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• LA DIUTURNITAS (o la prassi)
• L’ OPINIO JURIS AC NECESSITATIS (o convinzione della
giuridica necessità)
Quando si parla di prassi si fa riferimento ad un concreto
comportamento, ovvero ad atti giuridici che possono essere
dell’ordinamento interno o dell’ordinamento internazionale.
Ad esempio, atti giuridici dell’ordinamento internazionale possono
essere i trattati, le risoluzioni delle organizzazioni internazionali, le
proteste degli Stati o la corrispondenza diplomatica.
Gli atti interni rilevanti ai fini della prassi, invece, sono le sentenze
dei giudici, le leggi ordinarie, le leggi regionali o le norme poste in
essere da qualsiasi ente pubblico interno.
Per quanto riguarda gli organi che concorrono alla formazione della
norma consuetudinaria, si riconosce generalmente la possibilità di
partecipazione a tutti gli organi statali e non solo ai detentori del
potere estero.
Pertanto possono dare origine ad una norma consuetudinaria non
solo atti “esterni” degli Stati, ma anche atti “interni” (leggi,
sentenze, atti amministrativi), senza alcun ordine di priorità.
Un ruolo importante è svolto sicuramente dalla giurisprudenza, con
particolare riguardo alle Corti Supreme, le quali hanno il compito,
fra gli altri, di promuovere la revisione di consuetudini antiche che
contrastino con fondamentali e diffusi valori costituzionali.
Così intesi non sarebbero altro che una categoria sui generis di
norme consuetudinarie internazionali.
Secondo una simile impostazione, allora, non sarebbero principi
destinati a colmare soltanto le lacune del diritto internazionale; il
loro rapporto sarebbe invece il normale rapporto tra norme di pari
grado: la norma posteriore abroga quella anteriore e la norma
speciale deroga quella generale.
LE CONVENZIONI DI CODIFICAZIONE
• FUNZIONE DI CRISTALLIZZAZIONE
• FUNZIONE GENETICA
• FUNZIONE DICHIARATIVA
Sovranità Territoriale
Abbiamo già accennato che il diritto internazionale si snoda
tutt’intorno ai limiti all’uso della forza da parte degli Stati; forza
diretta verso l’esterno e forza diretta verso l’interno dello Stato
stesso, la c.d. forza interna che non rappresenta altro che il potere
d’imperio di uno Stato ovunque esso sia esplicato.
Esaminiamo quali sono questi limiti all’uso della forza interna,
avendo riguardo soprattutto al diritto consuetudinario.
La sovranità territoriale
Le eccezioni che per prime si sono andate affermando, sia sul piano
del diritto consuetudinario che sul piano del diritto pattizio, sono
costituite dalle norme che impongono un certo trattamento degli
stranieri, persone fisiche o giuridiche, degli organi stranieri, degli
agenti diplomatici. Molto più importanti però sono i limiti prodotti
dalle norme che perseguono valori di giustizia, di cooperazione e di
solidarietà tra i popoli.
Si tratta del divieto delle gross violations, ossia delle violazioni gravi
e generalizzate cui si è soliti riportare quelle pratiche di governo
particolarmente disumane ed efferate come l’apartheid, la
distruzione di gruppi etnici, razziali o religiosi ( genocidio) la
tortura, i trattamenti disumani, le pulizie etniche, le sparizioni di
prigionieri politici e simili.
Sulla contrarietà di siffatte pratiche allo jus cogens internazionale
concordano tutti gli Stati.
1. il genocidio
2. crimini contro l’umanità
3. crimini di guerra
4. crimine di aggressione.
Tutto ciò è stato detto per reagire soprattutto alla pretesa degli
Stati Uniti , manifestatasi soprattutto nel campo della legislazione
antitrust ed in quello del boicottaggio del commercio verso i Paesi
non amici, ad imporre obblighi alle imprese di tutto il mondo ,
ovviamente con la minaccia di colpirne beni ed interessi in territorio
statunitense. Una simile pretesa ha però sempre incontrato
l’opposizione degli altri Stati e in particolare dell’Unione europea. Si
tratta di una pretesa condannabile come fenomeno di imperialismo,
quanto meno giuridico.
• Ai capi missione
• A tutto il personale diplomatico delle missioni
• Alle famiglie degli agenti e di coloro che fanno parte del
personale
• Ai capi di Stato
• Ai Capi di Governo
• Ai Ministri degli Esteri
Inoltre, nei limiti in cui gli Stati stranieri sono immuni dalla
giurisdizione civile dello Stato territoriale, lo sono anche
le Organizzazioni internazionali. L’immunità delle
organizzazioni dalla giurisdizione può anche essere
prevista da una norma consuetudinaria essendo tante le
sentenze che l’hanno ammessa.
L’art. 10 par. 6 parla invece delle c.d. “baie storiche” , cioè quelle
baie sulle quali lo Stato costiero può vantare diritti esclusivi
consolidatesi nel tempo grazie all’acquiescenza di altri Stati. Tali
baie sono da considerare come acque interne indipendentemente
dalla loro superficie. (baie di Chaleur, Chesapeake, Delaware…)
Molto importante è focalizzare un concetto: la determinazione della
linea di base non è tanto importante ai fini della misurazione del
mare territoriale, quanto ai fini della misurazione delle zone le cui
risorse sono di pertinenza dello Stato costiero. Spostandosi verso il
largo, aumenta la possibilità di accaparramento di queste risorse.
Ciò spiega perché molti Stati hanno provveduto alla “chiusura” di
molte baie negli ultimi anni.
Per quel che riguarda i poteri dello Stato sul mare territoriale,
questi sono , in linea di principio gli stessi poteri esercitati
nell’ambito del territorio, ovviamente con le limitazioni che si
accompagnano alla sovranità territoriale.
Per quanto riguarda i poteri degli Stati diversi dallo Stato costiero
sulla zona, l’opinione maggiormente difesa, e nn respinta, è che
l’attribuzione delle risorse allo Stato costiero nn debba pregiudicare
la partecipazione degli altri Stati alle altre possibili utilizzazioni della
zona; tutti gli Stati continueranno a godere della libertà di
navigazione, di sorvolo, di posa di condotta di cavi sottomarini.
In realtà è difficile inquadrare la situazione degli altri Stati nella
zona economica in termini di libertà dei mari. Occorre riconoscere
che oggi la situazione sta mutando e la disciplina nn si caratterizza
più per il principio di libertà dei mari. Da un lato vi è il diritto dello
Stato costiero di sfruttare totalmente, esclusivamente e
razionalmente le risorse marine, dall’altro permane la possibilità
degli altri Stati di navigare, di sorvolare, di posare cavi sottomarini
etc…ma si tratta di un regime che non è improntato né alla libertà
di tutti gli Stati, né alla sovranità dello Stato costiero. I diritti hanno
carattere funzionale, nel senso che all’uno e agli altri sono
consentite soltanto quelle attività indispensabili allo sfruttamento
delle risorse e alle comunicazioni e ai traffici marittimi e aerei.
Tali fini, però, non possono essere assicurati che attraverso l’azione
di uno Stato nei confronti delle proprie navi oppure attraversala
cooperazione internazionale.
Naturalmente, trattandosi spesso di risorse esauribili, non è
ammissibile che gli Stati se ne approprino a loro arbitrio fino al
punto di sopprimere ogni possibilità di utilizzazione da parte degli
altri Paesi.
LA NAVIGAZIONE MARITTIMA
Oggi può dirsi che dottrina e prassi siano concordi nel ritenere che
lo Stato risponda solo quando non abbia posto in essere le misure
atte a prevenire l’azione o a punirne l’autore.
Non è del tutto azzardata, inoltre, la tesi per cui l’illiceità sia esclusa
quando l’osservanza di una norma internazionale urti contro i
principi fondamentali della Costituzione dello Stato. La Corte
Costituzionale italiana ha annullato le norme interne di esecuzione
di norme internazionali pattizie contrarie a principi costituzionali.
Del resto nessuno Stato ha mai avanzato proteste in casi del
genere. Ma ciò non trova riscontro nel progetto, infatti tale tesi urta
contro l’art. 32 secondo cui il diritto interno non può avere alcuna
influenza sulle conseguenze dell’illecito internazionale.
Tuttavia questa è una posizione estremamente rigida.
ANZILOTTI
L’opinione oggi più diffusa è che le conseguenze dell’illecito
consistano in una nuova relazione giuridica tra lo Stato offeso e lo
Stato offensore, discendente da una norma apposita, la c.d. norma
secondaria contrapposta alla norma primaria ossia alla norma
violata.
Secondo L’Anzilotti, le cui indagini sono alla base di questa
opinione, le conseguenze del fatto illecito consisterebbero
unicamente nel diritto dello Stato offeso di pretendere, e
nell’obbligo dello Stato offensore di fornire adeguata riparazione:
quest’ultima comprenderebbe sia il ripristino della situazione quo
ante sia il risarcimento del danno, oppure, nel cosa di danno
immateriale, la “soddisfazione” dello Stato offeso.
AGO
Importante è la tendenza a riportare sotto la norma secondaria
anche i mezzi di autotutela (che prima non avevano un autonomo
rilievo) in particolare le rappresaglie o contromisure: dal fatto
illecito discenderebbe per lo Stato offeso sia il diritto di chiedere la
riparazione, sia il diritto di ricorrere a contromisure coercitive aventi
il precipuo e autonomo scopo di infliggere una vera e propria
punizione allo Stato offensore.
AUTOTUTELA