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Ciclismo

1 - I "forzati della strada"

Nel 1885 viene fondata l' Unione velocipedistica italiana (Uvi), cioè la federazione ciclistica. In realtà già prima i
quest'anno esistevano gare ciclistiche, come la Milano - Torino del 1876, o nel parco di Saint Cloud a Parigi nel
1868, forse la prima gara ufficiale della storia ciclistica. A quest'epoca ci sono ancora i bicicli, con la grande ruota
davanti e i pedali direttamente fissati, inventati da Michaux nel 1865. Da allora si moltiplicano i perfezionamenti:
la catena che trasmette il movimento dei pedali, le ruote di uguali grandezza, i freni, e le gomme pneumatiche (
1888 Dunlop).
Nelle prime corse la bicicletta è dunque un ordigno pesante, poco scorrevole e poco confortevole, per non parlare
delle condizioni delle strade. Era difficile sviluppare la velocità pedalando: Bagatti che vince la Milano - Novara
impiega 3 ore. La velocità è molto modesta, ma il ciclismo prende piede perchè la bicicletta è sentita come un
prolungamento del corpo umano, a differenza di treni, carrozze, cavalli. L'uomo può e deve contare sulle proprie
forze: ciò ne fa uno sport estremo e faticoso, la durata delle prove è smisurata: si parte di notte e si arriva la notte
del giorno dopo: spesso i ciclisti rischiano di disperdere la strada; inoltre devono arrangiarsi da soli per quanto
riguarda ogni evenienza: cibo, dormire, riparare la bicicletta, curare le ferite, cambiare indumenti. I regolamenti
sono severissimi: non è concesso un aiuto tra concorrenti. Dalla cosa deve emergere il più adatto a sopravvivere,
il più forte: per questo nelle competizioni più importanti viene accettata a fatica la nuova tecnologia delle
biciclette.
Rientra la visione del ciclista come "isolato" e la denominazione "forzati della strada".
Le federazioni ciclistiche durante l'ultimo ventennio dell'800 provvedono a fissare e a riconoscere ufficialmente
il calendario delle corse, nel frattempo promosse da giornali, associazioni, circoli.
Con il passare del tempo la lunghezza dei circuiti si riduce, aumentano le tecniche, viene permessa la
collaborazione di squadra: questo è il risultato della civilizzazione, che riduce la violenza degli inizi dei vari sport.
Essa è favorita anche dalle industrie che fabbricano biciclette: sono necessari svolgimenti agonistici più regolari
e meno condizionati dalla buona o cattiva sorte, che facciano leva sulle caratteristiche tecniche delle biciclette,
per incentivare le vendite.

2 - L'era dei campionissimi

L'ultimo decennio dell' 800 vede la nascita di importanti prove di linea, alcune delle quali ancora oggi fanno
parte del calendario internazionale. Ma con il primo 900 inizia l'epoca delle corse a tappe che segneranno
l'epopea del ciclismo: il Tour de France nel 1903, il Giro del Belgio nel 1908, il Giro d' Italia nel 1909. Il loro
svolgimento di due, tre settimane ne fa dei romanzi a puntate che il pubblico segue con passione.
Il primo Giro d'Italia parte da Milano in piena notte il 13 maggio 1909 e si conclude il giorno 30 dello stesso
mese, dopo otto tappe e dopo aver toccato Napoli come punto più meridionale. " La gazzetta dello Sport" lo ha
progettato fin dall'estate precedente per iniziativa del suo direttore Eugenio Camillo Costamagna. L'obiettivo più
immediato è commerciale: lanciare un grande evento sportivo capace di garantire una capillare diffusione al
giornale organizzatore.
In quel maggio 1909 inizia la storia della manifestazione sportiva più seguita nel nostro paese, perchè il ciclismo
è lo sport più popolare. Prima degli anni Venti infatti, quando iniziano le Mille miglia (1927) e il girone unico del
campionato di calcio (1929), il Giro costituisce l'unico evento sportivo di respiro davvero nazionale.
La semplicità e l'immediatezza di uno sport povero di tecnica e di regole sono in grado di comunicare anche con
un pubblico di non specialisti. Gli unici vuoti corrispondono agli anni delle due guerre mondiali: 1915 - 1918 e
1941 - 1945: si inizia a parlare di Giro come istituzione, in quanto stabilmente radicato nelle forme, consuetudini,
usi della nostra vita civile. I protagonisti di quel ciclismo diventano presto dei personaggi famosi: Luigi Ganna,
vincitore del primo Giro del 1909, Carlo Galetti, Giovanni Gerbi ( il "Diavolo rosso"), Giovanni Micheletto,
Giovanni Rossignoli. Ma il primo vero "eroe" sportivo arriva nel primo dopoguerra: è Ottavio Bottecchia, che
ottiene gloria grazie al Tour De France. Nel 1923 è secondo dietro il suo capitano Henri Pelissier. Ma l'anno
seguente vince, primo italiano, in maglia gialla dalla prima all'ultima tappa. Nel 1925 vince ancora, sempre a
Parigi. Ricordiamo anche Costante Girardengo ( vincitore del Giro 1919 e 1923, il primo campionissimo della
storia) Gaetano Belloni ( ribattezzato l'eterno secondo, ma in realtà vincitore di un Giro nel 1920) Giovanni
Brunero, e sopratutto, a partire dal 1925, Alfredo Binda.

Egli vincerà bel 5 Giri d'Italia, e nel sesto viene lasciato fuori per non provocare noia agli spettatori. Conquista
anche quattro Lombardia, due Sanremo, quattro campionati italiani e nel 1927 la prima edizione del campionato
mondiale professionisti su strada ad Adeanu (Germania).
Nei primi anni ha come rivale Girardengo, poi negli anni 30 Learco Guerra ( la locomotiva umana).
Nel 1935 comincia la vicenda professionistica di Gino Bartali, che fa registrare vittorie alla Milano-Sanremo, al
Giro di Lombardia, nel campionato italiano e in due Giri d'Italia e in un Tour de France. Prima del secondo
conflitto mondiale va registrato anche l'inizio dell'attività di Fausto Coppi, che nel 1940 si aggiudica 21enne il
suo primo Giro d'Italia.

3 - Un solo comandamento: " Vincere".

Durante il fascismo il movimento sportivo approfitta dell'attenzione che per la prima volta gli viene riservata
dalla classe dirigente per crescere qualitativamente e quantitativamente. Lo sport infatti, al pari delle altre
organizzazioni di massa, offre al regime la possibilità di ottenere consensi non soltanto con strumenti repressivi.
Certi tratti che distinguono il ciclismo si esasperano: emerge il carattere di prova sportiva che cementa l'unità
nazionalgeografica del paese, e con essa il sentimento di identità collettiva degli italiani. Il Giro finisce per
delimitare con chiarezza il territorio, rendendolo visibile e conoscibile a tutti. Così un dato geografico si
trasforma in politico - ideale: la patria. La partecipazione di atleti stranieri permette di inoltre un confronto
internazionale, dove dimostrare la supremazia italiana. All'estero i successi italiani sono per ora limitati: Bartali
riuscirà a vincere il Tour solo nel 1938.
Il Giro d'Italia rappresenta una battaglia che è insieme sportiva e industriale: grandi marchi si distinguono, tra
cui Torpado, Atala, Dei, Maino, Olympia, Pirelli.
Presto i simboli fascisti cominciano ad insinuarsi dentro il ciclismo: dal 1931 il fascio littorio adorna la maglia
rosa simbolo del primato, alle partenze e agli arrivi sono presenti i gerarchi, nel 1926 Mussolini mette a
disposizione anche un premio personale, si parla di cambio Dux, di freni Balilla. L'episodio più noto del controllo
fascista è nel 1938, quando a Bartali e alla squadra nazionale viene impedito di partecipare al Giro d'Italia per
preparare un trionfo al Tour.
Però il ciclismo, rispetto ad altri sport che esaltavano la volontà di modernizzazione, parla di povertà e di fatica
che stravolge; si svolge su strade malconce e porta dietro il "fardello" dei ciclisti rossi del primo Novecento.
Tra le due guerre comunque il ciclismo ha delle trasformazioni: diminuiscono il chilometraggio delle tappe e
aumenta il numero. Cambiano i regolamenti, che fanno tramontare l'esasperato individualismo dei primi anni a
vantaggio del gioco di squadra e dell'arricchimento di contenuti tecnici. Le biciclette diventano più leggere e
affidabili e vengono privilegiate doti come abilità tecnica e saggezza tattica. Il passaggio è da Ganna, Galetti, Gerbi
a Bartali e Coppi, che vince il primo Giro d' Italia nel 9 giugno 1940. Il grande ciclismo da lì si interrompe per
circa sei anni.

4 - Pedalare per la rinascita.

Il 19 marzo 1946 è il ritorno alla vita per il ciclismo. Si corre la Milano - Sanremo che, fin dal 1907, segna l'avvio
della nuova stagione ciclistica. Quella Sanremo, vita da Coppi, costituisce la prova generale del ritorno alla vita
attraverso lo sport della bicicletta. Viene battezzato "Giro della Rinascita" perchè a poco più di un anno dalla fine
della guerra, con la corsa a tappe rinasce riparte l'intero paese, non solo quello sportivo. Si tratta di rifare l'Italia
e gli italiani, di ricostruire quello che la guerra ha distrutto. Il ciclismo diventa una metafora del lavoro,
"pedalare" significa darsi da fare e rimboccarsi le maniche: quella della bicicletta è una fatica giusta, perchè non
consente inganni, astuzie. Inoltre gli italiani amano il ciclismo, perché in questo periodo la bicicletta è il mezzo di
trasporto più comune. Le vittorie dei ciclisti italiani nel 1946 - 1955 sono innumerevoli e non lasciano molto a
disposizione degli altri: Bartali, Coppi, Fiorenzo Magni, Loretto Petrucci, Giulio Bresci, Toni Bevilacqua. Il
ciclismo funziona da legittimazione internazionale del nostro paese: gli italiani rispecchiano l'immagine positiva
ricava dalle perfomances dei corridori. Bartali si vede offrire la cittadinanza onoraria belga e svizzera, Magni è
ribatezzato il "leone delle Fiandre" dai belgi.
A partire dal 1946 gli italiani assaporano il piacere della democrazia, di schierarsi, di parteggiare: la passione
sportiva da modo di assaporare la libertà degli italiani. La guerra aveva congelato l'antagonismo tra Bartali e
Coppi, prima di carattere esclusivamente sportivo, ma che ben presto finisce per coinvolgere gli aspetti di vita. Si
identificano dunque due veri partiti per i due atleti. Bartali è da sempre sinceramente e pubblicamente cattolico,
mentre circola l'idea di un Coppi comunista, o almeno laico. Quando si diffonde la notizia di una relazione
extraconiugale e la fine del rapporto con la legittima moglie di Coppi, egli è additato come pubblico peccatore e
abbandonato anche dai tifosi. Di Bartali viene celebrata la sua virtù di padre e marito esemplare.

5 - Dopo l'era dei campionissimi

Il ritiro di Bartali alla fine del 1954 e l'inevitabile declino per limiti d'età di Coppi e di Magni, aprono una crisi
profonda nel ciclismo sportivo. Mancano i grandi campioni nel passato. Ercole Baldini si distingue nel trienno tra
il 1956 - 1958. Nel 1956 vince la medaglia d'oro su strada alle Olimpiadi. Nel 1957 passa professionista e diventa
campione italiano, nel 1958 si aggiudica il Giro d'Italia. Ma la sua carriera finisce qui: mancano avversari capaci
di rinnovare i duelli che hanno acceso gli entusiasmi nei tempi precedenti. Ma è cambiato anche il paese: la
metafora del pedalare per la rinascita non ha più senso in un paese che si avvia alla modernizzazione e al
miracolo economico. Aumenta il mercato dei ciclomotori e delle macchine, e declina quello delle biciclette.
La morte di Coppi il 2 gennaio 1960 segna la fine di un'epoca.

6 - Il ciclismo alla "dinamite"

Il ciclismo è uno sport di grande fatica: la sua storia si intreccia fin da subito con quella del doping per la
semplice ragione che molti si preoccupano di trovare il modo proprio per sentire meno fatica e dolore.
Durante le soste in quelle gare in pista che mettono l'atleta di fronte allo sforzo senza limiti, gli atleti provano
degli "intrugli", spesso alcool, arsenico, caffeina, che servono a resuscitarli dalla fatica.
L'enorme importanza che il fascismo attribuisce all'educazione fisica degli italiani, orienta verso una vera e
propria azione di tutela sanitaria. Nel dicembre 1929 nasce la Federazione italiana dei medici sportivi (Fims) che
nel 1940 diverrà struttura portante del Coni. L'atleta comincia ad essere osservato, studiato, aiutato, vengono
sperimentati nuovi prodotti, ormoni che aiutano in un rendimento superiore. Ma gli atleti continuano a preferire
i metodi antichi. E' con la guerra e il passaparola relativo all'uso di eccitanti utilizzati in gran quantità dai soldati
a suggestionare la clientela sportiva circa i miracolosi effetti di queste sostanze. In farmacia chiunque può
rifornirsi di tutto, senza alcun esperto al seguito. E' Fausto Coppi il primo ciclista ad avere un medico personale,
indispensabile a una preparazione che con lui diviene accurata.
Bisogna arrivare al 1964 perchè sia istituita la prima commissione medica del Cio. Il primo controllo medico
ufficiale del Tour è del giugno 1966. In Italia è già nel 1962 che per iniziativa della Federazione dei medici
sportivi e di quella ciclistica si comincia a pensare davvero a come affrontare il fenomeno, che nelle recenti
Olimpiadi romane si è manifestato con la morte del giovane danese Konrad Jansen dopo la cronometro a squadre
sui 100 km.

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