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Outline: responsabilità dello Stato per i danni conseguenti a violazioni del diritto dell’UE (Francovich/

Brasserie du pecheur)

La responsabilità dello Stato per danni subiti da un soggetto giuridico (persona fisica o giuridica) come
conseguenza della violazione del diritto dell’UE è un principio elaborato dalla giurisprudenza della Corte di
giustizia a partire dalla sentenza Francovich (C- 6/90 e 9/90) nel silenzio dei Trattati istitutivi.

Il percorso argomentativo che porta la Corte di giustizia a tale risultato è quello già individuato in occasione
dell’affermazione dell’efficacia diretta delle disposizioni del Trattato (van Gend en Loos), dell’efficacia
diretta delle direttive non trasposte o non correttamente trasposte entro il termine (Ratti) e del primato
(Costa e Simmenthal): da un lato, l’esigenza di garantire l’efficacia del diritto dell’UE anche e soprattutto
contro gli Stati che, con il loro comportamento o omissioni, dovessero ostacolare l’effettiva applicazione del
diritto dell’Ue, dall’altro – ma in modo del tutto complementare – l’idea della persona fisica o giuridica
come soggetto giuridico parte dell’ordinamento dell’UE, titolare di obblighi ma anche di diritti, scaturenti
direttamente dall’ordinamento giuridico dell’UE senza la necessaria mediazione degli Stati. Al singolo
dunque spettano in forza del diritto dell’Unione tutta una serie di rimedi giuridici che egli può far valere
dinnanzi al suo giudice nazionale quali: l’efficacia diretta di regolamenti, direttive, disposizioni del trattato,
primato del diritto dell’Unione direttamente applicabile, interpretazione del diritto interno in modo
conforme al diritto dell’UE e, appunto, richiesta di risarcimento del danno allo Stato nel caso in cui questi
violi diritto dell’UE. E’ proprio la circostanza di attribuire al singolo situazioni giuridiche discendenti
direttamente dal diritto dell’UE ciò che, secondo la Corte di giustizia, rende l’ordinamento dell’Unione un
ordinamento speciale e distinto rispetto all’ordinamento internazionale da cui pure ha tratto e trae origine.
In tale ordinamento, infatti, i singoli non sono soggetti di diritto internazionale e solo in casi limitati tale
ordinamento conferisce loro diritti/doveri direttamente, senza cioè la mediazione dello Stato.

Ciò premesso, il tema del risarcimento del danno da violazione del diritto dell’UE viene in un primo tempo
legato dalla Corte di giustizia al problema dei rimedi invocabili dal singolo nell’ipotesi in cui non sia possibile
invocare l’efficacia diretta delle disposizioni di una direttiva. Ciò può avvenire quando o la controversia
riguardi un rapporto orizzontale (vedi il caso Faccini dori – conclusione di un contratto tra una ditta privata
e un consumatore) o le disposizioni della direttiva non sono sufficientemente chiare, precise e
incondizionate, ossia necessitano di un’integrazione normativa ad opera del legislatore nazionale.

Questo è appunto il caso discusso in Francovich dove lo Stato italiano non aveva trasposto nel diritto
interno una direttiva che contemplava una tutela minima pari a tre mensilità a favore dei lavoratori nel
caso di insolvenza del datore di lavoro. La direttiva, infatti, prevedeva l’istituzione di un fondo ma il
legislatore nazionale era libero di scegliere le modalità di finanziamento di quest’ultimo, potendo questo
fondarsi o sulla fiscalità generale o su accantonamenti imposti al datore di lavoro o da forme di
assicurazione obbligatoria. Il giudice italiano, previamente adito da alcuni lavoratori che chiedevano allo
Stato di attribuire loro le tre mensilità previste dalla direttiva, interroga la Corte attraverso il rinvio
pregiudiziale chiedendo 1. Se la direttiva avesse efficacia diretta 2. Se non avesse tale effetto, se fosse
possibile ricavare dai Trattati un obbligo in capo allo stato di risarcire il danno. La Corte conclude
osservando che nel caso di specie la direttiva non può ritenersi incondizionata e dunque la stessa non può
essere applicata dal giudice italiano per risolvere la controversia.

Poiché detta situazione lascerebbe privo di rimedi il soggetto leso, la Corte elabora appunto il principio
della responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’UE.
Sentenza Francovich 19 novembre 1991 C-6 e 9/90

Sulla responsabilità dello Stato per danni derivanti dalla violazione degli obblighi ad esso incombenti in
forza del diritto comunitario
28. Con la seconda parte della prima questione il giudice nazionale mira a stabilire se uno Stato
membro sia tenuto a risarcire i danni derivanti ai singoli dalla mancata attuazione della direttiva 80/987.
29. Il giudice nazionale pone così il problema dell' esistenza e della portata di una responsabilità dello
Stato per danni derivanti dalla violazione degli obblighi che ad esso incombono in forza del diritto
comunitario.
30. Questo problema dev' essere esaminato alla luce del sistema generale del Trattato e dei suoi
principi fondamentali.
a) Sul principio della responsabilità dello Stato
31. Va innanzitutto ricordato che il Trattato CEE ha istituito un ordinamento giuridico proprio, integrato
negli ordinamenti giuridici degli Stati membri e che si impone ai loro giudici, i cui soggetti sono non
soltanto gli Stati membri, ma anche i loro cittadini e che, nello stesso modo in cui impone ai singoli
degli obblighi, il diritto comunitario è altresì volto a creare diritti che entrano a far parte del loro
patrimonio giuridico; questi diritti sorgono non solo nei casi in cui il Trattato espressamente li
menziona, ma anche in relazione agli obblighi che il Trattato impone ai singoli, agli Stati membri e alle
istituzioni comunitarie (v. sentenze 5 febbraio 1963, Van Gend & Loos, causa 26/62, Racc. pag. 3, e 15
luglio 1964, Costa, causa 6/64, pag. 1127).
32. Va altresì ricordato che, come risulta da una giurisprudenza costante, è compito dei giudici nazionali
incaricati di applicare, nell' ambito delle loro competenze, le norme del diritto comunitario, garantire la
piena efficacia di tali norme e tutelare i diritti da esse attribuiti ai singoli (v. in particolare sentenza 9
marzo 1978, Simmenthal, punto 16 della motivazione, causa 106/77, Racc. pag. 629, e sentenza 19
giugno 1990, Factortame, punto 19 della motivazione, cuasa C-213/89, Racc. pag. I-2433).
33. Va constatato che sarebbe messa a repentaglio la piena efficacia delle norme comunitarie e sarebbe
infirmata la tutela dei diritti da esse riconosciuti se i singoli non avessero la possibilità di ottenere un
risarcimento ove i loro diritti siano lesi da una violazione del diritto comunitario imputabile ad uno Stato
membro.
34. La possibilità di risarcimento a carico dello Stato membro è particolarmente indispensabile qualora,
come nella fattispecie, la piena efficacia delle norme comunitarie sia subordinata alla condizione di un'
azione da parte dello Stato e, di conseguenza, i singoli, in mancanza di tale azione, non possano far
valere dinanzi ai giudici nazionali i diritti loro riconosciuti dal diritto comunitario.
35. Ne consegue che il principio della responsabilità dello Stato per danni causati ai singoli da violazioni
del diritto comunitario ad esso imputabili è inerente al sistema del Trattato.
36. L' obbligo degli Stati membri di risarcire tali danni trova il suo fondamento anche nell' art. 5 del
Trattato, in forza del quale gli Stati membri sono tenuti ad adottare tutte le misure di carattere generale
o particolare atte ad assicurare l' esecuzione degli obblighi ad essi derivanti dal diritto comunitario.
Orbene, tra questi obblighi si trova quello di eliminare le conseguenze illecite di una violazione del
diritto comunitario (v., per quanto riguarda l' analogo disposto dell' art. 86 del Trattato CECA, la
sentenza 16 dicembre 1960, Humblet, causa 6/60, Racc. pag. 1093).
37. Da tutto quanto precede risulta che il diritto comunitario impone il principio secondo cui gli Stati
membri sono tenuti a risarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario ad essi
imputabili.
b) Sulle condizioni della responsabilità dello Stato
38. Se la responsabilità dello Stato è così imposta dal diritto comunitario, le condizioni in cui essa fa
sorgere un diritto a risarcimento dipendono dalla natura della violazione del diritto comunitario che è all'
origine del danno provocato.
39. Qualora, come nel caso di specie, uno Stato membro violi l' obbligo, ad esso incombente in forza
dell' art. 189, terzo comma, del Trattato, di prendere tutti i provvedimenti necessari a conseguire il
risultato prescritto da una direttiva, la piena efficacia di questa norma di diritto comunitario esige che
sia riconosciuto un diritto a risarcimento ove ricorrano tre condizioni.
40. La prima di queste condizioni è che il risultato prescritto dalla direttiva implichi l' attribuzione di
diritti a favore dei singoli. La seconda condizione è che il contenuto di tali diritti possa essere
individuato sulla base delle disposizioni della direttiva. Infine, la terza condizione è l' esistenza di un
nesso di causalità tra la violazione dell' obbligo a carico dello Stato e il danno subito dai soggetti lesi.
41. Tali condizioni sono sufficienti per far sorgere a vantaggio dei singoli un diritto ad ottenere un
risarcimento, che trova direttamente il suo fondamento nel diritto comunitario.

La sentenza Francovich, dunque, pone alcune condizioni affinché il rimedio del risarcimento del danno
possa essere attivato.

Innanzitutto, è bene precisare che il singolo che abbia ricevuto un danno dovrà attivarsi con un’autonoma
azione giudiziale rivolta allo Stato. Si applicano da questo punto di vista le regole procedurali previste dal
diritto nazionale, anche se queste devono garantire in maniera efficace il ristoro del soggetto leso.

In secondo luogo, secondo Francovich, la possibilità di richiedere il risarcimento del danno è condizionata al
fatto che la direttiva abbia lo scopo di attribuire dei diritti a favore dei singoli, che il contenuto di detti diritti
sia ricavabile dalla direttiva e che esista un nesso di causalità tra il danno subito e la violazione da parte
dello stato. Es: la direttiva 80/987 era volta a prevedere un diritto puntuale in capo al lavoratore in caso di
insolvenza del proprio datore di lavoro. Detto diritto (le tre mensilità) era disciplinato puntualmente dalla
direttiva. Se lo stato avesse trasposto la direttiva e avesse così ottemperato ai suoi obblighi comunitari, il
singolo avrebbe ricevuto le tre mensilità. Con la sua omissione, ha causato un danno risarcibile.

La sentenza Francovich ha posto un principio che si è rivelato difficile da accettare per alcuni stati membri.
Essa, infatti, postula che il legislatore possa essere chiamato a rispondere dei danno causato al cittadino per
aver omesso di legiferare. Poiché la funzione legislativa è l’espressione più alta della sovranità statale ed è
ritenuta libera e discrezionale, a molti commentatori è sembrato che così decidendo la Corte abbia inflitto
l’ennesimo colpo alla sovranità dello stato.

Francovich lasciava aperti due problemi: 1) se solo la mancata trasposizione di una direttiva entro il termine
desse al singolo un titolo per chiedere in giudizio il risarcimento del danno o se detto rimedio potesse
essere chiesto per qualsiasi violazione del diritto dell’Unione che avesse determinato un danno al singolo 2.
Se la richiesta di risarcimento del danno fosse esperibile solo quando non fosse possibile ottenere l’efficacia
diretta o se al contrario i due rimedi fossero cumulabili (ottengo in una controversia di applicare la direttiva
e poi ricorro contro lo stato per ottenere il risarcimento del danno patito).

La questione è stata risolta nel caso Brasserie du Pecheur/Factortame in cui la Corte ha meglio precisato la
pregressa giurisprudenza Francovich. Il caso riguardava la richiesta di risarcimento del danno avanzata dalla
ditta Brasserie du Pecheur alla Germania per avere quest’ultima vietato la commercializzazione della birra
prodotta da Brasserie sul presupposto che tale prodotto non fosse conforme ai parametri stabiliti dalla
legge tedesca. In questo caso, la violazione del diritto dell’Unione europea era rappresentato dal divieto, di
cui all’odierno art. 34 del TFUE, di porre restrizioni quantitative o misure di effetto equivalente alla libera
circolazione delle merci. Uno stato può, ai sensi dell’art. 36 TFUE, porre limiti per garantire una serie di
interessi generali, quali, ad esempio, la tutela della salute. Tuttavia, queste misure non possono essere un
pretesto dietro cui mascherare, di fatto, una discriminazione nei confronti di imprese diverse da quelle
nazionali. Tale era appunto il caso della legge tedesca e la Corte di giustizia aveva sentenziato, a seguito di
ricorso di infrazione azionato dalla Commissione, la violazione dell’art. 34 TFUE da parte della Germania.

Brasserie, però, chiedeva un rimedio non per il futuro (la possibilità di immettere in Germania il suo
prodotto si dava già per effetto della decisione della Corte di giustizia sul ricorso di infrazione), ma i danni
subiti per il passato dalla mancata commercializzazione. In questo caso, la ditta poteva vantare un diritto (di
far circolare le proprie merci in tutti gli stati dell’Unione) stabilito direttamente nel trattato (non in una
direttiva). La violazione del diritto dell’Unione, il cui danno si chiedeva di risarcire, era appunto il mancato
rispetto di una norma del Trattato. Inoltre, la Corte di giustizia aveva già riconosciuto l’efficacia diretta
dell’art. 34.

La Corte, dunque, afferma che qualsiasi violazione di una disposizione del diritto dell’UE che sia suscettibile
di attribuire al singolo un diritto è suscettibile di essere risarcita. Come detto, la libertà di circolazione delle
merci attribuisce alla singola ditta il diritto soggettivo di far circolare le proprie merci sul territorio
dell’Unione. Il danno che viene prodotto in capo al singolo deve essere effettivamente riconducibile alla
violazione del diritto dell’Unione compiuta dallo stato. (è il nesso di casualità di Francovich). A fronte della
maggiore estensione materiale delle violazioni del diritto dell’Unione che possono essere suscettibili di
determinare un danno risarcibile (non più solo la mancata trasposizione di una direttiva, ma qualsiasi
violazione del diritto dell’UE attributiva di un diritto al singolo), la Corte introduce una limitazione quanto
alla gravità della violazione, richiedendo che essa sia grave e manifesta. Di fatto, la Corte ha elaborato una
serie di parametri per stabilire quando la violazione sia grave e manifesta, parametri che attengono in
buona sostanza a quelle situazioni in cui lo Stato abbia con intenzionalità violato il diritto dell’UE. Solo nel
caso in cui la violazione del diritto dell’UE non fosse evidente nel momento in cui lo stato l’ha posta in
essere, sicché il comportamento di questo poteva ritenersi scusabile, non ci sarà risarcimento del danno. La
mancata trasposizione di una direttiva entro il termine previsto o l’aver violato una disposizione di diritto
dell’UE ponendo in essere comportamenti già sanzionati da precedenti sentenze della Corte di giustizia
rappresentano esempi sicuri di violazione grave e manifesta.

Massima Brasserie du Pecheur C-46 e 48/93

1. L' applicazione del principio secondo cui gli Stati membri sono tenuti a risarcire i danni
causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario ad essi imputabili non può essere
esclusa qualora la violazione riguardi una norma di diritto comunitario direttamente efficace.
Infatti, la facoltà degli amministrati di far valere dinanzi ai giudici nazionali le disposizioni del
Trattato direttamente applicabili costituisce solo una garanzia minima e non è di per sé
sufficiente ad assicurare la piena e totale applicazione del diritto comunitario. Questa facoltà,
intesa a far prevalere l' applicazione di norme di diritto comunitario rispetto a quella di norme
nazionali, non è sempre idonea a garantire al singolo i diritti attribuitigli dal diritto comunitario
e, in particolare, a scongiurare il verificarsi di un danno conseguente ad una violazione di tale
diritto imputabile a uno Stato membro.
2. Poiché nel Trattato mancano disposizioni che disciplinano in modo diretto e puntuale le
conseguenze delle violazioni del diritto comunitario da parte degli Stati membri, spetta alla
Corte, nell' espletamento del compito demandatole dall' art. 164 del Trattato di garantire l'
osservanza del diritto nell' interpretazione e nell' applicazione del Trattato, statuire su tale
questione avvalendosi dei canoni interpretativi generalmente accolti, facendo ricorso in
particolare ai principi fondamentali dell' ordinamento giuridico comunitario e, se necessario, ai
principi generali comuni agli ordinamenti giuridici degli Stati membri.
3. Il principio della responsabilità degli Stati membri per danni causati ai singoli da violazioni
del diritto comunitario ad essi imputabili è applicabile allorché a dare origine a tali violazioni è
l' operato del legislatore nazionale.
Infatti, questo principio, che è inerente al sistema del Trattato, ha valore in riferimento a
qualsiasi ipotesi di violazione del diritto comunitario commessa da uno Stato membro,
qualunque sia l' organo di quest' ultimo la cui azione od omissione ha dato origine alla
trasgressione, e l' obbligo di risarcire i danni che da esso discende non può, avuto riguardo alla
fondamentale esigenza dell' ordinamento giuridico comunitario costituita dall' uniforme
applicazione del diritto comunitario, dipendere da norme interne sulla ripartizione delle
competenze tra i poteri costituzionali.
4. Per determinare le condizioni alle quali la violazione del diritto comunitario ad opera di uno
Stato membro fa sorgere in capo ai singoli lesi un diritto al risarcimento, occorre tener conto
anzitutto dei principi propri dell' ordinamento giuridico comunitario che costituiscono il
fondamento per la responsabilità dello Stato, vale a dire la piena efficacia delle norme
comunitarie e l' effettiva tutela dei diritti da esse garantiti, da un lato, e l' obbligo di
cooperazione incombente agli Stati membri in forza dell' art. 5 del Trattato, dall' altro. Occorre
inoltre far riferimento al regime stabilito per la responsabilità extracontrattuale della Comunità,
in quanto, da un lato, tale regime si basa, ai sensi dell' art. 215, secondo comma, del Trattato,
sui principi generali comuni ai diritti degli Stati membri e, dall' altro, i presupposti del sorgere
della responsabilità della Comunità e di quella degli Stati membri in circostanze analoghe non
debbono differire, in mancanza di specifica giustificazione, non potendo la tutela dei diritti
attribuiti ai singoli dal diritto comunitario variare in funzione della natura, nazionale o
comunitaria, dell' organo che ha cagionato il danno.
Pertanto, qualora una violazione del diritto comunitario da parte di uno Stato membro sia
imputabile al legislatore nazionale che operi in un settore nel quale dispone di un ampio potere
discrezionale per operare scelte normative, un diritto al risarcimento è riconosciuto ai singoli
lesi sempreché la norma giuridica violata sia preordinata ad attribuire diritti ai singoli, la
violazione sia sufficientemente caratterizzata e sussista un nesso causale diretto tra questa
violazione e il danno subito dai singoli.
Con questa riserva, è nell' ambito delle norme del diritto nazionale relative alla responsabilità
che lo Stato è tenuto a riparare le conseguenze del danno provocato dalla violazione del diritto
comunitario ad esso imputabile, restando inteso che le condizioni fissate dalla normativa
nazionale in materia di risarcimento dei danni non possono essere meno favorevoli di quelle
che riguardano reclami analoghi di natura interna né essere tali da rendere praticamente
impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento.
In particolare, il giudice nazionale non può, nell' ambito della normativa nazionale che esso
applica, subordinare il risarcimento del danno all' esistenza di una condotta dolosa o colposa
dell' organo statale alla quale è imputabile l' inadempimento, che vada oltre la violazione
sufficientemente caratterizzata del diritto comunitario.
Quanto a tale violazione sufficientemente caratterizzata della norma comunitaria, il criterio
decisivo per rilevarne l' esistenza è quello della violazione grave e manifesta, da parte dello
Stato membro, dei limiti posti al suo potere discrezionale. Al riguardo, fra gli elementi che il
giudice competente può eventualmente prendere in considerazione, figurano il grado di
chiarezza e di precisione della norma violata, l' ampiezza del potere discrezionale che tale
norma consente alle autorità nazionali o comunitarie, il carattere intenzionale o involontario
della trasgressione commessa o del danno causato, la scusabilità o l' inescusabilità di un
eventuale errore di diritto, la circostanza che i comportamenti adottati da un' istituzione
comunitaria abbiano potuto concorrere all' omissione, all' adozione o al mantenimento in
vigore di provvedimenti o di prassi nazionali contrari al diritto comunitario. Comunque sia, una
violazione del diritto comunitario è grave e manifesta quando sia perdurata nonostante la
pronuncia di una sentenza che ha accertato l' inadempimento contestato, di una sentenza
pregiudiziale o di una giurisprudenza consolidata della Corte in materia, dalle quali risulti l'
illegittimità del comportamento in questione.
5. Il risarcimento, posto a carico degli Stati membri, dei danni cagionati ai singoli da violazioni
del diritto comunitario dev' essere adeguato al danno subito. In mancanza di norme comunitarie
in materia, spetta all' ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro fissare i criteri
che consentono di determinare l' entità del risarcimento, fermo restando che essi non possono
essere meno favorevoli di quelli che riguardano reclami o azioni analoghi fondati sul diritto
interno e che non possono in nessun caso essere tali da rendere praticamente impossibile o
eccessivamente difficile il risarcimento. Non è conforme al diritto comunitario una disciplina
nazionale che, in via generale, limiti il danno risarcibile ai soli danni arrecati a determinati beni
dei singoli specialmente tutelati, escludendo il lucro cessante subito dai singoli. Peraltro, una
forma particolare di risarcimento, quale è il risarcimento "esemplare" previsto dal diritto
inglese, deve poter essere riconosciuto nell' ambito di reclami o azioni fondati sul diritto
comunitario, qualora possa esserlo nell' ambito di reclami o azioni analoghi fondati sul diritto
interno.
6. L' obbligo, a carico di uno Stato membro, di risarcire i danni causati ai singoli dalle
violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili non può essere limitato ai soli danni subiti
successivamente alla pronuncia di una sentenza della Corte che accerti l' inadempimento
conseguente a tali violazioni. Infatti, il diritto al risarcimento esiste, sulla base del diritto
comunitario, sempreché siano soddisfatte le condizioni prescritte, talché non può ammettersi
che l' obbligo di risarcimento a carico dello Stato membro interessato possa essere limitato ai
soli danni subiti successivamente alla pronuncia di una sentenza della Corte che accerti il suo
inadempimento. Inoltre, subordinare il risarcimento del danno al presupposto di una previa
constatazione, da parte della Corte, di un inadempimento del diritto comunitario imputabile
allo Stato membro interessato urterebbe contro il principio dell' effettività del diritto
comunitario, poiché esso porterebbe ad escludere qualsiasi risarcimento tutte le volte che il
preteso inadempimento non abbia costituito oggetto di un ricorso proposto dalla Commissione
ai sensi dell' art. 169 del Trattato e di una dichiarazione d' inadempimento pronunciata dalla
Corte. Orbene, i diritti attribuiti ai singoli da norme comunitarie aventi effetto diretto nell'
ordinamento interno degli Stati membri non possono dipendere dalla valutazione della
Commissione in ordine all' opportunità di avviare un procedimento ex art. 169 del Trattato nei
confronti di uno Stato membro né dalla pronuncia della Corte di un' eventuale sentenza che
dichiari l' inadempimento.

La responsabilità per danni causati dallo stato per violazione del diritto comunitario si ha
ogniqualvolta un organo dell’amministrazione pubblica ponga in essere detta violazione. Non
rileva, da questo punto di vista, il fatto che la violazione sia stata posta in essere da
articolazioni interne dello stato (regioni, enti locali) o da quale potere, se legislativo o
giurisdizionale.
In questo senso è da ricordare che la Corte di giustizia è giunta ad affermare l’obbligo per lo
stato di risarcire il danno connesso alla mancata attivazione da parte di un giudice di ultima
istanza del rinvio pregiudiziale (sentenza Kobler, Traghetti del Mediterraneo). Secondo l’art.
267 TFUE, il rinvio pregiudiziale di interpretazione o di validità è un obbligo per i giudici di
ultima istanza (cioè i giudici contro le cui decisioni non possano proporsi appelli). Tale obbligo
viene meno solo se vi sia una giurisprudenza della corte di giustizia che si sia già formata sulla
specifica questione e cui dunque il giudice di ultimo grado può fare utilmente riferimento. Se il
giudice di ultimo grado non effettua il rinvio pregiudiziale e decide la controversia in modo
contrario al diritto dell’UE, facendone derivare un danno al singolo, detta omissione può
implicare un titolo per ottenere il risarcimento del danno.

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