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Eutanasia, a scuola se ne può parlare coi ragazzi?

Sì anzi si deve

Il 78 per cento degli studenti (sondaggio Skuolanet) vorrebbe affrontare il tema in classe. Una sfida per i
docenti che devono prepararsi e confrontarsi con la contemporaneità. la lezione di Saramago

di Paolo Conti

«Penso che per gli studenti sarebbe molto meglio partire dalla contemporaneità. Si rimane sempre indietro di un
secolo; nella scuola si vive come dentro una specie di capsula senza collegamento con il tempo presente, mancano i
nessi». Sono riflessioni di José Saramago , premio Nobel per la Letteratura nel 1998. Non si riferiva alla scuola
italiana, ma all’archetipo universale dell’istituzione. Impossibile non ripensare a quella frase in queste ore, proprio
mentre Skuola.net certifica che il 78% degli studenti italiani vorrebbe parlare di eutanasia non solo a casa, in
famiglia o con gli amici ma proprio a scuola. Confrontandosi cioè con i propri coetanei e soprattutto con gli
insegnanti, cioè con coloro che li stanno indirizzando verso la vita da adulti. Saramago descriveva una «capsula
senza collegamento col tempo presente». Infatti non c’è alcun obbligo di legge che costringa il corpo docente ad
affrontare tematiche di attualità. Cioè la materia di cui sono composti i giornali di carta, i notiziari on line e i
telegiornali.

La fatica di affrontare il presente

Ma è altrettanto vero che una scuola incapace di fermarsi a pensare, quindi a «insegnare» qualcosa di legato al
dibattito politico, sociale, internazionale, religioso, si auto-condanna a diventare solo e soltanto un obbligo, un
dovere, una costrizione e non la palestra culturale di allenamento alla vita reale che dovrebbe essere. E’ vero. Può
essere faticoso, per un insegnante di filosofia, di lettere, di storia informarsi bene sulla legislazione italiana che
vieta l’eutanasia, o leggere con attenzione le cronache delle ultime ore di chi ha imboccato la strada per la Svizzera,
comprenderne le ragioni, valutarne gli eventuali torti, formarsi insomma un’opinione per fronteggiare le domande
dei ragazzi e aprire una discussione non ideologica, concreta, basata sui fatti e non sulle voci riportate da altri. Ma
la scuola può davvero limitarsi ad affrontare solo l’aoristo del greco, Manzoni, Ovidio nelle ore di latino?

Non abbandonare il campo

I ragazzi, lo abbiamo visto in mille occasioni, non cercano altro che interlocutori capaci di ascoltarli, di
comprendere il loro punto di vista e le loro ansie. In queste ore non si fa che parlare dei temi legati al fine vita, al
diritto di andarsene dignitosamente evitando sofferenze tanto atroci quanto inutili. Sono tematiche che stanno
attraversando tutta la società, dai frequentatori dei bar al legislatore, chiamato a comprendere l’urgenza di nuove
regole. Se la scuola continuasse a far finta di niente, ad abbandonare il campo dello scambio di idee e di esperienze,
rischierebbe di perdere definitivamente un appuntamento essenziale: quello con la contemporaneità, col mondo in
cui si vive. Proprio come ci ha lasciato detto Saramago.

1 marzo 2017 (modifica il 1 marzo 2017 | 18:20)


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La classe non è un ghetto, come scoprire i talenti dei ragazzi

Un prof creativo saprà scoprire talenti anche tra i ragazzi considerati irrecuperabili. Il film di Chiesa e il
racconto di una sezione per gli studenti peggiori: «Un errore didattico, il sapere si trasmette solo con
l’inclusione»

Siamo a un passo dalla maturità e il professor Frigotto, preside di un liceo scientifico, dopo le vacanze estive ha
deciso al quinto anno di riunire gli Ultimi degli Ultimi, le schiappe senza rimedio, nella neonata sezione H per
alleggerire le classi «normali» e abbandonare gli asini al loro destino. Una specie di classe differenziale, come
quelle che esistevano nella scuola italiana fino alla riforma Falcucci del 1977.
La sezione H sta per inabissarsi ma improvvisamente appare il giovane professor Andreoli, che prima tenta
goffamente di copiare L’Attimo Fuggente . Una delle ragazze lo affronta: «Professore, noi non abbiamo bisogno di
un Capitano ma di qualcuno che ci guardi in faccia...». Così scopre che l’unico modo è davvero «guardare in
faccia» quei ragazzi prossimi alla marginalità, scoprendo in loro ciò che nessuno ha mai visto.
La responsabilità dei prof

Il 23 marzo uscirà nei cinema «Classe Z» , l’ultimo film del regista Guido Chiesa (produzione di Colorado Film
con Medusa che lo distribuisce). In chiave di commedia (Alessandro Preziosi è un odioso preside Frigotto, Andrea
Pisani è il creativo professor Andreoli, Antonio Catania è un commissario ministeriale dubbioso) pone un problema
che riguarda molte scuole e un incalcolabile numero di alunni, professori e famiglie. Cioè se l’incapacità di
raggiungere buoni risultati sia solo il frutto del menefreghismo e della strafottenza ostentati da molti ragazzi,
schiavi delle tastiere e degli schermi dei telefonini. E quanto invece sia alta la responsabilità di certi professori
burocrati, annoiati, pronti a sfogliare i quotidiani sportivi nelle ore di lezione, incapaci di capire se quel ragazzo
inchiodato da mesi alle insufficienze abbia davvero copiato, e non invece studiato davvero, per consegnare un
improvviso, eccellente compito in classe.

Il genio nascosto

E poi il problema di fondo: chiudere in un ghetto chi non emerge, nel nome dell’efficienza scolastica, è una
soluzione o una condanna? Nella classe Z del film di Chiesa (realizzato in collaborazione col sito Scuolazoo) il
professor Andreoli scova talenti: quei due gemelli cinesi, apparentemente inebetiti, sono geni della matematica, il
mezzo picchiatore figlio di palazzinaro nasconde in sé un Bansky, l’oca bellona cela una inattesa sensibilità
letteraria. Si sorride, certo. Ma è anche un atto di accusa contro la sordità dei docenti e contro il tentativo di creare
serragli per chi «non ce la fa», o (apparentemente) non vuole farcela.

Le sezioni speciali

Un metodo che il professor Raffaele Mantegazza, docente di Scienze Pedagogiche all’Università milanese della
Bicocca, condanna senza appello: «Creare sezioni “speciali” non è solo un errore didattico ma va anche contro la
scuola come è immaginata nella Costituzione, con un ruolo cioè di socializzazione del sapere. La scuola assolve i
suoi compiti se imparano tutti, non solo i più bravi. Quindi la ricorrente tentazione di dare vita a sezioni particolari
quando ci si trova di fronte a disabili, a immigrati, a ragazzi “difficili”, va automaticamente contro la democrazia».

La socializzazione del sapere

Secondo Mantegazza «troppo spesso la scuola italiana dimentica quale sia la sua vera funzione, cioè portare avanti
tutti senza tralasciare nessuno, senza graduatorie né classifiche ma seguendo le diverse capacità e attitudini. Mi
spiego: un cuoco non è «meno intelligente» di un latinista. Se voglio mangiare bene vado dal primo, se studio i
classici mi rivolgo al secondo. Il problema può nascere, mi spiego con una battuta, invertendo i ruoli e le
aspettative...». E non occorrono nemmeno professori Eroi-Capitani: «Se è necessaria la socializzazione del sapere
per i ragazzi, lo è altrettanto la indispensabile socializzazione della professione tra insegnanti».
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5 marzo 2017 (modifica il 7 marzo 2017 | 08:57)


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