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ROLAND FROHLICH STORIA DELLA CHIESA 2000 anni di fede vissuta Presentazione di Maurilio Guasco fy! PIEMME Titolo originale: Lebendige Kirchengeschichte. Die Exfabrung von 2000 Jabren ©1990 Verlag Herder, Freiburg Traduzione italiana a cura di Giuseppe e Chiara Zorzi Copertina: Studio Aemme Illustrazione di copertina: «Battaglia di Lepanto», G. Vasari ¢ aiuti Sala Regia, Citta del Vaticano. I Edizione 1993 © 1993 - EDIZIONI PIEMME S.p.A. 15033 Casale Monferrato (AL) - Via del Carmine, 5 Tel. 0142-3361 - Fax 0142-74223 PREFAZIONE «Cristo si, la Chiesa no»: capita spesso di sentire questa sorta di professione di fede. Il volto della Chiesa appare a molti vecchio, rigido e logoro. Essa tace 1a dove dovrebbe parlare, e quando parla sarebbe meglio che - mancando della dovuta competenza — tacesse. E meglio volgere lo sguardo direttamente a Cristo, alla sua profonda umanita, con cui si rivolge ai poveri e a coloro che sono disprezzati. Per altri invece la Chiesa @ giovane: in questa essi trovano futuro, amici, ristoro. Nei regimi dittatoriali essa @, nonostante ogni fallimento, una colonna della resistenza; in seno alle comunita di base @ il luogo della fede vissuta; nelle assemblee della Chiesa, cele- brate sia da protestanti che da cattolici, la speranza dei giovani. Chi non intende vivere solo per se stesso cerca co- munione, e fa questo in maniera tanto pil forte quan- to piti egli si sente interpellato dalla fede. La Chiesa pud divenire per lui motivo di incessante domanda ed anche di lacerazione interiore. In essa egli trova personalita di grande attrazione e fascino, ma anche tradizioni e forme di ottusit’ incomprensibili. Una tisposta la si pud trovare solo nell’impegno per la ve- rita piena, anche 1a dove essa é umiliante o spavento- PREFAZIONE 11 sa. Poiché solo cosi il cristiano pud prendere su di sé quell’eredita che gli da la forza di vivere, di «trasfor- marsi», di porsi come alternativa. Anche colui che vive lontano dalla Chiesa la incon- tra, se vuole comprendere le strutture della nostra so- ciet&. Senza di essa — sia pure anche in contrasto con essa — non vi sarebbero stati né l’umanesimo europeo né la moderna scienza della natura. La sua influenza stimolante o frenante @ riconoscibile solo reinterro- gando la storia; solo in questo modo possono essere superati i clichés correnti della critica o dell’esalta- zione. Nelle pagine di questo libro ci si propone di per- correre la via che porta a riflettere sugli aspetti parti- colari, senza i quali la storia non vive, e a inserirli in contesti pit ampi. Quest’ultimo passo non é arbitra- rio, ma riflette una linea di continuita con i risultati ottenuti dalla ricerca storico-ecclesiastica. Diversa- mente da quanto avviene nei manuali, che allo scopo di essere strumenti di consultazione riportano ogni fatto rilevante, swllo sfondo di questo lavoro sta V’inter- rogativo di come noi dobbiamo porci di fronte alla Chiesa. Una risposta non viene data, ma si vuole fa- vorire in questo modo la ricerca in tale direzione. A questo servono anche le numerose citazioni riportate dalle fonti. Esse vogliono stimolare il lettore ad inter- rogarsi, oltre a cercare di dare risposta agli interroga- tivi che per lui sono importanti. 12. PREFAZIONE ABBREVIAZIONI BRKV BIHLMEYER-TUCHLE CIC DS KRUMWIEDE LThK MANs MGH Mirst-ALAND Moxroscu Bibliothek der Kirchenviter, a cura di O. BARDENHEWER € al.; I serie: 63 voll., II se- rie: 20 voll., Kempten - Miinchen 1911- 1931 K. Braemever - H. Ticute, Storia della Chiesa, 4 voll. Brescia 1956-1959 Codex Iuris Canonici (1983) H. Denzincer - A. ScHONMETZER, Enchiri- dion symbolorum, definitionum et declaratio- num de rebus fidei et morum, Editio XXXII, Friburgi Brisgoviae MCMLXIIL H.A. Operman, Kirchen- und Theologiege- schichte in Quellen, a cura di H.A. Oper- MAN e al., vol. IV/1 e IV/2, testi scelti da H.-W. Krumwiepe u.a., Neukirchen-Vluny 19852 e 1986 Lexikon fiir Theologie und Kirche, a cura di J. Horer - K. Ranner, 14 voll., Freiburg im Br. 1957? ss. J.D. Manst, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, 60 voll., Paris 1899-1937 Monumenta Germaniae Historica, Hanno- ver - Berlin 1826 ss. Quellen zur Geschichte des Papsttums und des rémischen Katholizismus, a cura di C. Miret, nuova revisione a cura di K. ALAND, Tiibingen 1967° Kirchen- und Theologiegeschichte in Quel- Jen, a cura di H.A. OBERMAN e al., vol. II, testi scelti da R. Moxroscu - H. Watz, Neukirchen-Vluny 1986? ABBREVIAZIONI. 13 Capitolo Primo DA GERUSALEMME A ROMA 1. La Chiesa: una fondazione di Gest? Fondamento della Chiesa — di tutte le Chiese cri- stiane — &, secondo il suo stesso credo, Gest Cristo. Comprendere Gest Cristo, trovare in lui il fonda- mento, la meta e la misura per la configurazione della Chiesa in questo mondo rappresenta lo sforzo di tutti coloro che in lui credono e che vogliono essere «vera» Chiesa. Come per ogni uomo, anche la personalita di Gest si rende accessibile solo a colui che coglie lo «spirito» da cui deriva il suo comportamento. Parole e azioni di Gest ci vengono incontro solo mediate dalla comprensione di coloro che le trasmettono. Nel- le testimonianze che la Chiesa primitiva ritenne vali- de e che furono-raccolte nel Nuovo Testamento, i cri- stiani cercano sempre in maniera nuova di avvicinarsi a lui, di penetrare parte del mistero che gia li ha af- ferrati e che tuttavia - come si legge nella Lettera agli Efesini — sorpassa ogni conoscenza (Ef 3, 18s.). La predicazione di Gest é solo il Regno? Fra gli evangelisti, Marco esprime il tema della pre- dicazione di Gest nelle poche parole seguenti: «Il tempo é compiuto e il regno di Dio é vicino; conver- I. DA GERUSALEMME A ROMA 15 titevi e credete al vangelo». Il «regno di Dio»: che co- sa s’intende con cid? Non é facile dare una risposta a questa domanda; mancano a tale riguardo esposizioni risalenti a quell’epoca, e Gest stesso ne parla solo in termini velati, in parabole che rimasero oscure a mol- ti suoi uditori. Dalle loro reazioni possiamo desumere che, sebbene tutti i giudei attendesseto con ansia questo regno, le aspettative erano assai diverse. Per molti il peso maggiore era sul piano politico. Essi potevano immaginarsi la restaurazione del trono di David, dunque il rinnovamento del regno giudaico solo attraverso un’insurrezione, attraverso una vitto- tia sulle forze d’occupazione romane. Accanto a que- sti erano poi le attese degli zelanti osservatori della legge: se Dio assumesse il potere giudicherebbe senza pieta tutti coloro che disprezzano la sua legge e quin- di farebbe nuovamente degli israeliti un popolo san- to. La fede vera di Israele illuminerebbe tutte le genti e le guiderebbe ad adorare l’unico Dio. Altri ancora speravano nella «redenzione»: il regno di Dio come pienezza di pace, come perdono dei peccati, come fi- ne di ogni forma di sofferenza che opprime noi uomi- ni; il regno di Dio sarebbe definitivo, giudizio anche sui morti, nuova configurazione della creazione, supe- ramento del male e della morte. La sovranita di Dio, il suo «regno» — cosi dicevano le Sacre Scritture ~ doveva venire nel € attraverso il suo «unto» (in ebraico: messia; in greco: Cristo). Ad essere unti erano i re in segno della loro elezione e del loro incarico. Re, discendente di David, sarebbe anche Punto di cui Dio si compiace (Mc 1,11). Chi, come Gest, annuncia il regno di Dio, si trova percid di fronte alla domanda: «Sei tu il Messia?»-(ad es.: Le 7, 18ss.). Sappiamo quanto fosse divisa l’opinione del popolo a proposito dell’uomo di Nazareth (Mt 16, 13ss.). 16 1. DA GERUSALEMME A ROMA Gest stesso rinviava continuamente, invece che ad una spiegazione esplicita, alle proprie azioni e ai pro- pri segni, non per confermare semplicemente le aspet- tative della gente, bensi per far crescere negli uomini «di buona volonta» una nuova pit profonda compren- sione. del-regno di-Dio. I discepoli credettero in lui, ma la sua morte sulla croce li scosse profondamente: come poteva Dio abbandonare uno che si era schiera- to cosi incondizionatamente dalla sua parte? Solo gli incontri con il risorto e, collegata a questi, una nuova comprensione della Scrittura - e cioé che l’umiliazio- ne e il dolore del giusto rientrano nel progetto salvifi- co della redenzione (Is 53) — rafforzarono la loro fe- de, tanto che da allora in poi essi si dedicarono in tutto e per tutto a «render testimonianza» del fatto che Gest é il messia atteso e annunciato dalla Scrit- tura; Dio lo ha innalzato alla sua destra; il tempo fi- nale ha fatto il suo inizio (cosi Pietro nel suo discorso della Pentecoste: At 2, 14ss.). La rinuncia alla legge La testimonianza degli apostoli si indirizzd anzitut- to al loro popolo. La loro intenzione era condurre tutti gli israeliti al riconoscimento di Gest come Mes- sia e con cid alla salvezza nell’imminente giudizio fi- nale. Ma con dolore dovettero convincersi che le au- torita alla guida d’Israele non erano pronte a rivedere il loro giudizio su Gest e che addirittura passavano alla persecuzione dei suoi sostenitori. La giovane Chiesa rischiava di essere relegata ad un’esistenza da ghetto come «setta giudaica». Se questo non accadde lo si dovette all’apertura della comunita ai concittadi- ni non giudei. Tale allargamento non fu una soluzio- ne di necessita e nemmeno un segno straordinario proveniente dall’alto. E vero che Pietro giustifica il I. DA GERUSALEMME A ROMA 17 battesimo del romano Cornelio con. una visione e os- serva come lo Spirito Santo fosse sceso su coloro che ascoltavano ancor prima del battesimo: At 10. Ma il fatto decisivo non fu questa visione, bens} il ricono- scere, anche sotto la pressione di molti altri segni, che «dunque anche ai pagani Dio ha concesso che si convertano perché abbiano la vita» (At 11,18; cfr. anche At 13, 44-49). Il fatto di rivolgersi ai pagani era al tempo stesso una conseguenza interna della fede. Se nel giudizio comune non vi era salvezza se non nel nome di Gesii (cfr. ad es. At 4, 12), ebbene, allora l’antico principio secondo cui «solo chi osserva la legge (con i suoi sin- goli precetti, che sono pit di 600) sara partecipe del Regno di Dio», non poteva pid essere valido allo stes- so modo (senza riferimento a Cristo). Fu soprattutto Paolo colui che insegnd con eloquenza e forza inesau- ribile che la legge scopre solo la nostra debolezza e la nostra natura di peccatori, mentre la salvezza viene data in dono attraverso l’appartenenza a Gest, testi- moniata nella fede e resa compiuta nel battesimo. (Nella misura in cui il senso pit profondo della legge @ Padorazione di Dio e il compimento della sua vo- lonta di salvezza dell’uomo, proprio l’amore vissuto in Cristo @ il pieno compimento della legge: Rm 13, 8-10). Conseguenza logica di cid e fatto non trascurabile fu la decisione legata alla questione se i «greci», dun- que i non giudei che professavano Cristo, dovessero accogliere o meno la circoncisione e la legge giudaica. Si trattava di questioni fondamentali, come dimostra fra Paltro il modo in cui si cercd di fissare delle rego- le in materia. Paolo si recd appositamente dagli apo- stoli, che stavano insieme a Pietro a Gerusalemme. E sono le argomentazioni di Pietro a risultare decisive, secondo quanto si legge in At 15: «Fratelli, voi sapete 18 1. DA GERUSALEMME A ROMA che gia da molto tempo Dio non ha fatto nessuna di- scriminazione tra noi e loro, purificandone i cuori con la fede. Or dunque, perché continuate a tentare Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri, né noi siamo stati in grado di porta- re? Noi crediamo-che per la grazia del Signore Gest siamo salvati e nello stesso modo anche loro». Erano cosi fissati, almeno in linea di principio se non nella prassi (come mostrano divergenze successive, cfr. Gal 2,11ss.), i confini fra giudei e pagani. La Chiesa era ora aperta a tutti, poiché riconoscere Gest come «Kvpiog» («Kyrios»), come il Signore, non impli- cava l’assunzione di uno stile di vita che dividesse le culture. Ma il professare Gest come unico Signore avrebbe portato ben presto i cristiani ad aspri contrasti con la pretesa totalizzante degli imperatori romani. Comunita o gerarchia? Nello sforzo attuale per ritrovare la via verso l’uni- ta della Chiesa, l’interpretazione del ministero eccle- siastico assume una posizione chiave. I diritti rivendi- cati dal papa nel medioevo, la protesta di Martin Lu- tero, il dogma dell’infallibilita del 1870 hanno anima- to un vivo interessamento per la Chiesa delle origini: fino a che punto lo sviluppo successivo del papato e della gerarchia era fondato sulla Chiesa delle origini? Corrispondeva allo spirito del Vangelo, oppure era il frutto di una falsa via? Due concezioni contrapposte fra loro erano alla ricerca di argomentazioni. L’una voleva dimostrare che il papato é presente in linea di principio gia nei Vangeli, l’altra vedeva in questi ad- dirittura il rifiuto di ogni autorita, la quale spettereb- be esclusivamente alla Parola di Dio, cui gli annuncia- tori si dovrebbero sottomettere esattamente come gli uditori. Nel frattempo i teologi hanno provveduto a I. DA GERUSALEMME A ROMA 19 gettare dei ponti!. Né la configurazione attuale del papato é una prosecuzione necessaria degli inizi, né vi fu inizialmente una comunita di fedeli che visse insie- me secondo ordinamenti democratici privi di struttu- ra gerarchica: non vi era infatti nemmeno allora una concezione di questo tipo. La comunita dei cristiani si configurd dal modo in cui era venuta alla luce e orientandosi verso il model- lo di convivenza religiosa gia esistente, quello giudai- co. Fu dunque naturale, né furono sollevate obiezioni sul fatto che ci fossero «anziani» e «capi», cosi come risultd naturale che coloro ai quali il Signore — sia in terra che dopo essere risorto — aveva parlato e che poi aveva inviato nel mondo, avessero una posizione particolare e un’altrettanto particolare facolta di ema- nare ordini. Questo valeva in prima linea per i «dodi- ci», ma anche per Paolo, al quale il Signore si era ma- nifestato sulla via di Damasco (At 9). Pit. determi- nante delle differenze di autorita @ tuttavia la consa- pevolezza di essere una comunita e di dover conser- vare l’unita. Deputati a cid non sono né Pietro da so- lo né (nei primi due secoli) i suoi successori a Roma, poiché sono tutti i vescovi a sentirsi chiamati a pren- dersi cura del tutto, scrivendo ed esortando ogni qualvolta l’unita venga meno in una comunita e si ve- rifichino rotture. Peraltro, fin dall’inizio si pud constatare la partico- larita della posizione di Pietro. Negli elenchi degli apostoli contenuti nei Vangeli egli viene nominato per primo, a lui il Risorto rivolge le parole: «Pasci le mie pecorelle» (Gv 21,17); per lui Gest: ha pregato affinché la sua fede non venisse meno ed egli confer- 1 Cfr. a questo proposito Dokumente wachsender Ubereinstimmung. Sdmmtli- che Berichte und Konsenstekte interkonfessioneller Gespriche auf Weltebene 1931- 1982, Paderborn 1983; in particolare Konvergenzerklarungen der Kommission fiir Glauben und Kirchenverfassung des Okumenischen Rates der Kirchen sul tema del battesimo, dell’eucaristia e del ministero (Lima 1982), ibidem, pp. 545-585. 20 1. DA GERUSALEMME A ROMA masse i suoi fratelli (Lc 22, 32); solo lui Gest: defini- sce come la pietra sulla quale egli edifichera la pro- pria chiesa (Mt 16,18). La sua autorita — come mo- stra la prassi di allora — non @ né quella di un giudice supremo (nella questione della circoncisione a decide- re sono ad esempio «gli apostoli e gli anziani»: At15), né quella del principale responsabile che guida, piani- fica e coordina. Sono ad esempio gli «apostoli» che inviano Pietro e Giovanni in Samaria a imporre le mani sul capo dei battezzati: At 8,14. Pietro & piut- tosto una sorta di garante, presso il quale dimora lo Spirito di Cristo, e del quale colpisce la pratica e la concezione della Chiesa, che proprio in lui trovano la loro prima conferma piena. Pit tardi, nel corso del m e del 1v secolo, il vescovo di Roma diverra sempre pit istanza decisionale fra opposte parti contendenti. Le grandi questioni di fede non vengono tuttavia decise da lui ma dai concili, pur restando fermo il fatto che un concilio riunito senza di lui o senza il suo consen- so non é un’assemblea della Chiesa. La questione della limitazione dei poteri non pote- va essere in primo piano nella Chiesa delle origini gia per il fatto che essa operava nella convinzione che al- meno alcuni della sua generazione avrebbero assistito al ritorno di Cristo. Si trattava dunque di convivere in santita e fraternita fino a quel momento; proprio in questo si esprimeva lo Spirito di Cristo che in essi operava, il quale «ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri» (1 Cor 12, 28; Ef 4, 11). 2. La persecuzione dei cristiani Conflitto fra i gindei Gest mori sebbene Pilato non avesse trovato in lui alcuna colpa. Gli: accusatori giudaici non cercavano yehiet : 8 giustizia, ma la morte di colui al quale non potevano I. DA GERUSALEMME A ROMA 21 addebitare alcuna azione malvagia (Mt 27, 23). Quan- do gli apostoli annunciarono la resurrezione, questo atto di Dio che confermava ulteriormente la missione di Gest, molti rividero le loro opinioni — gli Atti de- gli apostoli riferiscono di circa 3.000 persone che si fecero battezzare dopo il discorso di Pietro in occa- sione della Pentecoste (At 2,41) , ma il sinedrio im- pose ai predicatori il divieto di pronunciare il nome del condannato e in breve tempo passd ai primi arre- sti. Anche Paolo, proveniente dalle fila dei farisei, era uno dei nemici accaniti dei discepoli di Gest: (At 9), fino a quando l’incontro sconvolgente con il Ri- sorto suscitd in lui una trasformazione radicale. Da quel momento in poi passd da una citta all’altra del- l’Asia Minore e della Grecia impegnato a convincere anzitutto i giudei di quelle regioni che quanto conte- nuto nella Scrittura confermava che Gest era il Mes- sia. Non fu un compito facile. Della sua impresa parla nella lettera ai cristiani di Corinto: «Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i trentanove colpi: tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapi- dato, tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balia delle onde. Viaggi innu- merevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, peri- coli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nelle citta, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pe- ricoli da parte di falsi fratelliy (2 Cor 11, 25-26). Il suo destino & come uno specchio della persecu- zione. Dovunque Gest venga annunciato come il Messia i frequentatori della sinagoga si dividono in due — una esperienza questa, alla quale & diretta la Parola di Gest nel Vangelo di Matteo: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla ma- dre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell’uomo sa- 22 1. DA GERUSALEMME A ROMA ranno quelli della sua casa» (Mt 10, 34-36). Ci si pud fare un’idea delle dimensioni che i disordini fra i giu- dei assunsero, rileggendo un passo contenuto nella biografia dell’imperatore Claudio, scritta attorno al 120 dal romano Svetonio: vi si legge che l’imperatore caccid i-giudei da Roma, poiché «stimolati da Cresto» («impulsore Chresto») essi provocavano continui tu- multi (un provvedimento di cui si fa menzione anche in At 18, 2). Odiati dai romani La situazione mutd con I’anno 70, quando Gerusa- lemme fu espugnata dai romani dopo un assedio dura- to due anni. L’insurrezione fu punita non solo con le numerose esecuzioni capitali, poiché gli ebrei furono anche costretti ad abbandonare la loro citta e l’intera Giudea, disperdendosi nelle vaste regioni dell’impero romano, odiati dai romani. Per i cristiani la caduta di Gerusalemme non fu certo motivo di sollievo: essi percepivano gia il primo fragore delle persecuzioni or- mai imminenti ad opera dello stato. Quando nell’anno 63 Roma ando in fiamme, i cit- tadini sospettarono che ad appiccare il fuoco fosse stato l'imperatore, dal momento che poco tempo ' pri- ma egli aveva manifestato l’intenzione di rinnovare completamente la citta. Nell’aria vi era atmosfera di ribellione. Tacito scrive: «Per far cessare dunque queste voci, Nerone inventd dei col- pevoli e puni con i pit raffinati tormenti coloro che, odiati per le loro nefande azioni, il volgo chiamava Cristiani. Il no- me derivava da Cristo, il quale, sotto l’imperatore Tiberio, era stato condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pila- to... Ordunque, prima furono arrestati quelli che confessava- no la loro fede; poi, dietro indicazione di questi, una grande moltitudine di gente fu ritenuta colpevole non tanto del de- lito di incendio, quanto di odio contro l’umanita. E non ba- I. RA GERUSALEMME A ROMA 23 std farli morire, ché fu aggiunto anche lo scherno; sicché, co- perti da pelli ferine, morivano straziati dal morso dei cani o venivano ctocifissi o dovevano essere dati alle fiamme per- ché, quando la luce del giorno veniva meno, illuminassero la notte come torce» 2. Sorprende un’osservazione contenuta in questo passo: cristiani, «odiati per le loro nefande azioni», colpevoli «di odio contro l’'umanita». Non ci aspette- remmo forse invece l’ammirazione del mondo per via della loro devozione, del loro rigore nei costumi e della loro prontezza a soccorrere — come si legge ne- gli Atti degli apostoli a proposito delle prime comuni- ta: «lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il po- polo» (At 2, 47)? Che queste accuse non riguardassero i cristiani lo dimostra una testimonianza non capzio- sa. Attorno al 112 il proconsole di Bitinia Plinio scri- ve all’imperatore Traiano di aver interrogato dei cri- stiani apostati. Essi avrebbero riconosciuto che la lo- ro colpa era consistita «nell’abitudine di riunirsi in un determinato giorno, avanti l’alba, di cantare fra loro alternatamente un inno a Cristo, come a un dio, e di obbligarsi, con giuramento, non a perpetrare qualche delitto, ma a non comettere furti o brigantaggi o adulteri, a non mancare alla parola data, né a rifiuta- re, se invitati a restituire un deposito. Compiuti i quali riti, avevano l’abitudine di separarsi e di riunir- si ancora per prendere il cibo, che @, checché si dica, ordinario e innocente». Queste affermazioni sarebbe- ro state confermate da cristiani che egli avrebbe fatto torturare >. Si pud trovare una certa comprensione per i rim- proveri fatti da Tacito nelle cosiddette Apologie, gli scritti con i quali i cristiani del m e m secolo cercaro- 2 Tacrro, Annali, XV, 44. 3 Cfr. PLunto m. Giovane, Lettere, X, 96. 24 pa GERUSALEMME A ROMA no di difendersi dalle accuse mosse loro dal mondo circostante. Minucio Felice fa dire al pagano Cecilio: «Voi sempre timorosi e preoccupati vi astenete anche dagli onesti divertimenti, non frequentate gli spettacoli, non pren- dete parte a cerimonie, disertate i conviti pubblici ed i sacri combattimenti, aborrite i cibi e le bevande dei divini altari, tanto temete anche quegli Dei che osate negare!» 4. I romani non seppero valutare questa distanza dei cristiani dal resto della societa se non in termini ne- gativi. Tacito aveva parlato di «odio contro l’umani- ta». A prescindere dal fatto che la segretezza dei cri- stiani — i pagani non potevano prendere parte alle lo- ro funzioni religiose — faceva nascere il sospetto che vi si commettessero delitti (che si bevesse il sangue di Gest!), esisteva comunque un reale conflitto di fon- do. La vita pubblica e privata di allora eta ricca di usanze religiose in cui si invocavano gli dei, e la par- tecipazione a tali tradizioni doveva apparire ai cristia- ni come un compromesso pericoloso con un sistema di errore e di menzogna. A cid si aggiungeva il fatto che umilt e mitezza nel rapporto con gli altri non erano quel che si dice virtt di tutti. I cristiani avvertivano chiaramente la superiorita della loro fede rispetto alle visioni tradi- zionali del mondo in cui vivevano, e non stupisce pertanto che questo sia sfociato in un aspro diverbio. Tertulliano, avvocato e brillante oratore, non si limi- ta nella sua difesa (attorno al 200) a istruire, ma at- tacca i suoi avversari con ironia e scherno: «Per quanto dunque riguarda tali déi, io non vedo che i nomi di alcuni antichi trapassati, non odo che delle favole, e in es- se trovo la spiegazione dei riti. Per quanto poi riguarda le lo- ro statue, non scopro null’altro che dei materiali della stessa 4 Marco Minucio Fexice, Ottavio, capo 12; cfr. inoltre G. LouFink, Wie hat Jesus Gemeinde gewollt?, Freiburg 1984, p. 188. I. DA GERUSALEMME A ROMA 25 natura di quelli che formano i vasi e gli oggetti pit: ordinari... “Ma per noi - si dice — quelle statue sono degli déi’”’. E co- me mai, d’altra parte, siete sorpresi ad essere empi, sacrile- ghi, irreligiosi nei confronti di quegli déi, che, mentre ritene- te esistano, negligete ... Gli déi domestici, che voi chiamate Lari, li sottoponete all’autorita di chi comanda in casa: li pi- gnorate, li vendete, li trasformate: ora Saturno in una casse- ruola, ora Minerva in un cucchiaione, non appena che il dio sia apparso usato e ammaccato per la lunga venerazione, 0 quando vi rendete conto che la necessita domestica & pit sa- cra della stessa divinita. I vostri déi pubblici li oltraggiate ugualmente, in virtt del diritto pubblico; li trattate nella sala delle aste come contribuenti» 5. Espressa in forma non altrettanto tagliente ed eru- dita, ma ugualmente percepibile, troviamo questa su- periorita anche negli Atti dei Martiri, le udienze con- tro i cristiani trascritte in parte letteralmente*. Nes- suna meraviglia se questo rendeva i giudici ancora pit carichi di risentimento, soprattutto per il fatto che spesso i cristiani si mostravano provocatoriamente tranquilli di fronte alla pena di morte e arrivavano addirittura al punto di invocarla. «Nemici dello Stato» Una nuova situazione di grande avversita per i cri- stiani si presentd nel mm secolo. L’impressione di un crescente dissesto dell’impero - scatenato non solo dalle sconfitte contro i germani, ma anche dal lusso e dalla dissolutezza di vita, dall’allontanamento dalle antiche divinita per aderire a culti orientali come Mi- tra, Mani e Iside - fece apparire sempre pit urgente un rinnovamento di ampia portata. Per colpire i mali > TerTULiiano, Apologia del cristianesimo, XIII, 1-5. La traduzione é ripor- tata ad litteram da quella di L. Rusca (Milano, BUR, 1984). © Cfr. gli atti giudiziari di Giustino e dei suoi compagni in H. RAHNER (ed), Die Martyrerakten des 2. Jahrhunderts, Freiburg 1954, pp. 49 ss. 26 1. DA GERUSALEMME A ROMA alla radice esso doveva mobilitare anche le forze reli- giose. In questa direzione spingeva anche un senti- mento di colpa difficilmente definibile eppure ampia- mente diffuso. Per i romani era naturale che sconfitte e catastrofi fossero segni dell’ira degli dei. E quello che questi ultimi pretendevano non era tanto I’osser- vanza di norme morali, quanto il culto che ad essi spettava. Non aveva forse lamentato gia Plinio il fat- to che i templi erano deserti e non venivano consu- mati sacrifici? Quando le autorita sollecitarono una pit intensa pratica del culto degli dei, i cristiani ven- nero ad essere automaticamente al centro dell’atten- zione. Erano loro che non volevano tributare onore agli dei, questi «atei», come li chiamavano i romani! Ancora una volta Tertulliano rende testimonianza dell’atmosfera che dominava in quegli anni: «Se il Tevere lambisce le mura, se il Nilo non straripa sui campi, se il cielo rimane immobile, se la terra si muove, se la carestia, se la peste, si grida: “I cristiani al leone’’» 7. Quando alla fine del 249 limperatore Decio decise di ricorrere alla forza per ottenere |’unita di culto nel- l'impero, pretendendo da tutti i sudditi l’adorazione delle divinita romane e il riconoscimento del culto dell’imperatore, i discepoli di Gest furono colti da una paura agghiacciante. Questa volta la gigantesca macchina dello stato veniva impiegata contro di loro. Nessuna previsione di trovare via di scampo. Ogni cittadino doveva presentarsi dinnanzi alla commissio- ne locale e alla presenza del popolo eseguire un sacri- ficio propiziatorio: deporre sull’altare granelli di in- censo, offrire una libagione (si versava un po’ di vino sull’altare mentre il resto lo si beveva), assaggiare la carne immolata. Di tutto questo veniva redatta un’at- 7 TERTULLIANO, Apologia del cristianesimo, XL, 2. I. QA GERUSALEMME A ROMA 27 testazione. Numerosi di questi certificati di sacrificio compiuto (/ibelli) sono giunti fino a noi. Sono compo- sti sempre secondo il medesimo schema, come quello di Aurelio Diogene: «Alla commissione del villaggio Alexandru-Nesos, nominata per il controllo dei sacrifici. Da Aurelio Diogene, dell’eta di circa 72 anni, una cicatrice sul sopracciglio destro. Ho sempte fatto sacrifici agli déi, ed ora, alla vostra presen- za, ho compiuto sacrifici secondo quanto disposto ed ho fatto libagioni e assaggiato la carne della vittima sacrificale; per- tanto vi chiedo di attestare cid qui di seguito. Salute a voi! Io Aurelio Diogene, ho eseguito il sacrificio. Io, Aurelio Syros, ti ho visto compiere sacrifici con il figlio. Nel primo anno dell’impero di Cesare Gaio Messio Quinto Traiano Decio Pio Felice Augusto, il 26 giugno dell’anno 250» 8. Migliaia di cristiani preferirono morire — se non erano riusciti a fuggire nel deserto — piuttosto di rin- negare la propria fede. La crudelta con cui talora essi furono giustiziati — bruciati nella calce viva, trascina- ti lungo le strade, frustati a morte — tradisce passioni ben diverse dalla preoccupazione per l’imperatore e Pimpero. Non pochi tuttavia furono coloro che non ebbero pit la forza per opporsi a queste torture. Essi sactificarono agli dei o cercarono di ottenere il certi- ficato prescritto attraverso corruzione, senza compa- tire dinnanzi al giudice. Una volta cessate le persecu- zioni devono esser scoppiate nelle comunit’ accese di- scussioni su come si dovesse procedere nei confronti di questi «falliti» (Zanzi). Le misure dello stato, che mettevano la vita dei cristiani in grave pericolo, vennero sospese con la 8 Da A. Bupau, Die dgyptischen Libelli und die Christenverfolgung des Kaisers Decius, in Christenverfolgung im Rémischen Reich. Ibre Hintergriinde und Folgen, Diisseldorf-Wien 1982, p. 164. 28 1. DA GERUSALEMME A ROMA morte dell’imperatore. Dopo due soli anni di reggen- za Decio cadde infatti combattendo contro i goti (nel 2p): Il suo successore Valeriano riprese la persecuzione dei cristiani nel 257: vescovi, sacerdoti e diaconi do- vevano venir giustiziati, senatori e uomini in vista dovevano perdere i loro beni e la loro carica, e qualo- ta avessero continuato a professarsi cristiani avrebbe- ro dovuto essere puniti con la morte?. Ma anche Va- leriano sopravvisse solo di poco ai suoi editti: nel 260 cadde nelle mani dei persiani durante una campagna militare e questi lo trattarono da schiavo per poi ucci- derlo. Dopo un periodo di tolleranza sotto l’imperatore Gallieno (260-268) e i suoi successori, Diocleziano decise di proibire la fede cristiana. Questa decisione era stata preceduta, a partire dal 285, da un’ampia ri- forma militare e amministrativa. Essa divise l’impero in due meta, una orientale e una occidentale, gover- nate autonomamente ciascuna da un Augustus affian- cato da un Caesar con diritto di successione (tetrar- chia). Per ambedue le parti valevano le stesse leggi. Anche l’antica religione, sotto cui Roma aveva rag- giunto la sua grandezza, doveva ora diventare il fon- damento unico dello Stato: «Estremo delitto @ revo- care quanto un tempo fu stabilito e fissato dagli anti- chi e segue ancor oggi il proprio corso... Per questo ci impegniamo con zelo a punire la perfida ostinazione di uomini malvagi che contrappongono agli antichi servizi divini nuove ed inaudite sette». Cosi si legge in un primo editto contro i manichei (296), che furo- no minacciati con la pena di morte 19, > Cfr. Cipriano, Lettera al vescovo Successus, in H.D. St6vEr, Christenver- Folgung des Kaisers Decius, Christenverfolgung im Romischen Reich. Ihre Hintergriin- de und Folgen, Diisseldorf-Wien 1982, p. 180. 10 H. Dérrms, Konstantin der Groe, Stuttgart 1967, p. 11. I. DA GERUSALEMME A ROMA 29 Diocleziano fu piuttosto cauto nel perseguitare i cristiani, ben sapendo quanto numerosi fossero gli adepti di questa religione. Quando il 23 febbtaio del 303, il giorno del Terminus di Dio (gia contemporanei videro allora in cid il segno della fine del cristianesi- mo) " egli sottoscrisse un primo editto, al quale segui- rono altri, ebbe inizio la pit: sanguinosa di tutte le persecuzioni. Ancora una volta crudelta e sadismo si unirono per costringere tutti al sacrificio agli dei. Un testimone oculare di molte torture, il vescovo Euse- bio di Cesarea (nato-attorno al 263), racconta: «Inadeguata é ogni parola a descrivere gli oltraggi e le soffe- renze, che sostennero i Martiri della Tebaide. Ebbero lacera- ta a mezzo di cocci usati a mo’ di unghie tutta la superficie del corpo sino a che esalavano lo spirito. Alcune donne, lega- te a uno dei piedi, con la testa in git erano lanciate con certe macchine in alto nell’aria, e col corpo affatto nudo e sprovvi- sto di indumenti offrivano a tutti coloro che le vedevano il pit ignominioso, raccapricciante e inumano degli spettacoli. Altri morivano attaccati a rami di alberi. I carnefici traevano per mezzo di certi congegni i pit robusti rami verso un solo punto, fissavano ad ognuno di essi le gambe dei Martiri, poi lasciavano andare i rami alla posizione naturale e cos) in un solo colpo erano scerpate le membra degli infelici, contro i quali avevano escogitato tale supplizio. E cid non duré per pochi giorni o per breve tempo, ma per un lungo spazio di anni interi. Qualche volta erano pid di dieci, tal altra pit di venti quelli che venivano messi a morte; un’altra volta non erano meno di trenta o si avvicinavano alla sessantina; una volta infine in una sola giornata furono uccisi cento uomini oltre a fanciulli e a donne, condannati a suppli- zi diversi, che si succedevano» 12. Nella meta occidentale dell’impero, della quale era responsabile Massimiano, pare che gli editti siano sta- ti messi in pratica meno intensamente. Costanzo Clo- ro, cesare della Gallia, alla cui corte a Treviri lavora- U Cfr, Larranzio, La morte dei persecutori, 12. 12 Eusesio pi CesargA, Storia ecclesiastica, VIII, 9. 30 1. DA GERUSALEMME A ROMA vano parecchi cristiani, si limitd a distruggere alcune chiese e a congedare dal suo esercito coloro che si fossero dichiarati cristiani. A porre fine alle sofferenze furono solo le lotte che si combatterono sotto i successori di Diocleziano e Massimiatio; essi = fatto singolare nella storia — dopo aver governato per vent’anni abdicarono, come prece- dentemente avevano annunciato. Decisiva fu qui la battaglia di Costantino contro il suo rivale Massenzio (nella parte occidentale dell’impero). Seguendo Vispi- razione di un sogno o di una visione Costantino fece apporre sugli scudi dei suoi soldati il monogramma di Cristo, puntando quindi sul Dio dei cristiani, dato che nella concezione romana si poteva avere fortuna in guerra solo con l’ausilio del «Dio pit forte». Alla sua vittoria dinnanzi alle porte di Roma, nella batta- glia al ponte Milvio, fece seguire ’anno successivo (313), assieme all’augusto Licinio un editto di tolle- ranza, il cosiddetto «Editto di Milano», il quale di- chiarava la religione cristiana un culto consentito e di pari dignita degli altri, inaugurando cosi una nuova epoca nella storia della Chiesa. 3. La «svolta costantiniana» Dalla poverta alla ricchezza Con leditto di Costantino - se si prescinde dalla ticaduta di Giuliano (361-363) — finirono i tentativi da parte dello stato di subordinare il cristianesimo al culto tradizionale delle divinita. Per coloro che erano minacciati di morte fu un respito di sollievo, una sal- vezza per la quale non finivano di ringraziare Dio. E non solo perché quanto stabilito dall’editto venne an- che messo in pratica, ma per il fatto «che assoluta- I. DA GERUSALEMME A ROMA 31 mente a nessuno era negata la facolta di seguire e di scegliere l’osservanza o il culto dei Cristiani, e che ad ognuno era data liberta di rivolgere il suo cuore a quel culto, che riteneva a sé consentaneo, in modo che la divinita potesse in tutto concederci la consueta provvida cura e benevolenza» 3. Nello stesso tempo ebbe inizio un appoggio, addirittura una preferenza nei confronti della religione cristiana, che diede alla Chiesa una diversa configurazione, ma che sarebbe diventata per lei una nuova minaccia. Questa «svolta costantiniana» fu valutata in termi- ni piuttosto negativi gia da Girolamo (420): «Vorrei narrare come, e ad opera di chi, sia nata la chiesa di Cristo; come, una volta cresciuta si sia ingrandita in forza delle persecuzioni e come infine, da quando é& giunta nelle mani di imperatori cristiani, ne siano au- mentate la ricchezza e la potenza, ma diminuite le virtl» 14, Se prima del 313 essere cristiani significava essere esposti al rischio di perdere la propria posizione, i propri averi, addirittura di perdere la vita, gia sotto Costantino il fatto di appartenere a questa comunit& religiosa divenne assai vantaggioso. Dapprima austeri- ta e disponibilita all’aiuto anche nei confronti dei non cristiani e soprattutto fermezza di fronte al mar- tirio avevano accostato alla comunita nuovi aspiranti al battesimo, tanto che attorno al 200 Tertulliano po- teva affermare: «Noi diveniamo pid numerosi tutte le volte che siamo falciati da voi: il sangue & semente di cristiani!» 5. Ora, era anche la prospettiva di carriera ad attirare molti al fonte battesimale. Non si pud dire in ultima istanza se questa nuova evoluzione, I’allean- 3 Ibidem, X, 5, 4. 14 GiroLamo, Prologo alla Vita di Malco, in Sn Grrotamo, Vite di Paolo, Tlarione e Malco, Milano 1975, pp. 113 s. © «Plures efficimur, quotiens metimur a vobis: semen est sanguis Christia- norum»: TERTULLIANO, Apologia del cristianesimo, L, 13. 32 1. DA GERUSALEMME A ROMA za fra l’imperatore e la Chiesa, fu un fatto positivo o meno. Il corso degli eventi, che la Chiesa non poté determinare, la pose di fronte a una nuova situazione con istanze non pit sanguinose, ma non per questo meno onerose. Gia l’editto di tolleranza stabiliva che «quei locali dove essi solevano prima adunarsi... siano restituiti ai Cristiani stessi senza esigere denaro e senza il rimbor- so del prezzo di compera, senza indugi e cavilli. An- che chi per titolo di donazione @ entrato in possesso di questi locali deve renderli al pitt presto ai Cristia- ni» 6, E questo non era tutto: immediatamente dopo la vittoria su Massenzio, Costantino regald al vescovo di Roma il palazzo in Laterano unitamente alle pro- prieta annesse. Papa Silvestro vi fece costruire la chiesa del Redentore e la consacrd il 9 novembre 324 (la festivita del calendario liturgico celebra questa chiesa come «Madre e capo di tutte le chiese della terra» 17), Altre chiese furono costruite successiva- mente su desiderio 0 con il sostegno dell’imperatore; solo a Roma ne sorsero dieci (fra cui la chiesa a ricor- do degli apostoli Pietro e Paolo sulla via Appia, oggi basilica di San Sebastiano, la chiesa costruita sulla tomba dell’apostolo Paolo, la chiesa di Santa Croce, la basilica di San Pietro), a Gerusalemme la chiesa del Santo Sepolcro, un’altra sul monte degli Ulivi, luogo dell’Ascensione, e a Betlemme la chiesa della Nativi- ta; chiese sfarzose furono erette anche ad Antiochia e Nicomedia. La Chiesa abbandond la ristrettezza della poverta. Ancor pit decisiva delle donazioni fu la legge che conferi alla Chiesa il diritto di successione. Quello 16 Eusepio p1 CesargA, Storia ecclesiastica, X, 5,9 s. 17 Dal x secolo la basilica si chiama «San Giovanni in Laterano», forse per- ché dopo il terremoto dell’896 la sua ricostruzione riusci cosi misera che non si osd chiamarla chiesa del Redentore, ma la si consacrd al patrono del Laterano. Cfr. R. RAFFALT, Cantata Romana. Rémische Kirchen, Miinchen 19782, p. 246. I. DA GERUSALEMME A ROMA 33 che gente di fede regalava alla Chiesa poteva ora dun- que venir trasmesso di generazione in generazione. I suoi beni consentirono di espandere l’attivita sociale che si rendeva sempre pit necessaria (Ambrogio e Agostino decisero a questo scopo di fondere oggetti liturgici in argento): la cura di vedove e orfani, l’assi- stenza a stranieri e pellegrini, la sepoltura di persone sconosciute e povere. Questo impegno era cosi chiaro che l’imperatore Giuliano (361-363), nel suo tentati- vo di restaurare il culto pagano, tributd indirettamen- te un riconoscimento ai cristiani: «Cid che permise a questo ateismo (la religione cristiana) di crescere fu il loro (vale a dire dei cristiani) atteggiamento di dispo- nibilita verso lo straniero (filantropia), la cura nella sepoltura dei defunti e l’apparente limpidezza della loro vita... Gli atei galilei danno da mangiare oltre che ai loro poveri anche ai nostri» '8, II cristiano Lat- tanzio, dal 317 precettore del figlio (Crispo) di Co- stantino, definisce la caritd cristiana con una pre- gnanza difficilmente superabile: «Questa & la perfetta giustizia che mantiene saldamente unita la societ) umana. Occorre poi convincersi che si ricava il mag- gior vantaggio dalle ricchezze, quando le si impiega per il bene degli altri; e che & doveroso beneficare senza attendersi alcun contraccambio da parte di chi & stato oggetto del nostro beneficio: altrimenti non si ha un atto di umanita, bensi un prestito ad interes- se... Percid vale soprattutto il bene che si fa ad una persona sconosciuta» 19, Solo pitt tardi nel tempo la Chiesa avrebbe cono- sciuto anche l’altro aspetto del possesso — la tentazio- ne di avvalersene per il proprio potere; la necessiti di difenderlo; i costi necessari per amministrarlo; e an- cora la tentazione di dedicarvi attenzione eccessiva. 18 Epistola 84 ad Arsacio. 19 Larranzio, Le istituzioni divine, VI, 12. 34 .ba GERUSALEMME A ROMA Da pastori a signori Accanto alla svolta dalla Chiesa povera a quella ric- ca molti attribuiscono all’influenza di Costantino la ripartizione della Chiesa in clero e popolo. Ai tempi delle persecuzioni vescovi e fedeli stavano nella stessa barca ed erano pertanto i capi delle comunita i primi ad essere minacciati. Costantino non concesse solo li- berta di pratica religiosa e sostegno finanziario. La tendenza a fare di quella religione — il cui Dio gli era evidentemente benevolo — la forza trainante nel suo impero, crebbe di anno in anno. Si riveld vantaggioso il fatto che i cristiani non rappresentassero una schie- ra di fedeli priva di una propria struttura, ma fossero guidati da vescovi e sacerdoti. Questi egli scelse come suoi destinatari. A determi- nare una posizione particolare del clero — la maggior parte di loro si manteneva esercitando una professio- ne — fu anzitutto una legge che esonerava i suoi membri dall’imposta sulla professione: «Sia certo che quanto essi ricavano dal loro mestiere vada'a vantag- gio dei poveri» 20, Ancor pitt ricca di conseguenze fu la disposizione secondo cui la sentenza del vescovo in caso di contro- versie fra cristiani aveva valore giuridico, dunque era riconosciuta dallo Stato; alcuni vescovi rivestirono inoltre la carica di alti funzionari ed erano gli unici a non doversi inchinare di fronte all’imperatore in oc- casione di un’udienza. Essi avevano dunque accesso al potere statale, e chi allora avrebbe osato prenderse- la con loro quando essi esercitavano pressione con la forza la dove le argomentazioni non servivano? Chi turbava la pace della comunita con insegnamenti o con una condotta di vita eccepibile poteva ora venir 20 Cfr. H. Dérrms, Das Selbstzeugnis Kaiser Konstantins, 1954, pp. 205 s., n. 46 (compilazione di leggi di Costantino). I. DA GERUSALEMME A ROMA 3.5 allontanato. Se i vescovi si trovavano a litigare fra loro, era decisivo quale partito riusciva a portare dalla pro- pria parte l’imperatore. Come era prevedibile, il mini- stero episcopale divenne un traguardo di carriera e la lotta per il potere non si trattenne certo dall’usare qualsiasi mezzo. Illuminante pud essere a tale riguardo un caso estremo. L’ufficiale e storico Ammiano Marcel- lino, pagano ma non nemico dei cristiani, narra di una lite scoppiata ai suoi tempi nella comunita romana: «La lotta per occupare la sede episcopale fu combattuta da Da- maso e Ursino con tanto ardore da superare l’ordinaria misura del’ambizione umana. La disputa furiosa dei partiti giunse fino alle ferite e alla morte dei partigiani d’entrambi, e Vivenzio [prefetto della citta], incapace di frenare e sedare i tumulti, fu Costretto a ritirarsi in una villa suburbana. Nella contesa preval- se Damaso, per la grande ostinazione dei suoi sostenitori. Nella basilica di Sicinino, dove i Cristiani si adunavano, furono tro- vati centotrentasette morti, e trascorse molto tempo prima che gli animi si placassero. Considerando lo splendore della citta, non mi meraviglio che quanti aspirano a tale premio lottino con tutte le forze per conseguire cid che desiderano. Colui infatti che ottiene tale carica & sicuro di arricchire con le offerte delle matrone, di andare in cocchio per le vie di Roma splendida- mente vestito, superando nel fasto dei conviti la sontuosita del- la mensa imperiale. Eppure, con molto Maggiore ragione, essi provvederebbero alla loro felicita se invece di addurre la gran- dezza della citta per scusare i loro costumi, imitassero la vita esemplare di alcuni vescovi di provincia, i quali con la sobrieth e la temperanza, con la modestia e l’umiltd del portamento, rendono commendabile la purezza della loro vita alla Divinita e ai suoi veraci cultori» 21, Questo accadeva nell’anno 366. Un caso singolo che chiarisce le tentazioni legate alla sede episcopale, ma che al tempo stesso ricorda i molti che nella loro posizione, con o nonostante la loro influenza, diven- tano esempio per cristiani e non cristiani. 21 AMMIANO MarcELLINO, Istorie, libro XXVI, III, 12-15. 36 I. DA GERUSALEMME A ROMA L’alleanza fra imperatore e Chiesa Dal carcere, alla piazza, fino alla mensa imperiale: questa svolta inaugurd quell’alleanza fra Stato e Chie- sa che — in varianti diverse — era destinata a dutare per un millennio e mezzo e che fondd lunita dell’«Occidente cristiano». Dopo la vittoria su Massenzio sotto il vessillo di Cristo, Costantino non si fece tuttavia battezzare. Prima di compiere questo passo attese fino al 337, quandg gia lo segnava la malattia che quello stesso anno lo condusse alla morte. Decisivo non fu il moti- vo esposto da Eusebio, secondo cui sarebbe stato de- siderio dell’imperatore farsi battezzare nel Giorda- no22, II battesimo di Costantino in eta ormai avanza- ta corrispose piuttosto alla particolare comprensione che egli aveva di se stesso. Chi riceveva il battesimo dalla mano della Chiesa ne diveniva «figlio», veniva a far parte del «gregge» di cui i vescovi erano i pastori. Anche se questo non avesse comportato conseguenze dirette, come poteva Costantino continuare a sottrar- si alla pretesa di obbedienza, la quale era giustificata naturalmente solo in questioni relative alla fede, ma che facilmente poteva entrare anche nella sfera poli- tica? Costantino non si sentiva come il peccatore che aspira alla grazia del perdono professando Gest Cri- sto e la sua Chiesa. Dio o il divino che stava dietro le diverse figure e religioni, lo aveva eletto. Per quanto nel corso degli anni la sua comprensione della fede andasse via via approfondendosi, rimase intatta in lui la certezza di un incarico diretto affidatogli dal Dio dei cristiani. Esso non riguardava solo la guida del- limpero, ma comprendeva anche la tutela dei seguaci di questo Dio, dunque della comunita cristiana. Con- 22 Eusesio pi Cesare, Vita di Costantino, IV, 62. I. DA GERUSALEMME A ROMA 37 formemente alla situazione, ma anche alla propria sensibilita, egli seppe separare nettamente gli affari esterni della Chiesa da quelli interni. Non nomind al- cun vescovo — cosa questa che Atanasio rimproverd al successore Costanzo — né ostacold il loro libero di- battito e le loro decisioni, come fa notare Ambro- gio”. Quello che riteneva essere invece compito suo era conservare o ripristinare l’unita e la concordia al- linterno della Chiesa. E in questo non indugid. Gia nel suo primo anno di governo intervenne nella contesa per il trono epi- scopale di Cartagine. Le due parti in lotta erano su un fronte quella di Donato, sull’altro quella di Ceci- liano. I donatisti rimproveravano a Ceciliano il fatto che uno dei vescovi che lo avevano consacrato era stato un ¢aditor, uno di quelli che durante le persecu- zioni avevano consegnato i libri sacri, per cui essi non ritenevano valida la consacrazione impartita da un traditore. Costantino affidd a vescovi della Gallia il compito di pronunciare una sentenza assieme al ve- scovo di Roma. Essi si espressero unanimemente con- tro Donato. Quando i sostenitori di quest’ultimo non vollero riconoscere la sentenza per vizi procedurali limperatore convocd i vescovi d’Occidente ad Arles, addebitando allo Stato le spese del viaggio. Egli ri- tenne definitiva la loro decisione, che anche questa volta cadde a favore di Ceciliano. I donatisti dovette- ro abbandonare le loro chiese, i loto vescovi furono cacciati e le opposizioni che furono fatte qua e 1a ven- nero represse con l’intervento dei soldati, non senza spargimento di sangue. Un’altra controversia sconvolse le regioni orientali dell’impero. Dal 318 Ario, sacerdote e teologo ad Alessandria, andava insegnando che Gest Cristo, Fi- 23 Amprocio, Epistola a Valentiniano, in PL 15, 1006 a. 38 1. DA GERUSALEMME A ROMA glio di Dio, non era della identica natura del Padre, bensi una creatura. I vescovi egiziani espulsero Ario dalla Chiesa ma altri, fra cui il vescovo di Nicome- dia, fecero proprie le sue idee e si schierarono in suo favore. Ancora una volta Costantino ricorse allo strumento del sinodo: nel 325 egli convocd a Nicea i vescovi d’Oriente e Occidente inaugurando il primo concilio ecumenico della Chiesa. Qui convennero circa 300 vescovi, e fra loro era anche I’imperatore quale «conservo», il quale prese posto sul trono solo quando i vescovi gli ebbero fatto cenno di salire. Le opinioni di Ario furono respinte mediante una nuo- va formula di fede, il cosiddetto «simbolo di Nicea»: Gest Cristo, Figlio di Dio, @ «generato, non creato, della identica natura del Padre» («6pootc1c t@ na- tpi»). Ario fu mandato in esilio assieme a due suoi amici vescovi, gli unici che rifiutarono di sottoscri- vere la professione di fede. L’immagine dell’unita e della comunione fra imperatore e Chiesa appartene- va alle esperienze felici dei padri della Chiesa. A conclusione del concilio, in coincidenza con le feste Vicennali del suo regno (contava gli anni a partire dalle dimissioni di Diocleziano nel 305) l’imperatore offri un banchetto: «Non un vescovo mancé alla mensa dell’imperatore,... Non & possibile descrivere cid che allora accadde. Le guardie del corpo e i soldati, disposti a cerchio, vigilavano - le spade sguainate — il vestibolo del palazzo imperiale e, in mezzo a loro, gli uomini di Dio [cioé i vescovi] avanzarono senza al- cun timore fino alle parti pit interne del palazzo imperiale. Alcuni dei vescovi si assisero a mensa sullo stesso triclinio dell’imperatore, altri sedettero invece sui triclini posti ai due lati. Si sarebbe quasi potuto pensare di assistere ad una visio- ne del regno di Cristo e che tutto fosse solo un sogno e non viva realta» 24, 24 Eusepio pt Cesare, Vita di Costantino, IIL, 15. I, DA GERUSALEMME A ROMA 39 Questo regno di Cristo — imperatore e Chiesa uniti nella stessa fede, con compiti diversi ma con lo stesso senso di responsabilita — rimase un sogno, o meglio un ideale che sfuggi ad ogni realizzazione duratura. Non si riuscl né a essere concordi su «che cosa‘é di Dio e che cosa dell’imperatore», né si riusci a impedi- re che ambedue estendessero sempre pit le loro istan- ze in nome o sotto il manto del diritto. In casi di controversie Costantino lascid che la Chiesa decidesse a maggioranza impiegando poi con- tro la minoranza i mezzi dell’autorita statale. Ma gia nei suoi ultimi anni di governo emerse un altro fatto- re. Quei vescovi che pit erano vicini all’orecchio del- limperatore erano in grado di influenzarlo pit di una maggioranza assente; fu cosi che l’imperatore spinse verso una riconciliazione e un riconoscimento di Ario, precedentemente condannato. La Chiesa, che considerava un miracolo la benevolenza dell’impera- tore nei suoi confronti, non lo assali di richieste. Guardd comunque con favore il fatto che egli ordi- nasse la distruzione di templi pagani che ferivano in maniera particolare la sua sensibilita morale, come nel caso del tempio di Venere a Eliopoli (nella Fenicia), poiché 14 venivano commessi atti di libidine, oppure del tempio di Esculapio di Ege (in Cilicia), dove il demonio «appariva in sogno a quanti si addormenta- vano nel suo tempio e ora liberava dalle malattie i corpi degli ammalati (viceversa non era altri che un corruttore d’anime, perché trascinava via dal vero Salvatore e spingeva verso la falsa ed empia religione quanti erano inclini a lasciarsi ingannare). Per questo motivo l’imperatore, agendo secondo il suo solito, co- me colui che cioé si era prefisso di-venerare il ‘Dio geloso’, che é l’autentico Salvatore, ordind di radere al suolo anche questo tempio»25. Successivamente la 25 Ibidem, IIL, 56; cfr. anche 58. 40 ipa GERUSALEMME A ROMA’ Chiesa esigera che lo Stato neghi ad una fede falsa ogni diritto di diffusione e carattere pubblico - fino alla distruzione fisica dell’eretico condannato al rogo. 4, La sollecitudine per la vera dottrina «La moltitudine di coloro che erano venuti alla fe- de aveva un cuore solo e un’anima sola» (At 4, 32): un’immagine della Chiesa primitiva alla quale guar- diamo con invidia. Ad uno sguardo pit approfondito troviamo perd anche controversie, la lotta fra diverse concezioni. Nei Vangeli i discepoli paiono seguire unanimi il loro maestro; poi perd veniamo a sapere che discutono fra loro su chi avra i primi posti nel fu- turo regno di Dio (Mc 9, 33ss.), oppure assillano Ge- st’. con domande o rimostranze che tradiscono una concezione errata del regno di Dios. Le parole di commiato di Gest nel vangelo di Giovanni risuonano quasi come uno scongiuro: «tutti siano una sola co- sa... perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gy 17, 21). Si é gia detto della prima importante discussione: i pagani che entravano a far parte della comunita cri- stiana dovevano o meno osservare la legge giudaica? Gli Atti degli apostoli dicono che a questo proposito vi erano coloro che «si opponevano risolutamente e discutevano animatamente» (At 15,2). Paolo maledi- ce coloro che annunciano un «altro vangelo», e cioé la giustificazione attraverso la legge (Gal 1,6-9). A ri- solvere la controversia fu la decisione degli apostoli e degli anziani a Gerusalemme (At 15), e ancor pit il .tapido aumento del numero di cristiani di origine non giudaica. Emergono in compenso nuovi problemi, de- 26 Ad esempio Mc 10, 32 ss.; 8, 32s.; Le 9, 54 ss. I. DA GERUSALEMME A ROMA 41. tivanti proprio dall’incontro dell’annuncio missiona- tio cristiano e della sua tradizione giudaica con il mo- do di pensare greco, strutturato in maniera totalmen- te diversa. Le controversie trinitarie e cristologiche del tv e v secolo, in parte anche la disputa sulla. gnosi fra il 1 e il m secolo, sono un effetto del dialogo fra due culture diverse. La gnosi La gnosi afferrd come un polpo dai molti tentacoli la sostanza della fede cristiana. Non si trattava di una dottrina definita, né di una scuola filosofica circo- scritta, ma stava ad indicare quel sapere autentico (yv@o1g = conoscenza) sulla propria persona, sull’ori- gine del mondo e del male, che doveva portare alla redenzione. In questo senso ampio si poteva natural- mente comprendete anche il cristianesimo come dot- trina salvifica della conoscenza, e ripetutamente esso fu considerato — specie da Clemente d’Alessandria (t prima del 215) — come la «vera gnosi» contrapposta a quella falsa. Vi era perd una differenza fondamentale, evidente ancora prima di ogni contenuto. Per il cre. dente Cristo @ il centro della storia della salvezza, Vinsuperabile rivelazione di Dio. Per lo gnostico egli é solo un atto nel dramma della liberazione dalle for- ze dell’oscurita, ma non é né centro né meta. I] farsi uomo di Dio perde valore e la redenzione non & pit la «stoltezza della croce» accolta nella fede, quella ctoce in cui la sapienza divina si contrappone a quella umana (1 Cor 1, 1825), bens} tutto riceve una spiega- zione, tutto trova il proprio posto in un edificio im- ponente (ad es. la dottrina di Valentino27) creato pe- rd dallo spirito umano e ridotto ai suoi parametri. 27 Cfr. IRENEO, Contro le eresie, I libro. 42 1. DA GERUSALEMME A’ROMA Gli avvenimenti del mondo venivano interpretati dalle dottrine gnostiche come lotta fra le forze della luce e quelle delle tenebre. Esse si richiamavano ai miti di varie religioni, per cui é possibile distinguere fra una gnosi babilonese, persiana, giudaica ed elleni- stica?8, Si pud individuare in tutto questo un certo schema di fondo. Dalla pienezza di Dio (xAjpoua), dalla luce, derivano forze divine (emanazioni), che so- no esseri distinti (eoni). Con il distacco dal Padre ori- ginario — in alcune correnti gnostiche anche attraver- so l’effetto del principio contrario sempre presente — nascono materia e creazione. Nell’uomo questi ele- menti sono ambedue presenti: materia (tenebre) e tracce della luce; Cristo in quanto forza divina in un corpo puramente apparente indica con la sua dottrina la via verso la liberazione delle scintille di luce impri- gionate nella materia. Egli stesso nella sua ascensione al cielo risulta vincitore sugli eoni, nemici di Dio. Questa visione del processo salvifico portava a con- seguenze di vario genere. Se la materia era nemica della luce, il corpo era allora la prigione dello spirito e il giogo dell’anima, per cui continenza, superamento e annientamento delle passioni erano indispensabili per l’uomo pio. Alcuni teologi rifiutarono il matrimo- nio in quanto esso li legava a questo mondo (Marcio- ne, Montano), 0 almeno le seconde nozze (come I’ul- timo Tertulliano); essi volevano trasformare in dove- re il digiuno, che fino ad allora era stato esercitato volontariamente; in tempi di persecuzione vietavano a chiunque di fuggire. Era impensabile per loro che il Figlio di Dio avesse condotto un’esistenza corporea, in carne ed ossa: solo apparentemente egli sarebbe ?8 In quanto dottrine sapienziali esse risalgono in parte all’eta prima di Cri- sto; 1a dove si incontrano con il cristianesimo esse cercano di inserirne linsegna- mento nel loro sistema. Sulle differenze fra i singoli orientamenti gnostici cfr. R. Haarot, Die Gnosis. Wesen und Zeugnisse, Salzburg 1967; C. ANDRESEN u.a. (edd), Die Gnosis, Ziitich 1969 (vol. I), 1971 (vol. II), 1980 (vol. III). ‘ I. DA GERUSALEMME A ROMA 43 stato uomo (docetismo), per cui anche le storie relati- ve alla sua nascita e alla sua infanzia non avrebbero dovuto essere considerate vere, ed anche sulla croce egli avrebbe sofferto una morte solo apparente. La re- surrezione dei credenti avverrebbe senza il corpo. Quest’ interpretazione cosmica autocostruita diven- ne una norma sulla quale misurare i contenuti della fe- de. Questo emerge in modo particolare nel pensieto di Marcione. Nel senso del dualismo gnostico egli con- trappose al Dio dell’Antico Testamento quello del Nuovo Testamento. II primo era il creatore del mondo (demiurgo) iroso, che punisce con giustizia impietosa, mentre il Dio dell’amore si rivelava nel Nuovo Testa- mento. Egli riteneva pertanto non autentiche even- tuali tracce giudaizzanti contenute negli scritti neote- stamentari: Marcione attribuiva valore canonico solo al vangelo di Luca (senza la storia sull’infanzia di Ge- st) e a dieci lettere di Paolo (ad esclusione delle lettere pastorali e della lettera agli ebrei). La comunit’ roma- na (Marcione era originario di Sinope sul Mar Neto e si era trasferito attorno al 140 in Italia) lo espulse nel 144 dalle sue fila, ma con grande energia egli diede immediatamente vita a proprie comunita, che per un certo periodo furono molto frequentate. Tutta una se- rie di scrittori della Chiesa, fra cui Giustino e Tertul- liano, dovettero cimentarsi con le sue tesi. Gest Cristo: Dio e uomo Chi voglia confrontare il «motore immobile» di Ari- stotele con il Dio della Bibbia che si rivolge a Mose dal roveto ardente, avverte la distanza che separa il «Dio dei filosofi» 2° dal Dio della rivelazione. Quando 29 Con questa distinzione Blaise Pascal caratterizza la sua esperienza notturna di Dio: «Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe”’, non dei filosofi e dei dotti» (B. Pascat, I/ Memoriale, in Pensieri, Torino 19622, Appendice, p. 451). 44 pa GERUSALEMME A ROMA ' «i greci» (termine per indicare i vicini non giudei, so- prattutto di lingua greca) divennero sempre pi nu- merosi nelle comunita giudaico-cristiane vennero alla luce questioni fino ad allora sconosciute alla tradizio- ne giudaica. Tutti i giudei avevano atteso il «Messia», il «Figlio di Dio», il re, che avrebbe costruito un re- gno di pace universale e duratura. La questione di co- me dovesse essere pensato il rapporto fra Dio e il Messia non veniva affrontata speculativamente in nessun libro dell’Antico Testamento. L’annuncio po- stpasquale professava che Dio aveva innalzato alla propria destra il Cristo crocifisso e gli aveva affidato ogni cosa, a lui che era l’unico «Ktpioc» (Signore). Ora, per i greci professare Gest: quale Figlio di Dio sollevava necessariamente |’interrogativo di come fos- se conciliabile tutto questo con il monoteismo: in quanto principio ultimo di ogni realt’ Dio poteva es- sere uno solo; Gest di conseguenza o era quest’unico Dio, oppure era semplicemente un uomo o un essere a meta fra i due. Gia il vangelo di Giovanni si pone questo interro- gativo. Se Cristo era della stessa divinita del Padre, doveva anche parimenti essere eterno. Come si conci- liava con questo la sua nascita a Betlemme? Giovanni si serviva dell’immagine del logos: il Figlio esiste’ dal- Peternita nel Padre come la «parola» non pronunciata risiede nello spirito; nell’istante in cui essa viene det- ta non guadagna né perde alcunché in pienezza, essa diviene «carne» per altri, vale a dire percepibile e vi- sibile ai sensi. Si poteva in questo modo tracciare una risposta in merito alla questione della preesistenza di Cristo. Ri- maneva da chiarire se il logos potesse essere definito come persona distinta gid prima della sua incarnazio- ne. Lo scrittore greco Giustino, nato in Palestina e pit tardi direttore di una scuola a Roma (f 165), par- I. DA GERUSALEMME A ROMA 45 lava di un altro, «secondo il numero, non secondo la volonta», tirandosi addosso in questo modo il rim- provero di «diteismo». I suoi nemici, i «monarchia- ni», sottolineavano che a Dio si potesse attribuire un solo principio («monarchiam tenemus»), e furono ac- cusati di negare l’autonomia e la divinitd della perso- na di Gest Cristo. Altri (come Sabellio) cercarono una soluzione attribuendo ad un unico Dio tre «mo- di» (di qui il «modalismo»): cteatore (Padre), reden- tore (Figlio) e santificatore (Spirito Santo); in linea di principio si potrebbe dunque anche dire che il Pa- dre stesso soffri sulla croce (patripassianismo). Que- st’ultima ipotesi non corrispondeva perd in alcun modo all’annuncio di fede fatto sino ad allora. Parve pil accettabile intendere Gest come semplice uomo, sul quale in occasione del battesimo al fiume Giorda- no era disceso lo Spirito divino (cosi in Teodoto il Vecchio). Contro una simile interpretazione si espri- mevano peraltro il vangelo di Giovanni, specie nel primo capitolo e il racconto di Matteo a proposito dell’adorazione dei magi: essa mostrerebbe che gia appena nato Gest: possedeva dignita divina. La ricerca di una retta comprensione dell’unici- ta di Gest Cristo portd a tutta quella serie di spie- gazioni e interpretazioni di cui si & detto sopra, a stento decifrabili anche per lo specialista. Esse trovarono un punto di cristallizzazione nell’ariane- simo. Questa dottrina, cosi come era strutturata, patve assicurare un posto adeguato sia all’unita di Dio che alla particolarita di Gest. Ario riconosceva «un unico Dio, unico non diventato, unico immorta- le, unico sapiente, unico buono». Egli avrebbe creato un figlio «al di fuori del tempo» e «prima di ogni al- tra creatura», una «creatura perfetta», ma, diversa- mente dalle altre creature, immutabile e non trasfor- mabile; a lui il Padre avrebbe lasciato in ereditd ogni 46 1. DA GERUSALEMME A ROMA cosa 3°, Non sarebbe comunque legittimo definire Gest Cristo «Dio» (come ad esempio accade a Tommaso che solo dopo aver dubitato confessa: «mio Signore e mio Dio», in Gv 20, 28). Il vescovo Alessandro, superiore di Ario, fu il primo a criticarlo. Rimproverd ad Ario il fatto-che_in questa sua interpretazione il Figlio non é ané uguale al Padre nella sostanza, né é@ la verita, né per natura logos del Padre, né la sua vera saggezza; & invece uno degli esseri creati e divenuti ed illecitamen- te viene chiamato Logos e saggezza... Persino per il Figlio il Padre é invisibile, non possiede una conoscen- za piena e precisa del Padre, né riesce a vederlo piena- mente» #!. Proprio quest’ultima osservazione lascia intuire le tagioni per cui questa controversia fu condotta con grande passione (per quanto concorsero a cid anche motivi politici e personali). Se Ario aveva ragione, bi- sognava allora riconoscere che Dio non era apparso fra noi, né si era fatto uomo. Non esisteva in tal caso al- cuna reale autocomunicazione di Dio, nessuna rivela- zione piena. E se Dio non si era mostrato a noi nella persona di Gest Cristo, quest’ultimo non poteva nep- pure essere il centro rispetto al quale tutto era ordina- to nella creazione e nel quale si compiva la riconcilia- zione fra Dio e l’uomo (Col 1, 13-20). Anche l’eucari- stia non significava allora pit aver parte al corpo di Cristo ed essere cosi figli di Dio. Se pur in maniera velata, a causa della dichiarazione che Gest sarebbe la pit alta di tutte le creature, Ario veniva a colpire co- munque il nocciolo della fede cristiana, giacché anche nella pit: alta di tutte le creature la distanza da Dio ri- mane infinita. Con cid vengono meno incarnazione e redenzione. 30 Cfr. la professione di fede di Ario e dei suoi amici e su questo tema an- che A.M. Rrrrer, Alte Kirche. Kirchen- und Theologiegeschichte in Quellen, I, Neukirchen 1977, pp. 132s. 31 GH. Oprrz, Urkunde 4b; A.M. Rrrter, Alte Kirche. Kirchen- und Theo- logiegeschichte, cit., p. 131. I. BA GERUSALEMME A ROMA 47 «Della stessa sostanza del Padre» Convocati dall’imperatore Costantino, i vescovi del- Limpero si riunirono a Nicea fra il 20 maggio e il 25 luglio dell’anno 325 - stando a quanto narra Eusebio erano oltre 250, fra cui cinque provenienti dalla parte occidentale dell’impero. Ario ebbe modo di esporre personalmente le proprie concezioni. Dopo lunghe di- scussioni l’assemblea formuld una professione di fede che escludeva ogni subordinazione del Figlio al Padre: «Crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, Creatore di tut- te le cose visibili ed invisibili. E in un solo Signore Gest Cristo, Figlio di Dio, nato unigenito dal Padre, cioé dalla sostanza del Padre, Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, nato, non fatto, di una sola so- stanza col Padre... Quelli poi che dicono: “Era, quando non era’, e “Prima che nascesse, non era’, e “‘Poiché da cose esistenti & stato fatto op- pure da un’altra sussistenza o essenza”, dicendo che “il Figlio di Dio & 0 soggetto a cambiamento o a mutazione’’: sono con- dannati con anatema dalla Chiesa cattolica e apostolica» 32, Solo due vescovi si rifiutarono di sottoscrivere; essi furono espulsi dalla Chiesa assieme ad Ario. «Vero Dio e vero uomo» La decisione del concilio aveva piegato ma non con- vinto gli ariani. Nei decenni che seguirono essi riuscito- no a ricoprire con loro sostenitori numerose sedi epi- scopali. Un loro particolare successo fu la cacciata del vescovo Atanasio da Alessandria — soprattutto a lui si doveva il simbolo niceno. Solo un nuovo concilio con- vocato a Costantinopoli nel 381, in occasione del quale il partito ariano fu sconfitto per Ia seconda volta, tolse 32 J. NeunErR - H. Roos - K. RAHNER (edd), La fede della Chiesa nei documen- ti del magistero ecclesiastico, Roma 1967, p. 608. 48 I. DA GERUSALEMME A ‘ROMA definitivamente a quest’ultimo ogni influenza, tanto pit che nel frattempo la discussione teologica si era spostata su altre questioni. Infatti il concilio di Nicea aveva si affermato inequi- yocabilmente la consustanzialita di Cristo con il Padre, ma aveva lasciato aperto il problema di come Gest Cri- sto potesse essere pensato quale Dio e uomo al tempo stesso. Attorno a tale problema si accesero ora gli ani- mi. Non si trattava naturalmente solo di un confronto fra linee diverse di pensiero; sullo sfondo vi era anche Ja rivalita fra le celebri scuole teologiche di Alessandria ed Antiochia, e in breve tempo anche la concorrenza fra i patriarcati di Alessandria e Costantinopoli, lulti- mo dei quali si schierd dalla parte di Antiochia. In merito all’unione della natura divina e di quella umana in Cristo, Cirillo, che dal 412 fu patriarca di Alessandria, ticorse all’immagine di un pezzo di carbo- ne o di legno raggiunto dal fuoco fino a divenire esso stesso fuoco; di conseguenza egli parlava di «una natura nel Verbo incarnato». Per gli antiocheni invece il logos abitava nell’uomo Gest «come in un tempio». La pri- ma delle due immagini cozzava contro la distinzione della natura umana in Cristo, la seconda faceva si che le due nature coabitassero I’una accanto all’altra senza alcuna relazione interna. Nestorio, plasmato dalla scuo- la teologica di Antiochia e dal 428 patriarca di Costan- tinopoli, rifiutd pertanto di definire Maria «theotdkos» (= madre di Dio) in quanto ella avrebbe portato alla luce solo l’uomo Gesii, in cui prese dimora Dio: Dio non sarebbe in conclusione un bambino di due o tre mesi. La soluzione delle questioni controverse fu affidata ad un concilio. L’imperatore Teodosio convocd i vesco- vi ad Efeso. Sebbene non fossero ancora presenti al ra- duno gli antiocheni — sostenitori di Nestorio - e nono- stante la protesta del rappresentante imperiale, Cirillo I. DA GERUSALEMME A ROMA 49 d’Alessandria (che ‘era al tempo stesso rappresentante del papa) apri il concilio il 22 giugno 431. Fece imme- diatamente approvare la condanna di Nestorio che fu sottoscritta da 198 vescovi presenti. Pochi giorni pit tardi giunsero i 43 vescovi antiocheni. Essi convocaro- no a loro volta un’assemblea ed esclusero dalla comu- nione della Chiesa Cirillo (assieme al vescovo di Efeso, Memnone). Ambedue le fazioni cercarono di ottenere per sé l’assenso dell’imperatore, ma quest’ultimo di- chiard non valido quanto fino ad allora decretato, ¢ or- dind la prosecuzione delle discussioni. Successivamente la maggioranza dei partecipanti al concilio dichiard non valide le sentenze degli antiocheni e il patriarca di An- tiochia Giovanni fu scomunicato assieme ai suoi adepti. Furono inoltre approvati sei canoni contro la dottrina di Nestorio e autorizzato il titolo di «theotékos» per Maria (madre di Dio). Anche in questo caso si riveld difficile ottenere l’as- senso dell’imperatore. Pressato da entrambe le parti egli confermd in un primo momento sia la destituzione di Nestorio che quella di Cirillo. Dopo aver ricevuto ulteriori documentazioni Teodosio si orientd verso Ci- rillo. Nestorio si rifugid in un convento presso Antio- chia, e pit tardi fu esiliato nell’Alto Egitto. Li mori at- torno al 451. Rimane ancor oggi una questione contro- versa, se le sue opinioni meritassero davvero I’appellati- vo di «eresie», o se invece diedero semplicemente adito a malintesi. La discussione prosegui anche dopo la morte di Ciril- lo, avvenuta nel 444. Si rese necessario un nuovo con- cilio, che fu convocato nel 451 a Calcedonia sulla costa dell’Asia Minore, di fronte a Costantinopoli. I legati del vescovo di Roma (tre vescovi e dué sacerdoti) pre- siedettero l’assemblea. La lettera di Leone Magno circa le due nature nell’unica persona di Cristo trovd ampio consenso e costitui il fondamento per la successiva di- 50 1. DA GERUSALEMME ‘A ROMA chiarazione conciliare. In essa si respingevano sia il mo- nofisismo degli alessandrini che la teologia delle due nature divise (secondo quanto sostenuto da Nestorio): «Crediamo un solo e stesso Cristo Signore Figlio Unigenito, in due nature non confuse, immutabili, indivise, inseparabili, non essendo stata mai tolta la differenza delle nature a motivo del- Punione, anzi essendo salva la proprieta di entrambe le nature, che concorrono in una sola Persona e sussistenza, non ripartito o diviso in due persone, ma un solo e stesso Figlio Unigenito Dio Verbo Signore Gest Cristo: come prima [dissero] i Profeti di lui e lo stesso Gest Cristo ci insegnd, e come ci tramando il. simbolo dei Padri» 33. 5. Devozione cristiana Se si crede a quanto si legge negli Atti degli apostoli ci si trova dinnanzi all’immagine di una comunita ideale: «Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e te- nevano ogni cosa in comune; chi aveva proprieta e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascu- no. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezza- vano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicita di cuore, lodando Dio e godendo della simpatia di tutto il popolo» (At 2, 44 ss.). Il sogno di un ritorno alla Chiesa delle origini ha animato da sempre i riformatori che alle incomprensio- ni del presente contrapponevano quell’immagine degli Atti degli apostoli. Ad una lettura attenta dei docu- menti ci si accorge perd che le comunita di allora non avevano affatto problemi minori di quelli presenti nelle comunita odierne. Non tutti vendevano i loro beni, e chi lo faceva non necessariamente era animato solo da spirito altruistico, come Anania e Saffira che volevano 33 Ibidem, p. 196. I. DA"GERUSALEMME A ROMA 51 essere considerati grandi benefattori, ma che in realta avevano gia provveduto a trattenere per sé parte dei lo- ro beni (At 5, 1-11). Anche la cena del Signore non era sempre edificante — Paolo critica il fatto che alcuni fos- sero gia ubriachi quando iniziava la parte eucaristica (1 Cor 11, 17-34). Infine non si era sempre «un cuore e un’anima sola», altrimenti Paolo non avrebbe dovuto lamentare il fatto che membri della stessa comunita vo- lessero far decidere le loro controversie a un giudice pagano (1 Cor 6). Chi voglia trovare ombre fra i primi cristiani ne tro- vera a sufficienza ed é probabilmente impossibile stabi- lire se allora i discepoli fossero in sintonia con lo spirito del loro maestro pit di quanto non lo siano i cristiani di oggi. Eppure, rimangono ugualmente un modello: per cid a cui aspirarono e per quello che riuscirono a realizzare. Infatti nella Chiesa delle origini si rendono visibili tratti fondamentali della nostra fede che in altre epoche irradiarono luce pit: flebile e che allora suscita- rono ammirazione anche agli occhi dei pagani. Questi tratti furono soprattutto la carita e la disponi- bilita all’aiuto che i cristiani usavano fra loro. Gli Atti degli apostoli e le Lettere apostoliche sono ricchi di te- stimonianze in tal senso: si parla dell’aiuto alle vedove, dell’ospitalita nei confronti di fratelli in viaggio, della gioia di donare a comunita bisognose. Per ragioni diver- se quest’immagine rimane immutata nei primi quattro secoli, fino a quando, terminate le persecuzioni dei cri- stiani e con il favore dell’imperatore, le masse comincia- rono a frequentare sempre pit numerose le chiese. Descrizioni particolareggiate circa l’aiuto fraterno in seno alla comunita si trovano in Tertulliano (attorno al 200), che vuole difendere i cristiani da pregiudizi e so- spetti: «Presiedono le adunanze degli anziani di provate virtt, che tale onore non per denaro, ma per la pubblica testimonianza hanno acquisito, giacché nulla si pud avere con denaro delle 52 1. DA GERUSALEMME A ROMA cose di Dio. E se anche vi é una specie di cassa comune, essa non é formata da versamenti obbligatori in denaro, quasi la religione fosse posta all’asta. Ciascuno versa un modesto obo- lo, una volta al mese o quando vuole, e solo se lo vuole e se lo pud. Nessuno é costretto, ma contribuisce di propria spon- tanea volonta. Sono questi come dei depositi della pieta. In- fatti, non vengono poi spesi in banchetti o bevute o sgradite bisbocce, ma per sfamare i poveri e dar loro sepoltura, per soccorrere i giovani e le giovani che non hanno mezzi di fa- miglia, ed anche i servitori divenuti vecchi, e cosi pure i nau- fraghi; e se qualcuno, solo a cagione della nostra religione, soffre nelle miniere, nelle isole o nelle prigioni, diviene il pu- pillo della religione che ha abbracciato... Quanto poi al fatto che siamo chiamati fratelli, ritengo che cid che li fa sragionare [i pagani] é perché presso di loro ogni titolo di parentela @ sinonimo di affetto non sentito. Noi sia- mo infatti anche fratelli vostri, per diritto della stessa madre comune, anche se voi siete poco umani, essendo dei cattivi fratelli. Quanto pit degnamente allora sono chiamati e consi- derati fratelli coloro che riconoscono un solo Dio quale Pa- dre, e si sono abbeverati alla stessa fonte di santita e, usciti dal seno dell’ignoranza, si ritraggono atterriti dinnanzi al ful- gore della verita? Ma forse siamo considerati meno legittimi, perché nessuna tragedia ha delle tirate sulla nostra fraternita, o perché siamo fratelli in quanto ci unisce quel patrimonio familiare che generalmente presso di voi dissolve la fraterni- ta. Uniti cosi con lo spirito e con l’anima, non indugiamo a mettere in comune i nostri beni. Tutto @ da noi messo in co- mune, fuorché le mogli» 34, Nella grande citta di Antiochia questo significava dare ogni giorno da mangiare a 3000 donne sole, e a questo numero andavano aggiunti «i prigionieri, i ma- lati e coloro che erano in via di guarigione negli xeno- dochia (foresterie), gli stranieri, gli invalidi, il clero e tutti gli altri che si presentavano occasionalmente giorno per giorno». Nella citta, racconta il celebre predicatore Crisostomo, che era per l’appunto di An- tiochia, il dieci per cento era formato da poveri che 34 TERTULLIANO, Apologia del cristianesimo, XX XIX. 1. DA GERUSALEMME A ROMA 53 non possedevano proprio nulla e un altro dileci per cento da ricchi. Le entrate complessive della chiesa di Antiochia (la maggior parte degli abitanti erano gia cristiani) non superavano tutto sommato il reddito di un ricco e di un appartenente al ceto medio messi in- sieme. Ma ci sarebbe voluta una cifra dieci volte mag- giore per soccorrere i poveri>. Il riconoscimento pit prezioso della caritas cristiana proviene dalla bocca di un nemico. L’imperatore Giu- liano, che venticinque anni dopo la morte di Costan- tino intendeva ripristinare la vecchia religione del- Pimpero romano ricacciando indietro il cristianesimo atriva ad affermare quanto segue: «Cid che permise a questo ateismo (la religione cristiana) di crescere fu il loro (vale a dire dei cristiani) atteggiamento di dispo- nibilita verso lo straniero (filantropia), la cura nella sepoltura dei defunti e l’apparente limpidezza della loro vita». «Gli atei galilei danno da mangiare oltre che ai loro poveri anche ai nostri» 3. L’elemento autentico e vitale della comunita cri- stiana rimase nascosto alla realta circostante. O me- glio: esso rimase per il mondo di allora un enigma. II proconsole Plinio fa torturare due cristiane per arri- vate a scoprire le attivita segrete di questa setta e scrive poi all’imperatore Traiano (attorno al 112) di non essere riuscito a trovare altro «se non una smisu- rata ed assurda superstizione». Negli interrogatori'i cristiani avrebbero a suo dire assicurato che «la loro colpa principale o meglio il loro principale passo falso sarebbe consistito nell’essersi radunati regolarmente in un determinato giorno prima dell’ alzata del sole, di aver innalzato alternandosi un canto a un Dio e di es- sersi impegnati attraverso un solenne giuramento non 35 Crisosromo, in Mt hom. 66, 3; cfr. anche SC, I, p. 449. 36 Epistola 84; cir. H. Dorrms, Das Selbstzeugnis Kaiser Konstantins, cit., p. 118; SC, IT; p. 59. 54 1, DA GERUSALEMME A ROMA ad un delitto, bensi a non commettere furti, né rapi- ne né a sciogliere il proprio legame matrimoniale, a mantenere la parola e non disperdere un bene loro af- fidato. Quindi si sarebbero lasciati e si sarebbero tor- nati a riunire per consumare assieme un pasto — pe- raltro.comune e innocente» 37. Con queste poche frasi Plinio toccava, senza so- spettarlo, il vero cuore della fede dei cristiani. Infat- ti, cid che li distingueva dalla tradizione giudaica, ma al tempo stesso anche dal mondo greco-romano circo- stante, era il significato che Gesti Cristo aveva per lo- ro. Sicuramente un certo numero di romani avrebbe- ro avuto sufficiente comprensione per considerate il falegname di Nazareth una figura fuori dal comune. Ma vedere in lui il Dio fattosi uomo dovette apparire a loro, che lo avevano mandato in croce, ridicolo e al di la di ogni ragionevole misura. Eppure i cristiani ~ la loro preghiera, la loro celebrazione eucaristica, il loro amore per il prossimo, l’importanza che essi at- tribuivano al battesimo, la loro prontezza al marti- tio — andavano compresi solo partendo da Cristo. Fin dall’inizio, e poi via via regolarmente abbiamo notizie di celebrazioni della cena in occasione delle quali era consuetudine rompere il pane in memoria dell’incarico dato dal Signore, lodare Dio nella pre- ghiera, leggere le Sacre Scritture (del Vecchio Testa- mento) e ben presto anche delle Lettere di Paolo e dei Vangeli. Attraverso il teologo Giustino (+ 165) veniamo a conoscere la forma che queste celebrazioni assunsero nel m secolo (come riconosciamo qui la no- stra celebrazione liturgica!). Come Tertulliano, an- ch’egli scrive per dare informazioni ai non cristiani: Larranzio, La morte dei persecutori, 11. 6 Ibidem, 34. II. L7EUROPA DIVENTA CRISTIANA 73 Dio misericordioso di cui parlava Gest nei suoi inse- gnamenti, un Dio pit potente di tutti gli altri dei, ri- sultava pit convincente di Giove e di qualsiasi altro dio greco-romano, ma anche pit di Iside-Osiride o del culto di Mitra. Il comandamento di soccorrere tutti coloro che soffrono, anche i nemici, in sostanza di considerare tutti gli uomini come fratelli, convinse uomini riflessivi pit di quanto non seppe fare una giustificazione religiosa delle differenze sociali esi- stenti. Il carattere sacro del matrimonio, il comanda- mento di essere fedele a una sola donna, toccd senti- menti pit profondi rispetto a concezioni che riteneva- no del tutto legittimo seguire di volta in volta le pro- prie inclinazioni. Le persecuzioni poi portarono alla luce un nuovo tratto dei cristiani. L’atteggiamento con cui essi an- davano incontro alla morte era inconcepibile per i to- mani: la fermezza con cui rimanevano fedeli al loro Cristo; la disponibilita a sopportare qualsiasi tortura, sebbene si pretendesse cosi poco da loro ~ il gesto del sacrificio propiziatorio; la loro disponibilita a perdo- nare per quello che si faceva loro; la tranquillita, ad- dirittura la gioia con cui essi accettavano la sentenza emessa nei loro confronti. Cid che avveniva dinnanzi al giudice o nell’arena poteva affascinare oppure nau- seare, ma in ogni caso turbd profondamente gli spet- tatori e portd molti a rivedere le proprie idee. «II san- gue é semente di Cristiani», controbatte Tertulliano (¥ attorno al 220) ai persecutori?. 2. La sola religione ammessa Quando Costantino prima della battaglia al ponte Milvio (312) arméd il suo esercito con if segno del Dio dei cristiani vincendo poi sul suo rivale Massenzio, 7 TeRtuLiiano, Apologia del cristianesimo, L: «semen est sanguis Christiano- Tum». 74 L’7EUROPA DIVENTA CRISTIANA non si accontentd semplicemente di ammettere la nuova religione. Sempre pit favor) i cristiani — raf- forzato da nuove vittorie combattute nel nome del lo- ro Dio, prima fra tutte la vittoria sul suo ultimo riva- le Licinio (324) — facendosi consigliare dai loro ve- scovi. Noii si toccd ancora la venerazione tradizionale degli dei, ma la critica dei cristiani alle sregolatezze religioso-sessuali portd alla chiusura di alcuni luoghi di culto, come il tempio di Afrodite ad Afaca (Liba- no) 8, Col passare del tempo Costantino mostrd chia- ramente il suo disprezzo nei confronti della fede tra- dizionale nelle divinita. Mentre l’editto di tolleranza portd al catecumenato tutti coloro che per paura delle minacce di morte ave- vano indugiato, la nuova svolta avvicind alla Chiesa anche coloro che ragionavano in termini di carriera. Provenendo i successori di Costantino (inizialmente) dalla sua stessa famiglia ed essendo anche essi cristia- ni, questa tendenza poté perdurare per un certo pe- riodo (interrotta solo per tre anni durante il dominio di Giuliano, fra il 361 e il 363). A cid-si aggiunse una legislazione sempre pit restrittiva per il paganesimo. Essa vietava sacrifici e vaticin? (come Costantino sta- bili nel 341 per l’Occidente, altrettanto fece Costan- zo IT in Oriente). Di fatto perd solo la magia fu com- battuta severamente, mentre gli atti di sacrificio furo- no presto di nuovo ammessi (Costanzo II dopo la sua visita a Roma nel 357). Tanto meno si arrivd alla chiusura dei templi, richiesta dai cristiani qua e 1a. Solo nella seconda meta del rv secolo si procedette contro il paganesimo in maniera pit energica. Grazia- no (375-383) tolse ai sacerdoti e alle vestali le entrate dello Stato e confiscd le proprieta terriere dei templi. Dalla sala delle sedute del senato romano fece rimuo- 8 Eusesio pt Cesare, Vita di Costantino, III, 55-58. I. LEUROPA DIVENTA CRISTIANA 75 vere l’altare della dea Vittoria, eretto 350 anni pri- ma. II suo successore Teodosio vietd nel 391 qualsia- si forma di culto pagano: «Nessuno si macchi di sacrifici, nessuno uccida una vittima innocente, nessuno si avvicini ai luoghi di purificazione, per- lustri i templi o mostri ammirazione per le statue degli dai plasmate da mano di mortale, perché non si renda colpevole e non incorra in sanzioni divine e umane. Questo criterio uniformi anche l’operato dei giudici, in modo tale che se qualcuno che pratica il rito pagano qui in citta (Roma) oppu- re in un qualche luogo dove si trovi per via sia entrato in un tempio per adorare, venga trattenuto e paghi immediatamen- te una somma di 15 libbre d’oro, né sconti il suo dovere con altrettanta prontezza con una somma equivalente, a meno che non si presenti davanti al giudice ed immediatamente con pubblica dichiarazione ritratti» 10, Nelle citta in cui i cristiani rappresentavano la maggioranza, 0 comunque costituivano un gruppo considerevole, si arrivd talora anche a veri e propri tumulti. Si hanno notizie sparse di distruzioni di tem- pli in riferimento ai dintorni di Roma, alla Gallia e all’Africa settentrionale 1. Soprattutto nell’Egitto quasi cristiano - attorno al 350 vi si contano gia 90 vescovi — la folla si comporta furiosamente. Ad Ales- sandria, in occasione di una processione in cui si esponevano allo scherno le divinita pagane si arriva a risse sanguinose (391). In reazione a questo fatto Vimperatore Teodosio fa chiudere il Serapeo, il tem: pio dedicato a Serapide, affidandolo ai cristiani! An- cora pit: violente le aggressioni riprendono nel 415: Ipazia, che @ a capo dell’accademia neoplatonica di Alessandria, viene uccisa per mano di un gruppo di cristiani fanatici. (Tumulti provennero anche da parte ° Cfr. a questo proposito R. Lorenz, Das vierte bis sechste Jahrhundert (We- sten), in Die Kirche in ihrer Geschichte, Géttingen 1970 ss., C 43. 10 Codex Theodosianus, XVI, 10, 10. 11 R. Lorenz, Das vierte bis sechste Jahrhundert, cit., C 18 e 41. 76 if. VEUROPA DIVENTA CRISTIANA dei pagani, come ad esempio ricorda il Martyrolo- gium Romanum alla data 21 marzo, in cui si legge che sotto l’imperatore Costantino parecchi cristiani furono uccisi ad Alessandria da ariani e pagani che ir- ruppero nelle chiese nel giorno del venerdi santo 12). Nonostante questi attacchi non si pud parlare di un rovesciamento dei ruoli rispetto alle precedenti perse- cuzioni dei cristiani. A cid non erano disposti né i cristiani né i loro oppositori. A Roma il senato, legato alla tradizione, oppose notevole resistenza alla politi- ca religiosa imperiale (ne & testimonianza la petizione del senatore Simmaco affinché l’altare della Vittoria non venisse rimosso). Ma tale resistenza non fu co- munque soffocata né con la forza né a prezzo di vite umane. II paganesimo perse le sue posizioni, anche perché i suoi rappresentanti non erano pronti alla di- fesa — e€ questo non per mancanza di coraggio, ma perché il distacco interiore dalla religione tradizionale si era avviato gia molto tempo prima. Vale la pena ri- cordare a questo proposito il modo in cui l’imperato- re venne via via interpretando la propria persona e il proprio ruolo. Un’educazione cristiana e l'influenza di forti personalita, specie quella del vescovo Ambro- gio di Milano (a partire dal 374) fecero si che l’impe- ratore riconoscesse |’autorita specifica della Chiesa sul piano religioso. E sintomatica la rinuncia al titolo di «pontifex maximus» da parte di Graziano nell’an- no 382; ancor pit lo é il piegarsi dell’imperatore nel conflitto con Ambrogio. Nella controversia per il tro- no episcopale di Milano Ambrogio e I’ariano Aussen- zio dovettero sottomettersi al giudizio dell’imperato- re. Ambrogio fece notare a Teodosio come in questio- _ni di fede i laici non potessero giudicare i chierici: «l’imperatore & nella chiesa e non al di sopra di es- 2 Cfr. Martirologio romano. Il. EUROPA DIVENTA CRISTIANA 77 sa» 3; solo un sinodo vescovile sarebbe stato dunque competente per la soluzione di questo caso controver- so. Con la stessa consequenzialita Ambrogio pretese un atto di penitenza dall’imperatore quando Teodo- sio, in un’azione di rappresaglia a causa dell’assassi- nio del suo delegato, fece massacrare diverse migliaia di tessalonicesi (essi furono invitati allo stadio dove vennero poi massacrati). Teodosio si sottomise; Am- brogio si sarebbe altrimenti rifiutato di celebrare la messa in sua presenza. Per quanto poco Ambrogio volesse immischiarsi nella politica, lo sconfinamento in essa era comunque fluttuante. Nel momento in cui la Chiesa giudicava la legittimita morale delle azioni dell’imperatore ponendo a quest’ultimo (in quanto cristiano) istanze corrispondenti, essa ne stabiliva in sostanza la sfera d’azione limitandola al campo ammi- nistrativo (qui inteso come tutto cid che si presenta come scelta possibile all’interno dell’ordinamento mo- rale). Da qui a considerare l’imperatore come braccio della Chiesa, esecutore delle sue istanze di fede, il passo era breve: l’imperatore deve impiegare il suo potere, che ha da Dio, obbedendo a Dio. «Obbe- dienza a Dio» significava in concreto obbedienza nei confronti di coloro attraverso i quali Dio parlava: dunque la Chiesa nei suoi pastori, che sono i vescovi. Il grado di sottomissione dipese naturalmente dai rapporti di forza e dalla personalita dei vari protago- nisti. Certo é che con la pretesa della Chiesa — giusti- ficata dalla fede — di sottomettere al giudizio morale anche la politica iniziava quel conflitto ineliminabile che improntd tutto il medioevo: la lotta fra papa e imperatore, rispettivamente fra Stato e Chiesa. Le due parti furono si in grado di distinguere le loro sfe- 13 Amprocio, Sermo contra Auxentium, 36: «Imperator enim intra ecclesiam, non supra ecclesiam est». 14 Cfr. Expositio ev. secundum Lucam, 4, 29; Ep. 17, 1; 41, 26. 78 I. EUROPA DIVENTA CRISTIANA re di competenze, a seconda che si trattasse dell’uomo «esteriote» o di quello «interiore», ma nel rivendicare ambedue il proprio diritto sull’uomo concreto dovet- tero necessariamente scontrarsi. A rendere ancora pit aspri i rapporti si aggiungeva il fatto che da un lato lo Stato pretendevadi essere lui a stabilire le proprie leg- gi morali attraverso il controllo sulla Chiesa (si pensi a Enrico VII), dall’altro i papi si servirono dei loro di- ritti per fare politica (ricorrendo ad esempio alla sco- munica). Colpisce che persino l’integra personalita di Ambrogio giunga al punto di diffidare con la propria autorita religiosa l’imperatore Teodosio dal pretende- re che la sinagoga ebraica di Callinico, andata distrut- ta in seguito all’incendio appiccatovi da un gruppo di cristiani, venga ricostruita a spese della Chiesa: duran- te una celebrazione liturgica a Milano Ambrogio si ri- volse all’imperatore e minaccid di non proseguire la funzione fin tanto che questi non avesse fatto solenne promessa di desistere dal suo intendimento 15, Con Teodosio l’impero acquis} una struttura cristia- na ordinata da leggi. A cid contribui una vittoria fati- dica. Quando in Italia Eugenio, alleato del franco Ar- bogasto e dei senatori pagani di Roma si fa nominare imperatore e muove il suo esercito nella battaglia deci- siva contro Teodosio, auspica per i suoi soldati la pro- tezione di Ercole e di Giove, mentre Teodosio affida le sue truppe al Dio cristiano. Ambedue attendono al- la fine un giudizio divino. Con la vittoria di Teodosio nel 394 il paganesimo vede fallire la sua ultima ribel- lione, e ancora una volta la sua credibilita — alcuni contemporanei, fra i quali lo storico cristiano Teodo- reto, vedono in questa soluzione del conflitto un pa- rallelo con la vittoria di Costantino al nonte Milvia (312) 16, © Amprosio, Ep. 40. : 16 Cfr. TeoporeTo, Historia ecclesiae, 5, 24,5. Il. EUROPA DIVENTA CRISTIANA 79 3. I germani diventano cristiani Le infiltrazioni e le invasioni incontenibili di stirpi germaniche al di qua del confine settentrionale del- limpero avrebbero potuto significare la fine del cri- stianesimo (come accadde in grande misura nelle re- gioni dove riuscirono vincitori gli arabi musulmani), Ma successe il contrario. L’accettazione del cristiane- simo da parte delle popolazioni germaniche portd al- Punita religioso-culturale dell’Europa, che a sua volta improntd il «mondo occidentale». Visto con gli occhi della fede, il tramonto politico di Roma poteva appa- rire come saggio decreto della provvidenza divina: «Son questi [gli apostoli Pietro e Paolo] coloro che ti hanno innalzato all’alto onore di divenire, come na- zione santa, popolo eletto, citta sacerdotale e regale, per la presenza in te del sacro seggio di Pietro, la ca- pitale del mondo e di esercitare una giurisdizione, che dal punto di vista della religione divina @ ben pit vasta del tuo dominio terreno» 17. Cosi papa Leone Magno (440-461) esalta Roma, interpretando anche la sua passata grandezza come missione divina: «Perché poi gli eletti di questa grazia ineffabile potessero dif- fondersi in tutto il mondo, la divina Provvidenza pre- dispose l’impero romano e ne favori lo sviluppo, dila- tando i suoi confini fino a raggiungere tutte quante le genti. Rispondeva infatti perfettamente al piano dell’azione divina l’associazione dei diversi regni in un unico impero, in quanto pit rapida e facile sa- rebbe riuscita l’opera universale di evangelizzazione tra i popoli, grazie all’unita del regime politico di Ro- ma» 18, La molteplicita delle stirpi germaniche, i loro movi- menti migratori e i regni che esse fondarono impedi- 17 San LEONE Maeno, Omilia 82. 18 Ibidem. 80. 1. VEUROPA DIVENTA CRISTIANA scono di farne una descrizione precisa. Dal punto di vista cronologico cosi come da quello geografico le fonti risultano spesso oscure. Per farci un’idea diamo uno sguardo alle popolazioni germaniche che vivono al confine settentrionale dell’impero romano, lungo la linea -del-Reno e-del Danubio. All’inizio del tv secolo la sponda settentrionale del Mar Nero & abitata dagli ostrogoti; ad essi si uniscono sulle rive del Danubio inferiore, nella regione dell’attuale Romania, i visigo- ti; attorno all’ansa del Danubio (oggi parti della Ce- coslovacchia e dell’Ungheria) i quadi e i sarmati, a nord di questi i vandali; a nord del Danubio tedesco i marcomanni, alle sorgenti del Danubio gli alemanni, il cui confine occidentale & gia segnato dal Reno; lun- go il corso inferiore del Reno, a nord di Colonia, tro- viamo i franchi; fra l’Elba e la Weser i turingi e i lon- gobardi; fra l’Elba e l’Oder i bureundi e sli svevi. I goti In un primo tempo sono i goti ad assumere il ruolo di guida sia sul piano religioso che su quello politico. I loro primi contatti con il mondo romano risalgono gia a molto tempo prima che, sospinti dalla avanzata degli unni,-essi ottenessero con la forza di essere: ac- colti entro i confini dell’impero (375): si sa che un vescovo di «Gothis», verosimilmente in Crimea, pre- se parte nel 325 al concilio di Nicea'9, cosi come re- perti di monete fanno pensare alla presenza di gruppi cristiani piuttosto consistenti fra i goti20, Maggior ri- lievo ebbe l’opera di Ulfila - passato alla storia come «apostolo dei goti». Lui stesso di origine gotica, fu consacrato «vescovo dei cristiani nella terra dei goti» 19 Manst II, 214. 20 Cfr. G. HAENDLER, Geschichte des Friihmittelalters und der Germanenmis- sion, in Die Kirche in ihrer Geschichte, cit., E 15. Il. LEUROPA DIVENTA CRISTIANA = &1 nel 341 a Costantinopoli. Per sette anni predicd fra i visigoti riuscendo a battezzare anche il loro capo, Fri- tigerio. Quest’ultimo vinse la battaglia contro il suo rivale Atanarico, nemico dei cristiani. Prima della ca- lata degli unni Fritigerio fu accolto dai romani come foederatus, e gli fu concesso di stabilirsi nella Tracia. Qui si compi attraverso Ulfila e altri missionari l’ope- ra di cristianizzazione. Di grande aiuto fu in questo la traduzione della bibbia in gotico. Ulfila inventd a tale scopo un nuovo alfabeto, formato in parte da ru- ne germaniche, in parte da caratteri latini e greci. Per secoli i visigoti si servirono della sua bibbia (il pit im- portante frammento della sua traduzione viene con- servato a Uppsala come Codex Aureus). Dai visigoti il credo cristiano passd anche alle po- polazioni ostrogote, specie dopo che nel 454 questi ultimi ottennero il diritto di stabilirsi in Pannonia (corrispondente press’a poco all’odierna parte del- P'Ungheria situata a sud-ovest del Danubio) come al- leati dell’imperatore Marciano. Come i visigoti, an- che gli ostrogoti accolsero il cristianesimo nella forma ariana, come «omeusiani», considerando Cristo solo «simile» a Dio, ma non della stessa sostanza del Pa- dre. Ulfila.era stato infatti consactato vescovo quan- do a Costantinopoli predominava l’orientamento aria- no sotto la protezione dell’imperatore Costanzo (II) e pit: tardi di Valente. Il vescovo che lo consacrd, Eu- sebio di Nicomedia, era ariano. Questa «variante» cristiana, che inizialmente appare forse irrilevante, determind pit tardi le tensioni e lostilita nei con- fronti dei «romani», rappresentanti del credo «cattoli- co» di Nicea, cosi come nei confronti dei franchi cat- tolici. - Non contenti della loro posizione nell’impero e del- Pingiusto trattamento riservato loro dai funzionari imperiali (il che portd nel 378 ad un’insurrezione: la 82 11..VEUROPA DIVENTA CRISTIANA battaglia di Adrianopoli loggi Edirne, al confine fra la Grecia e la Turchia], nella quale l’imperatore Va- lente, rimasto sconfitto, perse la vita), i visigoti si ri- misero in marcia nel 395. Attraversando la Grecia e muovendo lungo la penisola balcanica essi raggiunsero Roma nel 410, sotto la guida di Alarico. Per tre gior- ni saccheggiarono la cittt. Questa catastrofe ispird Agostino nella sua opera La citta di Dio. In essa egli provava che il precedente culto degli dei non aveva assicurato il benessere dell’impero romano; con cid intendeva togliere forza all’argomentazione sostenuta dai pagani, secondo cui la fede dei cristiani sarebbe stata la ragione delle sventure che si abbattevano ora sull’impero. Solo in Spagna i goti trovarono una nuo- va patria. Qui re Reccaredo si converti nel 589 alla fede cattolica. Nel 711 l’invasione degli arabi signifi- cé la fine del regno dei visigoti. Anche gli ostrogoti si scontrarono con il dominio bizantino. Per evitare il conflitto incombente Vimpe- ratore Zenone li indirizzd verso Italia: qui avrebbe- ro dovuto porre fine al potere di Odoacre, un germa- no (della stirpe degli sciri) che dopo essere entrato al servizio dei romani nel 476 alla guida di truppe mer- cenarie, aveva destituito l’imperatore d’occidente Ro- , molo Augustolo. Quindi gli ostrogoti avrebbero do- vuto governare per conto dell’impero bizantino. Teo- dorico vinse Odoacre e cred in Italia il regno degli ostrogoti (493). Ben presto il dissidio con Bisanzio porto alle annose «guerre gotiche», di cui il testimone oculare Procopio ci ha lasciato un’ampia descrizione. Nel corso del conflitto gli ostrogoti furono sconfitti dai due grandi generali di Giustiniano, Belisario e Narsete (553). Ma l’impero bizantino fu troppo debo- le per riuscire a fermare i longobardi, che iniziarono ad entrare in Italia gid dal 568. Per le popolazioni germaniche situate nella parte Il. L-EUROPA®DIVENTA CRISTIANA 83 orientale dell’Europa i goti ebbero un ruolo di batti- strada. Il loro esempio e la loro influenza favorirono laccettazione del cristianesimo, senza per questo es- sere considerati l’unica causa né tantomeno la causa decisiva dell’adesione al credo cristiano. Il fatto che anche i longobardi, i burgundi, gli svevi, i vandali, praticamente tutte le popolazioni germaniche che pe- netrarono nell’impero romano accogliessero la fede cristiana — al di 1a di ogni fattore concreto come |’o- pera di missionari o motivi politici — sta ad indicare una «disposizione» generale: come ai giorni nostri la cultura e lo stile di vita occidentali si diffondono lar- gamente senza coercizioni né pianificazione, cosi il cristianesimo si diffuse fra gli invasori germanici. Evidentemente essi riscontrarono nell’impero romano un mondo religioso-culturale superiore e al tempo stesso attraente. Gli storici fanno notare come per i germani dovesse essere ovvio attribuire idea di ob- bedienza a Cristo re, il quale combatte contro il male e si sacrifica per i suoi. La testimonianza pit efficace del collegamento della figura di Cristo alla tradizione germanica potrebbe essere quella del poema Heliand [Salvatore] 21, Il cristianesimo fu recepito nella forma ariana, ec- cezion fatta per i franchi (l’ipotesi che burgundi e vi- sigoti fossero passati al cattolicesimo viene ora respin- ta22). Questo fatto risulta comprensibile se si pensa all’importante ruolo dei goti e agli sforzi di evangeliz- zazione che partirono da Costantinopoli. Per gli im- peratori bizantini ariani il loro credo fu uno strumen- to per delimitare le pretese di Roma, per le popola- zioni germaniche fu anzitutto espressione del legame politico con Bisanzio. Quando i goti irruppero a occi- dente per stabilirsi in Spagna, nella Francia meridio- 21 Cfr. in merito ibidem, E 30 e 66. 22 Tbidem, E. 9. 84 IL. EUROPA DIVENTA CRISTIANA nale e in Italia, il loro credo perse un’importante fun- zione. Bisanzio era lontana, il suo sostegno debole, le sue pretese eccessive. Nel paese in cui affermarono il proprio dominio, la chiesa cattolica rappresentava mediante i suoi vescovi, collegati fra loto e con Ro- ma, un potere che se non si mosse contro di loro mili- tarmente, rese comunque impossibile una integrazio- ne fra dominatori e dominati. Di fronte a questa si- tuazione si trovarono naturalmente anche gli altri in- vasori ariani. I franchi, precursori di un’Europa cattolica Gia allora alcuni intuirono l’importanza che ora noi a posteriori assegniamo al battesimo di Clodoveo. Il vescovo Gregorio di Tours, che 80 anni pit tardi fa una descrizione degli eventi, vede nel battezzato il «nuovo Costantino»23, e Avito, vescovo di Vienne scrive entusiasta al re: «vestra fides nostra victoria est»*4, Il giorno di Natale dell’anno 496 (oppure 498), in cui Clodoveo fu battezzato dal vescovo Re- migio a Reims, era stato preceduto da un’ulteriore vittoria nel nome di Cristo. Proprio quando I’esercito di Clodoveo stava per cedere dinnanzi agli alemanni, «egli levd le mani al cielo e con il cuore spezzato ¢ in lacrime disse: “‘Gestt Cristo, che Clotilde chiama Fi- glio di Dio vivente, che, si dice, vieni in aiuto di co- loro che sono nei pericoli e accordi la vittoria a coloro che sperano in te, io chiedo, con devozione, il tuo aiuto. Se tu mi accorderai [a vittoria sui miei nemici e io potrd avere la prova della tua potenza, gid speri- mentata dal popolo consacrato al tuo nome, io crede- 3 GreGorIo pi Tours, Historiarum libri X, L. I, c. 30 s.; cfr. R. Moxro- scu-H. Watz (edd), Kirchen- und Theologiegeschichte in Quellen, II: Mittelalter, Neukirchen 19862, p. 3. 24 MGH AA VI/2, p. 75. Il. L'EUROPA DIVENTA CRISTIANA 85

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