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UNIONE EUROPEA

Fondo di Sviluppo
Europeo

Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio


Ministero dell'Economia e delle Finanze

PODIS PROGETTO OPERATIVO DIFESA SUOLO

MANUALE DI INDIRIZZO DELLE SCELTE PROGETTUALI


PER INTERVENTI DI INGEGNERIA NATURALISTICA
MANUALE DI INDIRIZZO DELLE SCELTE PROGETTUALI PER INTERVENTI DI
INGEGNERIA NATURALISTICA

A cura di:
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio
Direzione Generale per la Difesa del Suolo
Progetto Operativo Difesa Suolo

Direttore Generale Difesa Suolo


Ing. Mauro Luciani

Responsabile PODIS
Ing. Giovanni Onorato

Direttore Operativo PODIS


Ing. Felice Buggè

Coordinatore Area Tecnica


Ing. Laura Cutaia

Redazione Revisione
Ing. Dott. Nat. Paolo Cornelini Ing. Chiara Biscarini
Dott. Nat. Giuliano Sauli Ing. Laura Cutaia
Geol. Grazia Varacalli
Geol. Luca Olivetta

Si ringrazia l’Ing. Gabriele Felli per il contributo fornito in fase di avvio dell’attività

© Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio 2005

I diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o parziale sono riservati per tutti i Paesi.
Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta, registrata o trasmessa con qualsiasi mezzo:
elettronico, elettrostatico, meccanico, fotografico, magnetico (compresi microfilm, microfiches e copie
fotostatiche).

Impaginazione e stampa:
Roma 2005 - Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A. - Salario

PODIS - Progetto Operativo Difesa Suolo - PON ATAS 2000-2006 - Asse II Misura II.2
Via Cristoforo Colombo n. 112 - 00147 Roma
www.podis.it

Foto di copertina dell’Ing. Gino Menegazzi “Interventi di ingegneria naturalistica nel Parco Nazionale del Vesuvio”
Autori
Ing. Dott. Nat. Paolo Cornelini
Dott. Nat. Giuliano Sauli

Contributi specialistici
Prof. Ing. Salvatore Puglisi Cap. 1.3
Dott. Geol. Alessandro Trigila Cap. 2.1
Dott. Geol. Irene Rischia Cap. 2.1
Prof. Sergio Malcevschi Cap. 2.3
Dott.Agr. Andrea Pietro Corapi Cap. 2.3
Dott. For. Fabio Palmeri Cap. 3
Dott. Geol. Massimo Comedini Cap. 4.3.1
Dott. Geol. Giancarlo Bovina,
Dott. Geol. Carlo Callori Di Vignola,
Dott. Geol. Massimo Amodio Cap. 5.8.2
Roberto Ferrari Cap. 6

Il fumetto “Salvatore” del cap. 8 è stato ideato da Paolo Cornelini, disegnato da Olivia
Iacoangeli ed informatizzato da Chiara Biscarini

Le figure riportate nei capitoli sono opera originale degli autori ove non altrimenti spe-
cificato

Disegni
Dott. Geol. Olivia Iacoangeli
Geom. Licia Cociancich

Collaboratori
Dott. Nat. Cristina Loss
Dott. Nat. Viviana Zago
Andrea Giorgi

Si ringraziano per il contributo nella elaborazione delle schede tecniche del cap. 5:
Ing. Mariano Lucio Alliegro
Ing. Ignazio Balzamo

III
Ing. Carlo Bifulco
P. Agr. Carlo Bonelli
Dott. Geol. Giancarlo Bovina
Geom. Antonio Bosco
Ing. Antonio Bruzzese
Dott. Nat. Teresa Carone
Dott. Geol. Giuseppe Doronzo
Dott. Nat. Alessandro Facen
Ing. Nando Ferranti
Dott. Agr. Antonello Liberatore
Ing. Aldo Marcello
Ing. Gino Menegazzi
Dott. For. Chiara Milanese
Geom. Sabatino Panzitta
Ing. Gianluigi Pirrera
Dott. Geol. Giovanni Pinzani
Geom. Domenico Portose
Dott. For. Paolo Prosperi
Dott. For. Giuseppe Puddu
Ing. Lionello Sacchetti
Ing. Aleandro Tinelli
Arch. Antonio Trivisani

Un ringraziamento particolare al Dott. Agr. Emanuele Guidi del Dipartimento Territorio


Ambiente della Repubblica di S. Marino

Elenco delle schede del cap.5 con indicazione dei compilatori:

Idraulica
F. Tanagro (SA) Mariano Alliegro, Paolo Cornelini
Alaco (CZ,VV) Antonio Bosco, Paolo Cornelini, Aldo Marcello
Vieste (FG) Carlo Bonelli
Mattinata(FG) Carlo Bonelli
T. Farinella (PA) Ignazio Balzamo, Giovanni Pinzani, Giuliano Sauli
Roccella (PA) Ignazio Balzamo, Giovanni Pinzani, Giuliano Sauli
Nora (CA) Paolo Cornelini, Alessandro Facen, Giuliano Sauli
Rio Inferno (FR) Paolo Cornelini
Rio Fontanelle (FR) Paolo Cornelini

IV
Rio Valleluce (FR) Paolo Cornelini
F. Fella (UD) Cristina Loss, Giuliano Sauli, Viviana Zago
Rio Anonimo (UD) Cristina Loss, Giuliano Sauli, Viviana Zago

Versanti
Vesuvio (NA) Carlo Bifulco, Paolo Cornelini, Gino Menegazzi
Pomigliano d’Arco(NA) Giuseppe Doronzo
Titerno (BN) Mariano Alliegro, Antonio Bruzzese, Paolo Cornelini
S. Giov. Rotondo(FG) Carlo Bonelli
Bernalda (MT) Antonio Trivisani
Rocca di Caccamo(PA) Ignazio Balzamo, Giovanni Pinzani, Giuliano Sauli
Collesano (PA) Gianluigi Pirrera, Giuliano Sauli
Contuberna (AG) Gianluigi Pirrera, Giuliano Sauli
Colle S. Michele(CA) Alessandro Facen, Giuliano Sauli
Atina (FR) Paolo Cornelini
Alta Versilia(LU, MC) Paolo Cornelini, Alessandro Trigila
Repubblica S. Marino Emanuele Guidi

Aree percorse dal fuoco


Joppolo (VV) Paolo Cornelini, Domenico Cortose, Sabatino Panzitta
Pizzoli (AQ) Paolo Cornelini, Antonello Liberatore, Lionello Sacchetti

Strade e ferrovie
Blufi (PA) Ignazio Balzamo, Giovanni Pinzani, Giuliano Sauli
Pula (CA) Paolo Cornelini, Alessandro Facen, Giuliano Sauli
Arezzo Paolo Cornelini, Giuliano Sauli

Cave e discariche
Priverno (LT) Paolo Cornelini, Nando Ferranti, Chiara Milanese
Paolo Prosperi
Scoria (TS) Giuliano Sauli
Fanna (Maniago, PN) Giuliano Sauli
Gonnesa (CA) Giuliano Sauli

Condotte interrate
Bernalda (BR) Giuliano Sauli
Malborghetto (UD) Cristina Loss, Giuliano Sauli, Viviana Zago

V
Sistemazioni costiere
Nova Siri (MT) Antonio Trivisani
Circeo (LT) Giancarlo Bovina, Giuliano Sauli

VI
PRESENTAZIONE

Il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, Direzione Generale Difesa


Suolo, attraverso il Progetto Operativo Difesa Suolo (PODIS) finanziato dal Quadro
Comunitario di Sostegno (QCS, programmazione 2000-2006), svolge attività di sup-
porto alle Regioni dell'Obiettivo 1 nell'attuazione delle misure previste nei rispettivi
Programmi Operativi Regionali in materia di difesa del suolo.
A tal fine il Ministero in attuazione del PODIS ha costituito un insieme organico
di strutture funzionali a queste necessità: una struttura centrale di coordinamento ed una
rete di unità locali presso le quali operano esperti che forniscono assistenza tecnica ed
operativa alle Regioni ed agli Enti Locali.
L'unità centrale di coordinamento si occupa altresì di mettere a disposizione delle
Regioni e degli Enti Locali volumi tecnici e linee guida contenenti le metodologie e le
esperienze più avanzate e consolidate per una migliore ed efficace soluzione delle pro-
blematiche afferenti i processi di attuazione della Programmazione Operativa
Regionale nel settore della difesa del suolo nell’ambito delle seguenti tematiche: idrau-
lica, idrogeologia, geotecnica, difesa delle coste e dei litorali, ingegneria naturalistica,
aspetti amministrativi.
Tali testi si configurano come una vera e propria collana di cui ad oggi sono stati
già pubblicati alcuni volumi che hanno riscosso un notevole successo presso le
Pubbliche Amministrazioni ed operatori del settore.
Le tematiche dell’ingegneria naturalistica costituiscono l’oggetto del presente
volume, con particolare riferimento alle applicazioni relative alla difesa del suolo. Il
testo, corredato da schede tecniche ed esempi di interventi realizzati nelle regioni ita-
liane dell’Obiettivo 1, si configura come un utile strumento di ausilio progettuale per
quanti vogliano affrontare le problematiche della difesa del suolo ricorrendo anche alle
ormai consolidate tecniche dell’ingegneria naturalistica.
La redazione del volume è stata affidata a noti esperti del settore autori di altre pub-
blicazioni sull’argomento nonché di numerosi interventi progettuali, ampiamente docu-
mentati nel testo stesso.

Il v. Ministro
(On. Francesco NUCARA)

VII
PREFAZIONE

Il Manuale di Indirizzo si inserisce nell'ormai vasta produzione di testi di ingegne-


ria naturalistica ad opera di molte Regioni italiane e del Ministero dell'Ambiente e
della Tutela del Territorio, proponendosi come testo base per la conoscenza e la diffu-
sione dell'ingegneria naturalistica e lasciando gli approfondimenti ad altri manuali
specialistici di recente pubblicazione.
Il manuale ha lo scopo di fornire ai progettisti ed ai responsabili del procedimen-
to uno strumento operativo agile e di semplice consultazione per impostare sin dall'ini-
zio un progetto di difesa del suolo secondo gli standard previsti dal Regolamento di
attuazione della Legge Quadro in materia di lavori pubblici. L’art. 15.5 della L. Q. pre-
vede che già nella redazione del documento preliminare all'avvio della progettazione
venga esaminata la possibilità del ricorso alle tecniche di ingegneria naturalistica.
La novità del Manuale di Indirizzo consiste nell'affrontare le scelte progettuali
complessive con un approccio integrato che parte dall'analisi dei casi (frane, sistema-
zioni idrauliche, etc.) piuttosto che dalla descrizione delle tecniche.
Una parte qualificante è, quindi, quella della casistica presentata con le schede,
corredate di schemi sintetici e documentazione fotografica, dei più significativi inter-
venti di ingegneria naturalistica sia delle regioni meridionali sia a livello nazionale.
Per la compilazione delle schede è stata necessaria una vasta campagna di sopralluo-
ghi, unitamente ad una analisi dei dati progettuali, ove disponibili, resa possibile gra-
zie alla collaborazione dei tecnici locali.
Vengono anche riportati, come contributo ad una migliore realizzazione degli
interventi, i più frequenti errori nella realizzazione delle opere di ingegneria naturali-
stica e, novità assoluta, una descrizione a fumetti del corretto iter procedurale da parte
di "Salvatore".

PAOLO CORNELINI E GIULIANO SAULI

IX
INDICE DEL MANUALE

PRESENTAZIONE ................................................................................... Pag. VII

PREFAZIONE........................................................................................... » XI

1. INTRODUZIONE........................................................................... » 1
1.1 DEFINIZIONI, METODI, FINALITÀ ........................................................ » 1
1.2 CRONISTORIA EUROPEA..................................................................... » 5
1.3 I PIÙ SIGNIFICATIVI INTERVENTI DI DIFESA DEL SUOLO MEDIANTE SISTE-
MAZIONI IDRAULICO-FORESTALI AGLI INIZI E DURANTE IL XX SECOLO
IN BASILICATA, CAMPANIA, PUGLIA .................................................. » 8
1.3.1 Introduzione .................................................................................... » 8
1.3.2 Basilicata ........................................................................................ » 8
1.3.3 Campania ........................................................................................ » 10
1.3.4 Puglia .............................................................................................. » 10
1.4 DEONTOLOGIA .................................................................................. » 24
1.4.1 Premessa ......................................................................................... » 24
1.4.2 Principi di base............................................................................... » 25
1.5 NORMATIVA DI RIFERIMENTO ............................................................. » 28
1.5.1 Leggi nazionali e regionali con riferimenti all'ingegneria natura-
listica............................................................................................... » 28
1.5.2 Aspetti Normativi ............................................................................ » 32

2. IL TERRITORIO DELLE REGIONI MERIDIONALI ITALIANE


E POSSIBILI APPLICAZIONI DELL'INGEGNERIA NATURA-
LISTICA NELLA PIANIFICAZIONE TERRITORIALE............. » 35
2.1 LINEAMENTI GEOMORFOLOGICI DELLE REGIONI MERIDIONALI ........... » 35
2.1.1 Puglia .............................................................................................. » 35
2.1.2 Calabria .......................................................................................... » 38
2.1.3 Sicilia .............................................................................................. » 42
2.1.4 Basilicata ........................................................................................ » 46
2.1.5 Sardegna.......................................................................................... » 49
2.1.6 Campania ........................................................................................ » 52
2.2 LA VEGETAZIONE DELL’ITALIA MERIDIONALE .................................... » 57
2.2.1 La macchia a oleastro e carrubo (Oleo-Ceratonion)..................... » 57
2.2.2 La lecceta (Quercion ilicis) ............................................................ » 59
2.2.3 I querceti a caducifoglie (Quercion pubescenti petraeae) ............. » 59
2.2.4 Le faggete della fascia montana (Geranio-Fagion) ....................... » 60

XI
2.3 L'INGEGNERIA NATURALISTICA NELLA PIANIFICAZIONE TERRITORIALE
E SETTORIALE .................................................................................... Pag. 61
2.3.1 L'ingegneria naturalistica dal progetto al piano ............................ » 61
2.3.2 I settori di governo pianificati e l'ingegneria naturalistica............ » 63
2.3.3 Un caso particolare: la situazione della Lombardia...................... » 67

3. ELEMENTI DI BIOTECNICA ...................................................... » 69


3.1 IL RUOLO DELLE PIANTE NELLA STABILITÀ DEI VERSANTI................... » 69
3.2 CARATTERISTICHE BIOTECNICHE DELLE PIANTE .................................. » 71
3.2.1 Capacità di consolidare il terreno.................................................. » 73
3.2.2 Resistenza degli apparati radicali .................................................. » 74
3.2.3 I Salici ............................................................................................. » 78

4. LA PROGETTAZIONE DEGLI INTERVENTI DI INGEGNERIA


NATURALISTICA ......................................................................... » 81
4.1 INTRODUZIONE .................................................................................. » 81
4.2 ANALISI STAZIONALE BOTANICA PER LA SCELTA DELLE SPECIE E DELLE
TIPOLOGIE VEGETAZIONALI DI PROGETTO ........................................... » 81
4.2.1 Analisi floristica.............................................................................. » 82
4.2.2 Analisi fitosociologica..................................................................... » 83
4.2.3 Metodologia tipo di analisi botanica.............................................. » 85
4.3 IL PROGETTO BOTANICO ..................................................................... » 86
4.3.1 Elenco indicativo delle specie legnose autoctone comuni nelle re-
gioni meridionali............................................................................. » 87
4.4 L'IMPIEGO DEI MATERIALI PER L’INGEGNERIA NATURALISTICA NELLE
REGIONI MERIDIONALI ...................................................................... » 93
4.4.1 Premessa ......................................................................................... » 93
4.4.2. I materiali........................................................................................ » 94
4.5 ESEMPI DI ELABORATI PROGETTUALI TIPO .......................................... » 103
4.5.1 Progetto preliminare ....................................................................... » 103
4.5.2 Progetto definitivo........................................................................... » 104
4.5.3 Progetto esecutivo ........................................................................... » 104
4.6 VALUTAZIONE DEI PROGETTI DI INGEGNERIA NATURALISTICA ............. » 134
4.6.1 Valutazione dei progetti .................................................................. » 134
4.6.2 Linee guida per la valutazione dei progetti di I.N.......................... » 134

5. I SETTORI DI INTERVENTO DELL’INGEGNERIA NATURA-


LISTICA ......................................................................................... » 137
5.1 IDRAULICA ........................................................................................ » 137
5.1.1 Criteri di progettazione naturalistica ............................................. » 137

XII
5.1.2 Scheda di valutazione della qualità ambientale di un corso d’acqua. Pag. 140
5.1.3 Scelta delle tipologie di intervento ................................................. » 144
5.1.4 Valutazione della scabrezza in presenza di vegetazione................. » 147
5.1.5 Parametri ideologici da considerare nel calcolo delle opere di I.N. » 148
5.2 VERSANTI ......................................................................................... » 186
5.2.1 Possibilità d’impiego delle tecniche di ingegneria naturalistica nel-
le principali tipologie di dissesto.................................................... » 186
5.2.2 Tecniche di ingegneria naturalistica applicabili ai versanti nelle
regioni meridionali.......................................................................... » 188
5.2.3 Criteri di scelta delle tecniche........................................................ » 195

5.3 AREE PERCORSE DAL FUOCO ............................................................. » 233


5.3.1 Introduzione .................................................................................... » 233
5.3.2 Problemi di dissesto idrogeologico indotti dagli incendi boschivi. » 233
5.3.3 Gli interventi di recupero e ricostruzione della copertura vegeta-
zionale ............................................................................................. » 235
5.3.4 Interventi di difesa del suolo .......................................................... » 237
5.4 STRADE E FERROVIE .......................................................................... » 242
5.4.1 Premessa ......................................................................................... » 242
5.4.2 Tipologie degli interventi ................................................................ » 243
5.4.3 Opere di sostegno............................................................................ » 252
5.4.4 Rivegetazione a lato strada............................................................. » 252
5.5 CAVE ................................................................................................ » 267
5.5.1 Cave di pianura............................................................................... » 267
5.5.2 Cave di monte ................................................................................. » 269
5.6 DISCARICHE ...................................................................................... » 281
5.6.1 Discariche di RSU e RTN ............................................................... » 282
5.6.2 Discariche di inerti ......................................................................... » 285
5.6.3 Discariche minerarie ...................................................................... » 286
5.7 CONDOTTE INTERRATE....................................................................... » 290
5.7.1 Riutilizzo dei substrati pedologici................................................... » 290
5.7.2 Tecniche di ingegneria naturalistica............................................... » 290
5.8 SISTEMAZIONI COSTIERE E DUNALI .................................................... » 300
5.8.1 Porti e aree contermini ................................................................... » 300
5.8.2 L’approccio dell’ingegneria naturalistica nella conservazione de-
gli ambienti dunali .......................................................................... » 300
5.8.3 Le aree lagunari.............................................................................. » 307

XIII
Indice

6. FREQUENTI TIPI DI ERRORI NELL’ESECUZIONE DI INTER-


VENTI DI INGEGNERIA NATURALISTICA ............................. Pag. 313
6.1 ERRORI DERIVANTI DALLA NON CORRETTA GESTIONE DEL SITO DI IN-
TERVENTO ......................................................................................... » 313
6.2 ERRORI DERIVANTI DALLA NON CORRETTO UTILIZZO DI MATERIALE NA-
TURALE VIVO .................................................................................... » 317
6.3 ERRORI DERIVANTI DALLA NON CORRETTO UTILIZZO DI MATERIALE NA-
TURALE MORTO ................................................................................. » 317
6.4 ERRORI DERIVANTI DALLA NON CORRETTO UTILIZZO DI MATERIALE
INERTE .............................................................................................. » 319
6.5 ERRORI DERIVANTI DALLA NON CORRETTO UTILIZZO DI MATERIALE
TRADISIONALE E SINTETICO ............................................................... » 322
6.6 ERRORI COMUNI NELLA REALIZZAZIONE GENERALE ........................... » 322

7. SCHEDE DELLE PRINCIPALI TECNICHE DI INGEGNERIA


NATURALISTICA ......................................................................... » 327
Interventi antierosivi
7.1 SEMINA ............................................................................................. » 328
7.2 IDROSEMINA ...................................................................................... » 329
7.3 IDROSEMINA A SPESSORE ................................................................... » 330
7.4 BIOSTUOIE ........................................................................................ » 331
7.5 STUOIE SINTETICHE TRIDIMENSIONALI ............................................... » 333
7.6 STUOIE SINTETICHE BITUMATE ........................................................... » 334
7.7 RIVESTIMENTO VEGETATIVO IN RETE METALLICA E STUOIA ................ » 337
Interventi stabilizzanti
7.8 MESSA A DIMORA DI TALEE ............................................................... » 340
7.9 MESSA A DIMORA DI ARBUSTI ........................................................... » 343
7.10 MESSA A DIMORA DI ALBERI ............................................................. » 345
7.11 COPERTURA DIFFUSA ......................................................................... » 347
7.12 TRAPIANTI DAL SELVATICO ................................................................ » 349
7.13 VIMINATA VIVA SEMINTERRATA .......................................................... » 351
7.14 GRADONATA VIVA ............................................................................. » 353
7.15 CORDONATA VIVA .............................................................................. » 355
7.16 FASCINATA VIVA ................................................................................ » 357
7.17 PALIZZATA VIVA ................................................................................ » 359
Interventi di consolidamento
7.18 GRATA VIVA ...................................................................................... » 361
7.19 PALIFICATA VIVA DOPPIA ................................................................... » 363
7.20 PALIFICATA VIVA ROMA ..................................................................... » 365
7.21 GABBIONATA VIVA............................................................................. » 368

XIV
Indice

7.22 MATERASSO RINVERDITO................................................................... Pag. 370


7.23 SCOGLIERA RINVERDITA .................................................................... » 372
7.24 TERRA RINFORZATA RINVERDITA........................................................ » 374
7.25 BRIGLIA VIVA IN LEGNAME E PIETRAME ............................................. » 376

8. SINTESI A VIGNETTE................................................................. » 379

BIBLIOGRAFIA....................................................................................... » 387

XV
Introduzione

1. INTRODUZIONE
1.1. DEFINIZIONI, METODI, FINALITÀ
L’ingegneria naturalistica è una disciplina tecnica che utilizza le piante vive negli
interventi antierosivi e di consolidamento, in genere in abbinamento con altri materiali
(paglia, legno, pietrame, reti metalliche, biostuoie, geotessuti, etc).
I campi di applicazione sono vari e spaziano dai problemi classici di erosione dei
versanti, delle frane, delle sistemazioni idrauliche in zona montana, a quelli del reinse-
rimento ambientale delle infrastrutture lineari (scarpate stradali e ferroviarie, condotte
interrate, canali), a quelli delle cave e discariche, delle sponde dei corsi d’acqua plani-
ziali, degli insediamenti industriali e altre infrastrutture puntuali, dei consolidamenti
costieri, a quelli dei semplici interventi di rinaturalizzazione e ricostruzione di elemen-
ti delle reti ecologiche.
Le finalità riconosciute degli interventi di ingegneria naturalistica (I.N.) sono prin-
cipalmente quattro:
1) tecnico-funzionali: con riferimento all’efficacia ad esempio antierosiva e di
consolidamento di un versante franoso, di una sponda o di una scarpata stradale;
2) naturalistiche: in quanto non semplice copertura a verde, ridotta spesso ad
una semplice semina, ma ricostruzione o innesco di ecosistemi paranaturali mediante
impiego di specie autoctone degli stadi delle serie dinamiche della vegetazione natura-
le potenziale dei siti di intervento;
3) paesaggistiche: di “ricucitura” del paesaggio naturale circostante, effetto
strettamente collegato all’impiego di specie locali;
4) economiche: in quanto strutture competitive e alternative ad opere tradi-
zionali (ad esempio muri di controripa sostituiti da palificate vive o da terre verdi rin-
forzate).
All’interno del filone dell’ingegneria naturalistica si delineano in realtà tre princi-
pali settori, spesso collegati in sede operativa:
• la “rinaturazione” o “rinaturalizzazione” vera e propria cioè la ricostruzione di
biotopi o ecosistemi paranaturali, non collegata ad interventi funzionali anche
se talvolta realizzata quale opera “compensatoria”. Ad esempio la realizzazio-
ne di un biotopo umido o di un’area boscata realizzati in zona agricola nel-
l’ambito del progetto di una nuova infrastrutture viaria;
• l’ingegneria naturalistica in senso stretto, cioè la realizzazione di sistemi
antierosivi, stabilizzanti o di consolidamento realizzati con piante vive abbi-
nate ad altri materiali, talvolta alternativi ad opere cosiddette “in grigio” cioè
realizzate in calcestruzzo;
• i provvedimenti per la fauna, anche semplicemente tecnologici, e in particola-
re quelli per garantire la continuità degli habitat (rampe di risalita per pesci,
sottopassi per anfibi, sottopassi e sovrappassi per ungulati etc).
Gli interventi di I.N. si differenziano da quelli di tipo tradizionale principalmente
attraverso le analisi stazionali delle condizioni delle singole superfici di intervento con
riferimento ad alcuni parametri fondamentali, la cui conoscenza è condizione prima del
successo dell’intervento legato, come si è detto, alla crescita delle piante.

1
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Per quanto riguarda la vegetazione si adotta normalmente la classificazione


della scuola fitosociologica di Braun - Blanquet modificata da Pignatti e si fa riferi-
mento alle associazioni vegetali di cui c’è ormai buona conoscenza su tutto il terri-
torio nazionale.
Spesso nelle aree di progetto non sono più presenti le associazioni naturali dei luo-
ghi. Si fa riferimento in tal caso alla vegetazione “potenziale” ed in particolare agli stadi
delle serie dinamiche più attinenti con le singole condizioni di intervento.
Anche per la selezione delle specie di possibile impiego ci si riferisce a quelle
spontanee presenti o potenziali della stazione. Alcuni gruppi sono più importanti di
altri per le caratteristiche biotecniche che li rendono utilizzabili negli interventi di
I.N.. Classico è l’impiego di specie arbustive (più che arboree) inclusi i suffrutici,
e nell’ambito delle erbacee di specie delle famiglie delle graminacee e delle
leguminose.
Alcune particolarità vi sono anche nelle tecniche di propagazione, in particolare
nell’uso di talee legnose di specie adatte alla riproduzione vegetativa a pieno campo.
Classico il genere Salix utilizzato in tutta l’Europa centrale, ma anche di altri generi
quali Tamarix, Atriplex, Nerium, etc in fase iniziale di applicazione in tutta l’area medi-
terranea.
Si dà per scontato l’uso quasi esclusivo di specie autoctone derivate da materiale di
propagazione locale per evitare insuccessi o contaminazioni genetiche ed ecologiche in
generale.
L’uso delle piante locali garantisce l’idoneità generale alle condizioni geo-pedolo-
giche e fitoclimatiche del luogo fermi restando i problemi legati al periodo stagionale
ed alle condizioni microambientali di messa a dimora.
Vengono elencati di seguito i principali settori di indagine utili nella formulazione
di progetti ed esecuzione di opere di I.N. (vedi anche figura 1.1):
• l’esame delle caratteristiche topoclimatiche e microclimatiche di ogni super-
ficie di intervento;
• l’analisi del substrato pedologico con riferimento alle caratteristiche organi-
che, chimiche, fisiche ed idrologiche dei suoli naturali del sito e/o di quelli
disponibili per gli interventi, in funzione degli ammendanti e correttivi da
impiegare;
• l’esame delle caratteristiche geolitologiche e geomorfologiche;
• le verifiche geotecniche e idrauliche;
• la valutazione delle possibili interferenze reciproche con l’infrastruttura. Ad
esempio per una strada: la presenza di sali antigelo, l’interferenza della
vegetazione con la sagoma limite, il possibile indotto e/o interferenze fauni-
stiche;
• la base conoscitiva, floristica e fitosociologica con particolare riferimento alle
serie dinamiche della vegetazione potenziale naturale degli ecosistemi interes-
sati per l’efficace selezione delle specie da impiegare;
• la selezione delle miscele di sementi delle specie erbacee in funzione dell’ef-
ficacia antierosiva, dei processi di organicazione dell’azoto, della progressiva
sostituzione delle specie impiegate con le specie selvatiche circostanti;

2
Introduzione

• l’impiego di fiorume o di miscele di specie autoctone prodotte da ditte specia-


lizzate;
• l’accurata selezione del materiale da propagazione e delle specie vegetali da
impiegare con particolare riferimento a quelle arbustive (da vivaio, da trapian-
to dal selvatico, mediante talee legnose, etc), zolle erbose da trapianto, utiliz-
zo di stoloni o rizomi. Vengono utilizzate le specie autoctone derivate quanto
più possibile da materiale locale;
• la valutazione delle caratteristiche biotecniche e in particolare delle capacità
antierosive e di stabilizzazione legate all’apparato radicale delle specie impie-
gate;
• l’utilizzo di materiali tradizionali (legname, pietrame, reti metalliche, etc), ma
anche di materiali di nuova concezione (stuoie, geotessuti sintetici, polimeri)
in abbinamento a piante o parti di esse;
• l’abbinamento della funzione antierosiva con quella di reinserimento ambien-
tale e naturalistico;
• il miglioramento nel tempo delle due funzioni sopra citate a seguito dello svi-
luppo delle parti epigee e ipogee delle piante impiegate, con la sostituzione
progressiva delle funzioni delle componenti artificiali dell’opera ed il loro
mascheramento.

Figura 1.1: Settori di analisi finalizzate ad opere di mitigazione con tecniche di


Ingegneria Naturalistica (da Manuale 2 Regione Lazio)

3
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Si tratta chiaramente di una disciplina “trasversale” che fa capo a vari settori tecni-
co-scientifici di cui si utilizzano, a fini applicativi, dati sintetici di analisi e di calcolo.
Le tecniche di ingegneria naturalistica sinora applicate nel Centro Europa sono
circa un centinaio e si possono distinguere nelle seguenti categorie (Schiechtl,1992 –
A.A.V.V. 1997):
1) di rivestimento o antierosivi (tutti i tipi di semina, stuoie, materassini semi-
nati, etc.);
2) stabilizzanti (messa a dimora di arbusti, talee, fascinate, gradonate, cordo-
nate, viminate, etc.);
3) combinati di consolidamento (palificate vive, muri, grate vive, muri a secco
con talee, cuneo filtrante, gabbionate e materassi verdi, terre rinforzate, etc.);
4) particolari (barriere antirumore e paramassi, opere frangivento, etc.).
Si tratta dunque soprattutto di effettuare il consolidamento superficiale e profondo
ed il contemporaneo reinserimento naturalistico di versanti franosi, sistemazioni mon-
tane nonché di scarpate e superfici instabili abbinate alla realizzazione e gestione di
infrastrutture (strade, ferrovie, cave, opere idrauliche, etc), in base ad una esigenza di
riqualificazione dell’ambiente ormai universalmente riconosciuta.
A livello nazionale vi è ormai un grosso fermento di acquisizione di strumenti tec-
nici e normativi nei settori della rinaturalizzazione e dell’ingegneria naturalistica, sia da
parte dei professionisti che dei funzionari pubblici e delle imprese.
È questo un settore ormai largamente affermato in Italia, sull’esempio del resto
d’Europa dove la disciplina vanta molti decenni di anzianità. La società tedesca
(Gesellschaft für Ingenieurbiologie) opera dal 1980, ma interventi sistematici di Ingegneria
naturalistica vennero iniziati in Austria, Germania e Svizzera già nel dopoguerra.
Il successo assunto recentemente in Italia dal settore è dovuto ad una sensibilità
generalizzata per i problemi ambientali ed è in particolare collegata all’affermarsi a tutti
i livelli amministrativi delle procedure di Valutazione di Impatto Ambientale. Gli inter-
venti di ingegneria naturalistica infatti rientrano nel filone degli interventi di mitigazio-
ne che fanno ormai parte integrante delle progettazioni infrastrutturali e del territorio.
Questa attività è per buona parte legata alla progettazione degli interventi di “ricu-
citura” del territorio attraversato, in particolare nei settori infrastrutturali e produttivi
(strade, ferrovie, cave, discariche, etc) per i quali i metodi dell’ingegneria naturalistica
forniscono nuove soluzioni e notevoli possibilità di abbinamento della funzione tecni-
ca (consolidamento di scarpate) con quella naturalistica di ricostruzione del verde.
Si parla di verde, ma in realtà è più esatto parlare (come già detto sopra) di rico-
struzione di ecosistemi paranaturali riferiti agli stadi delle serie dinamiche naturali
(potenziali) della vegetazione delle aree di intervento. In ciò l’ingegneria naturalistica
si differenzia dalle normali pratiche di giardinaggio ornamentale o architettonico lega-
te in genere alle zone urbanizzate.
La realtà territoriale italiana è talmente varia da consentire praticamente l’impiego
di quasi tutte le tecniche riconosciute a livello europeo. Ciò nonostante in sede proget-
tuale ed esecutiva andrà effettuato un grosso sforzo di traduzione ed adattamento sia per
quanto riguarda le specie da impiegare e gli ecosistemi di riferimento, sia di conseguen-
za per le tecniche ed i materiali. Questo sforzo di adattamento andrà fatto soprattutto a
livello di singole regioni introducendo varianti specifiche locali.

4
Introduzione

1.2 CRONISTORIA EUROPEA


Fonte AIPIN
L’impiego delle piante vive e del legname per le costruzioni in terra è documenta-
to sin dall’antichità (Babilonesi, Cina, Impero romano). L’uso delle tecniche tradizio-
nali di ingegneria naturalistica nel centro Europa è altrettanto documentato sin dalla
fine del 1800-primi 1900.
Risale al 1951 il primo libro inerente l’ingegneria naturalistica dal titolo
“Ingenieurbiologie” scritto da Kruedener. Tuttavia numerose sono già le esperienze
e le applicazioni sistematiche in Centro Europa a partire dal 1948, grazie a vari auto-
ri, in particolare l’austriaco H. M. Schiechtl, che può senz’altro essere definito il
“padre” dell’ingegneria naturalistica moderna (morto il 14 giugno 2002 all’età di 81
anni).
Dal 1970 si assiste alla sistematica applicazione delle tecniche di I.N. nel Centro
Europa in tutti i settori del territorio e infrastrutturali.
È del 1973 la pubblicazione del primo manuale in tedesco “Sicherungsarbeiten
im Landschaftsbau”, di H. M. Schiechtl. Nello stesso anno il testo viene tradotto
anche italiano, con il titolo “Bioingegneria forestale”. Vari autori contemporanea-
mente pubblicano in Italia numerosi articoli inerenti lo stesso argomento (Dragogna,
Watschinger, Schiechtl).
Nel 1972 viene fondata negli Stati Uniti la “National Erosion Control Association”
trasformata subito dopo in “International” (IECA), associazione che raccoglie princi-
palmente i produttori di materiali e tecnologie per la difesa dall’erosione.
Nel 1978 l’Azienda Speciale Bacini Montani dell’Alto Adige, grazie all’attività di
F. Florineth, avvia una serie di interventi sistematici di I.N. in zona montana e alpina.
Tale attività dura tuttora.
Nel 1980 viene fondata in Germania la “Gesellschaft für Ingenieurbiologie”, che
sarà promotrice, a partire dal 1983, di numerosi congressi ed escursioni tecniche
sull’I.N.
A partire dal 1984 inizia anche nel resto dell’Italia l’esecuzione di interventi in
cave e strade (Sauli), in zona montana (Provincia Autonoma di Trento - Carbonari e
Mezzanotte) e iniziano anche sistematiche pubblicazioni sul tema dell’I.N. (Florineth,
Sauli, Kipar, AA. VV.).
Con il 1988 vengono emanati leggi e decreti sull’impatto ambientale con inseri-
mento graduale in tutti i progetti di interventi con tecniche di I.N. ed espletamento di
numerosi cantieri con tecnologie innovative (geotessili, terre rinforzate, biostuoie, etc.),
tuttavia non ancora considerabili veri e propri interventi di I.N.
Nel 1989 viene fondato in Svizzera il “Verein für Ingenieurbiologie”.
Nel 1989 viene fondata anche in Italia la “Associazione Italiana Per la Ingegneria
Naturalistica” (A.I.P.N.) con sede nazionale a Trieste.
A partire dal 1990 vengono pubblicati periodicamente articoli specifici sulla
Rivista ACER.
Contemporaneamente compaiono i primi Capitolati su opere di I.N. (Regione
Sicilia, Regione Basilicata, Provincia Autonoma di Bolzano,etc.).

5
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Nel 1990 viene organizzato a Torino il Primo Congresso di Ingegneria Naturalistica,


durante il quale viene definito il termine ufficiale di ‘Ingegneria Naturalistica’ quale tra-
duzione del tedesco ‘Ingenieurbiologie’. Venne abbandonata la dizione “Bioingegneria”
usata sino a quel momento, per la possibile confusione con la bioingegneria medica.
Quali attività promosse dall’AIPIN dal 1990 si susseguono nel tempo numerosi
Congressi Nazionali e Internazionali, Workshop, seminari ed escursioni tecniche gui-
date ad opere eseguite e cantieri. Vengono avviati i primi corsi con cantieri didattici teo-
rico-pratici.
Vengono istituiti inoltre numerosi Comitati Tecnici AIPIN, quali: Glossario,
Capitolato, Codice Deontologico, Interferenze Faunistiche, Geotecnica - Idraulica,
Ecosistemi Filtro. Con il 1993 iniziano le attività dei Comitati Glossario e Capitolato
dell’AIPIN, con la redazione dell’elenco preliminare delle principali tecniche di I.N. e
l’unificazione della nomenclatura tecnica, quindi la redazione delle voci di capitolato
corrispondenti per circa un centinaio di tecniche.
Tra il 1994 e il 1995 viene costituito il Gruppo Interregionale di Lavoro sui
Recuperi Ambientali e l’Ingegneria naturalistica (RAIN) e realizzato il primo Video
sulle tecniche di ingegneria naturalistica.
Iniziano frequenti collaborazioni con altre associazioni sia a livello Nazionale che
Internazionale (SIGEA, WWF, AAA, FEDAP, AIAPP, AIVEP, IECA, etc.), e con Enti
pubblici (Ministero dell’Ambiente, Regioni, Università, etc.).
In gran parte delle Regioni italiane vengono aperte sezioni distaccate dell’AIPIN e
organizzati numerosi corsi specifici in tema di idraulica, progettazione e realizzazione
di opere di ingegneria naturalistica, di specializzazione sulla manutenzione in ambito
fluviale (con esercitazioni pratiche). In tali sedi le basi teoriche dell’idraulica tradizio-
nale (sezione di deflusso, portata, trasporto solido, scabrezza, tempi di corrivazione,
etc) vengono confrontate con le possibili applicazioni dell’I.N. e il ruolo della vegeta-
zione in alveo.
A partire dal 1990 anche la legislazione si adegua alla novità rappresentata
dall’I.N. e nella Legge n° 102 del 2 maggio 1990 per la Valtellina all’art. 6 viene cita-
to per la prima volta l’impiego delle tecniche di “bioingegneria”. Dal 1994 iniziano ad
essere approvate normative e direttive concernenti i criteri progettuali per l’attuazione
degli interventi di difesa del suolo con tecniche di ingegneria naturalistica (Regione
Emilia Romagna).
Già dal 1993 sono redatti i primi manuali tecnici di ingegneria naturalistica, frutto
della collaborazione di numerosi professionisti e delle Regioni (Regione Emilia
Romagna, Regione Veneto); il Ministero dell’Ambiente traduce e pubblica le schede
tecniche del Cantone di Berna (“Opere di ingegneria naturalistica sulle sponde”) e nel
1995 adotta e successivamente (1997) presenta al pubblico le “Linee guida per capito-
lati speciali per interventi di ingegneria naturalistica e lavori di opere a verde”, risulta-
to della collaborazione con il Comitato Tecnico Capitolato dell’AIPIN.
Anche a livello Universitario si sente, in ambito Europeo, la necessità di formare
personale altamente qualificato in materia, nonché monitorare le ormai numerose opere
eseguite. Vengono attivati seminari e corsi presso varie sedi universitarie. Nel 1994
presso l’Università di Vienna (Austria) viene istituito il primo Istituto di Ingegneria
Naturalistica”, diretto da F. Florineth.

6
Introduzione

In Spagna nel 1994 viene fondata la “Federacion de ingenieria del paisaje” che
organizza vari congressi sul tema dell’I.N.. Nel 1998 Vengono pubblicate le prime voci
di capitolato spagnole e nel 2001 il Paese Basco pubblica il primo manuale sulle siste-
mazioni in ambito fluviale dove si ufficializza la dicitura “Ingenieria Naturalistica”.
È recente (1997) la fondazione a Vienna della Österreichischer Ingenieurbiologischer
Verein, pur essendo l’Austria il paese dove erano iniziate le prime applicazioni e dove
risiedono a tutt’oggi molti professionisti ed esperti settore, tra cui il senior della materia
Schiechtl. Di recente tale associazione è confluita nel Österreichischer Wasser- und
Abfallwirtschaft Verband (ÖWAV).
Nel 1996 a Vienna viene costituita la “Federazione Europea per l’Ingegneria
Naturalistica” (EFIB), la quale raccoglie tutte le associazioni europee che si occupano
di ingegneria naturalistica, diventando punto di incontro e confronto per numerosi pro-
fessionisti europei ed extraeuropei della materia.
Il diffondersi dell’impiego delle tecniche di I.N. sia nelle progettazioni che nelle
realizzazioni degli interventi, porta nel 1996 all’istituzione da parte dell’AIPIN di un
elenco a livello nazionale di Soci AIPIN esperti in materia di ingegneria naturalistica e
di un elenco delle Ditte qualificate nell’esecuzione di lavori di ingegneria naturalistica,
nella produzione di materiale vivaistico e nella commercializzazione di prodotti da
impiegare in opere di ingegneria naturalistica
Il 1997 vede la nascita della Scuola Nazionale per l’Ingegneria Naturalistica all’in-
terno dell’AIPIN, l’adozione del “Codice deontologico e forme di tutela professionale”
a livello nazionale e l’elaborazione ad opera del Comitato Tecnico Tariffario del
“Tariffario per la determinazione dei compensi per le prestazioni professionali per inca-
richi di ingegneria naturalistica” che viene approvato dall’Assemblea straordinaria
AIPIN il 3 luglio ‘97.
È del 1998 l’emanazione della “Legge quadro coordinata con le modifiche intro-
dotte dal Ddl A.S. 2288 in materia di lavori pubblici” Testo coordinato D.L. 11 febbra-
io 1994 n° 109 nota come “Legge Merloni”, del 1999 il D.P.R. 21 dicembre 1999,
n°554 “Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici 11
febbraio 1994, n°109, e successive modificazioni”.
In tali norme viene ripetutamente riconosciuta l’Ingegneria Naturalistica.
Nel 1999 viene istituito un gruppo di lavoro tra AII (Associazione Idrotecnica
Italiana), AGI (Ass. Geotecnica Italiana), Associazione Italiana Pedologi, AIPIN,
Sezione AGI/IGS Roma, SIGEA (Società Italiana di Geologia Ambientale), TERR.A
Centro Studi Idraulici per l’Ambiente. Il gruppo di lavoro si occupa principalmente
della Terminologia e delle Tariffe professionali nei settori della rinaturalizzazione,
ingegneria naturalistica e difesa del suolo in genere.
Quando nel 1998 è stato rivisto e aggiornato l’Anc (Albo Nazionale Costruttori) nelle
opere generali è stata introdotta la categoria OG13 “Opere di Ingegneria Naturalistica”.
Nel corso del 2002 - 2003 sono stati tenuti dei corsi di specializzazione in ingegne-
ria naturalistica per tecnici, in collaborazione con Enti pubblici e Università di altri stati
fra cui il Messico, il Nicaragua e il Nepal.
Significativo il corso avanzato di formazione per docenti di Ingegneria naturalisti-
ca organizzato dall’AIPIN nazionale per i soci esperti (Paluzza 15-17 aprile 2004), sul-
l’onda di una vera e propria esplosione del mercato della formazione sulla materia.

7
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

1.3 I PIÙ SIGNIFICATIVI INTERVENTI DI DIFESA DEL SUOLO MEDIANTE SISTEMAZIONI IDRAULI-
CO-FORESTALI AGLI INIZI E DURANTE IL XX SECOLO IN BASILICATA, CAMPANIA, PUGLIA

1.3.1 Introduzione
Agli inizi del ‘900, pesanti calamità naturali, soprattutto alluvioni e frane, si abbat-
terono ora su questa ora su quella contrada del Mezzogiorno. Per rimediare ai danni dei
cataclismi, o per alleviare le condizioni di indigenza di vasti strati delle popolazioni
meridionali, o per tutt’e due le cose, i governi dell’epoca adottarono provvedimenti ad
hoc in favore delle zone colpite dagli eventi calamitosi.
Degli interventi complessivamente realizzati in Basilicata, Campania e Puglia, per
effetto di misure straordinarie, verranno descritti solo quelli più significativi dal punto
di vista dell’innovazione tecnica e/o dell’interesse storico.
Per quanto riguarda la Basilicata vi sono due aspetti rimarchevoli: a) l’impostazio-
ne generale data agli interventi, con precetti che entreranno a far parte della teoria e
della prassi sistematoria; b) le soluzioni originali adottate per particolari problemi siste-
matori riguardanti i torrenti calanchivi e i torrenti del flysch-calcare. Anche in
Campania alla specificità dei problemi hanno corrisposto tipologie sistematorie univo-
che, mentre in Puglia, in un caso molto grave e dopo ripetuti disastri, il rimedio di natu-
ra puramente idraulica ha potuto funzionare solo allorquando è stato integrato con siste-
mazioni idraulico-forestali.

1.3.2. Basilicata
Esattamente un secolo fa venne promulgata la legge Zanardelli (L. 31 marzo 1904,
n. 140) recante provvedimenti a favore della provincia di Basilicata, riguardanti le siste-
mazioni idrauliche di fiumi e torrenti, il consolidamento degli abitati in frana, la costru-
zione di strade per togliere dall’isolamento molti piccoli centri abitati di alta collina e
montagna e, infine, il credito agrario.
La legge Zanardelli fu la prima delle leggi speciali a favore di regioni meridionali,
e stabilì criteri di assoluta novità per quei tempi. All’impalcatura finanziaria e istituzio-
nale seguì, infatti, un regolamento (R.D. 20 marzo 1905) contenente le seguenti norme:
• i lavori da eseguire debbono essere previsti in un piano regolatore di massi-
ma, compilato dall’Ufficio del genio civile di Potenza, «con la cooperazione
dell’Ispezione forestale per la parte attinente alla sistemazione idraulico-fore-
stale [è la prima volta che questa locuzione compare nella legislazione italia-
na]» (art. 19);
• «I progetti sono studiati ed eseguiti con unità di concetto, associando e coor-
dinando ai lavori di correzione dei corsi d’acqua quelli di indole forestale e
quelli ausiliari» (art. 27);
• «I lavori sono eseguiti per ciascun bacino tributario gradualmente, senza
interruzioni, fino al loro completamento» (art. 27);
• «appena approvato il contratto d’appalto di ogni singolo progetto riguardante
la sistemazione idraulica dei corsi d’acqua nel bacino montano, nonché il rim-
boschimento e il rinsaldamento del bacino stesso» si procede alla classifica-
zione delle opere e si provvede alla «costituzione dei relativi Consorzi di
manutenzione» (art. 29).

8
Introduzione

Dei lavori a suo tempo eseguiti, i rimboschimenti costituiscono testimonianze


cospicue, e sono entrati a far parte dei demani forestali, prima dello Stato, poi della
Regione, nonché di quelli comunali. Per quanto riguarda, invece, le opere costruttive
bisognerà attendere gli anni Cinquanta e Sessanta per imbattersi in tipologie fortemen-
te caratterizzate e a basso impatto ambientale.
Nel versante ionico vi sono estese aree calanchive molto incise da un fitto reticolo
idrografico costituito, nei fondi valle, da canyon soggetti sia ad arretramento della testa-
ta, quindi molto ramificati, sia ad arretramento spondale che intacca i versanti, affetti
da incisioni gully a V, oppure aventi facies calanchiva.
Obiettivo prevalente degli interventi di difesa del suolo in questa area è stato quel-
lo di contrastare la produzione di sedimenti a monte degli invasi per salvaguardarne la
capacità di accumulo dall’insidia solida.
La sistemazione dei calanchi, quindi, non doveva avere carattere idraulico-agrario
con lo scopo di creare seminativi, come si era fatto in Val d’Era (PI) o a Brisighella
(FO) dalla 2ª metà del XVIII secolo alla prima metà e oltre del XX , ma doveva attene-
re alle sistemazioni idraulico-forestali. Stante l’impossibilità, però, di rimboschire le
pendici calanchive, l’inutilità di pròtesi quali le graticciate perché lo spappolamento
delle argille le sifonava mettendo a nudo i paletti interrati e, pertanto, ne vanificava la
funzione e non esistendo all’epoca le idrosemine, si cercò un rimedio diverso da tutti
quelli noti a quell’epoca. Fu di aiuto l’osservazione di un ciuffo di sparto (Lygeum spar-
tum L.) prostrato da una colatina fangosa che gli aveva strappato le foglie e i frutti,
impedendone la disseminazione (foto 1.3.1). Se ne dedusse che la vegetazione sponta-
nea, se messa al riparo dagli effetti del processo pioggia-spappolamento delle argille
crepacciate e del loro trasporto verso il basso allo stato di fango poteva affermarsi e
colonizzare completamente il calanco. La figura 1.3.2 dimostra lo schema adottato e la
foto 1.3.3 i risultati della prima fase (Puglisi, 1963).
La seconda fase non ebbe luogo perché cessarono i finanziamenti. Ad essa, tutta-
via, si può ovviare con messa a dimora di cespi di sparto e talee di atréplice nelle aree
rimaste scoperte in modo da completare il rivestimento vegetale (Puglisi, 2002).
Per quanto riguarda le opere intensive si è fatto ricorso principalmente alle briglie
in terra munite di scivoli per lo scarico delle portate di progetto, ricavati sul paramento
di valle avente scarpa 2:1. Questo valore è compatibile sia con la stabilità dell’opera, in
base alle proprietà dei materiali usati nelle aree del materano, sia con le caratteristiche
idrauliche del canale di deflusso.
Il rivestimento dello scivolo è stato fatto con lastre prefabbricate (foto 1.3.4) o, per
portate maggiori, con lastre di calcestruzzo leggermente armato gettate in opera. Per la
estinzione dei canyon si sono costruite briglie a bacino con ali in terra, alte 5 m, soprae-
levate mediante corpi retrostanti della stessa altezza fondati su pali (foto 1.3.5).
Sulle pendici incise da fossi gully a V, si sono impiegate le piccole opere di cui alle
figure 1.3.6, 1.3.7, 1.3.8 e foto 1.3.9, che hanno creato ambiti di stabilità tali da inne-
scare il ritorno della vegetazione spontanea.
Nel versante tirrenico della Basilicata merita menzione l’impiego, per la prima
volta in Italia, di briglie selettive o filtranti nella sistemazione di torrenti del flysch-cal-
care (Puglisi, 1967 e 1968).

9
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Come mostra la foto 1.3.10 trattasi di opere a basso impatto ambientale, che inter-
cettano selettivamente i materiali grossolani facendo defluire verso valle quelli minuti;
rincalzano le pendici senza far rigurgitare la falda e si coprono di vegetazione sponta-
nea per un inserimento ottimale dell’opera nell’ambiente.
1.3.3 Campania
A seguito dell’eruzione del 1906 le zone pedemontane del Vesuvio e del monte
Somma soffrirono gravi danni ai quali si fece subitamente fronte con un provvedimento
speciale (L. 19 luglio 1906, n. 390), che finanziò interventi riparatori e, in particolare,
sistemazioni idraulico-forestali da eseguire in sei anni. Nel resoconto a stampa che ne fu
fatto, si può dire a caldo nel 1914, sono documentate le differenti tipologie di opere in
base al principio che «diversa essendo stata la natura delle materie cadute, differente pur
doveva essere l’indole dei lavori di sistemazione». Si ebbero, quindi, nelle parti sommita-
li dei burroni, interventi con graticci, soglie, briglie in legname e pietrame, briglie in
muratura a secco rinforzate con travi di legno disposte da sponda a sponda (Lacava,1914).
Nella parte inferiore dei torrenti vesuviani, a sezione più ampia, furono fatte bri-
glie in muratura a secco, con coronamento in muratura di pietrame e malta cementizia,
integrate a monte da rilevati in terra aventi lo scopo di ammortizzare l’urto dei blocchi
di pietra lavica trasportate dalla corrente durante le piene (figura 1.3.11).
Nei fossi profondi, infine, furono fatte briglie miste in muratura ordinaria e mate-
riali sciolti, con stramazzi selciati in pietrame disposti a gradone dette anche a cadute
successive, con le platee di ogni salto poggianti su volte ad arco in muratura. Avendo
questi corsi d’acqua anche la funzione di strada-alveo, a lato di ogni briglia vi è una
rampa per i viandanti e per il bestiame (figura 1.3.12). Un altro tipo, simile al preceden-
te, ha le platee a pozzetto a valle di ogni salto, fondate su terreno di riporto (figura
1.3.13). Queste opere furono subito riconosciute originali e notevoli per concezione e
rispondenza al tipo di dissesto da contrastare, per cui divennero oggetto di insegnamen-
to nei corsi di Costruzioni idrauliche al Politecnico di Torino (Baggi, 1921). Poi, però,
rimasero a lungo abbandonate. Adesso i comuni interessati e il Parco Nazionale del
Vesuvio ne hanno intrapreso la manutenzione (Bifulco, 2001).
1.3.4 Puglia
Nel primo quarto del secolo XX, la città di Bari è stata allagata tre volte per le piene
del torrente Picone nel 1905, 1915 e 1926 (figura 1.3.14). Le opere idrauliche realizzate
dopo ogni disastro e da ultimo la derivazione del torrente Picone nel torrente Lamasinata
a nord-ovest e del torrente Montrone nel torrente Valenzano a sud-est (figura 1.3.15), non
hanno funzionato perché i cosiddetti canaloni, costruiti in base a calcoli idraulici per il
deflusso delle portate di progetto, venivano ostruiti dalle colate detritiche provenienti dalle
Murge, cosicché non potendo assolvere la loro funzione costringevano le acque di piena a
esondare e a raggiungere il mare attraversando la città come già visto nella figura 1.3.14.
Dopo l’ultima catastrofe del 1926, si comprese che il male andava curato alle radi-
ci. Un funzionario forestale fu assegnato al Provveditorato alle opere pubbliche per la
progettazione ed esecuzione di lavori di sistemazione idraulico-forestale; l’area di
Mercadante, da dove prendeva origine il trasporto solido, fu classificata come bacino
montano onde potervi intervenire a spese dello Stato e vi fu dato inizio a lavori di siste-
mazione idraulico-forestale su vasta scala. Per arrestare lo sfacelo delle pendici della

10
Introduzione

Murgia si rese necessario costruire, prima del rimboschimento, piccole opere idrauliche
in muratura a secco. Le brigliette, in numero di 63 e con un volume complessivo di 450
m3 circa, vennero edificate con pietrame calcareo del posto (foto 1.3.16). Sono curvi-
linee, con gàveta a corda molle, altezza fuori terra di 80÷100 cm in media, saetta al cen-
tro di 60 cm, spessore in sommità di 80 cm, munite a monte di vespaio. Sono disposte
negli avvallamenti e distanziate di 10÷55 m al variare della pendenza dell’impluvio. In
80 anni di vita hanno beneficiato di un solo intervento di manutenzione.
Con l’esecuzione degli interventi di cui si è detto, la superficie complessivamente
boscata ha raggiunto un estensione di 1800 ha (Puglisi et al., 1991).
La sistemazione idraulico-forestale della Murgia di Mercadante ha impedito il ripe-
tersi di eventi quali quelli documentati del 1905, 1915 e 1926, benché non siano man-
cati nubifragi più gravi di quello del 1926 (figura 1.3.17).

Foto 1.3.1: Ciuffo di sparto (Lygeum spartum L.) in un calanco prostrato da una colata
di argilla allo stato plastico. È visibile la fessurazione delle argille che presiede ai feno-
meni di spappolamento e formazione delle colate di fango, le quali asportano foglie e
frutti della vegetazione spontanea, impedendone la disseminazione, ostacolando così il
processo di colonizzazione e la formazione di una prateria protettiva (da Puglisi, 1963)

11
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Figura 1.3.2: Schema della sistemazione di un versante calanchivo. Nella 1ª fase si


aprono sulle creste dei piccoli canali erodenti, per avviarne la demolizione che verrà
esaltata dagli apporti idrici dei solchetti, disposti a spina, che intercettano il ruscella-
mento e dagli impluvi lo riversano nei displuvi. Essendo stata impedita la formazione
delle colatine di fango la vegetazione spontanea si afferma nelle vallecole. Nella fase
successiva si sarebbe dovuto invertire la disposizione dei solchi a spina per deviare le
acque precedentemente incanalate sulle creste verso le vallecole già rivestite di vege-
tazione e dare così modo a queste di ricoprire anche le ‘lame’ già smussate, ma non è
stato fatto (da Puglisi, 1999)

12
Introduzione

Foto 1.3.3: Calanchi in corso di sistemazione a Grassano (MT). L’adozione di solchet-


ti disposti a spina che dagli impluvi recapitano le acque sulle creste, dove sono visibi-
li i canali erodenti, ha avuto come effetto di intercettare le colatine fangose e di con-
sentire alla vegetazione spontanea (Sparto e Atréplice) di affermarsi (da Puglisi ,1963)

13
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 1.3.4: Rivestimento misto, lapideo e vegetale, di scivolo di deflusso di briglia


in terra, ottenuto con le seguenti operazioni: 1) apertura dello scivolo di deflusso
sul paramento di valle della briglia; 2) semina di fiorume di specie locali (Sparto e
Atréplice); 3) montaggio in lastre prefabbricate con 8 fori circolari a frattura pre-
stabilita per la fuoriuscita delle plantule, e uno centrale per l’infissione di un palet-
to di castagno con funzione di ancoraggio temporaneo, cioè per il tempo occorren-
te alla fuoriuscita delle piante nate dalla semina di cui al precedente punto - Foto
S. Puglisi

14
Introduzione

Foto 1.3.5: Per arrestare l’arretramento della testata e dei versanti del Fosso S. Stefano
affluente del Bradano, in territorio di Matera, si sono costruite delle briglie con vasca
centrale di caduta in calcestruzzo e ali in terra, alte 5 m. Dopo l’interrimento si è pro-
ceduto alla sopraelevazione, anch’essa alta 5 m, fondata su pali, necessaria per arre-
stare i processi di evoluzione distruttiva del canyon. L’effetto stabilizzante ha provoca-
to un ritorno massiccio della vegetazione con parzializzazione della gàveta e conse-
guente tracimazione delle acque di piena sul rilevato laterale. L’opera, priva di manu-
tenzione, è destinata allo svuotamento della colmata retrostante e alla ripresa del ciclo
erosivo - Foto S. Puglisi

15
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Figura 1.3.6: Graticcio costruito con funzione di soglia in una piccola incisione gully.
Progetto del 1957 (Isp. Rip. delle Foreste, Matera)

Figura 1.3.7: Piccola briglia in legname con rinterro artificiale a monte (Isp. Rip. delle
Foreste, Matera)

16
Introduzione

Figura 1.3.8: Palificata disposta trasversalmente a un alveo di prima formazione (Isp.


Rip. delle Foreste, Matera)

Foto 1.3.9: Briglia in gabbioni liberata dalla vegetazione che la ricopriva per veri-
ficarne, dopo 40 anni, lo stato di conservazione, che è risultato ottimo - Foto C.
Attanasio

17
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 1.3.10: Briglia filtrante nel Vallone dell’Inferno ad Anzi (PZ) costruita nel 1966.
Si noti l’interrimento selettivo e il ricoprimento con vegetazione spontanea del para-
mento grigliato a valle formato da putrelle d’acciaio. Alternativamente sono state
impiegate rotaie ferroviarie usate - Foto C. Zaccone

18
Introduzione

Figura 1.3.11: Tipo di briglia in muratura a secco con rinterro artificiale a monte e
coronamento in muratura ordinaria, costruita nei torrenti vesuviani. (da Baggi, 1921)

Figura 1.3.12: Tipo di briglia in muratura e rinterro a monte, con vasche di caduta suc-
cessive aventi platea che poggia su volte ad arco in muratura e sbarra una strada-alveo
(da Baggi, 1921)

19
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Figura 1.3.13: Tipo di briglia in muratura a rinterro a monte, con vasche di caduta suc-
cessive aventi platea che poggia su di un riempimento in materiali sciolti mentre i muri
di valle di ogni salto sono edificati su archi in muratura (da Baggi, 1921)

20
Introduzione

Figura 1.3.14: Planimetria della città di Bari con indicazione delle zone inondate nel
1905, 1915 e 1926 dalle piene del Torrente Picone (da Puglisi et al., 1991)

21
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Figura 1.3.15: Schema delle sistemazioni idrauliche realizzate dopo le alluvioni del
1905 e 1915, consistenti nella derivazione delle acque del Torrente Picone nel T.
Lamasinata a nord-ovest e del T. Montone nel T. Valenzano a sud-est. Sono indica-
te le linee di cresta dei bacini idrografici interessati e in basso a sinistra il comples-
so denominato Mercadante in territorio del Comune di Cassano (BA), che sarà rim-
boschito dopo l’alluvione del 1926 (da Puglisi et al., 1991)

22
Introduzione

Foto 1.3.16: Piccola briglia in muratura a secco ubicata nel Fosso Mercadante e rico-
perta di vegetazione (da Puglisi et al., 1991)

23
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Figura 1.3.17: Precipitazioni cumulate del 5 novembre 1926 (che provocò l’ultima allu-
vione), del 5 settembre, 1957 e del 27 settembre, 1971 (da Puglisi et al., 1991)

1.4 DEONTOLOGIA
Come in tutte le discipline, anche nell’ingegneria naturalistica si stanno afferman-
do alcune regole comportamentali di riferimento per i professionisti, i funzionari e gli
imprenditori che si occupano degli interventi di I.N..
Si riportano in tal senso in estratto alcuni articoli del Codice Deontologico
dell’AIPIN.

CODICE DEONTOLOGICO
E FORME DI TUTELA PROFESSIONALE
DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA PER L’INGEGNERIA NATURALISTICA
(Approvato dall’Assemblea generale ordinaria del 21 febbraio 1997)

1.4.1 Premessa
Il termine Ingegneria Naturalistica viene inteso come equivalente del tedesco
“Ingenieurbiologie”. Per ingegneria naturalistica si intende la disciplina tecnico-natu-
ralistica che utilizza:
• tecniche di rinaturazione finalizzate alla realizzazione di a mbienti idonei a
specie o comunità vegetali e/o animali
• le piante vive, o parti di esse, quali materiali da costruzio ne, da sole o in abbi-
namento con altri materiali
• materiali, anche solo inerti, infrastrutture ed altri provved imenti volti a forni-
re condizioni favorevoli alla vita di specie animali.

24
Introduzione

Vengono impiegati i termini: “ingegneria” in quanto si utilizza no dati tecnici e


scientifici a fini costruttivi, di consolidamento ed antierosivi; “naturalistica” in quan-
to tali funzioni sono legate ad organismi viventi, in prevalenza piante di specie autoc-
tone, con finalità di ricostruzione di ecosistemi tendenti al naturale ed all’aumento
della biodiversità.
Omissis...
1.4.2 Principi di base
Art. 4 - Il socio AIPIN si adopera in tutte le sedi e in particolare in quella progettua-
le per la priorità delle finalità naturalistiche degli interventi. L’impiego di tecnologia e
materiali non naturali è possibile nei casi di necessità strutturale e/o funzionale normal-
mente in abbinamento con materiale vivente. Deve comunque essere adottata la tecnolo-
gia meno complessa a pari risultato, considerando anche l’ipotesi del non intervento.
Art. 5 - Il socio AIPIN deve agire sempre con integrità scientifica, diligenza ed one-
stà riconoscendo nella caratterizzazione interdisciplinare dell’I.N., i limiti della pro-
pria competenza professionale, ricorrendo all’altrui competenza nelle attività profes-
sionali che la richiedono. In tali casi deve risultare chiaramente l’apporto di ciascuno.
Omissis...
Vale il principio di adottare nelle scelte di progetto le tecniche a minor livello di ener-
gia (complessità, tecnicismo, artificialità, rigidità, costo) a pari risultato funzionale / bio-
logico come rappresentato per maggior chiarezza nello schema che segue (da Manuale 2
Regione Lazio):

25
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Per quanto riguarda la selezione delle specie e dei materiali da impiegare nelle tec-
niche di I.N. il concetto generale di impiegare il più possibile materiali naturali e spe-
cie autoctone va ulteriormente dettagliato data la complessità e molteplicità delle situa-
zioni in cui vengono spesso a trovarsi i professionisti del settore.
Vale lo schema seguente (da Manuale 2 Regione Lazio):

Solo piante Piante vive + materiali Solo materiali


vive artificiali

Piante vive Piante vive Piante vive Piante vive


con funzione con funzione con funzione tecnica prive di
tecnica prima- tecnica primaria secondaria + materiali funzione tecnica,
ria + materiali non biodegradabili ma per realizzazione
biodegradabili dominanti: naturali unità ecosistemiche +
(legno, biostuoie) (pietre, terra) materiali
dominanti e artificiali artificiali dominanti
(plastica)

Es. Es. Es.


Es. Es.
Gabbionate Cribb wall verdi, Muro c.a.,
Gradinata Palificata viva rinverdite, mantellate rete zincata
viva scogliere rinverdite, cemento
terre rinforzate, inerbite
geosintetici rinverditi

Solo azioni Solo materiali


morfologiche

Per Materiali naturali Materiali naturali Materiali naturali


rinaturalizzazione per favorire per la realizzazione o artificiali per il
+ aumento la colonizzazione di unità morfologiche mantenimento
biodiverità spontanea delle dune della biodiversità
faunistica

Es. Es. Es.

Incannucciato Cabalette legno Tubi per anfibi,


e pietra, briglie legname sovrapposti
e pietrame, dighe in terra per ungulati,
per conservazione rampe risalita
habitat per i pesci

Per quanto riguarda, infatti, la selezione delle specie e dei materiali da impiegare
nelle tecniche di I.N., il concetto generale è quello di impiegare il più possibile mate-
riali naturali e specie autoctone. Data la complessità e molteplicità delle situazioni in
cui vengono spesso a trovarsi i professionisti del settore, il problema è stato recente-
mente affrontato dall’Associazione Italiana per l’Ingegneria Naturalistica (AIPIN).

26
Introduzione

Nella tabella 1.4.1 l’AIPIN ha fatto un tentativo di schematizzare la graduatoria di


preferibilità e liceità di impiego di specie e materiali nei vari possibili ambiti territoria-
li di impiego.
Va da sé che nelle aree protette devono essere impiegate solo specie autoctone e
materiali naturali o biodegradabili. Si ammette l’uso di materiali artificiali solo per la
soluzione di gravi problemi geotecnici ed idraulici per la protezione diretta di infrastrut-
ture o insediamenti.
Nelle aree urbane, parchi e giardini, aree industriali è invece ammesso l’uso di spe-
cie naturalizzate ed esotiche, anche se è sempre preferibile usare le specie autoctone.
L’uso dei materiali è indifferente.
Le aree agricole, che costituiscono vastissime aree e la quasi totalità delle superfi-
ci di pianura, per differenza con le aree urbane e industriali, sono una categoria inter-
media, in cui è sempre preferibile l’impiego di specie autoctone o naturalizzate. Prevale
infatti l’opportunità di ricostituire elementi delle reti ecologiche in un ambiente spesso
azzerato dalle bonifiche e dalle coltivazioni intensive.
Problemi di natura deontologica sono sorti recentemente con il proporsi sul merca-
to di specie esotiche con ottime caratteristiche biotecniche, ad es. il vetiver, graminacea
esotica che possiede indubbie caratteristiche biotecniche che la rendono, in assoluto,
specie interessante per gli interventi di ingegneria naturalistica, essendo specie esotica
per l’Italia, il suo uso contrasta con i principi deontologici della disciplina.
Per quanto riguarda il vetiver comunque, prima di proporne l’uso in Italia, si è in
attesa di maggiori conoscenze sul comportamento della specie nel senso ecosistemico,
che potranno derivare da una sperimentazione pluriennale finalizzata a fornire risposte
ai seguenti quesiti:
• Consente la successione verso stadi di vegetazione naturale?
• Consente la successione solo se le specie legnose autoctone, da impiantare
quindi contestualmente, riescono a installarsi ed a crescere fino ad ombreg-
giarla?
• Risulta invasiva a comportamento monospecifico e banalizzante ?
• Si è certi che non avrà comportamento infestante soprattutto nei paesi di
nuovo impiego, come l’Italia, ove la potenzialità di infestare è dovuta mag-
giormente alla mancanza di nemici naturali?
• È davvero importata con cloni sterili e comunque non si diffo nde per via vege-
tativa?
• I cultivar prima dell’uso in Italia sono stati selezionati e monitorati, come in
Australia, ove la linea sterile (Monto vetiver) è stata sottoposta a rigoroso
monitoraggio per 8 anni prima di essere impiegata nel territorio?
È quindi necessario, nel prossimo futuro, sottoporre il comportamento del vetiver
a sperimentazione controllata mediante progetti di monitoraggio e ricerca, a comincia-
re dalle aree urbane, parchi e giardini, aree industriali, infrastrutture viarie, cave e disca-
riche; resta, per il momento, da escluderne l’impiego nelle aree protette, parchi e riser-
ve naturali, aree di elevata naturalità, etc, mentre il suo uso futuro quale specie conso-
lidante/preparatoria nei settori della difesa del suolo va attentamente valutato a seguito
dei test e sperimentazioni, sull’esempio dell’esperienza australiana, che rispondano ai
quesiti di cui sopra.

27
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Tabella 1.4.1: Preferibilità / liceità d’impiego dei materiali vivi e morti


per le tecniche di Ingegneria Naturalistica - AIPIN

Materiali utilizzabili naturalità


Piante naturalità crescente
crescente

biodegradabili
naturalizzate

introduzione
esotiche di
autoctone

Materiali

Materiali

Materiali
artificiali
esotiche

naturali
recente
Piante

Piante

Piante
Ambiti di impiego

Aree
1 XXX - - XX XX -(1)
protette
Aree
Naturalità crescente

2 XXX - - XX XX X
naturali
Aree
3 XX X - XX XX X
agricole
Parchi e
4 XX X X X X X
giardini
Aree
5 XX X X X X X
urbane
Aree
6 XX X X X X X
industriali

XXX Impiego esclusivo


XX Impiego preferenziale
X Impiego in funzione delle scelte progettuali
- Incompatibilità assoluta
(1) Utilizzo solo per la soluzione di problemi geotecnica e idraulici per la
protezione diretta di edifici e infrastrutture esistenti

1.5 NORMATIVA DI RIFERIMENTO


Fonte AIPIN
Vengono di seguito riportati i principali provvedimenti normativi nazionali e regio-
nali riguardanti l’ingegneria naturalistica.
1.5.1 Leggi nazionali e regionali con riferimenti all’ingegneria naturalistica
A livello nazionale
L. 25 luglio 1904 n°52 “Testo unico sulle opere idrauliche”
D.M.20 agosto 1912 “Approvazione delle norme per la preparazione dei progetti di
lavori di sistemazione idraulico-forestale nei bacini montani”
L. 18 maggio 1989 n°183 “Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della
difesa del suolo”

28
Introduzione

L. 2 maggio 1990 n° 102 “Disposizioni per la ricostruzione e la rinascita della


Valtellina ...”
DPR 14 aprile 1993 “Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni recante criteri
e modalità per la redazione dei programmi di manutenzione idraulica e forestale”
L. 8 ottobre 1997 n° 344 “Disposizioni per lo sviluppo e la qualificazione degli
interventi e dell’occupazione in campo ambientale”
L. 2 ottobre 1997 n° 345 “Finanziamenti per opere e interventi di viabilità, infra-
strutture, di difesa del suolo, nonché per la salvaguardia di Venezia”
L. 3 agosto 1998 n°267 (conversione con mod. del D.L. 11/06/1998 n°180)
“Misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico ed a favore delle zone col-
pite da disastri franosi nella Regione Campania”
Testo coordinato D.L. 11 febbraio 1994 n° 109 “Legge quadro coordinata con le
modifiche introdotte dal Ddl A.S. 2288 in materia di lavori pubblici. (Merloni Ter
1998)
D.M. 4 febbraio 1999 “Attuazione dei programmi urgenti per la riduzione del
rischio idrogeologico, di cui gli articoli 1, comma 2, e 8, comma 2, del D.L. n°180, con-
vertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 1998, n°267”
D.P.R. 2 settembre 1999 n° 348 “Regolamento recante norme tecniche concernen-
ti gli studi di impatto ambientale per alcune categorie di opere”
D. Lgs. 11 maggio 1999, n° 152 “Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inqui-
namento e recepimento della Direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle
acque reflue urbane” articolo 1, lettera d; articolo 3, comma 6; articolo 41, comma 1;
Allegato 1
D.P.R. 21 dicembre 1999, n°554 “Regolamento di attuazione della legge quadro in
materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994, n°109, e successive modificazioni”
D.P.R. 25 gennaio 2000, n°34 Regolamento recante istituzione del sistema di qua-
lificazione per gli esecutori di lavori pubblici, ai sensi dell’articolo 8 della legge 11 feb-
braio 1994, n. 109, e successive modificazioni.
D.M. 4 ottobre 2000, n°175 Rideterminazione e aggiornamento dei settori scienti-
fico-disciplinari e definizione delle relative declaratorie, ai sensi dell’art. 2 del decreto
ministeriale 23 dicembre 1999
L. 23 marzo 2001, n°93 “Disposizioni in campo ambientale”
L. 1 agosto 2002, n° 166 “disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti”
D.M. 3 settembre 2002, Linee guida per la gestione dei siti Natura 2000
Ordinanza P.C.M. dd 20 marzo 2003, n°3274 primi elementi in materia di criteri
generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche
per le costruzioni in zona sismica
A livello regionale
Regione Emilia-Romagna
D.G.R. n°3939 dd 6 settembre 1994 “Direttiva concernente criteri progettuali per
l’attuazione degli interventi in materia di difesa del suolo nel territorio della Regione
Emilia-Romagna”

29
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

L. R. 30 gennaio 1995, n. 6-Norme in materia di programmazione e pianificazione


territoriale, in attuazione della legge 8 giugno 1990, n. 142 e modifiche e d integrazio-
ni alla legislazione urbanistica ed edilizia
D.G.R. 11 novembre 1997, n. 2019 “Indirizzi per la formulazione di un
Regolamento di gestione delle Aree di riequilibrio ecologico”
Regione Friuli-Venezia Giulia
Circ. n°7 dd 22 marzo 1994 “La tutela del corso d’acqua: indicazioni e criteri per
la formazione degli strumenti urbanistici comunali - contenuti ed elementi nel PRGC;
linee guida e documentazioni progettuali finalizzate al rilascio e l’autorizzazione pae-
saggistica”
L.R. n°11 dd 22 aprile 2002 “Tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse
agrario forestale”
Regione Lazio
Circ. “Criteri progettuali per l’attuazione degli interventi in materia di difesa del
suolo nel territorio della regione Lazio” rif. LR n°60/90 Polizia idraulica e T.U. Opere
idrauliche 523/1904
Delibera 4340 del 28 maggio 1996 sui criteri progettuali per l’attuazione degli
interventi in materia di difesa del suolo.
L.R. n. 39 del 28 ottobre 2002 “Norme in materia di gestione delle risorse forestali”
Regione Liguria
L.R. n° 9 dd 28 gennaio 1993 “Organizzazione regionale della difesa del suolo in
applicazione della L. n° 183 dd 18 maggio 1989”
Regione Lombardia
D.G.R. n° 32 dd 26 settembre 1992 “Approvazione dei criteri per l’esercizio della sub-
delega, da parte dei Comuni, delle funzioni amministrative ex L 29 giugno 1939 n. 1497”
D.G.R. n° 6/6586 dd 19 dicembre 1995 “Direttiva concernente criteri ed indirizzi
per l’attuazione degli interventi di I.N. sul territorio della Regione”
aprile 1996 Programma Regionale di Sviluppo 5.1.5 “Riequilibrio delle condizio-
ni ambientali attraverso la rinaturalizzazione e il recupero ambientale con l’impiego di
tecniche di I.N.”
D.G.R. n°6/29567 dd 1 luglio 1997 “Direttiva sull’impiego dei materiali vegetali
vivi negli interventi di I.N. in Lombardia”
D.G.R. n°6/48740 dd 29 febbraio 2000 “Approvazione direttiva “Quaderno opere
tipo di ingegneria naturalistica”
D.G.R. n°7/2571 dd 11 dicembre 2000 “Approvazione direttiva per il reperimento
di materiale vegetale vivo nelle aree demaniali da impiegare negli interventi di ingegne-
ria naturalistica”
Regione Marche
Circ. n°1 dd 23 gennaio 1997 “Criteri ed indirizzi per l’attuazione di interventi in
ambito fluviale nel territorio della Regione Marche”

30
Introduzione

Regione Piemonte
L.R. 2 novembre 1982 n°32 “Criteri tecnici per l’individuazione ed il recupero
delle aree degradate e per la sistemazione e rinaturalizzazione di sponde ed alvei flu-
viali e lacustri, procedura amministrativa per la concessione di contributi regionali”
D.C.R del 31 luglio 1991, n. 250 - 11937-Criteri tecnici per l’individuazione ed il
recupero delle aree degradate e per la sistemazione e rinaturalizzazione di sponde ed
alvei fluviali e lacustri, procedura amministrativa per la concessione di contributi (L.R.
2 novembre 1982, n. 32 artt. 2 e 12)
Circolare del Presidente della Giunta Regionale n. 8/EDE del 15.05.1996
“Chiarificazione in ordine alle tipologie di manutenzione ordinaria e straordinaria dei
corsi d’acqua non soggette ad autorizzazione ai sensi dell’art.82 del D.P.R. n. 616/1977
in quanto tali da non comportare alterazione permanente dello stato dei luoghi”
L.R. n. 40 del 14.12.1998 “Disposizioni concernenti la compatibilità e le procedu-
re di valutazione”
D.G.R. n. 49-28011 del 02.08.1999 “Approvazione degli indirizzi tecnici e proce-
durali in materia di manutenzione idraulico-forestale”
D.G.R. n. 21-9251 del 05.05.2003 “D.P.R. n. 616/77, art. 82 Beni Ambientali. L.R.
n. 20 del 03.04.1989 e s.m.i.. Individuazione di criteri per la tutela dei beni culturali,
ambientali e paesaggistici”.
Regione Toscana
L.R. n° 56 dd 7 marzo 1995 “Istituzione dell’agenzia regionale per la protezione
ambientale della Toscana”
D.C.R. n°155 dd 20 maggio 1997 “Criteri progettuali per l’attuazione degli inter-
venti in materia di difesa idrogeologica”
L.R. n° 56 dd 6 aprile 2000 “Norme per la conservazione e la tutela degli habitat
naturali e seminaturali, della flora e della fauna selvatiche - Modifiche alla L.R. n° 7 dd
23 gennaio 1998 e L.R. n°49 dd 11 aprile 1995”
Regione Umbria
D.G.R 13 gennaio 1993, n. 100-“R.D 25 luglio 1904, n. 523. Polizia delle acque
pubbliche. Provvedimento in merito alla esecuzione di opere sulle acque pubbliche”
L.R. dd 27 gennaio 1999 “Piano Urbanistico Territoriale”
Regione Veneto
D.G.R. n° 4003 dd 30 agosto 1994 “Circolare Regionale inerente gli interventi di
manutenzione nei corsi d’acqua: aspetti tecnici ed ambientali”
Circolare 10 ottobre 1994, n. 32 - “Interventi di manutenzione nei corsi d’acqua;
aspetti tecnici e ambientali”
L. 2 ottobre 1997, n. 345- “Finanziamenti per opere e interventi in materia di via-
bilità, di infrastrutture, di difesa del suolo, nonché per la salvaguardia di Venezia”
Circ.- D.G.R.- “Interventi di manutenzione nei corsi d’acqua: aspetti tecnici ed
ambientali”
Corte di Cassazione-riguardo a L.R.Veneto 7 settembre 1982 n. 44, norme per la
disciplina delle attività estrattive, art. 2, 33

31
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Regione Campania
D.G.R. n°3417 dd 12 luglio 2002 “Approvazione del regolamento per l’attuazione
degli interventi di ingegneria naturalistica nel territorio della Regione Campania”.

1.5.2 Aspetti Normativi


Discariche
Si deve sottolineare la mancanza nei testi legislativi di un’esplicita procedura per
il recupero ambientale delle discariche una volta chiuse e bonificate.
Normativa nazionale
D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22: Decreto Ronchi, “Attuazione delle
direttive91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi, e 94/62/CE sugli
imballaggi e sui rifiuti d’imballaggio”.
L. 9 dicembre 1998, n. 426, “Nuovi interventi in campo ambientale”.
D.M. 25 ottobre 1999, n. 471, “Regolamento recante criteri, procedure e modalità
per la messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi
dell’art. 17 del D. Lgs 5 febbraio 1997 n. 22 e successive modifiche e integrazioni”.
DM 18 settembre 2001, n. 468, “Programma nazionale di bonifica e recupero dei
siti inquinati”.
D. Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, “Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle
discariche di rifiuti”.
Normativa regionale
L.R. 9 luglio 1998, n. 27, “Disciplina regionale della gestione dei rifiuti”.
D.C.R. 10 luglio 2002, n. 112, “Approvazione piano di gestione dei rifiuti della
Regione Lazio”.
Cave
Normativa nazionale
R.D. 29 luglio 1927, n. 1443, “Norme di carattere legislativo per disciplinare la
ricerca e la coltivazione delle miniere nel regno”, nota anche come “legge mineraria”.
Tale legge contiene la suddivisione tra miniere, cave e torbiere mantenuta ancora
oggi, in mancanza di una Legge Quadro che riordini la materia.
Normativa regionale
L.R. 5 maggio 1993, n. 27, “Norme per la coltivazione delle cave e delle torbiere
della Regione Lazio”.
Particolarmente importante, ai fini della possibilità d’impiego di tecniche di inge-
gneria naturalistica, risulta essere l’articolo 15 comma 1, lettera c e commi 4 e 5, rela-
tivi al progetto di recupero della cava da presentare all’atto della domanda di autorizza-
zione per l’apertura della cava stessa.
L.R. 30 novembre 2001, n. 30, “Disciplina dell’attività estrattiva iniziata legittima-
mente ai sensi della vigente normativa regionale in materia di coltivazione di cave e tor-
biere, in conformità alle leggi statali e regionali di tutela paesistica ed ambientale”.

32
Introduzione

Dune costiere
Normativa nazionale
L. 18 maggio 1989, n. 183, “Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della
difesa del suolo”, tale legge inquadra il problema della tutela delle coste nella pianifi-
cazione generale del bacino idrografico”.
D.Lgs 29 ottobre 1999, n. 490, “Testo Unico delle disposizioni in materia di beni
culturali ed ambientali”.
Normativa regionale
L.R. 5 gennaio 2001, n. 1, “Norme per la valorizzazione e lo sviluppo del litorale
del Lazio”.
In tabella 1.5.1 (da Manuale 2 Regione Lazio) sono riportati i provvedimenti tec-
nico-normativi esistenti a livello delle Regioni italiane sull’argomento.

Tabella 1.5.1: Provvedimenti tecnico-normativi

Regioni M P A L C Note
Abruzzo X
Basilicata X
Calabria
Campania X X X X
Emilia Romagna X X X X X
Friuli Venezia Giulia X* X* X* X* * in stampa
Lazio X X X X X
Liguria X X X
Lombardia X X X
Marche X X X X
Molise
Piemonte X X X X
Puglia
Sardegna
Sicilia
Toscana X X X
Trentino Alto Adige X X X X X
Umbria X** X X ** Prov. Terni
Valle d’Aosta X
Veneto X X X X
Legenda
M = Manuale tecniche I.N. L = Leggi regionali sull’argomento
P = Elenco prezzi interventi I.N. C = Circolari sull’argomento
A = Analisi prezzi interventi I.N.

33
Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica

2. IL TERRITORIO DELLE REGIONI MERIDIONALI


ITALIANE E POSSIBILI APPLICAZIONI DELL’INGE-
GNERIA NATURALISTICA NELLA PIANIFICAZIONE
TERRITORIALE
2.1 LINEAMENTI GEOMORFOLOGICI DELLE REGIONI MERIDIONALI
Nei paragrafi successivi vengono brevemente descritti i principali lineamenti geo-
logico-geomorfologici delle Regioni Ob.1 al fine di delineare i vari ambiti fisiografici
di applicazione delle tecniche di ingegneria naturalistica.

2.1.1 Puglia
Le caratteristiche morfologiche del territorio pugliese sono strettamente correlate
alle caratteristiche strutturali dell’area e all’evoluzione del sistema catena-avanfossa-
avampaese di tale settore dell’Appennino meridionale. In particolare, procedendo da
ovest verso est nella regione pugliese si osservano i caratteri morfologici corrisponden-
ti al dominio di catena rappresentato dai M.ti della Daunia, al dominio di avanfossa rap-
presentato dalla Fossa Bradanica (o premurgiana), fino a quello di avampaese compren-
dente l’area garganica, Le Murge, il Tavoliere delle Puglie e la penisola salentina
(Tavoliere di Lecce e Serre Salentine).
Le dorsali dei M.ti della Daunia (M.te Cornacchia 1151 m s.l.m.), allungate in dire-
zione NW-SE, sono costituite da falde di coltri alloctone flyschoidi prevalentemente
marnoso-arenacee, che conferiscono ai rilievi forme più dolci ed arrotondate in corri-
spondenza degli affioramenti argillosi, e forme più aspre laddove affiorano termini pre-
valentemente arenacei.
Considerate le caratteristiche di permeabilità dei depositi argillosi ivi affioranti, il
deflusso superficiale risulta ben sviluppato ed organizzato secondo un reticolo idrogra-
fico costituito da corsi d’acqua subparalleli, con tipico regime torrentizio, che tagliano
trasversalmente le dorsali in esame.
La Fossa Bradanica borda ad est il Subappennino Dauno ed è costituita da una
depressione tettonica riempita di sedimenti clastici plio-pleistocenici soggetti ad inten-
si fenomeni di erosione sia superficiale che profonda che inducono diffusi fenomeni di
instabilità.
Il bordo orientale del precedente settore è delimitato dai depositi clastici dei setto-
ri più ribassati dell’Avampaese Apulo, affioranti nelle fosse tettoniche a direzione
appenninica del Tavoliere delle Puglie a N e del Tavoliere di Lecce a S. La morfologia
di tali depositi, ricoperti da estese coltri di sedimenti alluvionali pleistocenici ed oloce-
nici, è il risultato del modellamento esogeno e delle oscillazioni eustatiche che si sono
verificate in tale area a partire dal Pleistocene medio-superiore in relazione ad eventi di
natura tettonica e climatica. L’oscillazione del livello del mare ha portato alla formazio-
ne di terrazzi marini caratterizzati da una successione di superfici pianeggianti degra-
danti verso l’Adriatico e lo Jonio e con bordo parallelo alla linea di costa, raccordate tra
loro da scarpate morfologiche ad elevata pendenza e con dislivelli variabili da zona a

35
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

zona. Nell’area del murgiano e del salentino e nell’entroterra del Golfo di Taranto sono
stati riconosciuti numerosi ordini di terrazzi marini con quote comprese tra i 600 m e il
livello del mare.
Le porzioni più sollevate dell’Avampaese Apulo sono rappresentate, da N verso S,
dai rilievi tettonici del Promontorio del Gargano, dall’Altopiano delle Murge e dalle
Serre Salentine. Questi ultimi sono costituiti dai calcari di vari settori della Piattaforma
Carbonatica Apula e sono caratterizzati da versanti con una tipica conformazione a gra-
dinata di chiara origine tettonica, con paleosuperfici subpianeggianti delimitate da ripi-
de scarpate di faglia tra loro parallele.
In particolare il Promontorio del Gargano, esteso in direzione E-W, raggiunge in
taluni settori anche oltre 1000 metri di quota ed è caratterizzato da una fitta alternanza
di rilievi e depressioni tettoniche. Le porzioni più rilevate del massiccio garganico sono
contraddistinte da morfologie carsiche molto ben sviluppate, sia epigee che ipogee, rap-
presentate per lo più da doline e da grotte. Le prime si presentano con un’elevata distri-
buzione areale sottoforma di polje in corrispondenza del sistema di faglie che va dalla
località di S. Marco in Lamis a Mattinata. A tale riguardo sono state interpretate come
polje l’ex Lago di S. Egidio, la Piana di Campolato, il Piano Canale, Piano S. Vito e
Piano S. Martino. Le grotte, invece, sono ubicate perlopiù nelle porzioni medio-basse
delle falesie che si affacciano sull’Adriatico. Tra queste sono ben note la Grotta di S.
Michele e la Grotta Pagliacci. Altre forme carsiche ipogee osservabili nel territorio gar-
ganico, sono rappresentate dagli inghiottitoi profondi fino a 250 m e presenti general-
mente sul fondo di depressioni. Tra questi si segnalano quelli di Campolato, di
Pozzatina e di Papaglione.
L’Altopiano delle Murge è costituito da una superficie di spianamento delimita-
ta a SW e a NE da scarpate di faglia. In particolare, sia sul lato adriatico che su quel-
lo ionico, sono presenti una serie di terrazzi marini delimitati da scarpate molto ripi-
de. Anche in tal caso la superficie di spianamento sommitale è caratterizzata da una
notevole diffusione di forme carsiche ben sviluppate, sia di tipo epigeo, tra le quali
si citano le doline di Pulo di Altalmura e di Pulicchio di Gravina a contorno subcir-
colare e la polje di Canale di Pirro, che ipogeo (Grotte di Castellana e di Putignano).
Lo sviluppo dei processi carsici e la formazione delle morfologie ad essi correlate,
in particolare, è connessa alle peculiari caratteristiche tettoniche di tale area, carat-
terizzata da un’elevata densità areale di elementi tettonici nell’ambito del massiccio
calcareo.
La penisola salentina, che rappresenta l’estrema porzione meridionale della
Puglia, è caratterizzata da un elemento morfologico del tutto peculiare costituito
dalle così dette Serre Salentine, ossia dorsali poco elevate la cui genesi è strettamen-
te connessa a fattori tettonici. Tali elementi strutturali, infatti, sono formati da una
serie alterna di depressioni e di rilievi tettonici aventi direzioni NNW-SSE e con pro-
filo trasversale asimmetrico. Terrazzi marini si rilevano solo in corrispondenza del
versante ionico, caratterizzato generalmente da una costa bassa e sabbiosa, mentre
la costa sul versante adriatico è costituita da falesie calcaree alternate a piccoli lembi
di spiaggia nelle insenature. In tale ambito i fenomeni carsici sono poco sviluppati
rispetto al Gargano e alle Murge, anche se non mancano esempi significativi e di

36
Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica

riconosciuta bellezza di grotte che si aprono nelle porzioni basali delle falesie costie-
re in corrispondenza del versante adriatico (Grotta Romanelli, Grotte di Porto
Badisco).
In generale, la Puglia presenta una morfologia costiera profondamente articola-
ta e differenziata. Tale regione, infatti, è caratterizzata da un perimetro costiero di
784 km, senza considerare le Isole Tremiti e Cheradi, in cui si alternano tratti con
spiagge sabbiose a tratti con ripide falesie calcaree estremamente frastagliate e
caratterizzate da frequenti fenomeni di dissesto per crollo, anche in relazione alla
presenza di numerose cavità carsiche alla base delle pareti. È stato verificato che
gran parte della linea di costa pugliese è soggetta ad un evidente arretramento per
una diminuzione di apporto solido al litorale legata alle numerose opere di sbarra-
mento costruite lungo i principali corsi d’acqua e alla non controllata estrazione di
inerti dall’alveo dei fiumi.
Per quanto concerne le principali caratteristiche idrografiche della regione
pugliese, queste sono da porsi in relazione principalmente alla litologia affiorante e
al condizionamento strutturale esercitato dai maggiori allineamenti tettonici. Per
quanto riguarda il primo aspetto si osserva che una più fitta rete di drenaggio super-
ficiale si sviluppa in corrispondenza dell’affioramento di litotipi a ridotta permeabi-
lità, ossia nell’ambito delle formazioni flyschoidi argilloso-marnose e arenaceo-mar-
nose che caratterizzano la zona di catena e di avanfossa della regione (M.ti della
Daunia, Fossa Bradanica) e, limitatamente, nelle porzioni più ribassate
dell’Avampaese Apulo (Tavoliere delle Puglie). Invece, nelle aree con principale
affioramento dei termini calcarei, ossia nelle zone di Avampaese (Gargano, Le
Murge, Penisola Salentina e Tavoliere di Lecce), lo scorrimento superficiale delle
acque è estremamente ridotto a causa dello sviluppo di intensi processi carsici che
inducono l’infiltrazione delle acque nel sottosuolo e la formazione di circuiti idrici in
sotterraneo, all’interno di condotti e cavità carsici. In tali ambiti la circolazione idri-
ca superficiale si verifica solo in connessione con eventi meteorici di particolare
intensità che alimentano direttamente lo scorrimento delle acque superficiale lungo
una rete di canali generalmente secchi, denominati secondo la toponomastica locale
gravine o lame. A tale riguardo occorre comunque ricordare che se da un lato le risor-
se idriche superficiali nell’area di Avampaese sono estremamente ridotte, le riserve
idriche sotterranee sono molto abbondanti e connesse ad una estesa rete idrica sotter-
ranea di natura carsica ramificata in tutta l’area del Gargano, delle Murge e della
penisola salentina.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, ossia l’incidenza dell’assetto tettonico
regionale sulle caratteristiche della rete idrica superficiale, questo riguarda essenzial-
mente la direzione di scorrimento dei principali corsi d’acqua che attraversano il
Subappennino Dauno fino ad arrivare alla costa, sia adriatica che ionica. In tali casi,
infatti, i lineamenti tettonici regionali condizionano lo scorrimento dei corsi d’acqua
che avviene perlopiù trasversalmente rispetto ai rilievi presenti e in modo tale che i vari
fiumi e torrenti risultino tra loro paralleli.
Occorre infine ricordare che lungo tutta la costa pugliese, sia adriatica che jonica,
sono frequentemente presenti numerosi bacini lagunari e lacustri, oggi in gran parte
bonificati (Lago di Lesina, Lago di Varano, Lago Salso, Lago di Salpi, Laghi Alimini,

37
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

zone paludose delle Cesine, di Porto Cesareo e di Torre S. Giovanni), la cui genesi è
collegata essenzialmente all’ultima risalita del livello marino e alla chiusura di insena-
ture o di sbocchi da parte di cordoni litoranei.
In tale ambito idrografico, numerosi sono stati gli interventi antropici sul territorio
volti da un lato ad una ottimizzazione dello sfruttamento delle risorse idriche, soprat-
tutto per uso potabile ed irriguo, dall’altro alla regimazione delle piene. Nel primo caso
ci si riferisce, in particolare, alla realizzazione di numerosi invasi artificiali, anche di
notevole capacità (es., Lago di Occhito sul F. Fortore, Lago del Locone sul T. Locone),
alla captazione di numerose sorgenti, alla perforazione di pozzi e alla realizzazione
dell’Acquedotto Pugliese. Nel secondo caso, invece, si fa riferimento alle opere di dife-
sa dei corsi d’acqua rispetto ad eventi di piena quali canalizzazioni, deviazioni, briglie,
arginature. Vanno infine menzionate le opere marittime rappresentate dalle dighe fora-
nee e dai moli costruite per le aree portuali di Taranto, Brindisi, Manfredonia e
Gallipoli.
Per completare il quadro dei principali lineamenti geomorfologici della regione
pugliese è essenziale una descrizione, seppure per grandi linee, dei fenomeni di
dissesto essenzialmente di tipo gravitativo, che interessano il territorio in esame. La
tipologia e distribuzione dei principali eventi franosi, in particolare, dipende dalla
litologia affiorante e dalle morfologie prevalenti, dettate principalmente dal dominio
strutturale in cui ci si trova. I dissesti gravitativi più significativi sia per tipologia
che per diffusione areale, infatti, si riscontrano in corrispondenza delle aree di
affioramento dei termini argillosi ed argilloso-arenacei dei M.ti della Daunia, dove
molto frequenti sono i fenomeni di colata e di scorrimento rotazionale e traslativo
che interessano le principali vie di comunicazione e i centri abitati. Eventi di
dissesto tipologicamente diversi interessano invece le aree di affioramento dei car-
bonati della Piattaforma Apula che, essendo caratterizzate dalla presenza diffusa di
cavità carsiche sotterranee anche di notevoli proporzioni, sono soggetti a crolli delle
volte.

2.1.2 Calabria
Il territorio calabrese è caratterizzato per circa il 44% della sua estensione da una
tipica morfologia montuosa, mentre il 49% circa è occupato da rilievi di tipo collinare.
Solo il restante 7% è occupato da limitate pianure, essenzialmente costiere. Per quanto
riguarda la porzione più propriamente montuosa, prevalgono morfologie tipicamente
dolci e arrotondate in molti casi culminanti con paleosuperfici sommitali, delimitate da
versanti estremamente acclivi ed accidentati che spesso terminano quasi a ridosso della
linea di costa.
L’assetto morfologico del territorio calabrese è fortemente connesso alle dinami-
che evolutive dell’Arco Calabro che lo costituisce quasi per intero, con particolare
riferimento ai forti sollevamenti conseguenti alla costruzione della Catena
Appenninico-Maghrebide, particolarmente intensi nel Miocene e nel Paleocene ma
tuttora in corso in corrispondenza dei settori assiali dei principali rilievi calabresi.
L’intensità con cui l’orogenesi si è manifestata in tali aree ha indotto la formazione
di numerosi lineamenti tettonici di carattere regionale che hanno profondamente

38
Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica

disarticolato il substrato cristallino dell’arco calabro, portando alla formazione, tra


l’altro, di una serie di horst e graben riempiti successivamente da sedimenti clastici
di origine sia marina che continentale, prevalentemente sabbioso-argillosi e conglo-
meratici. Conseguenze dirette di tali eventi deformativi sono da un lato gli elevati
dislivelli che caratterizzano i versanti dei principali rilievi dell’Arco Calabro, anche
a pochissima distanza dalla costa, dall’altro, un decadimento generalizzato delle
caratteristiche fisico-chimiche dei litotipi affioranti. Tutto ciò, inevitabilmente, indu-
ce una maggiore propensione di tali litotipi a fenomeni di erosione diffusa e di disse-
sto gravitativo che coinvolgono sia le coltri di alterazione argillose ed argilloso-mar-
nose, sia il substrato più profondo essenzialmente cristallino.
In funzione dei principali domini strutturali e dei relativi processi morfogenetici, la
regione calabrese può essere suddivisa in diverse aree: l’area del massiccio del Pollino,
la zone di Catena Costiera Tirrenica e dell’Altopiano della Sila, l’area delle Serre e
dell’Aspromonte e le zone di pianura costiera.
L’area del massiccio del Pollino, ubicata nel settore nord-occidentale della
regione, è caratterizzata da rilievi con quote che superano anche i 2200 m (2267 m
di Serra Dolce Dorme e 2248 m del Monte Pollino) impostati in litotipi essenzial-
mente calcarei con forti dislivelli delle pareti rocciose che, a causa anche dell’eleva-
to grado di fratturazione delle stesse, danno origine a diffusi fenomeni di crollo e di
ribaltamento.
Il settore della Catena Costiera e dell’Altopiano della Sila si sviluppa nel settore
centro settentrionale della Calabria. In particolare, la Catena Costiera tirrenica corre
lungo la linea di costa con asse subrettilineo, mentre l’Altopiano della Sila è ubicato ad
W rispetto a questa, separato da una depressione tettonica colmata di terreni sedimen-
tari sciolti. In tale ambito i rilievi raggiungono quote intorno a 1300 m s.l.m. e sono
caratterizzati dall’affioramento di rocce metamorfiche di medio ed alto grado, spesso
intensamente tettonizzate ed alterate. Considerata l’estrema acclività di gran parte dei
versanti e lo stato di degrado degli affioramenti rocciosi, si osservano diffusi fenomeni
di instabilità gravitativa classificabili come crolli e colate rapide. Laddove gli eventi di
dissesto coinvolgono argilloscisti , filladi e scisti (metamorfiti di medio e basso grado)
si originano fenomeni franosi del tipo colata e scorrimento traslativo che in molti casi
risultano di notevoli proporzioni, andando ad interessare anche interi versanti. In tale
contesto sono stati osservati anche fenomeni di DGPV (Deformazioni Gravitative
Profonde di Versante).
L’area delle Serre e dell’Aspromonte costituisce la porzione meridionale
dell’Appennino Calabrese, con rilievi dai versanti estremamente ripidi che nelle Serre
presentano quote intorno ai 1000 m s.l.m., mentre in Aspromonte raggiungono quasi i
2000 m s.l.m. In entrambi i casi i rilievi sono caratterizzati dall’affioramento del com-
plesso granitico e metamorfico di alto grado che danno luogo a dissesti gravitativi del
tipo crollo o colata di detrito. Ai limitati affioramenti di filladi e argilloscisti sono inve-
ce associati episodi di colata, soprattutto della coltre detritica superficiale, e di scorri-
mento traslativo.
Le pianure costiere, di limitata estensione, si trovano generalmente ubicate in cor-
rispondenza della foce dei principali corsi d’acqua.

39
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Numerosi e diffusi fenomeni di dissesto gravitativo coinvolgono inoltre i depositi


sedimentari, tipicamente incoerenti, presenti ai margini delle principali morfostrutture
sopra descritte nella limitata fascia collinare di raccordo tra la zona costiera e quella
montuosa, dando luogo a fenomeni del tipo scorrimento rotazionale e traslativo e cola-
te anche di notevoli proporzioni.
Un’elevata distribuzione areale di dissesti gravitativi caratterizza infine le aree di
affioramento dei terreni flyschoidi ubicate nei settori nord-occidentale e sud-occidenta-
le della regione calabrese. In tali contesti la franosità delle formazioni affioranti è tra le
più alte registrate nell’ambito dell’intera regione, con la formazione di frane del tipo
colata, scorrimenti rotazionali e traslativi.
Nel complesso, dal punto di vista dei fenomeni di dissesto gravitativo, uno studio
condotto su 837 centri abitati (con numero di abitanti superiore a 2000) nell’ambito
della redazione del P.A.I. della regione, ha permesso di censire oltre 11.000 frane. Di
queste, la maggior parte risulta attiva e/o quiescente e la tipologia maggiormente ricor-
rente è quella dello scorrimento, mentre la loro distribuzione areale indica una mag-
giore concentrazione nella provincia cosentina e, in secondo luogo, in quella reggina.
Per quanto riguarda le caratteristiche idrografiche dell’area, queste sono fortemen-
te connesse all’assetto morfologico e strutturale dell’Arco Calabro. Infatti, i principali
corsi d’acqua sono generalmente impostati lungo importanti lineamenti tettonici e sono
perlopiù caratterizzati da bacini idrografici di ridotte dimensioni (A<100 km2) che si
sviluppano essenzialmente in area montana, in assenza quasi totale del tratto pedemon-
tano di raccordo con la linea di costa. Nel complesso il territorio calabrese può essere
suddiviso in 36 bacini idrografici principali, con corsi d’acqua che solo in pochi casi
superano i 50 km di lunghezza con pendenze dell’asta sempre molto elevate, intorno
all’8-9%.
In tale contesto geomorfologico, i corsi d’acqua presentano un andamento general-
mente ripido e rettilineo nel loro tratto montano, nell’ambito del quale scorrono per la
maggior parte del loro corso, mentre tendono ad assumere un percorso divagante nel
breve settore di pianura, dove l’alveo si allarga notevolmente per essere percorso da una
serie molto fitta di canali anastomizzati.
Tali corsi d’acqua, tipici dell’area calabrese e denominati fiumare, costituiscono
un reticolo idrografico fittamente esteso su tutto il territorio regionale a causa dell’af-
fioramento prevalente di litotipi a ridotta permeabilità. I tempi di corrivazione dei
loro bacini sono sempre molto brevi a causa dell’estrema acclività dei versanti da cui
discendono e alla scarsa presenza se non totale assenza di una copertura vegetale con-
tinua. Il regime delle fiumare è tipicamente torrentizio, con periodi di secca nei mesi
estivi in cui le portate sono scarse o addirittura nulle, e portate di piena eccezionale
in concomitanza di eventi meteorici particolarmente intensi. In considerazione delle
scarse caratteristiche di resistenza meccanica di gran parte delle coltri di alterazione
affioranti e dell’elevato potere erosivo di tali acque incanalate per via dell’elevata
pendenza del loro percorso, le fiumare sono in genere caratterizzate da un elevato
carico solido che poi abbandonano repentinamente allo sbocco nell’area di pianura
(foto 2.1.1). Ciò induce fenomeni di esondazione, sovralluvionamento e/o erosione
accelerata con immancabili danni alle infrastrutture lineari e agli insediamenti abita-
tivi e produttivi locali.

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Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica

Foto 2.1.1: Fiumara in località 5 Serre, Comune di Soverato (CZ) - Alluvione 2000 -
Foto A. Trigila

Per completare il quadro dei principali domini geomorfologici e dei relativi proces-
si morfogenetici ed eventi di dissesto, si illustrano le principali caratteristiche dell’am-
biente costiero della regione calabrese, che presenta una linea di costa che raggiunge
circa i 740 km di lunghezza. In tale contesto, circa 615 km sono caratterizzati da spiag-
ge, mentre i restanti 125 km sono occupati da coste alte. In particolare, spiagge sabbio-
se di notevole estensione sono ubicate nell’ambito del versante tirrenico in corrispon-
denza della Piana di Gioia Tauro, di S. Eufemia e di Scalea, mentre spiagge ciottolose
di minori proporzioni sono presenti quasi esclusivamente lungo la costa ionica, in cor-
rispondenza del Golfo di Taranto.
Le coste alte sono ubicate essenzialmente lungo il versante tirrenico, in corrispon-
denza del Promontorio di Capo Vaticano e nel tratto compreso tra Palmi e Scilla, men-
tre lungo il versante ionico tratti di costa alta si trovano a sud di Crotone e presso
Soverato.
In tali condizioni, il processo che condiziona l’attuale fisiografia costiera della
Calabria è rappresentato da un evidente arretramento della linea di costa dovuto, più che
all’erosione esercitata dal moto ondoso, agli effetti dell’attività antropica sul territorio che
inducono una drastica riduzione del ripascimento naturale delle spiagge. Tale arretramen-
to maggiormente accentuato per il versante tirrenico rispetto a quello ionico è legato, per
quanto concerne le cause antropiche, a molteplici fattori tra i quali le escavazioni in alveo
per le estrazioni di inerti, la costruzione di manufatti lungo il litorale, la realizzazione di

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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

briglie o casse di espansione lungo i principali corsi fluviali. Non ultime come causa di
processi di arretramento della costa vanno considerate le opere strutturali per la difesa del
litorale (barriere frangiflutti e pennelli) che, quando mal progettate, se da un lato contra-
stano l’erosione nel tratto di costa in corrispondenza del quale vengono ubicate, dall’altro
possono creare profondi squilibri e, quindi, erosione nei tratti contigui.
Tale situazione, che va aggravandosi progressivamente nel tempo, comporta una
inevitabile condizione di rischio per gli insediamenti abitativi e i centri turistici presen-
ti, oltre a creare notevoli problemi anche alla rete viaria locale e regionale che in molti
casi si sviluppa proprio a ridosso della linea di costa.
2.1.3 Sicilia
Il territorio siciliano ha una conformazione montuosa per il 24% della sua superfi-
cie, collinare per il 62%, mentre il restante 14% è occupato da aree di pianura. In par-
ticolare, la porzione montuosa caratterizza prevalentemente l’area settentrionale del-
l’isola, mentre si passa da un paesaggio prevalentemente collinare nella parte centro-
meridionale ad una zona di altopiano nel settore sud-orientale. Le aree pianeggianti
sono ubicate prevalentemente lungo la linea di costa.
Le caratteristiche morfologiche del territorio sono estremamente complesse e dif-
ferenziate nell’ambito dell’intera isola perché direttamente connesse ai molteplici
domini geologico-strutturali che la contraddistinguono e che derivano dalla complessa
evoluzione geodinamica di questo settore del Mediterraneo. In linea generale, i vari
contesti geomorfologici riconoscibili nella regione siciliana corrispondono ai diversi
domini strutturali presenti, rappresentati dal settore di Catena che si sviluppa in tutta la
porzione settentrionale dell’isola, dall’Avanfossa che occupa la porzione centro-meri-
dionale, e dall’Avampaese, localizzato nella porzione sud-orientale della regione.
Il settore di Catena è la zona orograficamente più aspra dell’isola e comprende
diversi gruppi montuosi, tra i quali: i M.ti Peloritani, i M.ti Nebrodi, il gruppo montuo-
so delle Madonie, i M.ti di Travia, di Palermo e di Trapani e i M.ti Sicani.
In tale contesto i morfotipi sono estremamente differenziati in funzione prevalen-
temente delle litologie affioranti. In corrispondenza dei Peloritani, dove le quote rara-
mente superano i 1000 m s.l.m (1374 m della Montagna Grande), l’affioramento di
rocce metamorfiche produce morfologie aspre con versanti fortemente acclivi che, a
volte, danno luogo a forme più dolci e arrotondate in corrispondenza delle aree a mag-
giore alterazione superficiale. Il passaggio ai terreni flyschoidi pelitico-arenacei dei
Nebrodi determina l’alternanza di morfologie più dolci nelle aree a prevalente affiora-
mento argilloso e più aspre e definite, con pareti a maggiore acclività, in corrisponden-
za degli affioramenti arenacei, con quote dei rilievi fino a circa 1800 m s.l.m.. Ulteriori
differenze si riscontrano nel settore centro-occidentale dell’isola, dove il prevalente
affioramento di rocce calcaree e calcareo-dolomitiche in corrispondenza dei gruppi
montuosi delle Madonie, dei Sicani, dei M.ti di Trapani e di Palermo determina la gene-
si di morfotipi tipici delle aree carsiche, con sviluppo sia di forme epigee che ipogee.
In tale ambito, dove i rilievi possono raggiungere anche quasi i 2000 m di quota (Pizzo
Carbonara, gruppo montuoso delle Madonie), i versanti maggiormente acclivi sono fre-
quentemente ricoperti da notevoli spessori di falde di detrito che poi possono dare ori-
gine ad ampi fenomeni di dissesto gravitativo, anche di notevole profondità.

42
Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica

Il settore centro-meridionale dell’isola è caratterizzato da una morfologia tipica-


mente collinare, con blande pendenze e forme arrotondate per via dell’affioramento dei
termini arenacei e calcarenitico-sabbiosi dei M.ti Erei. In tale contesto, in particolare,
il marcato controllo strutturale ha dato origine a particolari morfotipi rappresentati dai
rilievi a cuestas (monoclinalici) o a mesas (tabulari). Lo stesso paesaggio collinare con-
traddistingue le aree di affioramento della Formazione Gessoso-Solfifera dove la pre-
senza diffusa di terreni argillosi costituisce una delle principali cause predisponenti
all’innesco di frequenti fenomeni franosi. Inoltre anche in tal caso, l’elevata solubilità
delle rocce evaporitiche ha favorito lo sviluppo di intensi processi carsici che hanno
portato alla formazione di numerose cavità e grotte.
Il settore di Avampaese coincide interamente con l’Altopiano Ibleo, caratterizzato
dall’affioramento di calcari e calcareniti con giacitura suborizzontale incisi da solchi
fluviali estremamente profondi che prendono il nome di cave.
Il settore orientale della regione siciliana è dominato dal M.te Etna che raggiunge
i 3440 m di quota ed è il più alto vulcano attivo d’Europa.
La morfologia costiera, che ha uno sviluppo lineare di circa 1152 km, è caratteriz-
zata da una molteplicità di caratteri fisiografici in funzione dei litotipi presenti, con
un’alternanza continua di spiagge sabbiose o ciottolose, a volte antistanti a falesie inat-
tive, e di tratti di costa alta con pareti perlopiù calcaree. La costa settentrionale, in par-
ticolare, è molto articolata in un susseguirsi di spiagge sabbiose e falesie attive e in
diversi tratti si osservano lembi di terrazzi marini degradanti segno delle oscillazioni
eustatiche verificatesi nel Plio-Pleistocene. Nel complesso, per l’area siciliana sono
state individuate cinque diverse tipologie di litorali, la cui estensione in percentuale è
illustrata in tabella 2.1.1.

Tabella 2.1.1: Suddivisione tipologica dei litorali siciliani

Tipologia di litorale Lunghezza/Lunghezza tot. dei litorali siciliani

Spiagge sabbiose 34.8 %


Spiagge sabbiose-ciottolose 11.2%
Spiagge ghiaiose 3.4%
Coste basse rocciose 30.3%
Coste alte rocciose 20.3%
Fonte: Relazione sullo Stato dell’ambiente in Sicilia 2002-Regione Siciliana

Tali tipologie costiere possono essere ulteriormente distinte in funzione della loro
genesi e della loro tendenza evolutiva all’arretramento o all’avanzamento della linea di
costa. In particolare si distinguono: a) coste basse a pianura di fiumara, tipiche del mes-
sinese e soggette frequentemente a fenomeni di arretramento; b) coste basse alluviona-
li, situate alla foce dei principali fiumi e generalmente caratterizzate da avanzamento in
assenza di interventi antropici; c) coste basse con saline, frequenti nel trapanese e gene-
ralmente stabili; d) coste basse con spiagge protette da sistemi dunari, soggette ad arre-

43
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

tramento quando l’attività antropica ha ridotto o rimosso totalmente i cordoni dunari a


protezione; e) coste basse rocciose impostate su terrazzi marini, frequenti nell’agrigen-
tino e soggette ad intensa erosione; f) coste alte rocciose non soggette ad evidenti feno-
meni di arretramento, ad esclusione di eventi localizzati di crollo di blocchi rocciosi. I
tratti di litorale maggiormente soggetti ad erosione, soprattutto per cause di natura
antropica sia lungo la fascia costiera (porti, insediamenti urbani, infrastrutture lineari
costiere) che nell’entroterra (interventi strutturali lungo la rete idrografica di alimenta-
zione e in corrispondenza dei versanti dei rispettivi bacini), sono rappresentati dal lito-
rale tirrenico e messinese, dal tratto ionico compreso tra Riposto ed Ali Terme, dal lito-
rale ibleo e da un tratto della costa agrigentina.
Per quanto riguarda le principali caratteristiche della rete idrografica siciliana, que-
ste dipendono sostanzialmente dalle litologie affioranti e dagli eventuali condiziona-
menti tettonici presenti, senza dimenticare l’elemento fondamentale rappresentato dalle
peculiari condizioni climatiche di questo distretto del Mediterraneo.
In generale, i bacini idrografici presentano un’estensione areale modesta e il regi-
me di gran parte dei corsi d’acqua è a carattere torrentizio, a causa dell’alternarsi di lun-
ghi periodi di siccità a brevi ma intensi e copiosi eventi meteorici. I maggiori fiumi del-
l’isola, sia per lunghezza delle aste che per portate, sfociano in corrispondenza del ver-
sante meridionale (Belice, Platani, Salso, Gela) ed orientale (Anapo, Simeta,
Alcantara). Nelle porzioni montuose del territorio le valli fluviali tendono ad essere
strette ed approfondite, assumendo una tipica conformazione a V, mentre nelle aree a
prevalente morfologia collinare le valli si presentano molto più svasate ed ampie, con
una tipica sezione a conca. Più in particolare, la Catena costiera settentrionale è drena-
ta da numerosi torrenti caratterizzati da percorsi relativamente brevi e con elevata pen-
denza delle aste, che poi sfociano sotto forma di fiumare in ampie e spesse pianure allu-
vionali. Una nota particolare va fatta per l’ampia Piana di Catania, formatasi nel
Quaternario in seguito agli apporti detritici del F. Simeto e soggetta, negli ultimi anni,
ad un’intensa opera di bonifica.
Per quanto riguarda la tipologia e la distribuzione spazio-temporale dei fenomeni
di dissesto gravitativo, il territorio siciliano è caratterizzato da una notevole propensio-
ne al dissesto, sia in relazione alla natura litologica dei litotipi affioranti, che per l’azio-
ne di modellamento e di erosione svolta dalla rete idrografica superficiale. Non ultimo
va poi considerato l’intervento antropico che in molti casi va ad amplificare ulterior-
mente condizioni di disequilibrio già in atto. A tale riguardo si ricordano fattori quali il
massiccio e non controllato disboscamento delle aree montuose, il progressivo abban-
dono delle campagne, l’espansione incontrollata dei centri urbani anche in aree ad ele-
vata pericolosità.
Secondo uno studio effettuato nell’ambito del Progetto AVI (1995) del CNR –
GNDCI, la superficie della regione interessata da fenomeni franosi è di circa 34.000
ettari, corrispondente ad un numero complessivo di oltre 1590 eventi verificatisi in più
di 930 siti negli ultimi 500 anni. Gli eventi di dissesto, in particolare, si innescano gene-
ralmente in concomitanza con eventi di precipitazione particolarmente intensi e/o pro-
lungati che si verificano nel periodo autunnale ed invernale, coinvolgendo prevalente-
mente i litotipi argillosi ed arenaceo-marnosi e le coltri di alterazione superficiale.
Infatti, risulta che le aree maggiormente coinvolte in fenomeni di dissesto gravitativo

44
Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica

sono quelle corrispondenti al settore centro-meridionale dell’isola (Caltanissetta,


Agrigento, Enna) dove affiorano i termini flyschoidi e clastici dell’avanfossa e la por-
zione nord-occidentale della regione (Palermo), caratterizzata da litologie prevalente-
mente argillose, argilloso-marnose e scistose. Un franosità significativa si registra
anche nell’area del messinese (M.ti Peloritani) dove i versanti, generalmente dalla mor-
fologia aspra e ad elevata acclività, sono caratterizzati dall’affioramento di litotipi cri-
stallini intensamente fratturati e tettonizzati, tanto da favorire l’innesco di fenomenolo-
gie franose quali crolli, ribaltamenti e scorrimenti di detrito. Le aree di affioramento
delle rocce calcaree, calcareo-dolomitiche ed arenaceo-gessose, invece, sono caratteriz-
zate da una franosità ridotta.
Nella tabella 2.1.2 viene fornito un quadro sintetico delle principali tipologie fra-
nose riscontrate nella regione siciliana in funzione delle litologie affioranti.

Tabella 2.1.2: Tipologie di frana e litologia

Tipologia di frana Litologia

Crolli e ribaltamenti Calcari e dolomie, calcari marnosi, arenarie, rocce cristalline,


basalti, gessi, calcareniti, termini arenaci dei flysch (settori di
catena, avampaese, avanfossa, area etnea)
Scorrimenti traslativi Calcari e calcari marnosi, arenarie e conglomerati con inter-
calazioni argilloso-marnose, metamorfiti , gessi e gessareniti,
calcareniti (settori di catena, avampaese e avanfossa)
Scorrimenti rotazionali Marne e argille, arenarie, argille sabbiose e sabbie, termini
pelitici dei flysch (settori di catena e di avanfossa)
Colate Marne e argille, arenarie, argille sabbiose e sabbie, termini
pelitici dei flysch (settori di catena e di avanfossa)
DGPV Rocce a comportamento fragile su rocce a comportamento
duttile (settori di catena e di avanfossa)

Fonte: POL del Progetto IFFI (Inventario Fenomeni Franosi d’Italia) - Regione
Siciliana

Per quanto concerne i fenomeni di dissesto collegati agli eventi alluvionali, negli
ultimi 500 anni in Sicilia sono stati registrati oltre 240 eventi di piena, interessando com-
plessivamente oltre 480 località. In generale, i fenomeni di piena dei corsi d’acqua sono
caratterizzati da una frequenza temporale inferiore rispetto ai fenomeni franosi ma, come
i dissesti gravitativi, si verificano in concomitanza di eventi meteorici di carattere ecce-
zionale e possono interessare anche interi bacini imbriferi. Le aree maggiormente colpi-
te da fenomeni alluvionali sono quelle appartenenti alla Piana Catania, dove si verifica
la confluenza di tre corsi d’acqua caratterizzati da portate significative (Simeto, Dittaino
e Gornalunga), mentre altre province interessate da eventi di piena, sebbene in misura
minore, sono quelle di Messina, Siracusa, Palermo e Agrigento (foto 2.1.2).

45
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 2.1.2: Piena del F. Anapo, Piana di Siracusa. Alluvione 2003 - Foto Protezione
Civile del Comune di Siracusa

2.1.4 Basilicata
Il territorio della regione Basilicata è costituito prevalentemente da una porzione mon-
tuosa e da una collinare, ad eccezione della fascia costiera ionica essenzialmente pianeg-
giante. In particolare, l’area montuosa si estende in tutto il settore occidentale e sud-occi-
dentale della regione, costituito in massima parte dall’Appennino Lucano con rilievi le cui
quote non superano i 1500 m s.l.m., ad eccezione dei M.ti del Pollino (oltre 2000 m s.l.m.)
e dei M.ti Sirino (2000 m s.l.m.) ed Alpi (1900 m s.l.m.) al confine con la Calabria. Tale
fascia montuosa, che segue tutto il confine occidentale della Basilicata assumendo una con-
formazione ad arco fino al Massiccio del Pollino calabrese, passa gradualmente verso sud,
sud-est al paesaggio tipicamente collinare del Materano dove le quote medie non supera-
no i 500-600 m s.l.m., per poi degradare ulteriormente verso sud-est nelle aree pianeggian-
ti del Metapontino, della Murgia Pugliese e della Valle del F. Ofanto.
In tale contesto le caratteristiche morfologiche del territorio dipendono dall’asset-
to geologico-strutturale, estremamente complesso e fortemente differenziato nell’ambi-
to di un’area spazialmente limitata, e dalle peculiari caratteristiche climatiche della
regione che a loro volta condizionano anche lo sviluppo e le caratteristiche della rete
idrografica e la tipologia e l’intensità dei processi erosivi di superficie.

46
Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica

In generale, i diversi morfotipi caratteristici della regione corrispondono ai diffe-


renti domini strutturali in essa presenti e rappresentati, da ovest verso est, dall’area
della Catena Appenninica, dall’Avanfossa Bradanica e dall’Avampaese Apulo. A que-
sti si aggiunge, infine, un ulteriore dominio caratterizzato dall’apparato vulcanico del
Monte Vulture, ubicato nella porzione nord-occidentale della Basilicata. Quest’ultimo,
in particolare, caratterizzato dall’affioramento di lave e prodotti vulcanici di natura
piroclastica, dà luogo a morfologie estremamente differenziate in funzione delle carat-
teristiche di erodibilità dei prodotti lavici e vulcanici in genere passando da forme
aspre ed accidentate, con pendenze elevate dei versanti laddove si riscontrano prodot-
ti lavici litici o ad elevata coesione, a forme più dolci e pendenze blande nelle aree di
affioramento dei depositi sciolti o debolmente coerenti, facilmente erodibili.
L’area di Catena è quella che dà luogo alle morfologie più aspre della regione, con
affioramento di litotipi calcarei e calcareo-dolomitici mesozoici, tipici della Piattaforma
Carbonatica Lucana, di sedimenti della serie Calcareo-Silico-Marnosa mesozoica e dei
diversi tipi di flysch miocenici, essenzialmente arenaceo-quarzosi, calcarenitico-marnosi,
argilloso-marnosi con intercalazioni calcaree. Tra le molteplici successioni flyschoidi
affioranti risultano di particolare rilievo, ai fini dei fenomeni di instabilità di versante a cui
danno origine, il Flysch Rosso argilloso marnoso e calcareo-marnoso (zona di
Pescopagano-M.te Marzano e presso Satriano e Brienza) e la Formazione delle Argille
Varicolori (zona tra la Valle del Basento e la Val d’Agri), caratterizzate da argille e marne
argillose fortemente tettonizzate con intercalazioni di strati sottili di diaspri e calcareniti.
L’avanfossa Bradanica, ubicata in corrispondenza del territorio di Matera, è carat-
terizzata dall’affioramento di sedimenti conglomeratici, sabbiosi e argillosi connessi ad
una sedimentazione marina Plio-Pleistocenica, alternati a strati calcarenitici. Su tali
depositi poggiano sedimenti sabbioso-conglomeratici riconducibili ai cicli deposiziona-
li connessi alle oscillazioni eustatiche Plio-Pleistoceniche che hanno portato all’indivi-
duazione di sette diversi ordini di terrazzi marini degradanti verso lo Jonio e paralleli
all’attuale linea di costa. In tale ambito, sempre ai fini dei fenomeni di dissesto, parti-
colare importanza assumono i depositi argilloso plio-pleistocenici (Argille Azzurre
Auct.) che danno luogo a peculiari morfotipi per via degli intensi processi erosivi eser-
citati dalle acque di scorrimento superficiale.
I litotipi appartenenti all’Avampaese Apulo affiorano limitatamente solo nel setto-
re orientale e sud-orientale della regione, al confine con la Puglia, e sono rappresentati
dai termini calcareo e calcareo-dolomitici della Piattaforma Carbonatica Apula, con
tipica giacitura sub-orizzontale degli strati.
Per quanto concerne le caratteristiche idrografiche, la regione Basilicata, in consi-
derazione anche della scarsa permeabilità di gran parte delle litologie affioranti, è carat-
terizzata da un reticolo idrografico molto esteso e molto ben sviluppato, costituito da
un gran numero di corsi d’acqua principali tra cui i fiumi Bradano, Basento, Cavone,
Agri e Sinni che sfociano nello Jonio dopo aver attraversato quasi tutta la regione
secondo una direzione prevalente NW-SE. Oltre a questi, altri corsi d’acqua con porta-
te notevoli sono rappresentati dal F. Ofanto, che sfocia nell’Adriatico, e dai fiumi Noce,
Meandro e Platino, che sfociano nel Tirreno.
I bacini idrografici dei fiumi che sfociano nel Mar Jonio sono in genere caratteriz-
zati da un tratto montano in cui il reticolo idrografico è ben gerarchizzato, con aste flu-
viali molto fitte, brevi ad elevata pendenza e con un tipico profilo trasversale delle valli

47
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

fluviali a V. Tali caratteristiche conferiscono alle acque incanalate una notevole capaci-
tà erosiva che si manifesta soprattutto in corrispondenza delle litologie argillose ed
argilloso-marnose dei flysch miocenici, determinando intensi processi di instabilità gra-
vitativi nelle loro aree di affioramento. Nel loro tratto di valle, invece, i reticoli idrogra-
fici si fanno meno gerarchizzati, con un minore sviluppo del bacino imbrifero ma, in
considerazione delle pendenze che si mantengono comunque elevate e delle scadenti
caratteristiche geomeccaniche dei litotipi affioranti (essenzialmente argille ed argille-
marnose), si sviluppano intensi processi erosivi a danno dei versanti dei rilievi collina-
ri che danno origine spesso a peculiari morfotipi denominati calanchi.
Viste le notevoli portate di gran parte dei corsi d’acqua sopra indicati e i problemi
di scarsità di riserve idriche e di aridità che affliggono gran parte del territorio lucano,
negli ultimi decenni sono stati costruiti numerosi bacini di invaso artificiali lungo la rete
idrografica della regione per l’accumulo delle risorse idriche ed il loro sfruttamento nei
lunghi periodi di siccità. Tra questi si ricordano l’invaso di Monte Cotugno sul F. Sinni,
l’invaso del Pertusillo, l’invaso di S. Giuliano e l’invaso del Calastra sul F. Basento.
Come già accennato, il regime dei corsi d’acqua della regione è essenzialmente di
tipo torrentizio, legato al regime pluviometrico dell’area che è caratterizzato da piogge
intense nel periodo tardo-autunnale ed invernale e da piogge estremamente scarse, fino
ad assenti, per tutto il resto dell’anno.
In tale contesto geologico, idrografico e climatico il territorio della Basilicata è
caratterizzato da un’estrema diffusione di fenomeni di dissesto geologico-idraulico che
vanno ad interessare circa il 90 % dei centri abitati della regione, ubicati in prevalenza
o alla sommità dei rilievi collinari o nelle aree pianeggianti.
L’innesco di processi di instabilità è favorito anche dall’attività neotettonica che,
ancora attiva, produce un innalzamento in corrispondenza del bordo esterno della Catena
che, a sua volta, induce un incremento dei dislivelli, un approfondimento ulteriore del
reticolo idrografico con un considerevole aumento della capacità erosiva lungo tutta la
rete idrografica superficiale. Tale attività erosiva, d’altro canto, si esplica nei confronti di
terreni fortemente alterati, con scadenti caratteristiche geomeccaniche e in precarie con-
dizioni di equilibrio. In tali condizioni, in concomitanza con eventi meteorici di caratte-
re eccezionale, i corsi d’acqua sia principali che secondari assumono un’elevata capaci-
tà erosiva per via di un notevole incremento delle loro portate che si traduce in fenome-
ni di scalzamento al piede dei versanti, e conseguente innesco di eventi franosi lungo gli
stessi. Nelle aree di prevalente affioramento di litologie argillose, sono molto frequenti
le frane del tipo colata, mentre dove le argille sono intercalate ad orizzonti a maggiore
consistenza litica si innescano frane complesse del tipo scorrimento rotazionale/traslati-
vo evolventi poi in colate nelle porzioni intermedie e basali (es. Ferrandina).
Particolarmente rilevanti, inoltre, sono i fenomeni di dissesto che portano alla for-
mazione diffusa di calanchi in tutto il settore meridionale della regione, ove affiorano
prevalentemente le argille e le argille-limose plio-pleistoceniche. In tale contesto l’atti-
vità di erosione areale esercitata dalle acque di precipitazione meteorica, unita alla mar-
cata erosione lineare esercitata dalle acque incanalate, ha portato ad un intenso model-
lamento del paesaggio secondo incisioni in continuo approfondimento che inducono
una situazione di elevato rischio geologico-idraulico per i centri abitati posti nelle por-
zioni sommitali di tali rilievi in erosione.

48
Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica

Foto 2.1.3: Fenomeni di erosione accelerata nel Comune di Aliano (MT) - Foto L.
Pistocchi

Nelle aree di affioramento delle Argille Varicolori, i dissesti gravitativi sono rap-
presentati essenzialmente da movimenti tipicamente lenti (creeping o colata) ed interes-
sano generalmente la coltre di alterazione delle argille che può raggiungere uno spes-
sore di una decina di metri. Tali movimenti subiscono, in genere, improvvisi incremen-
ti di velocità della massa argillosa in frana in occasione di eventi meteorici particolar-
mente intensi e/o copiosi.

2.1.5 Sardegna
Il territorio sardo può essere suddiviso in sette sub-bacini che presentano caratteri-
stiche geomorfologiche ed idrologiche omogenee.
Il sub-bacino del Sulcis, ubicato nel settore sud-occidentale dell’isola, è caratteriz-
zato dall’affioramento di litotipi metamorfici, granitici e calcarei. Le morfologie preva-
lenti sono costituite da forme dolci ed arrotondate, tipiche di un paesaggio collinare in
corrispondenza degli argilloscisti metamorfici, mentre diventano decisamente più
aspre, con versanti ad elevata pendenza e forti dislivelli, nelle aree di affioramento dei

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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

rilievi calcareo-dolomitici. Una peculiare caratteristica dell’area è rappresentata dalla


presenza diffusa di molte cavità sotterranee derivate dall’attività di estrazione minera-
ria, sia passata che attuale.
Il sub-bacino del F. Tirso, posto nel settore centro-occidentale della regione, è carat-
terizzato da diverse associazioni litologiche, tra cui il basamento metamorfico del
Gennargentu e della Barbagia, i graniti, la serie carbonatico-mesozoica, i sedimenti terri-
geni oligo-miocenici (conglomerati, arenarie, calcareniti e siltiti) e i depositi di pianura
alluvionale che si sviluppano a ridosso del golfo di Oristano e del graben del Campidano.
Il sub-bacino del Coghinas-Mannu-Temu, ubicato nella porzione nord-occidentale
dell’isola, è caratterizzato dall’affioramento di una sequenza vulcano-sedimentaria che
ricopre un corpo intrusivo paleozoico posto più ad ovest. Oltre a ciò si rileva un com-
plesso vulcanico oligo-miocenico poggiante su un substrato calcareo e ricoperto, a sua
volta, da sedimenti marnoso-arenacei e calcareo-arenacei di origine marina. A tali siste-
mi si aggiungono i rilievi cristallini della Gallura e le formazioni carbonatiche dei rilie-
vi della Doglia, di Punta Cristallo e di Capo Caccia. In tale complesso contesto litolo-
gico, dal punto di vista geomorfologico si individuano aree montuose, caratterizzate da
morfologie aspre ed accidentate soggette ad intensi processi di degradazione fisica e di
alterazione meteorica, orientate secondo i principali lineamenti tettonici dell’area e
separate tra loro da strette ed approfondite valli fluviali. In tale ambito uno dei morfo-
tipi più caratteristici è rappresentato dai Tor, ossia rilievi rocciosi che spiccano dalla
superficie circostante da qualche metro fino a molti metri di altezza. A tali morfologie
si affianca un paesaggio più tipicamente collinare e vulcanico, con residui di antichi
edifici vulcanici e forme dolci e smussate modellate nei depositi terrigeni miocenici.
Il sub-bacino del F. Liscia, posto nel settore nord e nord-occidentale della regione,
è caratterizzato essenzialmente dall’affioramento di rocce granitoidi sulle quali fre-
quentemente si rilevano spesse coltri di alterazione (fino a qualche m di spessore) costi-
tuite da sabbioni che a volte vanno a riempire delle “tasche” o depressioni morfologi-
che. Le aree di fondovalle, infine, sono occupate da sedimenti quaternari, mentre le aree
costiere sono caratterizzate da diffusi ma non ampi tratti si spiagge sabbiose. Dal punto
di vista geomorfologico si distinguono rilievi elevati, altopiani e serre. Queste ultime,
in particolare, la cui quota non supera mai i 200-300 m s.l.m., danno luogo a morfolo-
gie estremamente aspre con versanti ad elevata pendenza. In linea generale, il paesag-
gio si caratterizza per un’alternanza di gradinate e terrazzi morfologici, mentre le aree
di fondovalle intramontane sono rare e di superficie ridotta.
Il sub-bacino dei F. Posada-Cedrino, ubicato nella porzione centro e nord-occiden-
tale della regione, è caratterizzato dall’affioramento di litotipi prevalentemente lapidei
(granitoidi e metamorfiti del basamento, serie calcareo-dolomitica e coperture vulcani-
che). I depositi sciolti sono di natura alluvionale ed eluvio-colluviale ed affiorano essen-
zialmente nelle piane alluvionali, nei fondovalle e ai piedi dei rilievi. Di conseguenza,
nella regione in esame prevalgono rilievi con morfologie aspre e versanti ad elevata pen-
denza in corrispondenza degli affioramenti granitoidi e calcareo-dolomitici, mentre pre-
vale un paesaggio più tipicamente collinare, con pendenze blande e forme arrotondate
nelle zone di affioramento delle metamorfiti alterate e della serie vulcanica.
Il sub-bacino sud-orientale dell’isola è caratterizzato dal basamento scistoso cri-
stallino paleozoico in cui si alternano rocce granitoidi, scistose e vulcaniti a diverso
grado di metamorfismo, e da rocce calcareo-dolomitiche mesozoiche. In tale contesto

50
Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica

la morfologia peculiare è data da rilievi accidentati con forti dislivelli e versanti ad ele-
vata pendenza. L’orientazione delle catene montuose e delle principali valli che le inter-
secano è connessa alle principali direttrici tettoniche di tale area che condizionano
pesantemente anche lo sviluppo e la direzione del reticolo idrografico. L’area di affio-
ramento delle formazioni carbonatiche è contraddistinta dalla presenza di estese super-
fici sommitali sub-pianeggianti che si raccordano ai fondovalle mediante ripide scarpa-
te di altezza superiore anche ad un centinaio di metri. Tali contesti geomorfologici sono
sede di diffuse forme di origine carsica.
L’area del sub-bacino dei fiumi Flumendosa-Campidano-Cixerri, la più antropizzata
della Sardegna, è quella in cui maggiori sono le interferenze tra il reticolo idrografico, i
centri abitati e le infrastrutture antropiche, con risvolti negativi sulla stabilità di molti set-
tori. In tale ambito i contesti geologici sono piuttosto vari e caratterizzati dall’affioramen-
to di litologie metamorfiche, calcaree, terrigene (facies arenaceo-marnose) e alluvionali
(alluvioni terrazzate antiche e recenti). A tale varietà litologica corrisponde una varietà di
forme del paesaggio. Infatti, nelle aree di affioramento del basamento metamorfico d’al-
to grado prevale un paesaggio tipicamente montuoso ed accidentato, mentre nell’area del
Campidano si rileva un sistema di conoidi piuttosto sviluppato. A questo si aggiungono
tipiche morfologie collinari in corrispondenza del golfo di Oristano, bordate dai più aspri
rilievi calcarei, con versanti ad elevata pendenza e dislivelli accentuati.
Per quanto riguarda i dissesti gravitativi che caratterizzano il territorio nel suo com-
plesso, nelle aree di affioramento di litotipi essenzialmente litici (metamortifi di alto
grado, rocce granitoidi, lave basaltiche e successioni carbonatiche), prevalgono fenome-
ni di crollo e/o ribaltamento dovuti ad un elevato grado di fratturazione dell’ammasso
roccioso o per via di processi di scalzamento al piede ad opera del mare (foto 2.1.4).

Foto 2.1.4: Crolli e ribaltamenti - falesia di Cala Gonone, Dorgali - Foto A. Trigila

51
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Nelle aree dove prevalgono depositi terrigeni a prevalente componente argillosa


(metamorfiti di basso grado e depositi sedimentari Quaternari), invece, sono maggior-
mente diffusi i fenomeni di colata o gli eventi di tipo complesso (scorrimento rotazio-
nale/traslativo evolvente in colata) il cui innesco ed evoluzione sono legati in massima
parte all’erosione esercitata dalle acque incanalate nei periodi di piena.
Diffuse sono anche le frane superficiali che coinvolgono la coltre di alterazione
detritica degli ammassi rocciosi, soprattutto in aree prive di copertura boschiva/vegeta-
zionale o con copertura estremamente discontinua ed insufficiente a causa soprattutto
di recenti incendi boschivi.
Nell’ambito dell’intero territorio regionale il 59,6% dei comuni sardi non presenta
aree a rischio di frana, mentre il restante 40,4% è caratterizzato da aree franose. In par-
ticolare, l’area maggiormente colpita da eventi franosi è quella della provincia di
Sassari, mentre quella meno interessata da dissesti gravitativi è la provincia di Oristano.
Occorre sottolineare che in molti dei casi rilevati l’elevata propensione ai dissesti
di tipo gravitativo è una conseguenza diretta di una non corretta gestione del territorio,
dell’apertura di trincee e sbancamenti per la realizzazione di infrastrutture viarie o edi-
fici in prossimità di versanti già in condizioni di equilibrio precario, dell’assenza o
insufficienza di un sistema adeguato di regimazione delle acque superficiali, dell’ubi-
cazione di insediamenti antropici in aree ad elevata pericolosità da frana.
Per quanto riguarda le caratteristiche idrografiche, il territorio regionale è caratte-
rizzato dalla prevalenza di corsi d’acqua a regime torrentizio, mentre solo pochi sono i
fiumi di tipo perenne (Tirso, Flumendosa, Coghinas, Cedino, Liscia e Temo). La scar-
sità di riserve idriche, inoltre, ha indotto la costruzione in tutta la regione di numerosi
bacini di invaso artificiali che però hanno completamente alterato l’originario regime
idrografico dell’area.
Nel complesso, la gran parte dei bacini idrografici che sottendono corsi d’acqua a
regime torrentizio è caratterizzata da aste ad elevate pendenze per la maggior parte del
loro corso, mentre i brevi tratti vallivi si sviluppano essenzialmente in corrispondenza
delle conoidi poste allo sbocco dei fondovalle o nelle pianure alluvionali. Da ciò deri-
va il fatto che gli intensi processi di erosione lineare che si verificano nelle porzioni di
monte dei bacini si traducono in fenomeni di sovralluvionamento nelle aree di valle,
dove le pendenze dell’alveo diminuiscono bruscamente. Gli eventi di piena, in partico-
lare, sono da porre in stretta relazione con il regime pluviometrico dell’area caratteriz-
zato da lunghe estati estremamente aride seguite da un periodo piovoso autunnale e
invernale. In conseguenza dell’irregolarità con cui si manifestano le precipitazioni
meteoriche, le portate dei corsi d’acqua sono estremamente variabili nel corso dell’an-
no, comportando una marcata stagionalità anche dei fenomeni di dissesto geologico-
idraulico ad esse strettamente correlati.

2.1.6 Campania
La regione campana presenta caratteristiche geomorfologiche complesse ed estre-
mamente differenziate nell’ambito del suo territorio poiché vi si riconoscono moltepli-
ci domini geologico-strutturali che derivano dalle alterne fasi tettoniche che hanno
caratterizzato la costruzione di tale settore dell’edificio appenninico meridionale. In
particolare, le attuali forme del paesaggio sono state fortemente condizionate dalle ulti-

52
Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica

me fasi neotettoniche distensive Plio-Pleistoceniche che hanno portato ad un progressi-


vo smembramento della Catena carbonatica e ad un incremento dell’attività erosiva
lineare, e dalla recente attività vulcanica del distretto del Somma-Vesuvio che ha cau-
sato, tra l’altro, il ricoprimento delle dorsali carbonatiche con una spessa coltre di pro-
dotti piroclastici. A tali fattori se ne sono sovrapposti altri non meno importanti legati
alle oscillazioni climatiche iniziate nel Pleistocene e proseguite fino all’attuale, respon-
sabili di un intenso modellamento subaereo dei rilievi (alternanza di fasi erosive e fasi
deposizionali) e in grado di condizionare lo sviluppo dei fenomeni carsici attraverso le
ripetute variazioni del livello di base. In tale contesto, l’azione delle acque di superfi-
cie, incanalate e dilavanti, la dissoluzione carsica e i processi di instabilità gravitativa
hanno dato luogo ad una morfologia differenziata a seconda dei diversi contesti geolo-
gico-strutturali considerati, rappresentati dall’area di Catena appenninica suddividibile
nelle dorsali carbonatiche appenniniche, negli argilloscisti del Complesso liguride e nei
flysch terziari, dalle depressioni strutturali peritirreniche ed intramontane di origine
strutturale, dalle aree vulcaniche, e dalla fascia costiera.
La porzione di Catena costituita dalle grandi dorsali carbonatiche è formata dai
maggiori gruppi montuosi della regione, tra i quali i rilievi del Matese, i Monti del
Casertano, i Picentini, i Monti di Sarno e di Avella, i rilievi degli Alburno-Cervati, il
Monte Bulgheria. Tali rilievi, che in alcuni casi superano i 2000 m di quota, sono costi-
tuiti prevalentemente da potenti monoclinali calcareo-dolomitiche sollevatesi in con-
nessione con l’attività di faglie Plio-Quaternarie ad estensione regionale, e diffusamen-
te ricoperte da depositi clastici quaternari (brecce di versante, ghiaie di conoide e depo-
siti alluvionali) e da depositi piroclastici da caduta di spessore variabile (fino a 5-7 m
di spessore in corrispondenza del versante settentrionale di M.te Pizzo d’Alvano), rife-
ribili essenzialmente a pomici e ceneri d’origine vesuviana.
Tali rilievi sono delimitati in molti casi da antichi versanti di faglia fortemente acci-
dentati e caratterizzati da elevate pendenze (da 30° fino a oltre 60° nelle porzioni som-
mitali). Gli alti strutturali calcarei sopra illustrati sono separati da strette e lunghe valli
tettoniche di importanza regionale, sviluppatesi sia in ambito intramontano (Valle
Caudina, Valle del Cranio, Lago del Matese, Vallo di Diano) che lungo il margine tir-
renico (Piana Campana, Piana di Battipaglia) e riempite di depositi clastici derivanti
dall’erosione delle acque di scorrimento superficiale e dai depositi di origine vulcani-
ca. L’area di raccordo tra i rilievi calcarei e le piane strutturali è caratterizzata da diver-
se generazioni di conoidi, le più antiche delle quali risultano sospese di qualche metro
sugli attuali fondovalle, mentre sulle più recenti, ancora attive, si sono sviluppati nume-
rosi agglomerati urbani (es., Avella, Quadrelle, Roccaraindola, Quindici, etc) che, vista
la posizione che occupano, sono caratterizzati da un’elevata condizione di rischio in
connessione a potenziali eventi di alluvionamento alimentati da trasporto solido da
monte. Lateralmente alle conoidi, alla base dei versanti carbonatici fortemente acclivi,
sono presenti estese fasce detritiche di raccordo (glacis pluvio-colluviale), formatesi in
relazione a processi di erosione dei rilievi calcarei.
Nel settore orientale e meridionale della regione affiorano litologie prevalentemen-
te terrigene riferibili a depositi terziari, essenzialmente calcareo-silico-marnosi, argillo-
si e argilloso-arenacei (Unità del Sannio, Unità Lagonegresi, Unità del Fortore e Unità
Dauna). Tali unità geologico-strutturali danno luogo a un’ampia fascia dalla morfologia

53
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

collinare ed alto-collinare (quote comprese tra 500 m e 1000 m s.l.m.) ubicata ad est del-
l’allineamento M.ti Picentini-M.ti del Matese, in corrispondenza di buona parte del ter-
ritorio del Sannio e dell’Irpinia. Tali successioni litologiche complesse a prevalente com-
ponente argillosa e con frequenti ricoprimenti di successioni Plio-Quaternarie (formazio-
ni sabbioso-conglomeratico-argillose), danno origine a morfologie estremamente diffe-
renziate in funzione del locale affioramento di litotipi più o meno competenti.
Le coste della regione campana raggiungono uno sviluppo lineare complessivo di
circa 350 km, caratterizzate per il 60% circa da coste alte impostate nelle pareti rocciose
calcaree o nelle tufiti vulcaniche e per il restante 40% da spiagge sabbiose. Un elemento
da porre in risalto in tale ambito è l’elevato grado di antropizzazione che contraddistingue
tale dominio fisiografico e che ha aggravato i già precari equilibri naturali esistenti, incre-
mentando ulteriormente la tendenza all’arretramento di gran parte delle coste campane.
Le aree vulcaniche sono rappresentate dall’edificio vulcanico di Roccamonfina,
dall’area flegrea, dall’apparato del Somma-Vesuvio e dalle Isole di Ischia e di Procida.
In particolare, per quanto riguarda l’area flegrea si tratta di una serie di alture ad anda-
mento circolare o ellittico compenetrate e smembrate per via dell’alternarsi delle diver-
se fasi evolutive della caldera, mentre il distretto vulcanico del Somma-Vesuvio è carat-
terizzato da morfologie più aspre, con versanti ad elevata pendenza.
Per quanto riguarda le caratteristiche generali della rete idrografica, questa risulta for-
temente influenzata, soprattutto in ambito montano, dall’andamento dei principali linea-
menti tettonici che hanno indotto in molti casi la formazione di corsi d’acqua susseguen-
ti che incidono profondamente i rilievi carbonatici e brusche deviazioni del talweg. Nella
gran parte dei casi i reticoli idrografici sono scarsamente gerarchizzati e caratterizzati da
bassi tempi di corrivazione. Il regime dei corsi d’acqua è tipicamente torrentizio, mentre
nelle aree dei rilievi carbonatici gli alvei presentano pendenze elevate, generando profon-
de incisioni con conseguente elevato trasporto solido. Nelle aree di valle, in concomitan-
za di eventi pluviometrici particolarmente intensi, lo smaltimento delle acque alimentate
dalle aree di monte dei bacini idrografici diventa estremamente difficoltoso, tale da pro-
vocare, in molti casi, eventi di allagamento, causando ingenti danni alle colture locali e
agli agglomerati urbani. In tali settori sia pedemontani che di pianura, infatti, l’attività
antropica negli ultimi decenni si è fortemente sviluppata con interventi che spesso hanno
aggravato lo stato di dissesto geologico-idraulico del territorio come ad esempio le devia-
zioni dei corsi d’acqua e le tombature in ambito urbano dei fossi.
Per quanto riguarda le aree vulcaniche, queste sono caratterizzate da un fitto reticolo
idrografico attivo in concomitanza di precipitazioni meteoriche intense e/o prolungate con
conseguente incremento dei processi erosivi, del trasporto solido e frequenti fenomeni di
sovralluvionamento soprattutto in corrispondenza delle fasce di raccordo pedemontano.
Un elemento di particolare importanza è connesso alla diffusione dei fenomeni carsi-
ci e delle sue forme in corrispondenza dei rilievi calcarei, soprattutto nelle porzioni di
paleosuperficie variamente dislocate a quote differenti nell’ambito delle dorsali carbonati-
che. I fenomeni di dissoluzione carsica che inducono locali incrementi della permeabilità
e la formazione di cavità carsiche ipogee costituiscono un fattore di rischio di particolare
rilievo per la diffusione nel sottosuolo dei fluidi inquinanti, mentre la presenza nelle aree
pianeggianti calcaree di conche carsiche endoreiche rappresenta una condizione di elevato
rischio potenziale in relazione al loro utilizzo come discariche non controllate.

54
Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica

Nelle aree meridionali della regione Campania, invece, viste le caratteristiche di


scarsa permeabilità di gran parte dei litotipi affioranti, il reticolo idrografico è caratte-
rizzato da un maggiore sviluppo ed un maggior grado di gerarchizzazione generalmen-
te con forma tipicamente dendritica, anche se non mancano forti condizionamenti strut-
turali alla direzione di alcuni corsi d’acqua.
Per quanto riguarda i fenomeni di dissesto gravitativo, le principali tipologie e la
loro distribuzione nel territorio campano sono connesse alle caratteristiche litologiche,
strutturali e idrografiche dei principali domini morfologici. In generale, nelle aree dei
rilievi calcarei le tipologie franose più diffuse sono rappresentate da crolli e/o ribalta-
menti di blocchi lapidei. Quando tali rilievi sono ricoperti dalle coltri piroclastiche,
l’evoluzione del sistema versante è fortemente connessa all’erosione delle piroclastiti di
origine vesuviana o flegrea, costituite essenzialmente da ceneri, lapilli e pomici alter-
nate a livelli argillosi pedogenizzati. Tali depositi, quando soggetti ad una erosione
lineare e ad un dilavamento areale particolarmente intensi in connessione con eventi di
precipitazione meteorica di carattere eccezionale, danno luogo ad eventi di colate rapi-
de di fango e detrito (debris flow) o frane complesse del tipo scorrimento
traslativo/rotazionale-colata rapida. Lo spessore dei sedimenti coinvolti varia da pochi
decimetri fino a oltre 2 m e l’innesco di tali dissesti gravitativi si verifica in genere in
corrispondenza dei versanti ad elevata pendenza, andando poi ad alimentare le strette
incisioni vallive poste al piede fino a sfociare nelle aree di pianura dopo aver percorso
anche distanze notevoli.

Foto 2.1.5: Colata rapida di fango S. Martino Valle Caudina (AV). Evento dicembre
1999 - Foto R. Clemente

55
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Considerando le caratteristiche di antropizzazione di tali settori del territorio cam-


pano, si comprende come, una volta che tali eventi di frana tipicamente veloci ed
improvvisi arrivano al fondovalle, vanno ad investire direttamente i centri abitati ubica-
ti frequentemente in corrispondenza dei conoidi alluvionali, con inevitabili ripercussio-
ni in termini di danni alle infrastrutture e, nei casi più gravi, di perdita di vite umane
(Sarno 1998).
Fenomeni di crollo/ribaltamento caratterizzano anche i versanti lapidei acclivi del-
l’edificio vulcanico del Somma-Vesuvio e dei versanti strutturali dell’area flegrea. Per
quanto riguarda quest’ultima porzione del territorio campano, in particolare, i fenome-
ni franosi riconosciuti sono principalmente di tipo scorrimento traslativo, colate e frane
complesse (crollo evolvente a colata, scorrimenti evolventi a colata). Tali dissesti sono
perlopiù di modesto volume e si innescano su versanti con pendenze medio-alte.
Un elemento peculiare della stabilità dei versanti che necessita di specifici studi
e approfondimenti è rappresentato dalla stabilità delle numerose pareti di cava, sia
attive che inattive, generalmente ubicate nell’ambito dei rilievi calcarei. Tali ambien-
ti geomorfologici sono caratterizzati in genere da pendenze delle pareti rocciose
superiori a 60° che in molti casi sono soggette a fenomeni di crollo legati alla frattu-
razione dell’ammasso roccioso, alla pendenza delle pareti di cava e al metodo di col-
tivazione.
Nelle aree della Campania meridionale ed orientale e nel Cilento, dove affiorano
prevalentemente formazioni argillose complesse, i fenomeni franosi sono estremamen-
te diffusi arealmente e sono soggetti a frequenti riattivazioni in concomitanza di piog-
ge particolarmente intense e/o prolungate. Le tipologie franose maggiormente ricorren-
ti, in particolare, sono rappresentate dalle colate e dalle frane complesse del tipo scor-
rimento rotazionale/traslativo-colata, ma non mancano fenomeni di scorrimento nel
detrito superficiale o espansioni laterali. In tale contesto le acque incanalate, a preva-
lente regime torrentizio, esercitando un’erosione al piede dei versanti prospicienti l’al-
veo, inducono l’innesco di diffusi fenomeni di instabilità lungo gli stessi.
Oltre a tali tipologie di dissesto propriamente di tipo gravitativo, il territorio cam-
pano è interessato da frequenti e diffusi fenomeni di alluvionamento con elevato tra-
sporto solido (flussi iperconcentrati) connessi alla presenza di un reticolo idrografico a
prevalente regime torrentizio che incide litologie spesso incoerenti e comunque molto
alterate e caratterizzate da un elevato grado di erodibilità. In tali condizioni, gli effetti
del sovralluvionamento vengono ulteriormente amplificati dal elevato grado di antro-
pizzazione che ha comportato spesso la trasformazione di numerosi incisioni torrenti-
zie, nel tratto di valle, in così detti alvei-strada.
Tali problematiche, ovviamente, vengono trasferite in toto anche nelle aree di pia-
nura dove gli episodi di sovralluvionamento ed esondazione dei corsi d’acqua sono
legati a problemi di rigurgito per la presenza di locali restringimenti di sezione (ponti),
di tombature (tratti fluviali artificiali coperti) ed, in generale, per la presenza di infra-
strutture ed opere antropiche in alveo.
Da quanto sopra esposto emerge la necessità, al fine di mitigare il rischio connes-
so a tali tipologie di dissesto, di intervenire in primo luogo nelle porzioni di monte e
pedemontane dei bacini idrografici , in corrispondenza delle quali l’attività erosiva da
parte delle acque incanalate e dilavanti risulta essere più intensa ed efficace. A tal fine

56
Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica

potrebbero risultare utili opere di rimboschimento dei versanti e di regimazione idrau-


lica lungo i torrenti in erosione. Infatti, un mancato o non adeguato intervento in area
montana inficia qualsiasi intervento nelle zone di valle poiché non attenuandosi gli
incrementi delle portate liquide e solide in occasione di piogge particolarmente inten-
se, si accresce la necessità di avere nelle zone di piana arginature sempre più alte o
vasche di laminazione delle piene sempre più ampie. La sistemazione della parte di
monte del bacino, quindi, comporta non solo una stabilizzazione dei versanti in esso
presenti, ma anche un miglioramento delle condizioni idrauliche dell’asta fluviale nel
suo tratto pedemontano e di pianura, in corrispondenza dei quali il più delle volte è ubi-
cata la maggior parte della popolazione e delle infrastrutture antropiche. A tale riguar-
do si fa presente che un’efficace politica di tutela del territorio può essere sviluppata
facendo ricorso, ove possibile, all’uso di tecniche di ingegneria naturalistica che, oltre
ad essere opere a basso impatto, consentono nella gran parte dei casi di affrontare effi-
cacemente le problematiche che si presentano nel rispetto dei naturali equilibri ecolo-
gico-ambientali.

2.2 LA VEGETAZIONE DELL’ITALIA MERIDIONALE


La vegetazione delle regioni meridionali si caratterizza per la presenza di fitoceno-
si di elevato valore naturalistico appartenenti alla biocora mediterranea.
Si riporta uno schema di zonazione altitudinale della vegetazione dell’Italia meri-
dionale fino al limite dei boschi, secondo il classico lavoro di Gentile (1982) che inseri-
sce la vegetazione potenziale delle regioni del Sud in quattro alleanze: Oleo-Ceratonion
(Pistacio-Rhamnetalia-alaterni), Quercion ilicis (Quercetalia ilicis), Quercion pube-
scenti-petraeae (Quercetalia pubescentis) e Geranio-Fagion (Fagetalia).
2.2.1 La macchia a oleastro e carrubo (Oleo-Ceratonion)
Le formazioni arbustive dell’Oleo-Ceratonion costituiscono il complesso di fisio-
nomie strutturali ascrivibili alla macchia mediterranea e si estendono in Sicilia e
Sardegna dal livello del mare fino a 400 –600 m sui versanti più caldi e fino ai 150-200
m nelle altre esposizioni; nelle altre regioni meridionali si trovano dal livello del mare
a circa 150-200 s.l.m.
Due sono le associazioni che lo rappresentano: l’Oleo-lentiscetum, a microclima
meno caldo e secco (corrispondente alle colture degli agrumi) e l’altra più termoxero-
fila a Ceratonia siliqua (carrubo) e Chamaerops humilis (palma nana) (corrispondente
al clima del mandorlo e dell’olivo).
Le specie caratteristiche dei vari aspetti della macchia mediterranea sono: Olea
europaea var. sylvestris (oleastro), Pistacia lentiscus (lentisco), Juniperus commu-
nis, Juniperus phoenicea, Juniperus oxycedrus (ginepri), Phillyrea latifolia (filli-
rea), Viburnum tinus (lentaggine), Rhamnus alaternus (alaterno), Erica arborea,
Arbutus unedo (corbezzolo), Ceratonia siliqua (carrubo), Chamaerops humilis
(palma nana), etc.
Le formazioni di arbusti bassi a copertura rada, aspetti di degradazione della mac-
chia, costituiscono le garighe, di cui esistono vari tipi caratterizzati da Sarcopoterium
spinosum, Thymus capitatus, Rosmarinus officinalis, Euphorbia dendroides, etc.

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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

A causa dell’antropizzazione nelle zone potenziali dell’Oleo Ceratonion, le due


suddette associazioni si presentano in modo frammentario e incompleto; numerosi i
raggruppamenti naturali a determinismo edafico che le sostituiscono. Tra questi i prin-
cipali sono:
• raggruppamenti del Crithmo-staticion e Dianthion- rupicolae dei litorali roc-
ciosi;
• raggruppamenti dell’Ammophilion dei litorali sabbiosi;
• raggruppamenti dei Thero-Salicornion, Salicornion frutjcosae, Juncion mari-
timi, Phragmition, Magnocaricion elatae delle zone umide più o meno sal-
mastre;
• raggruppamenti spesso frammentari, lungo i principali corsi d’acqua della
Sicilia (Platanion orientalis).
Di origine antropica sono le praterie xeriche mediterranee derivanti dall’abbando-
no delle colture (Thero-brachypodietea) tra le quali possiamo riconoscere i tipi:
• raggruppamenti a Stipa tortilis, rappresentanti l’ultimo stadio di degradazione;
• raggruppamenti a Lygeum spartum sui terreni argillosi e salmastri;
• raggruppamenti a Arundo pliniana sui terreni argilloso-marnosi più umidi;
• raggruppamenti a Cymbopogon hirtus e Andropogon distachyus tipici dei ter-
reni aridi arenacei.

Foto 2.2.1: Centranthus ruber in fioritura presso Piano di Sorrento (NA) - Foto P.
Cornelini

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Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica

2.2.2 La lecceta (Quercion ilicis)


Le formazioni sempreverdi a Quercus ilex (leccio), che raggiungono i 1000-1200 m di
altitudine, occupano una fascia intermedia tra la macchia dell’Oleo-Ceratonion e le forma-
zioni a querce caducifoglie dei Quercetalia pubescenti petraea. Solo a nord della penisola
sorrentina, ove manca l’Oleo-Ceratonion, la fascia della lecceta arriva al livello del mare.
Tali formazioni, ascrivibili al Quercion ilicis, presentano uno strato arboreo a Quercus
ilex dominante accompagnato dai ginepri (Juniperus phoenicea, J.oxicedrus), Phillyrea
latifolia, Viburnum tinus, Rhamnus alaternus, Crataegus monogyna (biancospino), etc.
Da segnalare la presenza assai frequente di Quercus pubescens s.l. (roverella) e, a
volte, specialmente in Sardegna, di Quercus suber (sughera).
Nella fascia del Quercion-ilicis sono trascurabili gli aggruppamenti naturali a
determinismo edafico, a parte quelli legati ai corsi d’acqua (Populion albae, Platanion
orientalis, etc) od alle situazioni pioniere rupestri (Dianthion rupicolae).
Maggior importanza rivestono gli aggruppamenti di origine antropica:
• le praterie ad Ampelodesmos mauritanica;
• le garighe di degradazione ad Helicrysum italicum;
• le formazioni arbustive aperte a Cistus salvifolius, C. incanus, C. monspelien-
sis, Micromeria juliana, etc.;
• le formazioni arbustive chiuse ad Erica arborea, Calicotome spinosa, Cytisus
villosus, etc.
2.2.3 I querceti a caducifoglie (Quercion pubescenti petraeae)
Tale fascia succede in senso altitudinale a quella del leccio, sebbene spesso Quercus
pubescens entri, in subordine, nelle leccete; a volte, in zone ove manca un minimo grado
di continentalità il Quercion ilicis è a diretto contatto con il Geranio-fagion.
Secondo alcuni autori (Brullo, Marcenò) non esisterebbe affatto in Sicilia, come in
altre grandi isole mediterranee (Creta, Corsica), una vegetazione tipica ascrivibile al
Quercion pubescenti petraeae, le cui formazioni rientrerebbero quindi in quelle più
mesofile del Quercion ilicis.

Foto 2.2.2: Vegetazione meso-igrofila delle gole del F.Bradano (MT) - Foto P. Cornelini

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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

I querceti a caducifoglie arrivano fino ad un’altitudine di 1300-1500 m e compren-


dono, nella fascia di pertinenza, i boschi a Quercus pubescens s.l., Quercus cerris
(cerro), Q. frainetto (farnetto) unitamente ad altre formazioni, più o meno favorite dal-
l’antropizzazione, tra le quali:
• boschi a Castanea sativa (castagno);
• boschi a Ostrya carpinifolia (carpino nero), misti a volte con Carpinus orientalis;
• cespuglieti a Spartium junceum (ginestra), Rhus coriaria, Coronilla emerus,
Prunus spinosa etc.;
• praterie xeriche con le specie dei Thero-brachypodietea e dei Festuco
Brometea.
2.2.4 Le faggete della fascia montana (Geranio-Fagion)
La fascia montana è occupata dal Geranio-Fagion, alleanza di areale italo-balcani-
co, assente in Sardegna, rappresentata da due associazioni: l’Aquifolio-Fagetum e
l’Asyneumati Fagetum.
Il primo, che si trova nella parte inferiore delle faggete a contatto con il Quercion
pubescenti petraeae, fino a 2000 m, ha come specie caratteristiche Ilex aquifolium,.
Melica uniflora, Daphne laureola, Euphorbia amygdaloides, etc.
La seconda associazione è assai frammentaria o manca del tutto in Sicilia.
Tra gli aggruppamenti a determinismo edafico caratteristici del piano del Geranio-
Fagion ricordiamo le praterie umide del Magno caricion, Caricion fuscae, etc e le pra-
terie xerofile su calcare ad Astragalus granatensis subsp. granatensis.
Tra quelli di origine antropica i cespuglieti a Prunus spinosa, Crataegus monogy-
na, Rosa canina, etc. (Prunetalia) e le praterie derivate da campi abbandonati o falcia-
ti (Cynosurion, Arrhenaterion).

Foto 2.2.3: Paesaggio vegetale delle gole di Alcantara (CT) - Foto P. Cornelini

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Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica

2.3. L’INGEGNERIA NATURALISTICA NELLA PIANIFICAZIONE TERRIOTORIALE E SETTORIALE


2.3.1 L’ingegneria naturalistica dal progetto al piano
L’esperienza ha dimostrato che le tecniche di ingegneria naturalistica costituisco-
no un valido strumento con cui intervenire, in ambiti diversi, per affrontare e risolvere
problemi di vario genere (dissesto idrogeologico, recupero aree degradate, mitigazione
dell’impatto ambientale di grandi opere, etc.) presenti sul territorio.
Per rispondere alla domanda se l’ingegneria naturalistica possa o debba trovare una
collocazione nella pianificazione territoriale e/o settoriale, occorre precisare il rappor-
to tra singole tecniche e gli obiettivi dei piani e dei programmi in esame. Buona parte
degli obiettivi di sviluppo sostenibile (vedi Del C.I.P.E. n. 57 del 2 agosto 2002) sono
infatti perseguibili solo prevedendo l’uso di tecniche a basso impatto ambientale, tra cui
quelle di ingegneria naturalistica si collocano a pieno titolo.
Un punto cruciale, a tale riguardo, è la presa d’atto che non esiste solo un proble-
ma di tecniche per la soluzione di problemi puntuali, ma anche quello di definire per il
futuro scenari di medio periodo per gli ecosistemi (ecomosaici) a livello di area vasta,
qualitativamente più desiderabili rispetto a quelli attuali.
Occorre assumere che il sistema ambientale di riferimento (l’ecosistema) debba
disporre di una struttura e di regole funzionali appropriate, in grado di contenere e per
quanto possibile riparare le compromissioni dei decenni passati sull’ecosistema di area
vasta, che hanno riguardato, tra l’altro:
• la qualità dei bilanci energetici (anche per quanto riguarda il problema delle
emissioni di gas-serra e più in generale quello dello sviluppo sostenibile);
• l’ottimalità del ciclo dell’acqua (almeno per la parte in attraversamento del
territorio) per quanto riguarda sia le problematiche di ordine idraulico, sia la
qualità delle acque medesime;
• l’assetto della biodiversità, per quanto riguarda sia il mantenimento dei patri-
moni genetici, sia l’efficacia dei controlli naturali sullo sviluppo di organismi
indesiderati;
• la capacità del sistema ambientale complessivo di riassorbire senza danno l’in-
quinamento e le scorie comunque prodotte dalle attività umane;
• la perdita di occasione di fruizione qualificata per le popolazioni umane pre-
senti sul territorio.
In una visione ecosistemica del territorio ovvero considerandolo come un insieme
di unità di ecosistemi più o meno semplificati (meglio se complessi) collegati ed inte-
ragenti tra di loro, l’ingegneria naturalistica contribuisce ad aumentare il numero di
unità ecosistemiche, più o meno grandi e complesse, e ad interconnettere quelle esisten-
ti ricorrendo, per quanto possibile, all’impiego di specie vegetali autoctone.
A tal fine occorre puntare a modelli che prevedano il miglioramento delle unità
ecosistemiche esistenti, nonchè la realizzazione di neo-ecosistemi in una logica di rete
interconnessa capace di svolgere funzioni differenti, sia di tipo ecologico sia a suppor-
to delle esigenze del territorio.
In altre parole, si tratta di ricostruire una rete ecologica capace di garantire gli
obiettivi di riequilibrio. Le pianificazioni di area vasta (sia territoriali sia settoriali) che
si pongano obiettivi di sostenibilità non possono prescindere da riferimenti di questo
tipo. In particolare una prospettiva di questo tipo appare necessaria per una corretta
attuazione della Direttiva 20001/42/CE sulla Valutazione Ambientale Strategica.

61
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Le prospettive indicate presuppongono quindi almeno tre ordini di risposte tecniche:


• un ordine relativo alla progettazione delle singole opere, ove i materiali utiliz-
zati e le modalità esecutive possono essere profondamente differenti, più o
meno in grado di contribuire all’artificializzazione dell’ambiente; è questo il
livello dell’ingegneria naturalistica in senso stretto;
• un ordine relativo alla realizzazione con modalità ambientalmente accettabili
di nuovi interventi con diverse finalità (riassetto idrogeologico, recupero di
aree degradate etc); il livello è quello degli ambiti locali ed il risultato è la rea-
lizzazione di interventi di miglioramento ambientale;
• un ordine relativo al livello di scenario ecosistemico complessivo a livello di
area vasta; gli strumenti di riferimento sono tipicamente quelli della pianifica-
zione; il risultato è la ricostruzione di reti ecologiche efficienti e di qualità.
In sintesi è necessario disporre di un sistema integrato di risposte operative che
combini le tecniche puntuali di ingegneria naturalistica (elementi dei singoli progetti
definitivi ed esecutivi) con interventi locali di miglioramento ambientale (definiti da
programmi di azione, da studi di fattibilità e progetti preliminari, nonchè da progetti
integrati di interesse locale), con gli scenari più complessivi a livello di area vasta (uti-
lizzabili come riferimento per la pianificazione).
La tabella 2.3.1 riassume tale sistema di relazioni.

Tabella 2.3.1: Caratteristiche dei tre livelli tecnici delle reti ecologiche, degli
interventi di miglioramento ambientale, delle tecniche di ingegneria naturalistica
Interventi
Reti ecologiche di miglioramento Tecniche di ingegneria
ambientale naturalistica

Ricostruire Realizzare Utilizzare


un ecomosaico neo-ecosistemi fin dove possibile
Finalità primaria funzionale in grado di incrementare elementi naturali
su uno scenario la qualità ecologica nelle opere
di medio periodo sul territorio di nuova realizzazione

Programmazione
Livello preferenziale Progettazione
Pianificazione Progettazione
di azione tecnica definitiva-esecutiva
preliminare

Scala di riferimento Area vasta Ecomosaico locale Sedime delle opere


di progetto

Sistema di habitat Sistemazioni Palificata viva


interconnessi di versante Viminata viva
Sistema di linee con tecniche di IN Fitodepurazione
Esempi di fruizione qualificata Recuperi di cave con Lemna
tipologici del paesaggio Ecosistemi-filtro Scala Denil
Rete ecologica Rinaturazione per il passaggio
polivalente di corsi d’acqua dei pesci
etc. etc. Sovrappasso
faunistico
etc.

62
Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica

2.3.2 I settori di governo pianificati e l’ingegneria naturalistica


Naturalmente l’applicazione dei concetti precedenti avrà caratteristiche diverse a
seconda dei settori oggetto di pianificazione. Il rapporto con le tecniche di ingegneria natu-
ralistica varia in relazione alla tipologia di pianificazione (piano territoriale o settoriale) ed
al livello amministrativo e istituzionale (regione, provincia, ambito parco, comune, etc).
Il riferimento alle tecniche di ingegneria naturalistica nella pianificazione territoria-
le potrà avvenire in svariati modi, mediante indirizzi, prescrizioni, direttive, raccoman-
dazioni contenute nelle relative norme tecniche di attuazione. I piani di settore attuativi,
gli studi e le relazioni a corredo dei piani territoriali possono invece approfondire alcuni
aspetti tecnici connessi all’applicazione della disciplina dell’ingegneria naturalistica.
A fronte di una finalità generale che prevede l’esistenza di un raccordo e di un’in-
tegrazione tra i diversi livelli di pianificazione territoriale e tra questi ed i vari piani di
settore, si possono ricordare a titolo esemplificativo alcuni ambiti o campi di applicazio-
ne dell’ingegneria naturalistica che nella pianificazione dovrebbero trovare riferimento.
La sistemazione dei corsi d’acqua
I corsi d’acqua con le relative fasce di vegetazione ripariale costituiscono importanti ed
insostituibili corridoi ecologici per numerose specie animali oltre che importanti habitat per
la fauna ittica e la flora acquatica. A queste funzioni se ne associano altre di pari rilevanza,
come la conservazione della biodiversità e l’azione tampone nei riguardi degli inquinanti
diffusi presenti nel terreno, e da questo recapitati nei corpi idrici.
Come si sa, nei fiumi e nei torrenti, le cui caratteristiche geometriche e la disponi-
bilità di territorio lo consentono, alcune tecniche di ingegneria naturalistica trovano
applicazione nelle difese spondali (coperture diffuse con astoni di salice, scogliere
vegetate, etc), nella regimazione delle correnti d’acqua, con rampe in massi ciclopici e
pietrame oppure con pennelli vivi in legname e pietrame. Ancora, è possibile creare
zone umide mediante la formazione di casse d’espansione, fasce di divagazione del
fiume oppure risagomare il corso d’acqua conferendogli un andamento più o meno
meandriforme (quindi uno sviluppo più naturale), quale era prima che l’uomo lo retti-
ficasse e lo artificializzasse con i suoi innumerevoli interventi.
Su questo tema, indirizzi specifici sono contenuti ad esempio nei documenti
dell’Autorità di Bacino del Fiume Po “Iniziative urgenti di intervento per la difesa del
suolo e l’assetto idrogeologico del bacino del Po” (dicembre 1994) e “Approvazione del
piano stralcio ai sensi della legge 21 gennaio 1995, n. 22, art. 4, comma 5”.
Tali indirizzi dovrebbero essere recepiti, sia nella fase di progettazione delle opere di
sistemazione dei corsi d’acqua, sia nella pianificazione territoriale e/o settoriale da parte
di Enti territoriali come le Regioni, le Province, i Consorzi dei Parchi regionali, i Consorzi
di Bonifica, le Comunità Montane (nelle regioni dove sono state istituite) ed i Comuni.
Non v’è dubbio che le tecniche di ingegneria naturalistica possono costituire uno
strumento strategico con cui intervenire per conservare, migliorare e valorizzare dal
punto di vista naturalistico, paesaggistico, tecnico-funzionale, i reticoli idrografici.
Analoghi ragionamenti valgono per i corsi d’acqua artificiali di bonifica e di irri-
gazione i quali, in generale, potrebbero essere riqualificati dal punto di vista ambienta-
le e paesaggistico, aumentando il loro equipaggiamento vegetale arboreo ed arbustivo.
I Consorzi di Bonifica ed Irrigazione dovrebbero tenerne conto nella loro programma-
zione e realizzazione degli interventi.

63
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Il recupero di aree degradate


Le cave e le discariche costituiscono le più note e diffuse aree degradate per causa
antropica presenti sul territorio. Le stesse sono strettamente collegate perché sovente
nelle cave abbandonate nei terreni di pianura vengono realizzate discariche di rifiuti.
Anche se rispetto al passato la situazione si può ritenere migliorata, in quanto le
autorizzazioni all’attività estrattiva di una cava oppure all’apertura di una discarica sono
subordinate alla presentazione di progetti di recupero ambientale e a specifiche prescri-
zioni, ulteriori miglioramenti possono essere conseguiti attraverso la regolamentazione
e la pianificazione di queste attività.
È importante che Enti come le regioni adottino linee guida per la pianificazione e
criteri per il recupero ambientale, paesaggistico, etc di questi siti attraverso l’impiego
di tecniche di ingegneria naturalistica.
Nel caso delle cave, il piano di settore dovrebbe ad esempio prevedere modalità di
escavazione che consentano di ottenere un modellamento morfologico del terreno com-
patibile con lo sviluppo delle piante e quindi con l’applicazione delle tecniche di inge-
gneria naturalistica, ottimizzando i risultati attesi dal recupero ambientale.
Analogo discorso vale per le discariche, sebbene gli impatti sull’ambiente e le pro-
blematiche tecniche siano molto differenti rispetto alle cave.
La viabilità minore
La viabilità minore, come ad esempio quella agro-silvo-pastorale, costituisce
un’altro ambito che richiede una pianificazione su scala sovracomunale. In questo caso
il piano, oltre ad individuare la consistenza del reticolo viario esistente con il relativo
stato di conservazione e funzionalità, dovrà indicare le zone nelle quali occorre svilup-
pare ed integrare la rete viaria, in relazione alle esigenze di quei territori.
A livello di piano o a monte di esso, attraverso direttive regionali o provinciali a secon-
da delle competenze amministrative, sarà opportuno adottare criteri per la classificazione
della viabilità, la progettazione e la costruzione delle strade. Inoltre, per ciascuna categoria
di strade andranno definite le caratteristiche geometriche, tecnico-costruttive e funzionali.
Di estrema importanza saranno le linee guida per la scelta dei tracciati e la riduzione
del loro impatto ambientale e paesaggistico. Nelle zone collinari e montane non sono
secondari gli effetti negativi sull’assetto idrogeologico, da ridurre al minimo, mediante la
scelta del migliore tracciato possibile, l’adozione di pendenze longitudinali non elevate e
la realizzazione delle necessarie opere per la regimazione delle acque superficiali.
Per mantenere nel tempo la funzionalità dell’infrastruttura occorre inoltre prevede-
re la stabilizzazione delle scarpate, di monte e di valle, mediante inerbimenti, cordona-
te, viminate, grate vive, palificate vive, scogliere vegetate, etc.
Laddove le situazioni lo consentano occorre prevedere, sin dalla fase di pianifica-
zione, il ricorso alle tecniche di ingegneria naturalistica, sia per consolidare le scarpa-
te, si per mitigare l’impatto visivo di queste infrastrutture minori.
Altri ambiti
In realtà l’uso integrato di tecniche specifiche e schemi attuativi che si rifanno
all’ingegneria naturalistica può essere applicata all’intero insieme delle politiche che
prevedano a vario titolo trasformazioni dell’assetto fisico dell’ambiente e del territorio.

64
Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica

In tabella 2.3.2 si fornisce un quadro riassuntivo al riguardo, riferito al livello interme-


dio degli interventi di miglioramento ambientale. Resta inteso, come già anticipato nei
punti precedenti, che saranno poi gli specifici progetti che assumeranno al loro interno,
sin dove possibile, tecniche di ingegneria naturalistica in senso stretto.

Tabella 2.3.2: Sistema integrato di Attività/Obiettivi/Interventi


di miglioramento ambientale
Attività Obiettivi Interventi
Consolidare la biodiversità Interventi per il miglioramento delle unità
entro le aree protette ecosistemiche primarie entro le aree protette
o assimilabili
Interventi per il miglioramento degli habitat
Conservazione delle specie rare o minacciate entro le aree protette
della natura o assimilabili
Interventi diffusi per la ricostruzione di habitat
per specie rare o minacciate, o comunque protette
Migliorare la connettività Realizzazione di nuovi corridoi ecologici
ecologica sul territorio o stepping stones per migliorare la connettività
ecologica delle aree protette

Riduzione dei rischi Consolidamento dei versanti soggetti


idrogeologici in ambito a dissesti idrogeologici
Difesa del suolo collinare-montano
(frane etc)

Riduzione dei rischi Miglioramento polivalente dei boschi esistenti


idrogeologici sui litorali Riforestazione polivalente

Salvaguardia idraulica Consolidamenti litorali con tecniche di IN


lungo i corsi d’acqua
Consolidamenti spondali di corsi d’acqua
con tecniche di IN
Ricalibrazioni di alveo impostate con obiettivi misti
Salvaguardia idraulico-ecologici
idraulica Interventi polivalenti con aumento della sezione
complessiva nella fascia di pertinenza fluviale
Casse di espansione fluviale polivalenti
Evitare l’interruzione Passaggi per pesci
ecologica dei corsi d’acqua
Mantenere deflussi Azioni gestionali sulle modalità
minimi vitali di erogazione dell’acqua

Risanamento Finissaggio degli inquina- Ecosistemi-filtro a valle di impianti di depurazione


idrico menti residui Bacini polivalenti di ritenzione
delle acque meteoriche

Incrementare le valenze Miglioramenti gestionali a finalità faunistiche


per la biodiversità
Agricoltura
Ridurre l’inquinamento Piantagione di siepi e filari nelle aree coltivate
diffuso delle colture Fasce buffer lungo le vie d’acqua minori
industrializzate

65
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Attività Obiettivi Interventi


Migliorare l’habitat Realizzazione di nuove unità di habitat
Caccia & pesca per le specie entro gli agroecosistemi
di interesse venatorio

Migliorare i bilanci
Attività estrattive ambientali delle attività Recupero delle aree di cava
estrattive

Ridurre impatti Interventi per l’inserimento


e rischi ambientali paesaggistico-ecosistemico delle nuove opere
V.I.A. prodotti dalle opere
esistenti Barriere ecologiche polivalenti
ed in progetto per il contenimento di polveri e rumore
Mascheramento in itinere e recupero
delle aree di cantiere

Ridurre gli impatti Passaggi per la fauna o polivalenti lungo


da frammentazione le infrastrutture lineari che producono
delle infrastrutture lineari frammentazione
Trasporti Evitare Consolidamento con tecniche di ingegneristica
bilanci ambientali critici delle scarpate a lato di strade e ferrovie
per le infrastutture
viarie Interventi anti-rumore polivalenti
e ferroviarie Fasce di qualità ecologica a lato delle infrastutture
trasportistiche lineari
Interventi di rinaturazione in aree intercluse

Migliorare Recupero delle aree di discarica


i bilanci ambientali
delle aree di discarica
Migliorare Recupero delle aree bonificate
i bilanci ambientali
Rifiuti delle bonifiche
sostanze delle aree contaminate
pericolose Migliorare la qualità Interventi esterni di rinaturazione
paesaggistica-ecologica in un’ottica di miglioramento
delle zone in cui del bilancio ambientale degli stabilimenti
si inseriscono gli impianti
Migliorare la sicurezza Costruzione di unità di habitat ospitanti
dei controlli specie utilizzabili per bio-monitoraggi

Ridurre gli impatti Interventi per l’inserimento


ambientali indotti paesaggistico-ecosistemico
Attività produttive delle opere esistenti
Interventi esterni di rinaturazione
in un’ottica di miglioramento
del bilancio
ambientale delle unità produttive

Aumentare Unità polivalenti per la produzione


Energia le quote di biomasse
di energia rinnovabile a scopo energetico

66
Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica

Attività Obiettivi Interventi


Migliorare la qualità Interventi di rinaturazione con fini
paesaggistica-ecologica di ricucitura pesaggistica
delle zone turistiche
Interventi per favorire l’educazione
Turismo naturalistica diffusa
Favorire la fruizione Interventi per il favorimento del birdwatching
paesaggistica-naturalistica Greenways ciclopedonali con elementi
delle aree extra-urbane naturali laterali

Sistemi di orti periferici ed extra-urbani polivalenti

Ridurre le distorsioni Indirizzi per le modalità costruttive


del ciclo dell’acqua degli edifici
Migliorare l’ambiente Interventi con valenze naturalistiche
di vita urbano nei parchi urbani
Ridurre Interventi di pre-verdissement
Urbanistica gli impatti ambientali nelle nuove urbanizzazioni
critici in ambiente urbano
Condizioni complessive Nuove unità ecosistemiche
per il miglioramento in grado di offrire opportunità
della qualità della vita di tipo naturalistico
delle popolazioni

2.3.3 Un caso particolare: la situazione della Lombardia


La Regione Lombardia, in materia di pianificazione territoriale, nel 2000 ha appro-
vato le linee generali di assetto del territorio lombardo. Con questo documento sono
stati forniti, tra l’altro, gli indirizzi di assetto per i piani territoriali provinciali e comu-
nali, indicando una metodologia che questi Enti seguono per affrontare in modo orga-
nico la tematica del verde ed in particolare delle reti ecologiche.
Viene così definito lo schema principale della rete ecologica ed individuati gli ele-
menti che la compongono. È interessante rilevare che la struttura naturalistica primaria,
caratterizzata da ambiti di considerevoli dimensioni con varietà di habitat e continuità
fra ecosistemi diversi, è considerata la componente principale della rete, in quanto da
sola sarebbe in grado di produrre e mantenere biodiversità costituendo, inoltre, sorgen-
te di diffusione di elementi di interesse naturalistico per tutto il sistema.
Le linee generali di assetto del territorio sono state integrate nel 2002 anche con
contenuti in materia di assetto idrogeologico e difesa del suolo.
Dal punto di vista amministrativo, la situazione è articolata, in quanto a Regione,
Province, Comuni ed Enti gestori di Parchi regionali compete la pianificazione territo-
riale, mediante l’adozione e l’approvazione di piani territoriali di coordinamento e di
piani regolatori generali (per i comuni).
Le diverse pianificazioni, oltre che essere opportunamente raccordate e coordina-
te, possono presentare una certa gerarchia in relazione alla quale eventuali prescrizioni
contenute nelle norme tecniche di attuazione del piano territoriale di coordinamento
provinciale o di un parco regionale devono essere recepite nei piani regolatori generali
dei comuni.

67
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Le norme tecniche di attuazione dettano specifici indirizzi e raccomandazioni sul-


l’utilizzo e la salvaguardia dei corpi idrici superficiali, comprese le fasce di rispetto,
sulla tutela e lo sviluppo degli ecosistemi, anche attraverso la progettazione e/o la pia-
nificazione delle reti ecologiche a livello provinciale. Diverse province lombarde si
sono già dotate di uno specifico piano o studio sulle reti ecologiche. I piani territoriali
di coordinamento vengono attuati mediante specifici piani di settore.
Alcune attività come l’estrazione di inerti hanno una specifica regolamentazione
che demanda alle province la competenza amministrativa di gestire la materia median-
te piani cave provinciali. La Regione ha inoltre approvato, nel 2001, le linee guida e i
criteri per l’ammissibilità dei progetti di recupero di siti degradati da cave cessate e non
ricompresse nei piani cave provinciali. Gli interventi sono finalizzati alla creazione di
habitat adatti all’insediamento di specie animali e vegetali.
Si ritiene che in questi strumenti di pianificazione e linee guida, le tecniche di inge-
gneria naturalistica potrebbero e dovrebbero trovare più espliciti riferimenti applicati-
vi, anche alla luce delle specifiche direttive emanate dalla Regione negli ultimi anni.

68
Elementi di biotecnica

3. ELEMENTI DI BIOTECNICA
L’Ingegneria Naturalistica è una disciplina nella quale si utilizzano le piante vive per
stabilizzare e difendere versanti o sponde da processi erosivi e da altre forme di dissesto.
L’obiettivo principale dell’ingegneria naturalistica, ad esempio nelle sistemazioni
idrauliche, è la ricostruzione, in tempi brevi, di una copertura vegetale che riduca l’ero-
sione superficiale, limitando il trasporto solido, rallenti i tempi di corrivazione delle
precipitazioni nel bacino ed assolva compiti di drenaggio nei casi in cui il ristagno idri-
co possa rappresentare un elemento di instabilità del versante.
Nell’ingegneria naturalistica le piante non sono più considerate solo da un punto di
vista estetico, ma funzionale, ovvero come un efficace materiale vivente da costruzio-
ne; ciò costituisce la peculiarità maggiore di tale disciplina che la differenzia da quelle
che utilizzano solo materiali inerti o impiegano le piante per l’arredo degli spazi urba-
ni. Le moderne innovazioni, inoltre, hanno consentito di ampliare le applicazioni di
queste tecniche vegetali e di aumentarne l’efficacia.
3.1 IL RUOLO DELLE PIANTE NELLA STABILITÀ DEI VERSANTI
La copertura vegetale svolge un’importante funzione nella difesa del suolo contra-
stando l’azione disgregatrice degli agenti atmosferici tramite azioni antierosive e regi-
manti di tipo meccanico ed idrologico.
Le azioni di tipo meccanico indotte dalle piante sui versanti consistono nella protezio-
ne antierosiva dalle acque dilavanti unitamente alla stabilizzazione dello strato superiore del
suolo ad opera degli apparati radicali, con la riduzione dell’erosione e del trasporto solido a
valle; lungo un versante con copertura vegetale densa, la velocità di deflusso delle acque è
circa ¼ di quella che si avrebbe, a parità di pioggia, su suoli privi di vegetazione e, di con-
seguenza, l’azione erosiva, che varia con il quadrato della velocità, può scendere fino a 1/16.

Foto 3.1: Le radici delle piante legano le particelle di suolo e lo rinforzano, aumentan-
done la resistenza al taglio (Parco Nazionale del Vesuvio) - Foto P. Cornelini

69
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Analogamente a quello meccanico, le piante, soprattutto i popolamenti forestali,


svolgono sul pendio un ruolo importante sul ciclo idrologico. I principali effetti della
vegetazione sulla stabilità dei pendii sono riportate in figura 3.2 e tabella 3.1.
Nelle situazioni geomorfologiche favorevoli il bosco può, quindi, rappresentare
l’obiettivo progettuale degli interventi di riduzione del rischio idrogeologico, ma in
quelle sfavorevoli (forti pendenze, substrati erodibili, etc.), l’effetto degli alberi, a causa
del sovraccarico e del vento, può tradursi in fenomeni contrari alla stabilità; ne deriva
che negli interventi di ingegneria naturalistica sui versanti instabili, fermo restando il
ruolo essenziale della copertura vegetale, il progetto botanico non prevede mai la pian-
tagione degli alberi, bensì opere antierosive, stabilizzanti e consolidanti basate sulle
caratteristiche biotecniche delle specie arbustive ed erbacee.

Figura 3.2: Interazioni vegetazione-versante che influenzano la stabilità (da


Greenway, 1987)

70
Elementi di biotecnica

Tabella 3.1: Effetti della vegetazione sulla stabilità dei pendii


(illustra la figura 3.2)

Effetti di tipo idrologico contrario alla favorevole alla


stabilità stabilità

1. Le foglie intercettano le precipitazioni, cau-


sando perdite per assorbimento ed evaporazione:
si riduce l’acqua disponibile per l’infiltrazione X
2. Le radici e i fusti aumentano la scabrezza del
terreno e la permeabilità del suolo, aumentando
la capacità di infiltrazione X
3. Le radici assorbono l’umidità dal suolo che si
perde nell’atmosfera mediante la traspirazione,
favorendo una minore pressione interstiziale X
4. La diminuzione dell’umidità del terreno può
accentuare le fessure di disseccamento, con una
maggiore capacità di infiltrazione X

Effetti di tipo meccanico contrario alla favorevole alla


stabilità stabilità

5. Le radici rinforzano il suolo, aumentandone la


resistenza al taglio X
6. Le radici degli alberi possono ancorarsi negli
strati stabili con l’effetto di pilastri di ancorag-
gio funzionanti come le spalle di un ponte ad
arco X
7. Il peso degli alberi sovraccarica il versante,
aumentando le componenti normale e tangen-
ziale X X
8. Le piante esposte al vento trasmettono forze
dinamiche al versante X
9. Le radici legano le particelle del suolo, ridu-
cendo la loro suscettibilità all’erosione X
Fonte: da Greenway, 1987

3.2 CARATTERISTICHE BIOTECNICHE DELLE PIANTE


Oltre alle proprietà tecniche (ad esempio difesa dall’erosione, miglioramento dei
parametri geotecnici del suolo ad opera delle radici , regolazione del bilancio idrologi-
co del suolo) molte piante possiedono proprietà biologiche, ed, in particolare:
• capacità di riproduzione per via vegetativa , ovvero per talea: tamerici, sali-
ci, pioppi, Laburnum anagyroides (maggiociondolo), Ligustrum vulgare
(Ligustro), Sambucus nigra (sambuco), Phragmites australis (rizomi), Arundo
pliniana (rizomi), Corylus avellana (nocciolo, talea radicale), etc. Salix
caprea non è adatto per l’impiego di talee (attecchimento del 5%).

71
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Tabella 3.2 : Capacità d’attecchimento


di specie con riproduzione vegetativa

Tipologia Specie % attecchimento

Salix purpurea 100%


Salici Salix cinerea 75%
Salix alba 75%
Salix elaeagnos 70%
Populus nigra 65%
Altre specie
Ligustrum vulgare 65%

Fonte: da AIPIN Bolzano adattata

• capacità di emettere radici avventizie dai fusti interrati : ontani, salici,


pioppi, frassini, Acer pseudoplatanus (acero montano), Corylus avellana
(nocciolo), Euonymus europaeus (berretta da prete), Viburnum tinus (lentag-
gine), etc.
Sulle scarpate in ambito mediterraneo, ove sono reali le difficoltà di uso
dei salici nelle opere di I.N., in quanto poco coerenti dal punto di vista ecolo-
gico, va privilegiato l’impiego di specie termo-xerofile con capacità di sviluppo
di radici avventizie dal fusto interrato (tab.3.3), da usare come piante radicate,
ma con la stessa funzione delle talee. Tale caratteristica biotecnica trova riscontro
in natura nella resistenza all’inghiaiamento di alcune piante: un ricoprimento
per sovralluvionamento provoca il deperimento progressivo della maggior parte
delle specie, mentre molte piante legnose sopportano questa colmata senza perdere
la vitalità.
• resistenza alla sommersione anche per periodi prolungati : salici,
Populus alba (pioppo bianco), frassini, Alnus glutinosa (ontano nero).
Le sommersioni della durata da varie ore fino a vari giorni possono esse-
re sopportate senza danni nelle associazioni riparali, anche più volte
all’anno, ma la sommersione totale della pianta oltre tale periodo non
è in genere sopportata e le piante muoiono per asfissia. Di tale proprietà
va tenuto conto nella progettazione degli interventi di I.N. in ambito
idraulico.
Le proprietà tecniche e quelle biologiche costituiscono le caratteristiche biotec-
niche che caratterizzano alcune specie vegetali e che risultano essenziali per il succes-
so degli interventi di ingegneria naturalistica.
Le piante con elevata valenza biotecnica utili negli interventi di I.N. dovrebbero
quindi possedere particolarmente le seguenti qualità:
• capacità di consolidare il terreno;
• resistenza degli apparati radicali.

72
Elementi di biotecnica

Tabella 3.3: Piante sperimentate in Alto Adige , Austria e nel Lazio


sulla capacità di emettere radici avventizie dal fusto interrato

Austria e Alto Adige (Florineth) AIPIN Lazio (Dallari e Laranci)


Idonee

Alnus glutinosa, A. incana e A. viridis Viburnum tinus


Fraxinus ornus, F. excelsior Euonymus europaeus
Acer pseudoplatanus
Prunus padus
Sorbus aucuparia
Corylus avellana
Lonicera xylosteum
Euonymus europaeus
Viburnum opulus, V. lantana
Salix caprea
Populus alba
Poco idonee
Acer campestre, A. platanoides Phillyrea latifolia
Betula pendula Coronilla emerus
Carpinus betulus Rhamnus alaternus
Crataegus monogyna
Frangula alnus
Fonte: Manuale 1 Regione Lazio

3.2.1 Capacità di consolidare il terreno


La capacità di consolidare il terreno deriva dalla forma e densità delle radici, che
esercitano azioni resistenti che si traducono in un aumento della resistenza al taglio e
della coesione del terreno. Particolarmente importante è il rapporto fra il volume delle
radici ed il volume dei getti (tabella 3.4) (Schiechtl, 1973).
Il consolidamento più efficace del terreno si ottiene quando la compenetrazione
radicale avviene in diversi strati del terreno ed è, quindi, necessario impiegare diverse
specie.
Nel caso delle piante mediterranee esiste una relazione tra le strategie di riprodu-
zione e la struttura delle radici. Le specie con capacità di ripresa vegetativa possiedo-
no un apparato radicale più profondo e sviluppato che garantisce un miglior consoli-
damento del suolo di quelle con rigenerazione da seme. Studi sulla distribuzione delle
radici di piante legnose mediterranee per la definizione di modelli empirici sono in
corso nelle università di Lisbona e Coimbra, in Portogallo (Silva, Rego e Martins-
Loucao, 2003).

73
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Tabella 3.4: Rapporto tra il volume dell’apparato radicale e della parte aerea
di diverse piante. Dal rapporto radici-parte aerea della pianta si possono trarre
importanti indicazioni sulle attitudini biotecniche delle piante

Arbusti e alberi Piante erbacee

Salix glabra 2,4 Stipa species 5-15


Viburnum Lantana 2,3 Equisestum arvense 5,5
Erica carnea 2,0 Rumes scutatus 5,5
Salix eleagnos 1,8 Deschampsia caespitosa 1,6
Salix nigricans 1,8 Festuca ovina 1,1
Alnus viridis 1,6 Anthyllis vulneraria 0,8
Salix purpurea 1,5 Achillea millefolium 0,7
Fraxinus excelsior 1,5 Lotus corniculatus 0,7
Ligustrum vulgare 1,2
Acer pseudoplatanus 1,1
Hippophae rhamnoides 1,0
Berberis vulgaris 0,6
Salix alba 0,5
Fonte: da Schiechtl, 1973

3.2.2 Resistenza degli apparati radicali


Per la stabilizzazione di un substrato sottoposto a sollecitazioni meccaniche è
necessario che le radici delle piante resistano agli sforzi di trazione e di taglio che ne
derivano. Laboratori scientifici in vari paesi stanno studiando le proprietà meccaniche
dei fusti e delle radici delle piante con le classiche prove di laboratorio per la resisten-
za dei materiali. La resistenza alla rottura dell’apparato radicale è il prodotto dell’inten-
sità di radicamento per la resistenza alla trazione delle singole radici. Per quanto riguar-
da la resistenza a trazione delle radici si può fare riferimento ai valori di tabella 3.5, ove
sono riportati i valori medi relativamente a piante comuni nelle regioni meridionali,
secondo i più recenti risultati della ricerca.

Tabella 3.5: Valori di resistenza a trazione delle radici di alcune piante comuni
presenti nel Lazio
Specie Resistenza a trazione delle radici
(MPa, valori medi)

Spartium junceum 44,6


Salix purpurea 36
Euonymus europaeus 34,6
Rhamnus alaternus 34
Quercus robur 32

74
Elementi di biotecnica

Specie Resistenza a trazione delle radici


(MPa, valori medi)

Cytisus scoparius 32
Acer campestre 28,2
Viburnum tinus 23,6
Phillyrea latifolia 21,1
Coronilla emerus 19,2
Pistacia terebinthus 17,2
Salix elaegnos 15
Populus nigra 5 ÷ 12
Fonte: Manuale 2 Regione Lazio

Altro parametro importante è la resistenza all’estirpazione dell’intera pianta (tabella 3.6)

Tabella 3.6: Resistenza all’estirpamento di piante erbacee e latifoglie


Specie Forza di trazione Diametro Tensione
(N) della radice (ø mm) di trazione (N/cm²)

Poa annua 1,04


Agrostis stolonifera 1,24
Festuca duriuscula 2,04
Deschampsia caespitosa 2,9
Lolium perenne 5,0
Nardus stricta 7,6
Bromus inernis 9,9
Trifolium repens 3,5 0,9 547
Anthyllis vulneraria 86 3,5 901
Trifolium hybridum 125 3,1 1658
Lotus corniculatus 142 3,6 1404
Trifolium pratense 154 3,7 1438
Onobrychis sativa 350 10 443
Medicago sativa 3250 30 460
Salix caprea 5500 85 97
Betula pendula 3000 53 136
Carpinus betulus 4000 78 83
Fonte: da Florineth, 1995

Studi delle università dell’Insubria e del Molise hanno evidenziato le modifiche dei
parametri morfologici delle radici di Spartium junceum e Fraxinus ornus che crescono
sulle scarpate, rispetto a individui che crescono in piano. Tali specie sui pendii rinfor-
zano l’ancoraggio al suolo con uno sviluppo delle radici più ampie e più resistenti nella
parte superiore della scarpata (figura 3.3), con una risposta morfologica analoga a quel-
la delle sollecitazioni del vento (Chiatante, Sarnataro, Fusco, Di Iorio , Scippa, 2003).

75
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Figura 3.3: Sviluppo degli apparati radicali di Spartium junceum su scarpata (A e C)


ed in piano (B e D) (Chiatante et al., 2003)

In Sicilia, la Sezione Regionale dell’AIPIN sta portando avanti tramite l’ing.


Gianluigi Pirrera ed alcuni soci, sperimentazioni e ricerche sia sulla biotecnica delle
specie mediterranee che sulla depurazione naturale.
È stato sperimentato con successo l’utilizzo di talee di alcune specie autoctone
nuove per l’ingegneria naturalistica. Vanno citate, poi, le ricerche sulla resistenza a tra-
zione di alcune specie (Spartium junceum e Asparagus acutifolius) a cura dell’ing.
Gabriella Terranova presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Catania, quella in
corso sulla depurazione naturale delle acque reflue mediante lombrifiltrazione nell’im-
pianto pilota sperimentale di Castelbuono (Palermo) a cura dal Prof. Giuseppe Alonzo
del Dipartimento ITAF dell’Università degli Studi di Palermo e quella sulla possibilità
di un uso integrato delle opere di stabilizzazione ai fini del miglioramento della quali-
tà delle acque nei torrenti siciliani, a cura del Prof. Ing. Francesco D’Asaro del
Dipartimento ITAF dell’Università degli Studi di Palermo.
Si riportano di seguito una serie di raffigurazioni di apparati radicali di specie erba-
cee e legnose comuni, che ben mettono in evidenza il volume di terreno coinvolto dalla
stabilizzazione delle radici stesse.

76
Elementi di biotecnica

Figura 3.4: Lolium perenne (Kutschera – Sobotik, 1997)

Figura 3.5: Trifolium repens (Kutschera – Sobotik, 1997)

77
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Figura 3.6: Juniperus communis ssp. communis (Kutschera – Sobot ik, 1997)

Figura 3.7: Confronto tra i diversi apparati radicali delle diverse specie di alberi
(Mathey, 1929)

3.2.3 I Salici
Nelle sistemazioni con tecniche d’Ingegneria Naturalistica, i salici vengono utiliz-
zati soprattutto nelle sistemazioni idrauliche perché hanno un’ottima attitudine biotec-
nica e una rapida propagazione vegetativa.

78
Elementi di biotecnica

Nell’eseguire opere d’ingegneria naturalistica, si possono impiegare conveniente-


mente solo quelle specie che hanno facoltà di propagazione vegetativa almeno nella
misura del 70%, dal momento che alcune, infatti, radicano e ricacciano in modo insuf-
ficiente come, ad esempio, il Salicone (Salix caprea) (Schiechtl, 1973). Il taglio delle
talee va effettuato nel periodo favorevole, che coincide generalmente con quello del
riposo vegetativo (piante prive di foglie). Dall’esperienza in ambito mediterraneo si è
visto che il taglio delle talee è possibile, a seconda della ecologia della stazione (umi-
dità, altitudine, esposizione, etc.) anche in alcuni mesi primaverili e autunnali, ad ecce-
zione, comunque, del periodo fra la fioritura e la fruttificazione e quello dell’alterazio-
ne cromatica autunnale delle foglie, periodi nei quali la capacità di attecchimento è bas-
sissima. Nel tagliare i salici va ricordato che la talea più lunga e più grossa possiede, a
causa di una maggiore riserva di rizocalina immagazzinata nelle cellule del cambio, una
maggiore capacità d’accrescimento nei primi tre anni di vita. Generalmente la maggior
parte delle specie di salice è dotata di un sistema radicale espanso che spesso si spinge
in profondità nel terreno.

Foto 3.8: Sviluppo radicale di talea di salice sul rio Inferno (FR) - Foto P. Cornelini

Il numero delle possibili specie utilizzabili non è molto grande e, comunque, già
all’interno degli stessi salici vi sono esigenze molto diverse.
Le specie di salici più frequenti nelle regioni meridionali sono: Salix alba , S. pur-
purea, S. triandra, S. eleagnos, S. cinerea e S. caprea.

79
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica

4. LA PROGETTAZIONE DEGLI INTERVENTI DI INGE-


GNERIA NATURALISTICA
4.1 INTRODUZIONE
Il progetto di ingegneria naturalistica prevede un lavoro multidisciplinare ove
l’esperto di ingegneria naturalistica e l’ingegnere lavorano insieme al geologo ed al
topografo per individuare gli interventi da attuare per la difesa del suolo nelle sistema-
zioni idrauliche e di versante, per la mitigazione degli impatti di un’opera sull’ambien-
te, per l’aumento della biodiversità del territorio, per il miglioramento della rete ecolo-
gica esistente e per il restauro ambientale in genere.
Come già detto (cap. 1.1), gli interventi di I.N. si differenziano da quelli tradizio-
nali per la necessità di disporre di dati di analisi di tipo pedoclimatico, naturalistico
(flora, vegetazione), geologico e geomorfologico di dettaglio.
Infatti anche le tradizionali analisi geologiche, topografiche e idrauliche vanno qui
ulteriormente affinate ed approfondite, ad esempio:
• realizzando sezioni topografiche di dettaglio, in quanto la scelta di una tecni-
ca di I.N. è influenzata da piccole variazioni di pendenza;
• riportando sulle sezioni topografiche di dettaglio gli strati litologici presenti
per valutare la capacità biotecnica delle piante di realizzare la stabilizzazione
od il consolidamento della scarpata;
• valutando l’influenza della vegetazione sul coefficiente di scabrezza in alveo;
• individuando il livello di piena medio per impostarvi le opere vive in alveo.
Di seguito viene approfondita l’analisi botanica, fondamentale per la definizione
della componente viva degli interventi di ingegneria naturalistica.
4.2 ANALISI STAZIONALE BOTANICA PER LA SCELTA DELLE SPECIE E DELLE TIPOLOGIE VEGE-
TAZIONALI DI PROGETTO
Un progetto di ingegneria naturalistica deve basarsi su una approfondita conoscen-
za naturalistica dell’area d’intervento, per individuare gli stadi vegetazionali più evolu-
ti, compatibili con le caratteristiche ecologiche stazionali e con le necessarie caratteri-
stiche biotecniche. Per raggiungere tale obiettivo, nelle situazioni di dissesto idrogeo-
logico ove sono state completamente alterate le condizioni vegetazionali, morfologiche,
pedologiche ed idrauliche iniziali, si utilizzano, in genere, impianti di fitocenosi non
molto evolute con caratteristiche pioniere, capaci di innescare il processo di rinaturaliz-
zazione.
La definizione delle specie e delle tipologie vegetazionali di progetto va effettuata
tramite idonee indagini di campagna (e non con riferimento ad astratti schemi generali
bibliografici) per individuare la serie evolutiva dinamica della vegetazione nelle varie
situazioni ecologiche e geomorfologiche, essenziale per conoscere le capacità e moda-
lità di colonizzazione degli ambienti degradati, al fine di operare con successo nelle
aree mediterranee.
L’analisi botanica deve essere accompagnata da uno studio sui lineamenti climati-
ci della zona di intervento reperendo le serie mensili dei dati di temperatura e precipi-
tazioni. Per la caratterizzazione del clima mediterraneo esistono vari indici climatici

81
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

(De Martonne, Emberger, Mitrakos, Rivas Martinez, i principali) e diagrammi climati-


ci. Tra questi ultimi va ricordato per la semplicità di realizzazione e per le informazio-
ni ecologiche ricavabili il diagramma ombrotermico di Bagnouls e Gaussen (1957),
migliorato da Walter e Lieth (1960-67). Viene costruito ponendo in ascisse i mesi del-
l’anno e sulle ordinate le temperature (a sinistra) e le precipitazioni in mm (a destra),
riportando le temperature in una scala doppia delle precipitazioni (1°C = 2 mm).
Empiricamente, la modalità di realizzazione evidenzia che, se la curva delle temperatu-
re incrocia superandola, quella delle precipitazioni, siamo in presenza di un periodo di
aridità estivo, tipico del clima mediterraneo.

Figura 4.1: Diagramma termopluviometrico dell’Osservatorio vesuviano (1961-1970)

Nell’analisi stazionale botanica sono possibili due tipi di indagine: analisi floristica e
fitosociologica.

4.2.1 Analisi floristica


È un’analisi più speditiva di quella fitosociologica e, quindi, da impiegarsi nelle
situazioni più semplici, di limitata estensione e con caratteristiche ecologiche omoge-
nee. L’analisi floristica si basa sulla determinazione delle entità floristiche presenti con
il riconoscimento della loro autoecologia (ad esempio le specie igrofile o xeriche), uni-
tamente alle forme biologiche ed ai tipi corologici che servono per l’individuazione
delle specie autoctone. Dalla lista delle specie autoctone riscontrate vanno selezionate
le specie di progetto.

82
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica

Tabella 4.1: Esempio di analisi floristica presso Cà i Fabbri (PU)

Altitudine 730 m 640 m 550 m 550 m 550 m


Esposizione N-E N-NW W W W
Inclinazione 25° 35° 25° 35° 35°
Substrato calcareo scaglia bianca calcareo calcareo calcareo
H arbustivo 2-6 m 0,5- 3 m 0,5 -3 m 0,5 - 1 m 0,5 - 1 m
Siepe Palificata Siepe Grata Palificata
Tipologia stradale Roma stradale viva viva
in bosco in lecceta
Luminosità - - - + +
Ostrya carpinifolia x x x x x
Corylus avellana x
Cornus sanguinea x x x x x
Quercus ilex x x x x x
Ligustrum vulgare x x
Prunus spinosa x x
Sorbus aria x x x x
Quercus pubescens x x
Lonicera xylosteum x x
Lonicera caprifolium x
Lonicera etrusca x x
Fraxinus ornus x x x x
Acer campestre x x x
Crataegus monogyna x x x
Viburnum tinus x x x
Cotinus coggygria x x
Cytisus sessilifolius x x
Juniperus oxycedrus x
Sorbus domestica x x x
Acer monspessulanum x
Sorbus torminalis x
Rosa canina x x
Spartium junceum x

4.2.2 Analisi fitosociologica


L’analisi vegetazionale da impiegarsi, comunque, unitamente a quella floristica,
nelle situazioni più estese ed articolate dal punto di vista ecologico, è quella che forni-
sce le informazioni più complete nelle decodifica del messaggio che la copertura vege-
tale fornisce al progettista.
La fitosociologia è la branca della botanica che studia le comunità vegetali e forni-
sce gli strumenti di un’analisi qualitativa-quantitativa per un confronto oggettivo tra le
comunità vegetali.

83
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Il metodo messo a punto da J. Braun Blanquet negli anni ‘20 dello scorso secolo,
si basa sul riconoscere la vegetazione formata da unità discrete caratterizzate da una
certa composizione floristica: le associazioni.
L’associazione vegetale è definita (J. Braun Blanquet) come “un aggruppamento
vegetale più o meno stabile ed in equilibrio con l’ambiente, caratterizzato da una com-
posizione floristica, in cui alcune specie vegetali, che si rinvengono quasi esclusiva-
mente in questo popolamento, rilevano con la loro presenza una ecologia particolare
ed autonoma”.
A partire dall’associazione è possibile riconoscere unità sintassonomiche superio-
ri comprendenti la vegetazione di territori sempre più estesi.
L’elemento operativo fondamentale nell’indagine fitosociologica è il rilievo consi-
stente nel censimento delle specie vegetali di una stazione opportunamente scelta all’in-
terno di una zona fisionomicamente omogenea, accompagnato da una valutazione
quantitativa sull’abbondanza di ogni specie, nonchè delle principali caratteristiche eco-
logiche e strutturali della stazione stessa (altitudine, inclinazione, esposizione, stratifi-
cazione, etc.).
I rilievi possono poi essere elaborati con metodi statistici di analisi multivariata
(classificazione e ordinamento) allo scopo di ottenere una tabella strutturata.
L’analisi fitosociologica è uno strumento fondamentale nello studio di un territorio
e nella progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica, in quanto consente di
classificare la vegetazione di una zona in unità organizzate gerarchicamente in relazio-
ne ai parametri ambientali e di individuare la serie dinamica evolutiva o regressiva di
una comunità vegetale. La redazione della carta della vegetazione costituisce, inoltre, la
graficizzazione della sua distribuzione sul territorio secondo i fattori ambientali e con-
sente di avere informazioni sulle caratteristiche ecologiche e strutturali delle varie fito-
cenosi, nonchè sul dinamismo in atto.

Tabella 4.2: Esempio di rilievo fitosociologico eseguito per il progetto


preliminare del recupero della cava a servizio della diga di Melito (CZ)

H 680 m
E N
i 30-35°
H arboreo 8 m; ø 12 cm
Copertura 5%
H arbustivo 0,50÷3 m
Copertura 20%
Copertura Erbaceo 25%
Suolo falda detritica a elementi granulari e matrice sabbiosa
Superficie rilevata: 80 mq
Vegetazione pioniera su falda detritica
Alberi
Quercus ilex 1

84
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica

Arbusti
Erica arborea 2
Ostrya carpinifolia 1
Rubus ulmifolius 1
Quercus ilex 1
Cytisus villosus 1
Specie erbacee
Helichrysum italicum 2
Sedum sp. +
Dactylis glomerata +
Clinopodium vulgare +
Clematis vitalba +
Trifolium pratense +
Pinus sp. +
Sanguisorba minor +
Brachypodium cfr. rupestre 2
Pteridium aquilinum +
Quercus cfr.pubescens +
Scutellaria columnae +
Quercus ilex pl. +

4.2.3 Metodologia tipo di analisi botanica


Si riporta a titolo di esempio la metodologia di analisi floristica e vegetazionale uti-
lizzata per il progetto preliminare delle opere di recupero ambientale della cava di
Pollena Trocchia (NA) (Cornelini, 1999):
• esame delle cartografie e dei dati bibliografici esistenti sull’area;
• indagini di campagna nell’area della cava ed estese alle formazioni vegetazio-
nali presenti in un ambito più vasto, per la conoscenza delle specie, delle tipo-
logie vegetazionali e della struttura delle formazioni; le indagini vegetaziona-
li nei popolamenti elementari presenti sono state effettuate secondo il metodo
sigmatista di Braun- Blanquet. Tale indagine è indispensabile per definire i
tipi vegetazionali correlati con i fattori ambientali, da utilizzare come elemen-
ti di riferimento nella progettazione e per la ricostruzione della serie dinami-
ca della vegetazione;
• fotointerpretazione da foto aeree e redazione della carta delle fisionomie vege-
tali esistenti in scala 1:5000; dal momento che la vegetazione si distribuisce
sul territorio secondo i fattori ambientali, la graficizzazione di tale distribuzio-
ne consente di avere informazioni sulle caratteristiche ecologiche e strutturali
delle varie fitocenosi, nonchè sul dinamismo in atto;
• definizione delle specie e delle tipologie vegetazionali di progetto;
• definizione delle tecniche di ingegneria naturalistica;
• individuazione delle aree per gli interventi di sistemazione con opere di inge-
gneria naturalistica;
• realizzazione di una planimetria degli interventi in scala 1:1000.

85
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

4.3 IL PROGETTO BOTANICO


Il progetto botanico deve individuare, a seguito delle analisi stazionali e con riferi-
mento ai parametri ecologici microstazionali (ad esempio, riguardanti quella particola-
re scarpata in erosione), la lista con le quantità delle specie di progetto strutturata secon-
do le tipologie vegetazionali.
Le specie vanno scelte tra quelle:
• coerenti con la flora autoctona a livello, almeno, regionale; nel caso di un’area
protetta, il concetto di autoctono va interpretato in senso ancora più ristretto,
limitandolo all’area protetta medesima;
• ecologicamente compatibili con i caratteri microstazionali (microclima, sub-
strato, morfologia, etc.) dell’area di intervento;
• appartenenti allo stadio dinamico della serie della vegetazione potenziale, il
più evoluto possibile in funzione delle caratteristiche ecologiche della stazio-
ne, così come artificialmente realizzate dall’intervento (ad esempio riportan-
do suolo, diminuendo le pendenze, etc.);
• con le necessarie caratteristiche biotecniche.
Le piante, i materiali da costruzione delle tecniche di I.N., possono essere impie-
gate come semi, piante radicate, zolle, rizomi, talee, sfruttando nell’ultimo caso la capa-
cità di alcune specie, quali ad es. i salici o le tamerici, di conservare entro i tessuti spe-
cializzati alcune cellule meristematiche in grado di attivare i processi biologici di rico-
struzione dell’intero individuo.
Le stazioni con caratteristiche ecologiche difficili, quali una scarpata instabile con suoli
poco evoluti o assenti, in genere, sono poco idonee all’impianto degli alberi che richiedono
condizioni più favorevoli e che, comunque, possono creare problemi di instabilità.
Le specie più adatte per gli interventi di stabilizzazione e consolidamento sono gli
arbusti pionieri autoctoni; questi possiedono apparati radicali in grado di consolidare in
media fino ad uno spessore di circa 1,5-2 metri di substrato. A tale azione puntuale o linea-
re di consolidamento, va comunque unita un’azione di protezione antierosiva areale del
pendio ad opera delle specie erbacee che agiscono tipicamente nei primi decimetri di suolo.
Le piante in ambito mediterraneo vivono in condizioni ecologiche meno favorevo-
li di quelle delle regioni alpine caratterizzate da un clima più mesofilo; tali fattori limi-
tanti sono determinati da:
• la presenza di un periodo estivo xerico con stress idrico, che determina nelle pian-
te una serie di adattamenti biologici (sclerofillia, tomentosità, spinosità, etc.);
• la presenza di un periodo di riposo vegetativo più breve di quello delle regio-
ni alpine, con conseguente periodo più breve per l’utilizzo delle specie con
capacità di riproduzione vegetativa, quali i salici o le tamerici, il cui utilizzo
ottimale è legato a tale periodo;
• la difficile reperibilità delle talee e del materiale vivaistico autoctono, sia dal
punto di vista qualitativo che quantitativo.
L’utilizzo massiccio dei salici, specie in genere meso-igrofile, pur compatibile dal
punto di vista ecologico nelle stazioni umide mediterranee, quali quelle dei corsi d’ac-
qua o di montagna, va ben valutato nelle altre situazioni ambientali, ove spesso non è
proponibile per limiti ecologici e climatici, per assenza di coerenza floristico-vegetazio-
nale e per le difficoltà di reperimento.

86
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica

Emerge quindi la esigenza del reperimento di specie xerofile mediterranee erbacee,


arbustive ed arboree, che non sempre il mercato vivaistico pubblico o privato è in grado
di soddisfare.
Tale esigenza vale ancor più per le aree protette ove va garantita la provenienza del
materiale vivaistico, per il pericolo dell’inquinamento genetico dovuto a razze, varietà
o cultivar di regioni o addirittura nazioni diverse.
A titolo di esempio si riportano due tabelle del progetto botanico preliminare degli
interventi di recupero ambientale della cava di prestito del colle Paradici, per la realiz-
zazione della diga di Melito (CZ). (Cornelini, 1999)
Per garantire nel tempo la funzione di consolidamento e di trattenimento del ter-
reno vegetale, una volta decomposte le viminate vive, a tergo di queste vanno piantate
delle siepi arbustive di specie autoctone; il sesto sarà di 3 arbusti per metro lineare per
gruppi di 3÷7 individui della stessa specie con disposizione casuale. Date le differenti
condizioni ecologiche stazionali indotte dalla esposizione dei due versanti principali,
esposti rispettivamente a Nord e a Sud, si prevedono due diverse tipologie vegetaziona-
li (termomesofila a Nord e termoxerofila a Sud).

Tabella. 4.3: Siepi delle viminate (esposizioni calde)


Arbusti %
Erica arborea 20
Teline monspessulana 10
Calicotome villosa 10
Spartium junceum 10
Cytisus scoparius 10
Cytisus villosus 10
Cistus incanus 10
Cistus salvifolius 10
Pyrus amigdaliformis 10

Tabella 4.4: Siepi delle viminate (esposizioni fresche)


Arbusti %
Erica arborea 20
Crataegus monogyna 20
Euonymus europaeus 10
Cytisus villosus 15
Cytisus scoparius 15
Rosa canina 10
Spartium junceum 10
4.3.1 Elenco indicativo delle specie legnose autoctone comuni nelle regioni meridionali
Nella tabella seguente vengono riportati gli elenchi delle specie arboree ed arbusti-
ve comuni delle regioni dell’Obiettivo 1 di potenziale impiego negli interventi di inge-
gneria naturalistica. La tabella deriva da una ricerca sulla Flora d’Italia di Pignatti, con
l’uso delle forme biologiche e dei tipi corologici per la selezione delle specie secondo
la metodologia descritta nel Manuale 2 della Regione Lazio e può costituire un’utile
indicazione per il mercato vivaistico sia pubblico che privato.

87
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Tabella 4.5: Elenco indicativo delle specie arboreee autoctone comuni,


anche solo localmente, della flora italiana secondo Pignatti,
di potenziale impiego negli interventi di rinaturalizzazione
e di ingegneria naturalistica (Cornelini e Sauli 2004)
)RUPD 7LSR
6SHFLH &DP 3XJ %DV &DO 6LF 6DU
ELRORJLFD FRURORJLFR
$ELHVDOED0LOOHU 3VFDS 2URI6
     
(XURS
$FHUFDPSHVWUH/ 3VFDS (XURS
&DXFDV      
$FHUPRQVSHVVXODQXP/ 3VFDS (XULPHGLW
     
$OQXVFRUGDWD /RLVHO 'HVI 3VFDS (QGHP      
$OQXVJOXWLQRVD / *DHUWQHU 3VFDS 3DOHRWHPS
     
%HWXODDHWQHQVLV5DILQ 3VFDS (QGHP      
%HWXODSHQGXOD5RWK 3VFDS (XURVLE      
&DUSLQXVEHWXOXV/ 3VFDS (XURS
     
&DXFDV
&DVWDQHDVDWLYD0LOOHU 3VFDS 6((XURS
     
&HOWLVDXVWUDOLV/ 3VFDS (XULPHGLW
     

&HUFLVVLOLTXDVWUXP/ 3VFDS 6(XURS


6XGVLE      
)DJXVV\OYDWLFD/ 3VFDS Centro-Europ.      
)UD[LQXVRUQXV/ 3VFDS 6(XURS
     
6XGVLE
0DOXVV\OYHVWULV0LOOHU 3VFDS Centro-Europ.      
2VWU\DFDUSLQLIROLD6FRS 3VFDS &LUFXPERU      
3LQXVKDOHSHQVLV0LOOHU 3VFDS 6WHQRPHGLW      
3LQXVODULFLR3RLUHW 3VFDS (QGHP
     
3LQXVS\QDVWHU$LWRQ 3VFDS :
     
6WHQRPHGLW
3\UXVS\UDVWHU%XUJVG 3VFDS (XUDVLDW
     
3RSXOXVDOED/ 3VFDS 3DOHRWHPS
     
3RSXOXVQLJUD/ 3VFDS 3DOHRWHPS      

88
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica

)RUPD 7LSR
6SHFLH &DP 3XJ %DV &DO 6LF 6DU
ELRORJLFD FRURORJLFR
3RSXOXVWUHPXOD/ 3VFDS (XURVLE      
3UXQXVDYLXP/ 3VFDS 3RQWLFD      
3UXQXVFRFRPLOLD7HQ 3VFDS 1(0HGLW
     
PRQW
4XHUFXVFHUULV/ 3VFDS 1(XULPHGLW
     
4XHUFXVIUDLQHWWR7HQ 3VFDS 6((XURS      
4XHUFXVLOH[/ 3VFDS 6WHQRPHGLW      
4XHUFXVSHWUDHD 3VFDS (XURS
     
0DWWXVFKND /LHEO
4XHUFXVSXEHVFHQV:LOOG 3VFDS 6((XURS      
4XHUFXVUREXU/ 3VFDS (XURS
     
&DXFDV
4XHUFXVVXEHU/ 3VFDS :(XULPHGLW
     
4XHUFXVWURMDQD:HEE 3VFDS 1H
6WHQRPHGLW      
6DOL[DOED/ 3VFDS 3DOHRWHPS      
6RUEXVGRPHVWLFD/ 3VFDS (XULPHGLW      

Tabella 4.6: Elenco indicativo delle specie arbustive autoctone comuni,


anche solo localmente, della flora italiana secondo Pignatti,
di potenziale impiego negli interventi di rinaturalizzazione
e di ingegneria naturalistica (Cornelini e Sauli 2004)

)RUPD 7LSR
6SHFLH &DP 3XJ %DV &DO 6LF 6DU
ELRORJLFD FRURORJLFR
$QDJ\ULVIRHWLGD/ 3FDHVS 66WHQRPHGLW
     
$UEXWXVXQHGR/ 3FDHVS 6WHQRPHGLW
     
$UWHPLVLDDUERUHVFHQV/ 1S 66WHQRPHGLW
     
$VSDUDJXVDOEXV/ 1S :
     
6WHQRPHGLW
$WULSOH[KDOLPXV/ 3FDHVS 6WHQRPHGLW
     
$WO

89
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

)RUPD 7LSR
6SHFLH &DP 3XJ %DV &DO 6LF 6DU
ELRORJLFD FRURORJLFR
%HUEHULVDHWQHQVLV3UHVO 1S (QGHP      
%XSOHXUXPIUXWLFRVXP/ 1S 6WHQRPHGLW
     
&DOLFRWRPHVSLQRVD /  3FDHVS 6WHQRPHGLW
     
/LQN
&DOLFRWRPHYLOORVD 3RLUHW  3FDHVS 6WHQRPHGLW
     
/LQN
&DUSLQXVRULHQWDOLV0LOOHU 3FDHVS 3RQWLFD      
&KDPDHF\WLVXVKLUVXWXV /   
     
/LQN
&LVWXVFRUVLFXV/RLVHO 1S (QGHP      
&LVWXVFUHWLFXV/ 1S :
     
6WHQRPHGLW
&LVWXVLQFDQXV/ 1S 6WHQRPHGLW
     
&LVWXVPRQVSHOLHQVLV/ 1S 6WHQRPHGLW      
&LVWXVVDOYLIROLXV/ 1S 6WHQRPHGLW
     
&RUQXVVDQJXLQHD/ 3FDHVS (XUDVLDW      
&RURQLOODHPHUXV/ 1S &HQWUR(XURS      
&RU\OXVDYHOODQD/ 3FDHVS (XURS
     
&DXFDV
&UDWDHJXVODFLQLDWD8FULD 3FDHVS 66WHQRPHGLW
     
&UDWDHJXVPRQRJ\QD-DFT 3FDHVS 3DOHRWHPS
     
&\WLVXVVFRSDULXV / /LQN 3FDHVS (XURS
     
&\WLVXVVHVVLOLIROLXV/ 3FDHVS 2URI 6:
     
(XURS
&\WLVXVYLOORVXV3RXUUHW 3FDHVS :6WHQRPHGLW
     
(ULFDDUERUHD/ 3FDHVS 6WHQRPHGLW
     
(ULFDPXOWLIORUD/ 1S 6WHQRPHGLW      
(ULFDVFRSDULD/ 3FDHVS :
6WHQRPHGLW      

(XRQ\PXVHXURSDHXV/ 3FDHVS (XUDVLDW      

90
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica

)RUPD 7LSR
6SHFLH &DP 3XJ %DV &DO 6LF 6DU
ELRORJLFD FRURORJLFR
*HQLVWDDHWQHQVLV %LY 'F 3FDHVS (QGHP
     
*HQLVWDFRUVLFD /RLVHO  1S (QGHP
'F      

+LSSRSKDHUKDPQRLGHV/ 3FDHVS (XUDVLDW


     
+\SHULFXPDQGURVDHPXP 1S :(XULPHGLW
     
/
+\SHULFXPKLUFLQXP/ 1S 6WHQRPHGLW
     

-XQLSHUXVFRPPXQLV/ 3FDHVS &LUFXPERU


     
-XQLSHUXVKHPLVSKDHULFD 1S 0HGLW0RQW
     
3UHVO
-XQLSHUXVQDQD:LOOG 1S (XUDVLDW      
-XQLSHUXVR[\FHGUXV/ 3FDHVS (XULPHGLW
     
-XQLSHUXVSKRHQLFHD/ 3FDHVS (XULPHGLW
     
/DEXUQXPDQDJ\URLGHV 3FDHVS 6(XURS
0HGLFXV 6XGVLE      
/DXUXVQRELOLV/ 3FDHVS 6WHQRPHGLW
     
/DYDQGXODVWRHFKDV/ 1S 6WHQRPHGLW
     
/LJXVWUXPYXOJDUH/ 1S (XURS
&DXFDV      
/RQLFHUDHWUXVFD6DQWL 3OLDQ (XULPHGLW
     

/RQLFHUDLPSOH[D$LWRQ 3OLDQ 6WHQRPHGLW


     
0\UWXVFRPPXQLV/ 3FDHVS 6WHQRPHGLW
     
1HULXPROHDQGHU/ 3FDHVS 66WHQRPHGLW
     
2OHDHXURSDHD/ 3FDHVS 6WHQRPHGLW
     

2V\ULVDOED/ 1S (XULPHGLW      

91
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

)RUPD 7LSR
6SHFLH &DP 3XJ %DV &DO 6LF 6DU
ELRORJLFD FRURORJLFR
3DOLXUXVVSLQDFKULVWL 3FDHVS 6H(XURS
     
0LOOHU
3KLOO\UHDDQJXVWLIROLD/ 3FDHVS :
     
6WHQRPHGLW
3KLOO\UHDVDWLIROLD/ 3FDHVS 6WHQRPHGLW
     
3\UXVDP\JGDOLIRUPLV9LOO 3FDHVS 6WHQRPHGLW
     
3LVWDFLDOHQWLVFXV/ 3FDHVS 66WHQRPHGLW
     
3LVWDFLDWHUHELQWKXV/ 3FDHVS (XULPHGLW
     

3UXQXVVSLQRVD/ 3FDHVS (XURS


&DXFDV      
3\UDFDQWKDFRFFLQHD 3FDHVS 6WHQRPHGLW
     
5RHPHU
5KDPQXVDODWHUQXV/ 3FDHVS (XULPHGLW      
5KDPQXVFDWKDUWLFXV/ 3FDHVS 6(XURS
     
6XGVLE
5RVDDUYHQVLV+XGVRQ 1S 66WHQRPHGLW      
5RVDFDQLQD/ 1S 3DOHRWHPS      
5RVDVHPSHUYLUHQV/ 1S 6WHQRPHGLW
     
5RVPDULQXVRIILFLQDOLV/ 1S 6WHQRPHGLW
     
5XEXVFDHVLXV/ 1S (XUDVLDW
     
5XEXVFDQHVFHQV'F 1S 1(XULPHGLW
     
6DOL[FDSUHD/ 3FDHVS (XUDVLDW
     
6DOL[FLQHUHD/ 3FDHVS 3DOHRWHPS
     
6DOL[HOHDJQRV6FRS 3FDHVS Orof. S-Europ.      
6DOL[SHGLFHOODWD'HVI 3FDHVS 6WHQRPHGLW      
6DOL[SXUSXUHD/ 3FDHVS (XUDVLDW      
6DOL[WULDQGUD/ 3FDHVS (XURVLE      
6DOVRODYHUWLFLOODWD 1S 66WHQRPHGLW
     
6FKRXVERH

92
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica

)RUPD 7LSR
6SHFLH &DP 3XJ %DV &DO 6LF 6DU
ELRORJLFD FRURORJLFR
6DPEXFXVQLJUD/ 3FDHVS (XURS
     
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6DQWROLQDFRUVLFD-RUGDQ(W 1S (QGHP
     
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6DQWROLQDLQVXODULV 1S (QGHP
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6RUEXVDULD / &UDQW] 3FDHVS 3DOHRWHPS      


6RUEXVWRUPLQDOLV /  3FDHVS 3DOHRWHPS
     
&UDQW]
6SDUWLXPMXQFHXP/ 3FDHVS (XULPHGLW      
7DPDUL[DIULFDQD3RLUHW 3FDHVS :
     
6WHQRPHGLW
7DPDUL[JDOOLFD/ 3FDHVS :
     
6WHQRPHGLW
7HOLQHPRQVSHVVXODQD /  3FDHVS 6WHQRPHGLW
     
.RFK
8OPXVPLQRU0LOOHU 3FDHVS (XURS
     
&DXFDV
9LEXUQXPWLQXV/ 3FDHVS 6WHQRPHGLW      

4.4 L’IMPIEGO DEI MATERIALI PER L’INGEGNERIA NATURALISTICA NELLE REGIONI MERI-
DIONALI
4.4.1 Premessa
Sulla caratterizzazione dell’uso dei materiali nelle regioni meridionali italiane val-
gono alcune considerazioni:
1. Sulla base del principio generale che va privilegiato l’impiego di specie autoc-
tone di provenienza locale, si pongono notevoli problemi sulla reperibilità di
mercato delle specie arbustive, suffruticose ed erbacee dell’area mediterranea.
Solo in tempi recenti, infatti, alcune ditte vivaistiche cominciano a produrre
arbusti della macchia mediterranea (lentisco, mirto, fillirea, etc.), mentre per
grossi interventi tale produzione va programmata con almeno un anno di antici-
po. Specie meno note della gariga mediterranea (Calycotome villosa, Cistus
sp.pl.,Daphne sp., etc.) o di ambienti particolari quali le aree calanchive e le
zone dunali costiere (Lygeum spartum, Atriplex halymus, Ammophyla arenaria,
etc.), non sono, in genere, reperibili.
2. Può capitare che le ditte vivaistiche forniscano in buonafede specie diverse da
quelle richieste (es. Phyllirea angustifolia al posto di P. latifolia se nel progetto
o nell’ordinativo sia stato scritto Fillirea senza precisare la specie). Oppure che
la richiesta di Ammophyla arenaria, nota graminacea impiegata per la stabiliz-

93
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

zazione delle dune costiere, porti all’importazione di tale specie dai vivai fran-
cesi o tedeschi, dove è utilizzata da decenni, ma utilizzando il genotipo tetraploi-
de, mentre la specie italiana è diploide (a parità di fenotipo), con un grosso pro-
blema di contaminazione genetica. O, ancora, che si importino da vivai francesi
della Costa Azzurra arbusti mediterranei micorrizzati, notoriamente molto più
resistenti ai trapianti di quelli non micorrizzati, creando anche qui possibili con-
taminazioni genetiche con specie di provenienza non locale.
In questa fase iniziale di assestamento del mercato vivaistico, destinato a sicura
espansione a seguito delle sempre più frequenti richieste per interventi di ingegneria
naturalistica nei settori infrastrutturali e sul territorio in genere, valgono alcune prassi
che danno buoni risultati:
• riportare esattamente nei progetti, capitolati e negli ordinativi in sede esecuti-
va i nomi latini completi delle specie;
• richiedere la certificazione d’origine del seme o del materiale da propagazio-
ne impiegato;
• concordare per tempo con le ditte vivaistiche e delle opere in verde la produ-
zione delle piante e protocollare le località di prelievo del materiale da propa-
gazione;
• ricorrere ove possibile al trapianto dal selvatico di specie poco note disponibi-
li in loco (es. specie di gariga lungo un tracciato di metanodotto o stradale).
Dati i costi tale tecnica va combinata con la piantagione di piantine da vivaio
in percentuali ragionevoli (20-30 %);
• precisare che non verranno accettate piante esotiche o di provenienza estera
anche della stessa specie richiesta;
• verificare qualità e quantità delle specie pervenute a cantiere;
• ricorrere all’impiego di specie di possibile riproduzione per talea legnosa che
consentono lavorazioni in ambiente mediterraneo (Tamarix gallica, Atriplex
halymus, Nerium oleander) ove l’ambiente non consenta l’impiego dei salici
di uso corrente nelle tecniche di I.N. in ambito centroeuropeo.
3. Va tenuto conto del principio (in verbis Schiechtl) secondo il quale minore è la
velocità di crescita delle piante (ad esempio per problemi di aridità) maggiore
deve essere la durata dei materiali di supporto nelle tecniche combinate (ad
esempio utilizzo di strutture in rete metallica al posto dei tronchi quando si è nel-
l’impossibilità di utilizzare piante a rapido accrescimento e riproduzione per
talea legnosa quali i salici).
4.4.2 I materiali
In funzione dei problemi da risolvere o dei miglioramenti da apportare ad un eco-
sistema paranaturale, le tecniche d’ingegneria naturalistica utilizzano diversi materiali
seguendo il principio di associare materiali vivi (piante) e materiali inerti.
Attualmente, oltre ai materiali inerti naturali il mercato offre una vasta gamma di
materiali industriali, perciò è opportuno suddividere i vari materiali disponibili in:
• Materiali organici
- vegetali vivi
- inerti naturali
- inerti industriali

94
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica

• Materiali inorganici
- naturali
- industriali
Materiali vegetali vivi
Sono materiali provenienti dal mondo vegetale che hanno la capacità di rinnovarsi
rapidamente rendendo più stabile il terreno:
• sementi;
• semenzali e trapianti di specie arbustive o arboree;
• talee di specie arbustive o arboree: la talea è un segmento di fusto separato
dalla pianta madre capace di produrre radici avventizie e di rigenerare così un
altro esemplare, a volte con sviluppi considerevoli ed in breve tempo (es. sali-
ci, tamerici).
Le talee possono presentarsi sotto diverse forme:
• culmo: stelo di graminacea, in genere elofita, che produce un tallo;
• talea piccola: fusto legnoso di 50÷100 cm di lunghezza e diametro < 1÷2 cm;
• talea grossa: fusto legnoso di 1÷3 m di lunghezza e diametro di 2÷5 cm;
• astone: fusto legnoso sino a 7 m di lunghezza e diametro di 4÷15 cm;
• ramaglia: rami dai quali non vengono eliminate le ramificazioni secondarie;
• rizomi e radici: parti di organi sotterranei di riserva, in prevalenza di elofite,
capaci di produrre nuove piante;
• piote erbose (zolle): insieme compatto di radici e fusti erbacei, di origine
naturale o prodotti in vivaio; vengono commercializzati in elementi di dimen-
sioni variabili (0,3÷0,5x0,5÷2,5 m), hanno uno spessore di 1÷5 cm ed un
peso di 20÷30 kg/mq;
Particolare attenzione andrà posta per la salvaguardia della vegetazione arborea e
arbustiva presente in loco, in quanto, se compatibile con i lavori previsti, consente di otte-
nere, a costo zero, un recupero ambientale, nonché idrogeologico, più immediato e sicuro.
Quando si opera con materiale vegetale vivente il grado di attecchimento richiesto
può essere variabile a seconda che si utilizzino piantine a radice nuda o in contenitore;
varia anche in relazione alla densità di impianto.
Di seguito, si possono riportare alcuni valori ottimali, considerando l’attecchimen-
to uniformemente distribuito sul terreno.
Al collaudo:
• piantina a radice nuda: non inferiore al 90%;
• piantine in contenitore: non inferiore al 100%;
Alla fine del periodo di garanzia:
• piantina a radice nuda: non inferiore all’80%;
• piantine in contenitore: non inferiore al 90%;
Qualora si eseguano dei recuperi ambientali in zone soggette al pascolo di anima-
li domestici o selvatici è consigliato realizzare opportune recinzioni per la protezione
delle piantine.
L’uso di mezzi meccanici idonei consente di ridurre l’impatto anche nelle impor-
tanti fasi di impianto del cantiere e di realizzazione dell’opera.

95
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

I recuperi ambientali si basano, oltre che su precise regole ecologiche, anche sul
rispetto e sulla sensibilità nei confronti della flora e della fauna spontanea dell’ambien-
te in generale. Al termine dell’intervento è opportuno rimuovere tutti i residui di lavo-
razione ancora presenti nel cantiere (contenitori vari, parti di griglie o reti, filo di ferro).
Sementi
I principali obiettivi raggiungibili con l’impiego di idonei miscugli di sementi di
specie erbacee sono di carattere idrogeologico (azione antierosiva), naturalistico e pae-
saggistico.
I campi d’applicazione degli inerbimenti sono vari:
• versanti franosi;
• piste da sci;
• argini fluviali;
• ex - cave;
• discariche;
• infrastrutture viarie o ferroviarie.
Particolare attenzione andrà posta nell’adeguato modellamento del terreno, nella
corretta scelta del periodo d’intervento, ma soprattutto nella selezione del miscuglio
delle sementi da impiegare in funzione delle condizioni pedoclimatiche e della vegeta-
zione presente nella località in cui si intende intervenire.
Un buon miscuglio è composto da graminacee (ad azione radicale superficiale), da
leguminose (ad azione radicale profonda e con capacità di arricchimento del terreno
con azoto) e talvolta da specie arbustive o arboree.
Un ottimo prodotto può essere considerato il “fiorume” ricavabile dai fienili anche
se il suo reperimento risulta difficoltoso, in quanto la fienagione avviene in un determi-
nato periodo della stagione (prima che il seme raggiunga la piena maturità, questo per
ottenere un prodotto di grande nutrimento per gli animali). Il taglio precoce delle pian-
te, pertanto, non permette di ottenere una grande quantità di seme maturo (le quantità
richieste di fiorume sono comunque elevate 0,5÷2 kg/mq); se ne consiglia, pertanto
l’uso solo su piccole superfici di notevole valore naturalistico.
La semina del fiorume o del seme prodotto in vivaio, da effettuarsi preferibilmen-
te durante il periodo vegetativo, può avvenire manualmente o meccanicamente ed
appartenere alle seguenti diverse tipologie:
• Semina a spaglio
• Idrosemina: le sementi di specie erbacee sono poste in soluzioni acquose conte-
nenti concimi chimici o organici, sostanze miglioratrici del terreno, leganti, pro-
dotti fito – ormonici fibre vegetali, pasta di cellulosa; diverse sono le soluzioni
possibili, in relazione alla tipologia ed alla quantità delle sostanze impiegate:
1) idrosemina semplice: costituita da seme, fertilizzante e collante. Crea un
letto di germinazione ottimale su terreni in cui è presente abbondante fra-
zione fine e colloidale, ma con inclinazioni non superiori a 20°.
2) idrosemina con mulch: è come la 1) con l’aggiunta di mulch di fibre e di
legno o di pasta di cellulosa. È adatta a terreni con le stesse caratteristiche
della 1) ma con inclinazioni fino a 35° e con presenza di fenomeni erosivi
di media intensità.

96
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica

3) idrosemina con mulch a fibre legate: è una idrosemina con mulch in fibre di
legno di lunghezza controllata in quantità elevata e collante naturale ad eleva-
ta viscosità. È una idrosemina con un forte potere protettivo ed elevata capa-
cità di ritenzione idrica. È adatta a terreni fortemente erodibili con inclinazio-
ne fino a 50°-60°, mediamente poveri di materia organica e di frazione fine.
4) idrosemina a spessore: è una idrosemina ricca di materiale organico (torba
ed eventualmente compost) e mulch di fibre di legno. È adatta alle situa-
zioni in cui il substrato è particolarmente povero di materiale organico, sas-
soso o roccioso. In condizioni difficili per forte pendenza e sulle terre rin-
forzate, si miscela della paglia triturata da aggiungere all’ultimo passaggio
per la formazione di una copertura che dovrà avere uno spessore variabile
da 2 a 4 cm, a seconda della quantità di materia organica.
• Semina con coltre protettiva di paglia (mulch): le sementi vengono distri-
buite sul terreno e poi ricoperte da materiale vegetale a funzione protettiva; è
particolarmente idonea su superfici povere di humus.
• Semina con coltre protettiva di paglia e bitume: le sementi vengono coper-
te da sostanze vegetali (paglia) fissata da un’emulsione bituminosa a funzione
protettiva.
È comunque sempre consigliato l’inserimento di specie vegetali tipiche della zona,
anche se l’azione miglioratrice del terreno di particolari specie pioniere transitorie può
costituire un valido aiuto all’insediamento di quelle definitive più esigenti.
Semenzali
• Semenzali e trapianti di specie arbustive o arboree : si possono impiegare sulle
rive dei corsi d’acqua (al piede delle sponde le elofite, nell’alveo le idrofite) o
sulle pendici instabili, anche ad integrazione del consolidamento effettuato con
talee. Gli alberi e gli arbusti possono essere acquistati a radice nuda (latifoglie),
in fitocella o con pane di terra e l’apparato radicale dovrà essere proporzionato
alle dimensioni della chioma; va sottolineato il fatto che, le piante a radice nuda
non offrono le stese garanzie di attecchimento di quelle in fitocella o con pane di
terra. Particolare cura dovrà essere posta sia nell’acquisto del materiale vegetale,
verificando attentamente la provenienza, lo stato sanitario (assenza di malattie,
parassiti, ferite...) e le dimensioni, sia durante il trasporto che nella messa a dimo-
ra delle piante, al fine di evitare di procurare loro ferite, traumi, essiccamenti.
Talee e astoni
• talea: diverse specie (Salix sp. pl., Tamarix sp. pl.) hanno la capacità di svilup-
parsi a partire da semplici rami o loro parti, denominate appunto talee (getti non
ramificati, lignificati, della lunghezza da 25 a 60 cm) o astoni (getti diritti poco
ramificati con una lunghezza lunghi 1-3 m). Con esse si possono realizzare alcu-
ne tra le tipologie di consolidamento del terreno più importanti, quali:
1) viminate: talee intrecciate tra paletti;
2) fascinate: rami lunghi e raccolti a mazzi, di lunghezza > 1m (astoni); si pos-
sono così realizzare consolidamenti di pendici soggette ad erosione, nonché
drenaggi;

97
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

3) difesa spondale con ramaglia (getti ramificati di almeno 60 cm di lunghezza


e di differente spessore): fasci di rami stesi in una nicchia d’erosione di una
sponda fluviale e trattenuti da pali di legno; l’effetto filtrante della struttura
determina un deposito dei materiali fini trasportati in sospensione dalla cor-
rente che aumenta la stabilità dell’opera, la quale protegge la sponda dal-
l’azione erosiva dell’acqua;
4) copertura diffusa con astoni (3 m): grosse talee disposte sulle sponde dei
corsi d’acqua in modo da formare un rivestimento dell’intera superficie e
svolgere così una funzione antierosiva;
5) rinverdimento dei manufatti: le talee sono utilissime per poter rinverdire le
opere di consolidamento, di sostegno o di difesa spondale quali: gabbioni,
scogliere, muri di sostegno o palificate. L’epoca del taglio e dell’utilizzo
delle talee è legata al periodo di riposo vegetativo delle diverse specie; tutte
le talee per potere radicare e svilupparsi, devono essere dotate di gemme late-
rali. Le talee, se poste leggermente inclinate, producono una maggiore massa
di radici a differenza di quelle poste in senso verticale. Particolare attenzio-
ne andrà, infine, posta durante il trasporto e lo stoccaggio al fine di evitarne
l’essiccamento.
Si dovrebbero impiegare parti di piante legnose quanto più grosse e lunghe pos-
sibili - adattate di volta in volta al metodo di costruzione, poiché il successo della
radicazione e della cacciata aumenta col crescere del volume dei rami. Verghe e rami
sottili disseccano facilmente e, quindi, vengono per lo più impiegati solo in combina-
zione con parti vegetali più grosse.
Margotte
• margotta: tecnica che consiste nel piegamento di un ramo o di un pollone e nel suo
successivo interramento: in tali condizioni vengono emesse nuove radici e, una
volta che il ramo viene separato dalla pianta madre, si ha un nuovo esemplare.
Rizomi
• rizomi: si possono ottenere individui arborei o arbustivi anche utilizzando rizomi
o loro pari.
Piote o zolle erbose
• Piote o zolle erbose: servono a proteggere le sponde o i pendii sistemati di recen-
te. La posa in opera delle zolle può avvenire in diversi modi: a scacchiera, a linee
oblique, a cordoni orizzontali, in modo continuo o isolatamente; gli eventuali
spazi vuoti verranno chiusi naturalmente dalla vegetazione spontanea con il pas-
sare del tempo anche se, a volte, si potranno verificare difficoltà in tal senso. In
relazione agli elevati costi d’impianto, gli interventi che prevedono al copertura
totale potranno essere effettuati solo su piccole superfici o in zone molto impor-
tanti da un punto di vista naturalistico, laddove l’impiego di specie autoctone
risulti essere indispensabile. Va sottolineato il fatto che l’utilizzo di zolle prove-
nienti da località limitrofe è una garanzia d’idoneità del materiale di propagazio-
ne utilizzato.

98
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica

• Tappeto erboso : assolve alle stesse funzioni delle piote erbose naturali, ma la sua
produzione in vivaio offre alcuni vantaggi: maggiore disponibilità, maggiore uni-
formità e relativo migliore attecchimento.
Materiali organici inerti naturali ed artificiali
I materiali di origine organica, ma senza capacità vegetativa, vengono detti inerti o
“morti”; il loro uso può rendersi necessario quando sia richiesta una efficacia immedia-
ta dell’intervento che non possa essere garantita dalle piante a causa dei tempi necessa-
ri al loro sviluppo:
Materiali organici inerti naturali
• legname: tronchi, ramaglia;
• concimi organici: da impiegarsi qualora il substrato sia povero di sostanze nutritive;
• ammendanti: sostanze miglioratrici del terreno. Idonee su substrati poveri di
sostanze nutritive o con una struttura ed una tessitura del terreno non ottimali;
• stuoie o reti di juta, fibra di cocco o di altri vegetali (es. paglia, sisal, kenaf): sono
strutture a maglie aperte realizzate mediante tessitura (o annodatura) di fibre
vegetali;
• biostuoie: sono materassini di fibre vegetali (legno, paglia, cocco), contenute in
reticelle poliolefiniche o organiche (ad esempio juta); in commercio sono dispo-
nibili anche stuoie preseminate o preseminate e preconcimate;
• mulch di legno, pasta di cellulosa vergine o riciclata per impieghi nelle miscele
da idrosemina.
Legname
Il legname viene impiegato con funzione di consolidamento temporaneo in attesa
che la vegetazione subentri in tale ruolo. Si usano vari tipi di essenze: larice e castagno
sono i materiali più diffusi. Spesso ai fini di aumentarne la durabilità vengono scortec-
ciati. Le dimensioni, sia lunghezza che diametro, variano a seconda degli impieghi:
palificate vive, grate vive, palizzate vive, cordonate, copertura diffusa etc.
Stuoie, reti e biostuoie
Stuoie, reti e biostuoie possono essere impiegate in svariate condizioni, prevalen-
temente con funzione di controllo dell’erosione, nelle opere di:
• consolidamento di versanti franosi;
• consolidamento di dune costiere;
• consolidamento di piste da sci;
• recupero di ex – cave;
• consolidamento di rilevati artificiali (discariche, infrastrutture viarie e ferroviarie);
• costruzione di barriere antirumore;
• realizzazione di parchi urbani ed impianti sportivi.
Questi materiali offrono svariati vantaggi:
• riduzione dell’erosione superficiale di origine idrica o eolica durante il delica-
to periodo post – intervento di sistemazione, in attesa che la copertura vegeta-
le si affermi; sono particolarmente utili in zone caratterizzate da notevoli
avversità ambientali;

99
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

• non ostacolano, bensì favoriscono l’inerbimento delle superfici interessate


dall’intervento, sia grazie alla capacità di trattenuta delle particelle più fini
utili allo sviluppo della vegetazione, sia per la costituzione di un supporto per
le specie vegetali pioniere;
• riduzione dell’evaporazione idrica del terreno e capacità di conservazione di
un certo grado di umidità del suolo: alcuni prodotti di origine naturale posso-
no assorbire 2÷3 l/mq di acqua;
• formazione di un benefico “effetto-serra” con conseguente trattenuta di calore;
• capacità di drenaggio superficiale degli accumuli di acqua nel terreno;
• disponibilità di una vasta gamma di prodotti con trama, struttura e resistenze
diverse che si prestano all’applicazione in diverse condizioni;
• competitività economica rispetto a soluzioni tradizionali, in relazione ai costi
di produzione, di trasporto e di posa in opera;
• capacità di incrementare la fertilità del terreno in seguito alla loro decomposi-
zione e conseguente apporto di sostanza organica; sono totalmente biodegra-
dabili, in quanto costituite da cellulosa e lignina (si decompongono completa-
mente in 1÷6 anni) ed, inoltre, non sono dannose per piante ed animali.
Materiali organici e inorganici naturali
I materiali naturali usati tradizionalmente nell’ingegneria naturalistica sono:
• terreno vegetale (organico)
• fertilizzanti, composti, etc. (organici)
• pietrame, altri inerti (inorganici)
Terreno vegetale
In relazione al valore ecologico intrinseco del terreno vegetale eventualmente pre-
sente nell’area oggetto di un qualsiasi intervento sul territorio che prevede un successi-
vo recupero ambientale, è consigliato provvedere alla rimozione ed allo stoccaggio del
terreno che in seguito potrà essere utilizzato in loco, al fine di costituire un prezioso
substrato per la messa a dimora di specie vegetali.
Il terreno vegetale, eventualmente utilizzato e proveniente da altro sito, dovrà
rispondere a determinate caratteristiche, quali:
• assenza di corpi estranei;
• assenza di pietrame;
• presenza di materiale inerte grossolano, avente un diametro > 2 mm, in quan-
tità inferiore al 25% del volume totale;
• assenza di materiale legnoso (tronchi, rami, radici);
• assenza di agenti patogeni della vegetazione;
• assenza di sostanze tossiche;
• presenza della parte organica (batteri, micorizze, microfauna, etc.).
A tal fine l’analisi del suolo consentirà di evidenziare le caratteristiche fisico – chi-
miche del materiale.
È importante non eccedere nella quantità di terreno vegetale adoperato in quanto le
radici delle piante tenderebbero a colonizzare lo strato fertile, ma incoerente, senza anco-
rarsi al substrato roccioso, con possibili conseguenze di smottamenti per sovraccarico; è
consigliato, quindi, riportare uno strato di terreno non superiore a 5÷10 cm di spessore.

100
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica

Pietrame
pietrame: viene impiegato spesso per opere di protezione, di consolidamento e, più
raramente, di sostegno, nonché per la realizzazione di opere trasversali quali le rampe
di risalita per pesci.
Materiali inorganici industriali
Esistono diversi prodotti industriali che consentono di integrare efficacemente le
tecniche “biologiche” e svolgere diverse funzioni in maniera permanente:
• controllo dell’erosione superficiale dovuta agli agenti metorici;
• controllo dell’erosione in ambito fluviale;
• contenimento e rinforzo per la realizzazione di opere di sostegno;
• rinforzo del terreno: aumento della resistenza al taglio del terreno al fine di
aumentarne la stabilità e di realizzare pendii e opere di sostegno;
• drenaggio;
• separazione e filtrazione;
• impermeabilizzazione;
• contenimento e rafforzamento superficiale;
• funzioni accessorie (fissaggio e collegamento);
• correzione ed integrazione delle proprietà chimico-fisiche dei terreni.
Questi materiali sono realizzati con acciaio, polimeri e sostanze chimiche di varia
natura:
• Geogriglie: Materiale polimerico sia deformabile che non, a forma di griglia,
realizzato connettendo tra loro e fissando nelle giunzioni i materiali polimeri-
ci stessi.
Tipi: estruse, tessute, a nastri sovrapposti e saldati.
Possono essere realizzate con poliestere, polipropilene, polietilene; possono essere
dotate di rivestimento protettivo o meno. Sono materiali dotati di resistenze a trazione
significative e di basse deformabilità, pertanto vengono usate prevalentemente nel rin-
forzo dei terreni (opere di sostegno e pendii rinforzati) e per la ripartizione di carichi su
terreni a bassa portanza.
• Geotessuti: sono strutture piane e regolari formate dall’intreccio di due o più
serie di fili costituiti da fibre sintetiche, che consentono di ottenere aperture
regolari e di piccole dimensioni. In relazione al telaio utilizzato si distinguo-
no in tessuti: a trama e ordito, a maglia a catenella (warp knitted). Possono
essere in poliestere o polipropilene (più raramente polietilene). Vengono usati
con funzione di rinforzo, filtrazione e separazione nelle opere idrauliche e
stradali e di consolidamento.
• Geotessili non tessuti: materiali costituiti da fibre polimeriche coesionate
mediante agugliatura o termosaldatura. Ne esistono con caratteristiche
idrauliche e meccaniche anche molto diverse e vengono usati con funzione
di filtrazione e separazione nelle opere idrauliche, stradali e di consolida-
mento.
• Reti metalliche a doppia torsione a maglie esagonali in filo d’acciaio: vengo-
no realizzate mediante la tessitura di trafilato d’acciaio. Per aumentarne la
durabilità il filo viene galvanizzato con lega di zinco ed alluminio ed eventual-

101
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

mente plasticato. Possono avere diverse resistenze a seconda delle combina-


zioni diametro filo/tipo maglia. Sono reti per uso ingegneristico dotate di ele-
vata resistenza e caratterizzate dalla capacità di confinare localmente le even-
tuali rotture o strappi. Si utilizzano per molteplici applicazioni: realizzazione
di elementi per rinforzo dei terreni, realizzazione di rivestimenti vegetativi (in
abbinamento con biostuoie o geostuoie) per il controllo dell’erosione su scar-
pate ripide, realizzazione di gabbioni e materassi da riempire con pietrame che
sono utilizzati nelle difese fluviali e nelle opere di sostegno.
• Geostuoie tridimensionali: sono costituite da filamenti di materiali sintetici
(polietilene ad alta densità, poliammide, polipropilene o altro), aggrovigliati
in modo da formare uno strato molto deformabile dello spessore di 10-20 mm,
caratterizzato da un indice dei vuoti molto elevato (> 90%). Possono essere
saturate con materiali naturali (ghiaia, bitume) e sintetici (gomme) per appli-
cazioni particolari. Le geostuoie possono venire rinforzate mediante reti
metalliche a doppia torsione e geogriglie.
• Geocompositi drenanti: sono costituiti dall’associazione (in produzione) di
uno strato di georete (o di geostuoia) racchiuso tra uno o due strati di geotes-
sile (o tra una membrana e un geotessile). Lo spessore complessivo del geo-
composito può variare tra 5 e 30 mm. Svolgono funzione filtrante e drenante
nelle trincee drenanti e nei dreni a tergo di opere di sostegno.
• Geomembrane: svolgono la funzione di barriere idrauliche per impermeabi-
lizzare bacini, argini, canalette etc. Possono essere polimeriche (HDPE, PVC,
PP) o bentonitiche (argilla bentonitica intrappolata tra due geotessili).

Tabella 4.7: (materiali utilizzati per l’Ingegneria Naturalistica)


Materiali Massa Durabilità Resistenza alla
areica (anni) trazione (kN/m)
g/mq Min Max Min Max

Stuoia di Juta
(o Rete di juta) 200-500 1 2 1 2
Stuoia di cocco
(o Rete cocco) 400-900 5 8 5 10
Biostuoia cocco 300-400 0.5 1 0.3 0.5
Biostuoia paglia 300-400 0.3 0.5 0.3 0.4
Biostuoia in legno 500-800 1 2 1.8 2.2
Geostuoia tridimensionale 500-800 >5 1.3 1.8
Geostuoia tridimensionale
rinforzata 1500-2500 >5 38 200
Geogriglie 300-2200 20 120 30 1000
Geotessuti 80-1000 10 50 10 500
Reti metalliche a doppia
torsione 1200-1750 30 >100 27 65
Fonte: Manuale 2 Regione Lazio

102
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica

4.5 ESEMPI DI ELABORATI PROGETTUALI TIPO


Per quanto riguarda i contenuti progettuali, vengono presentati (in estratto modifi-
cato dal Manuale di Ingegneria Naturalistica della Regione Lazio Vol. 2) una serie di
allegati progettuali tipo relativi alle opere naturalistiche e riferiti alle tre fasi classiche
della progettazione, come di seguito elencate.
Va precisato che, in genere, le opere pubbliche quali sistemazioni idrauliche, stra-
de, ferrovie, sistemazioni costiere, etc. rispettano le tre fasi citate. Le opere private,
invece, quali cave e discariche, solitamente si propongono con un progetto unico (ese-
cutivo), salvo estrarre da esso una sintesi semplificata da inserire nel quadro progettua-
le dello studio di impatto.
Quasi sempre ormai le cartografie di analisi naturalistica sono redatte in sede di
S.I.A. che di solito accompagna il progetto definitivo nella procedura di V.I.A.
Nazionale (salvo per i progetti della “Legge obiettivo” che prevedono la V.I.A. nel pre-
liminare) e l’esecutivo nelle procedure regionali.
4.5.1 Progetto preliminare
Il progetto preliminare di un’opera contiene informazioni generali:
• analisi del territorio (vincolistica, geologia, geoidrologia, pedologia, vegeta-
zione reale e potenziale, fauna);
• proposta di intervento;
• stima dei costi dell’intervento.
Il progetto preliminare è talvolta sottoposto a procedura di V.I.A.;
Sottoposto all’attenzione dell’Ente che:
• esprime il proprio parere;
• formula le eventuali richieste di modifiche.

INDICE TIPO RELAZIONE:


Relazione illustrativa
1. Premesse
2. Generalità sull’Ingegneria Naturalistica
3. Inquadramento ambientale
3.1 Dati climatici, Climogramma
3.2 Inquadramento geologico e podologico
3.3 Idrologia, idraulica
3.4 Vincoli esistenti
3.5 La vegetazione naturale e potenziale
3.6 Note sulla fauna locale
4. Proposta di progetto
Preventivo sommario
Quadro economico
Documentazione fotografica
ELENCO TIPO ALLEGATI GRAFICI E CARTOGRAFICI
Cartografie area intervento Scala 1 : 25.000 / 1 : 5.000
Transetti schematici degli interventi
Planimetria degli interventi Scala 1 : 2.500

103
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

4.5.2 Progetto definitivo


Il progetto definitivo è costituito dalla maggior parte degli allegati necessari alla
presentazione completa del progetto:
• analisi del territorio ex programma preliminare più cartografia di analisi (car-
tografia litologica/geomorfologica, pedologica, cartografia vegetazione);
• planimetrie dello stato di fatto e di progetto;
• sezioni dello stato di fatto e di progetto;
• sezioni tipo / schemi tecnici degli interventi proposti;
• relazione tecnica di progetto (inclusa, se del caso, relazione idraulica);
• elenco prezzi e computo metrico estimativo.
Il progetto viene presentato a tutti gli enti Provinciali o Regionali per la richiesta
delle necessarie autorizzazioni.
Ogni ente è tenuto a esaminare il progetto e ad esprimere il proprio parere formu-
lando osservazioni (per le eventuali modifiche nel progetto esecutivo)

Elenco tipo allegati

ALL. 1 Relazione (recupero dati di analisi del progetto preliminare più carto-
grafie tematiche – litologica/geomorfologica, dati pedologici, vege-
tazione, sensibilità vegetazionale, documentazione fotografica).
ALL. 2 Relazione di progetto
ALL. 3 Quadro economico
ALL. 4 Indagini geognostiche
ALL 5 Corografie 1:10.000 /
1:5000
ALL.6 Planimetria catastale 1:2000
ALL.7 Rilievo topografico 1:500
ALL.8 Profili 1:500/100
ALL.9 Sezioni trasversali 1:500
ALL.10 Rilievo vegetazionale 1:500
ALL.11 Planimetrie di progetto delle opere di ingegneria naturalistica 1:500
ALL.12 Sezione di progetto delle opere di ingegneria naturalistica 1:100
ALL.13 Particolari costruttivi 1:100/50
ALL.14 Quaderno sezioni tipo Scale varie
ALL.15 Elenco prezzi
ALL.16 Computo metrico estimativo
ALL. 17 Piano particellare d’esproprio ed elenco ditte

4.5.3 Progetto esecutivo


Il progetto esecutivo contiene tutte le informazioni necessarie all’appalto e alla cor-
retta esecuzione delle opere. È costituito da:
• relazione tecnica di progetto;
• documentazione fotografica;
• planimetrie e sezioni di progetto;
• sezioni tipo;
• computo metrico estimativo;
• analisi prezzi;
• elenco prezzi;
• capitolato speciale;
• piano di sicurezza.

104
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica

Elenco tipo allegati

ALL.1 Relazione (recupero dati di analisi del progetto preliminare


più cartografie tematiche – geologiche e geomorfologiche,
pedologiche, vegetazione, fauna, sensibilità vegetazionale,
documentazione fotografica).
ALL.2 Relazione di progetto
ALL. 3 Quadro economico definitivo
ALL. 4 Indagini geognostiche
ALL 5 Corografie 1:10.000 /
1:5000
ALL. 6 Planimetria catastale 1:2000
ALL. 7 Rilievo topografico 1:500
ALL. 8 Profili 1:500/100
ALL. 9 Sezioni trasversali 1:500
ALL. 10 Rilievo vegetazionale 1:500
ALL. 11 Planimetrie di progetto delle opere di ingegneria naturalistica 1:500
ALL. 12 Sezione di progetto delle opere di ingegneria naturalistica 1:100
ALL. 13 Particolari costruttivi 1:100/50
ALL. 14 Quaderno sezioni tipo Scale varie
ALL. 15 Elenco prezzi
ALL. 16 Analisi prezzi
ALL. 17 Computo metrico estimativo
ALL. 18 Piano particellare d’esproprio ed elenco ditte
ALL. 19 Capitolato speciale d’appalto
ALL. 20 Piano di sicurezza e coordinamento
ALL. 21 Fascicolo dell’opera

Sezione del progetto esecutivo della sistemazione idraulica dell’asta valliva del F.
Flumendosa – Ente Autonomo Flumendosa

105
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

ESEMPI DI ELABORATI
PROGETTUALI TIPO

PROGETTO PRELIMINARE
POLLENA TROCCHIA (NA)

RECUPERO AMBIENTALE CAVA

106
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica

CARTA DELLE FISIONOMIE VEGETALI


Scala 1:5000

BOSCHI DI LATIFOGLIE (castagneti, querceti a Quercus pubescens,


formazioni a Robinia pseudoacacia)

CESPUGLIETI (formazione a dominanza di Spartium junceum, Rubus


ulmifolius ed Arundo plinii)

VEGETAZIONE MOLTO RADA DELLE AREE SUBVERTICALI


O MOLTO ACCLIVI, A DOMINANZA DI CAMEFITE (Artemisia
variabilis, Centranthus ruber, Trachelium coeruleum, etc.)

VEGETAZIONE DELLE LAVE NON PEDOGENIZZATE


(Helychry-sum litoreum e Centranthus ruber)

INCOLTI E VEGETAZIONE RUDERALE

FRUTTETI

COLTURE ERBACEE

GIOVANI IMPIANTI DI Pinus pinea

STRADE ED AREE DI PERTINENZA DELLA VIABILITÀ

107
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

108
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica

109
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica

PROGETTO DEFINITIVO
MELITO (CS)

RECUPERO AMBIENTALE CAVA

111
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica

Punti di ripresa fotografica

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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

LEGENDA FOTO

Foto n. 1 - Macchia arbustiva percorsa da incendio, con Erica arborea, Cistus salvifo-
lius e fusti di Quercus ilex bruciati. (ril. 1)
Foto n. 2 - Panoramica della macchia arbustiva percorsa da incendio. (ril. 1)
Foto n. 3 - Panoramica dei tre stadi in collegamento dinamico: vegetazione post-incen-
dio, macchia e lecceta
Foto n. 4 - Recupero spontaneo della strada sterrata da parte di arbusti pionieri. (ril. 2)
Foto n. 5 - Macchia termofila a Quecus ilex, Erica arborea e Spartium junceum. (ril. 3)
Foto n. 6 - Esemplare arboreo di Sorbus domestica al bordo della lecceta.
Foto n. 7 - Bosco misto di sclerofille e latifoglie. (ril. 4)
Foto n. 8 - Bosco ceduo di Castanea sativa. (ril. 5)
Foto n. 9 - Cespuglieto in collegamento dinamico con il bosco deciduo. (ril. 6)
Foto n. 10 - Bosco ceduo a Fraxinus ornus, Ostrya carpinifolia e Quercus ilex. (ril. 7)
Foto n. 11 - Vegetazione litofila rupestre. (ril. 8)
Foto n. 12 - Panoramica del versante Sud del Costone Paradici.
Foto n. 13 - Bosco di sclerofille sempreverdi a Quercus ilex. (ril. 9)
Foto n. 14 - Cespuglieto in colonizzazione di ex castagneto da frutto. (ril. 10)
Foto n. 15 - Bosco ceduo di Ostrya carpinifolia. (ril. 11)
Foto n. 16 - Vegetazione pioniera su falda detritica. (ril. 12)
Foto n. 17 - Vegetazione pioniera su scarpata stradale. (ril. 13)

114
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica

Foto n. 1 - Macchia arbustiva percorsa da incendio, con Erica arborea, Cistus salvifo-
lius e fusti di Quercus ilex bruciati. (ril. 1)

Foto n. 2 - Panoramica della macchia arbustiva percorsa da incendio. (ril. 1)

115
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

116
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica

117
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

118
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica

PROGETTO DEFINITIVO
MONTORO INFERIORE (AV)

INTERVENTO DI RIPRISTINO DELL’ASSETTO AMBIENTALE


ED IDROGEOLOGICO DEI VERSANTI SOGGETTI AD EROSIONE
ED INSTABILITÀ A SEGUITO DEGLI INCENDI VERIFICATISI
IN ZONE COLLINARI E MONTUOSE

119
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica

121
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

122
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica

PROGETTO ESECUTIVO
ARMENTO (PZ)

LAVORI DI MESSA IN SICUREZZA DEL RIONE S. ROCCO


DELL’ABITATO DI ARMENTO
PERCORSO DALL’INCENDIO DEL 24 AGOSTO 2000

123
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica

125
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica

PROGETTO ESECUTIVO
JOPPOLO (VV)

CONSOLIDAMENTO COSTONE A MONTE DEL CENTRO ABITATO


DI JOPPOLO A SEGUITO DEGLI SMOTTAMENTI
PROVOCATI DALL’INCENDIO CHE HA COMPROMESSO
L’EQUILIBRIO STATICO DEL VERSANTE

127
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

LEGENDA
INTERVENTO - A - CONSOLIDAMENTO COSTONE

1 1 - RIPRISTINO TRACCIATI VIALETTI


2 2 - VIALE TAGLIAFUOCO
3 - PIANTE ALTOFUSTO
4 - PIANTE ARBUSTIVE
5 5 - INTERVENTO IDROSEMINA
6 6 - BIOSTUOIA
7 7 - CONTENIMENTO CON RETI
8 8 - DECESPUGLIAZIONE
9 - BRIGLIE IN PIETRAME E LEGNAME
10 10 - IDRANTI ANTINCENDIO
11 - CONDOTTA RETE ANTINCENDIO
12 - LINEA CAVIDOTTO INTERRATO
13 13 - AUTOCLAVI SOLLEVAMENTO
14 14 - SERBATOIO ANTINCENDIO
15 - CAPTAZIONE IDRICA
16 16 - RIPRISTINO STRADA A MONTE CANALE
17 - CANALE DI GUADO
18 18 - PALIFICATA VIVA IN LEGNAME

128
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica

129
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

130
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica

PROGETTO ESECUTIVO
VIESTE (FG)

BACINO DEL CANALE PERAZZETA


OPERE DI COLLETTAMENTO
NEL TRATTO TERMINALE DI VALLE

131
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica

133
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

4.6 VALUTAZIONE DEI PROGETTI DI INGEGNERIA NATURALISTICA


4.6.1 Valutazione dei progetti
Si pone il problema della valutazione dei progetti di I.N. da parte dei funzionari di
Enti pubblici, in un settore relativamente nuovo per l’Italia.
Alcune Regioni particolarmente attente al settore dell’I.N. (es. Lombardia “Piano
della Valtellina”) hanno inserito nelle schede di valutazione dei progetti di difesa del
suolo una clausola del tipo: “nelle scelte di progetto il progettista dovrà dimostrare che
sono state valutate le soluzioni con tecniche di ingegneria naturalistica prima di adot-
tare interventi tradizionali”.
A titolo di supporto si riporta di seguito la scheda “Linee guida per la valutazione
dei progetti di I.N.” estratta dal paragrafo 5.0 del “Regolamento per l’attuazione degli
interventi di Ingegneria Naturalistica nel territorio della Regione Campania”, che
risulta la più dettagliata sinora recepita in una normativa regionale.
4.6.2 Linee guida per la valutazione dei progetti di I.N.
Per la valutazione dei progetti di I.N. da parte del responsabile di procedimento o
di chi è incaricato a valutare i progetti, fermo restando la necessaria esperienza matura-
ta relativamente all’applicazione di queste tecniche e/o la necessità di essere affiancati
da professionisti esperti nel campo dell’I.N., può risultare utile la seguente lista di con-
trollo a forma di questionario che fa riferimento alle linee guida per la progettazione
delle opere di I.N.:
- Al progetto è allegata la “Relazione sull’applicabilità delle te-
cniche di I.N.”? sì no
- La relazione è stata redatta da un esperto in tecniche di I.N.? sì no
- Nella relazione sono chiaramente indicate le finalità progettuali? sì no
- Sono presenti gli studi preliminari a supporto della progettazio-
ne di tutte le componenti ambientali? sì no
- Lo studio idrologico ha riguardato la tipologia di rete idro-
grafica? sì no
- Lo studio idrologico ha indicato chiaramente il periodo di ritor-
no e la relativa portata di piena? sì no
- Lo studio idraulico ha indicato chiaramente i parametri di:
velocità della corrente sì no
verifica delle sezioni sì no
pendenza d’equilibrio sì no
studio del trasporto solido sì no
effetto della vegetazione sulla corrente sì no
- Il progetto ha tenuto conto dei risultati dello studio idrologico? sì no
- Il progetto ha tenuto conto dei risultati dello studio idraulico? sì no
- Lo studio geologico e geotecnico ha valutato chiaramente i fat-
tori sottoelencati e, per quelli ove è possibile, fornito precisi
parametri idrogeologici, geologici, pedologici, geomorfologici,
litologici, di qualità, geotecnici, stratigrafici, tettonici, sismici
e vulcanologici? sì no

134
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica

- Sono state realizzate indagini geognostiche in sito? sì no


- Le indagini geognostiche sono state realizzate, ivi compresi i
risultati, secondo le Norme di riferimento? sì no
- Il progetto ha tenuto conto dei risultati dello studio geologico e
geo-tecnico? sì no
- Lo studio della flora e della vegetazione ha svolto un’ampia de-
scrizione della situazione ante operam? sì no
- Sono state indicate le piante da utilizzare nell’intervento? sì no
- Il progetto ha tenuto conto dei risultati dello studio della flora
e della vegetazione? sì no
- Nel progetto le piante da utilizzare nell’intervento sono auto-
ctone? sì no
- Nel progetto le piane da utilizzare nell’intervento hanno fun-
zione consolidante? sì no
- Nel progetto le piane da utilizzare nell’intervento hanno soltanto
funzione estetica o di mascheramento? sì no
- Il progetto indica le modalità di impianto delle piante o delle
talee? sì no
- Lo studio della fauna selvatica ha svolto un’ampia descrizione
della situazione ante operam ed ha fornito indicazioni alla pro-
gettazione? sì no
- La tecnica o le tecniche di I.N. scelte dal progetto corrispondo-
no a quelle descritte nelle “Linee guida agli interventi di I.N.”
del Ministero dell’Ambiente? sì no
- Il progetto dà indicazioni sul periodo dell’anno in cui deve
essere eseguito l’intervento? sì no
- Il progetto fornisce indicazioni soddisfacenti sulla manutenzione? sì no
- Nel dimensionamento dell’intervento è rispettato il principio del
livello minimo di energia? sì no
- È presente il piano di sicurezza e di coordinamento? sì no
- Il progetto presenta tutti gli elaborati previsti dalla legislazione
vigente? sì no
- Il progetto delle tecniche è completo del dimensionamento e dei
calcoli di stabilità nel caso trattasi di opere di contenimento del
terreno? sì no
- Il progetto è svolto a scala di bacino, con previsione di inter-
venti estensivi: sì no
con tecniche di I.N.? (esempi: semine/piantagioni/viminate/gra-
donate/fascinate/ cordonate vive / muretti a secco rinverditi/
protezioni di versanti con geosintetici o biostuoie) sì no
con altre tecniche? sì no
- Il progetto prevede la realizzazione di drenaggi? sì no
con tecniche di I.N.? (esempi: fossi di guardia protetti da semi-
ne/fascinate drenanti/ canalette drenanti in legname, legno e
pietrame o con l’utilizzo di geosintetici/ cunei drenanti) sì no

135
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

con altre tecniche? sì no


- Il progetto prevede l’uso di interventi intensivi: sì no
con tecniche di I.N.? (esempi: ribalta viva/grata viva/ palificata con
graticcio/ palificate vive/ terre rinforzate/ pennelli vivi/ gabbionate
rinverdite) sì no
con altre tecniche? sì no
- Il progetto prevede l’uso di opere di contenimento in corrisponden-
za di infrastrutture lineari e/o opere d’arte: sì no
con tecniche di I.N.? (esempi: palificate vive/terre rinforzate/gab-
bionate rinverdite/ muri cellulari rinverditi) sì no
con altre tecniche? sì no

136
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

5. I SETTORI DI INTERVENTO DELL’INGEGNERIA NA-


TURALISTICA
Nei capitoli seguenti vengono esaminati i vari settori di applicazione dell’ I.N.
riportando una casistica con allegate schede tecniche relative a interventi esemplari.
Le schede sono la parte qualificante dello studio in quanto riportano, per la prima
volta in Italia, una casistica non limitata a esperienze di una singola regione, ma estesa
a livello nazionale con particolare riferimento alle regioni meridionali, risultato di espe-
rienze progettuali degli autori e di tanti altri progettisti. I dati riportati nelle schede e le
foto, tutte derivanti da sopralluoghi, sono aggiornati al periodo giugno 2003 - marzo
2004. In allegato sono riportati i compilatori delle schede.

5.1 IDRAULICA
Vengono di seguito esposti i criteri e le problematiche relativi alla progettazione di
un intervento di I.N. in ambito idraulico.
5.1.1 Criteri di progettazione naturalistica
Gli interventi di sistemazione idraulica con tecniche di I.N. vanno concepiti con
approccio sistemico a livello di bacino idrografico, nell’ambito della rinaturazione dei
corsi d’acqua, che deve comprendere non solo interventi antierosivi con tecniche vive,
ma anche interventi di diversificazione morfologica nel tracciato o nella sezione del-
l’alveo, per l’aumento della biodiversità e per la connessione delle reti ecologiche.
Gli interventi sull’asta fluviale vanno quindi progettati secondo il principio che la
diversità morfologica si traduce in biodiversità, incrementando le aree di pertinenza del
corso d’acqua e rifiutando la rettificazione e la cementificazione dell’alveo; la vegeta-
zione igrofila, in tale approccio, non viene più considerata un ostacolo al deflusso delle
acque, ma una risorsa di interesse idraulico per la protezione flessibile delle sponde.
L’analisi delle varie componenti ambientali e delle loro interazioni con le caratte-
ristiche idrauliche dovrà quindi valutare, iniziando da monte ed impiegando i criteri e
le tecniche dell’ingegneria naturalistica, ove porre in atto:
• Interventi di rinverdimento per la protezione antierosiva dei versanti per con-
sentire l’aumento del tempo di corrivazione delle acque e la diminuzione del
trasporto solido a valle.
• Realizzazione di casse d’espansione, per laminare i volumi di piena riducen-
done i picchi, ottenendo aree a vocazione naturalistica per l’aumento della
biodiversità.
• Realizzazione di aree inondabili in corrispondenza dell’alveo, ampliando le
sezioni idrauliche con la creazione di un alveo di magra con portata idraulica
ed uno di piena allagato periodicamente.
• Interventi sul corso d’acqua tesi a diminuirne l’energia cinetica tramite la ridu-
zione della pendenza. Al posto delle briglie in cemento, in molti casi si posso-
no impiegare le briglie in legno e pietrame, eventualmente combinate con ele-
menti vivi quali le talee di salice; per garantire, poi, la continuità biologica all’it-
tiofauna, ove le caratteristiche morfologiche dell’alveo lo consentano, è possibi-
le realizzare, al posto delle briglie, le rampe in pietrame per la risalita dei pesci.

137
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

• Interventi nella parte alta del bacino per la realizzazione di tratti a raschi con
massi sul fondo alternati con pozze, per incrementare la variabilità morfologi-
ca e, quindi, la biodiversità.
• Interventi antierosivi e di consolidamento sull’asta fluviale concepiti anche
invertendo la tendenza alla riduzione delle aree di pertinenza del corso d’acqua.
• Interventi tesi ad eliminare i tratti rettificati dell’alveo che possono comporta-
re un aumento dell’erosione a monte e del deposito a valle, con conseguente
pericolo di esondazione e che comportano la perdita di habitat e la riduzione
della biodiversità; favorire la meandrificazione del corso d’acqua nei tratti
compatibili, con conseguente asimmetria della sezione idraulica significa inve-
ce riproporre la morfologia naturale e aumentare le capacità depurative del
corso d’acqua.
• Eliminazione dei tratti cementificati per spezzare l’isolamento tra l’acqua ed
il substrato, ricostituendo il rapporto con la falda e rendendo possibile la rivi-
talizzazione del corso d’acqua.
• Realizzazione, ove possibile, di aree umide in corrispondenza delle immissio-
ni dei canali di drenaggio o dei fossi affluenti
• Realizzazione, soprattutto nelle aree di pianura ad agricoltura intensiva, di
fasce tampone di circa 10 m a lato delle rive per intercettare i nutrienti perco-
lati dalle aree agricole.

Foto 5.1.1: Esempio di manutenzione idraulica effettuata secondo il DPR 14 aprile 1993
sul Rio Inferno (FR) quattro mesi dopo l’intervento (maggio 2000) - Foto P. Cornelini

• Realizzazione, anche al di fuori dell’alveo di piena, di boschetti e cespuglieti


per una riqualificazione naturalistica e paesaggistica del corso d’acqua con
ricostruzione di elementi della rete ecologica

138
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

• Pianificazione degli interventi di manutenzione non considerando, ove possi-


bile, la vegetazione igrofila un ostacolo al rapido deflusso delle acque, bensì
una risorsa non solo naturalistica, ma anche di interesse idraulico per la pro-
tezione flessibile dall’erosione (DPR 14 aprile 1993 Atto di indirizzo e coor-
dinamento alle regioni recante criteri e modalità per la redazione di program-
mi di manutenzione idraulica e forestale).
In tabella 5.1.1 vengono riportati, a titolo di esempio, i benefici in termini di bio-
diversità derivanti da una gestione dei corsi d’acqua con l’approccio progettuale dell’in-
gegneria naturalistica.

Tabella 5.1.1: Ricadute ecologiche degli interventi idraulico-naturalistici


(Cornelini e Sauli, Manuale sistemazioni idrauliche Regione Lazio)
Benefici ecologici
Tipo interventi Azioni in termini di biodiversità
e nuove unità ecosistemiche

Demolizione tratti cementificati Rivitalizzazione alveo


con potenzialità per corridoi
ecologici ed habitat acquatici
e terrestri

Realizzazione sinuosità Habitat per macrobenthos,


con meandri ittiofauna avifauna
e fitocenosi igrofile

Realizzazione isole Stadi di vegetazione igrofila


e terrestre, avifauna

Allargamento sezione Popolamenti elofitici,


con realizzazione di golene habitat per anfibi
e tratti a minor battente idrico ed avifauna

Modifiche morfologiche Realizzazione alveo di magra Ittiofauna


in alveo per il deflusso minimo e macrobenthos

Realizzazione sezioni asimmetriche Stadi di vegetazione igrofila


e terrestre, popolamenti elofitici,
habitat per anfibi ed avifauna

Realizzazione aree Stadi di vegetazione igrofila,


di espansione popolamenti elofitici,
habitat per anfibi ed avifauna

Realizzazione sponde Stadi di vegetazione igrofila


a varie pendenze e terrestre

Realizzazione sponde ripide Habitat per avifauna

Realizzazione di rampe di risalita Continuità biologica per ittiofauna


in pietrame o soglie basse in legname
e pietrame

139
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Benefici ecologici
Tipo interventi Azioni in termini di biodiversità
e nuove unità ecosistemiche

Realizzazione aree Stepping stones,


di espansione o laminazione stadi di vegetazione igrofila
e terrestre, popolamenti elofitici,
habitat per ittiofauna,
anfibi ed avifauna

Modifiche morfologiche Realizzazione piccole aree umide Stepping stones,


fuori alveo stadi di vegetazione igrofila
e terrestre, popolamenti elofitici,
habitat per ittiofauna,
anfibi ed avifauna

Realizzazione di ecosistemi filtro Stepping stones,


per la fitodepurazione stadi di vegetazione igrofila
e terrestre, popolamenti elofitici,
habitat per ittiofauna,
anfibi ed avifauna

Impiego di tecniche Corridoi ecologici,


di ingegneria naturalistica boscaglia ripariale igrofila,
Tecniche antierosive cespuglieti igrofili, cespuglieti
e di consolidamento termomesofili, prati umidi
delle sponde habitat per avifauna
e micromammiferi

Realizzazione di fasce boscate Corridoi ecologici,


Riqualificazione sul ciglio delle sponde anche boscaglia ripariale igrofila,
ambiente fluviale con espropri cespuglieti igrofili,
fuori alveo cespuglieti termomesofili,
prati umidi
habitat per avifauna
e micromammiferi

5.1.2 Scheda di valutazione della qualità ambientale di un corso d’acqua


Nei progetti di sistemazione idraulica è necessaria, oltre alla descrizione dell’am-
biente circostante, una valutazione della sua qualità ambientale al fine di meglio orien-
tare le scelte progettuali. Se, ad esempio, la individuazione di tratti con presenza di
vegetazione ripariale di pregio pone il problema della loro salvaguardia e conservazio-
ne, all’opposto la individuazione di tratti con forte pressione antropica pone il proble-
ma della loro riqualificazione ambientale.
La valutazione della qualità ambientale di un corso d’acqua scaturisce, nei rari casi
nei quali è stata presa in considerazione, da indagini floristiche e vegetazionali che a
partire dall’analisi di alcuni parametri (rarità, naturalità, struttura, composizione flori-
stica, etc.) si traducono in valutazioni gerarchiche ed in cartografie della qualità
ambientale molto utili per la progettazione degli interventi di I.N.

140
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Accanto a tali strumenti tradizionali fin dagli anni ’80 del secolo scorso sono
iniziate ricerche per la raccolta delle informazioni ecologiche dei corsi d’acqua tra-
mite schede a domande predisposte collegate al RCE-I (Riparian Channel
Environmental Inventory di Petersen, 1987), al RCE-2 (Siligardi e Maiolini, 1993)
ed all’I.F.F. (Indice di Funzionalità Fluviale dell’A.N.P.A., 2001), di notevole inte-
resse applicativo.
La scheda allegata (Cornelini e Sauli, Manuale sistemazioni idrauliche Re-
gione Lazio, 2002) si propone quale ulteriore contributo alla valutazione della
qualità ambientale di un corso d’acqua; tale scheda, che trae utili riferimenti dalle
citate ricerche ed in particolare, dal manuale dell’A.N.P.A., propone una inda-
gine semplificata e speditiva per valutare l’ambito di un intervento di I.N. nel
territorio.
La scheda, che vale per le acque dolci correnti, contiene otto domande per le
quali è prevista una sola risposta (la più rispondente alla realtà), nella consapevolez-
za della impossibilità di interpretare tutte le articolazioni emerse nel rilevamento.
I valori numerici sono espressi in scala esponenziale; tale scelta, puramente sog-
gettiva, deriva da una verifica pluriennale nell’attività professionale della scala
(Sartori, 1986) nelle valutazioni di qualità ambientale.
La scheda di otto domande sulle caratteristiche biotiche ed abiotiche, considera
la vegetazione come il principale indicatore ecologico del valore ambientale del
corso d’acqua. Oltre a quelle sulla vegetazione (domande 1-5) si trovano una doman-
da sul regime idraulico (n.6) e due (n.7 e 8) sulla morfologia della sezione trasver-
sale e del corso longitudinale.
Per la sua compilazione si richiedono soprattutto conoscenze naturalistico-vege-
tazionali.
La classe di qualità va calcolata sia per la sponda DX che per la SX, somman-
do ai relativi valori di ogni sponda quelli dell’alveo che va, quindi, computato due
volte con un punteggio MAX per ogni sponda di 120 e MIN di 8.
Il risultato degli studi va riportato su cartografie in scala 1:10.000 rappresen-
tando lungo le sponde destra e sinistra due linee con i colori della classe corri-
spondente.
La compilazione prevede, nella parte del corso d’acqua interessato dagli inter-
venti di sistemazione idraulica, la identificazione di tratti di caratteristiche omogenee
per ognuno dei quali va compilata una scheda con relativa foto. Le schede possono
essere riportate in tabelle di rilievi, nelle quali ad ogni 2 colonne (sponda DX e SX)
corrisponde un tratto del corso d’acqua.
Tali tratti, dato lo scopo di fornire una lettura di insieme per orientare le scelte
progettuali e la scala di restituzione 1:10.000, non devono essere troppo brevi (mini-
mo 40-50 m) e devono ignorare le discontinuità puntuali, quali un ponte od altre
opere idrauliche. La scheda, oltre che per una valutazione ante operam, è indicata
anche per una valutazione post operam, per verificare l’aumento di qualità ambienta-
le a seguito di interventi di ingegneria naturalistica.

141
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Scheda di valutazione della qualità ambientale di un corso d’acqua


(Cornelini e Sauli 2002)

Scheda n°
Foto n°
Data
Corso d’acqua
Comune
Località
Altitudine
Lunghezza tratto esaminato
Osservazioni
Sponda Sx Dx
1 Territorio terrestre circostante
Boschi autoctoni, vegetazione potenziale 16 16
Cespuglieti, boscaglie autoctone 8 8
Incolti, prati pascoli, formazioni legnose sinantropiche 4 4
Colture agrarie 2 2
Aree urbanizzate 1 1
2 Vegetazione fasce ripariali
2.1 formazioni arboree ripariali autoctone (saliceti, ontaneti, pioppeti) 16 16
2.2 formazioni arbustive ripariali autoctone (saliceti, cespuglieti igrofili), popo-
lamenti elofitici, cariceti, formazioni erbacee igrofile, formazioni arboree si-
nantropiche con significative presenze di esemplari di 2.1 8 8
Incolti, prati pascoli, formazioni sinantropiche (robinieti, roveti , canneti ad
Arundo donax) 4 4
Colture agrarie 2 2
Assenza di vegetazione per cause naturali o antropiche 1 1
3 Ampiezza fascia ripariale
Fascia ripariale autoctona (2.1,2.2) maggiore di 30 m 16 16
Fascia ripariale autoctona (2.1,2.2) 5 -30 m 8 8
Fascia ripariale autoctona (2.1,2.2) 1 -5 m 4 4
Assenza fascia ripariale autoctona (2.1,2.2) 1 1
4 Continuità fascia ripariale
Fascia ripariale autoctona (2.1,2.2) senza interruzioni 16 16
Fascia ripariale autoctona (2.1,2.2) con interruzioni saltuarie 8 8
Fascia ripariale autoctona (2.1,2.2) con interruzioni frequenti 4 4
Assenza fascia ripariale autoctona (2.1,2.2) 1 1
alveo
5 Vegetazione nell’alveo bagnato
Assenza di vegetazione per elevate velocità dell’acqua o presenza di macrofite
acquatiche non indicatrici di carico organico, acque non inquinate 8
Presenza di macrofite acquatiche indicatrici di carico organico, acque media-
mente inquinate 4
Elevata copertura di macrofite eutrofiche, acque altamente inquinate 1

142
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

6 Regime idraulico
Alveo di morbida con portata continua durante tutto l’anno 16
Alveo di morbida con portata discontinua 8
Alveo in secca per la maggior parte dell’anno 1
7 Naturalità della struttura morfologica della sezione trasversale
Sezione completamente naturale 16
Sezione con limitati elementi artificiali ormai inseriti nell’ambiente, briglie di-
stanziate, argini in terra lontani dall’alveo 8
Sezione con evidenti elementi artificiali, briglie ravvicinate, argini in terra pros-
simi all’alveo 4
Sezione completamente artificiale (cementificata, a sezione geometrica, etc) 1
8 Diversificazione morfologica del tracciato longitudinale
Meandri o raschi , pozze ben distinti e ricorrenti 16
Meandri o raschi, pozze presenti, ma discontinui 8
Corso canalizzato, ma non rettificato 4
Corso d’acqua rettificato 1
Totale
Classe di qualità

Classe di qualità Valori Giudizio Colore

V 8-30 Pessima Rosso


IV 31-52 Bassa Arancio
III 53-74 Media Giallo
II 75-96 Buona Verde
I 97-120 Elevata Blu

Figura 5.1.2: Applicazione della scheda alla valutazione della qualità ambientale del
Fosso Ponton del Castrato a Santa Marinella (Roma). Per gentile concessione dell’ing.
Dario Colusso

143
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

5.1.3 Scelta delle tipologie di intervento


Gli interventi su un corso d’acqua possono essere suddivisi sinteticamente in inter-
venti di regimazione ed interventi di sistemazione. I primi tendono a modificare il regi-
me delle portate del corso d’acqua e comprendono le arginature, le dighe, le casse di
espansione, i diversivi e gli scolmatori. I secondi tendono invece a modificare e/o a
consolidare l’alveo per il raggiungimento di uno stabile assetto plano-altimetrico
mediante le opere difesa delle sponde e di stabilizzazione dell’alveo, la risagomatura
delle sezioni, la riprofilatura del tracciato planimetrico.
Le opere di difesa di sponda si suddividono in opere di difesa longitudinali (o
radenti), disposte nella direzione della corrente con trascurabile interferenza sulle con-
dizioni del deflusso, e opere di difesa trasversali (o repellenti) che, viceversa, possono
modificare sostanzialmente le condizioni del deflusso (Preti, in “Manuale delle sistema-
zioni idrauliche della Regione Lazio”).
La scelta e la collocazione degli interventi è funzione di vari parametri tra cui i
principali possono ricondursi alla velocità di deflusso (correlata con la pendenza del
fondo) ed al diametro del trasporto solido.
Tenendo conto che esistono, comunque, dei limiti tecnici di impiego delle tecniche
di ingegneria naturalistica, in tabella 5.1.2 e figure 5.1.3 vengono formulate e raffigu-
rate proposte esemplificative (quindi non direttamente applicabili a qualunque corso
d’acqua) per la scelta delle tipologie di intervento con tecniche di I. N., basate sempli-
cemente su valori indicativi della velocità, della corrente e del diametro del trasporto
solido.
Nelle zone montane, in alveo sono possibili interventi solo con opere rigide o con
massi o pietrame, mentre sui versanti instabili sono validi gli interventi con opere vive
stabilizzanti (gradonate vive, fascinate vive, etc.) o combinate (palificate, grate vive,
etc), che aumentano i tempi di corrivazione e riducono il trasporto solido. Per quanto
riguarda gli interventi di sistemazione dei versanti e degli impluvi montani si rimanda
al capitolo 5.2.
Nei tratti mediano e inferiore del corso d’acqua, con la diminuzione della velocità
e del trasporto solido, aumenta progressivamente la gamma delle tecniche naturalisti-
che da impiegare, comunque, secondo il principio del minor impegno e pari risultato.

Legenda della tabella 5.1.2


A: cordonata, cuneo filtrante, fascinata, gabbionata, geocella a nido d’ape,
gradonata, grata viva su scarpata, materasso verde, messa a dimora di arbusti,
messa a dimora di talee, muro cellulare rinverdito, palificata viva, palizzata,
rivestimenti in rete metallica e stuoia, semina, semina potenziata, stuoie su
versante, viminata;
B: blocchi incatenati, muro a secco rinverdito, muro cellulare rinverdito, opere rigi-
de in cls, gabbionata spondale rinverdita;
C: B + Rampa a blocchi;
D: gabbionata spondale, materasso rinverdito , muro cellulare rinverdito, palifica-
ta viva spondale, pennello vivo;

144
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

E: biostuoia, biofeltro, blocchi incatenati, copertura diffusa con ramaglia viva,


fascinata viva, gabbionata rinverdita, geocomposito in rete met. e geostuoia
trid., geostuoia trid. sintetica bitumata, geostuoia trid. sintetica, gradonata
viva, grata viva, graticciata di ramaglia, materasso rinverdito, messa a dimora
di talee legnose, muro a secco rinverdito, muro cellulare rinverdito, palificata
viva, pennello vivo, piantagione di arbusti, rampa a blocchi, ribalta viva, rulli
spondali, semina, idrosemina, semina a spessore, terre rinforzate verdi, tra-
pianto di cespi e rizomi, traversa viva, viminata viva;
F: ampliamento sezione, casse di espansione;
G: F + recupero vecchi meandri;
H: G + impaludamento aree foce;
L: rampa a blocchi;
M: L + scale di risalita;

Tabella 5.1.2: Indicazioni di massima per le scelte tipologiche


degli interventi di ingegneria naturalistica nelle sistemazioni idrauliche

Velocità della corrente > 6 m/s da 3 fino a 6 m/s < 3 m/s

Diametro medio trasporto Tutti i da 5 fino da 1 fino


> 20 cm < 1 cm
solido diametri a 20 cm a 5 cm

Ghiaia,
Sabbia, Limo,
Natura del fondo ciottoli, Ghiaia e ciottoli
ghiaia sabbia
massi

Stabilizzazione
A
versanti

Rivestimento /
consolidamento B C D E
sponde
Modifiche
Tipologia
morfologia F F G H
interventi
corso d'acqua
Rinaturazione
ricostruzione Parziale Buona Ottimale
biotopi umidi

Provvedimenti
L M M
uso faunistico

Fonte: Da Chieu - Sauli “Piano stralcio per il bacino del F. To ce” 1993 (modificato)

145
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Tabella 5.1.2 bis: Selezione delle tecniche in funzione della velocità della corrente
(i numeri si riferiscono alle figure 5.1.3A e 5.1.3B)

Velocità della corrente Consolidamento/rivestimento sponde


Con tecniche di I.N.

1- Biostuoia in fibra vegetale


2- Geostuoia tridimensionale sintetica
3- Geostuoia tridimensionale sintetica bitumata in opera a freddo
4- Geostuoia tridimensionale sintetica prebitumata industrialmente a caldo
5- Messa a dimora di talee legnose
6- Trapianto di cespi e rizomi
7- Piantagione di arbusti
8- Copertura diffusa
9- Fascinata viva
< 3 m/sec 10 - Viminata spondale
11 - Graticciata di ramaglia
12 - Ribalta viva
13 - Rullo spondale
14 - Grata viva
15 - A - palificata viva spondale semplice
B - palificata viva spondale doppia
C - palificata spondale con palo verticale
D - palificata viva spondale tipo Roma
16 - Pennello vivo
17 - Materasso spondale rinverdito
3÷6 m/sec 18 - Terra rinforzata rinverdita
19 - Gabbionata spondale rinverdita
20 - Palizzata viva in putrelle e traverse
21 - Muro cellulare in cls rinverdito
> 6 m/sec 22 - Scogliera rinverdita
23 - Blocchi incatenati
24 - Rampa a blocchi

Figura 5.1.3A: Interventi IN in ambito idraulico

146
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Figura 5.1.3B: Interventi IN in ambito idraulico

5.1.4 Valutazione della scabrezza in presenza di vegetazione


Le sistemazioni idrauliche pongono alcuni classici problemi di potenziale interfe-
renza tra la presenza di vegetazione sulle sponde ed il deflusso delle acque.
Da una parte la vegetazione migliora la resistenza delle sponde nei confronti delle sol-
lecitazioni idrauliche, dall’altra riduce la sezione di deflusso con possibile interferenza
negativa, specie nelle sezioni medio-piccole, per l’aumento del coefficiente di scabrezza.
Ne deriva che, in molti casi, per intervenire efficacemente con le tecniche di siste-
mazione naturalistica è necessario adottare una strategia di ampliamento delle sezioni e
di riappropriazione degli spazi golenali, sottratti dall’agricoltura intensiva e dalla rea-
lizzazione di infrastrutture.
Il problema principale nella valutazione della scabrezza dell’alveo in presenza di
vegetazione è quello di dover considerare una sezione di deflusso a geometria compo-
sita e costituita da materiali a scabrezza diversa.
Nella tabella 5.1.3 si riportano alcuni valori del coefficiente di scabrezza ricavati
da vari manuali di idraulica.

Tabella 5.1.3: Coefficiente di scabrezza ks per la formula di Gauckler-Strickler


o Manning (Manuale delle sistemazioni idrauliche della Regione Lazio)
(ks = 1/n) per i corsi d’acqua naturali
Coefficiente di Strickler ks
Tipo di alveo [m1/3 s –1]
Corsi d’acqua naturali (tirante idrico < 3.5m)
Corsi d’acqua con ciottoli e ghiaia. 35
Corsi d’acqua di pianura puliti, rettilinei, in piena senza scavi localizzati. 33 (40÷30)
Corsi d’acqua con alveo mobile o in roccia con sporgenze. 30

147
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Coefficiente di Strickler ks
Tipo di alveo [m1/3 s –1]
Corsi d’acqua naturali (tirante idrico < 3.5m)

Corsi d’acqua di pianura puliti, rettilinei, con sassi e sterpaglia. 29 (33÷25)


Corsi d’acqua montani, senza vegetazione in alveo, sponde ripide, alberi
e cespugli lungo le sponde sommergibili durante le piene con fondo in
ghiaia, ciottoli e massi sparsi. 25 (33÷20)
Corsi d’acqua di pianura puliti, ondulati con buche e banchi 25 (30÷22)
Corsi d’acqua di pianura puliti, ondulati con buche, banchi, cespugli e pietre. 21 (29÷17)
Corsi d’acqua montani, senza vegetazione in alveo, sponde ripide, alberi e
cespugli lungo le sponde sommergibili durante le piene con fondo in ciot-
toli e massi grossi. 20 (25÷14)
Torrenti di montagna con letto irregolare e con grossi massi. 17÷12
Corsi d’acqua di pianura in tratti lenti, con sterpaglia e buche profonde. 14 (20÷12)
Corsi d’acqua di pianura in tratti molto erbosi, con grossi arbusti, cespugli
e buche profonde. 10 (13÷7)

I metodi proposti in letteratura per il calcolo della scabrezza equivalente della


sezione si riconducono essenzialmente alla suddivisione della sezione trasversale in
subsezioni e ad un’operazione di media pesata delle scabrezze caratteristiche di ciascu-
na subsezione. (Chow, 1959, Armanini, 1999).
Tra i metodi più diffusi il metodo di Lotter (Chow, 1959) che suddivide la sezione
trasversale in N subsezioni, con i relativi coefficienti di scabrezza n, secondo linee idea-
li di separazione verticali prive di attrito.
Il coefficiente di Manning dell’intera sezione nc può essere valutato secondo la for-
mula di Lotter:

PR 5 3
nc = N
Pi Ri5 3

i =1 ni

con P = perimetro bagnato dell’intera sezione [m]


R= raggio idraulico

e la portata totale è pari alla somma delle portate delle subsezioni.


Il metodo di Lotter trascura l’effetto di resistenza al moto offerto dalle zone latera-
li vegetate sulla zona centrale, per cui Armanini et al. hanno proposto una quantifica-
zione di tale effetto come una frazione non trascurabile (circa 1/3) del coefficiente di
scabrezza caratteristico della vegetazione (Armanini, 1999).
5.1.5 Parametri idrologici da considerare nel calcolo delle opere di I.N.
Ai fini della progettazione delle opere idrauliche di ingegneria naturalistica risulta
essenziale la stima di alcuni parametri idrologico-idraulici ed, in particolare:
• una portata di piena detta “medio annuale ”, da cui si ricava un corrispon-
dente livello di piena “medio annuale” al di sopra del quale è possibile l’uti-
lizzo di tecniche di ingegneria naturalistica con le piante vive che, anche in

148
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

assenza di forti energie idrauliche, morirebbero per asfissia a causa della som-
mersione prolungata. Tale livello, oltre che da analisi di tipo idraulico che con-
siderino incompatibile con la sopravvivenza delle piante periodi di sommer-
sione superiori a 7÷10 giorni consecutivi, può essere ricavato da analisi di
campagna sul pattern spaziale della vegetazione igrofila arbustiva presente in
alveo. Si tratta, in tal caso, di considerare nelle sezioni significative dei vari
tratti di progetto (articolando le analisi nella parte alta, media ed inferiore del
bacino), le specie arbustive igrofile come indicatore ecologico del livello di
piena medio annuale. Tali specie, infatti, occupano uno spazio ecologico nella
sezione dell’alveo subito al disopra di tale livello in quanto non tollerano
periodi di sommersione superiori a circa 7÷10 giorni, ma resistono alle som-
mersioni delle piene straordinarie che sono di breve durata. La loro presenza,
quindi, in un punto della sezione idraulica indica che lì hanno avuto il tempo
di crescere senza troppo disturbo da parte delle piene e che sopra quel livello
si può intervenire con le opere vive.
• le portate di piena di riferimento per le opere di sistemazio ne idrauli-
ca da cui derivano le forze di trascinamento agenti sulle strutture. I
valori individuati nei vari Piani delle Autorità di Bacino fanno riferimento
a tempi di ritorno di circa 100-200 anni nelle aree a rischio ex DL 180/98;
tali tempi sono tuttavia riducibili a 15-25 anni nei corsi minori e nelle aree
di bonifica.
Il livello idrico trentennale (Q30) viene riportato nel D.P.R. 14 aprile 1993 con rife-
rimento agli interventi di manutenzione idraulica negli alvei. Secondo tale decreto
sarebbero da rimuovere dalle sponde e dagli alvei attivi le alberature di ostacolo al rego-
lare deflusso presenti al di sopra del livello di piena trentennale, “tenuto conto della
loro influenza sul regolare deflusso delle acque, nonché di quelle pregiudizievoli per la
difesa e conservazione delle sponde salvaguardando, ove possibile, la conservazione
dei consorzi vegetali che colonizzano in modo permanente gli habitat riparii e le zone
di deposito alluvionale adiacenti, prevedendo al tempo stesso la rinaturazione delle
sponde, intesa come protezione al piede delle sponde dissestate od in frana con strut-
ture flessibili spontaneamente rinaturtabili; il restauro dell’ecosistema ripariale, com-
presa l’eventuale piantagione di essenze autoctone”;
In funzione della portata di piena, della geometria dell’alveo e del tracciato lon-
gitudinale del corso d’acqua, si possono ricavare le tensioni tangenziali massime agen-
ti sulle opere secondo il metodo delle tensioni di trascinamento partendo dalla formu-
la tw = g Ri ove:
g = peso specifico dell’acqua
R = raggio idraulico
i = pendenza dell’alveo
o, per sezioni con un rapporto tra larghezza e la profondità superiore a 30:
tw = g h i
con h altezza del pelo libero, tenendo ovviamente conto dei coefficienti correttivi per
l’aumento delle tensioni tangenziali nei tratti di asta in curva.

149
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Tali valori vanno confrontati nei vari tratti dell’alveo con le massime tensioni tan-
genziali resistenti ammissibili per le strutture di progetto, verificando sempre che sia
tr>tw
Si riporta in proposito lo schema grafico:

Figura 5.1.4: Diagramma mostrante la forza di trazione esercitata dall’acqua sulle


diverse sponde del corso d’acqua (Johannsen modificato, Manuale di Ingegneria
Naturalistica Prov. Terni)

150
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Nella progettazione con le opere vive vanno tenute in conto due fattori:
• la resistenza dell’opera di ingegneria naturalistica a fine lavori con le
piante non sviluppate e, quindi, non in grado di fornire il contributo
della parte viva alla resistenza della struttura; tale situazione nella verifica
della q transitabile nella sezione è quella più favorevole ai fini della
scabrezza.
• la resistenza dell’opera di ingegneria naturalistica dopo circa 2 anni
con le piante sviluppate nelle radici e nella parte aerea, in grado di
fornire il contributo della parte viva alla resistenza della struttura; tale
situazione, nella verifica della portata transitabile nella sezione, è quel-
la più sfavorevole per l’aumento della scabrezza indotto dalla presenza
delle piante.
Per quanto riguarda i valori della massima resistenza al trascinamento delle opere
di ingegneria naturalistica, si riportano i valori di tabella 5.1.4 ricavati da dati bibliogra-
fici e sperimentazioni.

Tabella 5.1.4: Resistenza all’erosione delle principali opere idrauliche


di ingegneria naturalistica

τ max sopportabili dalla


τ max sopportabili
struttura con le piante
dalla struttura appena realizzata
Tipologia intervento vive sviluppate dopo il
senza lo sviluppo delle piante vive
terzo periodo vegetativo
N/m2
N/m2
Cotico erboso 25 P 40 G
20 P
30 M
Talee 150 I 60 M P
10 M P
100 G
Copertura diffusa 50 M 150 P 300 M F P
Viminate 10 M P 20 P 50 M
Pali con fascine 250 F
Gradonata viva 20 P 120 F P
Fascinate vive 70 G 80 I 100 G
20 P
(morta) 60 P
Palificata doppia 500 P 600 P
Gabbionate vive 340 M 400 M
Materassi rinverditi 200-320 M 400 M
Scogliera rinverdita
100 P 300 M P
con talee di salice

151
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Sigle:

(F) Florineth Acer 4, 1999


(M) Maccaferri - Programma Macra 1996
(P) Palmeri, Calò – 1996
(G) Gertsgraser - Convegno EFIB Trieste 1999
(I) Cornelini , Crivelli, Palmeri, Sauli - Acer 2, 2001

Foto 5.1.5: Rinaturazione di briglia in cemento con rampa a blocchi sul F. Tanagro
(ottobre 2003) - Foto P. Cornelini

152
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Interventi di sistemazione idraulica e rinaturazione sul F. Tanagro (Consorzio di Bonifica Vallo


di Diano)
Specificità dell’intervento
Trattasi di uno dei principali esempi di uso esteso di tecniche di ingegneria naturalistica nell’attività di
un Consorzio di Bonifica
Provincia / Comune/ Località
SA / Polla, Sala Consilina, Padula, Buonabitacolo / Fiume Tanagro
Altitudine slm / Inclinazione longitudinale alveo / Q
450 m / 0,6-1 per mille / Q media 10 mc/sec, Q max 440 mc/sec.
Lineamenti vegetazionali
Aree agricole bonificate a foraggere , seminativi e orti
Lineamenti geomorfologici
Pianura alluvionale del F. Tanagro
Obiettivo dell’intervento
Rinaturazione fluviale, consolidamento spondale , manutenzione idraulica
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Rinaturazione con demolizione della savanella in cemento (L 300 m) e sua sostituzione con savanella in
pietrame a secco D 40 cm (loc. Mesola, Sala Consilina).
Realizzazione di sbarramento con briglia in gabbioni h 2 m L 40 m con 2 rampe in pietrame per i
pesci (pendenza 8-10%) delimitate lato alveo da gabbioni; lo sbarramento e la eliminazione fino a
quota acqua dell’argine centrale di separazione tra il Tanagro e lo scolmatore di piena parallelo hanno
portato alla formazione a monte di aree umide per una lunghezza di 600 m; le isole e le penisole
dovute ai processi di sedimentazione naturali sono state colonizzate dalla vegetazione spontanea
igrofila fino allo stadio del saliceto arboreo con altezze di oltre 10 m (loc. Mesola, Sala Consilina).
Tre rampe di risalita per pesci L 20 m costruite, davanti a briglie in cemento h 1,8 m, con massi sciol-
ti calcarei 0,3-0,4 mc; al piede è stata realizzata una fondazione incassata sul fondo alveo, profonda
1,5 m e larga 1.5 m, riempita con massi di 1 mc (loc. Caiazzano, Padula). Palificate Vallo di Diano h
3 m L 1000 m
Scogliera rinverdita h 3 m L 160 m con massi D 1 m (loc. ponte sez.41, Sassano).
Grata viva spondale h 4 m L 40 m fondata su palificata viva h 1,4 m (loc. Fossato Maltempo, Polla).
Manutenzione idraulica secondo DPR 14 aprile 1993 a rive alterne (L 16.000 m).
Materiali morti impiegati
Massi calcarei, rete metallica per gabbioni, tronchi di castagno scortecciati D 15-25 cm
Specie vegetali impiegate
Talee e ramaglia di Salix alba, Salix. alba varietas vitellina, Salix purpurea
Periodo dei lavori
A partire dal 1994. Le palificate Vallo di Diano vengono realizzate dagli anni ’30 del secolo scorso.
Osservazioni
Gli interventi di rinaturazione in loc. Mesola hanno raggiunto perfettamente l’obiettivo: la savanella in
pietrame si è rinaturata spontaneamente con la colonizzazione di salici e fragmiteti sulle sponde che
hanno realizzato, con uno sviluppo spaziale differenziato nella sezione trasversale dell’alveo, una mor-
fologia longitudinale dell’alveo non rettilinea.
A monte dello sbarramento si è creata una zona umida di acque calme con sviluppo di elofite e popola-
menti arborei igrofili a salici e pioppi di notevole valore naturalistico e paesaggistico.
Le palificate Vallo di Diano impiegate da circa 70 anni dal Consorzio di Bonifica hanno raggiunto
l’obiettivo del consolidamento spondale e ormai non si riconoscono più per lo sviluppo della parte viva
e per la decomposizione del legno. Sono riconoscibili nella struttura solo quelle realizzate negli ultimi
anni.
Nella grata viva in loc. Fossato Maltempo (realizzata nel maggio 2000) la copertura dei salici è totale e
i getti con D 1-8 cm raggiungono i 5 m di lunghezza.

153
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 1: Rinaturalizzazone del tratto in cemento demolito sul F. Tanagro (ottobre 2003) - Foto P. Cornelini

Foto 2: Realizzazione area umida a monte dello sbarramento del F. Tanagro (ottobre 2003) - Foto P.
Cornelini

154
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 3: Palificate Vallo di Diano sul F. Tanagro a due anni dalla realizzazione (ottobre 2003) - Foto P.
Cornelini

Figura 4: Palificata Vallo di Diano (per gentile concessione dell’ing. M. Alliegro)

155
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Piana della Lacina (CZ, VV)


Specificità dell’intervento
Lo sbarramento del F. Alaco a Mamone (CZ), opera prevista dalla Cassa per il Mezzogiorno, ha lo scopo
fornire acqua potabile a 88 comuni delle Provincie di Catanzaro, Reggio Calabria e Vibo Valentia, per
complessivi 142 centri abitati.
Durante i lavori di costruzione della diga (1997 ) fu attivata la procedura V.I.A., in quanto la piana risul-
tò inclusa nell’elenco dei siti di importanza comunitaria (S.I.C.), rendendo necessaria la completa revi-
sione del progetto e il rinnovo di tutto il suo iter approvativo.
Gli studi pluridisciplinari (flora e vegetazione, flora briofitica, entomofauna ed erpetofauna, pedolo-
gia, ecologia degli habitat e microhabitat e deflusso minimo vitale), effettuati nel 1998 e nel 2001 con
il contributo fondamentale di studiosi dell’Università di Cosenza, hanno dimostrato la possibilità, a
seguito della realizzazione dell’invaso della diga, della conservazione di lembi significativi di tutte le
unità ecosistemiche di pregio presenti nella piana, tra cui relitti glaciali di torbiere di tipo alpino. Sono
in corso all’Università di Siena studi paleo-palinologici sulle carote estratte nella piana. Gli interven-
ti di ingegneria naturalistica realizzati nel 2001 e 2002, che si propongono come procedure-tipo di
nuova concezione per la minimizzazione degli impatti ambientali connessi alla realizzazione di dighe
in montagna, hanno consentito l’adempimento alle prescrizioni del Ministero dell’Ambiente e della
Tutela del Territorio
Provincia / Località
VV, CZ / Piana della Lacina
Altitudine slm
990 m circa
Lineamenti vegetazionali
Aree umide di pregio rarissime con cariceti a Carex rostrata, Carex stellulata, Carex vesicaria, Carex
fusca, formazioni a Menyanthes trifoliata uniche in Calabria, torbiere a Sphagnum subnitens e Sphagnum
fallax, popolamenti arborei ad Alnus glutinosa
Caratteristiche della diga
Diga in calcestruzzo alta 50 m e lunga 180 m; capacità utile di invaso di 30 milioni mc.
Obiettivo dell’intervento
Salvaguardia e conservazione delle unità ecosistemiche di elevatissimo valore naturalistico che sarebbe-
ro state sommerse dall’invaso della diga.
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Formazione di 4 argini in terra a protezione degli habitat di pregio presenti ai margini dell’invaso (A1: L
30m, h 3,5 m; A: L 125 m, h 7,5 m; B: L 140 m, h 4 m; C: L 130 m, h 5 m)
Trapianto di zolle di formazioni erbacee (370 mq di ecocelle) e di zolle di 200 arbusti autoctoni (Genista
anglica e Cytisus scoparius ) sulle scarpate esterne degli argini
Idrosemina sugli argini (5000 mq)
Trapianti, al di sopra del limite dell’invaso, di significativi lembi delle unità ecosistemiche di pregio che
sarebbero state sommerse: torbiera a sfagni (65 mq), cariceti (25 mq), rizomi di Menyanthes trifoliata
(16 mq) e 28 ceppaie di Alnus glutinosa, realizzando nel complesso una fascia di 90 m di lunghezza e 6
di larghezza
Realizzazione di 5 pozze per anfibi di 100 mq circa l’una per l’aumento della biodiversità
faunistica
Mezzi meccanici impiegati per i trapianti
Scavatore cingolato Caterpillar 225 da 400 q.li, trattore gommato Fiat 480 50 CV,
trattore Same Explorer 90 turbo 90 CV, rimorchi da 30 e 70 q.li di carico
Periodo dei lavori
Novembre 2001- febbraio 2002 per i trapianti; ottobre 2002 per gli argini

156
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Osservazioni
I trapianti dei lembi di torbiera a sfagni, dei cariceti, dei rizomi di Menyanthes trifoliata e degli 28 onta-
ni sono riusciti. Analogamente il trapianto di 370 mq di ecocelle erbose e di circa 200 arbusti di Genista
anglica e Cytisus scoparius sugli argini. L’idrosemina dovrà essere ripetuta per le sfavorevoli condizio-
ni dell’estate 2003.

Foto 1: Realizzazione di laghetto per la biodiversità faunistica (novembre 2002) - Foto P. Cornelini

Foto 2: Argine in terra per la protezione di habitat di pregio destinati alla sommersione (novembre 2002)
- Foto Notaro

157
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 3: Rinaturalizzazione del paramento di un argine con trapianti di zolle ed ecocelle (giugno 2002) -
Foto P. Cornelini

Foto 4: Trapianto di ecocelle di cariceti rari (novembre 2001) - Foto P. Cornelini

158
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 5: Attecchimento delle ecocelle di Menyanthes trifoliata trapiantate (giugno 2002) - Foto P.
Cornelini

159
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Vieste (FG)
Specificità dell’intervento
Interventi di rinaturalizzazione di un corso d’acqua mediterraneo nel Parco Nazionale del Gargano con
tecniche di I.N.
Provincia/ Comune/ Località
Foggia / Vieste / Molinella , torrente Macinino, canale della palude Mezzane
Altitudine slm / Esposizione / Inclinazione spondale
2 m / Sud-Ovest / 66 %
Lineamenti vegetazionali
Phragmitetum australis , Oleo-lentiscetum
Lineamenti geomorfologici
Area di fondovalle alluvionale in prossimità del mare
Obiettivo dell’intervento
Consolidamento spondale a protezione della soprastante strada vicinale, riqualificazione ambientale,
anche con la diversificazione morfologica, per favorire l’aumento della biodiversità vegetazionale e fau-
nistica
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Palificata doppia spondale h 1,80 m, L 320 m e scogliera in massi rinverdita h 2,10 m L 20 m
Materiali morti impiegati
Pali di castagno D 15-20 cm e massi ciclopici
Specie vegetali impiegate
Talee e fascine di Tamarix gallica e T. africana; piante radicate di Phillyrea latifolia, Myrtus communis,
Pistacia lentiscus, Teucrium fruticans, Viburnum tinus, Atriplex halimus, Spartium junceum, Laurus
nobilis.
Periodo dei lavori
Marzo-aprile 2003
Osservazioni
Ottimo l’attecchimento sia delle talee che degli astoni di Tamarix , frequentemente innaffiate nei mesi
estivi; soddisfacente anche l’attecchimento delle piantine radicate

160
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 1: Tratto con palificata viva a fine lavori (marzo 2004) - Foto C. Bonelli

Foto 2: Messa a dimora di talee di tamerici nella palificata viva (marzo 2004) - Foto C. Bonelli

161
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Mattinata (FG)
Tratto sperimentale di sistemazione con tecniche di I.N. nella valle del torrente Carbonara
Specificità dell’intervento
Cantiere didattico finalizzato alla sperimentazione ed alla formazione di maestranze
Provincia/ Comune/ Località
Foggia /Mattinata/ Valle Carbonara
Altitudine slm /Esposizione/Inclinazione
5 m / 50 m di tipologie realizzate con esposizione nord e 50 m delle stesse con esposizione sud / incli-
nazione del versante 40%
Lineamenti vegetazionali
Orno-Quercetum ilicis e, al contorno, Oleo-lentiscetum e Pistacio-Pinetum halepensis
Lineamenti geomorfologici
Fiumara in vallone calcareo
Obiettivo dell’intervento
Verifica sperimentale di tipologie di I.N. e formazione professionale
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Palificata viva a doppia parete h 1,80 m L 20 m; gabbioni rinverditi h 2 m L 20 m
Materiali morti impiegati
Pali di castagno D 20-25 cm, gabbioni in rete zincata a doppia torsione
Specie vegetali impiegate
Piante radicate di Pistacia lentiscus, Erica multiflora, Arbutus unedo, Phillyirea latifolia, Myrtus com-
munis, Laurus nobilis, Crataegus monogyna, Tamarix gallica, Juniperus oxycedrus; selvaggioni di
Coronilla emerus, Spartium junceum, Osyris alba
Periodo dei lavori
Marzo 2001
Osservazioni
Ottimo l’attecchimento di tutte le specie tranne Osiris alba

162
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 1: Gabbionata e palificata viva (marzo 2004) - Foto C. Bonelli

Foto 2: Palificata viva a due anni dalla fine dei lavori (marzo 2004) - Foto C. Bonelli

163
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Torrente Farinella (PA)


Specificità dell’intervento
Risulta tra i primi interventi in Italia con stuoie sintetiche su sezioni canalizzate.
Provincia/ Comune/ Località
Palermo / Lascari/ T. Farinella;
Altitudine slm /Esposizione
20 m /Direzione del canale S-N
Lineamenti geomorfologici
Tronco vallivo con canale di deflusso interessato da fenomeni erosivi; presenza di materiali di risulta
Obiettivo dell’intervento
Sistemazione antierosiva delle sponde con stuoie sintetiche tridimensionali
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Sistemazione idraulica per protezione delle sponde e del fondo dall’erosione tramite rivestimento con
geostuoia tridimensionale sintetica bitumata sul fondo L 1400 m di canale

Materiali morti impiegati


Geostuoia sintetica tridimensionale in nylon; geostuoia sintetica tridimensionale prebitumata a caldo;
staffe metalliche di fissaggio.
Specie vegetali impiegate
Semina a spaglio
Periodo dei lavori
1988
Osservazioni
Buona la tenuta funzionale della parte strutturale

164
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 1: T. Farinella, intervento appena eseguito (1988) - Foto SEIC

Foto 2: T. Farinella, novembre 2003 - Foto G. Sauli

165
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 3: T. Farinella, intervento appena eseguito (1988) - Foto SEIC

Foto 4: T. Farinella, novembre 2003 - Foto G. Sauli

166
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Torrente Roccella (PA)


Specificità dell’intervento
Argini in doppia terra rinforzata sul T. Roccella a tutela delle colture in golena esterna
Provincia/ Comune/ Località
Palermo/ Campo Felice Roccella/ T. Roccella
Altitudine slm /Esposizione
30 m / NNW – SSE direzione corso T. Roccella
Lineamenti vegetazionali
Formazioni a Tamarix sp., Nerium oleander, Euphorbia dendroides, Spartium junceum, Pistacia lenti-
scus, Arundo donax.
Lineamenti geomorfologici
Fiumara su ghiaie grossolane con fenomeni erosivi e di esondazione nei coltivi adiacenti
Obiettivo dell’intervento
Sistemazioni arginali a protezione delle golene coltivate e riqualificazione ambientale delle aree degra-
date
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Riprofilatura sponde e sistemazione pendenza fondo alveo, realizzazione argine rinforzato in doppia terra
rinforzata in geosintetici; sponde rivestite con stuoia sintetica tridimensionale
Materiali morti impiegati
Rete sintetica in poliestere, stuoia sintetica tridimensionale; gabbionate
Specie vegetali impiegate
Nessuna
Periodo dei lavori
1991
Osservazioni
La sezione del torrente è completamente invasa dalle piante (erbacee e arbustive) e l’alveo è sopralluvio-
nato per deposito di trasporto solido accumulatosi nei 13 anni dopo i lavori. Gli argini in doppia terra rin-
forzata e le sponde rivestite hanno dato ottimo esito antierosivo e di consolidamento. Non risultano esser-
si ripetuti allagamenti alle colture nelle ex golene laterali. La briglia risulta sottoescavata a causa della
mancanza della platea; le restanti opere risultano in buono stato.

167
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 1: Argini in doppia terra rinforzata. T. Roccella (PA) 1991 - Foto SEIC

Foto 2: Argini in doppia terra rinforzata T. Roccella (PA) a pochi mesi dall’intervento - Foto G. Sauli

Foto 3: Argini in doppia terra rinforzata T. Roccella (PA) 1991 - Foto G. Sauli

168
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 4: Area foto 3 nel 2003 - Foto G. Sauli

Foto 5: Vegetazione dei versanti a Lentisco, Artemisia arborescens, Oryzopsis miliacea T. Roccella (PA)
2003 - Foto G. Sauli

169
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Laguna di Nora (CA)


Specificità dell’intervento
Interventi campione di consolidamento spondale di canale lagunare in zona salmastra con impiego di tec-
niche di ingegneria naturalistica ed uso di specie salsoresistenti.
Provincia/ Comune/ Località
Cagliari / Pula / Laguna di Nora
Altitudine slm
1m
Lineamenti vegetazionali
Stagni salmastri costieri a Halimione portulacoides, Arthrocnemum fruticosum, Inula chrytmoides,
Artemisia arborescens
Lineamenti geomorfologici
Forme pianeggianti e depresse di sedimenti litoranei (laguna)
Obiettivo dell’intervento
Cantiere sperimentale di consolidamento spondale dei canali lagunari con utilizzo di materiale di dragag-
gio e messa a dimora di alofite e talee di tamerice.
Tipologie e dimensioni dell’intervento
1. Rullo spondale in geogriglia poliestere e fascine; 2. Materasso verde; 3. Terra rinforzata con rete
metallica plastificata; 4. Argine spondale semplice (nessun intervento); 5. Rullo spondale in rete metal-
lica e georete tridimensionale sintetica; 6. Palificata spondale semplice; 7. Piantagione di arbusti radica-
ti S 1500 mq circa
Materiali morti impiegati
Tronchi castagno scortecciati cm D 20-25 cm; picchetti acciaio a.m.; materassi in rete zincata a doppia
torsione; terra rinforzata; rete sintetica per i rulli con rivestimento interno in reticella plastica
Specie vegetali impiegate
Talee: Tamarix sp; Piante radicate: Tamarix sp., Artemisia arborescens, Pistacia lentiscus,Halimione
portulacoides, Inula chritmoides, Lygeum spartum, Atriplex halimus, Phragmites australis, Phillyrea
angustifolia, Quercus coccifera, Plantago crassifolia.
Periodo dei lavori
Febbraio 1996
Osservazioni
I rulli con i pani di Phragmites australis ed i materassi presentano coperture intorno al 90%. La coper-
tura vegetale nella terra rinforzata si presenta assai scarsa (20%) sul paramento verticale, mentre raggiun-
ge l’80% nella parte orizzontale superiore. Anche sul fronte della palificata la presenza vegetale è estre-
mamente ridotta, mentre sul resto della struttura raggiunge il 40%. Tra le specie piantate hanno dato i
migliori risultati: Atriplex halimus (h 1,3 m), Tamarix sp.(1-2 m), Artemisia arborescens, Pistacia len-
tiscus (0,3 m), Halimione portulacoides, Inula chritmoides, Lygeum spartum. Tra le specie spontanee a
maggior copertura: Arthrocnemum fruticosum, Suaeda fruticosa, Limonium sp.

170
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 1: Terra rinforzata verde, materassi verdi spondali. Laguna di Nora (CA) 1996 - Foto G. Sauli

Foto 2: Terra rinforzata verde, materassi verdi spondali. Laguna di Nora (CA) 1996 - Foto G. Sauli

Foto 3: Terra rinforzata verde, materassi verdi spondali. Laguna di Nora (CA) 2003 - Foto G. Sauli

171
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 4: Laguna di Nora (CA), palificata spondale con palo infisso e fascine di tamerici, 1996 - Foto
G. Sauli

Foto 5: Laguna di Nora (CA), rullo spondale, fase di costruzione, 1996 - Foto G. Sauli

172
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 6: Laguna di Nora (CA), rullo spondale, fase di costruzione, 1996 - Foto G. Sauli

Foto 7: Laguna di Nora (CA), palificata spondale con palo infisso e fascine di tamerici, in primo piano
effetti del rullo spondale settembre 2003 - Foto G. Sauli

173
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Rio inferno (FR)


Specificità dell’intervento
La sistemazione idraulica del Rio Inferno rappresenta uno dei primi casi del Lazio dove l’ingegnere
idraulico è stato affiancato dall’esperto di ingegneria naturalistica nella sistemazione dei tratti mediano
e inferiore di un corso d’acqua mediterraneo
Gli interventi di rinaturazione e di ingegneria naturalistica sono stati definiti nei vari tratti a seguito
delle indagini vegetazionali, della valutazione dello stato della qualità ambientale dell’alveo e del-
l’analisi delle caratteristiche idrauliche con l’obiettivo, oltre che di sistemazione idraulica, dell’au-
mento della biodiversità del territorio attraversato dall’alveo e del miglioramento della rete ecologica
esistente.
Provincia/ Comune/ Località
FR / Cassino / Rio Inferno
Altitudine slm / Inclinazione longitudinale alveo/ Q progetto
50 m / 1,5-1,8% / 70 mc/sec
Lineamenti vegetazionali
Coltivi prevalenti con lembi residui di macchia mediterranea, di lecceta e di querceti a prevalenza di
caducifoglie.
Obiettivo dell’intervento
Consolidamento delle sponde a protezione della viabilità
Risagomatura e ampliamento della sezione per il ripristino della funzionalità idraulica dell’alveo
Rinaturalizzazione del corso d’acqua, aumento della biodiversità e miglioramento delle reti ecologiche
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Nel tratto superiore:
allargamento e meandrizzazione dell’alveo esistente e rivestimento con pietrame del fondo (L100 m)
soglie in massi (L 50 m)
massi rinverditi con talee ( 250 mc)
palificata viva a parete doppia h 1 m (L 70 m)
Nel tratto inferiore:
massi rinverditi con talee (600 mc)
palificata viva a parete doppia h 2 m (L 46 m)
fascinate vive spondali (L 800 m)
piantagione di filari arborei igrofili (L 500 m)
manutenzione dell’alveo con l’eliminazione della vegetazione sinantropica e risagomatura realizzata
secondo il DPR 14 aprile 1993 (L 1000 m)
Materiali morti impiegati
Tronchi di pino calabrese D 35-40 cm; picchetti acciaio a.m. D 14 mm; massi D 0,6-0,8 m.
Specie vegetali impiegate
Talee di Salix alba, Salix eleagnos, Salix purpurea
Periodo dei lavori
Gennaio- Aprile 2000
Osservazioni
Gli interventi di manutenzione idraulica con taglio della vegetazione in alveo sono stati effettuati duran-
te il periodo invernale 1999-2000, secondo le indicazioni del DPR 14 aprile 1993; già a primavera 2000,
per il rinverdimento erbaceo spontaneo dell’alveo e per il mantenimento delle formazioni legnose al di
sopra il livello della piena trentennale, si era verificato un buon recupero del valore naturalistico e pae-
saggistico dell’alveo stesso.
Tutte le opere di ingegneria naturalistica hanno superato le piene primaverili del 2000, nonostante il limi-
tato sviluppo vegetativo; le talee, le palificate doppie e le scogliere rinverdite hanno resistito alle piene
autunnali di natura eccezionale del 2000, in concomitanza con gli eventi alluvionali di Soverato e del Po.
Solo per le talee delle scogliere del tratto di monte, messe a dimora a fine aprile 2000, le percentuali di
attecchimento sono state molto basse.

174
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Le fascinate vive della savanella centrale, realizzate con finalità naturalistica e non idraulica, sono state
asportate dalle ripetute piene da settembre a dicembre 2000.
Le opere sono attualmente in buona efficienza e perfettamente inserite nell’ambiente; le talee presenta-
no sviluppi fino a 10 m di altezza con diametri di 4-8 cm che realizzano, in alcuni tratti, dei veri e pro-
pri filari igrofili.

Foto 1: Savanella con fascina e palificata spondale sullo sfondo a quattro mesi dalla fine dei lavori (giu-
gno 2000) - Foto P. Cornelini

175
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 2: Realizzazione di tratto di alveo artificiale con palificate spondali, scogliera rinverdita, fascinate
vive e soglie in pietra (maggio 2000) - Foto P. Cornelini

Foto 3: Intervento foto precedente a distanza di un anno (aprile 2001) - Foto P. Cornelini

176
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Rio Fontanelle (FR)


Specificità dell’intervento
L’interesse della sistemazione idraulica consiste nell’aver affrontato la problematica della riqualificazio-
ne ambientale dei canali di pianura in ambito agricolo, in presenza di vincoli di esproprio che impedi-
scono l’ampliamento della sezione e la realizzazione di fasce arboreo-arbustive all’esterno.
Si è quindi dovuti intervenire all’interno dell’alveo esistente secondo il principio che alla massima diver-
sità morfologica corrisponde la massima biodiversità.
Provincia / Comune/ Località
FR / Cassino / Rio Fontanelle
Altitudine slm / Inclinazione longitudinale alveo / V max progetto
30 m/ 1-1,5% / 4 m/sec
Lineamenti vegetazionali
Area agricola periurbana
Obiettivo dell’intervento
Sistemazione idraulica, consolidamento arginale e riqualificazione ambientale dell’alveo nel tratto termi-
nale fino alla confluenza nel F. Gari
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Risagomatura dell’alveo, demolizione di tratti dell’alveo in cemento (L 300 m) e realizzazione di alveo
naturaliforme in pietrame, anche con movimenti di terra mirati alla creazioni di varici per la discontinui-
tà morfologica (L 1000 m)
Realizzazione di quattro laghetti di lunghezza di circa 50 m e larghezza 8-10 m, a margine irregolare e
reniforme, con approfondimento del fondo alveo di circa 70 cm..
Rampe in pietrame per un tratto complessivo di 40 m;
Consolidamento al piede delle sponde con scogliera rinverdita (128 mc)
Messa a dimora di talee sulle scarpate spondali (L 1000 m)
Realizzazione di palificate vive doppie h 2 m per il consolidamento delle sponde di due affluenti latera-
li (L 60 m).
Materiali morti impiegati
Massi calcarei D 40-50 cm, tronchi di castagno scortecciato D 20 cm, picchetti acciaio a.m. D 12 mm.
Specie vegetali impiegate
Talee di Salix alba, Salix alba varietas vitellina.
Arbusti radicati: Spartium junceum, Corylus avellana, Acer campestre
Periodo dei lavori
Gennaio 2001-Giugno 2002
Osservazioni
Nel tratto di intervento si osserva una rinaturazione spontanea in alveo con sviluppo notevole di elofite
(Tipha sp. e Phragmites australis) e di piante erbacee igrofile (Eupatorium cannabinum, Lythrum sali-
caria, etc), con aumento della qualità ambientale del corso d’acqua. Le talee di salice presentano note-
voli attecchimenti con getti L 3-8 m e D 3-10 cm nelle palificate, mentre lungo le sponde l’attecchimen-
to risulta discontinuo con getti L 3-5 m e D 2-4 cm.

177
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 1: Lavori per l’aumento della biodiversità all’interno del l’alveo (ottobre 2001) - Foto P. Cornelini

Foto 2: Intervento foto precedente a settembre 2002 - Foto P. Cornelini

178
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Rio Valleluce (FR)


Specificità dell’intervento
Opere di consolidamento spondali vive alte fino a 4 m nel tratto mediano di un corso d’acqua mediter-
raneo con discreto trasporto solido (D fino a 30 cm) e velocità idraulica di progetto di 4 m/sec
Provincia / Comune/ Località
FR / S. Elia Fiumerapido / Rio Valleluce, strada presso S.Maria Maggiore
Altitudine slm / Inclinazione longitudinale alveo / V max progetto
100 m / 1,5-2% / 4 m/sec
Lineamenti vegetazionali
Area agricola periurbana
Obiettivo dell’intervento
Consolidamento spondale e messa in sicurezza della strada provinciale sovrastante.
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Gabbionate rinverdite h 2 m (L 100 m), h 3m (L 360 m) , h 4 m (L 60 m)
Scogliere rinverdite h 1-4 m (80 mc)
Materiali morti impiegati
Rete metallica e pietrame calcareo per i gabbioni; massi D 0,80 – 1 m
Specie vegetali impiegate
Salix alba, Salix eleagnos , Salix purpurea
Periodo dei lavori
Settembre 1999 – Gennaio 2000
Osservazioni
Intervento ben riuscito con notevole sviluppo della parte vegetativa che presenta getti fino a 10 m e D 14
cm in riva DX sotto la strada, sia nelle gabbionate che nelle scogliere rinverdite. Le piante con maggior
attecchimento e sviluppo sono quelle in basso che hanno avuto più umidità a disposizione. I materiali dei
gabbioni sono in buono stato di conservazione dopo 3 anni, con assenza di ruggine e spanciamenti. Sulle
gabbionate e scogliere si è sviluppata una fascia continua di saliceto ripariale.

179
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 1: Gabbionate rinverdite (marzo 2000) - Foto P. Cornelini

Foto 2: Gabbionate rinverdite (settembre 2000) - Foto P. Cornelini

180
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

F. Fella (UD)
Specificità dell’intervento
Demolizione di un tratto canalizzato e cementato del F. Fella e sua rinaturazione con varie tecniche di
ingegneria naturalistica
Provincia/ Comune/ Località
Udine / Malborghetto, Valbruna e Caporosso / Fiume Fella presso la nuova stazione FS di Valbruna
Altitudine slm /Inclinazione alveo
780 m / 1,2 %
Lineamenti vegetazionali
Vegetazione ripariale a salici e ontani (Alnus incana); pinete a pino silvestre
Lineamenti geomorfologici
Piana alluvionale con depositi sciolti di origine fluviale e fluvioglaciale principalmente calcareo dolomitici.
Obiettivo dell’intervento
Riassetto morfologico dell’alveo del F. Fella e ampliamento della sezione di deflusso previa demolizio-
ne delle sponde in calcestruzzo e smantellamento della vecchia sede ferroviaria; rivegetazione dei piaz-
zali adiacenti alla stazione ferroviaria
Tipologie e dimensioni dell’intervento
palificate vive spondali a parete doppia e massi legati al piede
terre verdi rinforzate
materassi rinverditi
scogliere rinverdite
copertura diffusa
traverse (repellenti) vive di ramaglia a strati
idrosemina, messa a dimora di talee, arbusti e alberi
Lunghezza 800 m circa
Materiali morti impiegati
Reti metalliche, materassi, gabbioni, stuoie sintetiche e organiche, tronchi, tondini, massi, funi
d’acciaio, etc.
Specie vegetali impiegate
Talee S. purpurea, S. eleagnos, S. appendiculata. Arbusti radicati: Crataegus monogyna, Salix caprea,
Pinus mugo, Ligustrum vulgare. Alberi: Pinus nigra austriaca, P. sylvestris, Picea abies, Fagus sylvati-
ca, Fraxinus excelsior, Acer pseudoplatanus, Tilia platyphyllos, Alnus incana.
Periodo dei lavori
Novembre 1999
Osservazioni
A distanza di 3-4 anni dagli interventi e dopo il collaudo della massima piena storica avvenuto nel perio-
do fine agosto-settembre 2003, si è constatata la ottima tenuta delle opere realizzate e l’affermarsi della
meandrizzazione interna all’alveo di magra progettata mediante i repellenti vivi.

181
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 1: F. Fella presso la stazione FS di Valbruna ante operam (1998) - Foto G. Sauli

Foto 2: F. Fella presso la stazione FS di Valbruna, dopo due anni (2000) - Foto G. Sauli

Foto 3: F. Fella presso la stazione FS di Valbruna. Visibili la copertura diffusa (sx) e le palificate sponda-
li fondate su massi (dx) - Foto G. Sauli

182
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 4: F. Fella presso la stazione FS di Valbruna - Confluenza col T. Saisera - Foto G. Sauli

Foto 5: F. Fella presso la stazione FS di Valbruna dopo l’alluvione del 29.08.2003 - Foto G. Sauli

183
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Rio Anonimo Ugovizza (UD)


Specificità dell’intervento
Sostituzione delle normali briglie in cemento con briglie in legname e pietrame, attenuazione del feno-
meno erosivo sulle sponde con rivestimenti vegetativi.
Provincia/ Comune/ Località
Udine / Ugovizza / Rio Anonimo, SS 13 bivio Ugovizza-Valbruna
Altitudine slm /Esposizione /Inclinazione °
800 m circa / S, S-SE, E, W/ 24-35 ° / 33-43 °; pendenza alveo 33 %.
Lineamenti vegetazionali
Pinete a pino nero austriaco
Lineamenti geomorfologici
Depositi detritici di versante su substrato costituito da dolomie e calcari dolomitici. L’asta torrentizia a
forma di “canalone” presenta deflussi a carattere essenzialmente fluvio-franoso in occasione di precipi-
tazioni intense.
Obiettivo dell’intervento
Realizzare una vasca di sedimentazione del debris flow mediante una briglia filtrante in cls alla base
(rivestita con terre verdi rinforzate sul fronte strada) ed una serie di briglie in legname e pietrame; otte-
nere la stabilizzazione delle sponde/versanti in erosione del rio mediante un rivestimento vegetativo in
rete metallica e biostuoia.
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Briglia filtrante in cls rivestita da terre verdi rinforzate;
rivestimenti vegetativi in rete metallica, biostuoie, talee e arbusti;
briglie in legname e pietrame;
idrosemina, messa a dimora di alberi e arbusti;
palificata viva e grata viva (strada di accesso laterale);
Dimensioni: 11.000 mq (100 m x 50 m e 40 m x 150 m).
Materiali morti impiegati
Tronchi di larice, pietrame, reti metalliche biostuoie, staffe metalliche, cls per la briglia di base
Specie vegetali impiegate
Talee di Salix purpurea
Periodo dei lavori
Novembre 1999
Osservazioni
L’opera è stata collaudata dall’alluvione del 29 agosto 2003 con la massima piovosità degli ultimi 100
anni ed un fenomeno di colate ghiaiose eccezionale. Vi è stato qualche fenomeno localizzato di erosio-
ne sotto le reti metalliche ed una piccola sottoescavazione di una briglia in legname.

184
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 1: Rio Anonimo, 1998 - Foto G. Sauli

Foto 2: Rio Anonimo, post operam, 2002 - Foto G. Sauli

Foto 3: Rio Anonimo, post alluvione 29 agosto 2003 - Foto G. Sauli

185
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

5.2 VERSANTI
Vengono qui prese in esame le principali tecniche di ingegneria naturalistica appli-
cabili alla sistemazione dei versanti franosi e in erosione.
Il settore dei versanti e, in genere, degli interventi di sistemazione idrogeologica in
zone montane è quello ove sono nate e si sono sviluppate le tecniche di ingegneria natura-
listica nel centro Europa, in particolare in Austria dove negli anni ’50, a seguito degli even-
ti bellici, erano venuti a mancare materiali quali ferro e cemento e si riscoprirono, quindi,
tecniche e materiali tradizionali quali legname, pietrame, ramaglie vive di salice, etc., facil-
mente reperibili in loco. Da qui lo sviluppo di una serie di tecniche caratterizzate da tecno-
logie semplici, basso costo dei materiali e della mano d’opera (in verbis Schiechtl 1981).
Come già evidenziato nel capitolo della cronistoria, accanto al recupero di tecniche
tradizionali (cordonate vive, palificate vive) vi fu tra gli anni ’50 e ’70 un grosso svi-
luppo di nuove tecniche inizialmente per la buona volontà di singoli professionisti, in
seguito per la disponibilità di nuovi materiali e tecnologie (polimeri collanti per idrose-
mine, geosintetici, etc.) che hanno consentito una vasta applicazione dell’I.N. in tutti i
settori del territorio. Non secondaria in questo processo di diffusione delle tecniche
naturalistiche è stata la crescente sensibilità ambientale a tutti i livelli tecnico-ammini-
strativi, sociali e politici.
5.2.1 Possibilità d’impiego delle tecniche di ingegneria naturalistica nelle principali
tipologie di dissesto
Per quanto riguarda le tipologie di dissesto si rimanda alla copiosa letteratura esi-
stente ed, in particolare, al volume di “Interventi di sistemazione del territorio con tec-
niche di Ingegneria Naturalistica” della Regione Piemonte (2003), che presenta una
valida sintesi della problematica e casistica. Si riporta in particolare la tabella 5.2.1 che
correla i principali tipi di frane e dissesti alle varie possibilità di intervento con tecni-
che tradizionali e di I.N.

Tabella 5.2.1: Correlazione fra dissesti e possibilità di interventi


(estratto da: “Interventi di sistemazione del territorio con te cniche
di Ingegneria Naturalistica” Regione Piemonte - 2003) modificat o

Interventi
Meccanismo di sistemazione Sistemazioni
di dissesto con tecniche con tecniche di I. N. Altri interventi
tradizionali

Crolli Chiodature, tiranti, posa di Reti metalliche Disgaggi,


barriere paramassi, gallerie con geosintetici antierosivi riprofilatura pendii
artificiali paramassi e rivegetazione,
rilevati paramassi
in terra rinforzata

Toppiling Chiodature, tiranti, muri di Sistemazione Riprofilature in roccia


(ribaltamenti) sostegno e rivegetazione
del solo accumulo di frana

186
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Interventi
Meccanismo di sistemazione Sistemazioni
di dissesto con tecniche con tecniche di I. N. Altri interventi
tradizionali

Scivolamenti Sistemi drenanti Trincee drenanti profonde,


planari con tecniche naturalistiche monitoraggio
inclinometrico
e piezometrico

Scivolamenti Muri di contenimento Palificate vive Rimodellamento versanti


rotazionali anche intirantati, di sostegno, con riduzione della pen-
consolidamenti scogliere di contenimento denza
mediante micropali rivegetate,
posa di antierosivi,
ricostruzione pendii
in terra rinforzata,
rivegetazione
della superficie risitemata

Colate Muri Palificate semplici,


di contenimento viminate, graticciate,
cespugliamenti
consolidanti, inerbimento
della superficie
risistemata

Soil slips Geosintetici e fibre naturali


con funzione antierosiva,
palificate semplici,
graticciate, viminate,
cespugliamenti
consolidanti, inerbimento
della superficie risistemata

Movimenti Briglie in c.a., Briglie in legname Casse di laminazione


di massa briglie filtranti e pietrame e aree di invaso
rinaturalizzate,
barriere anti-debris
in funi metalliche

Erosioni Muri Grate vive, Pannelli in rete armata


in scarpate di contenimento sistemi di palificate vive a contatto + antierosivi
di sostegno a doppia e rivegetazione
e singola parete

Erosioni Muri spondali, Difese in massi rivegetate, Ricalibrature degli alvei,


di sponda difese in massi cementati, scogliere in massi vincolati, allargamento della sezione
gabbionate coperture diffuse, di deflusso e opere
rivegetazioni spondali, di protezione spondale,
palificate vive rinaturalizzazione
di sostegno spondali e inserimento
paesaggistico

187
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

5.2.2 Tecniche di ingegneria naturalistica applicabili ai versanti nelle regioni meri-


dionali
Negli schemi delle Figg. 5.2 A, B e C sono rappresentate le tecniche di
Ingegneria Naturalistica più diffuse nel centro Europa, applicate da molti anni in
alcune regioni dell’Italia centro-nord ed applicabili anche nelle zone montane delle
regioni meridionali.

Figura 5.2A e B: Interventi di I.N. applicabili ai versanti

188
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Figura 5.2C: Interventi di I.N. applicabili ai versanti

189
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Si è adottata la suddivisione classica, già citata, in interventi antierosivi, stabiliz-


zanti e combinati di consolidamento, già in buona parte descritti nelle 25 schede delle
tecniche più comuni (capitolo 7).
Nelle foto da 5.2.1. a 5.2.16 e nelle 12 schede di casistica sono rappresentati gli
interventi tipo più frequentemente usati.
Sono di uso ormai diffuso:
• semine, idrosemine e messa a dimora di piante;
• stuoie organiche e sintetiche talvolta abbinate con reti;
• viminate e gradonate vive;
• palificate e grate vive in tronchi;
• palizzate che trovano vasto impiego nelle aree percorse dagli incendi;
• graticciate, sia quelle tradizionali, che quelle innovative in tubi d’acciaio abbi-
nati a reti metalliche e stuoie sintetiche (foto 5.2.12.) molto valide in impluvi
su rocce friabili;
• le briglie in legname e pietrame;
• le gabbionate e i materassi rinverditi;
• le terre rinforzate verdi.
A proposito delle graticciate morte, va segnalato l’uso tradizionale di tale tecni-
ca in tutta l’Italia meridionale, sia per erosioni di versante che per contenimento di
singole alberature (es.il castagno nella costiera amalfitana). Pur non essendo una
vera e propria tecnica di I.N., l’impiego delle graticciate e viminate morte va rivalu-
tato per il basso costo dei materiali e l’efficacia stabilizzante di pendii franosi, spe-
cie se abbinato con semine e piantagioni di arbusti pionieri autoctoni.

Foto 5.2.1: Idrosemina su versante presso


Timau (UD) - Foto G. Sauli

Foto 5.2.2: Cordonate vive Loc. Pussa (PN)


- Foto G. Sauli

190
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 5.2.3: Sistemi stabilizzanti su scarpa-


ta in detrito di falda Loc. Pussa (PN) - Foto
G. Sauli

Foto 5.2.4: Gradonate vive su versante


Loc. S. Caterina Val Canale (UD) - Foto G.
Sauli

Foto 5.2.5: Grata viva su versante Loc.


Ponte ad Arco - Tarvisio (UD) - Foto G.
Sauli

Foto 5.2.6: Grata viva in costruzione Loc.


Montenars (UD) - Foto G. Sauli

191
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 5.2.7: Grata viva a fine lavori Loc.


Montenars (UD) - Foto G. Sauli

Foto 5.2.8: Grata viva dopo alcuni anni


Loc. Montenars (UD) - Foto G. Sauli

Foto 5.2.9: Colate di ghiaie detritiche a


seguito di evento alluvionale agosto 2003
Val Canale (UD) - Foto G. Sauli

192
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 5.2.10: Insieme di interventi su ver-


sante con tecniche di I.N. Loc. Ponte ad
Arco Tarvisio (UD) - Foto G. Sauli

Foto 5.2.11: Insieme di interventi su ver-


sante con tecniche di I.N. dopo due anni
Loc. Ponte ad Arco Tarvisio (UD) - Foto G.
Sauli

Foto 5.2.12: Graticciate in micropali cor-


ten, reti metalliche e stuoie tridimensionali
per consolidamento impluvi in rocce friabi-
li T. Giarina (ME) - Foto G. Sauli

Foto 5.2.13: Palificate vive di versante


Pontebba (UD) - Foto G. Sauli

193
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 5.2.14: Palificata viva dopo alcuni


anni Montenars (UD) - Foto G. Sauli

Foto 5.2.15: Sistemi di consolidamento e


stabilizzazione di impluvi montani median-
te briglie in legname e pietrame e cordona-
te vive Ligosullo (UD) - Foto G. Sauli

Foto 5.2.16: Gabbionate rinverdite Val


Aupa, Moggio (UD) - Foto G. Sauli

194
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

5.2.3 Criteri di scelta delle tecniche


Si riportano due diagrammi a chiave analitica che forniscono un primo criterio di
selezione della tecnica da impiegare su scarpate in erosione:

195
196
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Da: H. Zeh, stabilizzazione di scarpate con metodi di Ingegneria Naturalistica nella realizzazione di strade nel Cantone
di Berna (Svizzera) – Congresso Internazionale - Lignano Sabbia doro (UD) 21-23 Maggio 1992
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

I quesiti che ci si deve porre riguardano:


• la presenza o meno di acqua nella scarpata che, a seconda della sua profondi-
tà, può essere risolta con drenaggi superficiali con materiali tradizionali abbi-
nati con drenaggi biotecnici, oppure richiedere drenaggi tecnici più profondi;
• un pericolo di erosione, superficiale (risolvibile con semine) o più profondo,
ma sempre nella sfera della radicazione delle piante, oppure al di fuori di tale
sfera e che richiede, quindi, interventi tecnici;
• anche nel caso dell’erosione che interessa la sfera di radicazione delle piante
le possibilità sono due: a) bastano gli interventi con il solo uso delle piante
(semine messa a dimora di talee, arbusti, alberi, gradonate); b) servono tecni-
che combinate di I.N.;
in quest’ultimo caso ci si deve chiedere:
- basta il consolidamento al piede (palificate basse, muretti a secco inerbiti)?;
- servono opere temporanee di sostegno (palificate, grate)?;
- servono opere permanenti (gabbionate, terre rinforzate)?.

197
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Parco Nazionale del Vesuvio (NA)


Specificità dell’intervento
Interventi di messa in sicurezza della viabilità per il controllo del territorio (antincendio, antibracconag-
gio) e per la fruizione turistica in un Parco Nazionale in ambito mediterraneo. Sperimentazione di tecni-
che di stabilizzazione di piroclastiti su lave. Riqualificazione professionale di operai ex disoccupati
(lavoratori socialmente utili, LSU) con formazione in itinere.
Provincia/Comune/Località
Napoli/ Comuni Vesuviani/ Complesso vulcanico Somma-Vesuvio
Altitudine slm/Esposizione/Inclinazione °
In prevalenza 700-800 m con interventi a 400 m e 1000 m / SW prevalente / circa 35°
Lineamenti vegetazionali
Bosco di latifoglie a Castanea sativa, Robinia pseudacacia, Alnus cordata, Ostrya carpinifolia, Fraxinus
ornus con varianti mesofile nei valloni a Salix caprea e Sambucus nigra.
Lineamenti geomorfologici
Coperture piroclastiche delle lave, anche di notevoli spessori, caratterizzate da elevata instabilità gravi-
tativi.
Obiettivo dell’intervento
Stabilizzazione e consolidamento delle scarpate della viabilità forestale e sentieristica. Sistemazione
idrauliche dei valloni.
Sperimentazione di tecniche di I.N. (palificata Vesuvio, grata Vesuvio, etc.) e delle attitudini biotecniche
di arbusti mediterranei.
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Palificata Vesuvio 590 mc, palificata semplice 850 mc, grata Vesuvio 380 mq, graticciate L 1500 m, bri-
glie in legname e pietrame 180 mq, canalette in pietrame e legname 180 mq
Materiali morti impiegati
Legname di castagno scortecciato D 12-16 cm
Barre di acciaio a.m. D 14 mm
Pietrame reperito in sito D 15-20 cm
Specie vegetali impiegate
Talee di Salix alba, Salix alba varietas vitellina e Populus nigra (con scarsi risultati).
Piante radicate messe a dimora prevalentemente con il fusto interrato ed in vasetto:
Euonymus europaeus, Cornus sanguinea, Crataegus monogyna, Ligustrum vulgare, Arbutus unedo,
Spartium junceum, Coronilla emerus, Fraxinus ornus, Corylus avellana, Acer campestre, Alnus cordata.
Periodo dei lavori
I lavori, iniziati nel novembre 1997, sono in corso e programmati fino al maggio 2006
Osservazioni
Le opere di I.N. hanno resistito a eventi meteorici estremi che nelle aree limitrofe hanno prodotto danni
alluvionali.
I tronchi delle strutture si presentano senza marcescenza; nel territorio del Parco si trovano palizzate del
1973 con parte dei tronchi in castagno D 8-10 cm ancora in buone condizioni.
Le talee hanno avuto percentuali di attecchimento estremamente basse, causa il substrato altamente dre-
nante unitamente al prolungato periodo di aridità estiva.
Il 90% delle piante radicate trattate correttamente prima della messa a dimora è sopravvissuto, grazie
anche all’interramento del fusto (circa 80-90 cm) che ha ridotto lo stress termico ed idrico.
Gli interventi sono stati eseguiti senza l’ausilio di mezzi meccanici e non è mai stato effettuato l’annaf-
fiamento estivo, né sono stati somministrati ormoni radicali.
Un gruppo di 40 L.S.U. ex disoccupati, con le nuove professionalità formatesi nei lavori di I.N., ha costi-
tuito una cooperativa che opera sul mercato dal 2001.
Gli interventi di I.N. risultano un tema di scambio delle “migliori pratiche“ in programmi di cooperazio-
ne internazionale che vedono il Parco Nazionale del Vesuvio come capofila transnazionale.

198
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 1: Operai L.S.U. in fase di realizzazione di una palificata Vesuvio sec. Menegazzi
(ottobre 1999) - Foto G. Menegazzi

Foto 2: Palificata doppia con grata Vesuvio sec. Menegazzi con arbusti radicati; fase di
costruzione (luglio 2003) - Foto G. Menegazzi

199
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 3: Palificata doppia con grata Vesuvio sec. Menegazzi con arbusti radicati; fine lavori settembre 2003
Monte Somma - Foto G. Menegazzi

Foto 4: Briglia 1906 - Foto Simonetti

200
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Figura 5: Schema tridimensionale della palificata Vesuvio sec. Menegazzi

201
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Parco urbano di Pomigliano d’Arco (NA)


Specificità dell’intervento
Primo esempio in Campania di stabilizzazione di scarpate in un parco urbano con tecniche di I.N., effet-
tuato dall’amministrazione comunale tramite un cantiere didattico AIPIN Campania
Provincia/ Comune/ Località
Napoli / Pomigliano d’Arco / Parco urbano ex vasca laminazione Regi Lagni a valle del complesso vul-
canico Somma Vesuvio
Altitudine slm /Esposizione/Inclinazione °
30 m / E, SE / 35°
Lineamenti vegetazionali
Parco urbano con Populus nigra e Populus alba dominanti, accompagnati da specie tipiche degli ambien-
ti agricoli dei Regi Lagni oggi scomparse (melo cotogno, sorbo, azzeruolo, etc)
Lineamenti geomorfologici
Gli interventi sono ubicati entro una ex vasca di laminazione, la cui funzione è sostituita da collettori
urbani
Obiettivo dell’intervento
Messa in sicurezza delle scarpate per la fruibilità della cittadinanza. Realizzazione di interventi tipo di
I.N. per la didattica ambientale
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Palificata viva doppia h 1,2 m L 35 m; grata viva h 6 m L 25 m
Materiali morti impiegati
Tronchi di castagno scortecciato D 12-16 cm; Barre di acciaio a.m. D 14 mm
Specie vegetali impiegate
Astoni radicati di Salix alba e Salix alba varietas vitellina.
Arbusti radicati: Pistacia lentiscus, Crataegus monogyna, Viburnum tinus, Myrtus communis, Phillyrea
sp., Alnus cordata
Periodo dei lavori
Febbraio-aprile 2002. Aprile 2003
Osservazioni
Le talee presentano getti di 2,5-4 m con D 1-3 cm
Le talee e le piante radicate hanno un attecchimento del 90%

202
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 1: Lavori di realizzazione della palificata e grata (aprile 2002) - Foto G. Doronzo

Foto 2: Intervento foto 1 a settembre 2003 - Foto G. Doronzo

203
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Comunità Montana del Titerno (BN)


Specificità dell’intervento
Trattasi di uno dei più estesi interventi di sistemazione di versanti con tecniche di ingegneria naturalisti-
ca della Campania, nonché del primo cantiere-scuola in Campania per la formazione di operai idraulico-
forestali di una Comunità Montana.
Provincia/ Comune/ Località
Benevento/ Faicchio/ Colle della Baronessa
Altitudine slm / Esposizione / Inclinazione °
200 / W / 30-35°
Lineamenti vegetazionali
Querceto misto a sclerofille e caducifoglie con Quercus ilex, Quercus pubescens, Fraxinus ornus, Acer
campestre
Lineamenti geomorfologici
Frana superficiale in terreni tipo flysh con componenti argillose e carbonatiche. Alveo sottostante inva-
so dai sedimenti e conseguente esondazione nei terreni limitrofi
Obiettivo dell’intervento
Stabilizzazione del versante in erosione per ridurre l’apporto solido al corso d’acqua sottostante.
Formazione professionale di operai forestali
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Gabbionate rinverdite L 15 m; palificate vive h 1,4 m L 50 m; 2 grate vive: h 6m L 32 m e h 3 m L 15
m; gradonate vive L 45 m; canaletta in legname e pietrame L 10 m.
Materiali morti impiegati
Rete metallica e pietrame per i gabbioni; legno di castagno scortecciato D 15-25 cm, barre acciaio a.m.
D 12 cm, staffe in acciaio.
Specie vegetali impiegate
Talee Salix alba, Salix purpurea; piante radicate di Ligustrum vulgare,Corylus avellana
Periodo dei lavori
Giugno 2003
Osservazioni
Il periodo dei lavori era troppo avanzato per un successo totale dell’intervento, anche in concomitanza
con l’estrema aridità dell’estate 2003. Cionostante, grazie alla cura degli operai forestali che hanno prov-
veduto all’irrigazione durante i mesi estivi, le talee presentano getti di 1 m con D 0,3-0,5 cm, seppur con
percentuali di attecchimento, nelle varie tipologie, variabili dal 30% al 70%. Si è sviluppata una grande
copertura di specie erbacee. E’ necessaria la manutenzione con lo sfalcio delle erbe e la sostituzione delle
fallanze.

204
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 1: Realizzazione di grata viva (giugno 2003) - Foto Alliegro Bruzzese

Foto 2: Vista d’insieme dei lavori: palificata viva, grata viva, gradonate (giugno 2003) - Foto Alliegro
Bruzzese

205
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

San Giovanni Rotondo (FG)


Specificità dell’intervento
Realizzazione di tratti sperimentali di alcune tipologie di I.N. tramite corsi di formazione professionale
nel Parco Nazionale del Gargano
Provincia/ Comune/ Località
Foggia / San Giovanni Rotondo / Difesa Castellano
Altitudine slm /Esposizione/Inclinazione
700 – 750 m / Sud Ovest / 30% - 75%
Lineamenti vegetazionali
Roverelleti e orno-ostrieti riferibili ai Quercetalia pubescentis
Lineamenti geomorfologici
Piede di versante calcareo con accumuli terrigeni a prevalenza di terre rosse
Obiettivo dell’intervento
Sperimentazione di tecniche di I.N. in ambiente mediterraneo. Formazione professionale di tecnici e
maestranze di consorzi di cooperative
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Palificata viva doppia parete h 1,60 m L 30 m; scogliera rinverdita h 1,80 L 20 m; grata viva su palifica-
ta semplice S 50 mq; palizzate vive diffuse L 80 m
Materiali morti impiegati
Pali di cipresso D 18-20 cm; pali di pino d’aleppo D 20-25 cm; massi ciclopici; terra di scavo; pietrame;
ramaglia di cipresso
Specie vegetali impiegate
Piante radicate di Celtis australis, Quercus ilex, Fraxinus ornus, Spartium junceum, Pistacia lentiscus,
Euonimus europaeus, Erica multiflora, Arbutus unedo, Viburnum tinus, selvaggioni di Crataegus mono-
gyna, Rosa canina, Coronilla emerus, Prunus spinosa e Ligustrum vulgare
Periodo dei lavori
Febbraio-marzo 2003
Osservazioni
Scarso attecchimento delle piante inserite nella grata viva per assenza di manutenzione, soddisfacente in
tutte le altre tipologie di intervento

206
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 1: Grata viva ad un anno dalla fine dei lavori (marzo 2004) - Foto C. Bonelli

Foto 2: Vista laterale della grata viva (marzo 2004) - Foto C. Bonelli

207
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 3: Palizzate vive ad un anno dalla fine dei lavori (marzo 2004) - Foto C. Bonelli

208
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Bernalda (MT)
Specificità dell’intervento
Intervento di consolidamento e rinaturalizzazione con tecniche di I.N. della pendice su cui sorge il castel-
lo di Bernalda, effettuato da un gruppo di volontari.
Provincia/ Comune/ Località
Matera / Bernalda / Estramurale Castello
Altitudine slm /Esposizione / Inclinazione °
120 m / Sud-Est / 35°
Lineamenti geomorfologici
Pendice argillosa
Obiettivo dell’intervento
Consolidamento e stabilizzazione della pendice su cui sorge l’abitato di Bernalda. Mitigazione dell’im-
patto percettivo di un muro di sostegno in c.a. di recente costruzione visibile dalla S.S. n. 407 Basentana.
Individuazione delle specie vegetali autoctone da utilizzare in ambienti aridi.
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Circa 300 mq di pendice a valle del muro di contenimento dell’abitato su cui sono state messe a dimo-
ra, in quattro ordini successivi e paralleli a partire dal basso, talee di specie mediterranee con sesto di
impianto 2 x 2 m. La scelta delle specie è stata operata in funzione dello sviluppo delle singole specie e
del periodo di fioritura al fine di mitigare l’impatto visivo della struttura di contenimento esistente.
Specie vegetali impiegate
Talee L 80 cm e D superiore a 2 cm di Atriplex halimus, Tamarix gallica, Vitex agnus castus e Nerium
oleander (materiale di propagazione prelevato da piante madri presenti nel raggio di circa 3 km dall’abi-
tato di Bernalda e dalla pendice interessata dall’intervento).
Periodo dei lavori
Gennaio 2001: individuazione e scelta delle piante madri da cui operare il prelievo delle talee; gennaio-
febbraio 2001: messa a dimora delle talee.
Osservazioni
L’intervento può considerarsi soddisfacente in quanto l’attecchimento di Atriplex halimus, Tamarix gal-
lica e Nerium oleander è stato del 95 %; per Vitex agnus castus non si è registrata alcuna ripresa vege-
tativa, presumibilmente per il forte stress termico e per la mancata irrigazione di soccorso nei messi suc-
cessivi all’impianto (la stagione primaverile ed estiva è stata tra le più aride degli ultimi 50 anni). Già nel
luglio del 2001 è stato possibile verificare il buono sviluppo vegetativo di Atriplex halimus, Tamarix gal-
lica e Nerium oleander. Le cure colturali sono state limitate alla sola irrigazione di impianto e di soccor-
so praticata per i primi 15 giorni dalla messa a dimora.

209
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 1: Talee provenienti da piante madri: in successione a partire dal basso Atriplex halimus, Vitex agnus
castus, Nerium oleander e Tamarix gallica (gennaio 2001) - Foto A. Trivisani

Foto 2: Talee di Tamarix gallica, la pianta risultata a maggior sviluppo vegetativo (luglio 2001) - Foto A.
Trivisani

210
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Rocca di Caccamo (PA)


Specificità dell’intervento
Prima terra rinforzata con geotessuti realizzata in Italia
Provincia/ Comune/ Località
Palermo / Caccamo / Castello
Altitudine slm / Esposizione / Inclinazione °
452 m / SW / 70°
Lineamenti vegetazionali
Vegetazione erbaceo arbustiva sinantropica
Lineamenti geomorfologici
Il versante a ridosso del quale è stato realizzato l’intervento era interessato da degrado ambientale (disca-
rica abusiva di rifiuti)
Obiettivo dell’intervento
Realizzazione di un piazzale di circa 400 mq a servizio del cantiere per il restauro del castello (progetto
iniziale). Successivamente, l’Amministrazione Comunale ha richiesto il mantenimento della struttura
quale piazzale di parcheggio a servizio dei visitatori
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Terra rinforzata con geotessuto L 40 m, profondità media 11 m
Materiali morti impiegati
Geotessile in poliestere
Specie vegetali impiegate
Nessuna
Periodo dei lavori
1986
Osservazioni
Non è stato realizzato alcun rinverdimento, in quanto l’opera aveva inizialmente carattere provvisionale;
la struttura è stata realizzata con eccessiva verticalità e tessuto scoperto; la morfologia ha impedito lo svi-
luppo spontaneo della vegetazione.

211
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 1: Fase di cantiere 1986 - Foto Harpo SEIC

Foto 2: Caccamo, novembre 2003 - Foto G. Sauli

212
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Collesano (PA)
Specificità dell’intervento
Cantiere didattico AIPIN Sicilia con realizzazione di grata viva e messa a dimora di arbusti autoctoni
radicati e per talea
Provincia/ Comune/ Località
Palermo / Collesano / Vallone Zubbio
Altitudine slm /Esposizione
494 m/ NW
Lineamenti vegetazionali
Vegetazione sinantropica
Lineamenti geomorfologici
Discarica inerti
Obiettivo dell’intervento
Sistemazione tratto di versante sulla destra orografica del vallone di Zubbio con finalità antierosive e di
consolidamento
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Stuoia in juta (20 mq), stuoia cocco e paglia (20 mq), grata viva (45 mq), palificata doppia
Materiali morti impiegati
Legname squadrato da carpenteria, tondini d’armatura, biostuoie
Specie vegetali impiegate
Talee sulla palificata: Salix pedicellata, S. alba, Nerium oleander, Fraxinus oxycarpa. Talee sulla grata:
Spartium junceum. Piante radicate: Ampelodesmos mauritanicus (cespi). Contemporaneo è stato lo spar-
gimento di terreno superficiale proveniente da una macchia-gariga limitrofa (per evitare l’uso di semen-
ti non autoctone)
Periodo dei lavori
Febbraio 1999
Osservazioni
Parte strutturale in via di disfacimento. Mancanza di terra nella parte alta.
Le talee di ginestra e oleandro sono morte. Tra le piante sopravvissute hanno dato buoni risultati:
Spartium junceum, Salix pedicellata e ampelodesma

213
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 1: Grata viva in fase di costruzione, 1999 - Foto G. Pirrera

Foto 2: Collesano, grata viva (novembre 2003) - Foto G. Sauli

214
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 3: Collesano, grata viva (novembre 2003) - Foto G. Sauli

Foto 4: Rivestimento antierosivo in stuoie in juta e cocco e paglia. Collesano (novembre 2003) - Foto G.
Sauli

215
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Contuberna (AG)
Specificità dell’intervento
Cantiere scuola AIPIN Sicilia. Consolidamento di versante con palificate (tipo Roma e di sostegno) e
stuoie.
Provincia/ Comune/ Località
Agrigento / S. Stefano di Quisquina / Contuberna
Altitudine slm /Esposizione /Inclinazione °
1015 m / W / 70°-80°
Lineamenti vegetazionali
Rimboschimento di conifere a Pinus pinea e Pinus halepensis con ornielli e perastri
Lineamenti geomorfologici
Formazione geologica denominata “Megabreccia di S. Stefano”. Suolo bruno calcareo brecciato. Detriti
accumuli a matrice calcarea
Obiettivo dell’intervento
Stabilizzazione della pendice e contenimento della perdita di suolo tramite realizzazione di una palifica-
ta tipo Roma ed una palificata viva doppia
Tipologie e dimensioni dell’intervento
1 – Palificata Roma 2 – Palificata doppia 3 – Balze in stuoia di juta 4 – Stuoia in juta + paglia e cocco
su pendenze di 30°
Materiali morti impiegati
Tronchi
Specie vegetali impiegate
Talee: Crataegus monogyna, Rosa canina, Prunus spinosa, Ulmus canescens, Salix pedicellata, S. pur-
purea, Tamarix sp., Centranthus ruber, Artemisia arborescens, Clematis vitalba, Spartium junceum
Piante radicate: Pistacia terebinthus, Acer campestre, Myrtus communis, Fraxinus ornus, Fraxinus angu-
stifolia, Silene fruticosa
Periodo dei lavori
Ottobre – dicembre 2001 e 2002
Osservazioni
La parte strutturale è ben riuscita; assenza di marcescenza. Durante il primo anno è stata effettuata
un’irrigazione tramite autobotte. Nella palificata doppia l’attecchimento delle talee è stato pari al
10%; 8 su 80 le talee di salice, 2 su 20 le talee di tamerici. Migliore l’attecchimento degli arbusti
radicati

Foto 1: Palificata Roma (novembre 2003) - Foto G. Sauli

216
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 2: Palificata Roma (novembre 2003) - Foto G. Sauli

Foto 3: Palificata viva di sostegno - Foto G. Sauli

217
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 4: Particolare palificata con talea di Rosa canina - Foto G. Sauli

218
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Colle S. Michele (CA)


Specificità dell’intervento
Intervento pilota di consolidamento e rivegetazione di scarpate in roccia all’interno di un parco urbano.
Provincia/ Comune/ Località
Cagliari / Colle San Michele
Altitudine slm /Esposizione / Inclinazione °
50 m / Sud Ovest / 55-60°
Lineamenti vegetazionali
Praterie erbacee perenni, gariga mediterranea
Lineamenti geomorfologici
Scarpata artificiale (sbancamento) di un colle marnoso con substrato litoide e detritico a matrice calca-
rea e marnosa. Nei dintorni sono presenti numerose cave
Obiettivo dell’intervento
Cantiere sperimentale per il consolidamento e la protezione antierosiva di scarpata rocciosa
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Grata viva con palificata alla base; tasche vegetative in rete metallica. S 500 mq circa
Materiali morti impiegati
Pali di pino D 15-20 cm; rete metallica zincata; rete tridimensionale; stuoia in cocco.
Specie vegetali impiegate
Tamarix s.p., Atriplex halimus, Sedum sediforme, Lygeum spartum,
Periodo dei lavori
Gennaio-marzo 1995
Osservazioni
Sono state impiegate piante radicate in fitocella D 8 x 50 cm; difficoltà per il riporto del terreno data l’al-
tezza della scarpata e l’impossibilità di accesso alla testa della stessa. I tronchi e le reti sembrano suffi-
cientemente integri (osservazione difficile in quanto completamente ricoperti da vegetazione). Per la
parte viva il 70 % è costituito da Atriplex halimus e in minima parte da Tamarix s.p., Sedum sediforme,
Lygeum spartum.

219
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 1: Colle San Michele, grata viva in costruzione, 1994 - Foto G. Sauli

Foto 2: Colle San Michele, grata viva in costruzione, 1994 - Foto G. Sauli

Foto 3: Colle San Michele, 2003 - Foto G. Sauli

220
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Atina (FR)
Specificità dell’intervento
L’intervento progettato rappresenta uno dei primi casi di sistemazione di frane con tecniche di ingegne-
ria naturalistica nel Lazio, secondo i dettami della Delibera della Giunta Regionale 4340 del 28 maggio
1996 sui Criteri progettuali per l’attuazione degli interventi in materia di difesa del suolo.
L’impiego, inoltre, tra i primi in Italia, di geogriglie di rinforzo drenanti all’interno del corpo della terra
rinforzata rinverdita, consentirà di verificare nuove tecniche per il riutilizzo di materiali argillosi nelle
opere in terra, applicabili a larga scala sul territorio italiano.
Provincia/ Comune/ Località
Frosinone /Atina/ Colle Melfa
Altitudine slm / Esposizione / Inclinazione °
400-500 m / S / 20-35°
Lineamenti vegetazionali
Ambito agricolo a prevalenza di oliveti e vigneti
Lineamenti geomorfologici
L’area di Colle Melfa è costituita da depositi pelitico-arenacei, con successione di depositi argilloso-mar-
nosi e arenacei sovraconsolidati, sormontati da coltri argillose poco consolidate ed instabili di spessore
variabile da 1 a 5 metri.
Le manifestazioni gravitazionali con movimenti superficiali di rotazione e colamento hanno interessato
la coltre argillosa in occasione di precipitazioni intense, con la lubrificazione del piano di contatto e l’in-
sorgere di sovrapressioni interstiziali nel sottosuolo
Obiettivo dell’intervento
I lavori hanno riguardato due aree con fenomeni franosi, innestatisi a seguito di abbondanti precipi-
tazioni:
1) due frane rotazionali con un fronte di circa 15 m ognuna sulla scarpata a monte della sede stradale di
via Colle Melfa.
2) un franamento esteso con il coinvolgimento di una porzione della sede stradale lunga circa 60 m, situa-
to all’incrocio tra Via S.Saturnino e Via Colle Melfa.
Tipologie e dimensioni dell’intervento
1) Palificata viva a parete doppia h 2,4 m L 30 m; palificata viva a parete doppia h 1,4 m L 15 m; paliz-
zata viva L 16 m; gradonata viva su rilevato L 125 m; fascinata drenante L 120 m; biotessile in juta 110
mq; canaletta in terra con biostuoia in cocco e paglia e rete zincata a doppia torsione e talee L 50 m; pian-
tagione di 150 arbusti; idrosemina S 200 mq
2) Terra rinforzata h 8,5 m L 50 m; fascinata drenante L 120 m; piantagione di 250 arbusti; idrosemina
1000 mq
Materiali morti impiegati
Tronchi in castagno scortecciati D 25 cm; barre acciaio a.m. D 14 mm; biotessile in juta; rete zincata a
doppia torsione; terre rinforzate rinverdite con strati di geogriglia drenante
Specie vegetali impiegate
Talee di Salix purpurea e Salix eleagnos
Arbusti radicati: Crataegus monogyna, Cornus sanguinea, Spartium junceum, Coronilla emerus,
Ligustrum vulgare, Cornus mas, Euonymus europaeus, Prunus spinosa, Rosa canina.
Periodo dei lavori
Frana 1: marzo-aprile 2000; Frana 2: settembre-ottobre 2001
Osservazioni
Gli interventi di ingegneria naturalistica hanno garantito, unitamente alle indispensabili opere di drenag-
gio, la stabilizzazione delle scarpate stradali (frana 1) e la ricostruzione della sede stradale unitamente
alla stabilizzazione del versante (frana 2), con l’aumento della biodiversità dell’area.
Le talee di salice hanno sviluppato getti di diametro 1-3 cm con lunghezze di 2-4 m con copertura del
90% nella frana 1 e del 70% nella frana 2.

221
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 1: Struttura di una palificata viva doppia di consolidamento del piede della frana 1 (marzo 2000) -
Foto P. Cornelini

Foto 2: Interventi di sistemazione di un versante della frana 1 (marzo 2000) - Foto P. Cornelini

222
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 3: Interventi della foto precedente a maggio 2002 - Foto P. Cornelini

Foto 4: Idrosemina potenziata sulla terra rinforzata rinverdita (marzo 2002) - Foto P. Cornelini

223
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 5: La terra rinforzata rinverdita a giugno 2003 - Foto P. Cornelini

224
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Alta Versilia
Specificità dell’intervento
Il 19 giugno 1996 un nubifragio di eccezionale violenza ha colpito numerosi comuni dell’Alta Versilia
nelle province di Lucca e Massa Carrara, con precipitazioni eccezionali e concentrate su un’area limi-
tata che hanno raggiunto, dalle prime ore del mattino al pomeriggio, i 470 mm a Pomezzana e provo-
cato ingenti danni su un’area di circa 60 Kmq. L’area colpita comprende parte delle Alpi Apuane a
ridosso del litorale e coincide con parte del bacino del F. Versilia. Gli interventi di sistemazione idrau-
lico-forestale con tecniche di ingegneria naturalistica effettuati su vastissima scala rappresentano
l’esperienza più ampia di impiego di queste tecniche in ambito montano non alpino. La scelta delle tec-
niche più idonee è stata resa possibile anche grazie ai cantieri sperimentali di ingegneria naturalistica
predisposti già nel 1997 e sottoposti poi a monitoraggio. I lavori eseguiti con varie modalità (economia
in amministrazione diretta, appalto a cooperative agricolo forestali, etc) hanno avuto positive ricadute
sull’occupazione locale
Provincia / Località
Lucca, Massa e Carrara / Territorio Comunità Montana Alta Versilia
Lineamenti vegetazionali
Il territorio è scarsamente antropizzato con estese coperture forestali caratterizzate, a partire dalla fascia
basale verso quella montana, da: querceto-carpineti, cerreto- carpineti, castagneti e faggete
Lineamenti geomorfologici
Le formazioni dominanti appartengono al Complesso Metamorfico Apuano ed alla Falda Toscana con
versanti acclivi, valli strette e pareti rocciose che si innalzano fino ai 1869 m del Pania della Croce. A
seguito del nubifragio si sono avuti intensi sovralluvionamenti nelle aste fluviali dei fondovalle, deriva-
ti da fenomeni gravitativi e dai processi erosivi, con volumi superiori al milione di mc e con spessori di
oltre 10 m di sedimenti. I fenomeni franosi maggiormente diffusi possono ricondursi a fenomeni di scor-
rimento traslativo lineare evolutisi in colate di materiali parzialmente saturi o saturi di acqua (Brugioni
Marzocchi, 1998), ai quali va aggiunta l’azione erosiva lineare dei corsi d’acqua nelle aste e quella area-
le del ruscellamento sui versanti. L’eccezionale intensità delle precipitazioni sui detriti di copertura e sui
suoli saturi ha comportato l’evoluzione dei dissesti in colate detritiche tipo debris flow. Tali dissesti
hanno interessato prevalentemente spessori non superiori ai 3 m su versanti con pendenze maggiori di
35° e localizzati in prevalenza sugli affioramenti dei terreni filladico–arenacei della formazione del
Pseudomacigno. In corrispondenza degli affioramenti carbonatici c’è stata invece una prevalenza delle
azioni erosive lineari.
Obiettivo dell’intervento
Sistemazioni di dissesti franosi e dei corsi d’acqua per ridurre il trasporto solido a valle
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Palificate vive doppie, briglie in legname, palizzate, gradonate vive, fascinate drenanti, canalette in
legname e pietrame, idrosemine, per un importo di circa 3,5 milioni di euro. Tra le varie decine di lavo-
ri va ricordata la sistemazione della frana di Pomezzana che, con una superficie di 13 ettari di interven-
ti di ingegneria naturalistica, sembra risultare la più estesa d’Europa.
Materiali morti impiegati
Tronchi di castagno D 20-30 cm per le palificate; tondame di castagno D 10-12 cm per le canalette, pie-
trame, picchetti acciaio a.m., geotessuto tridimensionale.
Specie vegetali impiegate
Talee di Salix purpurea, Salix eleagnos, Salix. triandra; piante radicate di latifoglie: Crataegus monogy-
na, Euonymus europaeus, Cornus sp.pl., Prunus spinosa, Laburnum anagyroides, etc.
Periodo dei lavori
Dal 1997
Osservazioni
Gli interventi di ingegneria naturalistica di sistemazione e prevenzione dei dissesti, tutti perfettamente riu-
sciti, hanno dimostrato di essere i più idonei in zone lontane dalla viabilità e di elevata qualità ambienta-
le, in quanto riducono al minimo il trasporto di materiali e utilizzano al massimo le risorse presenti in loco.

225
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

I dissesti hanno interessato molte aree boscate, mettendo in evidenza che l’effetto positivo di aumento
della stabilità dei versanti ad opera degli alberi è legato alla capacità degli apparati radicali di ammorsa-
re lo strato di suolo alle fratture del substrato roccioso; ove questo non si verifichi a causa dei forti spes-
sori di suolo o per carenza di fratture nella roccia, l’effetto benefico di stabilizzazione resta per le preci-
pitazioni normali, ma non per quelle eccezionali.

Foto 1: Frana di Pomezzana (novembre 2000) - Foto A. Trigila

226
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 2: Frana di Pomezzana (giugno 2003) - Foto A. Trigila

Foto 3: Frana T. Cardoso (maggio 2000) - Foto A. Trigila

227
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 4: Frana T. Cardoso (giugno 2003) - Foto A. Trigila

228
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Repubblica di San Marino


Specificità dell’intervento
Bonifica idrogeologica dei bacini calanchivi mediante la realizzazione di briglie in terra e calcestruzzo,
con le quali viene riprofilata la pendenza del fosso di fondovalle e con il rimodellamento dei versanti,
asportandone le creste e tamponando i burroni. La bonifica ha interessato 13 bacini per una estensione
complessiva di circa 1000 ha; a titolo esemplificativo se ne prenderà in esame solamente uno. Alla boni-
fica primaria sono seguiti interventi di rinaturalizzazione.
Stato / Comune / Località
Repubblica San Marino / Acquaviva / Ca Amadore (Bacino calanchivo di Fosso del Re)
Altitudine slm / Esposizione / Inclinazione °
200-300 m / N / 17–35°
Lineamenti vegetazionali
Aggruppamenti vegetali termoxerofili tipici delle aree calanchivive formati da: canneti ad Arundo plinia-
na, praterie con dominanza di Agropyrum repens e Brachypodium pinnatum, praterie arbustate con domi-
nanza di Rosa canina, Spartium junceum e Tamarix gallica, macchie a Quercus pubescens e Fraxinus
ornus.
Lineamenti geomorfologici
Il bacino di Fosso del Re è costituito dalle Argille Varicolori della Val Marecchia, complesso caotico pre-
valentemente argilloso nel quale sono incorporati frammenti litologici di varia natura.
La tipica morfologia calanchiva a ventaglio con creste inframmezzate da solchi di erosione e burrona-
menti è stata addolcita con la realizzazione di una serie di briglie in terra ad anfiteatro.
Obiettivo dell’intervento
La bonifica primaria persegue la riduzione della pendenza dei versanti ed il loro consolidamento, non-
ché la regimazione delle acque superficiali per diminuirne la forza erosiva e contenere l’ampliamento dei
processi di dissesto.
Questa fase è poi seguita da interventi di rinaturalizzazione con tecniche di ingegneria naturalistica
antierosive e/o stabilizzanti, volte a conseguire equilibri sostenibili ed a innescare successioni ecosi-
stemiche.
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Rimodellazione dei versanti con mezzi meccanici, costruzione di briglie in terra e di una rete di canaliz-
zazioni per convogliare le acque a valle su una estensione di circa 20 ha (anni 1990-1994).
Esecuzione di idrosemina potenziata con mulch su una superficie complessiva di circa 9 ha (anni
1993-1994).
Realizzazione di una briglia viva in legname a tre paramenti aventi uno sviluppo lineare complessivo di
25,3 m ed altezza totale di 2,5 m.
Realizzazione in un fosso in erosione di n.7 palizzate per impluvi aventi ciascuna un’altezza di 1 m, con
sviluppo complessivo degli interventi di 36,8 m (aprile 2003).
Materiali morti impiegati
Tronchi di castagno scortecciati D 8-20 cm; barre di acciaio a.m. D 14-16 mm; fascine di ramaglia.
Specie vegetali impiegate
Talee di Tamarix gallica. Arbusti radicati di: Prunus spinosa, Prunus mahaleb, Fraxinus ornus,
Cornus sanguinea, Hippophae rhamnoides, Rosa canina, Spartium junceum, Salix purpurea,
Sambucus nigra.
Periodo dei lavori
Bonifica idrogeologica ed idrosemina: 1990-1994; briglia e palizzate: aprile 2003.
Osservazioni
Gli interventi di bonifica idrogeologica nei bacini calanchivi della Repubblica di San Marino sono ini-
ziati nell’anno 1978 sulla base di un Piano Generale, redatto con la filosofia d’intervento allora messa
a punto dal Consorzio di Bonifica di Brisighella. La pressoché completa realizzazione del Piano ha
determinato in generale una drastica riduzione dell’erosione e del trasporto solido, un sostanziale con-

229
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

solidamento dei versanti, una diminuzione degli smottamenti ed un potenziale arresto dell’espansione
dei dissesti alle aree confinanti. La bonifica primaria ha però comportato anche un cospicuo denuda-
mento dei versanti rimodellati con conseguenti rischi di erosione superficiale, così a partire dal 1993 è
stato messo in essere un Piano di Inerbimento delle superfici brulle onde proteggerle e rinaturalizzarle.
Per dare attuazione a tale piano sono state sperimentate diverse tecniche di ingegneria naturalistica; la
più efficiente è risultata l’idrosemina potenziata con mulch. Gli interventi di inerbimento hanno conse-
guito una copertura delle pendici pari al 70-80% a seconda delle situazioni, in particolare, i crinali dove
affiorano le argille vergini sovraconsolidate sono risultati i più ostici. Nel 2002 è stato costituito a San
Marino un Gruppo Interdisciplinare di Esperti in Ingegneria Naturalistica (GIEIN) cui è stato affidato
il compito di individuare lo sviluppo progettuale ed esecutivo di tali tecniche su vasta scala, al fine di
conseguire una definitiva stabilizzazione e rinaturalizzazione dei calanchi. Il Gruppo ha redatto un
primo Piano di Bacino per il Fosso del Re che prevede la realizzazione di 40 interventi, con opere sin-
gole o combinate tra loro, la cui attuazione è ripartita in stralci esecutivi e dovrebbe essere completata
entro l’anno 2006.

Foto 1: Panoramica aerea degli interventi di bonifica nel Bacino di Fosso Riva, uno dei più estesi (aprile
1994) - Foto Archivi Dipartimento Territorio e Ambiente RSM

230
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 2: Vista frontale della bonifica del bacino di Fosso del Re dopo l’idrosemina (ottobre 2002) - Foto
Archivi Dipartimento Territorio e Ambiente RSM

Foto 3: Briglia viva in legname impiegata per il consolidamento di una nicchia smottata (settembre 2003)
- Foto Archivi Dipartimento Territorio e Ambiente RSM

231
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 4: Palizzata per impluvi in erosione (aprile 2003) - Foto Archivi Dipartimento Territorio e Ambiente RSM

232
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

5.3 AREE PERCORSE DAL FUOCO


5.3.1 Introduzione
Il fenomeno degli incendi nelle regioni mediterranee costituisce ormai una emer-
genza non solo per la distruzione dei boschi, ma anche per i problemi di dissesto idro-
geologico indotti.
Il fuoco, d’altronde, è un componente naturale dell’ecosistema mediterraneo ed ha
avuto un ruolo fondamentale nella determinazione dell’attuale paesaggio vegetale, che
è il risultato di una evoluzione ove la pressione antropica con l’incendio per ottenere
aree per il pascolo o l’agricoltura si manifesta da circa 10.000 anni.
La resilienza della vegetazione, che rappresenta la capacità di ritornare alle condi-
zioni iniziali a seguito degli incendi, varia in funzione delle forme biologiche presenti
e del tipo di riproduzione a seguito del fuoco.
Nel bacino del Mediterraneo l’evoluzione delle fitocenosi in presenza del fuoco ha
premiato le specie sempreverdi della macchia e della lecceta (leccio, fillirea, lentisco
alaterno, etc) che possiedono capacità di riproduzione vegetativa, rispetto alle specie
sempreverdi con riproduzione da seme (pini, cisti).
Le prime realizzano, inoltre, una migliore stabilizzazione del suolo delle conifere
in quanto, in genere, possiedono un sistema radicale più sviluppato ed una capacità di
ripresa vegetativa tramite l’emissione di polloni dagli organi ipogei non bruciati (man-
cante nelle conifere).
Ne risulta una miglior efficienza della macchia e della lecceta rispetto al bosco di
conifere (nella maggioranza dei casi di impianto artificiale) sia nel recupero spontaneo
della vegetazione sia nella difesa del suolo.
5.3.2 Problemi di dissesto idrogeologico indotti dagli incendi boschivi
La resilienza della vegetazione mediterranea nel ricostituire l’assetto vegetaziona-
le preesistente l’incendio, trova un limite nella frequenza degli incendi. Gli incendi
ripetuti alterano la vegetazione mantenendola negli stadi pionieri e causano l’impove-
rimento del suolo e l’erosione. Tale degradazione irreversibile comporta la distruzione
della foresta sempreverde mediterranea e la comparsa di una gariga a cisti ed eriche.
Il degrado del suolo può arrivare a stadi talmente avanzati che, anche cessando
l’impatto, il recupero della vegetazione verso le forme più evolute è impossibile.
Gli incendi, tramite la riduzione della funzione meccanica ed idrogeologica della
copertura vegetale e le alterazioni chimico-fisiche del suolo nelle situazioni geomorfo-
logiche e climatiche sfavorevoli, determinano fenomeni erosivi. Questi possono evolve-
re in frane e comportare modifiche nel bilancio idrologico dei bacini idrografici con la
diminuzione della capacità di infiltrazione, la riduzione dei tempi di corrivazione e l’au-
mento delle portate di piena.
Gli effetti del fuoco sul suolo consistono nell’alterazione delle sue caratteristiche
chimico-fisiche e biologiche e sembrano essere funzione del calore sviluppatosi:
• Per temperature fino a 220°C si hanno modifiche positive per la crescita delle
piante, grazie alla mobilitazione dei nutrienti nel suolo
• Per temperature tra 220°C e 460°C avviene la ricristillazione dei composti di
ferro e alluminio, con indurimento degli aggregati e perdita di plasticità e ela-
sticità; tuttavia, in pochi anni, l’attività delle piante e dei microrganismi del
suolo consente il ripristino delle condizioni originarie

233
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

• Per temperature oltre i 460°C si hanno danni a carico della struttura cristalli-
na e spaziale dei minerali del suolo con la tendenza alla scomparsa della coe-
sione e della struttura e l’innesto dei fenomeni erosivi.

Foto 5.3.1: L’apparato superficiale delle conifere non garantisce la difesa del suolo
dall’erosione Popoli (AQ) (ottobre 2003) - Foto P. Cornelini

Alcuni autori hanno evidenziato la formazione di uno strato idrorepellente a


pochi centimetri dalla superficie, che favorisce la imbibizione e l’erosione dello stra-
to sovrastante. L’aumento di erosione del suolo nelle aree percorse dal fuoco varia
da 5 volte (in caso di incendio leggero) a 50 volte (incendio forte) rispetto ad
una situazione indisturbata. Inoltre le perdite di suolo nei primi due mesi sono
pari a 12-15 volte le perdite subite nei 3-4 anni successivi all’evento; risulta eviden-
te, in caso di incendi forti, la necessità di intervenire entro due mesi dall’incendio
(Bruschini, 2001).
Si riportano i dati dell’erosione del suolo in g/mq/anno (da Giovannini e
Lucchesi,1992 in Bruschini et al.,2002))
A -Parcella ricoperta da vegetazione 3 g/mq/anno
B - Parcella percorsa da fuoco leggero 14 g/mq/anno
C - Parcella percorsa da fuoco forte 148 g/mq/anno
D - Parcella con vegetazione tagliata 9 g/mq/anno

234
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

L’effetto negativo degli incendi ripetuti e di una certa intensità comporta quindi:
• l’erosione accelerata
• la diminuizione della capacità di infiltrazione
• l’aumento del coefficiente di deflusso
• l’aumento del rischio di frane e alluvioni

5.3.3 Gli interventi di recupero e ricostituzione della copertura vegetazionale


Data la grande capacità di recupero spontaneo delle fitocenosi mediterranee va
valutata sempre l’ipotesi del non intervento, come peraltro previsto dalla legge quadro
del 21.11.2000.
Uno studio da parte di tecnici qualificati dovrà verificare tale ipotesi in funzione
della tipologia vegetazionale preesistente, delle forme biologiche dominanti e del tipo
di capacità riproduttiva, valutando il dinamismo vegetazionale in atto.
Una volta verificata l’incapacità di un recupero spontaneo delle fitocenosi esisten-
ti, si cercherà di procedere prima possibile con gli interventi per la difesa del suolo.

Foto 5.3.2: Con l’asportazione della copertura vegetale a seguito degli incendi si inne-
scano fenomeni erosivi. Spotorno (SV) (febbraio 2004) - Foto P. Cornelini

Dal momento che i fenomeni principali di degrado sono legati agli incendi ripetu-
ti, andranno previsti per evitarli ad esempio :
• tracciati tagliafuoco
• torri di avvistamento

235
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

• situazioni naturali di interruzione del fuoco quali prati o colture erbacee


• formazione del volontariato
• incentivi ai proprietari o cooperative per la manutenzione.
Per quanto riguarda gli interventi di recupero della copertura vegetazionale si deve
distinguere tra il trattamento della vegetazione esistente a seguito dell’incendio e l’im-
pianto ex-novo.
Nel primo caso gli interventi comprendono la bonifica della vegetazione esistente
con la pulizia del terreno delle specie morte per allontanare il materiale combustibile
che aumenta il rischio di incendi; il legname risultante (tronchi, ramaglia) potrà essere
utilizzato per opere di I.N., anche ponendolo semplicemente a fascine lungo le linee di
livello e negli impluvi, con funzione di rallentamento delle acque.
Nel caso delle latifoglie arboree ed arbustive, con la ceduazione viene favorita la
ripresa spontanea dei polloni dal colletto delle ceppaie.
Per l’impianto della vegetazione ex-novo valgono i seguenti criteri generali
(Bruschini et al., 2002):
• utilizzare prevalentemente arbusti ricostruttori autoctoni, impostando il recu-
pero della vegetazione dagli stadi iniziali, in relazione sempre allo stato di
degrado dell’area;
• impostare l’impianto di arbusti in misura pari ad almeno il 70-90 % della com-
posizione specifica del nuovo impianto di vegetazione;
• nel miscuglio delle specie arbustive, riservare una quota del 30-40 % alle legu-
minose (come le ginestre) che consentono buone garanzie di attecchimento ed
ottime qualità di miglioramento del suolo, a vantaggio anche delle altre specie;
• riservare una quota del 10-30 % alle specie arboree che, in ogni caso, dovran-
no essere scelte tra quelle pioniere, proprie degli stadi di transizione tra gli
arbusteti ed il bosco;
• evitare l’impiego di specie climaciche (le specie che costituiscono lo stadio
finale del soprassuolo, in assenza di disturbi) come ad es. il leccio, che potreb-
bero incontrare serie difficoltà in aree molto esposte e degradate, sia nel suolo
che nella copertura vegetazionale;
• nella scelta del miscuglio di sementi per le idrosemine e le semine manuali,
usare sempre miscugli molto diversificati, purchè di specie adatte ai siti di
intervento;
• nel miscuglio per le semine inserire sempre leguminose arbustive (ginestre) ed
erbacee (ginestrino, trifoglie, erba medica, etc.), purchè compatibili con il sito,
in misura pari ad almeno il 25-35 % del miscuglio;
• per quanto riguarda il materiale vegetale di impianto, privilegiare la fornitura
di vivai esistenti in loco;
• utilizzare sempre, salvo casi particolari, piantine con pane di terra (fitocella,
paper pot, etc.) per ridurre gli stress di impianto;
• utilizzare sempre piante giovani (1-2 anni) che meglio si adattano alle diffici-
li condizioni dei siti di intervento;
• non utilizzare talee di salici nelle opere di ingegneria naturalistica in aree lito-
ranee, salvo casi specifici valutati dal tecnico (in zone di ristagno idrico,
impluvi, etc.);

236
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

• utilizzare chips legnosi per la pacciamatura intorno alle piantine, per il man-
tenimento dell’umidità.

5.3.4 Interventi di difesa del suolo


Valgono i seguenti criteri:
• intervenire solo nelle situazioni più degradate, curando la protezione antiero-
siva superficiale, favorendo l’inerbimento ed il cespugliamento con specie
autoctone; nelle altre situazioni sarà sufficiente favorire lo sviluppo delle piro-
fite presenti;
• nel caso di incendi in rimboschimenti di conifere iniziare la riconversione
verso i boschi di latifoglie autoctone a partire dagli stadi pionieri erbacei ed
arbustivi, a seguito di analisi della serie dinamica della vegetazione autoctona;
• effettuare le sistemazioni del drenaggio superficiale e le piccole sistemazioni
idraulico forestali per evitare l’erosione diffusa dei suoli;
• impiegare le tecniche antierosive, stabilizzanti e consolidanti dell’ingegneria
naturalistica.
In proposito, tra le tecniche già sperimentate negli interventi di recupero delle aree
percorse dal fuoco dei due Piani stralcio del Ministero dell’Ambiente (2002), che hanno
riguardato 26 interventi in tutta l’Italia mediterranea, le più usate sono risultate:
• messa a dimora di arbusti autoctoni
• fascinate
• palizzate vive
• palificate vive doppie
• palificate in legname e pietrame

237
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Joppolo (VV)
Specificità dell’intervento
Trattasi del primo intervento di sistemazione idrogeologica di aree percorse dal fuoco con tecniche di
ingegneria naturalistica della Calabria
Provincia/ Comune/ Località
Vibo Valentia / Joppolo / Valletta Bosco
Altitudine slm / Esposizione / Inclinazione °
450 m / SE / 35 °
Lineamenti vegetazionali
Versante con oliveti e pinete di rimboschimento accompagnati da lembi di sughereta
Lineamenti geomorfologici
I graniti paleozoici tettonizzati con coperture di sabbioni colluviali e di detriti in massi grossolani sono
interessati da frane in atto e potenziali di tipo roto-traslazionale e da crollo e da colate detritiche
Obiettivo dell’intervento
Stabilizzazione dei versanti per la messa in sicurezza dell’abitato sottostante e ripristino della vegetazio-
ne danneggiata dall’ incendio
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Palificata viva doppia 234 mc; gradonata viva L 700 m; briglie in legname e pietrame 260 mq; pianta-
gione di specie arboree autoctone n. 5000; piantagione di specie arbustive autoctone n. 3500
Materiali morti impiegati
Tronchi di castagno scortecciato D 20- 30 cm;
Pali di castagno di diametro D 6 -12 cm;
Picchetti acciaio a.m. D 12 cm.
Specie vegetali impiegate
Piante radicate: Quercus pubescens, Quercus suber, Quercus ilex, Fraxinus omus, Cytisus scoparius,
Myrtus communis, Pistacia lentiscus, Arbustus unedo
Periodo dei lavori
Autunno- inverno 2002
Osservazioni
Le piante hanno superato, con notevoli fallanze, l’estate aridissima del 2003.
È necessario un intervento di manutenzione con la sostituzione delle piante morte.

238
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 1: Palificata doppia con arbusti mediterranei autoctoni (ottobre 2003) - Foto Panzitta Cortose

Foto 2: Briglia in legname e pietrame (ottobre 2003) - Foto Panzitta Cortose

239
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Pizzoli (AQ)
Specificità dell’intervento
Lavori di ripristino dell’assetto ambientale ed idrogeologico del versante montuoso soggetto ad erosio-
ne ed instabilità a seguito dell’ incendio del 6 agosto 2001
Provincia/ Comune/ Località
L’Aquila / Pizzoli / Fosso del Buco
Altitudine slm / Esposizione / Inclinazione °
850-1150 m / prevalente S-SO / Inclinazione media 30°
Lineamenti vegetazionali
Rimboschimenti artificiali di conifere (pino nero e pino silvestre)
Lineamenti geomorfologici
Detrito di falda ricoprente, con spessori variabili, una matrice di calcari marnosi e dolomie
Obiettivo dell’intervento
Messa in sicurezza del centro abitato sottostante dalle colate rapide di detrito; riqualificazione ambien-
tale e paesaggistica dei versanti
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Imboschimento (7 ha), interventi antierosivi, stabilizzanti e consolidanti: idrosemina (14.000 mq), paliz-
zate vive (10.000 m), grata viva (50 mq), palificata viva doppia (50 mq), briglie in legname e pietrame
n. 20, il tutto su una superficie complessiva di 24 ha
Materiali morti impiegati
Tronchi di pino nero recuperati in loco D 15-30 cm per le palizzate; tronchi di castagno D 15-20 cm per
le palificate e la grata ; picchetti in ferro a.m. D 14 mm
Specie vegetali impiegate
Talee di Laburnum anagyroides. Piante radicate (circa 12.000): Fraxinus ornus, Ostrya carpinifolia,
Pyrus sylvestris, Crataegus monogyna, Spartium junceum, Cornus sanguinea, etc.
Periodo dei lavori
Agosto 2002 – Novembre 2003
Osservazioni
L’intervento è ben riuscito nella parte strutturale, realizzata quasi completamente con materiale bruciato
riciclato (tronchi, ramaglia). Le piante radicate autoctone sono state messe a dimora nel novembre 2003.

240
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 1: Lavori di realizzazione delle palizzate morte (ottobre 2002) - Foto Sacchetti Liberatore

Foto 2: Le palizzate, unitamente alla piantagione degli arbusti autoctoni, hanno permesso il recupero della
protezione antierosiva della vegetazione (novembre 2003) - Foto Sacchetti Liberatore

241
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

5.4 STRADE E FERROVIE


5.4.1 Premessa
In questo capitolo vengono trattate principalmente le opere di stabilizzazione e
consolidamento nonché di mitigazione con interventi di rinaturalizzazione, rivegetazio-
ne ed ingegneria naturalistica delle scarpate stradali e ferroviarie.
Vanno, comunque, considerati e progettati nell’ambito delle opere di mitigazione
delle infrastrutture lineari viarie anche altri interventi di natura puramente tecnologica
quali:
• vasche di sicurezza e sistemi di captazione degli inquinanti di piattaforma e
degli sversamenti accidentali;
• sovrappassi e sottopassi faunistici;
• pannelli fonoassorbenti e barriere antirumore in genere.
Vanno anche in questo caso privilegiate soluzioni biotecniche (es. barriere vegeta-
tive antirumore, ecosistemi filtro, etc) a quelle puramente tecnologiche.
Le principali interferenze naturalistiche indotte dalla realizzazione di infrastruttu-
re viarie (strade, ferrovie) di vario ordine sono legate a: a) sparizione fisica di notevoli
superfici di territorio; b) distruzione di ecosistemi e/o interruzione della continuità di
habitat; c) realizzazione di vaste superfici denudate di neoformazione collegate diretta-
mente o indirettamente (cantieri, cave di prestito) con l’infrastruttura .
Anche se l’infrastruttura attraversa aree prive di valori naturalistici, ad esempio
zone di pianura a vaste superfici di agricoltura intensiva, va comunque considerata l’op-
portunità di una riqualificazione del paesaggio attraversato mediante: ricostruzione di
habitat, ricostituzione di elementi della rete ecologica, realizzazione di fasce boscate
tampone a lato strada, etc.
Di tutte queste superfici va prevista la rivegetazione sia per motivi funzionali
(antierosivi, di stabilizzazione in genere), sia naturalistici e paesaggistici.
Le opere di cui sopra fanno parte integrante e funzionale del progetto stradale e
vanno progettate contestualmente ad esso, con un grado di approfondimento proporzio-
nale alle varie fasi del progetto stesso e non possono essere rimandate a fine progetto o
addirittura a fine lavori come generici “interventi a verde” da far eseguire a posteriori
da una ditta di opere in verde.
Va identificata la figura specifica di un professionista esperto in progettazione di
opere di mitigazione e di ingegneria naturalistica in grado, tra l’altro, di effettuare le
analisi degli elementi naturalistici di supporto alla progettazione per la individuazione
a priori non solo delle emergenze da tutelare, ma anche delle possibilità concrete di
adottare determinati interventi di ripristino.
A tal fine va presa in esame la seguente lista pragmatica di controllo:
• disponibilità di superfici a lato strada per interventi di rivegetazione;
• disponibilità di suolo vegetale nell’ambito del cantiere o possibilità di reperi-
mento e ammendamento di inerti terrosi derivati;
• possibilità di adozione di tecniche di ingegneria naturalistica negli interventi
di consolidamento e rivegetazione di scarpate di neoformazione;
• selezione delle specie vegetali autoctone di possibile impiego;

242
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

• disponibilità di mercato delle stesse o, in alternativa, possibilità di realizzare


vivai temporanei;
• individuazione dei problemi di interferenze faunistiche e possibilità di realiz-
zare strutture per il mantenimento dei dinamismi di certe specie animali;
• possibilità di adottare provvedimenti antinquinamento con tecniche naturali-
stiche (barriere vegetative antirumore, ecosistemi filtro quali presidi idraulici
di sicurezza, etc).
Gli interventi ambientali nel settore viario si possono principalmente distinguere in
alcune categorie di opere di seguito elencate:
1) opere di mitigazione vere e proprie cioè quelle direttamente collegate agli
impatti quali, ad esempio, barriere antirumore a lato strada per mitigare l’impatto da
rumore prodotto dal traffico veicolare, le vasche di sicurezza e i presidi idraulici per
intercettare i liquidi di piattaforma stradale, etc.;
2) quelle di “ottimizzazione” del progetto che sono in realtà la maggior
parte e non necessariamente collegate con un eventuale impatto su beni naturali di
pregio preesistenti, quali ad esempio: la creazione di fasce vegetate di riambientazio-
ne di una strada in zona agricola, la rivegetazione di tutte le scarpate, aiole, aree di
svincolo etc.;
3) opere di compensazione cioè gli interventi non strettamente collegati con
l’opera, che vengono realizzati a titolo di “compensazione” ambientale quali, ad
esempio, creazione di habitat umidi o zone boscate in aree di ex cave presenti nel-
l’area, bonifica e rivegetazione di siti devastati, anche se non prodotti dal progetto in
esame.
A livello metodologico sull’impiego di specie e materiali negli interventi di inge-
gneria naturalistica, valgono le considerazioni del Capitolo sulla Deontologia.

5.4.2 Tipologie degli interventi


Scarpate in rilevato o a raso (figura 5.4.A)
Va previsto in generale per tutte le superfici a raso e per le scarpate in rilevato:
• il riporto di terreno vegetale;
• la formazione di cotici erbosi mediante semine, in genere idrosemine (foto
5.4.1);
• la formazione di siepi tra le carreggiate;
• la messa a dimora di specie arbustive ed arboree con attenzione ai problemi
di invasione della sagoma dei veicoli, mantenendo quindi una fascia di
sgombro adeguata (da 2 a 4 m) a solo cotico erboso (figure 5.4.A1a,b,c,d e
foto 5.4.2);
• la rivegetazione dei rilevati di ricomposizione morfologica (es. portali di gal-
lerie)
Anche gli eventuali interventi di sostegno dei rilevati vanno, se possibile, realizza-
ti con tecniche di I.N. o miste quali: palificate vive, gabbionate rinverdite, terre verdi
rinforzate semplici o doppie (vedi figura e foto in scheda interventi – Blufi), muri cel-
lulari rinverditi (figure 5.4.A2a, b, c, d e foto 5.4.3, 5.4.4 ).

243
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Figura 5.4.A: Interventi di I.N. strade e ferrovie

244
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 5.4.1: Idrosemina a spessore -


Foto G. Sauli

Foto 5.4.2: Messa a dimora di arbusti


autoctoni su rilevato autostradale
Aurisina (TS) - Foto G. Sauli

Foto 5.4.3: Consolidamento al piede


di rilevato stradale con terre rinfor-
zate verdi Casello di Villesse (GO) -
Foto G. Sauli

245
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 5.4.4: Consolidamento al piede


di rilevato stradale con terre rinfor-
zate verdi dopo alcuni mesi Casello
di Villesse (GO) - Foto G. Sauli

Scarpate in trincea (figura 5.4.B)


Le scarpate in scavo o in trincea rappresentano una casistica molto frequente
tipica dei tracciati in zone montane e collinari, sia perché si cerca di bilanciare i
volumi scavi/riporti per limitare i costi di approvvigionamento degli inerti da cave
di prestito, sia per evitare antiestetici cavalcavia e viadotti negli incroci con altra
viabilità.
Data la natura litoide del substrato e le pendenze di scavo, nella prassi norma-
le non sono previsti interventi a verde su tali scarpate, creando problemi di reinse-
rimento paesaggistico, ma talvolta anche funzionali di erosione da ruscellamento
nelle litologie meno compatte o, addirittura, di franamenti difficili da mettere in
sicurezza.
Le scarpate in trincea andrebbero progettate a seconda della litologia, non sol-
tanto in funzione della stabilità geomeccanica, ma anche della ripristinabilità
(tabella 5.4.1). Rocce sciolte quali ghiaie e sabbie terrazzate, argille sovraconsoli-
date, marne, conglomerati, etc, vanno, ove non sussistano impedimenti al contorno,
scavate a pendenze non superiori ai 35°, per consentire appunto riporti di suolo e
successiva rivegetazione, con beneficio anche della stabilità superficiale e durata
nel tempo delle scarpate stesse. In certi casi di litologie particolarmente friabili è
necessario ricorrere a costose ed impattanti tecniche di stabilizzazione mediante
mantellate in cls.

246
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Tabella 5.4.1: Interventi di sistemazione ambientale delle scarpate

Litologia Pendenza Intervento


Tipologia A:
Angoli inferiori
Riporto di terreno vegetale + idrosemina +
o uguali a 35°
messa a dimora di arbusti autoctoni
Sabbie ghiaiose e ghiaie
sabbiose Tipologia B:
Riporto di terreno vegetale + rivestimento
Tra 35° e 40°
vegetativo a stuoia con reti metalliche + messa
a dimora di talee e arbusti autoctoni

Inferiori o
Tipologia A
Limi sabbiosi e sabbie uguali a 30°
limose a bassa plasticità
Tra 30° e 40° Tipologia B

Estensione in altezza inferiore a 5 m


Tipologia A + eventuale biostuoia
Inferiori o
uguali a 28° Estensione in altezza superiore a 5 m
Tipologia A + eventuale biostuoia + eventuale
Limi sabbiosi e argillosi drenaggio biotecnico (tip.G)
plastici, argille limoso- Tipologia B o viminate vive (tip. D) +
sabbiose Tra 28° e 38° idrosemina + messa a dimora di talee e arbusti
radicati
Grate vive (tip. I) o fascinate (tip. F) o
Tra 38° e 44° viminate (tip.D) + idrosemina + messa a
dimora di talee e arbusti radicati
Tufi litoidi conglomerati Rinaturazione spontanea + eventuali locali
Tra 55° e 65°
cementati interventi di ancoraggio con reti metalliche

Da S.I.A. 3° corsia Orte-Fiano

247
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Nel caso vi sia la necessità di adottare pendenze maggiori (40°- 45°) per la presen-
za di edifici, infrastrutture o aree urbanizzate in genere, per evitare fenomeni di ruscel-
lamento vanno previste tecniche di rivestimento o stabilizzanti (stuoie, reti, viminate
vive etc.) che consentano la permanenza in sito della terra vegetale da riportare e garan-
tiscano, quindi, la crescita della vegetazione.
Nel caso di rocce compatte non necessariamente va adottata la massima pendenza
tecnicamente possibile, ma il progetto dovrà tener conto dell’assetto e dei raccordi mor-
fologici in funzione di ottimizzazione paesaggistica. Gli interventi di rivestimento vege-
tativo nel caso di scarpate in roccia ricondotte a pendenze maggiori (45° - 60°) sono
molto onerosi o addirittura impossibili.
Vanno preferite, ove possibile dal punto di vista geotecnico, scarpate a tirata unica
invece di scarpate a gradoni. Infatti in queste ultime aumenta la pendenza di ogni sin-
gola scarpata a pari occupazione complessiva e, quindi, di superfici di esproprio e si
ottiene un antiestetico effetto geometrico legato alla presenza dei gradoni, anche se
rivegetati. Problemi di ruscellamento superficiale vanno risolti adottando interventi
antierosivi e stabilizzanti con tecniche di ingegneria naturalistica.
In figura. 5.4.B e foto da 5.4.5 a 5.4.12 viene riportata una possibile casistica di
interventi a verde su scarpate in trincea. Si noti che certe sistemazioni come ad esem-
pio l’impiego dello “spritz-beton”, anche se “rinverdito” con rampicanti (foto 5.4.12),
non sono da considerarsi interventi di I.N., mentre esistono tecniche alternative a pari
funzione quali il rivestimento vegetativo in rete e stuoia che ha migliori prospettive
di rinverdimento su rocce sciolte a pendenza minore (vedi foto in scheda interventi –
Arezzo). Anche la sola rete metallica su rocce fratturate costituisce di per sé un siste-
ma antierosivo che facilita la rivegetazione (vedi foto in scheda interventi – SS 195
Cagliari).

248
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Figura 5.4.B: Interventi di I.N. strade e ferrovie

249
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 5.4.5: Colonizzazione spontanea


scarpate in argilla con Arundo pliniana,
Hedysarum coronarium (3° corsia
Autostrada Fiano-Orte) - Foto G. Sauli

Foto 5.4.6: Rivegetazione scarpate, zona


colline moreniche (Autostrada Udine -
Tarvisio) - Foto G. Sauli

Foto 5.4.7: Messa a dimora di arbusti


della macchia mediterranea su scarpate
in trincea su litologia a matrice argillosa
(3° corsia Autostrada Fiano-Orte) - Foto
G. Sauli

250
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 5.4.8: Grata viva su scarpata in trin-


cea Montenars (UD) - Foto G. Sauli

Foto 5.4.9: Mantellate verdi su scarpata


(3° corsia Autostrada Fiano-Orte) - Foto
G. Sauli

Foto 5.4.10: Muro cellulare rinverdito


Tarvisio Boscoverde (UD) - Foto G. Sauli

Foto 5.4.11: Muri cellulari rinverditi su


scarpata in scavo (CZ) - Foto G. Sauli

251
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 5.4.12: Scarpata con spritz beton


con rampicanti S. Simeone (UD) - Foto G.
Sauli

5.4.3 Opere di sostegno


Per quanto riguarda le opere di sostegno applicabili in ambito stradale e ferrovia-
rio sia su scarpate in rilevato che in trincea, sono ormai collaudate una serie di tecniche
di ingegneria naturalistica che possono essere realizzate in sostituzione o in abbinamen-
to con strutture tradizionali. Risultano proponibili principalmente le seguenti tecniche
(per i dettagli vedasi il capitolo 7):
1 - Terre rinforzate rinverdite
Consentono opere di sostegno importanti di altezze anche notevoli, alternative di
rilevati a pendenza naturale, ma con notevole risparmio di spazio, o alternative di opere
murarie in calcestruzzo, ma con migliore reinserimento paesaggistico (figura 5.4.A2c1,
figura 5.4.B1IId, foto 5.4.3, 5.4.4,) opere con funzione combinata di sostegno di rileva-
ti e rivestimento ((figura 5.4.A2c2)
2 - Muri cellulari rinverditi (foto 5.4.10) e muri verdi in terra armata;
3 - Gabbionate rinverdite (figura 5.4.A2b);
4 - Palificate e grate vive utilizzabili per sostegno e rivegetazione di scarpate,
piste laterali, etc. (figura 5.4.A2a e 5.4.B2Ib, foto 5.4.8).
Va precisato che gli interventi a verde delle opere di sostegno devono prevedere
oltre alle semine anche la messa a dimora di arbusti autoctoni in zolla e/o di talee legno-
se (salici, tamerici).
Sono da considerarsi, infatti, incomplete e non collaudabili opere di ingegneria
naturalistica di sostegno o miste non accompagnate dalla messa a dimora di talee e
arbusti o addirittura senza semine. Ciò risponde a evidenti criteri naturalistici, ma anche
funzionali sia nelle palificate in legname che nelle terre verdi rinforzate e nei muri cel-
lulari, per le funzioni antierosive e di stabilizzazione dei cunei terrosi frontali.
Gli interventi con talee, ove possibili, sono facilitati se eseguiti in corso di costru-
zione della struttura (consentendo l’inserimento di astoni anche di 2 – 3 m), ma sono
soggetti ai limiti stagionali (autunno – inverno) di messa a dimora delle talee.

5.4.4 Rivegetazione a lato strada


Una categoria particolare di opere a verde a lato strada è costituita da opere com-
pensatorie di tipo naturalistico quali gli interventi di rivegetazione non strettamente
connessi con le pertinenze stradali (scarpate, rilevati), anche se collegate all’attenuazio-
ne di agenti inquinanti derivati.

252
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Vengono di seguito citate alcune categorie di tali interventi:


• Realizzazione a lato strada di fasce di vegetazione “tampone” con funzioni di
“filtro” sia per l’inquinamento atmosferico che luminoso e visuale, di almeno
10 m (figura 5.4.C1). Tali barriere verdi non hanno di per se, in genere, fun-
zioni antirumore e vanno abbinate, nel caso, a barriere fonoisolanti.
• Interventi di rivegetazione sia nelle aree di pertinenza della strada, a titolo di
mitigazione diretta degli impatti, sia a titolo compensatorio, in area più vasta,
con la finalità di migliorare il tessuto delle reti ecologiche, dei corridoi fauni-
stici ed, in genere, per l’aumento della biodiversità (figura 5.4.C2).
• Rivegetazione delle aree sotto i viadotti, che rimangono spoglie, in genere,
non per mancanza di luce, ma di acqua, che può però essere facilmente porta-
ta con un sistema di tubi diffusori per subirrigazione, collegati con la rete idri-
ca o in serie con le acque di smaltimento di piattaforma opportunamente con-
dizionate con delle vasche di prima pioggia (figura 5.4.C3).
Interventi antirumore
Una delle problematiche legate all’esercizio di strade e ferrovie è quello del rumo-
re, che va affrontato in sede di scelta del tracciato, mantenendo ove possibile l’infra-
struttura a distanze di sicurezza dagli abitati.
Nel caso che questo tipo di interferenza si manifesti per vari motivi contingenti
(vincoli morfologici, preesistenza di edifici in adiacenza nel caso di ampliamenti, etc),
vanno realizzati presidi antirumore che, nei settori stradale e ferroviario, sono ormai
adottati in Europa da oltre 20 anni.
La tipologia più diffusa, per motivi di praticità, in particolare legati allo spazio e al
massimo avvicinamento alla sorgente, è quella dei pannelli fonoisolanti montati su sup-
porti metallici al ciglio strada (foto 5.4.17).
L’uso della vegetazione con funzioni antirumore richiede fasce boscate molto
ampie (superiori ai 25-30 m e, quindi, poco proponibili nella realtà territoriale italiana)
e costituite da vegetazione arboreo- arbustiva molto fitta e realizzata con specie molto
ramose e con una componente di sempreverdi (resinose e latifoglie) di almeno il 30%.
Altri sistemi a verde possono essere realizzati con uso di terrapieni vegetati con le
tipologie che seguono:
• in terrapieno naturale vegetato, che richiede però comunque notevoli occupa-
zioni di spazio lato strada e rilevanti quantità di inerti (figura 5.4.D1);
• in strutture a terrapieno compresso verde che, a loro volta, si distinguono in
alcune tipologie costruttive:
- in doppia terra rinforzata rinverdita in rete sintetica (figura 5.4.D2);
- in doppia terra rinforzata rinverdita in rete metallica zincata e plastificata
(figura 5.4.D3 e foto 5.4.13 e5.4.14);
- barriera vegetativa antirumore (figura 5.4.D4 e foto 5.4.15 e 5.4.16);
• in doppio muro cellulare rinverdito in calcestruzzo (figura 5.4.D5 e D6));
• in doppio muro cellulare rinverdito in legno;
• in pannelli fonoisolanti abbinati a terrapieni verdi (figura 5.4.D7 e foto 5.4.17)
o a fasce di vegetazione. La scelta dei materiali, il dimensionamento in altez-
za, la scelta delle specie dovranno tener conto sia dei parametri tecnici, sia
delle caratteristiche della vegetazione locale (uso di specie autoctone), che dei
problemi di natura paesaggistica.

253
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Nel caso si adottino pannelli trasparenti, la loro presenza va segnalata con adesivi
di sagome di falconiformi per evitare lo schianto degli uccelli in planata (figura 5.4.F3).
L’esperienza degli ultimi anni dimostra che in certe situazioni (in genere viadotti in aree
urbane) si sono verificate numerose collisioni mortali.

Figura 5.4.C e D: Interventi di I.N. strade e ferrovie

254
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 5.4.13: Fase di costruzione di terra-


pieno antirumore in doppia terra rinfor-
zata verde (Bologna) - Foto G. Sauli

Foto 5.4.14: Terrapieno antirumore in


doppia terra rinforzata verde (A.V. Torino
- Milano) - Foto Maccaferri

Foto 5.4.15: Particolare barriera vegeta-


tiva antirumore - Foto G. Sauli

255
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 5.4.16: Barriera vegetativa antiru-


more in terrapieno compresso dopo 10
anni (Autostrada dei Trafori - Loc.
Baveno) - Foto G. Sauli

Foto 5.4.17: Pannelli fonoisolanti misti


Aurisina (TS) - Foto G. Sauli

Presidi idraulici e vasche di sicurezza


Un altro dei problemi di potenziale inquinamento derivante dall’esercizio delle
strade è quello dei liquidi derivanti dalle piattaforme stradali, in particolare le acque di
prima pioggia che trasportano nei recapiti una serie di inquinanti. Vanno in tal senso
realizzati sistemi di drenaggio collegati con delle strutture di presidio idraulico per la
captazione degli inquinanti a lato strada.
La collocazione, il numero, il dimensionamento e la tipologia dei presidi (vasche
di prima pioggia, vasche di sicurezza, ecosistemi filtro, etc.) vanno progettate in funzio-
ne dei seguenti fattori:
• presenza di corpi idrici vulnerabili (corsi d’acqua di particolare pregio, falde
freatiche superficiali o di uso idropotabile, sorgenti, etc.);
• volume di traffico;
• presenza abituale di veicoli per trasporto di liquidi pericolosi;
• piovosità annua e concentrazioni stagionali/giornaliere;
• tempi di ritorno considerati in funzione della valutazione del rischio (in gene-
re per le strade si considerano tempi di ritorno bassi per evitare sovradimen-
sionamenti inutili);
• superficie della sezione di piattaforma considerata;
• natura litologica del substrato in funzione della permeabilità.
Vengono individuate due casistiche principali:
1) quella delle acque di dilavamento della piattaforma stradale che, notoria-
mente, contengono residui inquinanti di varia natura (tabella 5.4.2) e che risultano con-
centrati nelle acque di prima pioggia, che, tramite i sistemi di drenaggio e canalizzazio-
ne, vengono convogliate nei recapiti adiacenti alla strada stessa;

256
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

2) quella degli sversamenti accidentali di liquidi inquinanti (benzina, gasolio,


trielina, etc) trasportati da veicoli in transito a seguito di incidenti.

Tabella 5.4.2: Principali inquinanti della piattaforma stradale


$JHQWLLQTXLQDQWL 3ULQFLSDOLIRQWLGLHPLVVLRQH
/RJRULR GHOOD SDYLPHQWD]LRQH RSHUD]LRQL GL
(OHPHQWLSDUWLFHOODUL
PDQXWHQ]LRQHDWPRVIHUD
)HUWLOL]]DQWL SURYHQLHQWL GDOOH IDVFH GL SHUWLQHQ]D
1LWUDWLHIRVIDWL
DWPRVIHUD
*DVGLVFDULFRFRQVXPRSQHXPDWLFL DGGLWLYLPLQHUDOL ROL
3LRPER
OXEULILFDQWLJUDVVLFRQVXPRFXVFLQHWWL
&RQVXPR SQHXPDWLFL DGGLWLYL PLQHUDOL  ROLR PRWRUH
=LQFR
DGGLWLYLVWDELOL]]DQWL 
5XJJLQH FDUUR]]HULD HOHPHQWL FRPSOHPHQWDUL GHOOD VWUDGD
)HUUR
EDUULHUHVHJQDOLHWF SDUWLPRELOLPRWRUH
5LYHVWLPHQWL PHWDOOLFL FRQVXPR FXVFLQHWWL ERFFROH H
5DPH IHURGLSDUWLPRELOLPRWRUHIXQJKLFLGLSHVWLFLGLXVDWLQHOOH
RSHUD]LRQLGLPDQXWHQ]LRQH
&RQVXPR SQHXPDWLFL DGGLWLYL PLQHUDOL  DSSOLFD]LRQH GL
&DGPLR
LQVHWWLFLGL
5LYHVWLPHQWL PHWDOOLFL SDUWL PRELOL GHO PRWRUH FRQVXPR
&URPR
GHLIHURGL
*DV GL VFDULFR GHL PRWRUL ROL OXEULILFDQWL ULYHVWLPHQWL
1LFNHO
PHWDOOLFLFRQVXPRGHOOHERFFROHHIHURGL
0DQJDQHVH 3DUWLPRELOLGHOPRWRUH
%URPR *DVGLVFDULFRGHLPRWRUL
&LDQXUR 6RVWDQ]HDJJOXWLQDQWLXVDWHQHLVDOLGLVJHODQWL
1DFD 6DOLGLVJHODQWLJUDVVL
&O 6DOLGLVJHODQWL
6SLOODPHQWR H SHUGLWH GL OXEULILFDQWL DQWLJHOR IOXLGL
62
LGUDXOLFLELWXPLIOXVVDWL
3FE ,QVHWWLFLGLDEDVHGLSFE
%DWWHULSDWRJHQL
5LILXWLYDULVRVWDQ]HRUJDQLFKHSXWUHVFLELOL
LQGLFDWRUL 
*RPPD &RQVXPRGHLSQHXPDWLFL
$PLDQWR &RQVXPRIUL]LRQHHIUHQL
2OLOXEULILFDQWLDEDVHGLQSDUDIILQHDQWLFRQJHODQWLIOXLGL
*UDVVLLGURFDUEXUL
SHUFRPDQGLLGUDXOLFL

Nel primo caso va realizzato un sistema costituito da (figura 5.4.E):


• sezione di piattaforma che costituisce il bacino di raccolta delle acque meteo-
riche;
• drenaggi e canalizzazioni convogliati in uno stesso punto;

257
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

• fossi di infiltrazione nel caso sia possibile questo sistema di smaltimento delle
acque (figura 5.4.E2)
• vasche di prima pioggia con funzioni: a) di sedimentazione del particolato
che veicola la maggior parte degli inquinanti; b) di disoleazione per i legge-
ri (olii);
• ecosistemi filtro sotto forma di vasche con vegetazione palustre per il filtrag-
gio ed abbattimento degli inquinanti (figura5.4. E3 e foto 5.4.18).

Figura 5.4.E e F: Interventi di I.N. strade e ferrovie

258
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 5.4.18: Ecosistemi filtro con funzio-


ne di vasche di prima pioggia in costru-
zione a lato strada (Brema-D) - Foto G.
Sauli

Nel secondo caso va realizzato un sistema costituito da:


• sezione di piattaforma che costituisce il bacino di raccolta delle acque meteo-
riche;
• drenaggi e canalizzazioni convogliati in uno stesso punto;
• vasche stagne a cascata con sistema di autosvuotamento a sifone, dimen-
sionate in funzione del parco autocisterne circolanti (max 40 mc) e dei
parametri di piovosità (massime concentrazioni per evento), in modo che
vi sia sempre disponibile una vasca vuota di dimensioni tali da poter con-
tenere tutto il volume di inquinante sversato, anche in presenza di piogge
eccezionali per il tempo necessario stimato per l’intervento dei mezzi di
emergenza.
In attesa di normative e direttive tecniche specifiche, come già adottate in altri
paesi europei, vanno concordati caso per caso, nell’ambito della procedura di V.I.A., i
valori soglia e i parametri di riferimento per l’ubicazione, il numero, le tipologie ed il
dimensionamento delle vasche. Una prima serie di indicazioni metodologiche sono
contenute negli atti del Workshop organizzato dal Ministero dell’Ambiente “Presidi
idraulici e vasche di sicurezza in ambito stradale” Roma 13 giugno 2000” (atti pubbli-
cati dalla rivista Le Strade n° 12 dicembre 2000).
Nell’ambito di tali progettazioni dovrà essere data priorità all’utilizzo di sistemi
biotecnici riferiti all’I.N. (bacini o avvallamenti di infiltrazione vegetati, ecosistemi fil-
tro, vasche di paludaggio), visto il contributo determinante dato dai processi biologici
alle funzioni di purificazione delle acque, nonché la ulteriore garanzia di trappola degli
inquinanti data da un ecosistema filtro in uscita ai sistemi tecnologici.

Provvedimenti per la fauna


Un altro settore di problematica naturalistica indotta dalla realizzazione e gestione
delle strade riguarda le possibili interferenze con la fauna.
Una prima verifica da effettuare in sede di valutazioni di impatto riguarda la con-
sistenza faunistica dell’area attraversata e la eventuale presenza di habitat di pregio
lungo il tracciato.
Tali dati di analisi consentono gli opportuni spostamenti del tracciato stradale,
fermo restando che, anche nelle zone a minor pregio, sono possibili interferenze con
singole specie, dati i dinamismi di certi gruppi faunistici (es. uccelli).

259
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Buona regola adottare in sede di progetto i provvedimenti atti ad evitare la fram-


mentazione degli habitat ed, in genere, le interferenze con i dinamismi della fauna
quali:
• prolungamento di viadotti in sostituzione di tratti in rilevato;
• realizzazione di sovrappassi (ponti ecologici) per macrofauna (figura 5.4.F1 e
foto 5.4.19);
• sottopassi scatolari per macrofauna e per microfauna collegati con provvedi-
menti di svio e deviazione (figura 5.4.F4) ;
• sistemi di recinzioni particolari realizzate con reti a maglia decrescente,
interrate alla base e dimensionate in rapporto alla fauna presente (figu-
ra 5.4.F2).
La tipologia, la collocazione e la frequenza di tali provvedimenti andranno indivi-
duati in funzione del territorio attraversato sulla base dell’analisi faunistica. In assenza
di dati probatori verranno adottate tipologie e frequenze prudenziali (minimo un pas-
saggio ogni 500 m).

Foto 5.4.19: Sovrappasso per uso fauni-


stico (Lussemburgo) - Foto G. Sauli

260
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Blufi (PA)
Specificità dell’intervento
Primo rilevato stradale basato su doppia terra rinforzata realizzato in Italia
Provincia/ Comune
Palermo/ Blufi
Altitudine slm / Esposizione/Inclinazione °
638 m / Strada asse SW-NE; scarpate: NW- SE / 32° - 45° (rispettivamente parte alta e bassa della scar-
pata)
Lineamenti vegetazionali
Coltivi collinari
Lineamenti geomorfologici
Falda affiorante
Obiettivo dell’intervento
Consolidamento di rilevato stradale su terreni umidi
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Sulla parte basale del rilevato, avente una pendenza di 45° , si è operato tramite doppia terra rinforzata
L 300 m

Materiali morti impiegati


Geotessuti ad elevata resistenza a trazione/taglio
Specie vegetali impiegate
Nessuna
Periodo dei lavori
1988
Osservazioni
A distanza di 15 anni la struttura risulta integra. Si è sviluppata una vegetazione erbacea infestante.

261
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 1: Uno dei primi rilevati stradali in doppia terra rinforzata realizzati in Italia Loc. Blufi 1988 - Foto
Harpo SEIC

Foto 2: Idem, Loc. Blufi, novembre 2003 - Foto G. Sauli

262
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Pula (CA)
Specificità dell’intervento
Rivegetazione con idrosemina a spessore e reti metalliche con biostuoie su scarpate stradali in roccia
Provincia/ Comune/ Località
Cagliari / Sarroch / Strada SS 195 (4 corsie) altezza uscita Sarroch
Altitudine slm /Esposizione/Inclinazione °
50 m / E / 45°
Lineamenti vegetazionali
Incolti
Lineamenti geomorfologici
Scarpata in trincea alta 15-20 m con berma intermedia in roccia granitica e substrato costituito da detri-
to colluviale granitico cementato
Obiettivo dell’intervento
Sistemazione antierosiva superficiale per evitare l’intasamento della canaletta stradale
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Rivestimento vegetativo in rete e stuoia e idrosemina S 5000 mq circa
Materiali morti impiegati
Stuoia in paglia, rete zincata a doppia torsione
Specie vegetali impiegate
Nessuna
Periodo dei lavori
Febbraio 1995
Osservazioni
La biostuoia si è decomposta, ad eccezione della reticella di supporto in plastica. La rete metallica è in
buono stato. La copertura è variabile in funzione del substrato; nei tratti litoidi è intorno al 15%, nei trat-
ti a graniti alterati, ove è più facile l’attecchimento, raggiunge l’80%. In ogni caso sulla berma, che con-
sente l’accumulo di suolo e di umidità, è intorno all’80%.
Le specie originarie del miscuglio sono state sostituite da specie spontanee erbacee ed arbustive. Le spe-
cie dominanti sono Inula viscosa, Avena barbata, Daucus carota, Trifolium sp., Carlina corymbosa,
Tamarix sp., Calicotome villosa, Cistus monspeliensis, Lavandula stoechas, Helichrysum italicum, etc.

263
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 1: Nuova SS 195 Km 18 per Pula (CA), rete metallica con funzione antierosiva (settembre 2003) -
Foto G. Sauli

Foto 2: Nuova SS 195 Km 18 per Pula (CA), rete metallica con funzione antierosiva (settembre 2003) -
Foto G. Sauli

264
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Scarpata ferroviaria linea Alta Velocità Roma-Firenze (AR)


Specificità dell’intervento
Intervento antierosivo e stabilizzante su scarpate ferroviarie in argilla a 40-45°
Provincia/ Località
Arezzo/ Km 201 circa linea AV Roma-Firenze
Altitudine slm /Esposizione/Inclinazione °
240 m /SW/ 40-45°
Lineamenti vegetazionali
Ambito agricolo
Obiettivo dell’intervento
Protezione antierosiva superficiale e stabilizzazione della scarpata
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Rivestimento vegetativo in paglia e rete zincata plastificata; piantagione di talee di salice e di arbusti radi-
cati autoctoni; idrosemina; dimensioni: H = 3-7 m, L = 500 m
Materiali impiegati
Paglia a fibra lunga, rete a doppia torsione zincata e plastificata chiodata con barre di acciaio a.m. D 22
mm, L 1,5m
Specie vegetali impiegate
Salix purpurea (talee); Crataegus monogyna, Cornus sanguinea, Spartium junceum, (piante radicate)
Periodo dei lavori
Febbraio 1990
Osservazioni
L’intervento ha garantito la stabilizzazione della scarpata con l’avvio di una evoluzione spontanea che ha
portato, in 12 anni, da situazioni erbacee iniziali dominate da leguminose (erba medica e lupinella) a fito-
cenosi a prevalenza di specie erbacee spontanee, con sviluppo di arbusti alti fino a 4 metri

265
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 1: scarpata con copertura a lupinella (aprile 1990) - Foto P. Cornelini

Foto 2: la stessa scarpata a giugno 2002 - Foto P. Cornelini

266
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

5.5 CAVE
Vengono prese in esame le più frequenti casistiche di interventi di recupero di cave
in Italia, organizzate secondo le principali tipologie di scavo in cui si possono far rien-
trare la maggior parte delle cave italiane.
La casistica riporta principalmente casi di recupero di tipo naturalistico con tecni-
che a verde e di ingegneria naturalistica, in coerenza con il tema del presente manuale.
La casistica considerata fa riferimento a regioni del centro-nord Italia dove sono stati
operati alcuni significativi interventi di ripristino.
Le tecniche di rivegetazione fanno ricorso ai principi e metodologie dell’ingegne-
ria naturalistica. Ogni intervento di rivegetazione prende in considerazione i dati di ana-
lisi naturalistica e geopedologica. Per quanto riguarda le tecniche risultano proponibili
principalmente interventi antierosivi e stabilizzanti (idrosemine, messa a dimora di
arbusti ed alberi, biostuoie, viminate e fascinate). Opere costose di tipo combinato (gab-
bionate e materassi verdi, terre rinforzate e palificate vive, rivestimenti vegetativi in reti
metalliche e stuoie, etc.) sono possibili, ma vanno considerate di impiego localizzato o
per casi particolari, principalmente per motivi di costo.
5.5.1 Cave di pianura (figura 5.5.A)
Le escavazioni in pianura sfruttano giacimenti di origine alluvionale (ghiaie, sab-
bie, argille, etc) con morfologie di scavo a fossa che possono o meno interessare le falde
acquifere sottostanti.
Si individuano le tipologie di recupero di seguito descritte.
A) Tipologie di recupero di cave in falda
Le escavazioni in pianura di una certa profondità mettono spesso a nudo la falda frea-
tica creando degli specchi d’acqua che si prestano a vari tipi di recupero/reutilizzo quali:
• laghetti di uso pescasportivo con veri e propri campi gara molto diffusi in tutta
la pianura padano-veneta;
• laghetti di uso fruitivo anche con funzioni di balneazione estiva, relativamente
frequenti nel centro Europa , scarsamente proponibili nell’Italia meridionale;
Recupero di tipo prettamente naturalistico con ricostruzione di ecosistemi palustri
in cui le morfologie di abbandono devono prevedere una fascia riparia a bassa penden-
za (in genere max 1:10), indispensabile per ricostruire gli elementi della idroserie della
vegetazione palustre (foto 5.5.1 e figura 5.5.A1).

Foto 5.5.1: Ripristino naturalistico con ricostruzione


dell’idroserie in ex cava di ghiaia in falda, 1982 -
Foto J. Ott

267
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Figura 5.5A e B: Interventi di I.N. cave

B) Tipologie di recupero di cave sopra falda


Si intendono le cave a fossa, molto diffuse in pianura, che interessano normalmen-
te profondità non superiori ai 20 m dal piano campagna. Il recupero di tali morfologie
può essere:

268
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

1) di tipo naturalistico (figura 5.5.A2 e A3) legato al rispetto di alcune con-


dizioni:
• non interessamento della falda freatica (fondo cava almeno di 2 m superio-
re al livello di massima escursione dello specchio di falda);
• pendenza delle scarpate non superiore ai 32° (meglio se di 25°);
• morfologia finale delle scarpate a tirata unica anche se la morfologia di
scavo prevedeva i gradoni;
• recupero del terreno agrario di scotico e sua stesura per lotti successivi
sulle scarpate e sul fondo cava;
• rivegetazione mediante semine e messa a dimora di arbusti ed alberi autoc-
toni;
• eventuale impiego di tecniche stabilizzanti (gradonate, viminate vive) sulle
scarpate.
2) di tipo agricolo (foto 5.5.2) o misto agricolo-naturalistico (figura 5.5.A4).
Le cave a fossa si prestano al reutilizzo quali depositi di inerti di scarto e quindi ad
un loro parziale o totale ritombamento e successivo recupero di tipo agricolo o misto.

Foto 5.5.2: Recupero all’uso agricolo su


piano ribassato cava ex Stefanel Gonars
(UD) medicaio da sovescio, 1983 - Foto G.
Sauli

5.5.2 Cave di monte


Le cave di monte (dette anche cave in roccia o di versante) costituiscono in Italia
una delle grosse problematiche territoriali e di impatto ambientale con migliaia di cave
attive.
Molti sono i fattori che hanno determinato la distribuzione pressoché su tutto il ter-
ritorio nazionale di tali “ferite” paesaggistiche:
• la prevalente morfologia collinare e montana del territorio nazionale;
• la vasta disponibilità dei giacimenti nelle zone pedemontane (uno dei materia-
li più richiesti sono gli inerti calcarei);
• la dislocazione delle richieste di mercato in prossimità dei centri abitati e
lungo gli assi stradali di fondovalle;
• altre considerazioni di natura urbanistica e socio-economica in relazione alla
realizzazione di grandi infrastrutture viarie ed industriali;
• la disponibilità di mezzi e tecnologie estrattive che consentono oggigiorno
grosse operazioni di scavo in tempi brevi.

269
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Le possibilità di recupero degli ambiti di cave di versante a fine coltivazione sono


varie, ma principalmente:
• recupero e riutilizzo di tipo urbanistico sia industriale che edilizio fruitivo e
abitativo;
• ripristino di condizioni naturalistiche e paesaggistiche mediante interventi
morfologici e di rivegetazione.
Vengono qui prese in considerazione le problematiche legate alla seconda possibilità,
per ottenere la quale si possono ulteriormente distinguere le metodologie di intervento che
seguono, dedotte da una casistica di interventi maturati negli ultimi 15-20 anni in Italia.
Vale in linea di massima la distinzione nelle principali tipologie di intervento che
seguono.
Coltivazioni a scarpata unica a piazzale discendente (o splateamento)
Le coltivazioni a scarpata unica a piazzale discendente (o splateamento) sono da con-
siderarsi le migliori da tutti i punti di vista, sia paesaggistico e naturalistico che industriale.
Il caso della cava di calcare del M. S. Lorenzo in località Fanna (Maniago-PN).
Viene effettuato uno scavo dall’alto verso il basso, a piazzale discendente, (Figura
5.5.B1 e Foto in scheda M. S. Lorenzo di Fanna) con scarpate di 35°-37° Questa penden-
za corrisponde all’angolo di stabilità della terra vegetale, mentre al di sopra di questo valo-
re c’è pericolo di erosione e franamenti. I fronti di scavo sono perpendicolari alle scarpa-
te, consentendo la lavorazione meccanica delle superfici destinate al ripristino. È possibile
effettuare riporti di terreno vegetale a fasce discendenti e periodici interventi di semina e
messa a dimora di arbusti locali. Terreno ed arbusti possono, almeno in parte, essere rica-
vati in corso d’opera da scotici e trapianti derivanti dalle aree di scopertura in modo da
poter ricostituire le formazioni vegetali tipiche di quei versanti. Altra terra vegetale può
essere portata dalla pianura e gli arbusti possono essere derivati da vivaio. Nel corso degli
anni, a partire dalle scarpate più alte (che sono anche le prime ad essere trattate) si verifi-
ca l’ingresso progressivo delle specie naturali dalle formazioni vegetali circostanti.
Sulla base delle esperienze di oltre 15 anni maturate in alcune cave del Friuli, come
quella del M. S. Lorenzo, i risultati si possono considerare ottimali e la metodologia
andrebbe estesa a tutte le cave di nuovo impianto ed a quelle esistenti in cui esistono i
presupposti per la riconversione morfologica a scarpata unica a 35°mediante operazio-
ni di scavo/riporto.
Coltivazioni a gradoni
Le coltivazioni a gradoni sono le più frequenti e consentono varie forme di recupe-
ro che sono:
A) di una certa efficacia se il rapporto tra alzata e pedata è tale da non superare
la pendenza media complessiva di 45° (figura 5.5.B2e B3).
In tal caso è possibile:
• riportare inerti di scarto sui gradoni e ricostruire delle superfici di scarpata in
materiale sciolto rivegetabile, sufficienti a mascherare buona parte delle super-
fici di cava come nel caso della cava di calcare “Scoria”, in provincia di
Trieste, nella quale sin da metà anni ’80 sono stati condotti interventi speri-
mentali di rivegetazione con specie della boscaglia termofila del Carso triesti-

270
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

no. Attualmente la cava è in fase di totale ricoprimento ed è stata ritombata


con riporti di materiale inerte generalmente arenaceo risultanti da scavi in pro-
vincia di Trieste. Il materiale viene vagliato, steso, e rivegetato mediante semi-
ne e varie specie di arbusti. I risultati migliori sono stati ottenuti con Prunus
mahaleb che va considerata specie guida su substrati rocciosi in zona carsica;
• abbattere in fase di abbandono finale le teste di scarpa dei gradoni per riempire la
parte sottostante ed ottenere una serie di superfici in scavo o riporto con penden-
ze non superiori ai 30°-35° che consentono riporti di terra vegetale e rinverdimen-
ti con normali interventi di semine e messa a dimora di arbusti (figura 5.5.B4);
B) di difficile intervento a verde nei casi di fronti di cava subverticali (60° o più) con
piccoli gradoni, spesso inaccessibili. Si riporta come esempio la cava di Monsummano
(Toscana) (figura 5.5.B5 e foto 5.5.3) nella quale lo scavo è stato subverticale e i risulta-
ti del ripristino sono stati alquanto deludenti, anche perché come specie ricolonizzatrice è
stato impiegato il cipresso dell’Arizona, mentre la circostante vegetazione è a lecceta nel
versante sud e a bosco mesofilo in quello nord. Tali interventi con filari di resinose esoti-
che sui gradoni non danno nessun risultato, neanche di natura visuale.

Foto 5.5.3: Recupero con piantagione di


resinose esotiche su gradoni, cava di
Monsummano (PT), 2003 - Foto P. Binazzi

Qualche risultato si ottiene sui rilevati basali previo riporto di terreno vegetale o
compost combinato con opere stabilizzanti o palizzate di contenimento, come nel caso
della cava Melta (vicino Trento), dove la morfologia risultava migliore e la riconversio-
ne è stata attuata tramite graticciate e riporti di terra.
Un caso di buona riuscita di interventi di rivegetazione su rilevati basali è quello
della cava “Fous” di Maniago (PN). Tale cava è stata rinverdita alla fine degli anni ’70
inizio anni ’80, mediante idrosemina, viminate vive e messa a dimora di arbusti ed albe-
ri. Su una scarpata in frana a valle della strada di accesso è stato impiegato anche
l’Ontano napoletano (Alnus cordata) che per il Friuli non è autoctono, ma ha dato buoni
risultati dal punto di vista del consolidamento.
Interventi sperimentali di rivestimento subverticale con materassi rinverditi pre-
confezionati hanno dato scarsi risultati a fronte di notevoli costi di messa in opera e
manutenzione.
Interventi di inscurimento della roccia con sostanze ossidanti danno rapidi risulta-
ti di natura visuale, ma sono da considerarsi temporanei e accessori. Veri e propri inter-
venti di “verniciatura” sono stati sperimentati negli anni ’80 in qualche cava del nord
Italia e completamente abbandonati sia per gli scarsi risultati nel tempo, sia per motivi
di inquinamento, sia perché da considerarsi un caso evidente di “imbroglio ecologico”.

271
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

C) di risultati intermedi se le pendenze complessive sono di 50°- 55° per gli scar-
si risultati di mascheramento e l’eccessivo geometrismo che permane nella morfologia
a gradoni.
Situazioni miste
Sono abbastanza frequenti situazioni miste ed articolate, con morfologie di scavo
derivate da condizionamenti locali di natura amministrativa ed urbanistica.
Nel caso di attività minerarie a cielo aperto, assimilabili per problematiche di ripri-
stino alle cave, vi sono spesso condizionamenti legati alla dislocazione dei giacimenti
che richiedono talvolta interventi particolari di ripristino.
Il caso della miniera di feldspato di Giustino in provincia di Trento
Si riporta il caso di un intervento in una miniera di feldspato (miniera di Giustino
in provincia di Trento) in cui lo scavo del minerale aveva prodotto negli anni morfolo-
gie miste sulle varie litologie sovrastanti il giacimento.
Nella figura 5.5.4 sono indicate con: I - lo strato di copertura in morena scavato a 30°-
32°; II - lo strato di roccia scistosa di contatto con il giacimento, scavato a 45°; III- il giaci-
mento di feldspato vero e proprio coltivato a gradoni di 10 m di alzata e 3-5 m di pedata.

Figura 5.5.4: Strati di copertura S. Giustino (TN)

Interventi di rivegetazione sulla scarpata in roccia scistosa a 45° sono stati realiz-
zati su supporti in sacche a materasso in reti metalliche rivestite internamente con stuo-
ie sintetiche tridimensionali e riempite di inerte terroso a matrice sabbiosa (figura
5.5.B7 e foto 5.5.7).
Sui gradoni sono invece stati realizzati dei rilevati con inerte di scopertura, soste-
nuti da gabbionate rinverdite e da terre rinforzate verdi in geotessili in poliestere (figu-
ra 5.5.B6 e foto 5.5.5 e 5.5.6).

272
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

L’effetto finale sia paesaggistico che di consolidamento a distanza di 10 anni è


buono, pur essendo un intervento molto costoso e difficilmente proponibile per le nor-
mali cave di inerte (foto 5.5.8).

Foto 5.5.5: Interventi di ricomposizione


morfologica e rivegetazione con rilevati
sostenuti da gabbionate e terre rinforzate
verdi durante i lavori (1986), Miniera di
Giustino Val Rendena (TN) - Foto G. Sauli

Foto 5.5.6: Interventi di ricomposizione


morfologica e rivegetazione con rilevati
sostenuti da gabbionate e terre rinforzate
verdi dopo 1 anno (1987), Miniera di
Giustino-Val Rendena (TN) - Foto G. Sauli

Foto 5.5.7: Realizzazione di materassi a


sacche in rete metallica e stuoia sintetica
tridimensionale riempite di terreno e rive-
getate, Miniera di Giustino Val Rendena
(TN) - Foto G. Sauli

Foto 5.5.8: Realizzazione di materassi a


sacche in rete metallica e stuoia sintetica
tridimensionale riempite di terreno e rive-
getate Miniera di Giustino Val Rendena
(TN), visione d’insieme (1996) - Foto G.
Sauli

273
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Miniera di sabbia silico-feldspatica di pianura a sviluppo chiuso “Ripa Mucchi”(LT)


Specificità dell’intervento
Interventi di rinaturalizzazione con ricostituzione della vegetazione climacica
Provincia/ Comune/ Località
Latina/ Priverno / miniera di sabbia silico-feldspatica “Ripa Mucchi”
Altitudine slm /Esposizione/Inclinazione °
Quota min: 20 m quota max: 75 m s.l.m; zona pianeggiante
Lineamenti vegetazionali
Ambito di macchia mediterranea con significative presenze di Quercus suber
Lineamenti geomorfologici
Sabbie eoliche gialle e rosse, silico-feldspatiche appartenenti alla “duna antica”
Obiettivo dell’intervento
Recupero naturalistico con ritorno alla situazione ante-operam
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Suddivisione della scarpata finale in gradoni (alzata 10 m, pedata 5-7 m, pendenza 40°);
Riempimenti con argille (scarti di lavorazione) e terreno vegetale precedentemente accantonato e stoccato;
Idrosemina e piantagione di specie arbustive ed arboree tipiche della macchia mediterranea;
Dimensioni allo stato attuale ca. 10 Ha.
Materiali morti impiegati
Terreno misto (cappellaccio e scarti di lavorazione), terra vegetale, reti di juta, picchetti metallici ricur-
vi di 30 cm, semi, piante (oltre 8000).
Specie vegetali impiegate
Quercus ilex, Quercus suber, Quercus pubescens, Arbutus unedo, Pistacia lentiscus, Cytisus scoparius,
Ligustrum vulgare.
Periodo dei lavori
Il recupero delle aree estrattive esaurite è iniziato 25 anni fa e prosegue a mano a mano che la coltiva-
zione perviene ai profili di abbandono di scarpate e piazzali.
Ogni anno, a settembre, si effettuano gli interventi di idrosemina e gli impianti forestali.
Osservazioni
Le piantine messe a dimora hanno un’altezza di 40 cm; dopo la messa a dimora si effettuano le cure col-
turali (diserbo manuale, concimazioni ed irrigazione), per i primi 2/3 anni. L’impianto di irrigazione è
fisso e l’irrigazione viene effettuata da maggio a settembre, con cadenza di tre - quattro volte alla setti-
mana. Le reti di juta tendono a degradarsi nel giro di due anni circa. Le specie utilizzate nell’idrosemi-
na sono un mix di graminacee e leguminose effimere che preparano il terreno all’ingresso delle specie
erbacee spontanee. Le specie erbacee dominanti sono: Anthemis arvensis, Conyza canadensis, Cistus sal-
vifolius, Euphorbia sp., Andryala sp, Avena barbata, Briza maxima, Trifolium campestre,Vicia villosa,
Inula viscosa, Chenopodium album, Cynosorus echinatus, Carduus nutans, Hypericum perforatum. Si ha
anche la presenza di una specie arbustiva spontanea: Heliantemum sp., e di Arundo donax. La copertura
della vegetazione erbacea è pari al 75%, quella arboreo arbustiva al 15%; nella parte alta dei gradoni il
pino copre anche il 90% del suolo.

274
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 1: situazione attuale - vista delle scarpate recuperate (la coltivazione prosegue nel piazzale di base)
- Foto N. Ferranti

Foto 2: particolare recupero - Foto N. Ferranti

275
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 3: particolare - rete in geostuoia e specie erbacee - Foto N. Ferranti

Foto 4: particolare - un irrigatore fisso - Foto N. Ferranti

276
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Scoria (TS)
Specificità dell’intervento
Ricomposizione morfologica con inerti di scarto e rivegetazione di una cava di calcare ad anfiteatro a
gradoni
Provincia/ Comune/ Località
Trieste/ S.Dorligo della Valle/ Bosco Bazzoni
Altitudine slm /Esposizione/Inclinazione °
280-390 m/ Sud/ 30°
Lineamenti vegetazionali
Boscaglia carsica a roverella e carpino nero, landa carsica, pinete di impianto a pino nero austriaco
Lineamenti geomorfologici
Crinale su altopiano calcareo
Obiettivo dell’intervento
Ricomposizione morfologica con inerti di scarto e rivegetazione di una cava di calcare ad anfiteatro a
gradoni mediante semine e messa a dimora di arbusti autoctoni. Primo campione eseguito nel 1985 su un
rilevato sulla parete ovest della cava.
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Idrosemine, gradonate vive di salici, messa a dimora di arbusti autoctoni
Materiali morti impiegati
Nessuno
Specie vegetali impiegate
Salix sp.pl., Prunus mahaleb, Crataegus monogyna, Fraxinus ornus, Ostrya carpinifolia, Quercus pube-
scens
Periodo dei lavori
1985-86, 1992
Osservazioni
L’intervento campione ha dato buoni risultati evidenziando come specie guida il Prunus mahaleb per il
comportamento pioniero in condizioni di forte aridità.

277
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 1: Cava Scoria intervento campione di ricomposizione morfologica e rivegetazione con specie della
boscaglia carsica 1985-1992 - Foto G. Sauli

Foto 2: Cava Scoria intervento campione di ricomposizione morfologica e rivegetazione con specie della
boscaglia carsica dopo 10 anni - Foto G. Sauli

278
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

M. S. Lorenzo di Fanna (PN)


Specificità dell’intervento
Rivegetazione di scarpate in roccia calcarea a 35°
Provincia/ Comune/ Località
Pordenone/ Maniago/ Fanna
Altitudine slm /Esposizione/Inclinazione °
700 m/ Sud-Est/ 35°
Lineamenti vegetazionali
Orno-Ostrieti e seslerieti
Lineamenti geomorfologici
Versanti pedemontani delle Alpi Orientali
Obiettivo dell’intervento
Rivegetazione di scarpate di cava in roccia calcarea profilate a 35° con riporti di terra vegetale, semine e
messa a dimora di arbusti
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Semine e messa a dimora di arbusti, trapianto di arbusti
Materiali morti impiegati
Nessuno
Specie vegetali impiegate
Arbusti dell’orno-ostrieto
Periodo dei lavori
A varie riprese dal ‘95 in poi
Osservazioni
La miglior strategia di coltivazione e recupero di una cava in roccia mai realizzata in Italia.

279
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 1: Cava di calcare del M. S.Lorenzo di Fanna (PN) 1993 - Foto G. Sauli

Foto 2: Cava di calcare del M. S. Lorenzo di Fanna (PN). Fase di stesura della terra vegetale 1995 - Foto
G. Sauli

280
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Conclusioni
Gli interventi di rivegetazione delle cave costituiscono uno dei settori di applica-
zione dei metodi e principi dell’ingegneria naturalistica. Valgono alcune regole deonto-
logico-pratiche quali:
• massimo impiego di rimodellamenti morfologici che devono, nella migliore
delle ipotesi, essere strettamente collegati con gli scavi;
• utilizzo di tecniche di coltivazione che consentano ripristini contemporanei
agli scavi;
• impiego di specie autoctone di arbusti ed alberi per il miglior reinserimento
naturalistico e paesaggistico delle superfici denudate;
• uso limitato di tecniche con impiego di materiali artificiali;
• impiego delle tecniche più semplici a pari funzione, evitando inutili sovradi-
mensionamenti.
5.6 DISCARICHE
L’argomento discariche viene qui preso in considerazione principalmente per quan-
to riguarda le tecniche di recupero a verde che risultano necessarie, a discarica esaurita,
date le vaste superfici in terra che si vengono a creare nelle parti superiori delle discari-
che stesse e nelle adiacenze (piazzali di stoccaggio e manovra, piste interne, etc.). Si
rimanda ad altra sede per le fondamentali problematiche relative alla pianificazione urba-
nistica nonché alla progettazione geotecnica ed ingegneristica delle discariche stesse.
Viene di seguito sintetizzata la problematica degli interventi a verde su discariche
organizzate secondo le seguenti tipologie:
• discariche di rifiuti solidi urbani (RSU) e discariche di rifiuti tossici nocivi
(RTN);
• discariche di inerti;
• discariche minerarie;
Dal punto di vista del recupero, in genere, gli interventi a verde possono essere
affrontati quando la discarica o un suo lotto funzionale sono esauriti e ne è stata effet-
tuata la chiusura superiore secondo le tecnologie previste dal progetto.
Le tecniche di rivegetazione risultano, a questo punto, di solito semplificate e si
svolgono secondo le seguenti modalità:
• riporto di terreno vegetale sugli inerti drenanti di ricopertura (di solito alme-
no 30 cm di terreno agrario su almeno 50 – 100 cm di inerte drenante);
• semine o idrosemine potenziate con miscele adatte alla situazione pedoclima-
tica ed ambientale locale;
• messa a dimora di specie arbustive autoctone con disposizione a isole ed evi-
tando geometrismi. L’impiego di specie arboree va limitato, per ovvie ragioni
funzionali di durata dei teli di sigillatura superiore, alle sole fasce marginali
esterne al vero e proprio corpo discarica;
• tecniche di ingegneria naturalistica che vanno adottate negli interventi di con-
solidamento dei terrapieni e nella sistemazione di opere di canalizzazione
perimetrali. Sono talvolta utili interventi con tecniche antierosive o stabiliz-
zanti anche sulle parti in scarpata della discarica stessa per evitare effetti di
ruscellamento o solchi in tratti in pendenza (stuoie organiche, viminate o gra-
donate vive, geocelle a nido d’ape, etc.);

281
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

• realizzazione di fasce boscate tampone nelle aree perimetrali attorno alla


discarica.
Sono da prendere in considerazione anche tecniche di tipo naturalistico che preve-
dono l’utilizzo di materiale da propagazione locale quali:
a) il trapianto in zolla a mosaico (copertura dei trapianti di circa il 10 %) di coti-
ci di formazioni erbacee di prati-pascoli polifiti;
b) le semine con fiorume proveniente dalle formazioni naturali o paranaturali
circostanti;
c) il trapianto di arbusti pionieri dal selvatico (ad es. specie di gariga ).
Tali pratiche, di sicura efficacia e significato in funzione della biodiversità, sono
state negli ultimi anni utilizzate nelle regioni meridionali nel settore dei metanodotti. Il
loro utilizzo nel settore delle discariche è proponibile per interventi in vicinanza ad aree
protette (es. aree SIC – ZPS), o, comunque, aree ad elevata naturalità.
5.6.1 Discariche di RSU e RTN
Per quanto riguarda le discariche di RSU e di RTN la strategia più diffusa attual-
mente in Italia si basa su tecniche di “incaramellamento” del corpo discarica mediante
materiali impermeabili che permettono un totale isolamento dall’ambiente esterno.
A questo scopo vengono usati geomembrane e materiali bentonitici che hanno dei
coefficienti di permeabilità molto bassa (K=10-11). Rispetto alla morfologia si indivi-
duano alcune principali tipologie quali:
• a fossa;
• a montagnola;
• di versante.
Inizialmente (anni ’80) veniva impermeabilizzato solamente il fondo della discari-
ca, per evitare l’inquinamento delle sottostanti falde acquifere da parte dei liquidi per-
colanti.
La parte superiore era lasciata senza impermeabilizzazione, in quanto così facendo
veniva evitato l’accumulo dei biogas che rendevano asfittico il terreno non permetten-
do la crescita delle piante. Attualmente, invece, viene eseguito anche un isolamento
superiore e i biogas formati, derivanti dalle fermentazioni aerobiche e anaerobiche dei
rifiuti, vengono intercettati con un sistema di tubi drenanti per consentirne l’utilizzo. A
volte il biogas non viene recuperato, ma bruciato tramite delle torce di sfiato e scarico.
Tale rivestimento permette alla fine la messa a dimora degli arbusti che possono
spingere il loro apparato radicale all’interno del terreno vegetale e del corpo drenante,
per fermarsi a livello del non tessuto, senza apportare alcun danno alle geomembrane.
La copertura dei rifiuti avviene anche giornalmente tramite la stesura di inerte a
strati.
A copertura terminata la realizzazione del verde è relativamente semplice, tranne
che per gli ormai noti problemi di reperimento delle miscele di sementi e di arbusti.
In figura 5.6.A viene presentato schematicamente uno dei casi più frequenti di
discarica in cui viene riutilizzato il volume di una cava esaurita e vengono riportate le
serie di stratificazioni, membrane e interventi a verde realizzabili.
Nella foto 5.6.1 viene illustrato un intervento di rivegetazione di una discarica di
RSU in Alto-Adige.

282
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 5.6.1: Rivegetazione mediante semi-


ne, messa a dimora di arbusti e gradonate
vive di salice. Discarica RSU di versante
di Sciaves (BZ) - Foto F. Palmeri

Figura 5.6A e B: Interventi di I.N. discariche

283
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Casistica di interventi a verde in discariche di RSU e RTN


Discarica di Maniago (PN)
Viene riportato il caso della discarica di RSU in loc. Cossana in prossimità di
Maniago (PN). L’ambiente circostante è rappresentato dai cosiddetti “magredi”, prati
–pascoli aridi su terrazzi ghiaiosi del T. Cellina, ricchi di specie di prato arido
(Crisopogoneto). La discarica è realizzata parzialmente a fossa (foto 5.6.2 ) con chiu-
sura a “montagnola”. Nel 1° lotto della discarica è già stato effettuato il recupero a
verde, ma l’aspetto attuale è dominato dalla crescita delle infestanti. Nei lotti successi-
vi è previsto l’utilizzo nelle semine del fiorume prelevato mediante sfalciatura o treb-
biatura nei prati-pascoli naturali adiacenti, nonché lo sfalcio di manutenzione per evi-
tare il fenomeno delle infestanti.

Foto 5.6.2: Discarica di Maniago (PN)


Loc. Cossana. Preparazione del fondo di
discarica a fossa - Foto G. Sauli

Un problema di questa ed altre discariche è rappresentato dalle polveri, in quanto


la strada di accesso è sterrata e numerosi camion la percorrono giornalmente. Per ovvia-
re a questo inconveniente esistono alcune possibili soluzioni da usare in alternativa o in
concomitanza:
• la strada potrebbe essere asfaltata (rimuovendo in seguito l’asfalto);
• possono essere effettuate delle bagnature con le autobotti;
• le polveri potrebbero essere arginate con delle siepi a bordo strada.
Discarica di Gonnesa (CA)
Si riporta il caso della discarica di rifiuti tossici-nocivi di Gonnesa (CA) che è stata
realizzata in una ex cava di bentonite, in un contesto di alto valore paesaggistico e natura-
listico di gariga costiera sarda con affioramenti di massi granitici, creando i presupposti per
interventi molto impegnativi dal punto di vista naturalistico (foto 1 e 2 in scheda Gonnesa).
Il recupero è progettato a lotti di cui il primo è stato completato, il secondo e il
terzo sono in corso.
Il paesaggio circostante orientava il ripristino verso la ricostruzione della gariga, ma
nel primo lotto le specie vegetali impiegate, pur facenti parte di quell’habitat (cisto,
rosmarino, lentisco, etc), vennero sistemate con disposizione geometrica a isole mono-
specifiche e con utilizzo anche di specie esotiche (agave). Stessa sorte è spettata ai massi
granitici, recuperati per essere sparsi in modo casuale (naturale!) sul terreno, e che ven-
nero invece sistemati con disposizione architettonica, con un risultato finale distante

284
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

dalle ricercate realizzazioni di soluzioni naturali e quanto più possibile simili all’ambien-
te circostante (ricucitura all’ambiente circostante/innesco di sistemi naturali).
5.6.2 Discariche di inerti
Nei grossi progetti di infrastrutture viarie viene normalmente elaborato e realizzato
il “piano cave e discariche” che prevede le fonti di approvvigionamento degli inerti da
costruzione e la messa a discarica degli inerti in eccedenza o non riutilizzabili per scar-
se caratteristiche geotecniche. In genere tali inerti di scarto vengono collocati in aree di
cava esaurite quale ricomposizione morfologica e paesaggistica almeno parziale.
Si riporta un caso di riciclaggio di inerti per rimodellamenti morfologici e recupe-
ri a verde di cave in roccia abbandonate o in fase di chiusura.
Cava di calcare Scoria (TS) (foto 5.6.3 e 5.6.4)

Foto 5.6.3: Ritombamento parziale con inerti di riciclaggio e rivegetazione di scarpa-


te su cava a gradoni Cava Scoria (TS) - Foto G. Sauli

Foto 5.6.4: Ritombamento parziale con inerti di riciclaggio e rivegetazione di scarpa-


te su cava a gradoni Cava Scoria (TS) - Foto G. Sauli

In tale caso vengono appunto riciclati inerti di scarto da scavi di fondazioni, demo-
lizioni, etc. derivanti sia dal fabbisogno della città che da alcune grosse infrastrutture
viarie attualmente in costruzione nella provincia di Trieste.
Sono previsti interventi di idrosemina e messa a dimora di arbusti tipici della vegeta-
zione del Carso triestino da cui si attende un recupero paesaggistico delle due cave citate.

285
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

5.6.3 Discariche minerarie


Discarica della miniera di Campo Pisano (CA)
Quanto sopra riportato può esser applicato anche in ambito mediterraneo, salvo
selezione delle specie arbustive, suffruticose ed erbacee da impiegare nelle singole
regioni e località.
Viene riportato il caso di un intervento campione eseguito su una discarica di ste-
rili a basso contenuto di zinco e piombo nella miniera di Campo Pisano (Iglesias - CA)
(foto 5.6.5, 5.6.6 e 5.6.7).

Foto 5.6.5: Interventi sperimentali antiero-


sivi e di stabilizzazione su scarpata di
discarica mineraria a Campo Pisano
(Iglesiente-Sardegna) a distanza di 5 anni
(2000) - Foto G. Sauli

Foto 5.6.6: Interventi sperimentali antiero-


sivi e di stabilizzazione su scarpata di
discarica mineraria a Campo Pisano
(Iglesiente-Sardegna) a distanza di 7 anni
(2002) - Foto G. Sauli

Foto 5.6.7: Interventi sperimentali antiero-


sivi e di stabilizzazione su scarpata di
discarica mineraria a Campo Pisano
(Iglesiente-Sardegna), particolare particel-
la con impiego di soli arbusti autoctoni di
gariga mediterranea dopo 7 anni dall’in-
tervento - Foto G. Sauli

286
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

La scarpata interessata dalle opere (circa 1000 m2 con pendenza 40°- 45°) fu sud-
divisa in otto particelle longitudinali (5x25 m) che sono state rinaturate con differenti
metodiche, onde valutare in modo comparativo i risultati ottenuti.
Le tecniche impiegate sono state:
• rivestimento con biofeltro preseminato e preconcimato, fissato con rete metal-
lica a maglia 10 x 10 cm;
• fascinate e cordonate vive di tamerici alternate a messa a dimora di arbusti
autoctoni;
• palizzata viva di tamerici;
• copertura con stuoia in fibra di cocco e piantagione di piante erbacee perenni;
• rivestimento in paglia con rizomi sminuzzati di graminacee e semina;
• copertura con terra vegetale, stuoia in fibra di cocco e semina;
• messa a dimora di arbusti autoctoni di gariga mediterranea e cespi di grami-
nacee in vaso;
• testimone (senza interventi).
Su tutte le parcelle è stata inoltre eseguita una idrosemina di copertura con miscu-
glio di specie selezionate tra le più resistenti alle condizioni di aridità e di carenza nutri-
zionale.
Fu prevista l’irrigazione solamente nella parte superiore dei versanti e fu limitata
al primo periodo di vegetazione; l’acqua è un fattore condizionante primario in queste
situazioni, per cui, inizialmente, l’attecchimento e la crescita sono stati migliori nella
zona sommitale.
Il risultato delle sperimentazione indica l’impiego di arbusti pionieri mediterranei
come prioritario nelle rivegetazioni di scarpate in condizioni di forte aridità, mentre le
semine danno scarsi risultati, salvo impiego di specie erbacee locali da attuare median-
te fiorume, spargimento di fienagioni o trapianto di cespi di graminacee.
In un’altra discarica della zona, in quegli anni, alcune scarpate vennero rinverdite
con il Mesembryanthemum (fico degli Ottentotti) sfruttando la sua capacità di veloce
tappezzante. I risultati furono però nulli a causa delle sue non valide capacità biotecni-
che (foto 5.6.8).

Foto 5.6.8: L’impiego di tappezzanti quali


Mesembryanthemum (fico degli Ottentotti)
non ha dato negli anni nessun risultato su
scarpate minerarie in condizioni similari a
quelle delle due foto precedenti - Foto G.
Sauli

287
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Gonnesa (CA)
Specificità dell’intervento
Incaramellatura di fanghi industriali e recupero paesaggistico con specie locali
Provincia/ Comune/ Località
Cagliari / Gonnesa / Acqua Sa Canna
Altitudine slm
100-150 m
Lineamenti vegetazionali
Gariga mediterranea
Lineamenti geomorfologici
Rocce granitiche con massi affioranti
Obiettivo dell’intervento
Recupero di discariche di fanghi industriali in ex aree minerarie tramite ricomposizione morfologica e
rivegetazione
Materiali morti impiegati
Geomembrane, tessuti non tessuti
Specie vegetali impiegate
Rosmarino, mirto, lentisco, cisto, oleandro, agave
Periodo dei lavori
1999
Osservazioni
Buona riuscita del primo lotto. Va migliorata la scelta delle specie e la disposizione a morfologia natu-
raliforme dei massi granitici.

288
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 1: Discarica industriale di Gonnesa - Fase di sigillatura superiore - Foto G. Sauli

Foto 2: Discarica industriale di Gonnesa - Fase di rivegetazione - Foto G. Sauli

289
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

5.7 CONDOTTE INTERRATE

Per quanto riguarda le condotte interrate (metanodotti, oleodotti), le principali


interferenze, in termini naturalistici, sono legate alla sottrazione temporanea di aree per
la realizzazione delle condotte stesse che, per la loro natura di infrastrutture lineari di
collegamento, attraversano vasti territori anche montani.
L’impatto è legato alle operazioni d’interramento che prevedono scavi e ricoper-
ture dopo la posa. Sono di solito interessate fasce di lavoro temporanee che, per dia-
metri della condotta da 900 a 1.400 mm (36” - 56”), sono larghe da 22 a 34 m in con-
dizioni normali e da 15 a 23 m nei boschi e nelle aree di particolare interresse
ambientale.
Tali fasce di lavoro temporanee sono destinate al transito dei mezzi di cantiere, alla
saldatura dei tubi ed allo scavo della trincea. La loro apertura può produrre notevoli
impatti visuali, naturalistici e rappresenta un potenziale problema di difesa del suolo sui
versanti montani interessati.
Vale il principio della totale rimessa in pristino delle fasce d’intervento.

5.7.1 Riutilizzo dei substrati pedologici

Per quanto riguarda le tecniche di ripristino, vale la raccomandazione principa-


le di effettuare lo scotico, accumulo e rimessa in pristino dello strato di terreno
vegetale separatamente dall’inerte roccioso sottostante. Tale operazione è relativa-
mente facile e viene normalmente eseguita nelle zone agricole di pianura e collina
che possono essere ricomposte completamente e riportate all’uso del suolo prece-
dente.
Nei territori montani ed alpini ed, in genere, nelle morfologie con rocce subaf-
fioranti o litosuoli di superficie dominanti, l’esperienza degli ultimi decenni ha dimo-
strato la grande difficoltà di ottenere una valida ricomposizione paesaggistica, legata
proprio all’impossibilità di effettuare lo scotico dell’humus superficiale (spesso di
pochi centimetri), nonché di riproporre la micromorfologia delle rocce e la vegetazio-
ne naturali.

5.7.2 Tecniche di ingegneria naturalistica

Per quanto riguarda le tecniche di ingegneria naturalistica e di rivegetazione in


genere, va detto che l’utilizzo, da anni, di guaine sintetiche di rivestimento delle
tubature ha eliminato l’interferenza possibile degli apparati radicali con le tubature
stesse. Anche la permanenza di una pista continua per i servizi d’ispezione e manu-
tenzione lungo i tracciati non è più indispensabile, date le caratteristiche di durata
dei materiali oggi impiegati. Ciò consente la rivegetazione e rinaturalizzazione com-
plete delle fasce di scavo (figura 5.7.A).

290
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Figura 5.7.A: Interventi di I.N. per condotte interrate

Valgono le modalità che seguono:


• ove possibile va effettuato lo scotico, anche se parziale e ricco di scheletro, del
terreno umico superficiale (foto 5.7.1);

Foto 5.7.1: Posa di condotta previo scavo e


accumulo del terreno di scotico.
Metanodotto Malborghetto-Bordano (UD)
- Foto G. Sauli

• l’inerte roccioso proveniente dagli scavi e accumulato a lato della trincea di


scavo è di solito ricco della frazione terrosa organica e minerale che non è
stato possibile scoticare a priori. Tale frazione va separata in cantiere median-
te vagliatura meccanica ed utilizzata come strato di ricoprimento finale dei
ritombamenti. Tutta l’operazione, opportunamente organizzata, è di facile ese-
cuzione e poco onerosa, garantendo la provenienza locale del terreno anche se
a basso tenore di caratteristiche organiche e microbiologiche;

291
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

• per il miglioramento di tali caratteristiche vanno previste operazioni di


ammendamento fisico ed organico del suolo (utilizzo di terra di coltivo, terric-
ciato, torba, composti);
• non risulta proponibile l’apporto di terreno vegetale alloctono sia per un evi-
dente principio di tipo naturalistico, sia per la necessità di sacrificare superfi-
ci produttive di altre zone date le notevoli quantità necessarie;
• tale operazione risulta invece proponibile per interventi “puntuali” nelle
buche di messa a dimora delle specie arboree arbustive (specie se piante adul-
te o fornite a radice nuda), dopo opportuna miscelazione con il terreno della
buca;
• vanno normalmente effettuate semine e messa a dimora di specie autoctone,
con preferenza per le specie arbustive, da considerarsi preparatorie per futuri
interventi di conversione ad alto fusto (foto 5.7.2 e 5.7.3). Date le quantità
notevoli di specie arbustive autoctone necessarie, va programmata per tempo
la fornitura di tali specie da vivai locali o vanno realizzati “ad hoc” vivai tem-
poranei legati all’opera;

Foto 5.7.2: Trapianto di arbusti di gariga


mediterranea su tracciato di metanodotto
Loc. Crispiano (TA) ad un anno dall’inter-
vento. Particolare: calicotome - Foto G.
Sauli

Foto 5.7.3: Trapianto di arbusti di gariga


mediterranea su tracciato di metanodotto
Loc. Crispiano (TA) ad un anno dall’inter-
vento. Particolare: lentisco - Foto G. Sauli

292
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

• va effettuata la protezione antifauna delle piante o mediante reticelle su ogni


singolo esemplare o mediante recinzioni a isole (foto 5.7.4 e 5.7.5 e foto 2 e
4 in scheda Malborghetto-Bordano);

Foto 5.7.4: Rivegetazione su tracciato di


metanodotto (Carso triestino) mediante
semine con fiorume e messa a dimora di
arbusti autoctoni con reticelle di protezio-
ne faunistica - Foto G. Sauli

Foto 5.7.5: Particolare - Foto G. Sauli

• vanno effettuati, ove possibile, trapianti di arbusti, zolle di prati-pascoli natu-


rali , cespi o intere porzioni di terreno vegetato (trapianto di ecocelle) locali
per garantire la migliore e più rapida ricolonizzazione delle specie locali (Foto
5.7.2, 5.7.3 e 5.7.6 e Foto 1, 2 e 3 in scheda Bernalda – Brindisi);

Foto 5.7.6: Trapianto di arbusti di gariga


mediterranea su tracciato di metanodotto
Loc. Crispiano (TA) ad un anno dall’inter-
vento. Veduta d’insieme - Foto G. Sauli

293
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

• ove possibile, vanno adottate tecniche di salvaguardia preventiva di esemplari


d’alto fusto in pista e di parte delle ceppaie derivanti dal taglio delle piante;
• in funzione paesaggistico-naturalistica, va effettuata anche la conservazione
delle morfologie litologiche naturali presenti lungo il tracciato (singoli massi
o rocce affioranti lavorati dalla secolare azione meteorica e dell’ossidazione
naturale, spesso colonizzati da licheni ed altra vegetazione epilitica);
• vanno adottate le tecniche d’ingegneria naturalistica in tutti gli attraversamen-
ti di corsi d’acqua, stabilizzazione di versanti franosi, etc (foto 5.7.7 e foto 1,
3, 5 e 6 in scheda Malborghetto – Bordano);

Foto 5.7.7: Trapianto di alberi e arbusti


lungo il tracciato del metanodotto, Loc.
Slizza Tarvisio (UD) - Foto G. Sauli

• per quanto riguarda le semine del cotico erboso vanno adottate le miscele
erbacee più idonee possibile rispetto alle caratteristiche pedoclimatiche dei
tratti da ripristinare; le specie si dovranno reperire possibilmente da produtto-
ri locali;
• in zone di particolare pregio, quali pascoli d’alta quota, praterie pedemontane,
etc., si effettua, se i lavori si svolgono in periodo stagionale idoneo, la raccol-
ta di fiorume oppure la zollatura del prato prima dell’apertura della pista, la
conservazione delle zolle e la ricollocazione a fine lavori;
• nella fase di messa a dimora di specie arbustive e arboree si può addizionare
la terra vegetale in buca con substrato micorizzato (sia endo che ecto micoriz-
ze) oppure si possono utilizzare piante già micorizzate, se prodotte dai vivai
locali di piante autoctone;
• vanno previsti periodi di 3 ÷ 5 anni di cure colturali per le piantine messe a
dimora e devono effettuarsi tutti gli interventi che possano garantire la miglio-
re riuscita del ripristino.

294
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Metanodotto Bernalda – Brindisi


Specificità dell’intervento
Trapianto dal selvatico di arbusti della gariga mediterranea
Provincia/ Comune
Taranto / Massafra, Crispino, Martinafranca
Altitudine slm / Esposizione / Inclinazione
Altitudine tra 200 e 300 m; il metanodotto si sviluppa lungo la direttrice nord ovest - sud est; le esposi-
zioni dei versanti sono prevalentemente verso est o ovest; bassa inclinazione
Lineamenti vegetazionali
Elemento caratteristico è la scarsità d’acqua aggravata dalla natura calcarea dei terreni con scarsa riten-
zione idrica. Si ritrova perciò la macchia mediterranea degradata dal pascolo, con un’alternanza di zone
nude aride e zone vegetate. Nello strato arboreo si rinvengono: pino d’Aleppo, olivastro, limitatamente
leccio; nello strato arbustivo cisti, rosmarino, timo, lentisco, etc.
Lineamenti geomorfologici
Il metanodotto si sviluppa prevalentemente nel sistema ambientale delle Murge tarantine, con litologie
calcaree incise dalle tipiche morfologie a versanti subverticali delle gravine. Si riscontra un suolo molto
superficiale rappresentato per lo più da “terre rosse” e roccia affiorante, con fenomeni di erosione super-
ficiale e impoverimento dell’orizzonte “fertile”.
Obiettivo dell’intervento
Rinaturazione del tracciato del metanodotto
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Trapianto di arbusti dal selvatico, idrosemina, messa a dimora di piante da vivaio
su una superficie di 18.000 mq
Specie vegetali impiegate
Pinus halepensis, Pistacia lentiscus, Phillyrea latifolia, Rosmarinus officinalis, Pyrus pyraster, Olea
europaea, Quercus ilex, Cistus sp.pl., Asparagus officinalis, Calycotome sp.pl., Arbutus unedo, Rhamnus
alaternus, Daphne spatolata, Myrtus communis.
Periodo dei lavori
2001/ 2002
Osservazioni
Attecchimento dei trapianti dal selvatico 60%

295
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 1: Rinaturazione metanodotto Bernalda – Brindisi, Loc. Mas safra, messa a dimora di arbusti da viva-
io (dicembre 2001) - Foto G. Sauli

Foto 2: Rinaturazione metanodotto Bernalda – Brindisi, Loc. Mas safra, prelievo di arbusti trapiantati dal
selvatico (dicembre 2001) - Foto G. Sauli

Foto 3: Rinaturazione metanodotto Bernalda – Brindisi, Loc. Mas safra, messa a dimora di arbusti trapian-
tati dal selvatico (dicembre 2001) - Foto G. Sauli

296
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Metanodotto Malborghetto – Bordano (UD)


Specificità dell’intervento
Rivegetazione su tracciato di metanodotto in zona alpina
Provincia/ Comune / Località
Udine / Malborghetto, Pontebba, Moggio Udinese / Val Canale, Val di Gleris, Val Alba, Val Aupa
Altitudine slm /Esposizione
700 – 1200 m / varie
Lineamenti vegetazionali
Faggete, abeti-faggete, mughete, praterie alpine a Genista radiata, pinete a pino nero e pino silvestre.
Lineamenti geomorfologici
Conoidi di versante e fondo valle a rocce dolomitiche
Obiettivo dell’intervento
Consolidamento e stabilizzazione dei versanti mediante tecniche di ingegneria naturalistica
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Semine e messa a dimora di specie arbustive e arboree con disposizione a isole recintate, palificate vive
di versante, palizzate, cordonate, trapianti di arbusti
Materiali morti impiegati
Pali e reti, biofeltri per pacciamatura, tronchi
Specie vegetali impiegate
Pinus mugo, Genista radiata, Salix purpurea, Acer sp.pl., Quercus sp., Fagus sylvatica, Picea abies,
Pinus nigra
Periodo dei lavori
2002-2003
Osservazioni
Interventi ottimali di recupero dei suoli, di rivegetazione e monitoraggio degli interventi

297
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 1: Metanodotto Malborghetto - Bordano. Palizzate vive, palificate vive, Loc. Chiaranda (Val Aupa -
UD) 2003 - Foto G. Sauli

Foto 2: Metanodotto Malborghetto - Bordano. Stabilizzazione del versante con messa a dimora di arbusti
e trapianto di ceppaie di carpino nero Loc. Chiaranda (Val Aupa - UD) 2003 - Foto G. Sauli

Foto 3: Metanodotto Malborghetto - Bordano. Consolidamento del versante con palificate vive. Loc.
Chiaranda (Val Aupa - UD) - 2003 Foto G. Sauli

298
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 4: Metanodotto Malborghetto - Bordano. Realizzazione di recinzioni per la tutela dalla fauna selva-
tica delle giovani piante messe a dimora. Val Canale, Malborghetto 2003 - Foto G. Sauli

Foto 5: Metanodotto Malborghetto - Bordano. Cordonate e palizzate vive Val Canale, loc. S. Leopoldo
2003 - Foto G. Sauli

Foto 6: Metanodotto Malborghetto - Bordano. Cordonate e palizzate vive Val Canale, loc. S. Leopoldo
2003 - Foto G. Sauli

299
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

5.8 SISTEMAZIONI COSTIERE E DUNALI


Per quanto riguarda le sistemazioni costiere le tecniche di ingegneria naturalistica
trovano applicazioni particolari legate soprattutto all’impiego di specie salsoresistenti e
psammofile.
Si distinguono alcune casistiche di cui vengono di seguito prese in considerazione
le più salienti per problematica: le aree portuali e contermini, le coste sabbiose in ero-
sione e le aree lagunari.

5.8.1 Porti e aree contermini


Nel caso delle aree portuali si tratta, in genere, di opere di ampliamento e risiste-
mazione di infrastrutture già esistenti e, quindi, gli impatti riguardano eventualmente le
aree contermini a valenza territoriale, mentre il caso più frequente è quello di aree già
degradate che possono, quindi, essere ricuperate.
Le opere di risistemazione a verde di possibile realizzazione nell’ambito dei pro-
getti di opere portuali sono le seguenti:
• interventi a verde interni alle aree dell’insediamento e relativi alle zone di
accesso, le palazzine uffici, i parcheggi, le aree perimetrali in genere. La voca-
zione di tali aree per quanto riguarda il verde è di tipo ornamentale-fruitivo e
si orienta, in genere, su opere tipo giardino o parco urbano. Resta il problema
della selezione delle specie con caratteristiche di salsoresistenza in funzione
dell’aerosol marino indotto dalla vicinanza del mare;
• interventi a verde immediatamente esterni o comunque perimetrali alle aree
portuali in senso stretto. In tali aree, che possono essere di varia estensione, si
cerca di solito di realizzare delle fasce di vegetazione con funzione paesaggi-
stica. La tipologia degli interventi è di tipo naturalistico con utilizzo di specie
arboreo – arbustive autoctone, privilegiando quelle salsoresistenti o, comun-
que, in ambito mediterraneo, di macchia e gariga;
• interventi di ingegneria naturalistica, in genere esterni all’area degli impianti
(consolidamenti spondali per deviazione di fossi, corsi d’acqua confinanti,
consolidamenti di rilevati perimetrali, consolidamenti di tratti di costa etc.).
Vanno progettate le opere di consolidamento costiero e spondale in funzione
della resistenza alle sollecitazioni degli eventi meteomarini (maree, mareggia-
te, etc.). Nel caso di opere miste con abbinamento di piante va tenuto conto
del fattore limitante principale legato alla salinità: è classico l’impiego di certe
specie con capacità di riproduzione vegetativa per talea legnosa quali le tame-
rici (Tamarix sp.pl.) e l’atriplice (Atriplex halimus).

5.8.2 L’approccio dell’ingegneria naturalistica nella conservaz ione degli ambienti


dunali (da G. Bovina , C. Callori Di Vignale, M. Amodio-Manuale di Ingegneria
Naturalistica Volume 2 - Regione Lazio 2003, modificato)
Quasi ovunque (e soprattutto in Italia per l’ampio sviluppo litorale), la fascia
costiera rappresenta certamente la porzione di territorio nella quale l’azione antropica
ha determinato i maggiori effetti di trasformazione. In nessun altro “paesaggio” come
quello costiero gli equilibri ambientali, alla base della conservazione delle risorse, sono

300
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

stati quasi sempre stravolti dalla mancata o errata pianificazione delle attività umane:
bonifiche, sviluppo urbanistico, insediamenti industriali, reti di trasporto e porti, infra-
strutture turistiche.
Da una ricerca del WWF Italia sul consumo dei suoli “Oloferne 1996/97” risulta
che solo il 26 % della fascia costiera è risultato totalmente libero da insediamenti ed
attività antropiche.
Oltre alla antropizzazione e cementificazione delle coste, il fenomeno che sin-
tetizza e spesso rappresenta pienamente la criticità dell’effetto sinergico di molte
delle attività umane citate, è dato dall’erosione dei litorali. Pur legato alla dinamica
di processi naturali, allo stato attuale l’equilibrio delle spiagge è quasi ovunque
compromesso dagli interventi sul territorio, non solo costiero. Già oltre dieci anni fa
si considerava in erosione un terzo delle spiagge italiane (quindi oltre 1.000 km di
litorali sabbiosi risultavano in fase di demolizione ed arretramento): osservazioni
recenti condotte dagli scriventi su estesi tratti del litorale nazionale, individuano una
ulteriore accelerazione del processo. Per comprendere la natura del fenomeno è
necessario considerare che la presenza e stabilità dei materiali sabbiosi che costitui-
scono le spiagge, in linea generale dipendono da un meccanismo di trasporto, che
provvede alla distribuzione lungo costa, per effetto combinato di onde e correnti, dei
materiali versati in mare dai corsi d’acqua. Oltre ad altri fenomeni di natura geolo-
gica e/o climatica, qualsiasi interferenza sul processo naturale di erosione dei ver-
santi, trasporto verso mare dei sedimenti, trasporto litorale, comporta quindi il dise-
quilibrio della spiaggia che oggi si traduce, nella maggior parte dei casi, nella sua
demolizione.
Per queste motivazioni molte spiagge del Mediterraneo sono interessate da erosio-
ne, fenomeno che intacca gravemente un bene economico fondamentale per le località
turistiche balneari ed un valore naturale da conservare per le generazioni future.
Le spiagge costituiscono così una risorsa naturale difficilmente rinnovabile poi-
ché le azioni di controllo dell’erosione costiera sono complesse e raramente risoluti-
ve. Sino a pochi anni fa (oggi si nota peraltro una certa tendenza alla rivalutazione di
tale approccio), gli interventi di protezione dei litorali dall’erosione vedevano molto
diffuse opere frangiflutti in blocchi di varia natura e dimensione, rivestimenti di
spiagge, muri paraonde, pennelli trasversali o paralleli, barriere sommerse o semi
sommerse, tutte opere generalmente rigide, scarsamente compatibili, anche dal punto
di vista più strettamente paesaggistico, con le valenze e gli equilibri ambientali. I ver-
samenti detritici, i cosiddetti ripascimenti morbidi, cioè la ricostruzione delle spiag-
ge con l’apporto di sabbie prelevate da cave marine (spiagge fossili) costituiscono,
allo stato attuale, soluzioni sempre più diffuse e condivise. Particolarmente graditi
sono i ripascimenti protetti i quali, attraverso la realizzazione di contenimenti a dif-
ferente grado di sommergenza, dovrebbero impedire la rapida dispersione del sedi-
mento apportato artificialmente, prolungando nel tempo l’efficacia dell’intervento. È
tuttavia opportuno sottolineare come i ripascimenti artificiali (ancor più se protetti)
siano frequentemente realizzati con poca considerazione del complesso delle relazio-
ni fisiche e biologiche investite. Il ricorso, sempre più diffuso e generalizzato, alla
ricostruzione ed alla rialimentazione periodica delle spiagge, rischia di “viziare” tec-
nici ed amministratori verso l’adozione di soluzioni, comunque temporanee, che non

301
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

affrontano a monte il problema (anche in senso letterale) con possibili effetti critici
già nel breve e medio termine (migrazione dei fenomeni erosivi, danneggiamento
delle biocenosi e conseguenze sulla rete trofica, mancato controllo dei meccanismi
effettivamente responsabili).
L’erosione delle spiagge è frequentemente associata alla demolizione delle dune
costiere.
Queste rappresentano il risultato di lenti processi di accumulo, ad opera del vento,
delle sabbie trasportate dalle correnti marine lungo costa e, in condizioni naturali, costi-
tuiscono un serbatoio di sabbia in grado di rifornire le spiagge nelle fasi “ordinarie” di
erosione. Le dune costiere costituiscono ambienti molto dinamici, di estremo valore
geomorfologico, ecologico e paesaggistico che, piuttosto diffusi sino a tempi recenti,
attualmente sopravvivono integri (o apparentemente integri) in poche e limitate aree,
tanto da poter essere oggi considerati come “ambienti relittuali”. L’importanza ecologi-
ca delle dune costiere risiede in particolare nelle comunità vegetali, che sono stretta-
mente caratteristiche di tali ambienti ed alle quali sono riconducibili i meccanismi più
significativi di consolidamento ed accrescimento. Anche sotto il profilo faunistico gli
ecosistemi dunali rappresentano habitat unici a cui va aggiunto il ruolo irrinunciabile di
corridoi ecologici in ambiente costiero. Nonostante siano in larga parte interessati da
specifici strumenti di tutela, a livello europeo, sono gli ecosistemi maggiormente
minacciati. I meccanismi di degrado, come descritto inizialmente, sono principalmente
rappresentati dall’antropizzazione dei litorali, dall’erosione costiera, da una fruizione
turistica incontrollata, fondamentalmente causati dalla mancanza di pianificazione -
programmazione e di corretta gestione, sia dei litorali che del territorio interno.
Le problematiche della conservazione degli ambienti dunali attuali sono, dunque,
estese a larga parte dei territori costieri del Bacino del Mediterraneo e dei Paesi Nord
Europei, ma è lungo la costa italiana che si rilevano le condizioni di degrado e distru-
zione più avanzate. Sulla base dell’analisi della documentazione cartografica (Atlante
delle Spiagge Italiane, CNR 1985 –1997) gli scriventi hanno rilevato come lungo la
costa nazionale, sino alla metà degli anni 90’, i depositi dunali costieri presentavano
uno sviluppo residuo complessivo pari a circa 700 km: vale a dire meno del 10% dello
sviluppo costiero nazionale e solo circa il 20 % di quello interessato da litorali sabbio-
si. Più in dettaglio, la ripartizione tra dune naturali e dune antropizzate risultava pari a
circa il 50 %. Ma tale dato non deve trarre in inganno poiché nel corso degli ultimi anni
la maggior parte delle dune naturali ha denunciato condizioni di forte aggressione e
sensibile degrado principalmente per effetto della pressione turistica e per l’ormai gene-
ralizzata erosione costiera. Allo stato di conservazione delle dune e delle spiagge è
strettamente legato quello di altri ecosistemi, di estrema importanza, quali gli ambienti
umidi retrodunali, le lagune ed i laghi costieri, le foci fluviali, sino alle praterie di
Posidonia oceanica e di altre fanerogame marine, tutti ecosistemi che, oltre al valore
strettamente ecologico, hanno notevole valore economico, diretto ed indiretto. Se una
spiaggia sottoposta ad erosione può ricostituirsi anche in pochi giorni, le dune costiere,
specie quelle ricoperte di vegetazione, una volta demolite, si ricostruiscono in tempi
tanto lunghi che alla scala umana il fenomeno può essere considerato scarsamente
reversibile. In materia di conservazione e restauro ambientale, gli ambienti dunali, pur
con le loro specificità pedologiche, fisico-climatiche e biologiche, si prestano anch’es-

302
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

si all’impiego di tecniche naturalistiche coerenti con i principi dell’ingegneria naturali-


stica. Anzi, poiché la vegetazione (in interazione diretta con i meccanismi esogeni),
rappresenta l’elemento principale di edificazione/stabilizzazione delle strutture geo-
morfologiche, è proprio nel dinamismo di tali ambiti che l’approccio naturalistico risul-
ta particolarmente coerente ed è in grado di raggiungere i risultati più interessanti. In
Italia, le esperienze di protezione e consolidamento delle dune costiere risultano relati-
vamente diffuse e con un background non trascurabile, legato alla storica esperienza
degli interventi forestali in ambito litorale; esse sono tuttavia scarsamente riconducibi-
li a criteri di approccio univoci e gli interventi risultano spesso scollegati, condotti iso-
latamente e con scarsa considerazione del patrimonio conoscitivo, delle esperienze pre-
gresse e dell’utilità della diffusione e del confronto dei risultati ottenuti. Un caso di stu-
dio particolarmente significativo sia per lo sviluppo e l’importanza dei depositi dunali,
che per le interazioni ambientali, è dato dalle dune del Parco Nazionale del Circeo nel
tratto costiero immediatamente a nordovest dell’omonimo promontorio. La duna del
Circeo non sfugge all’inquadramento delle problematiche ambientali descritto in pre-
cedenza. Con uno sviluppo lineare di circa 25 km ed un’altezza che varia da quote di
8÷10 m sino ad un massimo di 27 m, essa costituisce un cordone sabbioso, in larga
parte consolidato da vegetazione specializzata, bloccato nella propria dinamica e nel
meccanismo di autoprotezione (cioè dal libero avanzamento ed arretramento che le con-
sentirebbe di limitare i danni delle energiche azioni erosive), dalla strada costiera rea-
lizzata su di essa negli anni trenta: una struttura rigida che oltre ad impedire, appunto,
l’evoluzione morfologica naturale, concentra le acque di pioggia determinando mecca-
nismi di erosione da ruscellamento concentrato. A questi si sommano l’erosione del
vento che approfondisce le canalizzazioni asportando la sabbia e sottraendola in tal
modo definitivamente al bilancio della duna e conseguentemente a quello della spiag-
gia. Solchi ed altre superfici di erosione sono poi frequentemente utilizzate per l’acces-
so incontrollato alla spiaggia da parte di una popolazione di bagnanti e turisti che in
occasione della stagione estiva raggiunge punte esorbitanti, di fatto insostenibile per un
ambiente così vulnerabile. Nell’arco temporale compreso tra gli anni 1995/1998, attra-
verso finanziamenti del Ministero dell’Ambiente e comunitari (strumenti Life Natura)
oltre 14 km di dune sono stati interessati da interventi di restauro e protezione. A segui-
to di rilievi ed analisi delle diverse forme di erosione agenti e delle loro interazioni cri-
tiche, sono stati progettati specifici interventi sperimentali (a carattere sia puntuale che
diffuso) di controllo delle diverse forme di erosione e dissesto:
• passerelle per l’accesso accesso diretto alla spiaggia;
• recinzioni dissuasive, realizzate in legno ed associate a schermi frangivento;
• picchetti per l’interdizione del parcheggio delle auto sulla duna;
• capannini infomativi sulla corretta fruizione dell’ambiente e sull’origine e
finalità dell’azione di restauro e protezione;
• sistemazioni ed opere per la regimazione delle acque di ruscellamento;
• sistemi frangivento, di differente forma e dimensione, realizzati con moltepli-
ci materiali naturali (stuoie di canna, fascinate verticali, recinti porosi in
legno, etc.);
• opere di contenimento e consolidamento delle sabbie che hanno utilizzato
viminate associate a bioreti in fibra di cocco;

303
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

• barriere permeabili in legno con funzione di smorzamento del moto ondoso e


frangivento.
Tra gli interventi è stata anche realizzata la rimozione del manto d’asfalto in un
tratto di strada costiera di circa 3 km, parzialmente demolita dalle mareggiate all’inizio
degli anni 80’ e da allora chiusa al traffico. Tale intervento, associato a parte delle opere
citate, ha consentito di “deirrigidire” la struttura ed innescare un processo di rinatura-
zione, in un tratto litorale peraltro significativamente ampio e rappresentativo, restituen-
dolo, almeno in parte, all’evoluzione dei meccanismi naturali.
Nella fase terminale degli interventi sono stati realizzati limitati impianti di spe-
cie arbustive (Juniperus oxycedrus, Phillyrea latifolia, Rhamnus alaternus, Pistacia
lentiscus), provenienti dal vivaio forestale del Parco Nazionale del Circeo di
Sabaudia (LT), che hanno riguardato le parti sommitali (cresta dunale) delle opere
di contenimento. È opportuno sottolineare come, specie operando in un’area protet-
ta della valenza del Parco Nazionale del Circeo, e quindi nella necessità di tutelare
il patrimonio vegetale locale anche sotto il profilo genetico, nella realizzazione degli
interventi, si è preferito evitarne l’impiego diretto facendo invece ricorso a opere,
sistemazioni ed accorgimenti che oltre alle finalità antierosive e di stabilizzazione
delle sabbie eoliche, creassero condizioni favorevoli allo sviluppo della vegetazione
locale. In particolare le diverse tipologie di schermi frangivento posizionati con
disposizioni articolate, hanno creato condizioni fisiche e biologiche (ombra, umidi-
tà, disponibilità di sostanza organica ed elementi nutritivi) favorevoli allo sviluppo
di specie psammofile ed alofile che, seppur adatte all’estrema criticità dell’ambien-
te litorale, hanno trovato nei fattori descritti elementi favorevoli al loro sviluppo ed
evoluzione successionale. Oltre che per le specie erbacee quali, più di altre, Lotus
cytisoides, Ononis variegata, Eryngium maritimum, Medicago marina, tali meccani-
smi sono risultati importanti anche per le specie arbustive, segnatamente il ginepro
coccolone (Juniperus oxycedrus) che sta ricolonizzando larga parte della cresta
dunale. In rapporto all’approccio descritto, un altro spunto di interesse, sul quale gli
scriventi stanno conducendo studi e sperimentazioni specifiche, riguarda la possibi-
lità di impiego di biomasse vegetali spiaggiate, di origine marina, in stretta associa-
zione con le tipologie utilizzate lungo il litorale del Parco Nazionale del Circeo e di
altre Aree Protette marino-costiere, per finalità di consolidamento, recupero di fer-
tilità e valorizzazione ecologica di frazioni vegetali normalmente (ed erroneamente)
gestite come rifiuto.
Per le finalità del presente lavoro, tra le molteplici tipologie di opere menzionate,
sono state scelte quelle i cui risultati sono di maggior interesse anche in termini di
esportabilità dell’esperienza in altri contesti del litorale regionale e nazionale:
• Tipologia 1. protezione del piede dunale mediante barriera basale costi-
tuita da graticciata inclinata (foto 5.8.1).
• Tipologia 2. ricostruzione e protezione di depositi dunali embrionali
mediante schermi frangivento a scacchiera (foto 5.8.2).
• Tipologia 3. ricostruzione e stabilizzazione del pendio dunale mediante
consolidamento combinato costituito da viminate (graticciate) rivestite e
schermi frangivento (foto 5.8.3).
Le foto e i disegni sono degli autori.

304
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

TIPOLOGIA 1. BARRIERA BASALE IN VIMINATA

Foto 5.8.1: Barriera basale subito dopo la realizzazione

305
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

TIPOLOGIA 2. SCHERMI FRANGIVENTO A SCACCHIERA

Foto 5.8.2: Schermi frangivento disposti a scacchiera a due anni dalla realizzazione

306
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

TIPOLOGIA 3. CONSOLIDAMENTO COMBINATO


COSTITUITO DA VIMINATE E SCHERMI FRANGIVENTO

Foto 5.8.3: Fasi della realizzazione del consolidamento combinato

5.8.3 Le aree lagunari


Si riportano due casi di interventi di rivegetazione in aree lagunari in Alto
Adriatico. Si rimanda anche alla scheda “Laguna di Nora” per una casistica di interven-
ti spondali su canale lagunare in Sardegna.

307
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Un caso di intervento di rivegetazione su barene in laguna di Grado


(da Manuale di Ingegneria Naturalistica Regione Lazio vol.2, modificato)
Si riportano le risultanze di un intervento di rivegetazione su fanghi lagunari di dra-
gaggio con piante alofile eseguito nel 1996 in laguna di Grado (GO) Loc. Barbana.
Il lavoro è consistito in:
• fresatura dei fanghi derivanti dal dragaggio mediante sorbona del canale di
accesso all’Isola - Santuario di Barbana;
• trapianto dal selvatico di esemplari di piante alofile (Limonium, Puccinellia,
Atriplex, Juncus, Salicornia, etc.);
• semina manuale a spaglio con miscela commerciale;
• messa a dimora di talee di tamerici.
A distanza di circa dieci anni dall’intervento si può constatare la totale rivegetazio-
ne dell’area con insediamento delle varie formazioni (spartinieto, salicornieto, limonie-
to, agropireto) a seconda del livello del mare (foto 5.8.4)

Foto 5.8.4: Rivegetazione di barene origi-


nate da dragaggi in località Barbana
(GO) - Foto G. Sauli

Ricostruzione di morfologie di barena e rivegetazione in Laguna di Calleri


(Po di Levante)
Un altro caso di ricostruzione di morfologie di barena con materiali di dragaggio
per ripristino di canali lagunari è quello eseguito a metà degli anni ’90 nella Laguna di
Calleri alla foce del Po di Levante.
Qui la sequenza dei lavori è stata la seguente:
Costruzione di conterminazioni in gabbionate cilindriche (foto 5.8.5);
• Dragaggio canali e accumulo del materiale (qui a prevalente matrice sabbio-
sa) all’interno delle aree conterminate;
• Realizzazione di morfologie a reti di canali di barena (foto 5.8.6);
• Interventi di piantagioni di specie alofite locali riprodotte a vivaio ed evo-
luzione spontanea di alcune specie (Salicornia sp., Arthrocnemum sp.)
(foto 5.8.7).

308
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 5.8.5: Laguna di Calleri (Po di


Levante), conterminazioni in gabbioni
cilindrici su più file - Foto G. Sauli

Foto 5.8.6: Laguna di Calleri (Po di


Levante), ricostruzione di morfologie a
reti di canali di barena su depositi di fan-
ghi di dragaggio lagunari a matrice sab-
biosa - Foto G. Sauli

Foto 5.8.7: Laguna di Calleri (Po di


Levante), rivegetazione spontanea a
Salicornia e Arthrocnemum a distanza di
un anno - Foto G. Sauli

309
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Nova Siri Marina


Specificità dell’intervento
Trattasi di uno dei primi interventi di stabilizzazione dell’arenile lungo il litorale lucano ionico con tec-
niche di I.N., effettuato da un gruppo di volontari.
Provincia/ Comune/ Località
MT / Nova Siri / Marina
Lineamenti vegetazionali
Duna costiera con pino marittimo misto a pino d’Aleppo e macchia mediterranea
Lineamenti geomorfologici
Duna costiera con arenile soggetto ad erosione eolica.
Obiettivo dell’intervento
Stabilizzazione della duna e dell’arenile; realizzazione di intervento di I.N. per l’introduzione di una spe-
cie autoctona, tipica delle dune bianche della costa metapontina, al fine di contenere l’erosione eolica e
rinaturare un tratto di arenile ai fini didattici. Evidenziare l’inutilità ed i danni che si arrecano al patri-
monio vegetale degli apparati dunali con l’esecuzione a cadenza annuale dei lavori di pulitura dell’are-
nile con mezzi meccanici per la fruizione turistico-balneare.
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Circa 200 mq di arenile compreso tra la battigia ed il lungomare su cui sono stati messi a dimora 21 bulbi
di Pancratium maritimum su tre file parallele alla linea di costa.
Materiali morti impiegati
Nessun materiale
Specie vegetali impiegate
Bulbi di Pancratium maritimum (giglio delle sabbie). I bulbi sradicati dall’erosione marina spiaggiati e
sommersi dall’acqua marina, sono stati raccolti lungo la battigia dall’arenile di Metaponto Lido in forte
erosione.
Periodo dei lavori
Gennaio 2001 raccolta dei bulbi; marzo 2001 messa a dimora
Osservazioni
L’attecchimento è stato totale. Già nel maggio del 2001 è stato possibile constatare il buono sviluppo
vegetativo con la predisposizione di qualche bulbo alla fioritura.

310
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica

Foto 1: Raccolta di Pancratium maritimum sradicato e piaggiato (gennaio 2001) - Foto A. Trivisani

Foto 2: Il giglio delle sabbie fiorito a maggio 2001 - Foto A. Trivisani

311
Frequenti tipi di errori nell’esecuzione d’interventi di ingegn eria naturalistica

6. FREQUENTI TIPI DI ERRORI NELL’ESECUZIONE


D’INTERVENTI DI INGEGNERIA NATURALISTICA
Da quasi quindici anni l’ingegneria naturalistica è conosciuta ed applicata in
Italia come valida alternativa agli interventi tradizionali nella risoluzione di molte-
plici situazioni derivanti da problemi di dissesto del territorio.
Fermo restando i limiti di questa disciplina, i risultati ottenuti vanno ben
al di là della “sola” stabilizzazione del suolo, innescando processi di rinatura-
lizzazione, creando biodiversità e contribuendo alla realizzazione di corridoi
ecologici.
Tutto ciò ha portato, in questo breve intervallo di tempo, ad una grande
ma soprattutto rapida utilizzazione delle tecniche di ingegneria naturalistica e gli
interventi sul territorio italiano sono oramai innumerevoli, coprendo tutti gli
ambienti e tutti gli ambiti in cui possono essere applicate le molteplici tipologie
della disciplina.
Sebbene il successo sia stato grande e rapido sia a livello di elaborazione
che di applicazione, molte delle opere e degli interventi eseguiti non risultano
esenti da errori, determinanti per il mancato raggiungimento dell’obiettivo pro-
gettuale.
Nonostante l’ormai notevole diffusione di manuali, linee guida, articoli, conve-
gni e corsi specifici, molte opere risultano prive dei requisiti basilari per poter essere
classificate come interventi di ingegneria naturalistica: le piante, peculiarità che
caratterizza e contraddistingue questa disciplina dalle tecniche tradizionali, sono
spesso del tutto assenti o secche o di specie non idonee; le strutture molte volte non
risultano costruite seguendo le sperimentate metodologie che ne garantiscono la sta-
bilità e la funzione; i materiali vengono talvolta utilizzati in modo improprio o non
corretto.
La idonea esecuzione di un’opera o di un intervento di ingegneria naturalistica
si avvale di alcune per altro semplici regole imprescindibili, che però, se non corret-
tamente osservate, ne determinano l’insuccesso.
Considerando il progetto relativo rispondente ai requisiti richiesti dall’inge-
gneria naturalistica (gli errori progettuali non vengono qui considerati), di seguito
vengono riportati alcuni casi di errori comuni riscontrabili frequentemente sia
durante la fase di cantiere sia, purtroppo spesso, a lavori ultimati; tali errori sono
quasi tutti riconducibili ad un mancanza di conoscenza di base e ad una superficia-
le pianificazione.

6.1 ERRORI DERIVANTI DALLA NON CORRETTA GESTIONE DEL SITO DI INTERVENTO
La gestione del sito d’intervento all’inizio, durante ed alla fine dei lavori, è di fon-
damentale importanza per l’evoluzione morfologica e, di conseguenza, biologica che il
sito stesso avrà nel tempo:

313
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

• “scoronamento” sommitale
La zona sommitale della nicchia, detta corona, è fonte continua di erosione e con-
seguente arretramento ed ampliamento del dissesto. La mancata, parziale o comunque
incompleta asportazione della corona (che viene realizzata mediante scavo ed abbatti-
mento della pendenza) non solo consente all’erosione di avanzare, ma mette a rischio
la validità dell’intervento a valle.
• adeguamento delle superfici e delle inclinazioni
La superficie oggetto dell’intervento deve essere regolarizzata, per quan-
to possibile, livellando i dislivelli negativi e positivi, asportando eventuali
massi sporgenti e pericolanti (disgaggio e bonifica) e mantenendo o realiz-
zando inclinazioni compatibili con le tipologie da eseguire. Quando questo
non viene osservato vengono vanificati i vantaggi sia delle tipologie stesse sia
dei materiali, in quanto si creano o si mantengono situazioni favorevoli
all’erosione.
• raccordo tra opera e substrato
Le opere, di qualsiasi tipo, hanno bisogno di continuità con il substrato al contor-
no. Questo raccordo può essere realizzato mediante il proseguimento delle estremità
della struttura per una certa profondità nel versante o nella sponda; è comunque sem-
pre consigliabile l’utilizzo di elementi naturali (massi, tronchi, zolle), a disposizione in
loco. La mancata esecuzione dei raccordi comporta iniziali infiltrazioni ai margini delle
singole opere, che procedono in modo invasivo sino allo svuotamento e smembramen-
to totale delle stesse (foto 6.1, 6.2, 6.3).

Foto 6.1: Mancata esecuzione di un adeguato raccordo tra opera e substrato e scarsa
aderenza dei materiali impiegati alla superficie d’intervento: l’erosione è già in atto -
Foto R. Ferrari

314
Frequenti tipi di errori nell’esecuzione d’interventi di ingegn eria naturalistica

Foto 6.2, 3: Mancata esecuzione di un adeguato raccordo tra opera e substrato: l’ero-
sione ha creato degli scorrimenti preferenziali che tendono a svuotare la struttura –
Foto R. Ferrari

• realizzazione di adeguato drenaggio


Un idoneo sistema di drenaggio sia superficiale che, se necessario, profondo,
garantisce la stabilità dei terreni interessati dall’intervento.
Tali drenaggi possono essere realizzati mediante sistemi tradizionali o anche, in
taluni casi, mediante tipologie proprie dell’ingegneria naturalistica. Al di là delle meto-
dologie utilizzate, se le acque meteoriche non vengono intercettate ed allontanate dal
sito, questo rimane a rischio unitamente alla stabilità e funzionalità delle opere stesse.
• manutenzione
Subito dopo la fine dei lavori, ma talvolta anche durante gli stessi, è necessario pre-
vedere alcuni fondamentali interventi di manutenzione riguardanti soprattutto la com-
ponente “viva” dell’intervento quali, ad esempio: irrigazione (puntuale, di soccorso,
permanente), falciatura, eliminazione di specie infestanti, potatura, sfoltimento, sostitu-
zione delle fallanze, nonché eventuali apporti di suolo e ripristini delle strutture. La
manutenzione viene raramente contemplata ed ancor più raramente effettuata. Quando
effettuata lo è, spesso, in modo insufficiente e superficiale se non addirittura completa-
mente errato (manutenzione delle infrastrutture e non degli interventi di ingegneria
naturalistica preposti alla loro protezione, che vengono addirittura penalizzati) cosicché
si assiste, ad esempio, a diserbamenti chimici generalizzati, potature fuori stagione e/o
con mezzi non idonei che danneggiano in modo spesso irreversibile le specie vegetali
(foto 6.4, 6.5).

315
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 6.4: “Manutenzione”(rivolta all’infrastruttura e non all’o pera preposta a sua pro-
tezione) effettuata con mezzi inadatti: la componente vegetale risulta irrimediabilmen-
te danneggiata - Foto R. Ferrari

Foto 6.5: “Manutenzione” (rivolta all’infrastruttura e non all’ opera preposta a sua
protezione) effettuata con mezzi inadatti: la stessa struttura (palificata viva doppia)
risulta fortemente danneggiata - Foto R. Ferrari

316
Frequenti tipi di errori nell’esecuzione d’interventi di ingegn eria naturalistica

6.2 ERRORI DERIVANTI DAL NON CORRETTO UTILIZZO DI MATERIALE NATURALE VIVO
Essendo le piante l’elemento che contraddistingue un intervento di ingegneria
naturalistica da uno tradizionale, se queste non vengono inserite come parte strutturale
delle opere, non si sviluppano nei modi dovuti o muoiono, l’intervento non è ascrivibi-
le in questa categoria.
Paradossalmente sono proprio queste le principali cause di insuccesso negli inter-
venti a basso impatto: la “novità” rappresentata dal materiale vivo unitamente ad una
scarsa conoscenza delle sue esigenze ne determinano, spesso, un errato utilizzo:
• semi, miscele di sementi
I semi di specie erbacee ed arbustive vengono utilizzati mediante spargimento
manuale o per mezzo di idrosemina, sia direttamente sul terreno che su vari supporti natu-
rali o sintetici. Gli insuccessi più frequenti derivano soprattutto dall’utilizzo, in stagioni o
periodi non idonei, di specie non autoctone o di provenienza diversa dal luogo di impie-
go, di specie non previste in progetto e quindi non idonee; la quantità, poi, può essere
insufficiente relativamente alla superficie d’intervento, le miscele possono essere scadute
e, relativamente all’idrosemina, possono impiegarsi apparecchiature non specifiche.
• specie vegetali con capacità di propagazione vegetativa
Le talee sono parti di specie con alta capacità di propagazione vegetativa; possono esse-
re impiegate singolarmente o inserite in strutture di origine naturale o sintetica e queste dif-
ferenti utilizzazioni ne caratterizzano le dimensioni e le quantità. Il primo rischio di errore,
peraltro determinante, è rappresentato dall’utilizzo di specie non aventi la capacità di ripre-
sa vegetativa ma, comunque, le talee sono molto sensibili al periodo di manipolazione (pre-
lievo, eventuale stoccaggio, messa a dimora) e da questo derivano i più frequenti casi di
insuccesso. Altri fattori di grande rischio sono rappresentati dal taglio eseguito non in modo
netto, dal non rispetto della polarità (verso di crescita) al momento della posa, dalle dimen-
sioni minime (diametro, lunghezza) non sufficienti, da inserimenti traumatici, da porzioni
troppo sporgenti fuori terra e da stress di stoccaggio (disidratazione, gelo). Rimane sempre
evidente l’errore di utilizzare specie non autoctone o non previste in progetto.
• specie arbustive ed arboree
Possono venir utilizzate piante a radice nuda, in zolla o in fitocella a seconda della
necessità o, più spesso, della reperibilità. Gli errori sono dovuti principalmente alla
scelta delle specie (non autoctone, non idonee alla stazione, non rispondenti alle finali-
tà progettuali), al periodo di manipolazione e alla mancanza di manutenzione (irriga-
zione, protezione anti-fauna).
6.3 ERRORI DERIVANTI DAL NON CORRETTO UTILIZZO DI MATERIALE NATURALE MORTO
Il materiale naturale morto utilizzato in ingegneria naturalistica può avere funzio-
ne protettiva (biostuoie s.s.) o strutturale (legname):
• biofeltri, biostuoie, bioreti
A seconda del materiale d’origine (paglia, juta, cocco, miste) hanno diversa dura-
bilità con utilizzazioni diverse a seconda del tipo di dissesto e dell’obiettivo progettua-
le. A questo si unisce una grandissima varietà per quanto riguarda la tessitura, le dimen-

317
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

sioni della maglia e la grammatura che, nei casi limite, influiscono negativamente sia
sull’azione protettiva del substrato sia sulla possibilità di sviluppo delle specie vegeta-
li. Possibili errori derivano quindi dal tipo adoperato considerando, oltretutto, che sul
mercato esistono innumerevoli possibilità con classificazioni non standardizzate: è
molto facile quindi generare equivoci tra le indicazioni di progetto e la realtà operativa.
Altro fattore di rischio è dato dalle modalità di posa: questi materiali spesso non risul-
tano ben fissati tra loro né al substrato (che deve essere preventivamente regolato), per-
mettendo il formarsi di vuoti dove l’erosione continua il suo processo e le piante non
riescono ad attecchire (foto 6.6).

Foto 6.6: Uso improprio di stuoie s.s. e biostuoie s.s.: la particolare tessitura o la gram-
matura, in questo caso, non permettono lo sviluppo degli appartati radicali in profon-
dità - Foto G. Sauli

• legname
L’uso di tronchi per la costruzione di strutture pesanti (grata viva, palificata viva,
etc.) è molto frequente; elementi di legno di dimensioni minori sono, inoltre, molto uti-
lizzati quali supporti di strutture stabilizzanti (viminata viva, fascinata viva, cordonata,
palizzata viva, etc.) o quale elemento di picchettatura in genere. Anche se si tratta di
materiali morti, una scelta errata delle specie impiegate, come l’uso di legni “teneri” o
“dolci” quali, ad esempio, abete e pioppo, porta a conseguenze negative relativamente
alla stabilità e durata dell’opera. Talvolta anche l’utilizzo di specie con caratteristiche
apparentemente adatte, quale per esempio la robinia, può portare a conseguenze ina-
spettate quando il legno non è stagionato bensì appena tagliato, con conseguente emis-
sione di rami e radici. Gli errori classici, purtroppo frequentissimi, riscontrabili in que-
ste tipologie restano comunque legati alle dimensioni (diametro, lunghezza) degli ele-
menti nonché, soprattutto, alle modalità di assemblaggio degli stessi, non sempre cor-
rispondenti alle indicazioni fornite da manuali e linee guida (foto 6.7).

318
Frequenti tipi di errori nell’esecuzione d’interventi di ingegn eria naturalistica

Foto 6.7: Un caso purtroppo frequente: assemblaggio di tronchi di castagno con piccoli
chiodi tradizionali che non garantiscono la funzionalità della struttura - Foto R. Ferrari

6.4 ERRORI DERIVANTI DAL NON CORRETTO UTILIZZO DI MATERIALE INERTE


Gli inerti naturali sono largamente utilizzati per il riempimento delle strutture e/o
a protezione delle stesse:
• terreno vegetale
È indispensabile per integrare, arricchire o ricoprire substrati sterili o a granulome-
tria non compatibile alle necessità vitali delle piante. Il costo elevato del terreno vege-
tale unitamente all’energia necessaria per la posa, molto spesso, ne limitano l’utilizzo
determinando situazioni critiche: ghiaioni, detriti di falda, riporti sterili semplicemente
ricoperti con biostuoie sono errori frequentissimi. Molto spesso “dimenticato” è anche
uno spessore di terreno vegetale tra il paramento esterno di terre rinforzate ed il mate-
riale di riempimento vero proprio oppure, quando presente, non è sufficientemente
compattato: nel primo caso la componente vegetale risulta irreparabilmente penalizza-
ta, mentre nel secondo è la struttura a risentirne gli effetti (foto 6.8, 6.9).

319
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 6.8: Mancanza di un adeguato strato di terreno vegetale tra il substrato sterile
(detrito di falda) e l’intervento mediante biostuoia in paglia e cocco: la vegetazione è,
naturalmente, del tutto assente - Foto R. Ferrari

Foto 6.9: Mancanza di un adeguato strato di terreno vegetale tra il materiale di riem-
pimento costituito da inerte litoide ed il paramento esterno della terra rinforzata: la
vegetazione è, naturalmente, del tutto assente - Foto R. Ferrari

320
Frequenti tipi di errori nell’esecuzione d’interventi di ingegn eria naturalistica

• materiale di riempimento
Non devono essere assolutamente utilizzati materiali con scadenti caratteristiche
geotecniche: spesso, purtroppo, vengono usati gli stessi materiali collassati o ad alta
percentuale argillosa. Anche in questo caso fattori prettamente economici giocano un
ruolo decisivo nell’escludere l’impiego di materiali più consoni o nel migliorare quelli
disponibili.
• massi in pietra
Questi inerti vengono generalmente utilizzati nelle sistemazioni spondali, sia sciol-
ti sia legati da funi di acciaio, a costituire una struttura elastica. I più comuni errori sono
rappresentati dalle inadeguate dimensioni dei singoli elementi (non idonee a contrasta-
re le forze agenti), dai metodi di legatura (D fune, tipo e dimensione dei chiodi ad
occhiello, disposizione non lineare della fune), ma, soprattutto, dalla posa dei singoli
massi (senza affogamento di parte dell’elemento in alveo). Tutti questi fattori negativi
portano, anche singolarmente, al disarticolamento ed allo scalzamento della struttura
(foto 6.10, 6.11).

Foto 6.10: Legatura a zig-zag di massi in una scogliera: non ne è garantita la recipro-
ca stabilità - Foto R. Ferrari

321
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 6.11: Posa di massi senza loro affogatura nell’alveo: l’ac qua ha già approfondito
ed intaccato il piano di appoggio - Foto R. Ferrari

6.5 ERRORI DERIVANTI DAL NON CORRETTO UTILIZZO DI MATERIALE TRADIZIONALE E SIN-
TETICO

In linea di massima vale quanto visto relativamente ai materiali naturali morti ma


a differenza di quelli, biodegradabili nel tempo, i materiali tradizionali o sintetici sono
molto duraturi e, a fronte di lavorazioni effettuate con poca cura o non correttamente
(non aderenza al substrato, insufficiente chiodatura, mancanza di terreno vegetale,
insufficiente addensamento, etc.), gli elementi portanti e strutturali risultano visibili in
assoluta predominanza su una vegetazione stentata o, più spesso, del tutto assente.
6.6 ERRORI COMUNI NELLA REALIZZAZIONE GENERALE
Esistono inoltre alcune situazioni d’errore che accomunano gli interventi e che
sono riscontrabili in moltissime situazioni:
• mancato sincronismo costruttivo tra struttura e parte viva
Un errore grossolano e frequente, non giustificato dal problema stagionale, è quel-
lo di costruire la struttura (riempimento compreso) e rimandare l’inserimento delle
talee. Questo modo d’intervenire non solo è antieconomico, ma soprattutto non rag-
giunge l’obiettivo tecnico preposto. L’inserimento o la posa delle talee, nei casi di coe-
renza ecologica di impiego, va sempre eseguito contestualmente alle altre operazioni di
costruzione (foto 6.12, 6.13).

322
Frequenti tipi di errori nell’esecuzione d’interventi di ingegn eria naturalistica

Foto 6.12: Mancato sincronismo costruttivo; il successo dell’intervento è già compro-


messo - Foto R. Ferrari

Foto 6.13: Mancato sincronismo costruttivo con errata scelta del materiale di riempi-
mento: ormai l’inserimento della componente vegetale viva è impossibile; da notare
inoltre la mancanza di incastri nella paleria e la chiodatura con piccoli chiodi tradi-
zionali. Quale sarà l’evoluzione di questo intervento? - Foto R. Ferrari

• variazioni costruttive
Il dimensionamento e le proporzioni relative di alcune tipologie (grata viva, palifi-
cata viva, etc.) non possono essere variate oltre certi limiti: altezza, profondità, inclina-
zione non devono mai superare i valori prescritti. Questo purtroppo avviene di frequen-
te, mutando le caratteristiche di stabilità e di funzionalità delle strutture nonché iniben-
do le potenzialità di attecchimento e successiva crescita della componente vegetale viva
(foto 6.14, 6.15).

323
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 6.14: Inclinazione molto superiore agli standard della tipologia e totale mancan-
za della componente vegetale viva: un destino segnato - Foto R. Ferrari

• posizionamento delle opere


È evidente la necessità dell’esatta ubicazione delle opere, non sempre rispettata,
riguardo alle caratteristiche fisiche ed ecologiche del sito. Relativamente agli ambiti acqua-
tici, che presentano notevoli dinamismi nei livelli, è indispensabile determinare il livello
medio dell’acqua: materiali vegetali vivi sottoposti a prolungata immersione non sopravvi-
vono e, di conseguenza, viene a mancare il loro contributo consolidante nel tempo.
• regolarità e geometrismo
Soprattutto la parte viva (piante o parti di esse), ma anche alcune tipologie e strut-
ture minori, non devono mai essere ubicate con regolarità a formare strutture geometri-
che ma, al contrario, sistemate con disposizione casuale e disordinata ad imitare il più
possibile una situazione naturale. Di tutti gli errori, questo è certamente quello meno
grave che non comporta pericoli alle strutture, non limita l’azione consolidante delle
piante né compromette lo sviluppo delle stesse; il danno è limitato alla componente
estetica.

324
Frequenti tipi di errori nell’esecuzione d’interventi di ingegn eria naturalistica

Foto 6.15: Strutture (viminate vive), originariamente vive, troppo sporgenti fuori terra
e rinsecchite. La componente viva superstite è data dai picchetti di salice usati per
ancorare la struttura al substrato - Foto R. Ferrari

Gli errori in cui si può incappare durante la realizzazione di un intervento di inge-


gneria naturalistica sono davvero tanti ma, analizzando il problema, ci si rende conto
che sono dovuti esclusivamente alla scarsa conoscenza della materia.
Naturalmente il fatto che questi interventi richiedano conoscenze ed esperienze in
diversi campi talora poco conosciuti, aumenta la possibilità di errore ma, con un mini-
mo di disponibilità e di apertura verso questi nuovi temi, i successi non possono man-
care. A conferma di ciò basti un’attenta osservazione di ciò che è stato realizzato sul
territorio italiano in neanche quindici anni: addirittura sistemazioni spondali tradiziona-
li in calcestruzzo demolite e sostituite con opere di ingegneria naturalistica.
In fin dei conti si tratta di osservare semplici regole naturali, spesso addirittura
istintive, e sostituire la fredda abitudine alle cose conosciute con un po’ di quella sen-
sibilità che gli organismi vivi richiedono, credendo soprattutto in ciò che si fa.

Errare humanum est, perseverare diabolicum!

325
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica

7. SCHEDE DELLE PRINCIPALI TECNICHE DI INGE-


GNERIA NATURALISTICA

Interventi antierosivi
7.1 Semina
7.2 Idrosemina
7.3 Idrosemina a spessore
7.4 Biostuoie
7.5 Stuoie sintetiche tridimensionali
7.6 Stuoie sintetiche bitumate
7.7 Rivestimento vegetativo in rete metallica e stuoia
Interventi stabilizzanti
7.8 Messa a dimora di talee
7.9 Messa a dimora di arbusti
7.10 Messa a dimora di alberi
7.11 Copertura diffusa
7.12 Trapianti dal selvatico
7.13 Viminata viva seminterrata
7.14 Gradonata viva
7.15 Cordonata viva
7.16 Fascinata viva
7.17 Palizzata viva
Interventi di consolidamento
7.18 Grata viva
7.19 Palificata viva doppia
7.20 Palificata viva Roma
7.21 Gabbionata viva
7.22 Materasso rinverdito
7.23 Scogliera rinverdita
7.24 Terra rinforzata rinverdita
7.25 Briglia viva in legname e pietrame

327
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Interventi antierosivi
7.1 SEMINA
Descrizione
Spargimento manuale a spaglio di miscele di sementi:
a) con miscele commerciali di origine certificata (origine specie, composizione miscela, grado di purez-
za, grado di germinabilità);
b) con fiorume raccolto direttamente in campo da stazioni di condizioni simili a quelle in cui si deve ope-
rare.
La copertura risulta immediata, con un effetto antierosivo superficiale determinato dal reticolo radicale
approfondito nel terreno (10 - 30 cm).
Campi di applicazione
Superfici piane o con pendenze inferiori a 25° - 30°, destinate alla rivegetazione, in accordo con le con-
dizioni stazionali ecologiche (esame delle condizioni pedoclimatiche, analisi floristica e/o vegetaziona-
le), per evitare erosione da ruscellamento, eolica e limitare l’essiccamento.
Materiali
Laddove ve ne sia la necessità, la semina è abbinata allo spargimento di concimanti organici e/o inorga-
nici, la cui quantità varia a seconda del periodo di intervento: in primavera sarà maggiore poiché la sta-
gione consente alle piante di utilizzarne la maggior parte; in autunno minore per evitare il dilavamento
della quantità non utilizzata dalle piante per l’arrivo della stagione fredda.
Una variante migliorativa alla semina è il Metodo Schiechteln (circolato in Italia come metodo a paglia
e bitume o nero – verde) che prevede, oltre alla semina, la stesura sul terreno di pacciamatura con paglia
a fibra lunga e fissaggio della stessa con una emulsione idrobituminosa spruzzata a freddo. E’ molto adat-
ta per substrati poveri di sostanza organica, suoli poco profondi e aridi situati a quote elevate, zone mon-
tane in ambito mediterraneo.

Foto 7.1: Fiorume per la semina a spaglio (luglio 1996) Acqualagna (PU) - Foto P. Cornelini

328
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica

7.2 IDROSEMINA

Descrizione
Spargimento mediante macchina idroseminatrice, dotata di botte, di una miscela composta in prevalen-
za da sementi, collanti, concimanti e acqua. Nel mezzo meccanico vengono miscelati i vari componenti
della miscela, che viene quindi spruzzata sulle superfici da inerbire mediante pompe e ugelli con pres-
sione adeguata e tale da non danneggiare le sementi. La presenza dei collanti garantisce la protezione
delle sementi durante la prima fase della germinazione.
Campi di applicazione
Superfici caratterizzate da assenza o, comunque, scarsità di humus, superfici ripide o scarsamente acces-
sibili, aree di notevole sviluppo superficiale. L’effetto antierosivo è immediato per la presenza della pel-
licola dovuta al collante e, in seguito, del reticolo radicale approfondito nel terreno (10 - 30 cm). In breve
tempo si sviluppa un ambiente idoneo per la microfauna.
Materiali
Sementi con certificazione di origine del seme e in quantità non inferiore a 30 – 60 gr/m2, acqua, conci-
mi/fertilizzanti, ammendanti, collanti. La percentuale dei vari componenti della miscela varia da caso a
caso; è necessario pertanto effettuare preliminarmente un’analisi stazionale che consenta di valutare la
composizione.

Foto 7.2: Idroseminatrice su scarpata (aprile 2002) Atina (FR) - Foto P. Cornelini

329
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

7.3 IDROSEMINA A SPESSORE

Descrizione
Spargimento in due passate mediante idroseminatrice di una miscela di sementi, ammendanti, collanti,
fibra organica (mulch) e acqua per il rivestimento di superfici. La distribuzione deve essere omogenea e
gli strati avranno spessore da 0,5 a 2 cm. L’impiego di sostanze collanti favorisce il fissaggio delle
sementi al substrato e la formazione di una pellicola antierosiva, di supporto nelle fasi iniziali di germi-
nazione delle sementi. L’impiego della fibra organica (mulch) esalta le funzioni di trattenimento del-
l’umidità e di supporto organico, facilitando la germogliazione dei semi e lo sviluppo delle piante.
Campi di applicazione
Superfici acclivi prive di terreno vegetale, soggette a erosione, talvolta in abbinamento a rivestimenti
vegetativi in rete metallica e stuoie, terre rinforzate verdi, etc.. Scarpate stradali e ferroviarie in trincea,
cave in roccia, discariche di inerti. Scarpate con eccessiva pendenza, zone con prolungati periodi di sic-
cità, pendii soggetti a movimento del terreno.
Materiali
Mezzo meccanico (idroseminatrice), fibra organica (mulch) (300-700 g/mq), concimanti e fertilizzanti,
sementi, collanti a base polimerica, acqua. La composizione della miscela e la quantità di sementi deve
essere scelta in seguito ad un’analisi stazionale, che tenga conto delle caratteristiche pedoclimatiche e
vegetazionali locali.

Foto 7.3: Idrosemina a spessore su terra rinforzata (aprile 2002) Atina (FR) - Foto P. Cornelini

330
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica

7.4 BIOSTUOIE

Descrizione
Stuoie in fibra vegetale (paglia, cocco, miste) o intessute in filo di juta o cocco (di notevole resistenza),
impiegate negli interventi antierosivi di rivestimento di scarpate povere di sotanza organica e soggette a
erosione meteorica. La stuoia viene stesa e fissata al substrato mediante picchetti di varia forma. Viene
normalmente abbinata a semina e messa a dimora di talee e/o arbusti.
Tecnica di esecuzione rapida e semplice, con protezione immediata della superficie. Consente il rinver-
dimento di superfici acclivi, con terreni a scarsa dotazione fisico-organica, adatto su scarpate regolariz-
zate. Il materiale terroso sottostante la stuoia viene trattenuto, impedendone così il trasporto verso valle.
Campi di applicazione
La stuoia in juta risulta idonea su scarpate a bassa pendenza, su rocce sciolte (ghiaie, argille), substrati
denudati o di neoformazione, anche irregolari, possibilmente con substrato terroso in superficie, substra-
ti aridi e a eccessivo drenaggio: l’acqua si infiltra, ma non ristagna e non erode. Le maglie della stuoia
consentono alle piante di crescere, assicurando in tal modo la protezione della superficie una volta che
la stuoia ha subito completa degradazione.
Le stuoie intessute in filo di cocco risultano idonee su scarpate a maggior pendenza su substrati aridi e a
forte drenaggio. Sono altresì idonee su sponde in erosione soggette a periodica sommersione.
Le stuoie proteggono le scarpate dall’erosione meteorica ed eolica, migliorano l’equilibrio idrico e ter-
mico al suolo, apportano sostanza organica. La durata nel tempo è variabile, la fibra di cocco in partico-
lare dura sino a 5 – 6 anni, ma la degradazione finale è completa.
Materiali
Stuoie biodegradabili in fibre organiche di paglia, cocco o mista di peso non inferiore a 250 g/m2, in
genere supportate da una rete fotoossidabile biodegradabile, con maglia minima 1x1 cm, oppure carta
cucita con filo biodegradabile, eventualmente preseminate; stuoie intessute (in genere con fili di juta o
cocco); staffe o picchetti in ferro acciaioso piegati a U o in legno; miscela di sementi (40 g/m2); talee e
arbusti autoctoni.

331
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 7.4: Biostuoia su argille (ottobre 1996) Anversa degli Abruzzi (AQ) - Foto P. Cornelini

Biostuoia in fibra vegetale

332
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica

7.5 STUOIE SINTETICHE TRIDIMENSIONALI

Descrizione
Rivestimento di scarpate soggette a erosione superficiale con stuoie tridimensionali, costituite da fila-
menti sintetici aggrovigliati, in modo da trattenere le particelle di materiale inerte terroso. Le stuoie ven-
gono assicurate al terreno mediante l’infissione di picchetti e interrate in solchi appositamente appronta-
ti sia a monte che a valle della scarpata o sponda; i teli adiacenti devono essere sormontati lateralmente
per almeno 10 cm. Le stuoie devono essere abbinate a intasamento con materiale inerte terroso a granu-
lometria fine e a semina o idrosemina. Possono essere abbinate a messa a dimora di talee ed arbusti
autoctoni.
Esecuzione rapida, immediato e duraturo effetto antierosivo superficiale, per il trattenimento del mate-
riale terroso sottostante la stuoia.
Campi di applicazione
Rivestimento di scarpate regolarizzate, prive di asperità e con scarsità di terreno vegetale. Sponde di
canali e, in genere, zone a contatto costante con acqua.
Materiali
Geostuoia sintetica tridimensionale in nylon, polipropilene, polietilene e polietilene ad alta densità, di
spessore min. 10 mm, annerita al nero fumo per attenuare l’aggressione da parte dei raggi UV; picchetti
in ferro o staffe metalliche ø min. 8 mm; inerte terroso; sementi (40 g/mq) e arbusti o talee.

Geostuoia tridimensionale sintetica

333
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

7.6 STUOIE SINTETICHE BITUMATE

Descrizione
Rivestimento in stuoia tridimensionale con spessore minimo 18 mm costituita da filamenti sintetici
aggrovigliati in modo da trattenere le particelle di materiale inerte terroso o ghiaino: a) prebitumata indu-
strialmente a caldo: impiegata in prevalenza per il rivestimento di sponde normalmente a contatto con
l’acqua corrente; b) bitumata a freddo in posto: impiegata per il rivestimento di scarpate frequentemen-
te a contatto con l’acqua corrente. La stuoia viene assicurata al terreno mediante infissione di picchetti,
con sormonti laterali di almeno 10 cm e interrata in solchi appositamente approntati a monte. Il piede
della sponda può essere fissato in analogia o, se lavorato in presenza d’acqua, fissato mediante posa di
pietrame. La stuoia deve essere anche abbinata ad una semina da effettuarsi sia prima della posa della
stuoia che sopra la stessa. Normalmente non vengono messe a dimora talee ed arbusti, almeno sulle
superfici dove si prevede il libero scorrimento dell’acqua. Spesso la stuoia prebitumata viene posata sul
fondo di canali le cui sponde sono rivestite con altra stuoia. Lungo sponde di corsi d’acqua e canali è
necessario che la posa in opera avvenga procedendo nel senso contrario alla corrente (in tal modo i sor-
monti sono automaticamente posizionati ad evitare infiltrazioni d’acqua tra una stuoia e l’altra).
Campi di applicazione
a) Rivestimento di fondi di canali e di superfici spondali regolarizzate, a contatto permanente con l’ac-
qua (sponde o argini di canali con problemi di erosione), con effetto antierosivo immediato e permanen-
te, anche se di un certo impatto iniziale visivo (la bitumatura e il ghiaino scompaiono dopo qualche
anno).
b) Rivestimento di canalette di scorrimento, fossi di infiltrazione, scarpate molto regolari a bassa pen-
denza, zone costiere a bassa pendenza e granulometria fine, soggette a frequenti sommersioni.
Materiali
a) Geostuoia tridimensionale prebitumata in nylon, spessore minimo 18 mm, resistenza a trazione non
inferiore a 2,5 kN/m, temperatura di fusione non inferiore a 215 °C, intasata industrialmente a caldo con
una miscela permeabile di pietrisco/bitume/additivi; staffe metalliche ø min. 8 mm; miscela di sementi
(40 g/mq); pietrame.
b) Geostuoia tridimensionale in materiale sintetico: nylon, polipropilene, polietilene, polietilene ad alta
densità, annerita al nero fumo per attenuare l’aggressione da parte dei raggi UV, spessore minimo 18 mm,
resistenza alla trazione non inferiore a 2,0 kN/m, grado di vuoto non inferiore al 90%; ghiaino per inta-
samento; staffe metalliche ø min. 8 mm; miscela di sementi (40 g/mq); emulsione idrobituminosa a fred-
do; talee; arbusti autoctoni.

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Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica

Foto 7.6: Stuoie sintetiche bitumate (aprile 1992) F. Zero (TV) - Foto P. Cornelini

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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Fosso verde con geostuoia sintetica

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Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica

7.7 RIVESTIMENTO VEGETATIVO IN RETE METALLICA E STUOIA

Descrizione
Copertura di scarpate soggette a erosione mediante la stesura di biostuoie o stuoie sintetiche tridimensio-
nali, spessore min. 10 mm, sormontati da una rete metallica a doppia torsione zincata e plastificata. Rete
e stuoie vengono fissati al terreno mediante picchetti o barre metalliche, legati a monte e a valle con una
fune di acciaio. Nel caso di versanti molto ripidi e particolarmente friabili, tutti i picchetti della superfi-
cie vengono collegati mediante fune d’acciaio per migliorare l’aderenza al substrato. La quantità di pic-
chetti per mq dovrà essere valutata in base alla pendenza della scarpata e comunque in quantità non infe-
riori a 1-2 picchetti per mq.
L’abbinamento rete metallica-biostuoia può essere utilizzato per realizzare canalette di scorrimento in
analogia con le geostuoie tridimensionali bitumate in loco. L’abbinamento con la stuoia organica non è
invece proponibile su sponde soggette a frequente sommersione per le quali viene impiegata la stuoia
sintetica.
Il rivestimento viene abbinato a idrosemina a spessore e messa a dimora di arbusti autoctoni e, nelle sta-
zioni ecologicamente favorevoli, di talee di specie con capacità di propagazione vegetativa.
Campi di applicazione
Versanti in roccia ripidi o in roccia friabile con terreni poco evoluti. Scarpate stradali e ferroviarie con
pendenza > 40°, in scavo in roccia sciolta o solidale, ma comunque friabile (arenarie, marne, argille, etc).
Gli interventi su roccia friabile e sino a 40° consentono, oltre alle semine nelle stagioni ecologicamente
favorevoli, la messa a dimora di talee e piante radicate.
Gli interventi su rocce compatte consentono il solo impiego di idrosemine.
Le geostuoie vengono impiegate per superfici in erosione, su rocce friabili con venute d’acqua e penden-
ze elevate.
Materiali
Biostuoia (anche preseminata) o geostuoia tridimensionale (di min. 10 mm di spessore e massa areica
minima pari a 750 g/mq picchetti o barre in acciaio (di dimensioni dipendenti dal tipo di substrato); rete
metallica a doppia torsione zincata e plastificata di maglia minima 6 x 8 cm e filo di diametro minimo
2,2 mm; fune di acciaio; idrosemina a spessore; arbusti autoctoni e/o talee.

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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Foto 7.7: Rivestimento vegetativo su scarpata in argille (marzo 2002) Bagnoregio (VT) - Foto P. Cornelini

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Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica

Rivestimento vegetativo in rete metallica zincata e biostuoia

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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Interventi stabilizzanti
7.8 MESSA A DIMORA DI TALEE
Descrizione
Infissione di talee legnose e/o ramaglie di specie vegetali con capacità di propagazione vegetativa nel ter-
reno o nelle fessure tra massi, inserimento in palificate vive, gabbioni e terre rinforzate. E’ classico l’im-
piego dei salici, ma anche di altre specie quali il ligustro e le tamerici (queste ultime resistenti a condi-
zioni alterne di forte aridità e presenza di sali nel terreno). La densità di impianto aumenta all’aumenta-
re della pendenza del terreno: da 2-5 talee/mq a 5-10 talee/mq. L’effetto stabilizzante/consolidante in
profondità aumenta con la lunghezza della parte infissa delle talee. La stabilità della scarpata e il conso-
lidamento superficiale del terreno sono limitati sino allo sviluppo di un adeguato apparato radicale.
Vanno eseguite saltuarie potature di irrobustimento e sfoltimento per evitare popolamenti monospecifici.
L’effetto di drenaggio (i salici sono delle vere e proprie “pompe dell’acqua”) è dovuto ad assorbimento
e traspirazione del materiale vivo impiegato.
Le ramaglie devono essere raccolte ed impiegate rapidamente. La conservazione per periodi più lunghi
può essere effettuata in celle frigorifere a basse temperature (4-5 °C) e 90% di umidità o sommerse in
vasche di acqua fredda.
Campi di applicazione
Superfici di neoformazione, scarpate a pendenza limitata; interstizi e fessure di scogliere, muri, gabbio-
nate, terre rinforzate; come picchetti vivi nella posa di reti, stuoie, fascinate, viminate. L’azione è inizial-
mente puntuale, ma estesa e coprente dopo lo sviluppo (6 mesi ÷ 1-2 anni).
Trovano vasta applicabilità, con esclusione di substrati litoidi e particolarmente aridi: le varie specie di
salici coprono una vasta gamma di ambienti dal livello del mare sino ai 2000 m s.l.m. ed oltre, ma temo-
no le condizioni di forte aridità dei climi stenomediterranei, la salinità del substrato (vicinanza al mare,
terreni calanchivi), l’eccesso di ombreggiamento; le tamerici resistono a tali condizioni ma non sono
impiegabili a quote superiori ai 4-500 m s.l.m.
Materiali
Infissione nel terreno: getti non ramificati, di 2 o più anni, ø 2 ÷ 5 cm, L = 0,50 ÷ 0,80 m, di piante legno-
se, in genere arbustive, con capacità di propagazione vegetativa; inserimento in fase di costruzione: rama-
glie vive di L 1÷5 m e diam. 1-5 cm

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Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica

Foto 7.8.1: Talea di Atriplex halimus su terra rinforzata (maggio 1999) Bernalda (MT) - Foto A. Trivisani

Foto 7.8.2: Talea di oleandro (luglio 2001) Bernalda (MT) - Foto A. Trivisani

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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Messa a dimora di talee

342
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica

7.9 MESSA A DIMORA DI ARBUSTI

Descrizione
Messa a dimora di giovani arbusti autoctoni in zolla, in vasetto o fitocella (di produzione vivaistica) in
buche appositamente predisposte e di dimensioni opportune ad accogliere l’intera zolla o tutto il volume
radicale della pianta. La piantagione deve avvenire secondo un sesto d’impianto irregolare e con specie
diverse disposte a mosaico. Per i primi anni le piante devono essere dotate di palo tutore, pacciamatura
alla base per ridurre la concorrenza con le specie erbacee e cilindro in rete per protezione dalla fauna. Il
trapianto a radice nuda, molto usato nell’Europa centrale ed anche nelle zone alpine italiane, è poco pro-
ponibile nelle regioni meridionali. La stabilizzazione del terreno è limitata sino allo sviluppo di un ade-
guato apparato radicale e, quindi, tale condizione deve inizialmente essere garantita da altro materiale.
Campi di applicazione
Superfici a bassa pendenza, preferibilmente con presenza di suolo organico. Nei terreni privi di tale
sostanza è opportuno preparare delle buche nel substrato e riempirle con una certa quantità di terreno
vegetale, fibra organica e fertilizzanti atti a garantire l’attecchimento delle piante; in tali terreni sarà
comunque da preferire la scelta di piante a comportamento pioniero degli stadi corrispondenti della serie
dinamica potenziale naturale del sito.
Materiali
Arbusti da vivaio in contenitore; altezza compresa tra 0,30 e 0,80 m; dischi pacciamanti, o strato di cor-
teccia di pino; pali tutori; reti di protezione antifauna.

Foto 7.9: Arbusti mediterranei (aprile 2002) Castel del Monte (BA) - Foto P. Cornelini

343
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Piantagione di arbusto radicato autoctono

344
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica

7.10 MESSA A DIMORA DI ALBERI

Descrizione
Messa a dimora di giovani alberi autoctoni in zolla, in vasetto o in fitocella (di produzione vivaistica) in
buche appositamente predisposte e di dimensioni opportune ad accogliere l’intera zolla o tutto il volume
radicale della pianta. La piantagione deve avvenire secondo un sesto d’impianto irregolare e con specie
diverse disposte a mosaico. Per i primi anni le piante devono essere dotate di palo tutore, pacciamatura
alla base per ridurre la concorrenza con le specie erbacee e cilindro in rete per protezione dalla fauna. Il
trapianto a radice nuda, molto usato nell’Europa centrale ed anche nelle zone alpine italiane è poco pro-
ponibile nelle regioni meridionali.
La stabilizzazione del terreno è limitata sino allo sviluppo di un adeguato apparato radicale e quindi tale
condizione deve inizialmente essere garantita da altro materiale. Con il tempo si forma un robusto reti-
colo radicale e una copertura vegetale di protezione dall’erosione. Aumenta la biodiversità, grazie anche
all’instaurarsi di un ambiente idoneo ad ospitare numerose specie animali.
Campi di applicazione
Superfici a bassa pendenza con presenza di suolo organico. Nei terreni privi di tale sostanza è opportu-
no preparare delle buche nel substrato e riempirle con una certa quantità di terreno vegetale, fibra orga-
nica e fertilizzanti atti a garantire l’attecchimento delle piante; in tali terreni sarà comunque da preferire
la scelta di piante a comportamento pioniero degli stadi corrispondenti della serie dinamica potenziale
naturale del sito.
Gli alberi sono anche da abbinare con le stuoie e rivestimenti vari, mentre non vanno assolutamente abbi-
nati a grate e palificate, terre rinforzate etc. per ovvi motivi di incompatibilità nello stadio adulto con tali
strutture.
Materiali
Alberi da vivaio in contenitore; altezza compresa tra 0,50 e 2 m; dischi pacciamanti, o strato di cortec-
cia di pino; pali tutori; reti di protezione antifauna.

Foto 7.10: Piantagione di alberi nei reliquati della linea ferroviaria DD RM-FI (dicembre 1990) - Foto P.
Cornelini

345
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Piantagione di albero radicato autoctono

346
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica

7.11 COPERTURA DIFFUSA

Descrizione
Sulla superficie di una sponda viene stesa ramaglia viva di specie vegetali con capacità di propagazione
vegetativa (salici, tamerici), con disposizione perpendicolare alla direzione del flusso d’acqua e fissata al
substrato mediante tondame o filo di ferro teso tra picchetti e paletti vivi e/o morti. La base della rama-
glia viene conficcata nel terreno umido o a contatto con l’acqua. Le eventuali file si devono sormontare
parzialmente. La ramaglia viene coperta con un sottile strato di terreno. Nella variante armata la base
viene protetta con massi da scogliera, tronchi o fascine.
Gli strati di ramaglia coprono la superficie della sponda proteggendola, sin dalla messa in opera, dall’ero-
sione esercitata dal movimento dell’acqua; la resistenza alle sollecitazioni aumenta progressivamente
con lo sviluppo del fitto reticolo di radici.
Campi di applicazione
Sponde di corsi d’acqua dove necessiti una protezione continua ed elastica della sponda. Sono da esclu-
dere i corsi d’acqua con velocità della corrente e trasporto solido notevoli.
Materiali
Ramaglia viva, verghe o astoni di specie con capacità di propagazione vegetativa, di lunghezza mai infe-
riore a 1,5 m e dal portamento dritto; picchetti e tondame in legno di castagno ø 8 - 12 cm, L = 80 cm;
filo di ferro cotto ø 2-3 mm; terreno per la copertura.
Per l’armatura verranno utilizzate in alternativa: a) fascine vive o morte; b) tronchi e chiodature metalli-
che; c) massi; d) massi legati con fune in acciaio.

Foto 7.11: Copertura diffusa (aprile 1997) Rio Tarugo (PU) - Foto P. Cornelini

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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Copertura diffusa con ramaglia viva e consolidamento al piede con pietrame

348
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica

7.12 TRAPIANTI DAL SELVATICO

Descrizione
Tecnica utilizzata per la propagazione delle specie di difficile reperimento in commercio e di difficile
propagazione per seme. I trapianti si dividono in due categorie fondamentali: 1) trapianti di piante erba-
cee come Phragmites australis e Typha sp. in zone palustri, graminacee selvatiche di vari generi in zone
montane, associazioni vegetali non riproducibili artificialmente; 2) trapianti di ceppaie di specie arbusti-
ve/alto arbustive. Nel primo caso si possono distinguere: a) rizomi e cespi: vengono prelevati in pezzi di
alcuni centimetri, posti a dimora sul terreno e ricoperti con uno strato leggero di terreno, onde evitarne
il disseccamento; b) zolle erbose: prelievo di zolle di prato polifita naturale e successivo reimpianto con
disposizione a scacchiera o a strisce; c) trapianto di singole piante. Lo spazio tra una zolla e l’altra viene
ricoperto con terreno vegetale e seminato. Nei casi di sollecitazioni particolari e instabilità del terreno,
le zolle vengono assicurate con picchetti di ferro o legno o con reti metalliche o sintetiche. Si ottiene una
immediata copertura vegetale, con radicazione delle zolle entro pochi giorni.
Campi di applicazione
Prevalentemente su aree caratterizzate da scarsa vegetazione con necessità di riprodurre formazioni natu-
rali con specie non reperibili in commercio. Scarpate stradali o ferroviarie di neoformazione, in rilevato
o in trincee a bassa pendenza. Zone minerarie o di cava. Rivestimento biotecnico di fossi di guardia o
canalette. Piste da sci. Stazioni di alta montagna, dove il periodo vegetativo è più breve.
Le superfici da rivestire non devono comunque avere pendenze elevate e non deve essere presente movi-
mento del corpo terroso.
I rizomi possono essere impiegati nelle paludi costiere salmastre e in ambienti igrofili, con ristagni d’ac-
qua per periodi brevi, substrati non drenanti.
Materiali
Zolle erbose di prato polifita naturale; picchetti di ferro o legno L = 30 - 50 cm; terreno vegetale e semina;
rizomi di specie vegetali adatte (Phragmites australis, Phalaris arundinacea);
pani di terra di canneto (Phragmites australis);
singole piante o cespi di erbe graminoidi e non, che sviluppano più cauli (quindi possono essere suddi-
vise in più pezzi) (Ampelodesmos mauritanicus, Oryzopsis miliacea, Carex pendula);
ceppaie di arbusti

Foto 7.12: Trapianto di ecocelle (ottobre 2002) Piana della Lacina (VV) - Foto P. Cornelini

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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Trapianto di canneto con pane di terra

350
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica

7.13 VIMINATA VIVA SEMINTERRATA

Descrizione
Intreccio di verghe di specie legnose con capacità di propagazione vegetativa, attorno a paletti in legno.
Si ottiene una rapida stabilizzazione sino a 25-30 cm di profondità e immediato contenimento del mate-
riale. E’ una tecnica adattabile alla morfologia della scarpata. La sua esecuzione richiede notevole mano
d’opera e non sempre sono reperibili, per l’intreccio, verghe lunghe ed elastiche in quantità sufficiente.
La stabilizzazione è immediata per gli strati superficiali di terreno e si ha un miglioramento quando le
verghe emettono radici, anche se la radicazione è modesta rispetto alle quantità di materiale utilizzato.
Spesso può accadere che i paletti vengano spezzati per un eccesso di carico da monte o a causa dei sassi che
precipitano dall’alto. In tal caso si rendono necessarie opere manutentive e la sostituzione dei paletti spezzati.
L’effetto stabilizzante si ha solamente nel caso di viminate interrate e seminterrate, nelle quali sono ridot-
ti i fenomeni di sottoescavazione e scalzamento.
Campi di applicazione
Scarpate con inclinazione massima 40° e soggette a movimento superficiale del terreno o a modesti fra-
namenti.
Sponde di corsi d’acqua a velocità della corrente medio-bassa e trasporto solido ridotto. Non è una tec-
nica utilizzabile in corsi d’acqua ad elevata energia.
Tecnica utilizzabile su terreni sassosi o rocciosi se abbinata a riporti di terreno.
Materiali
Verghe elastiche di specie legnose, adatte all’intreccio e con capacità di propagazione vegetativa (salici,
tamerici), poco ramificate, L min. 1,50 m e ø alla base non inferiore ai 2 – 4 cm; paletti in legno di conifere
o castagno ø 5 ÷ 8 cm, L = 1,00 ÷ 1,50 m; picchetti di ferro ø 14 ÷ 16 mm, L 50 cm ÷ 1m; filo di ferro cotto.

Foto 7.13: Viminata viva seminterrata (ottobre 1996) Anversa degli Abruzzi (AQ) - Foto P. Cornelini

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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Viminata viva seminterrata

352
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica

7.14 GRADONATA VIVA

Descrizione
Messa a dimora, all’interno di gradoncini o terrazzamenti scavati a file parallele su pendii, di ramaglia
di piante legnose con capacità di riproduzione vegetativa (salici, tamerici, etc.) e/o arbusti radicati autoc-
toni e successiva copertura con il materiale proveniente dagli scavi superiori. Si ottiene una radicazione
profonda con effetto di drenaggio; viene impedita sia l’erosione sia il movimento del terreno; il ruscel-
lamento superficiale viene rallentato.
La messa a dimora di latifoglie radicate tra le file consente di raggiungere più rapidamente uno stadio
evoluto della serie della vegetazione potenziale.
La tecnica risulta costosa per l’elevato fabbisogno di materiale vegetale.
Nel caso del rilevato la messa a dimora delle piante contemporaneamente alla formazione del rilevato a
strati determina un effetto simile a quello delle terre rinforzate, per il consolidamento in profondità.
Campi di applicazione
Pendii incoerenti, frane superficiali, rilevati in fase di esecuzione.
Stabilizzazione di frane in materiale morenico o alluvionale, con inclinazione del versante massima di 40°.
Materiali
Rami o verghe o astoni di specie con capacità di riproduzione vegetativa; arbusti radicati.

Foto 7.14: Gradonata viva (giugno 2003) Faicchio (BN) - Foto A. Bruzzese M. Alliegro

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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Gradonata viva

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Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica

7.15 CORDONATA VIVA

Descrizione
All’interno di uno scavo vengono messe a dimora talee e ramaglia di salici, in appoggio su un tronco,
posto sul margine esterno dello scavo. Parallelo al primo tronco è posto entro lo scavo stesso un secon-
do tronco, di rinforzo alla struttura. Paleria, ramaglia e reticolo radicale determinano una sorta di rinfor-
zo del terreno, garantendone in tal modo il consolidamento. Per la grande quantità di materiale necessa-
rio e per le difficoltà di esecuzione la tecnica risulta costosa.
In terreni umidi la cordonata ha un effetto drenante e di rinforzo grazie alla ramaglia e alla paleria; in
zone aride può consentire il ristagno dell’acqua.
Campi di applicazione
Stabilizzazione di terreni instabili, sia umidi (con ristagno di acqua), argillosi o limosi, sia aridi, di rile-
vati e di scarpate di riporto in erosione.
Non è una tecnica adatta per le scarpate con roccia affiorante e pendenze eccessive.
Materiali
Tronchi di resinosa o castagno ø 6÷14 cm; picchetti in ferro o legno; ramaglia viva e talee legnose di sali-
ci L > 60 cm, ø 3-8 cm; terreno vegetale.

Foto 7.15: Realizzazione di cordonata viva Praxl (ottobre 1996) M. Aquilone (RI) - Foto P. Cornelini

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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Cordonata Praxl

356
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica

7.16 FASCINATA VIVA

Descrizione
Messa a dimora di fascine vive di specie legnose con capacità di propagazione vegetativa (verghe legate
assieme con filo di ferro) all’interno di un solco: a) su versante: assicurate con picchetti battuti attraver-
so le fascine o di fronte ad esse;
b) su sponda: infissione dei picchetti in legno con orientazione alternata, per rendere così la struttura più
elastica e solidale in caso di piena La realizzazione di fascine spondali determina un restringimento del-
l’alveo; è necessario quindi prevedere lo spazio necessario per il regolare deflusso delle acque.
La stabilizzazione è rapida e di facile esecuzione. I costi sono contenuti anche per lo scarso movimento
di terra. Tuttavia l’effetto in profondità è limitato e le fascine sono sensibili alla caduta sassi. I rami più
esterni sono soggetti ad abrasione. Sui pendii funge da dreno biotecnico e facilita lo sgrondo delle acque.
c) morta: lungo sponde di corsi d’acqua a bassa velocità dell’acqua e limitato trasporto solido, vengono
poste fascine morte di specie legnose, disposte longitudinalmente sulla sponda al di sotto del livello
medio dell’acqua. Si ottiene una protezione immediata del piede della sponda in poco spazio e con impie-
go limitato di materiale. Eseguibile in qualsiasi momento dell’anno, funge anche da riparo per piccoli
animali acquatici. Usualmente questa tipologia non viene applicata quale unica soluzione di intervento,
ma abbinata ad altre tecniche che prevedono l’impiego di materiale vivo. La fascinata morta risulta per-
tanto un ulteriore protezione di base per altre tecniche di ingegneria naturalistica.
Campi di applicazione
Pendii con pendenza non superiore ai 35°, con necessità di drenaggio biotecnico, scarpate stradali e fer-
roviarie, scarpate di discarica.
Corsi d’acqua a energia media con portate e livello medio relativamente costanti.
Materiali
a) e b) verghe di specie legnose con capacità di propagazione vegetativa (salici, tamerici) ø min. 1 cm e
L min. 2.00 m; filo di ferro; paletti di legno ø 5 cm o picchetti in ferro ø 8÷14 mm e L min. 60 cm; ter-
reno di riporto.
c) verghe morte di specie legnose ø min. 2 cm e L min. 2,00 m; paletti di legno ø 5 cm o picchetti in ferro
ø 8÷14 mm e L min. 60 cm; pietrame.

Foto 7.16: Fascinata viva spondale (aprile 2000) Rio Inferno (FR) - Foto P. Cornelini

357
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Fascinata viva su pendio

358
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica

7.17 PALIZZATA VIVA

Descrizione
Intervento per la stabilizzazione di scarpate consistente nella realizzazione di strutture in legname tra-
sversali alla linea di massima pendenza, composte da due file sovrapposte di tronchi fissati con picchet-
ti in ferro, messa a dimora di talee tra i due tronchi e messa a dimora di arbusti a monte nel gradone otte-
nuto. Tale intervento è caratterizzato da una ampia valenza applicativa, limitatamente alla stabilizzazio-
ne superficiale di scarpate.
Campi di applicazione
Scarpate in scavo, consolidamento di solchi di erosione, stabilizzazione superficiale di rilevati e/o accu-
muli di materiale sciolto, versanti percorsi da incendi, etc.
Materiali
Tronchi di castagno o conifere scortecciati ø 15 ÷ 25 cm, L = 2,00 ÷ 5,00 m; picchetti in ferro ø 14 (16)
mm, L 40 ÷ 100 cm; talee legnose; arbusti autoctoni, inerte; sementi autoctone.

Foto 7.17: Palizzate vive in corso di realizzazione (ottobre 2003) Pizzoli (AQ) - Foto P. Cornelini

359
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Palizzata viva

360
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica

Interventi di consolidamento
7.18 GRATA VIVA
Descrizione
Struttura in tondame ottenuta mediante la posa di tronchi verticali e orizzontali disposti perpendicolar-
mente tra loro, questi ultimi sovrapposti a quelli verticali e chiodati ad essi. All’interno delle camere così
ottenute, vengono poste in corso d’opera talee di salici e/o arbusti radicati (talvolta supportati da pezzi
di rete elettrosaldata) e il tutto viene ricoperto con inerte terroso locale. Una grata di piccole dimensioni
può essere eseguita anche con l’impiego di astoni vivi.
La stabilizzazione è immediata grazie all’armatura di legno e l’effetto aumenta con la radicazione delle
specie vegetali, che svolgono anche un’azione drenante.
Il legno col tempo marcisce, per cui, oltre a buone chiodature, è necessario che le piante inserite nella
struttura siano vitali e radichino in profondità, così da sostituire la funzione di sostegno e consolidamen-
to della scarpata una volta che il legno abbia perso le sue funzioni.
Campi di applicazione
Ricostruzione del profilo di smottamenti con pendenze tra 45° e 55° che non possono essere ridotte; scar-
pate di infrastrutture viarie.
Materiali
Tronchi di castagno o conifere scortecciati ø 15 ÷ 25 cm, L = 2,00 ÷ 5,00 m; picchetti in ferro ø 14 (16)
mm, L = 40 ÷ 100 cm; talee legnose di salici L min. 1,00 m; inerte; sementi idonee; arbusti autoctoni;
rete elettrosaldata di contenimento dell’inerte tra le camere.

Foto 7.18: Grata viva (aprile 2002) M. Vulture (PZ) - Foto P. Cornelini

361
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Grata viva semplice su scarpata

362
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica

7.19 PALIFICATA VIVA DOPPIA

Descrizione
Struttura in legname costituita da un’incastellatura di tronchi a formare camere nelle quali vengono
inserite piante e/o fascine di specie con capacità di propagazione vegetativa. L’opera, posta alla base
di un pendio o di una sponda, è completata dal riempimento con materiale terroso inerte e pietrame
nella parte sotto il livello medio dell’acqua. Il pietrame e le fascine poste a chiudere le celle verso
l’esterno garantiscono la struttura dagli svuotamenti. Le talee inserite in profondità sono necessarie
per garantire l’attecchimento delle piante che negli ambienti mediterranei soffrono per le condizioni
di aridità. L’effetto consolidante è notevole, è legato inizialmente alla durata del legname e viene sosti-
tuito nel tempo dallo sviluppo delle redici delle piante. In tal senso sono consigliabili altezze della
struttura inferiori a 2,5 m.
Il consolidamento è rapido e robusto, con un effetto visivo immediatamente gradevole e di grande effet-
to paesaggistico, legato al rapido sviluppo delle ramaglie.
Il legno col tempo marcisce, per cui oltre a buone chiodature, è necessario che le piante inserite nella
struttura siano vitali e radichino in profondità, così da sostituire, come detto, la funzione di sostegno e
consolidamento della scarpata, una volta che il legno si deteriora.
Campi di applicazione
Consolidamento di pendii e scarpate franosi; al piede di scarpate stradali o ferroviarie; sponde flu-
viali soggette ad erosione di corsi d’acqua ad energia medio – alta con trasporto solido, anche di
medie dimensioni. La variante a una parete è preferibile in situazioni di spazio o di possibilità di
scavo limitati.
Materiali
Tronchi di castagno o resinosa scortecciati ø 20 ÷ 30 cm; chiodature metalliche ø 12 ÷ 14 mm; talee
e ramaglie (da abbinare a fascine vive di salice ø 25 ÷ 30 cm e fascine morte ø 25 ÷ 30 cm nel caso
di palificata spondale); inerte terroso e pietrame (nella palificata spondale); arbusti autoctoni.

Foto 7.19: Lavori di realizzazione di palificata viva doppia (marzo 2004) Vieste (FG) - Foto C. Bonelli

363
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Palificata viva di sostegno a parete doppia

364
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica

7.20 PALIFICATA VIVA ROMA

Descrizione
Struttura in legname costituita da un’incastellatura di tronchi a formare camere nelle quali vengono inse-
rite talee di salici o tamerici e/o arbusti radicati autoctoni. L’opera, posta alla base della scarpata o della
sponda, è completata dal riempimento con materiale terroso, che si arricchisce di pietrame nella parte
sotto il livello medio. Sul fronte, che dovrà avere una pendenza massima di 65° per consentire la cresci-
ta delle piante, è possibile inserire biostuoie o geotessili per il contenimento del materiale più fine.
Qualora la palificata funga da difesa spondale, al piede della stessa verrà collocata una fila di massi, lega-
ti con fune di acciaio e profilati metallici.
Le talee dovranno avere una lunghezza superiore allo spessore dell’opera fino a toccare il terreno retro-
stante e in tal modo radicare, mentre nella parte frontale dovranno sporgere per 10 cm circa.
Data la particolarità costruttiva, la palificata Roma ha un campo ottimale di realizzazione per altezze da
1, 8 a 2,2 m. Rispetto alla tradizionale palificata doppia presenta un risparmio di legname e chiodature.
Il legno col tempo marcisce, per cui oltre a buone chiodature, è necessario che le talee e le piante radi-
cate inserite nella struttura siano vive e radichino in profondità, così da sostituire la funzione di sostegno
e consolidamento della scarpata, una volta che il legno abbia perso le sue funzioni.
Il consolidamento della scarpata è immediato. La struttura in ambito fluviale funge anche da microhabi-
tat (riparo e tane per piccoli animali e pesci).
Campi di applicazione
Scarpate stradali, piede di versanti instabili.
Sponde fluviali soggette ad erosione in corsi d’acqua a media energia con trasporto solido di dimensio-
ni medie.
Materiali
Tronchi di castagno o resinosa scortecciati ø 20 ÷ 25 cm; chiodature in acciaio a.m ø 12 ÷ 14 mm e barre
in acciaio filettato con dadi e rondelle ø 12 ÷ 14 mm; rete metallica a doppia torsione zincata e plastifi-
cata a maglia 6x8 cm; talee L = 2-3 m e ø 2÷5 cm e arbusti radicati autoctoni; inerte terroso. In ambito
fluviale si utilizzano anche fascine vive di salice ø 25 ÷ 30 cm e pietrame.

Foto 7.20: Palificata Roma (giugno 2003) Acqualagna (PU) - Foto P. Cornelini

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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Fasi di montaggio

366
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica

Palificata viva “ROMA” sezione tipo

367
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

7.21 GABBIONATA VIVA

Descrizione
Tecnica adatta sia per sistemazioni lineari che per sistemazioni puntiformi, costituita da gabbioni in rete
metallica zincata a doppia torsione e maglia esagonale, riempiti in loco con pietrisco di pezzatura mini-
ma 15 cm, disposti a file parallele sovrapposte. All’interno dei gabbioni vengono inserite talee di salice
o tamerice con disposizione irregolare o a file nella prima maglia del gabbione superiore (non tra un gab-
bione e l’altro). Per evitare erosione al piede di sponda, prima della posa dei gabbioni viene predisposta
una idonea fondazione prolungata verso il centro alveo (materasso). Struttura di sostegno elastica, molto
adatta per sistemazioni in condizioni di forte pendenza e in spazi limitati; l’uso dei ciottoli locali garan-
tisce una coerenza visuale della struttura con la litologia locale; nell’arco di 1 – 2 anni le radici dei sali-
ci o tamerici aumentano la stabilità della struttura stessa che viene anche mascherata dallo sviluppo delle
parti aeree. Nel loro impiego combinato con piante vive si prestano a varie applicazioni dell’ingegneria
naturalistica che sono suscettibili di ulteriori evoluzioni data l’adattabilità dei materiali. Già il loro uso
tradizionale presenta notevole plasticità, dando adito nel tempo a processi di rinaturazione spontanea.
Possono svolgere funzione di protezione rispetto all’erosione fluviale ed, al contempo, sostegno della
sponda in caso di instabilità gravitativa. Sono strutture permeabili che non ostacolano la filtrazione del-
l’acqua da e verso le sponde. Vanno utilizzate verificandone la stabilità rispetto alle tensioni di trascina-
mento dovute all’azione dell’acqua. In genere se ne sconsiglia l’uso in presenza di trasporto solido inten-
so caratterizzato da materiale di grosse dimensioni. Vengono impiegate per costruire strutture di soste-
gno a gravità caratterizzate da una elevata flessibilità e permeabilità. Vanno dimensionati come opere di
sostegno eseguendo le opportune verifiche di stabilità. L’esecuzione è rapida e semplice, con effetto con-
tenitivo immediato. La realizzazione è preferibile in zone con disponibilità di materiale lapideo.
Campi di applicazione
Difesa longitudinale e/o trasversale di corsi d’acqua; piede di pendii umidi e instabili; versanti in erosio-
ne; briglie in golene allagate occasionalmente; sistemi di fitodepurazione; difesa e sostegno di sponde
lacustri; ricostruzione e/o sostituzione di muri di sostegno in calcestruzzo in terreni instabili.
Materiali
Ciottoli di fiume ø 15÷30 cm o pietrame; scatolare in filo di acciaio zincato (e plastificato se a contatto
con l’acqua), maglia tipo 8 x 10 a doppia torsione; filo di ferro zincato ø 2,2 mm o punti metallici mec-
canizzati in acciaio ø 3,0 mm; talee di salice o tamerice di lunghezza tale da toccare il terreno naturale
dietro il gabbione, almeno 1,5 – 2 m e ø min. 2 cm.

Foto 7.21: Gabbionata rinverdita (marzo 2000) Rio Valleluce (FR) - Foto P. Cornelini

368
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica

Gabbionata in rete metallica zincata rinverdita con talee

369
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

7.22 MATERASSO RINVERDITO

Descrizione
Moduli prefabbricati in rete metallica zincata, con spessore di 20 - 30 cm, rivestiti nella parte superiore
con geostuoia o biofeltri, riempiti con materiale inerte e assemblati con punti metallici in acciaio zinca-
to in modo tale da costituire una struttura monolitica. Alcuni moduli non soggetti a sommersione posso-
no essere riempiti con terreno vegetale e possono essere effettuate sulla superficie la semina e la messa
a dimora di talee, rizomi, cespi e arbusti radicati di specie autoctone, previo taglio di alcune maglie della
rete. Le talee, inserite in preferenza in concomitanza di substrati in roccia sciolta (ghiaie, sabbie), devo-
no avere una lunghezza tale da passare attraverso l’intera struttura ed inserirsi nel terreno retrostante, in
modo tale che venga assicurata la radicazione in profondità.
La realizzazione si basa sulla disponibilità in loco di idoneo materiale lapideo per i riempimenti (l’uso
di materiale litoide alloctono incrementa i costi e non è coerente con il principio dell’impiego di risorsa
locale con l’effetto paesaggistico).
I materassi hanno un’elevata durata temporale, si adattano alla morfologia di sponde, alvei, scarpate e
vengono in tempi brevi rivegetati e riassorbiti nelle morfologie che diventano naturaliformi. Sono strut-
ture permeabili che non ostacolano la filtrazione dell’acqua da e verso le sponde. Vanno utilizzate veri-
ficandone la stabilità rispetto alle tensioni di trascinamento dovute all’azione dell’acqua; la resistenza
dipenderà dalla presenza della rete metallica e dalla pezzatura del materiale di riempimento.
Campi di applicazione
Possono essere impiegati anche per il rinverdimento di scarpate e sponde in roccia sino a 45-50° di pen-
denza, salvo opportune chiodature di fissaggio.
Sponde di fiumi e canali con energia idraulica significativa, ma comunque velocità della corrente infe-
riore a 6 m/sec e diametro di trasporto solido inferiore a 20 cm.
Materiali
Moduli prefabbricati in rete metallica zincata con maglia tipo 6 x 8, filo ø 2,2 mm, eventualmente pla-
stificato (larghezza minima 1 m e spessore di 20-30 cm), all’interno foderati con stuoie sintetiche (nelle
parti sommerse) o in fibra vegetale, con funzione di filtro e ritenzione di fini. Filo di ferro zincato ø 2.0
mm o punti metallici meccanizzati in acciaio ø 3.0 mm. Materiale di riempimento: inerte misto a terre-
no vegetale. Geostuoia tridimensionale o biostuoia per il controllo dell’erosione superficiale. Miscela di
sementi per idrosemina. Talee di salici, tamerici, etc. Specie arbustive autoctone.
Barre metalliche di lunghezza e diametro dipendenti dalla condizione del substrato per ancorare la strut-
tura su pendii a forte inclinazione (40-50°).

Foto 7.22: Materasso rinverdito con talee di tamerici (giugno 2001) T. Arrone (VT) - Foto P. Cornelini

370
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica

Materasso spondale in rete metallica rinverdito

371
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

7.23 SCOGLIERA RINVERDITA

Descrizione
Difesa longitudinale per il consolidamento e contro l’erosione delle sponde, realizzata con l’impiego di
grossi massi disposti irregolarmente lungo la scarpata dal basso verso l’alto e contemporanea messa a
dimora di talee di salice inserite nelle fessure tra i massi stessi. Si ottiene una protezione immediata della
sponda, che va aumentando con lo svilupparsi dell’apparato radicale delle talee. L’aspetto risulta coeren-
te solo in morfologie rocciose montane, mentre risulta molto visibile in morfologie a litologie sciolte
(ghiaie, argille, sabbie).
L’opera risulta massiccia con effetto protettivo immediato; l’inserimento delle talee dovrà avvenire pre-
feribilmente durante la fase di costruzione, con l’attraversamento dell’intera struttura, fino a toccare il
terreno retrostante.
Nei regimi torrentizi le scogliere sono soggette a sottoescavazioni. Si riscontra un’elevata percentuale di
fallanze nelle talee inserite a posteriori.
Campi di applicazione
Sponde di corsi d’acqua con notevole trasporto solido e alta velocità della corrente.
Materiali
Massi ciclopici di ø 0,5-1,0 m; talee di salice di lunghezza min. 1,0 m; inerte terroso per l’intasamento
delle fughe.

Foto 7.23: Scogliera rinverdita (aprile 2000) Rio Inferno (FR) - Foto P. Cornelini

372
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica

Scogliera rinverdita

373
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

7.24 TERRA RINFORZATA RINVERDITA

Descrizione
Opera di sostegno realizzata mediante l’abbinamento di materiali di rinforzo in reti sintetiche o metalli-
che plastificate, inerti di riempimento e rivestimento in stuoie sul fronte esterno, tali da consentire la cre-
scita delle piante. Sotto il profilo statico, la stabilità della struttura è garantita dal peso stesso del terreno
consolidato internamente dai rinforzi; la stabilità superficiale dell’opera è assicurata dalle stuoie sul para-
mento e dalle piante.
Si tratta di una struttura di sostegno molto adatta per sistemazioni in spazi limitati o in vicinanza di infra-
strutture viarie. La plasticità delle morfologie realizzabili e la totale rivegetabilità ne fanno una delle tec-
niche più facilmente reinseribili nel paesaggio a parità di funzionalità di consolidamento.
Per garantire l’attecchimento e la crescita delle piante e del cotico erboso, i fronti dovranno avere pen-
denza massima di 60° per consentire l’apporto delle acque piovane. Il solo cotico erboso deperisce nel
tempo e non garantisce la funzione antierosiva del cuneo di terra vegetale, che tende a dilavarsi; quando
le stuoie perdono la loro funzione, risulta pertanto indispensabile l’inserimento, raccomandato in fase di
costruzione, di talee e arbusti radicati e l’uso combinato di stuoie sintetiche permanenti.
I manufatti risultano avere un’elevata durata temporale e la costruzione per moduli consente di ottenere
molteplici forme, adatte alle condizioni locali del terreno. Risulta perciò un’opera elastica e permeabile,
anche se, per i costi e l’ingombro risulta essere maggiore rispetto alle strutture murarie in cls. E’ neces-
sario reperire materiale di riempimento con caratteristiche geotecniche idonee.
Campi di applicazione
Sostegno di scarpate in riporto, consolidamento di scarpate stradali e ferroviarie, consolidamento di
sponde e argini. Terrapieni antirumore, modellamento e ricostruzione nei casi di spazio limitato.
Materiali
A seconda della diversa tipologia costruttiva vengono impiegati geosintetici, griglia metallica e geosin-
tetici, griglia e armatura metallica, elementi preassemblati in rete metallica a doppia torsione. In tutti i
casi trovano impiego punti metallici, materiale inerte di riempimento, terreno vegetale, talee vive, arbu-
sti radicati, idrosemine normali o a spessore.

Foto 7.24: Terra rinforzata rinverdita in costruzione (novembre 2000) Bernalda (MT) - Foto A. Trivisani

374
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica

Terra rinforzata rinverdita

375
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

7.25 BRIGLIA VIVA IN LEGNAME E PIETRAME

Descrizione
Opera in legname e pietrame realizzata trasversalmente al corso d’acqua. Si ha un’immediata dimi-
nuzione della pendenza del profilo longitudinale del corso d’acqua, pertanto viene meno l’effetto ero-
sivo e viene favorito il deposito di materiale. L’aspetto in aree montane risulta gradevole in quanto
legato all’uso di tronchi e pietrame e risulta perciò opera sostitutiva di briglie cementizie. Possono
essere realizzate opere di altezza e ampiezza limitata; non sono proponibili in regimi con trasporto
solido di diametro elevato. La durata di tali opere risulta limitata nel tempo, inoltre, sono scarsamen-
te rivegetabili.
Campi di applicazione
Regimi torrentizi montani e collinari anche con notevole trasporto solido.
Materiali
Tronchi di castagno o resinosa scortecciati ø 20 ÷ 30 cm, chiodature metalliche ø 12 ÷ 14 mm, tondini
in metallo ø 10 ÷ 14 mm, talee e fascine vive di salice ø 20 ÷ 30 cm, pietrame, inerte terroso.

Foto 7.25: Briglia legname e pietrame (aprile 2002) M. Vulture (PZ) - Foto P. Cornelini

376
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica

Briglia in legname e pietrame

377
CAPITOLO 8
Sintesi a vignette
Capitolo 8

Salvatore, responsabile del procedimento,


ha seguito un corso di ingegneria naturalistica

Salvatore imposta il documento preliminare per un'opera di sostegno;


si chiede, in primis, se le opere vive possano raggiungere
l'obiettivo progettuale

381
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Analisi botanica?
Analisi geologica?
Analisi idraulica?
Indagini geotecniche?

Salvatore esamina il progetto e richiede le analisi mancanti

No ad elenchi di Si a specie da analisi


specie vegetali stazionale floristico
da bibliografie vegetazionale

Salvatore si assicura che il progetto botanico preveda


varie specie autoctone per l'aumento della biodiversità

382
Capitolo 8

NO! SI!

Salvatore richiede il profilo stratigrafico per verificare la fattibilità


delle opere di ingegneria naturalistica riguardo le fondazioni

L = 200 m
palificata viva

L = 200 m
gabbionata
L = 1 km gabbionata
NO! L = 200 m
scogliera

L = 200 m
copertura diffusa

L = 200 m
talee

SI!

Salvatore si assicura che il progetto degli interventi idraulici sia articolato


il più possibile in funzione delle caratteristiche ecomorfologiche e che non
sia basato, per pigrizia progettuale, su una sola tipologia

383
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

NO! NO!

Tronchi di salice Piante filate o malate

NO!
Tronchi di pino non
scortecciato

Salvatore si assicura che il direttore lavori controlli la qualità


dei materiali vivi e morti scartando quelli inidonei

Picchetti ad ade- Chiodi in


renza migliorata acciaio
ø = 14 mm L = 14 cm

SI! NO!

Salvatore insiste per il rispetto delle norme di sicurezza


e per la corretta esecuzione dei lavori

384
Capitolo 8

Salvatore verifica con particolare attenzione la piantagione del materiale


vivo e si assicura della sua manutenzione per almeno due stagioni vegetative

Alla primavera successiva, dopo le prime piogge,


Salvatore è proprio soddisfatto dell'ingegneria naturalistica,
ma sa che sarà necessaria la manutenzione

385
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

Salvatore ora sistema quel dissesto sulla strada di casa sua


con una palificata viva

386
Bibliografia

BIBLIOGRAFIA PRINCIPALE DI RIFERIMENTO


PER L’INGEGNERIA NATURALISTICA

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PALMERI F. et al., 2003 - Manuale tecnico di Ingegneria Naturalistica della Provincia di Terni.
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Fiumi e Territorio
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SCHIECHTL H. M., STERN R., 1994 - Ingegneria Naturalistica - Manuale delle costruzioni idrauliche.
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387
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica

BIBLIOGRAFIA
CITATA NEI CAPITOLI

CAP. 1.3

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Direz. Gen. Economia Montana e Foreste Collana Verde n. 9, Bari.
PUGLISI S., 1999, La sistemazione dei versanti e gli effetti della vegetazione in U. Maione e A. Brath
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PUGLISI S., ARCIULI E., MILILLO F., 1991, Il ruolo primario delle sistemazioni idraulico-forestali nella dife-
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PUGLISI S., GENTILE F., 1999, La sistemazione idraulica-forestale e la conseguente rinaturazione del Fosso
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Convegno «Interventi di rivegetazione e tecniche di ingegneria naturalistica per la stabilizzazione dei
versanti calanchivi (San Marino, 21 giugno 2002)», Trieste.

CAP. 2.1

Autorità di Bacino del Sarno, Piano Stralcio per l’assetto Idrogeologico, 2001;
Autorità di Bacino Interregionale della Basilicata, Piano Stralcio per la difesa dal Rischio Idrogeologico,
Aggiornamento 2003;
Autorità di Bacino Liri-Garigliano e Volturno, Piano Stralcio per l’assetto Idrogeologico, 2001;
Autorità di Bacino Nord Occidentale della Regione Campania, Piano Stralcio per l’assetto
Idrogeologico, 2001;
Autorità di Bacino Regionale Destra Sele, Piano Stralcio per l’assetto Idrogeologico, 2001;
CNR-GNDCI, Relazioni finali Progetto AVI: Regioni Basilicata, Calabria Campania, Puglia, Sardegna,
Sicilia, 1995;
Regione Calabria, Piano Stralcio per l’assetto Idrogeologico, 2001;
Regione Sardegna, Piano Stralcio per l’assetto Idrogeologico, 2003;
Regione Sicilia, Piano Straordinario per l’assetto Idrogeologico, 2000;
Regione Sicilia, Relazione sullo Stato dell’Ambiente in Sicilia, 2002;
VALLARIO A., Frane e territorio. Le frane nella morfogenesi dei versanti e nell’uso del territorio, Liguori
Editore, Napoli, 1992;
Vallario A., Il dissesto idrogeologico in Campania, CUEN, Napoli, 2001;
Varnes D.J., Slope movement types and processes, Special report 176 National Accademy of Science,
Washington, 1978;

388
Capitolo 8

CAP. 2.2

GENTILE S. 1982. Zonation altitudinale de la vegetation en Italie meridionale et en Sicilie (Etna exclu)
Ecologia mediterranea T.VIII. Marseille
PIGNATTI S., 1982 - Flora d’Italia. 3 voll. Edagricole - Bologna
PIGNATTI S., 1995 - Ecologia vegetale - UTET
PIGNATTI S., 1998 - I boschi d’Italia - UTET - Torino

CAP. 3

CHIATANTE D., SARNATARO M., FUSCO S., DI IORIO A., SCIPPA G. 2003 - Modification of root morphologi-
cal parameters an root architecture in seedlings of Fraxinus ornus e Spartium junceum growing on
slopes. Plant Biosystems 1/03
FLORINETH F., 1995 - Consolidamento di frane ed erosioni in zone montane - A.S.R.B.M. - Bolzano
GREENWAY D. R., 1987. Vegetation and slope stability, in “Slope stability” a cura di M. G. Anderson e K.S
Richards, J. Wiley et Sons, New York, 1987
KUTSCHERA L., SOBOTIK M., 1997 - Bewurzelung von Pflanzen in den verschiedenen Lebensräumen -
Stapfia 49
SILVA J., REGO F., MARINS-LOUCAO, 2003 - Root distribution of Mediterranean woody plants - Plants
Biosystems n. 1.

CAP. 5.1

CORNELINI P., CRIVELLI C., PALMERI F., SAULI G. 2001- La sistemazione idraulica del Rio Inferno (FR) -
Acer 2
FERRAIOLO F., VICARI M. - Programma Macra 1996. Atti Convegno AIPIN Bologna “Sistemazioni idrau-
liche con metodi naturalistici”
FLORINETH F. Analisi del limite. Acer 4, 1999
GERTSGRASER C. - Wirksamkeit ingenieurbiologischer Bauweisen an Fliessgewassern, Convegno EFIB
Trieste 1999 pp. 39-45
PALMERI F., CALÒ P. - Influenza della vegetazione sul deflusso - 1996 Atti Convegno AIPIN Bologna
“Sistemazioni idrauliche con metodi naturalistici”

Cap. 5.3

BRUSCHINI U., TITA M. (2002 ) - Studio sperimentale interventi pilota per il recupero aree percorse dal
fuoco-Regione Liguria

389
(V511002/101) Roma 2005 - Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A. - S.

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