare all’umanità intera. La consuetudine del concerto
pubblico a pagamento che andò diffondendosi nell’Ottocento si coniugò con la costituzione di un repertorio formato da
musiche di autori non viventi; era la prima volta che accadeva.
MUSICA DA SALOTTO: La musica in casa e la musica in salotto sono due manifestazioni tipiche della cultura musicale
dell’Ottocento. Per il ceto borghese la musica rappresenta un’occasione di affermazione sociale, non solo nell’ambito del
concerto pubblico, ma anche in quello della prassi musicale privata. Nel corso del secolo cresce dunque il numero dei
dilettanti, mentre il pianoforte (lo strumento principale del far musica in casa) diventa arredo indispensabile del salotto
borghese. Le comuni espressioni “musica domestica” e “musica da salotto”, che traducono i termini Hausmusik e Salonmusik,
hanno un significato in parte affine. La prima espressione (“musica domestica”) ha però un significato più ampio, in quanto
indica sia la musica eseguita tra le pareti domestiche, sia la musica composta appositamente per essere eseguita in casa,
quindi un repertorio musicale. Protagonisti di questa prassi e destinatari di questo repertorio sono singoli dilettanti oppure
familiari e amici. La seconda espressione (“musica da salotto”) ha invece un significato più specifico, in quanto indica la
produzione musicale destinata a essere eseguita nei salotti europei dell’Ottocento e degli inizi del Novecento. Il repertorio
della Hausmusik, proiettato all’interno della cerchia domestica, ha in generale un carattere intimistico, mentre la Salonmusik,
destinata all’esibizione, è più spesso sentimentale e brillante. Inoltre se la musica in casa è un fenomeno diffuso anche nella
cerchia più modesta, la musica in salotto è piuttosto un’esclusiva della media e alta borghesia . I protagonisti indiscussi della
musica in casa e in salotto – la voce e il pianoforte – si trovano uniti nella romanza. Fiorita in tutta Europa, la romanza assume
denominazioni differenti, mantenendo sempre la funzione primaria di commuovere e allietare i dilettanti (per lo più donne) e
il loro uditorio. La voce e l’accompagnamento musicale seguono schemi ritmici e armonici semplici e stereotipati.
MUSICA A PROGRAMMA: Dopo le nove Sinfonie di Beethoven, le opere sinfoniche diventano più espressive, più ricche dal
punto di vista strumentale, più complesse negli schemi formali, caricandosi di valori ideali sconosciuti alle sinfonie dell’epoca
classica. Alcuni caratteri comuni contraddistinguono la produzione sinfonica europea del XIX secolo: l’impianto in più
movimenti già reso stabile nella sinfonia classica, l’impiego di mezzi quasi esclusivamente strumentali e le dimensioni
considerevoli delle singole composizioni. La tendenza a drammatizzare la sequenza dei movimenti della sinfonia, o ad
attribuire loro valenze poetiche dichiarate in titoli o in descrizioni letterarie, favorisce l’attestarsi della cosiddetta “sinfonia
a programma” e, verso la metà del secolo, l’affermarsi del poema sinfonico. L’emergere di strumenti solisti fa pensare a un
ritorno all’antica sinfonica concertante. Mentre l’aggiunta di parti vocali, sul modello della Nona sinfonia di Beethoven,
determina il tipo dell’“ode-sinfonia”. In generale, a una consistente riduzione nel numero di sinfonie prodotte da ogni autore
corrisponde un incremento di impegno compositivo, che si fa tangibile nell’estensione della durata delle singole opere, nella
conseguente complessità di sviluppo tematico, nel progressivo ampliamento dell’orchestra e nell’acquisizione di nuove tecniche
strumentali.
L’orchestra romantica tipo si completa nella seconda metà del secolo, con la stabilizzazione dei tromboni nella sezione degli
ottoni, la triplicazione delle parti dei legni, l’ampliamento delle percussioni e con il conseguente incremento del numero degli
archi. Il piano generale della sinfonia romantica non si discosta in modo sostanziale da quello in quattro movimenti della
sinfonia classica, articolato nella successione allegro-adagio-minuetto-allegro. Le eccezioni di maggior rilievo sono date dalla
sostituzione del minuetto con lo scherzo – operata da Beethoven a partire dalla Seconda sinfonia (1802)– e dal possibile
scambio di posizione tra i due movimenti centrali. Tipica della sinfonia romantica è invece la tendenza alla creazione di
percorsi motivici che attraversano i singoli movimenti, così che l’opera acquista l’aspetto di un ciclo di brani dipendenti l’uno
dall’altro. Un ulteriore fattore di sviluppo della forma sinfonica è dato dal rafforzarsi nella sinfonia ottocentesca della
componente programmatica. Soprattutto Berlioz con la Symphonie fantastique (1830) a schiudere alla sinfonia a programma
potenzialità drammatiche fino ad allora inedite e a fissare il prototipo della sinfonia ispirata a racconti di carattere
autobiografico. Spetta invece a Liszt creare un punto d’incontro tra sinfonia a programma e soggetti della letteratura
universale con due lavori come la Faust-Symphonie (da Goethe, 1854) e la Dante-Symphonie (dalle prime due cantiche
della Divina Commedia, 1856).
L’acquisizione alla sfera musicale di elementi nazionalistici (come ritmi e melodie tipici, procedimenti costruttivi o soggetti di
tradizione popolare) è un’ulteriore occasione di sviluppo del genere sinfonico ottocentesco. Ma quest’impostazione dà i frutti
più consistenti nella sfera delle cosiddette scuole nazionali, in particolare boema e russa.
IL POEMA SINFONICO: La tendenza della sinfonia a programma a cercare ispirazione in soggetti di origine letteraria,
pittorica, mitico-storica o naturalistica si realizza nel modo più completo nel poema sinfonico. Con questa denominazione viene
designata una composizione sinfonica in un solo movimento, il cui svolgimento riflette liberamente gli intenti descrittivi
dell’autore. L’antecedente più diretto del poema sinfonico è probabilmente l’ouverture da concerto, ossia
una ouverture svincolata dalla funzione di introdurre un’opera o una rappresentazione drammatica. È però Liszt a dare avvio
al genere del poema sinfonico fissando i suoi confini estetici nell’aspirazione romantica alla fusione delle arti: il nuovo genere
deve essere il punto d’incontro privilegiato tra poesia e musica, e diventare quindi espressione di un’idea, piuttosto che
pedissequa descrizione musicale di un programma letterario.
LISZT (1811-1886)
VITA E OPERE: Benché nato in Ungheria, fu considerato un compositore cosmopolita: a soli 11 anni iniziò una carriera
concertistica professionale ad alto livello che lo condusse a primeggiare a Londra e a Parigi. Fu proprio a Parigi che avvenne la
sua piena maturazione compositiva: tra il 1830 e il 1831 attraversò due esperienze musicali significative. La prima fu l’ascolto
della Sinfonia Fantastica, grazie alla quale capì l’importanza di inserire elementi extramusicali nella musica sinfonica; la
seconda fu l’ascolto di Paganini a Parigi che gli servì da stimolo per tracciare strade di tecnica pianistica mai percorse da
qualcuno. Liszt sentiva l’esigenza di realizzare in musica quella rivoluzione romantica auspicata da Hugo attraverso l’uso di un
materiale musicale nuovo, rivoluzionario e sperimentale, e ciò poteva basarsi su un intervallo come il tritono (intervallo
formato da tre toni interni). La tecnica della variazione virtuosistica gli consentiva di costruire grandi forme musicali pur
utilizzando materiali non suscettibili di sviluppo. Così Liszt superò la barriera del dualismo stilistico traghettando lo stile
rapsodico e parlante dei virtuosi verso una forma chiusa e compiuta in ogni sua parte; egli sosteneva che si potevano
raggiungere le massime vette dell’arte attraverso la fusione della musica strumentale con la poesia, unendo l’ispirazione
letteraria con la musica strumentale pura, esprimendo in musica quelle azioni interiori che sono oggetto dell’espressione
poetica stessa. La PRIMA PUBBLICAZIONE importante di Liszt fu Armonie poetiche e religiose; successivamente compose
Anni di pellegrinaggio per pianoforte (in questa composizione appare la Fantasia quasi sonata dopo una lettura di Dante, nella
quale sono coagulate tutte le principali caratteristiche della sua musica: ispirazione letteraria, uso di materiale musicale
sperimentale come il tritono, il cromatismo inserito in un tessuto di virtuosismo; unione tra libertà improvvisata della fantasia
e il rigore costruttivo della sonata).
Nel 1848 Liszt assunse il posto di direttore musicale presso la corte di Weimar, dedicandosi alla composizione e avviando la
stagione del POEMA SINFONICO. Quest’ultimo congiunge i due poli da cui trae origine il genere musicale introdotto da
Liszt, la poesia e la musica sinfonica: si tratta quindi di una composizione sinfonica costituita da un unico movimento,
corredato di programma scritto che ne illustra il contenuto poetico. Il primo esperimento fu la Bergsymphonie ispirata ad
un’ode di Hugo. Il ceppo su cui il genere del poema sinfonico si innestò non era costituito dalla sinfonia, ma dall’ouverture de
concerto, che aveva incorporato l’intenzione descrittiva attraverso la presenza del titolo.
Nel classicismo la forma-sonata era determinata dalla dialettica tra aree tonali contrapposte; in epoca romantica i
compositori e i teorici la intesero come dialettica tra temi di carattere contrastante e quindi l’aspetto melodico prendeva il
sopravvento su quello armonico. La Bergsymphonie era articolata in due parti: nella prima è riconoscibile lo schema della
forma-sonata; la seconda è senza soluzione di continuità, ossia senza interruzioni come quelle che intercorrono in una normale
sinfonia tra un movimento e l’altro. Nella struttura armonica si sovrappongono tre tipi diversi di logica: la tradizionale
armonia funzionale costituita dall’accordo di tonica, il principio armonico simmetrico e il principio armonico tematico, ovvero
la successione delle tonalità di una composizione secondo la sequenza degli intervalli presenti in un frammento melodico. Nel
1852 Liszt si cimentò con una delle sue poche COMPOSIZIONI ASSOLUTE, la sua unica Sonata per pianoforte. Essa si
colloca tra i suoi massimi capolavori ed è una vera e propria ciclica perché in un unico movimento sono compressi tutti i
movimenti di un’intera sonata tradizionale, con i relativi cambi di andamento.
Dati i forti dissapori con la corte di Weimar, Liszt rassegnò le dimissioni e si trasferì a Roma, dove accentuò l’interesse
verso la spiritualità religiosa che lo condusse a comporre una gran quantità di MUSICA SACRA.
GEORGE BIZET
Studiò al Conservatorio di Parigi. Il suo lavoro più celebre fu la Carmen, rappresentata nel 1875 all’Opéra-Comique.
Don José, brigadiere dei dragoni spagnoli, si innamora di Carmen, zingara rom. Integerrimo prima di incontrarla, ha il suo
primo cedimento lasciandola fuggire all’arresto, venendo così imprigionato a sua volta. Tornato in liberà diserta il suo
reggimento per seguire la zingara, diventando contrabbandiere e bandito da strada; quando la donna si innamora di un altro,
Don José la uccide perché folle di gelosia. La più grande novità della Carmen consiste nell’aver introdotto nel mondo
operistico personaggi nuovi e un nuovo tema: l’amore scandaloso e sensuale, mancante di senso morale. La protagonista era
così provocante che favorì il fiasco della prima esecuzione perché il pubblico era a dir poco indignato; vi andava aggiunto
anche l’omicidio di Carmen, finale che non si era mai visto poiché si prediligevano lieto fine.
LE SCUOLE NAZIONALI
Quasi tutta la storia della musica occidentale ha avuto un ambito geografico piuttosto delimitato, passando dall’Italia,
Francia e Germania con incursioni in Inghilterra e Spagna; la produzione musicale negli altri paesi europei si svolgeva ancora
secondo le modalità della tradizione orale, mentre i musicisti professionisti erano attirati nel versante della musica
“occidentale”.
Con il Romanticismo le cose cominciarono a cambiare e si assistette alla fioritura delle scuole nazionali.
RUSSIA: Esisteva un’opera imperiale Russa, ma il suo repertorio e i suoi interpreti provenivano dall’estero. GLINKA è l’autore
più segnalato nella produzione russa, benché la sua formazione fosse occidentale; scrisse l’opera Una vita per lo Zar,
riconosciuta come opera nazionale russa ma debitrice dello stile di Bellini e Donizetti, il grand opera francese e il sinfonismo
tedesco (caratterizzato da argomento della storia russa, uso di canti popolari e melodie, presenza della balalaika
nell’orchestra, importanza del timbro che prevale sull’armonia e il contrappunto).
Nella seconda metà dell’Ottocento un gruppo di cinque compositori che ambivano a porsi come unici difensori della musica
d’arte russa, nacque sotto la guida di Balakirev e Cui, ai quali si aggiunsero Musorgskij, Korsakov e Borodin, e organizzavano
letture di musica e discussioni sulle composizioni di ciascuno di essi. Tutti quanti erano dei dilettanti, mentre MUSORGSKIJ
si serviva di materiali musicali folkloristici e per questo non fu capito dai suoi stessi compagni, ritenendo la sua musica frutto
di inesperienza e ignoranza tecnica (con lui si può parlare di realismo musicale, fattore che colma il divario che nell’Ottocento
separava la musica dalla letteratura e dalla filosofia: il suo realismo si manifesta all’interno della sua produzione sia per
quanto riguarda i testi prevalentemente in prosa, ma anche nelle caratteristiche tecniche della sua musica).
Boris Godunov: L’opera fu musicata sotto forma di OPÉRA DIALOGUÉ e presentata alla direzione dei Teatri imperiali, ma fu
rifiutata per i suoi caratteri innovativi (mancanza di una melodia e di un intrigo amoroso). Fortunatamente Musorgskij si era
dato a rimaneggiare il Boris e ne risultò una nuova versione che, tutt’oggi, viene considerata quella definitiva. Tra i tanti
cambiamenti rispetto alla prima versione vi è l’aggiunta del terzo atto, e quindi della figura della donna amata, e della scena
finale. Il tipo di condotta musicale più comune nel Boris è costituito dal DECLAMATO, una prosa musicale che si diversifica
grandemente dalla melodia vocale wagneriana. Il carattere di opéra dialogué del Boris imponeva che i personaggi sul
palcoscenico si esprimessero come si esprime la gente viva, e che la musica fosse una riproduzione artistica del linguaggio in
tutte le sue più sottili sfumature. Quando Musorskij rivisitò il Boris, vi aggiunse alcuni pezzi in forma chiusa, aggiunse generi
provenienti direttamente dal folklore russo, nonché canti popolari, canzoni per bambini e lamenti. Tutto ciò portava dietro un
bagaglio di stilemi estranei alla tradizione operistica che servivano a conferire all’azione il famoso “colore locale”,
contribuendo ad evocare agli ascoltatori le diverse ambientazioni della vicenda. Il primo stilemi riguardava l’uso di scale
modali tipiche della tradizione russa, come il lamento di Xenia per la morte dell’amato; il secondo stilema si trova nell’uso di
ritmi additivi, ovvero nell’aggregarsi della musica in unità metriche variabili. Nel Boris è stato più volte riconosciuta la
centralità assunta nella vicenda della folla, una specie di “PERSONAGGIO COLLETTIVO” che costituisce il vero antagonista
dello zar (molto rilevante il fatto che il popolo compare come protagonista in una tragedia e non in una commedia). Non viene
solamente ampliato il ruolo del protagonista: la folla contesta, subisce, commenta. Nella scena iniziale, dopo un breve preludio
strumentale, il sipario si apre sulla folla che si aggira per il palco; successivamente un gendarme ordina alla plebe di
inginocchiarsi e intonare un tono di supplica (la melodia del popolo è di carattere popolare, non aliena da inflessioni modali e
accompagnata da lunghi bordoni al basso). I portatori dell’estetica dei Cinque e della musica folklorica si incrociano nel Boris
con quelli della drammaturgia musicale europea, che vengono usati dal compositore per conferire maggiore coesione
all’insieme. Essi sono costituiti dalla disposizione simmetrica delle scene, dall’uso di Leitmotive e dall’uso della tonalità come
segnale.
GIACOMO PUCCINI
Rispetto ai precedenti veristi, Puccini riuscì ad elevarsi ad un livello più provinciale arricchendo il suo stile con le novità
musicali e drammaturgiche europee. La sua è una figura piuttosto controversa: i pubblici reputano a Puccini un successo
intramontabile, mentre la critica ne ha sempre preso le distanze; l’accusa che gli venne maggiormente rivolta alle sue opere
fu quella di indulgere troppo volentieri a solleticare la lacrimosa commozione del pubblico. Puccini partecipava
“romanticamente” alle vicende infelici dei suoi personaggi grazie alla sua musica piangente, che freme o sorride con loro, ma è
anche vero che scrisse sempre la stessa opera: in Manon Lescaut, La bohème, Tosca, Madama Butterfly, La fanciulla del
West e Suor Angelica vi è un solo protagonista: l’eroina, dolcissima e tenerissima innamorata dal cuore puro; ed è proprio per
questo suo amore appassionato a costituire una colpa che espierà attraverso le sofferenze. Tra tutti gli italiani della scuola
dei veristi, Puccini fu l’unico ad accostarsi al VERISMO e ciò si nota principalmente nella scelta del soggetto della Bohème,
ovvero Parigi. Nella sua ultima opera, l’incompiuta Turandot, Puccini cercò di cambiare l’impostazione tipica dei suoi soggetti:
il personaggio femminile innamorato e dolce retrocede ad un ruolo secondario per fare posto alla gelida e crudele
protagonista, la principessa cinese, che solo nel finale dell’opera avrebbe potuto umanizzarsi, conquistata e sgelata dal bacio
di Calaf. Puccini è l’unico erede del Falstaff verdiano: nelle sue opere non vi sono più pezzi chiusi ma un gioco condotto con
una percezione del ritmo teatrale; la sua musica era raffinata sia dal punto di vista timbrico che da quello armonico e ritmico.
BRAHMS, IL CONSERVATORE
VITA E STILE: Dopo aver compiuto nella natia Amburgo seri studi di contrappunto e composizione, intraprese a soli vent’anni
una tournée pianistica attraverso la Germania. Fu l’incontro con Schumann che condizionò la sua vita: la stima e l’amicizia col
compositore gli concessero sia un conforto personale che un concreto appoggio presso gli editori, consacrandolo nel suo
articolo un geniale astro della musica tedesca. Al contrario di Wagner, il suo sguardo non si protese in avanti: esso si rivolse
all’indietro, studiando la musica del passato per estrarre da essa la linfa che gli era necessaria, creando così uno stile
musicale personale e solido. Brahms riuscì a coniugare l’insegnamento di Bach e Beethoven nella sua musica, dove il
contrappunto di stampo bachiano diventa un mezzo onnipresente per realizzare il principio beethoveniano dell’elaborazione
motivico-tematica. In una conferenza del 1933 Brahms venne definito PROGRESSIVO, conferendogli così la palma di
iniziatore della modernità; tuttavia, nella sua epoca non venne affatto percepito così: nonostante il manifesto da lui firmato,
egli si tenne lontano da polemiche pubbliche e il suo crescente prestigio lo fece individuare come capofila dei
CONSERVATORI. Le sue prime esperienze compositive si riversarono naturalmente sul pianoforte. Nella prima metà degli
anni ’60 esplorò il campo della MUSICA DA CAMERA, trascurato dai neotedeschi perché connesso alla tradizione che essi
volevano superare. Ma fu una composizione con coro a contribuire in modo decisivo alla sua notorietà, ovvero Un requem
tedesco per soli, coro ed orchestra liberamente tratto dalla bibbia in tedesco. Altre composizioni sinfonico-corali
arricchiscono la sua produzione (come Rhapsodie per contralto, coro maschile e orchestra).
Il definitivo suggello alla sua fama giunse con le Variazioni su tema di Haydn per orchestra, ma era il momento per lui di
approdare alla sinfonia (per la Prima Sinfonia gli furono mosse due accuse: quella di essere accademico e quella di scrivere
musica difficile, comprensibile solo per intenditori).