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VIAGGIO NELLA LETTERATURA

Il mito di Antigone secondo


Claudio Magris
Alla riscoperta della tragedia dell’eroina di Sofocle, figura diventata
universale destinata a riemergere ancor oggi: cosa ci insegna la messa in
scena del 1953 a Port-au-prince nella versione di Morisseau-Leroy
di CLAUDIO MAGRIS
FOCACCIA INTEGRALE CON
CARCIOFI E PRIMOSALE
21 marzo 2015

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La potenza della bora sul mare di Trieste

Se dovessi inviare, come suggerito in qualche racconto di fantascienza, una Trieste, "Un rombo per la vita" dà l'addio a
pagina nello spazio affinchè ipotetici esseri extraterrestri possano in chissà Jack
quale futuro capire chi siamo o siamo stati, non avrei esitazione: il secondo
Stasimo dell'Antigone di Sofocle, quel coro che descrive l'uomo. Vi sono certo, Grande freddo, che cosa è il buran
nella letteratura universale, pagine poeticamente più belle, da Omero a Dante,
da Shakespeare a Cervantes a Dostoevskij, ma nessuna che rappresenti con
da Taboola
altrettanta forza sintetica questo strano essere che d'improvviso irrompe,
creativo e devastante, nel ritmo della natura, costruendo distruggendo
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alterando inquinando nobilitando trasformando il mondo, la vita e la propria Vasco Biglietti Ufficiali
identità, in una mutazione sempre più accelerata che lo rende e lo renderà Biglietti Vasco Vivaticket

sempre più irriconoscibile pure a sé stesso, ora creatura fatta a immagine e


somiglianza di Dio ora virus mutante e recidivo.
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Non a caso quel coro si trova nell'Antigone, la tragedia dell'eroina forse più
grande d'ogni tempo, alla cui assoluta umanità, secondo Hegel, solo Cristo può
essere avvicinato. da Taboola    
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NECROLOGIE
Lo scrittore haitiano Félix Morisseau Leroy, primo da sinistra nella foto
Dollar Irene
Milano, 8 marzo 2018

Antigone, figlia-sorella di Edipo, è la voce delle «non scritte leggi degli dei»
ossia di quei valori umani assoluti che nessuna legge positiva, nessun Brandi Edgardo
relativismo etico, nessun mutamento storico possono violare. In nome di quei Trieste, 8 marzo 2018

princìpi, Antigone va al patibolo perché, disobbedendo alla legge che lo


proibisce sotto pena di morte, dà sepoltura al fratello Polinice caduto Massaini Laura
combattendo contro la propria città e la propria patria, Tebe, e punito anche da Trieste, 8 marzo 2018

morto dal sovrano di Tebe, Creonte, che ordina di lasciarlo insepolto, a marcire
e ad essere divorato dalle bestie. Per Antigone, quel decreto viola un valore Santini Ronato
umano - la pietas non solo familiare ma universalmente umana - più alto di Trieste, 8 marzo 2018

ogni norma giuridica.


Divo Ved Godina Solidea
Come Ulisse, Antigone è un personaggio che attraversa i secoli in innumerevoli Trieste, 8 marzo 2018
opere delle più diverse letterature che riprendono la sua storia, facendone una
figura perenne e sempre nuova dell'universale-umano, da Hölderlin a Brecht, da Bommarco Mariano
Alfieri ad Anouilh, da Böll a Smolè a Rossana Rossanda. È una di quelle figure Trieste, 8 marzo 2018
che trascendono il loro autore e appaiono voci dell'universale che passano, in
forme sempre nuove, da una bocca all'altra. Pure Edipo, ovviamente, è una di
CERCA FRA LE NECROLOGIE
queste figure che sempre ritornano; uno degli ultimi testi, anni fa, è quello
assai forte di Renzo Rosso, nostro notevolissimo scrittore al quale occorrerà PUBBLICA UN NECROLOGIO »
ritornare.

Antigone riemerge nei secoli - e continua ad emergere ancor oggi -


ogniqualvolta il conflitto fra dovere e ribellione, legge morale, valori assoluti e
responsabilità politica divampa con bruciante violenza e attualità. È figura
della purezza assoluta e della colpa che quest'ultima può implicare; ha dato
volto e voce a lacerazioni e contraddizioni drammatiche, dalla resistenza al
terrorismo all'eutanasia.

In un saggio che è un vero capolavoro, “Le Antigoni”, George Steiner ha offerto


un ricchissimo panorama di questa plurisecolare e polimorfa universalità, ma
anche dopo il suo libro sono nate e continuano a nascere altre Antigoni; negli
ultimi anni. , ad esempio, in alcune letterature africane.

La vicenda di Antigone, sin dall'opera di Sofocle, è una tragedia, ossia non è


semplicemente una storia di tremendo dolore - non è questo il significato di
tragedia - ma è la storia di un conflitto in cui non si può agire senza essere, in
un modo o nell'altro, colpevoli. Ci si commuove certo per Antigone e non per
Creonte, il sovrano che la manda a morte perché ha violato la legge. È facile
tenere per il cuore contro la legge, per il valori "caldi" (l'affetto, l'amore,
l'amicizia, la passione) contro i valori "freddi" della legge, della politica, della
democrazia. Ma si dimentica che sono i valori freddi della legge che
permettono a ciascuno di coltivare i propri valori caldi, perché senza le gelide
norme di legge il mondo sarebbe preda della violenza del più forte,
dell'ingiustizia senza freni, della disuguaglianza più infame. Infatti,
genialmente, Sofocle non rappresenta Creonte quale un tiranno assetato di CASE MOTORI LAVORO ASTE
potere, uno Stalin o un Hitler.

Creonte non vorrebbe condannare Antigone (in certe rielaborazioni del mito
sarebbe addirittura pronto a lasciarla fuggire segretamente, purchè sia salvato
il principio dell'obbedienza alla legge); egli è l'uomo che non guarda ai valori
assoluti - pereat mundus et fiat iustitia - bensì alla responsabilità politica nei
confronti della comunità. Il suo dovere è agire in modo che il mondo non
perisca.
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Obbedendo a questa etica della responsabilità, egli è anche colpevole; Mini Mini Mini 1. 4 16V One (55kW) Usato anno
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obbedendo all'etica della convinzione, dei valori assoluti, pure Antigone è
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anche colpevole. È questa la tragedia, che - in quanto tragedia - non è
conciliabile né superabile. CERCA AUTO O MOTO

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È ovvio che Creonte non abbia, salvo eccezioni, una buona stampa e sia impari
alla sublime grandezza di Antigone, rispetto alla quale è come il Grande Marca

Inquisitore di Dostoevskij rispetto a Cristo. Tuttavia, come il Grande Inquisitore, Qualsiasi

anch'egli ha le sue ragioni; è una figura umana dinanzi ad una quasi divina. Provincia
Trieste
È curioso che Creonte abbia un ruolo rilevante in una delle rielaborazioni meno
note ma affascinanti del mito. Nel 1953 Félix Morisseau-Leroy, scrittore Cerca
haitiano, mette in scena a Port-au-prince, a Haiti, il suo dramma Antigòn an
Kreyòl, seguita pochi anni dopo da un altro, Re Creonte, Wa Kreon. La vita e Pubblica il tuo annuncio
l'opera di Morisseau-Leroy s'incrociano con un periodo turbinoso e sanguinoso
della storia di Haiti, il primo Stato nero indipendente della storia moderna,
liberato dalla spada di uno dei più grandi e aperti spiriti dell'Illuminismo -
Toussaint Louverture, vincitore dei francesi e vinto solo col tradimento - ma
successivamente preda di continui sfruttamenti e aggressioni altrui e anche di
feroci e barbariche tirannidi interne. Politicamente impegnato, per un certo
tempo comunista, Morisseau-Leroy dovrà lasciare il proprio paese all'epoca
della sanguinaria dittatura di Papa Doc e dei suoi sicari.

Claudio Magris

L’Antigone di Morisseau-Leroy è scritta in creolo, il linguaggio franco-africano


degli schiavi neri nelle isole caraibiche e dei loro padroni bianchi, i Bekè di
origine soprattutto bretone e normanna. Linguaggio di distanza sociale ma
anche di mescolanza, che attraversa come un passeur frontiere sociali e
culturali. Linguaggio nato per spontanea e sanguigna deformazione di lingue
diverse, che si trasmettono reciprocamente tradizioni e valori; variato da isola
a isola nel mar dei Caraibi, vissuto come un gergo o un dialetto e perciò ora
amato quale espressione immediata e sentimentale ora disprezzato quale
voce bassa e popolare - ad esempio dai neri dopo l'abolizione della schiavitù,
per scrollarsi di dosso l'origine servile. Linguaggio che ha dato origine a una
vasta letteratura, talora folclorico-pittoresca ovvero oggettivamente falsa nel
suo colore sentimentale e talora autentica, creativa e originale, "altra" nel
senso forte della creazione poetica.

Per usare un'antitesi spesso ribadita da Biagio Marin, la letteratura creola è


talvolta "dialettale" (ossia colore e calore locale, pre-poetico) e talvolta
letteratura anche grande "in dialetto" ovvero in un determinato idioma ignaro di
folclore e sentimentalismi e capace di grandezza, come il dialetto gradese di
Marin o, come ripeteva spesso quest'ultimo, quello eolico di Saffo.

I due drammi di Morisseau-Leroy sono due autentici testi poetici in lingua


creola, aliena da ogni colore locale. Il più possente dei due è l'Antigone creola,
ma Re Creonte ha un'originalità particolare. I nomi sono gli stessi del mito
greco, tranne quelli degli dei; l'ambiente è diverso. Tebe è il nome di una città
(un villaggio?) verosimilmente dei Caraibi, capanne e qualche colonna che può
evocare un peristilio. La vicenda è la medesima: il divieto di seppellire il ribelle
traditore della sua città, la disobbedienza di Antigone e i tentativi di impedirla
da parte di Creonte e, all'inizio, della sorella Ismene, come in Sofocle. C'è la
dolcissima e toccante fermezza di Antigone, la sua trasgressione, la sua storia
d'amore con Emone figlio di Creonte, la sua morte come vuole la legge e le
sciagure che questa morte provoca nella famiglia di Creonte stesso. Il ruolo
tradizionale del Nunzio è assunto dal narratore, il Conteur che - dapprima nella
stiva delle navi negriere affollate di schiavi in catene e più tardi, nelle
piantagioni, alla fine della giornata - raccontava agli schiavi le storie e le
tradizioni del loro mondo perduto, salvandolo dall'oblio e trapiantandolo in un
mondo diverso.

Diversi sono gli dei; non le divinità greche dell'olimpo ma quelle del Vodù.
Erzulie, dea della bellezza e insieme mater dolorosa, Afrodite e Madonna; gli
spiriti (i loas) luminosi e olimpici (quelli appartenenti alla categoria rada)
oppure stoni, sotterranei e implacabili (quelli appartenenti ai pedro, duplicità
che talora sussiste nello stesso spirito Papa Legba, divinità dei crocicchi (e un
crocicchio che il giovane Edipo, nel mito greco, incontra e uccide il padre) . Dio
(bondye) è assente, bonario e pacifico ma riluttante ad immischiarsi con le
vicende umane.

Ma forse questo differente mondo divino-demonico fa sì che, a differenza di


Re Creonte, l'Antigone creola non sia una tragedia. Non perché non ci sia
colpa, ma perché non c'è sostanzialmente la morte, e senza quest'ultima pure
la colpa, fatale e ineludibile, perde molto del suo peso. Goethe ammirava la
tragedia di Sofocle - che in quegli anni Hölderlin riscriveva con una potenza
assoluta - ma non amava il legame di Antigone col mondo dei morti. Per lui la
fedeltà di Antigone ai morti - e ai propri morti, come il fratello Polinice - era un
legame di sangue, di parentela e di stirpe contrapposto ai superiori vincoli
della legge e della Polis, alla stessa universalità umana. Legami che proprio la
tragedia greca aveva subordinato luminosamente ai valori superiori della
civiltà e della convivenza civile, potremmo forse dire della democrazia, quando
il matricida Oreste viene assolto e le Furie del suo oscuro inconscio che lo
straziano diventano Eumenidi, benevole.

Ma nel mondo Vodù non esiste la morte quale assoluta alterità,negazione,


privazione. Morti e vivi convivono familiarmente, s'incontrano, possono farsi
del male e del bene; sono diversi, ma i morti non sono spariti né assenti.
Antigone e l'amato Emone, dopo l'esecuzione dell'una e il suicido dell'altro,
vivono in una sorta di ebbrezza felice, come in un incantevole arcobaleno che
unisce il cielo e la terra, l'aldiqua e l'aldilà, parole che non hanno veramente più
senso perché non c'è un "qua" e un "là", bensì una luce di vicinanza e
lontananza, un'azzurrità di cielo e di mare che avvolge tutto e si identifica con
l'amore.

Una tragedia che finisce in qualcosa di simile alla felicità non è tragedia. Lo è
invece Re Creonte, testo dai tratti surreali - Creonte che uccide veri o presunti
nemici a colpi di pistola - e poeticamente inferiore al precedente, ma
affascinante per una grande intuizione tragica. Creonte - tante volte ritratto
quale figura abbastanza convenzionale, magari compreso da alcuni autori
nelle sue motivazioni ma quasi mai vero protagonista tragico - in quest'opera è
una figura complessa ed oscura, interiormente devastata e stordita in un
torpido letargo forse voluto. Il dramma comincia col risveglio di Creonte da
anni di sonno - quasi un oblio cercato in una specie di coma profondo. Dalla
morte di Antigone, avvenuta per suo volere ma da lui in fondo non voluta, ha
dormito, non ha vissuto; è stato spento, forse nell'inutile tentativo di ottundere
il disagio, il rimorso, l' infelicità per ciò che è successo, per ciò che ha
commesso. Creonte non fa - non vuole o non può fare - i conti con ciò che è
accaduto; vive la sua esistenza, passato e presente, a strappi, lampi che presto
si oscurano, mentre intorno a lui la reggia, la corte, il potere sono un luogo di
veri o vaneggiati intrighi e tradimenti, sospetti, terrori e delitti, forse figure di
rimorso. Anche i personaggi dell'Antigone creola ci sono e non ci sono, forse
presenze reali forse fantasmi fugaci; i tempi si accavallano e si confondono.
Sarebbe giusto considerare - e soprattutto mettere in scena - i due testi come
un'unica opera, in una rielaborazione o rifacimento che desse il senso della
loro continuità e reciproca dipendenza.

Pure in Re Creonte, come nella tragedia precedente, c'è Tiresia, accecato


capace di prevedere il futuro ma soprattutto - intuizione grandiosa, che
naturalmente è greca ma che l'autore riprende con efficacia - figura dell'inutilità
di prevedere il futuro, che cade addosso, schiaccia e strazia ugualmente sia
che lo si ignori sia che lo si conosca o si creda di conoscerlo. Il potere
pretende addirittura di forgiare il futuro; per questo il suo destino è la
demenza.
RIPRODUZIONE RISERVATA
21 marzo 2015

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