Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
relazione
di
Renata Puleo
Linguistica italiana
secondo modulo
IUL
2
I. L’italofonia nel mondo
3
Dalla tabella si può notare come solo le colonne
indicanti i cittadini iscritti all’ AIRE (Anagrafe
Italiani Residenti Estero) rappresentano il totale
delle persone all’estero che sono oggi cittadini
italiani e che sono in grado di comprendere la
nostra lingua secondo le varietà in uso in Italia. Si
nota la forte disparità tra il numero degli oriundi
(individui di accertata origine italiana) e il numero
dei cittadini italiani (iscritti all’ AIRE), con buona
competenza in italiano, che sarebbero dunque
circa 4 000 000.
Secondo la Turchetta, poiché gran parte degli
Italiani emigrati fino al secondo conflitto mondiale
erano analfabeti e/o avevano una bassissima
competenza della lingua unitaria, vi è stata una
scarsa conservazione dell’uso della lingua di
origine e oggi, all’estero, si trovano quindi varietà
dell’italiano vicine ai dialetti delle aree di origine
che, in alcuni casi, hanno dato luogo a varietà
pidginizzate relativamente stabili di italiano.
4
nel Principato di Monaco, a Malta, in Corsica e nel
Nizzardo (Francia) e, in misura minore, in Albania
e in Libia, Eritrea, Etiopia e Somalia.
A seguito dei flussi migratori realizzatisi tra il 1876
e il 1976, vi sono forti comunità italofone
nell’Europa centrale, nel continente americano e in
quello australe.
5
caratteristiche dello spagnolo, dell’italiano e
fonemi di sviluppo autonomo.
Nel Principato di Monaco, nonostante non abbia
un riconoscimento ufficiale, l'italiano è la seconda
lingua madre dopo il francese e subito prima del
monegasco, una variante del ligure, che invece
gode dello status di lingua nazionale. Ciò è
soprattutto dovuto all'immigrazione dall'Italia,
infatti, secondo gli ultimi dati del Ministero degli
Affari Esteri italiano, relativi alla fine del 2004, la
comunità italiana costituisce il 21% dei residenti
del Paese.
6
In Albania l'italiano è conosciuto principalmente
grazie alla possibilità di vedere ed ascoltare le
trasmissioni italiane attraverso una comune
antenna radiotelevisiva, oltre che ai continui
spostamenti, per questioni economiche, di
albanesi sul suolo italiano.
7
straniera (3%), preceduto da inglese (38%),
francese
Lingue(14%),
usate piùtedesco (14%),
comunemente spagnolo
dall'UE - % (6%) e
russo (6%) (v. tabella)
Lingua materna
13%
38%
Inglese Lingua straniera
18%
14%
Tedesco
12%
14%
Francese
13%
3%
Italiano
9%
6%
Spagnolo
9%
1%
Polacco
6%
1%
Russo
8
del Rio Grande do Sul in Brasile. La varietà di
italiano più interessante per gli studiosi è quella
parlata dalla prima generazione di Italiani migrati
negli Stati Uniti dopo gli anni ’30 – ’40, poiché
prima di tale data non si può parlare di
popolazione realmente italofona per la scarsa
competenza posseduta nell’italiano. Si è diffuso
così l’uso di varietà di italoamericano pidginizzato
di cui restano poche tracce scritte. Attualmente le
varietà di italoamericano parlate dalla seconda
generazione in poi di migranti sono molto vicine
all’italiano popolare, con qualche marcato tratto
regionale, e godono di basso prestigio rispetto a
quelle parlate nei decenni precedenti; ciò, come
risulta dal censimento USA del 2000, ha portato il
numero degli italofoni a calare del 23% rispetto al
censimento del 1990, nonostante sia in aumento il
numero degli oriundi italiani. In generale, la
seconda e la successiva generazione di migrati si
orientano, in misura limitata, verso un italiano
standard appreso ex novo, passando da corsi di
lingua o da rapporti di lavoro o studio con l’Italia
mentre l’italoamericano in uso fino alla seconda
guerra mondiale era molto più lontano
dall’influenza dell’italiano standard e comprendeva
il totale riadattamento fonologico di intere porzioni
di inglese.
Tra la fine dell‘800 e gli inizi del ‘900, tra le mete
principali dei migranti italiani vi fu l’Argentina
dove, nel 1914, essi costituivano l’11% della
popolazione globale. La vicinanza genetica tra
spagnolo e italiano e la forte eterogeneità dei
dialetti parlati dai migrati italiani, favorirono il
nascere di una lingua mista, il cocoliche,
caratterizzata dall’uso di strutture grammaticali di
italiano e spagnolo e dall’uso di lessico
9
appartenete ad entrambe le lingue. L'italiano
standard non fu mai parlato dagli immigrati italiani
in Argentina, poiché la maggioranza di essi era
dialettofona. Questo ostacolò lo svilupparsi di una
cultura della lingua italiana. Gli immigrati di
seconda generazione crebbero parlando spagnolo
a scuola, al lavoro e nel servizio militare e il
Cocoliche rimase confinato soprattutto nella
parlata degli immigrati di prima generazione e
andò con gli anni estinguendosi (circa negli anni
‘60 del ‘900). Alcune parole del cocoliche sono
state prese in prestito dal lunfardo, un gergo della
malavita, sviluppato negli ambienti più bassi di
Buenos Aires, che possedeva numerosi termini
provenienti dalle varie lingue degli immigrati. Il
lessico di questa lingua contribuì ad arricchire il
vocabolario dell’argentino parlato.
10
La migrazione più consistente di Italiani verso
l’Australia si registra a partire dal secondo
dopoguerra e i dati relativi all’uso dell’italiano
segnalano una perdita linguistica di questo rispetto
all’inglese, soprattutto nel passaggio dalla prima
alla seconda generazione migrata. In Australia non
vi è stata la genesi di una varietà comune di lingua
simile all’italoamericano parlato dai migrati negli
USA dopo la seconda guerra mondiale e ciò è
probabilmente da attribuirsi all’eterogeneità della
provenienza geografica e alla stratificazione storica
della migrazione italiana. Si riscontrano tuttavia
alcune caratteristiche comuni, in particolare
fonetiche e di interferenza dall’inglese australiano,
tipiche dell’italiano parlato oggi dagli oriundi del
nostro Paese.
11
vietano qualsiasi discriminazione in base alla
lingua.
Si possono ipotizzare tre indirizzi di politica
linguistica:
• quello verso l’uniformità linguistica, per cui
un’autorità sceglie una lingua e scoraggia o
proibisce l’uso di lingue alternative. Nel
periodo moderno ne sono stati esempi i
regimi centralisti, caratterizzati da forme più
o meno spiccate di nazionalismo, come
l’Unione Sovietica, la Spagna di Franco e
l’Italia fascista che hanno visto l’imposizione
di una lingua nazionale, coincidente spesso
con la lingua della classe dirigente. Non sono
però mancati esempi di ordinamenti non
totalitari che perseguono questa via, come ad
esempio la Francia, in cui solo negli ultimi
anni, grazie ad un mutato clima politico e
all’azione dell’Unione europea e del Consiglio
d’Europa, si è potuta notare una timida
apertura verso le lingue regionali e
minoritarie, come il bretone, il corso e
l’occitano. L’atteggiamento verso le lingue
straniere, in particolare verso l’inglese, è
tuttavia caratterizzato dal rifiuto delle loro
influenze e dalla ricerca di preservare la
“purezza” del francese, “Langue de la
Republique”, dal 1992.
• quello della neutralità, per cui le autorità e le
istituzioni si astengono dall’intervenire e
lasciano che i meccanismi sociolinguistici che
determinano la nascita, l’evoluzione e la
morte di una lingua agiscano senza influenze
esterne, con il risultato che le lingue più
dinamiche, più rispondenti al mondo che
rappresentano, sopravvivranno, mentre le più
12
deboli si estingueranno. È difficile trovare
esempi di imparzialità assoluta negli Stati
moderni: è infatti necessario che sia chiaro
quali siano le lingue dell’apparato statale, le
lingue insegnate nelle scuole, le lingue usate
nei tribunali, per cui di solito le autorità
intervengono, adottando misure che
rientrano nel primo atteggiamento, di
uniformazione linguistica, o al contrario
incentivando l’uso delle lingue minoritarie.
• Quello del protezionismo, per cui lo Stato può
decidere di tutelare le lingue minoritarie e i
dialetti locali, ritenuti deboli in confronto alla
lingua nazionale o ad una lingua straniera. In
questo caso l’azione si concreta nel
permettere o nell’imporre l’uso della lingua
protetta nelle scuole, nelle istituzioni, e
nell’attribuire ad essa pari dignità rispetto
alle lingue nazionali o dominanti.
Ognuno di questi tre indirizzi presenta vantaggi e
svantaggi.
L’approccio uniformante ha il vantaggio di
semplificare il panorama linguistico di una
nazione. Nel territorio dell’Unione Sovietica, ad
esempio, erano parlate circa 300 lingue:
riconoscere l’ufficialità di ciascuna avrebbe
comportato che l’apparato statale e la produzione
normativa fossero in grado di operare in trecento
lingue: uno sforzo organizzativo ed economico
difficilmente sostenibile. D’altra parte,
l’imposizione dall’alto di una lingua percepita come
estranea può essere avvertita come una violazione
della libertà di espressione, oltre che costituire un
pesante ostacolo per chi non conosca la lingua
imposta dalle autorità. Misure di questo tipo,
inoltre, nascondono spesso intenzioni
13
discriminatorie da parte delle autorità centrali nei
confronti delle minoranze etniche collegabili agli
idiomi minoritari.
Il secondo approccio, che accetta come un fatto
ogni risultato della naturale evoluzione linguistica,
ha come vantaggio la costante corrispondenza tra
la situazione linguistica della nazione ed il suo
regime linguistico, in quanto i mutamenti
provengono dal basso e non sono imposti dall’alto.
Nella pratica, nelle società contemporanee,
potrebbe essere difficile, per l’amministrazione
statale, seguire le mutazioni di natura
sociolinguistica che si verificano nella popolazione.
Inoltre bisogna rilevare le difficoltà di carattere
politico e ideologico a cui questa soluzione
potrebbe andare incontro: lo Stato moderno ha tra
i suoi fondamenti il concetto di nazione, del quale
la lingua è una componente importante e un
approccio liberale in politica linguistica può essere
visto come un attacco all’idea stessa di Stato.
Un altro vantaggio di questa scelta è quello di non
far gravare le spese relative agli interventi di
politica linguistica sul bilancio dello Stato.
L’approccio protettivo si basa su motivazioni non
economiche: è necessario preservare una lingua
debole perché non vada perso il suo patrimonio
linguistico, al fine di tutelare la diversità e la
ricchezza culturale di un Paese. Un’esasperazione
di questo approccio concepisce le lingue come
elementi di un complesso tessuto socio-culturale
all’interno del quale non si può modificare alcun
elemento senza compromettere anche gli altri; per
preservare un idioma bisognerebbe quindi anche
mantenere in vita tutte le espressioni della cultura
materiale e sociale proprie del contesto in cui si
utilizza tale lingua, come ad esempio il tipo di
14
economia, le condizioni di vita, l’ordinamento
sociale. Quest’ultima concezione risulta poco
applicabile nelle società contemporanee,
caratterizzate da un susseguirsi ininterrotto di
scoperte e innovazioni.
La tutela delle lingue minoritarie è oggi un
problema molto sentito, in particolare nell’Europa
occidentale, ed è vista come un esigenza morale
collegata a temi quali la tolleranza, il rispetto delle
etnie e delle culture cosiddette “diverse”. Il
problema consiste però nel trovare una forma di
tutela realmente efficace che dovrebbe riguardare
non solo la lingua ma tutti i principali elementi che
caratterizzano un’etnia: sviluppo demografico,
organizzazione sociale, quadro economico
generale.
In Italia vivono molti gruppi di minoranza
linguistica. Secondo le stime del Ministero
dell’Interno circa il 5% della popolazione italiana
ha come lingua materna una lingua diversa
dall’italiano. Le costituzioni di molti Pesi europei
non contengono disposizioni specifiche riguardo la
tutela delle minoranze linguistiche, ma si limitano
a richiamare il principio di eguaglianza che vieta la
discriminazione a causa della religione, della
lingua e dell’etnia.
L’Italia, pur non avendo ancora ratificato la Carta
europea delle lingue regionali o minoritarie, si è
data, nel 1999, una specifica legge-quadro, la n.
482/99 intitolata «Norme in materia di tutela delle
minoranze linguistiche storiche».
15
IV. Censimento degli istituti e delle
associazioni degli Italiani o della lingua
italiana all’estero
Essi:
stabiliscono contatti con istituzioni, enti e
personalità del mondo culturale e scientifico
del paese ospitante e favoriscono le proposte
e i progetti per la conoscenza della cultura e
della realtà italiane o comunque finalizzati
alla collaborazione culturale e scientifica;
forniscono la documentazione e
l'informazione sulla vita culturale italiana e
sulle relative istituzioni;
promuovono iniziative, manifestazioni
culturali e mostre;
sostengono iniziative per lo sviluppo culturale
delle comunità italiane all'estero, per favorire
sia la loro integrazione nel paese ospitante
che il rapporto culturale con la patria
d'origine;
16
assicurano collaborazione a studiosi e
studenti italiani nella loro attività di ricerca e
di studio all'estero;
promuovono e favoriscono iniziative per la
diffusione della lingua italiana all'estero,
avvalendosi anche della collaborazione dei
lettori d'italiano presso le università del
paese ospitante, e delle università italiane
che svolgono specifiche attività didattiche e
scientifiche.
Sono oggi attivi 93 Istituti di Cultura nel mondo: il
52 % di essi è presente nell’Europa occidentale e
centro - orientale, il 13% in Africa settentrionale e
Medio Oriente, il 12% in America Latina, seguono
percentuali minori in America del Nord, Asia,
Africa subsahariana.
Secondo gli ultimi dati, gli Istituti hanno
organizzato complessivamente nel mondo circa
4200 corsi cui hanno partecipato più di 55.000
persone.
17
rivolti ai nostri connazionali residenti all’estero. Tali
iniziative si realizzano mediante l’istituzione di
corsi con docenti locali presso i nostri Consolati o
enti finanziati dal Governo.
Negli ultimi anni è proseguita la politica mirata
all’integrazione nel curricolo scolastico dei corsi di
lingua e cultura italiana in quei Paesi dove
maggiore è la presenza di nostre comunità
(Argentina, Brasile, Canada, Stati Uniti, Australia).
Oggi il 59% dei nostri corsi di lingua italiana è
integrato nell’orario scolastico curricolare.
Di seguito è fornito un elenco di alcune
Associazioni e Comunità italiane nel mondo.
• Emigrati d'Italia
Il sito degli italiani all'estero. Raccoglie link e
informazioni su tradizioni italiane,
associazioni, ambasciate, istituti di cultura,
legislazione.
http://www.comuni.it/servizi/emigrati/
• Altreitalie
portale di studi sulle popolazioni di origine
italiana nel mondo
Versione online della rivista edita dalla
Fondazione Agnelli. Disponibili i
full-text in pdf anche dei numeri arretrati.
http://www.altreitalie.it/
18
scopo di difendere la cultura e le tradizioni
italiane.
19
manifestazioni artistiche e musicali, assegnare
premi e borse di studio. Per mezzo dei Comitati in
Italia, la Dante Alighieri partecipa alle attività
intese ad accrescere ed ampliare la cultura della
nazione e promuove ogni manifestazione rivolta ad
illustrare l’importanza della diffusione della lingua,
della cultura e delle creazioni del genio e del
lavoro italiani.
Punto di riferimento per i Comitati dell’Italia e
dell’estero è la Sede Centrale, situata a Roma, in
Palazzo Firenze, e presieduta dall’Ambasciatore
Bruno Bottai.
Dal 1993, in base ad una convenzione con il
Ministero degli Affari Esteri, la Società Dante
Alighieri opera per la certificazione dell’italiano di
qualità con un proprio certificato PLIDA (Progetto
Lingua Italiana Dante Alighieri), riconosciuto
anche dal Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali e dal Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca, che attesta la
competenza in italiano come lingua straniera
secondo una scala di sei livelli rappresentativi di
altrettanti fasi del percorso di apprendimento della
lingua che corrispondono a quelli stabiliti dal
Consiglio d’Europa.
20
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
http://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_italiana
http://www.jus.unitn.it/cardozo/review/2002/ortolani.htm
http://it.wikipedia.org/wiki/Cocoliche
http://www.ambberlino.esteri.it/NR/rdonlyres/F057F198-
FEEE-4304-BA26-
D777AD7F4116/15279/Rapportotecnico1.pdf
21