Fondo di Sviluppo
Europeo
A cura di:
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio
Direzione Generale per la Difesa del Suolo
Progetto Operativo Difesa Suolo
Responsabile PODIS
Ing. Giovanni Onorato
Redazione Revisione
Ing. Dott. Nat. Paolo Cornelini Ing. Chiara Biscarini
Dott. Nat. Giuliano Sauli Ing. Laura Cutaia
Geol. Grazia Varacalli
Geol. Luca Olivetta
Si ringrazia l’Ing. Gabriele Felli per il contributo fornito in fase di avvio dell’attività
I diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o parziale sono riservati per tutti i Paesi.
Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta, registrata o trasmessa con qualsiasi mezzo:
elettronico, elettrostatico, meccanico, fotografico, magnetico (compresi microfilm, microfiches e copie
fotostatiche).
Impaginazione e stampa:
Roma 2005 - Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A. - Salario
PODIS - Progetto Operativo Difesa Suolo - PON ATAS 2000-2006 - Asse II Misura II.2
Via Cristoforo Colombo n. 112 - 00147 Roma
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Foto di copertina dell’Ing. Gino Menegazzi “Interventi di ingegneria naturalistica nel Parco Nazionale del Vesuvio”
Autori
Ing. Dott. Nat. Paolo Cornelini
Dott. Nat. Giuliano Sauli
Contributi specialistici
Prof. Ing. Salvatore Puglisi Cap. 1.3
Dott. Geol. Alessandro Trigila Cap. 2.1
Dott. Geol. Irene Rischia Cap. 2.1
Prof. Sergio Malcevschi Cap. 2.3
Dott.Agr. Andrea Pietro Corapi Cap. 2.3
Dott. For. Fabio Palmeri Cap. 3
Dott. Geol. Massimo Comedini Cap. 4.3.1
Dott. Geol. Giancarlo Bovina,
Dott. Geol. Carlo Callori Di Vignola,
Dott. Geol. Massimo Amodio Cap. 5.8.2
Roberto Ferrari Cap. 6
Il fumetto “Salvatore” del cap. 8 è stato ideato da Paolo Cornelini, disegnato da Olivia
Iacoangeli ed informatizzato da Chiara Biscarini
Le figure riportate nei capitoli sono opera originale degli autori ove non altrimenti spe-
cificato
Disegni
Dott. Geol. Olivia Iacoangeli
Geom. Licia Cociancich
Collaboratori
Dott. Nat. Cristina Loss
Dott. Nat. Viviana Zago
Andrea Giorgi
Si ringraziano per il contributo nella elaborazione delle schede tecniche del cap. 5:
Ing. Mariano Lucio Alliegro
Ing. Ignazio Balzamo
III
Ing. Carlo Bifulco
P. Agr. Carlo Bonelli
Dott. Geol. Giancarlo Bovina
Geom. Antonio Bosco
Ing. Antonio Bruzzese
Dott. Nat. Teresa Carone
Dott. Geol. Giuseppe Doronzo
Dott. Nat. Alessandro Facen
Ing. Nando Ferranti
Dott. Agr. Antonello Liberatore
Ing. Aldo Marcello
Ing. Gino Menegazzi
Dott. For. Chiara Milanese
Geom. Sabatino Panzitta
Ing. Gianluigi Pirrera
Dott. Geol. Giovanni Pinzani
Geom. Domenico Portose
Dott. For. Paolo Prosperi
Dott. For. Giuseppe Puddu
Ing. Lionello Sacchetti
Ing. Aleandro Tinelli
Arch. Antonio Trivisani
Idraulica
F. Tanagro (SA) Mariano Alliegro, Paolo Cornelini
Alaco (CZ,VV) Antonio Bosco, Paolo Cornelini, Aldo Marcello
Vieste (FG) Carlo Bonelli
Mattinata(FG) Carlo Bonelli
T. Farinella (PA) Ignazio Balzamo, Giovanni Pinzani, Giuliano Sauli
Roccella (PA) Ignazio Balzamo, Giovanni Pinzani, Giuliano Sauli
Nora (CA) Paolo Cornelini, Alessandro Facen, Giuliano Sauli
Rio Inferno (FR) Paolo Cornelini
Rio Fontanelle (FR) Paolo Cornelini
IV
Rio Valleluce (FR) Paolo Cornelini
F. Fella (UD) Cristina Loss, Giuliano Sauli, Viviana Zago
Rio Anonimo (UD) Cristina Loss, Giuliano Sauli, Viviana Zago
Versanti
Vesuvio (NA) Carlo Bifulco, Paolo Cornelini, Gino Menegazzi
Pomigliano d’Arco(NA) Giuseppe Doronzo
Titerno (BN) Mariano Alliegro, Antonio Bruzzese, Paolo Cornelini
S. Giov. Rotondo(FG) Carlo Bonelli
Bernalda (MT) Antonio Trivisani
Rocca di Caccamo(PA) Ignazio Balzamo, Giovanni Pinzani, Giuliano Sauli
Collesano (PA) Gianluigi Pirrera, Giuliano Sauli
Contuberna (AG) Gianluigi Pirrera, Giuliano Sauli
Colle S. Michele(CA) Alessandro Facen, Giuliano Sauli
Atina (FR) Paolo Cornelini
Alta Versilia(LU, MC) Paolo Cornelini, Alessandro Trigila
Repubblica S. Marino Emanuele Guidi
Strade e ferrovie
Blufi (PA) Ignazio Balzamo, Giovanni Pinzani, Giuliano Sauli
Pula (CA) Paolo Cornelini, Alessandro Facen, Giuliano Sauli
Arezzo Paolo Cornelini, Giuliano Sauli
Cave e discariche
Priverno (LT) Paolo Cornelini, Nando Ferranti, Chiara Milanese
Paolo Prosperi
Scoria (TS) Giuliano Sauli
Fanna (Maniago, PN) Giuliano Sauli
Gonnesa (CA) Giuliano Sauli
Condotte interrate
Bernalda (BR) Giuliano Sauli
Malborghetto (UD) Cristina Loss, Giuliano Sauli, Viviana Zago
V
Sistemazioni costiere
Nova Siri (MT) Antonio Trivisani
Circeo (LT) Giancarlo Bovina, Giuliano Sauli
VI
PRESENTAZIONE
Il v. Ministro
(On. Francesco NUCARA)
VII
PREFAZIONE
IX
INDICE DEL MANUALE
PREFAZIONE........................................................................................... » XI
1. INTRODUZIONE........................................................................... » 1
1.1 DEFINIZIONI, METODI, FINALITÀ ........................................................ » 1
1.2 CRONISTORIA EUROPEA..................................................................... » 5
1.3 I PIÙ SIGNIFICATIVI INTERVENTI DI DIFESA DEL SUOLO MEDIANTE SISTE-
MAZIONI IDRAULICO-FORESTALI AGLI INIZI E DURANTE IL XX SECOLO
IN BASILICATA, CAMPANIA, PUGLIA .................................................. » 8
1.3.1 Introduzione .................................................................................... » 8
1.3.2 Basilicata ........................................................................................ » 8
1.3.3 Campania ........................................................................................ » 10
1.3.4 Puglia .............................................................................................. » 10
1.4 DEONTOLOGIA .................................................................................. » 24
1.4.1 Premessa ......................................................................................... » 24
1.4.2 Principi di base............................................................................... » 25
1.5 NORMATIVA DI RIFERIMENTO ............................................................. » 28
1.5.1 Leggi nazionali e regionali con riferimenti all'ingegneria natura-
listica............................................................................................... » 28
1.5.2 Aspetti Normativi ............................................................................ » 32
XI
2.3 L'INGEGNERIA NATURALISTICA NELLA PIANIFICAZIONE TERRITORIALE
E SETTORIALE .................................................................................... Pag. 61
2.3.1 L'ingegneria naturalistica dal progetto al piano ............................ » 61
2.3.2 I settori di governo pianificati e l'ingegneria naturalistica............ » 63
2.3.3 Un caso particolare: la situazione della Lombardia...................... » 67
XII
5.1.2 Scheda di valutazione della qualità ambientale di un corso d’acqua. Pag. 140
5.1.3 Scelta delle tipologie di intervento ................................................. » 144
5.1.4 Valutazione della scabrezza in presenza di vegetazione................. » 147
5.1.5 Parametri ideologici da considerare nel calcolo delle opere di I.N. » 148
5.2 VERSANTI ......................................................................................... » 186
5.2.1 Possibilità d’impiego delle tecniche di ingegneria naturalistica nel-
le principali tipologie di dissesto.................................................... » 186
5.2.2 Tecniche di ingegneria naturalistica applicabili ai versanti nelle
regioni meridionali.......................................................................... » 188
5.2.3 Criteri di scelta delle tecniche........................................................ » 195
XIII
Indice
XIV
Indice
BIBLIOGRAFIA....................................................................................... » 387
XV
Introduzione
1. INTRODUZIONE
1.1. DEFINIZIONI, METODI, FINALITÀ
L’ingegneria naturalistica è una disciplina tecnica che utilizza le piante vive negli
interventi antierosivi e di consolidamento, in genere in abbinamento con altri materiali
(paglia, legno, pietrame, reti metalliche, biostuoie, geotessuti, etc).
I campi di applicazione sono vari e spaziano dai problemi classici di erosione dei
versanti, delle frane, delle sistemazioni idrauliche in zona montana, a quelli del reinse-
rimento ambientale delle infrastrutture lineari (scarpate stradali e ferroviarie, condotte
interrate, canali), a quelli delle cave e discariche, delle sponde dei corsi d’acqua plani-
ziali, degli insediamenti industriali e altre infrastrutture puntuali, dei consolidamenti
costieri, a quelli dei semplici interventi di rinaturalizzazione e ricostruzione di elemen-
ti delle reti ecologiche.
Le finalità riconosciute degli interventi di ingegneria naturalistica (I.N.) sono prin-
cipalmente quattro:
1) tecnico-funzionali: con riferimento all’efficacia ad esempio antierosiva e di
consolidamento di un versante franoso, di una sponda o di una scarpata stradale;
2) naturalistiche: in quanto non semplice copertura a verde, ridotta spesso ad
una semplice semina, ma ricostruzione o innesco di ecosistemi paranaturali mediante
impiego di specie autoctone degli stadi delle serie dinamiche della vegetazione natura-
le potenziale dei siti di intervento;
3) paesaggistiche: di “ricucitura” del paesaggio naturale circostante, effetto
strettamente collegato all’impiego di specie locali;
4) economiche: in quanto strutture competitive e alternative ad opere tradi-
zionali (ad esempio muri di controripa sostituiti da palificate vive o da terre verdi rin-
forzate).
All’interno del filone dell’ingegneria naturalistica si delineano in realtà tre princi-
pali settori, spesso collegati in sede operativa:
• la “rinaturazione” o “rinaturalizzazione” vera e propria cioè la ricostruzione di
biotopi o ecosistemi paranaturali, non collegata ad interventi funzionali anche
se talvolta realizzata quale opera “compensatoria”. Ad esempio la realizzazio-
ne di un biotopo umido o di un’area boscata realizzati in zona agricola nel-
l’ambito del progetto di una nuova infrastrutture viaria;
• l’ingegneria naturalistica in senso stretto, cioè la realizzazione di sistemi
antierosivi, stabilizzanti o di consolidamento realizzati con piante vive abbi-
nate ad altri materiali, talvolta alternativi ad opere cosiddette “in grigio” cioè
realizzate in calcestruzzo;
• i provvedimenti per la fauna, anche semplicemente tecnologici, e in particola-
re quelli per garantire la continuità degli habitat (rampe di risalita per pesci,
sottopassi per anfibi, sottopassi e sovrappassi per ungulati etc).
Gli interventi di I.N. si differenziano da quelli di tipo tradizionale principalmente
attraverso le analisi stazionali delle condizioni delle singole superfici di intervento con
riferimento ad alcuni parametri fondamentali, la cui conoscenza è condizione prima del
successo dell’intervento legato, come si è detto, alla crescita delle piante.
1
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
2
Introduzione
3
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Si tratta chiaramente di una disciplina “trasversale” che fa capo a vari settori tecni-
co-scientifici di cui si utilizzano, a fini applicativi, dati sintetici di analisi e di calcolo.
Le tecniche di ingegneria naturalistica sinora applicate nel Centro Europa sono
circa un centinaio e si possono distinguere nelle seguenti categorie (Schiechtl,1992 –
A.A.V.V. 1997):
1) di rivestimento o antierosivi (tutti i tipi di semina, stuoie, materassini semi-
nati, etc.);
2) stabilizzanti (messa a dimora di arbusti, talee, fascinate, gradonate, cordo-
nate, viminate, etc.);
3) combinati di consolidamento (palificate vive, muri, grate vive, muri a secco
con talee, cuneo filtrante, gabbionate e materassi verdi, terre rinforzate, etc.);
4) particolari (barriere antirumore e paramassi, opere frangivento, etc.).
Si tratta dunque soprattutto di effettuare il consolidamento superficiale e profondo
ed il contemporaneo reinserimento naturalistico di versanti franosi, sistemazioni mon-
tane nonché di scarpate e superfici instabili abbinate alla realizzazione e gestione di
infrastrutture (strade, ferrovie, cave, opere idrauliche, etc), in base ad una esigenza di
riqualificazione dell’ambiente ormai universalmente riconosciuta.
A livello nazionale vi è ormai un grosso fermento di acquisizione di strumenti tec-
nici e normativi nei settori della rinaturalizzazione e dell’ingegneria naturalistica, sia da
parte dei professionisti che dei funzionari pubblici e delle imprese.
È questo un settore ormai largamente affermato in Italia, sull’esempio del resto
d’Europa dove la disciplina vanta molti decenni di anzianità. La società tedesca
(Gesellschaft für Ingenieurbiologie) opera dal 1980, ma interventi sistematici di Ingegneria
naturalistica vennero iniziati in Austria, Germania e Svizzera già nel dopoguerra.
Il successo assunto recentemente in Italia dal settore è dovuto ad una sensibilità
generalizzata per i problemi ambientali ed è in particolare collegata all’affermarsi a tutti
i livelli amministrativi delle procedure di Valutazione di Impatto Ambientale. Gli inter-
venti di ingegneria naturalistica infatti rientrano nel filone degli interventi di mitigazio-
ne che fanno ormai parte integrante delle progettazioni infrastrutturali e del territorio.
Questa attività è per buona parte legata alla progettazione degli interventi di “ricu-
citura” del territorio attraversato, in particolare nei settori infrastrutturali e produttivi
(strade, ferrovie, cave, discariche, etc) per i quali i metodi dell’ingegneria naturalistica
forniscono nuove soluzioni e notevoli possibilità di abbinamento della funzione tecni-
ca (consolidamento di scarpate) con quella naturalistica di ricostruzione del verde.
Si parla di verde, ma in realtà è più esatto parlare (come già detto sopra) di rico-
struzione di ecosistemi paranaturali riferiti agli stadi delle serie dinamiche naturali
(potenziali) della vegetazione delle aree di intervento. In ciò l’ingegneria naturalistica
si differenzia dalle normali pratiche di giardinaggio ornamentale o architettonico lega-
te in genere alle zone urbanizzate.
La realtà territoriale italiana è talmente varia da consentire praticamente l’impiego
di quasi tutte le tecniche riconosciute a livello europeo. Ciò nonostante in sede proget-
tuale ed esecutiva andrà effettuato un grosso sforzo di traduzione ed adattamento sia per
quanto riguarda le specie da impiegare e gli ecosistemi di riferimento, sia di conseguen-
za per le tecniche ed i materiali. Questo sforzo di adattamento andrà fatto soprattutto a
livello di singole regioni introducendo varianti specifiche locali.
4
Introduzione
5
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
6
Introduzione
In Spagna nel 1994 viene fondata la “Federacion de ingenieria del paisaje” che
organizza vari congressi sul tema dell’I.N.. Nel 1998 Vengono pubblicate le prime voci
di capitolato spagnole e nel 2001 il Paese Basco pubblica il primo manuale sulle siste-
mazioni in ambito fluviale dove si ufficializza la dicitura “Ingenieria Naturalistica”.
È recente (1997) la fondazione a Vienna della Österreichischer Ingenieurbiologischer
Verein, pur essendo l’Austria il paese dove erano iniziate le prime applicazioni e dove
risiedono a tutt’oggi molti professionisti ed esperti settore, tra cui il senior della materia
Schiechtl. Di recente tale associazione è confluita nel Österreichischer Wasser- und
Abfallwirtschaft Verband (ÖWAV).
Nel 1996 a Vienna viene costituita la “Federazione Europea per l’Ingegneria
Naturalistica” (EFIB), la quale raccoglie tutte le associazioni europee che si occupano
di ingegneria naturalistica, diventando punto di incontro e confronto per numerosi pro-
fessionisti europei ed extraeuropei della materia.
Il diffondersi dell’impiego delle tecniche di I.N. sia nelle progettazioni che nelle
realizzazioni degli interventi, porta nel 1996 all’istituzione da parte dell’AIPIN di un
elenco a livello nazionale di Soci AIPIN esperti in materia di ingegneria naturalistica e
di un elenco delle Ditte qualificate nell’esecuzione di lavori di ingegneria naturalistica,
nella produzione di materiale vivaistico e nella commercializzazione di prodotti da
impiegare in opere di ingegneria naturalistica
Il 1997 vede la nascita della Scuola Nazionale per l’Ingegneria Naturalistica all’in-
terno dell’AIPIN, l’adozione del “Codice deontologico e forme di tutela professionale”
a livello nazionale e l’elaborazione ad opera del Comitato Tecnico Tariffario del
“Tariffario per la determinazione dei compensi per le prestazioni professionali per inca-
richi di ingegneria naturalistica” che viene approvato dall’Assemblea straordinaria
AIPIN il 3 luglio ‘97.
È del 1998 l’emanazione della “Legge quadro coordinata con le modifiche intro-
dotte dal Ddl A.S. 2288 in materia di lavori pubblici” Testo coordinato D.L. 11 febbra-
io 1994 n° 109 nota come “Legge Merloni”, del 1999 il D.P.R. 21 dicembre 1999,
n°554 “Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici 11
febbraio 1994, n°109, e successive modificazioni”.
In tali norme viene ripetutamente riconosciuta l’Ingegneria Naturalistica.
Nel 1999 viene istituito un gruppo di lavoro tra AII (Associazione Idrotecnica
Italiana), AGI (Ass. Geotecnica Italiana), Associazione Italiana Pedologi, AIPIN,
Sezione AGI/IGS Roma, SIGEA (Società Italiana di Geologia Ambientale), TERR.A
Centro Studi Idraulici per l’Ambiente. Il gruppo di lavoro si occupa principalmente
della Terminologia e delle Tariffe professionali nei settori della rinaturalizzazione,
ingegneria naturalistica e difesa del suolo in genere.
Quando nel 1998 è stato rivisto e aggiornato l’Anc (Albo Nazionale Costruttori) nelle
opere generali è stata introdotta la categoria OG13 “Opere di Ingegneria Naturalistica”.
Nel corso del 2002 - 2003 sono stati tenuti dei corsi di specializzazione in ingegne-
ria naturalistica per tecnici, in collaborazione con Enti pubblici e Università di altri stati
fra cui il Messico, il Nicaragua e il Nepal.
Significativo il corso avanzato di formazione per docenti di Ingegneria naturalisti-
ca organizzato dall’AIPIN nazionale per i soci esperti (Paluzza 15-17 aprile 2004), sul-
l’onda di una vera e propria esplosione del mercato della formazione sulla materia.
7
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
1.3 I PIÙ SIGNIFICATIVI INTERVENTI DI DIFESA DEL SUOLO MEDIANTE SISTEMAZIONI IDRAULI-
CO-FORESTALI AGLI INIZI E DURANTE IL XX SECOLO IN BASILICATA, CAMPANIA, PUGLIA
1.3.1 Introduzione
Agli inizi del ‘900, pesanti calamità naturali, soprattutto alluvioni e frane, si abbat-
terono ora su questa ora su quella contrada del Mezzogiorno. Per rimediare ai danni dei
cataclismi, o per alleviare le condizioni di indigenza di vasti strati delle popolazioni
meridionali, o per tutt’e due le cose, i governi dell’epoca adottarono provvedimenti ad
hoc in favore delle zone colpite dagli eventi calamitosi.
Degli interventi complessivamente realizzati in Basilicata, Campania e Puglia, per
effetto di misure straordinarie, verranno descritti solo quelli più significativi dal punto
di vista dell’innovazione tecnica e/o dell’interesse storico.
Per quanto riguarda la Basilicata vi sono due aspetti rimarchevoli: a) l’impostazio-
ne generale data agli interventi, con precetti che entreranno a far parte della teoria e
della prassi sistematoria; b) le soluzioni originali adottate per particolari problemi siste-
matori riguardanti i torrenti calanchivi e i torrenti del flysch-calcare. Anche in
Campania alla specificità dei problemi hanno corrisposto tipologie sistematorie univo-
che, mentre in Puglia, in un caso molto grave e dopo ripetuti disastri, il rimedio di natu-
ra puramente idraulica ha potuto funzionare solo allorquando è stato integrato con siste-
mazioni idraulico-forestali.
1.3.2. Basilicata
Esattamente un secolo fa venne promulgata la legge Zanardelli (L. 31 marzo 1904,
n. 140) recante provvedimenti a favore della provincia di Basilicata, riguardanti le siste-
mazioni idrauliche di fiumi e torrenti, il consolidamento degli abitati in frana, la costru-
zione di strade per togliere dall’isolamento molti piccoli centri abitati di alta collina e
montagna e, infine, il credito agrario.
La legge Zanardelli fu la prima delle leggi speciali a favore di regioni meridionali,
e stabilì criteri di assoluta novità per quei tempi. All’impalcatura finanziaria e istituzio-
nale seguì, infatti, un regolamento (R.D. 20 marzo 1905) contenente le seguenti norme:
• i lavori da eseguire debbono essere previsti in un piano regolatore di massi-
ma, compilato dall’Ufficio del genio civile di Potenza, «con la cooperazione
dell’Ispezione forestale per la parte attinente alla sistemazione idraulico-fore-
stale [è la prima volta che questa locuzione compare nella legislazione italia-
na]» (art. 19);
• «I progetti sono studiati ed eseguiti con unità di concetto, associando e coor-
dinando ai lavori di correzione dei corsi d’acqua quelli di indole forestale e
quelli ausiliari» (art. 27);
• «I lavori sono eseguiti per ciascun bacino tributario gradualmente, senza
interruzioni, fino al loro completamento» (art. 27);
• «appena approvato il contratto d’appalto di ogni singolo progetto riguardante
la sistemazione idraulica dei corsi d’acqua nel bacino montano, nonché il rim-
boschimento e il rinsaldamento del bacino stesso» si procede alla classifica-
zione delle opere e si provvede alla «costituzione dei relativi Consorzi di
manutenzione» (art. 29).
8
Introduzione
9
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Come mostra la foto 1.3.10 trattasi di opere a basso impatto ambientale, che inter-
cettano selettivamente i materiali grossolani facendo defluire verso valle quelli minuti;
rincalzano le pendici senza far rigurgitare la falda e si coprono di vegetazione sponta-
nea per un inserimento ottimale dell’opera nell’ambiente.
1.3.3 Campania
A seguito dell’eruzione del 1906 le zone pedemontane del Vesuvio e del monte
Somma soffrirono gravi danni ai quali si fece subitamente fronte con un provvedimento
speciale (L. 19 luglio 1906, n. 390), che finanziò interventi riparatori e, in particolare,
sistemazioni idraulico-forestali da eseguire in sei anni. Nel resoconto a stampa che ne fu
fatto, si può dire a caldo nel 1914, sono documentate le differenti tipologie di opere in
base al principio che «diversa essendo stata la natura delle materie cadute, differente pur
doveva essere l’indole dei lavori di sistemazione». Si ebbero, quindi, nelle parti sommita-
li dei burroni, interventi con graticci, soglie, briglie in legname e pietrame, briglie in
muratura a secco rinforzate con travi di legno disposte da sponda a sponda (Lacava,1914).
Nella parte inferiore dei torrenti vesuviani, a sezione più ampia, furono fatte bri-
glie in muratura a secco, con coronamento in muratura di pietrame e malta cementizia,
integrate a monte da rilevati in terra aventi lo scopo di ammortizzare l’urto dei blocchi
di pietra lavica trasportate dalla corrente durante le piene (figura 1.3.11).
Nei fossi profondi, infine, furono fatte briglie miste in muratura ordinaria e mate-
riali sciolti, con stramazzi selciati in pietrame disposti a gradone dette anche a cadute
successive, con le platee di ogni salto poggianti su volte ad arco in muratura. Avendo
questi corsi d’acqua anche la funzione di strada-alveo, a lato di ogni briglia vi è una
rampa per i viandanti e per il bestiame (figura 1.3.12). Un altro tipo, simile al preceden-
te, ha le platee a pozzetto a valle di ogni salto, fondate su terreno di riporto (figura
1.3.13). Queste opere furono subito riconosciute originali e notevoli per concezione e
rispondenza al tipo di dissesto da contrastare, per cui divennero oggetto di insegnamen-
to nei corsi di Costruzioni idrauliche al Politecnico di Torino (Baggi, 1921). Poi, però,
rimasero a lungo abbandonate. Adesso i comuni interessati e il Parco Nazionale del
Vesuvio ne hanno intrapreso la manutenzione (Bifulco, 2001).
1.3.4 Puglia
Nel primo quarto del secolo XX, la città di Bari è stata allagata tre volte per le piene
del torrente Picone nel 1905, 1915 e 1926 (figura 1.3.14). Le opere idrauliche realizzate
dopo ogni disastro e da ultimo la derivazione del torrente Picone nel torrente Lamasinata
a nord-ovest e del torrente Montrone nel torrente Valenzano a sud-est (figura 1.3.15), non
hanno funzionato perché i cosiddetti canaloni, costruiti in base a calcoli idraulici per il
deflusso delle portate di progetto, venivano ostruiti dalle colate detritiche provenienti dalle
Murge, cosicché non potendo assolvere la loro funzione costringevano le acque di piena a
esondare e a raggiungere il mare attraversando la città come già visto nella figura 1.3.14.
Dopo l’ultima catastrofe del 1926, si comprese che il male andava curato alle radi-
ci. Un funzionario forestale fu assegnato al Provveditorato alle opere pubbliche per la
progettazione ed esecuzione di lavori di sistemazione idraulico-forestale; l’area di
Mercadante, da dove prendeva origine il trasporto solido, fu classificata come bacino
montano onde potervi intervenire a spese dello Stato e vi fu dato inizio a lavori di siste-
mazione idraulico-forestale su vasta scala. Per arrestare lo sfacelo delle pendici della
10
Introduzione
Murgia si rese necessario costruire, prima del rimboschimento, piccole opere idrauliche
in muratura a secco. Le brigliette, in numero di 63 e con un volume complessivo di 450
m3 circa, vennero edificate con pietrame calcareo del posto (foto 1.3.16). Sono curvi-
linee, con gàveta a corda molle, altezza fuori terra di 80÷100 cm in media, saetta al cen-
tro di 60 cm, spessore in sommità di 80 cm, munite a monte di vespaio. Sono disposte
negli avvallamenti e distanziate di 10÷55 m al variare della pendenza dell’impluvio. In
80 anni di vita hanno beneficiato di un solo intervento di manutenzione.
Con l’esecuzione degli interventi di cui si è detto, la superficie complessivamente
boscata ha raggiunto un estensione di 1800 ha (Puglisi et al., 1991).
La sistemazione idraulico-forestale della Murgia di Mercadante ha impedito il ripe-
tersi di eventi quali quelli documentati del 1905, 1915 e 1926, benché non siano man-
cati nubifragi più gravi di quello del 1926 (figura 1.3.17).
Foto 1.3.1: Ciuffo di sparto (Lygeum spartum L.) in un calanco prostrato da una colata
di argilla allo stato plastico. È visibile la fessurazione delle argille che presiede ai feno-
meni di spappolamento e formazione delle colate di fango, le quali asportano foglie e
frutti della vegetazione spontanea, impedendone la disseminazione, ostacolando così il
processo di colonizzazione e la formazione di una prateria protettiva (da Puglisi, 1963)
11
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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Introduzione
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
14
Introduzione
Foto 1.3.5: Per arrestare l’arretramento della testata e dei versanti del Fosso S. Stefano
affluente del Bradano, in territorio di Matera, si sono costruite delle briglie con vasca
centrale di caduta in calcestruzzo e ali in terra, alte 5 m. Dopo l’interrimento si è pro-
ceduto alla sopraelevazione, anch’essa alta 5 m, fondata su pali, necessaria per arre-
stare i processi di evoluzione distruttiva del canyon. L’effetto stabilizzante ha provoca-
to un ritorno massiccio della vegetazione con parzializzazione della gàveta e conse-
guente tracimazione delle acque di piena sul rilevato laterale. L’opera, priva di manu-
tenzione, è destinata allo svuotamento della colmata retrostante e alla ripresa del ciclo
erosivo - Foto S. Puglisi
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Figura 1.3.6: Graticcio costruito con funzione di soglia in una piccola incisione gully.
Progetto del 1957 (Isp. Rip. delle Foreste, Matera)
Figura 1.3.7: Piccola briglia in legname con rinterro artificiale a monte (Isp. Rip. delle
Foreste, Matera)
16
Introduzione
Foto 1.3.9: Briglia in gabbioni liberata dalla vegetazione che la ricopriva per veri-
ficarne, dopo 40 anni, lo stato di conservazione, che è risultato ottimo - Foto C.
Attanasio
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Foto 1.3.10: Briglia filtrante nel Vallone dell’Inferno ad Anzi (PZ) costruita nel 1966.
Si noti l’interrimento selettivo e il ricoprimento con vegetazione spontanea del para-
mento grigliato a valle formato da putrelle d’acciaio. Alternativamente sono state
impiegate rotaie ferroviarie usate - Foto C. Zaccone
18
Introduzione
Figura 1.3.11: Tipo di briglia in muratura a secco con rinterro artificiale a monte e
coronamento in muratura ordinaria, costruita nei torrenti vesuviani. (da Baggi, 1921)
Figura 1.3.12: Tipo di briglia in muratura e rinterro a monte, con vasche di caduta suc-
cessive aventi platea che poggia su volte ad arco in muratura e sbarra una strada-alveo
(da Baggi, 1921)
19
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Figura 1.3.13: Tipo di briglia in muratura a rinterro a monte, con vasche di caduta suc-
cessive aventi platea che poggia su di un riempimento in materiali sciolti mentre i muri
di valle di ogni salto sono edificati su archi in muratura (da Baggi, 1921)
20
Introduzione
Figura 1.3.14: Planimetria della città di Bari con indicazione delle zone inondate nel
1905, 1915 e 1926 dalle piene del Torrente Picone (da Puglisi et al., 1991)
21
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Figura 1.3.15: Schema delle sistemazioni idrauliche realizzate dopo le alluvioni del
1905 e 1915, consistenti nella derivazione delle acque del Torrente Picone nel T.
Lamasinata a nord-ovest e del T. Montone nel T. Valenzano a sud-est. Sono indica-
te le linee di cresta dei bacini idrografici interessati e in basso a sinistra il comples-
so denominato Mercadante in territorio del Comune di Cassano (BA), che sarà rim-
boschito dopo l’alluvione del 1926 (da Puglisi et al., 1991)
22
Introduzione
Foto 1.3.16: Piccola briglia in muratura a secco ubicata nel Fosso Mercadante e rico-
perta di vegetazione (da Puglisi et al., 1991)
23
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Figura 1.3.17: Precipitazioni cumulate del 5 novembre 1926 (che provocò l’ultima allu-
vione), del 5 settembre, 1957 e del 27 settembre, 1971 (da Puglisi et al., 1991)
1.4 DEONTOLOGIA
Come in tutte le discipline, anche nell’ingegneria naturalistica si stanno afferman-
do alcune regole comportamentali di riferimento per i professionisti, i funzionari e gli
imprenditori che si occupano degli interventi di I.N..
Si riportano in tal senso in estratto alcuni articoli del Codice Deontologico
dell’AIPIN.
CODICE DEONTOLOGICO
E FORME DI TUTELA PROFESSIONALE
DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA PER L’INGEGNERIA NATURALISTICA
(Approvato dall’Assemblea generale ordinaria del 21 febbraio 1997)
1.4.1 Premessa
Il termine Ingegneria Naturalistica viene inteso come equivalente del tedesco
“Ingenieurbiologie”. Per ingegneria naturalistica si intende la disciplina tecnico-natu-
ralistica che utilizza:
• tecniche di rinaturazione finalizzate alla realizzazione di a mbienti idonei a
specie o comunità vegetali e/o animali
• le piante vive, o parti di esse, quali materiali da costruzio ne, da sole o in abbi-
namento con altri materiali
• materiali, anche solo inerti, infrastrutture ed altri provved imenti volti a forni-
re condizioni favorevoli alla vita di specie animali.
24
Introduzione
25
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Per quanto riguarda la selezione delle specie e dei materiali da impiegare nelle tec-
niche di I.N. il concetto generale di impiegare il più possibile materiali naturali e spe-
cie autoctone va ulteriormente dettagliato data la complessità e molteplicità delle situa-
zioni in cui vengono spesso a trovarsi i professionisti del settore.
Vale lo schema seguente (da Manuale 2 Regione Lazio):
Per quanto riguarda, infatti, la selezione delle specie e dei materiali da impiegare
nelle tecniche di I.N., il concetto generale è quello di impiegare il più possibile mate-
riali naturali e specie autoctone. Data la complessità e molteplicità delle situazioni in
cui vengono spesso a trovarsi i professionisti del settore, il problema è stato recente-
mente affrontato dall’Associazione Italiana per l’Ingegneria Naturalistica (AIPIN).
26
Introduzione
27
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
biodegradabili
naturalizzate
introduzione
esotiche di
autoctone
Materiali
Materiali
Materiali
artificiali
esotiche
naturali
recente
Piante
Piante
Piante
Ambiti di impiego
Aree
1 XXX - - XX XX -(1)
protette
Aree
Naturalità crescente
2 XXX - - XX XX X
naturali
Aree
3 XX X - XX XX X
agricole
Parchi e
4 XX X X X X X
giardini
Aree
5 XX X X X X X
urbane
Aree
6 XX X X X X X
industriali
28
Introduzione
29
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
30
Introduzione
Regione Piemonte
L.R. 2 novembre 1982 n°32 “Criteri tecnici per l’individuazione ed il recupero
delle aree degradate e per la sistemazione e rinaturalizzazione di sponde ed alvei flu-
viali e lacustri, procedura amministrativa per la concessione di contributi regionali”
D.C.R del 31 luglio 1991, n. 250 - 11937-Criteri tecnici per l’individuazione ed il
recupero delle aree degradate e per la sistemazione e rinaturalizzazione di sponde ed
alvei fluviali e lacustri, procedura amministrativa per la concessione di contributi (L.R.
2 novembre 1982, n. 32 artt. 2 e 12)
Circolare del Presidente della Giunta Regionale n. 8/EDE del 15.05.1996
“Chiarificazione in ordine alle tipologie di manutenzione ordinaria e straordinaria dei
corsi d’acqua non soggette ad autorizzazione ai sensi dell’art.82 del D.P.R. n. 616/1977
in quanto tali da non comportare alterazione permanente dello stato dei luoghi”
L.R. n. 40 del 14.12.1998 “Disposizioni concernenti la compatibilità e le procedu-
re di valutazione”
D.G.R. n. 49-28011 del 02.08.1999 “Approvazione degli indirizzi tecnici e proce-
durali in materia di manutenzione idraulico-forestale”
D.G.R. n. 21-9251 del 05.05.2003 “D.P.R. n. 616/77, art. 82 Beni Ambientali. L.R.
n. 20 del 03.04.1989 e s.m.i.. Individuazione di criteri per la tutela dei beni culturali,
ambientali e paesaggistici”.
Regione Toscana
L.R. n° 56 dd 7 marzo 1995 “Istituzione dell’agenzia regionale per la protezione
ambientale della Toscana”
D.C.R. n°155 dd 20 maggio 1997 “Criteri progettuali per l’attuazione degli inter-
venti in materia di difesa idrogeologica”
L.R. n° 56 dd 6 aprile 2000 “Norme per la conservazione e la tutela degli habitat
naturali e seminaturali, della flora e della fauna selvatiche - Modifiche alla L.R. n° 7 dd
23 gennaio 1998 e L.R. n°49 dd 11 aprile 1995”
Regione Umbria
D.G.R 13 gennaio 1993, n. 100-“R.D 25 luglio 1904, n. 523. Polizia delle acque
pubbliche. Provvedimento in merito alla esecuzione di opere sulle acque pubbliche”
L.R. dd 27 gennaio 1999 “Piano Urbanistico Territoriale”
Regione Veneto
D.G.R. n° 4003 dd 30 agosto 1994 “Circolare Regionale inerente gli interventi di
manutenzione nei corsi d’acqua: aspetti tecnici ed ambientali”
Circolare 10 ottobre 1994, n. 32 - “Interventi di manutenzione nei corsi d’acqua;
aspetti tecnici e ambientali”
L. 2 ottobre 1997, n. 345- “Finanziamenti per opere e interventi in materia di via-
bilità, di infrastrutture, di difesa del suolo, nonché per la salvaguardia di Venezia”
Circ.- D.G.R.- “Interventi di manutenzione nei corsi d’acqua: aspetti tecnici ed
ambientali”
Corte di Cassazione-riguardo a L.R.Veneto 7 settembre 1982 n. 44, norme per la
disciplina delle attività estrattive, art. 2, 33
31
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Regione Campania
D.G.R. n°3417 dd 12 luglio 2002 “Approvazione del regolamento per l’attuazione
degli interventi di ingegneria naturalistica nel territorio della Regione Campania”.
32
Introduzione
Dune costiere
Normativa nazionale
L. 18 maggio 1989, n. 183, “Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della
difesa del suolo”, tale legge inquadra il problema della tutela delle coste nella pianifi-
cazione generale del bacino idrografico”.
D.Lgs 29 ottobre 1999, n. 490, “Testo Unico delle disposizioni in materia di beni
culturali ed ambientali”.
Normativa regionale
L.R. 5 gennaio 2001, n. 1, “Norme per la valorizzazione e lo sviluppo del litorale
del Lazio”.
In tabella 1.5.1 (da Manuale 2 Regione Lazio) sono riportati i provvedimenti tec-
nico-normativi esistenti a livello delle Regioni italiane sull’argomento.
Regioni M P A L C Note
Abruzzo X
Basilicata X
Calabria
Campania X X X X
Emilia Romagna X X X X X
Friuli Venezia Giulia X* X* X* X* * in stampa
Lazio X X X X X
Liguria X X X
Lombardia X X X
Marche X X X X
Molise
Piemonte X X X X
Puglia
Sardegna
Sicilia
Toscana X X X
Trentino Alto Adige X X X X X
Umbria X** X X ** Prov. Terni
Valle d’Aosta X
Veneto X X X X
Legenda
M = Manuale tecniche I.N. L = Leggi regionali sull’argomento
P = Elenco prezzi interventi I.N. C = Circolari sull’argomento
A = Analisi prezzi interventi I.N.
33
Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica
2.1.1 Puglia
Le caratteristiche morfologiche del territorio pugliese sono strettamente correlate
alle caratteristiche strutturali dell’area e all’evoluzione del sistema catena-avanfossa-
avampaese di tale settore dell’Appennino meridionale. In particolare, procedendo da
ovest verso est nella regione pugliese si osservano i caratteri morfologici corrisponden-
ti al dominio di catena rappresentato dai M.ti della Daunia, al dominio di avanfossa rap-
presentato dalla Fossa Bradanica (o premurgiana), fino a quello di avampaese compren-
dente l’area garganica, Le Murge, il Tavoliere delle Puglie e la penisola salentina
(Tavoliere di Lecce e Serre Salentine).
Le dorsali dei M.ti della Daunia (M.te Cornacchia 1151 m s.l.m.), allungate in dire-
zione NW-SE, sono costituite da falde di coltri alloctone flyschoidi prevalentemente
marnoso-arenacee, che conferiscono ai rilievi forme più dolci ed arrotondate in corri-
spondenza degli affioramenti argillosi, e forme più aspre laddove affiorano termini pre-
valentemente arenacei.
Considerate le caratteristiche di permeabilità dei depositi argillosi ivi affioranti, il
deflusso superficiale risulta ben sviluppato ed organizzato secondo un reticolo idrogra-
fico costituito da corsi d’acqua subparalleli, con tipico regime torrentizio, che tagliano
trasversalmente le dorsali in esame.
La Fossa Bradanica borda ad est il Subappennino Dauno ed è costituita da una
depressione tettonica riempita di sedimenti clastici plio-pleistocenici soggetti ad inten-
si fenomeni di erosione sia superficiale che profonda che inducono diffusi fenomeni di
instabilità.
Il bordo orientale del precedente settore è delimitato dai depositi clastici dei setto-
ri più ribassati dell’Avampaese Apulo, affioranti nelle fosse tettoniche a direzione
appenninica del Tavoliere delle Puglie a N e del Tavoliere di Lecce a S. La morfologia
di tali depositi, ricoperti da estese coltri di sedimenti alluvionali pleistocenici ed oloce-
nici, è il risultato del modellamento esogeno e delle oscillazioni eustatiche che si sono
verificate in tale area a partire dal Pleistocene medio-superiore in relazione ad eventi di
natura tettonica e climatica. L’oscillazione del livello del mare ha portato alla formazio-
ne di terrazzi marini caratterizzati da una successione di superfici pianeggianti degra-
danti verso l’Adriatico e lo Jonio e con bordo parallelo alla linea di costa, raccordate tra
loro da scarpate morfologiche ad elevata pendenza e con dislivelli variabili da zona a
35
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
zona. Nell’area del murgiano e del salentino e nell’entroterra del Golfo di Taranto sono
stati riconosciuti numerosi ordini di terrazzi marini con quote comprese tra i 600 m e il
livello del mare.
Le porzioni più sollevate dell’Avampaese Apulo sono rappresentate, da N verso S,
dai rilievi tettonici del Promontorio del Gargano, dall’Altopiano delle Murge e dalle
Serre Salentine. Questi ultimi sono costituiti dai calcari di vari settori della Piattaforma
Carbonatica Apula e sono caratterizzati da versanti con una tipica conformazione a gra-
dinata di chiara origine tettonica, con paleosuperfici subpianeggianti delimitate da ripi-
de scarpate di faglia tra loro parallele.
In particolare il Promontorio del Gargano, esteso in direzione E-W, raggiunge in
taluni settori anche oltre 1000 metri di quota ed è caratterizzato da una fitta alternanza
di rilievi e depressioni tettoniche. Le porzioni più rilevate del massiccio garganico sono
contraddistinte da morfologie carsiche molto ben sviluppate, sia epigee che ipogee, rap-
presentate per lo più da doline e da grotte. Le prime si presentano con un’elevata distri-
buzione areale sottoforma di polje in corrispondenza del sistema di faglie che va dalla
località di S. Marco in Lamis a Mattinata. A tale riguardo sono state interpretate come
polje l’ex Lago di S. Egidio, la Piana di Campolato, il Piano Canale, Piano S. Vito e
Piano S. Martino. Le grotte, invece, sono ubicate perlopiù nelle porzioni medio-basse
delle falesie che si affacciano sull’Adriatico. Tra queste sono ben note la Grotta di S.
Michele e la Grotta Pagliacci. Altre forme carsiche ipogee osservabili nel territorio gar-
ganico, sono rappresentate dagli inghiottitoi profondi fino a 250 m e presenti general-
mente sul fondo di depressioni. Tra questi si segnalano quelli di Campolato, di
Pozzatina e di Papaglione.
L’Altopiano delle Murge è costituito da una superficie di spianamento delimita-
ta a SW e a NE da scarpate di faglia. In particolare, sia sul lato adriatico che su quel-
lo ionico, sono presenti una serie di terrazzi marini delimitati da scarpate molto ripi-
de. Anche in tal caso la superficie di spianamento sommitale è caratterizzata da una
notevole diffusione di forme carsiche ben sviluppate, sia di tipo epigeo, tra le quali
si citano le doline di Pulo di Altalmura e di Pulicchio di Gravina a contorno subcir-
colare e la polje di Canale di Pirro, che ipogeo (Grotte di Castellana e di Putignano).
Lo sviluppo dei processi carsici e la formazione delle morfologie ad essi correlate,
in particolare, è connessa alle peculiari caratteristiche tettoniche di tale area, carat-
terizzata da un’elevata densità areale di elementi tettonici nell’ambito del massiccio
calcareo.
La penisola salentina, che rappresenta l’estrema porzione meridionale della
Puglia, è caratterizzata da un elemento morfologico del tutto peculiare costituito
dalle così dette Serre Salentine, ossia dorsali poco elevate la cui genesi è strettamen-
te connessa a fattori tettonici. Tali elementi strutturali, infatti, sono formati da una
serie alterna di depressioni e di rilievi tettonici aventi direzioni NNW-SSE e con pro-
filo trasversale asimmetrico. Terrazzi marini si rilevano solo in corrispondenza del
versante ionico, caratterizzato generalmente da una costa bassa e sabbiosa, mentre
la costa sul versante adriatico è costituita da falesie calcaree alternate a piccoli lembi
di spiaggia nelle insenature. In tale ambito i fenomeni carsici sono poco sviluppati
rispetto al Gargano e alle Murge, anche se non mancano esempi significativi e di
36
Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica
riconosciuta bellezza di grotte che si aprono nelle porzioni basali delle falesie costie-
re in corrispondenza del versante adriatico (Grotta Romanelli, Grotte di Porto
Badisco).
In generale, la Puglia presenta una morfologia costiera profondamente articola-
ta e differenziata. Tale regione, infatti, è caratterizzata da un perimetro costiero di
784 km, senza considerare le Isole Tremiti e Cheradi, in cui si alternano tratti con
spiagge sabbiose a tratti con ripide falesie calcaree estremamente frastagliate e
caratterizzate da frequenti fenomeni di dissesto per crollo, anche in relazione alla
presenza di numerose cavità carsiche alla base delle pareti. È stato verificato che
gran parte della linea di costa pugliese è soggetta ad un evidente arretramento per
una diminuzione di apporto solido al litorale legata alle numerose opere di sbarra-
mento costruite lungo i principali corsi d’acqua e alla non controllata estrazione di
inerti dall’alveo dei fiumi.
Per quanto concerne le principali caratteristiche idrografiche della regione
pugliese, queste sono da porsi in relazione principalmente alla litologia affiorante e
al condizionamento strutturale esercitato dai maggiori allineamenti tettonici. Per
quanto riguarda il primo aspetto si osserva che una più fitta rete di drenaggio super-
ficiale si sviluppa in corrispondenza dell’affioramento di litotipi a ridotta permeabi-
lità, ossia nell’ambito delle formazioni flyschoidi argilloso-marnose e arenaceo-mar-
nose che caratterizzano la zona di catena e di avanfossa della regione (M.ti della
Daunia, Fossa Bradanica) e, limitatamente, nelle porzioni più ribassate
dell’Avampaese Apulo (Tavoliere delle Puglie). Invece, nelle aree con principale
affioramento dei termini calcarei, ossia nelle zone di Avampaese (Gargano, Le
Murge, Penisola Salentina e Tavoliere di Lecce), lo scorrimento superficiale delle
acque è estremamente ridotto a causa dello sviluppo di intensi processi carsici che
inducono l’infiltrazione delle acque nel sottosuolo e la formazione di circuiti idrici in
sotterraneo, all’interno di condotti e cavità carsici. In tali ambiti la circolazione idri-
ca superficiale si verifica solo in connessione con eventi meteorici di particolare
intensità che alimentano direttamente lo scorrimento delle acque superficiale lungo
una rete di canali generalmente secchi, denominati secondo la toponomastica locale
gravine o lame. A tale riguardo occorre comunque ricordare che se da un lato le risor-
se idriche superficiali nell’area di Avampaese sono estremamente ridotte, le riserve
idriche sotterranee sono molto abbondanti e connesse ad una estesa rete idrica sotter-
ranea di natura carsica ramificata in tutta l’area del Gargano, delle Murge e della
penisola salentina.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, ossia l’incidenza dell’assetto tettonico
regionale sulle caratteristiche della rete idrica superficiale, questo riguarda essenzial-
mente la direzione di scorrimento dei principali corsi d’acqua che attraversano il
Subappennino Dauno fino ad arrivare alla costa, sia adriatica che ionica. In tali casi,
infatti, i lineamenti tettonici regionali condizionano lo scorrimento dei corsi d’acqua
che avviene perlopiù trasversalmente rispetto ai rilievi presenti e in modo tale che i vari
fiumi e torrenti risultino tra loro paralleli.
Occorre infine ricordare che lungo tutta la costa pugliese, sia adriatica che jonica,
sono frequentemente presenti numerosi bacini lagunari e lacustri, oggi in gran parte
bonificati (Lago di Lesina, Lago di Varano, Lago Salso, Lago di Salpi, Laghi Alimini,
37
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
zone paludose delle Cesine, di Porto Cesareo e di Torre S. Giovanni), la cui genesi è
collegata essenzialmente all’ultima risalita del livello marino e alla chiusura di insena-
ture o di sbocchi da parte di cordoni litoranei.
In tale ambito idrografico, numerosi sono stati gli interventi antropici sul territorio
volti da un lato ad una ottimizzazione dello sfruttamento delle risorse idriche, soprat-
tutto per uso potabile ed irriguo, dall’altro alla regimazione delle piene. Nel primo caso
ci si riferisce, in particolare, alla realizzazione di numerosi invasi artificiali, anche di
notevole capacità (es., Lago di Occhito sul F. Fortore, Lago del Locone sul T. Locone),
alla captazione di numerose sorgenti, alla perforazione di pozzi e alla realizzazione
dell’Acquedotto Pugliese. Nel secondo caso, invece, si fa riferimento alle opere di dife-
sa dei corsi d’acqua rispetto ad eventi di piena quali canalizzazioni, deviazioni, briglie,
arginature. Vanno infine menzionate le opere marittime rappresentate dalle dighe fora-
nee e dai moli costruite per le aree portuali di Taranto, Brindisi, Manfredonia e
Gallipoli.
Per completare il quadro dei principali lineamenti geomorfologici della regione
pugliese è essenziale una descrizione, seppure per grandi linee, dei fenomeni di
dissesto essenzialmente di tipo gravitativo, che interessano il territorio in esame. La
tipologia e distribuzione dei principali eventi franosi, in particolare, dipende dalla
litologia affiorante e dalle morfologie prevalenti, dettate principalmente dal dominio
strutturale in cui ci si trova. I dissesti gravitativi più significativi sia per tipologia
che per diffusione areale, infatti, si riscontrano in corrispondenza delle aree di
affioramento dei termini argillosi ed argilloso-arenacei dei M.ti della Daunia, dove
molto frequenti sono i fenomeni di colata e di scorrimento rotazionale e traslativo
che interessano le principali vie di comunicazione e i centri abitati. Eventi di
dissesto tipologicamente diversi interessano invece le aree di affioramento dei car-
bonati della Piattaforma Apula che, essendo caratterizzate dalla presenza diffusa di
cavità carsiche sotterranee anche di notevoli proporzioni, sono soggetti a crolli delle
volte.
2.1.2 Calabria
Il territorio calabrese è caratterizzato per circa il 44% della sua estensione da una
tipica morfologia montuosa, mentre il 49% circa è occupato da rilievi di tipo collinare.
Solo il restante 7% è occupato da limitate pianure, essenzialmente costiere. Per quanto
riguarda la porzione più propriamente montuosa, prevalgono morfologie tipicamente
dolci e arrotondate in molti casi culminanti con paleosuperfici sommitali, delimitate da
versanti estremamente acclivi ed accidentati che spesso terminano quasi a ridosso della
linea di costa.
L’assetto morfologico del territorio calabrese è fortemente connesso alle dinami-
che evolutive dell’Arco Calabro che lo costituisce quasi per intero, con particolare
riferimento ai forti sollevamenti conseguenti alla costruzione della Catena
Appenninico-Maghrebide, particolarmente intensi nel Miocene e nel Paleocene ma
tuttora in corso in corrispondenza dei settori assiali dei principali rilievi calabresi.
L’intensità con cui l’orogenesi si è manifestata in tali aree ha indotto la formazione
di numerosi lineamenti tettonici di carattere regionale che hanno profondamente
38
Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica
39
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
40
Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica
Foto 2.1.1: Fiumara in località 5 Serre, Comune di Soverato (CZ) - Alluvione 2000 -
Foto A. Trigila
Per completare il quadro dei principali domini geomorfologici e dei relativi proces-
si morfogenetici ed eventi di dissesto, si illustrano le principali caratteristiche dell’am-
biente costiero della regione calabrese, che presenta una linea di costa che raggiunge
circa i 740 km di lunghezza. In tale contesto, circa 615 km sono caratterizzati da spiag-
ge, mentre i restanti 125 km sono occupati da coste alte. In particolare, spiagge sabbio-
se di notevole estensione sono ubicate nell’ambito del versante tirrenico in corrispon-
denza della Piana di Gioia Tauro, di S. Eufemia e di Scalea, mentre spiagge ciottolose
di minori proporzioni sono presenti quasi esclusivamente lungo la costa ionica, in cor-
rispondenza del Golfo di Taranto.
Le coste alte sono ubicate essenzialmente lungo il versante tirrenico, in corrispon-
denza del Promontorio di Capo Vaticano e nel tratto compreso tra Palmi e Scilla, men-
tre lungo il versante ionico tratti di costa alta si trovano a sud di Crotone e presso
Soverato.
In tali condizioni, il processo che condiziona l’attuale fisiografia costiera della
Calabria è rappresentato da un evidente arretramento della linea di costa dovuto, più che
all’erosione esercitata dal moto ondoso, agli effetti dell’attività antropica sul territorio che
inducono una drastica riduzione del ripascimento naturale delle spiagge. Tale arretramen-
to maggiormente accentuato per il versante tirrenico rispetto a quello ionico è legato, per
quanto concerne le cause antropiche, a molteplici fattori tra i quali le escavazioni in alveo
per le estrazioni di inerti, la costruzione di manufatti lungo il litorale, la realizzazione di
41
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
briglie o casse di espansione lungo i principali corsi fluviali. Non ultime come causa di
processi di arretramento della costa vanno considerate le opere strutturali per la difesa del
litorale (barriere frangiflutti e pennelli) che, quando mal progettate, se da un lato contra-
stano l’erosione nel tratto di costa in corrispondenza del quale vengono ubicate, dall’altro
possono creare profondi squilibri e, quindi, erosione nei tratti contigui.
Tale situazione, che va aggravandosi progressivamente nel tempo, comporta una
inevitabile condizione di rischio per gli insediamenti abitativi e i centri turistici presen-
ti, oltre a creare notevoli problemi anche alla rete viaria locale e regionale che in molti
casi si sviluppa proprio a ridosso della linea di costa.
2.1.3 Sicilia
Il territorio siciliano ha una conformazione montuosa per il 24% della sua superfi-
cie, collinare per il 62%, mentre il restante 14% è occupato da aree di pianura. In par-
ticolare, la porzione montuosa caratterizza prevalentemente l’area settentrionale del-
l’isola, mentre si passa da un paesaggio prevalentemente collinare nella parte centro-
meridionale ad una zona di altopiano nel settore sud-orientale. Le aree pianeggianti
sono ubicate prevalentemente lungo la linea di costa.
Le caratteristiche morfologiche del territorio sono estremamente complesse e dif-
ferenziate nell’ambito dell’intera isola perché direttamente connesse ai molteplici
domini geologico-strutturali che la contraddistinguono e che derivano dalla complessa
evoluzione geodinamica di questo settore del Mediterraneo. In linea generale, i vari
contesti geomorfologici riconoscibili nella regione siciliana corrispondono ai diversi
domini strutturali presenti, rappresentati dal settore di Catena che si sviluppa in tutta la
porzione settentrionale dell’isola, dall’Avanfossa che occupa la porzione centro-meri-
dionale, e dall’Avampaese, localizzato nella porzione sud-orientale della regione.
Il settore di Catena è la zona orograficamente più aspra dell’isola e comprende
diversi gruppi montuosi, tra i quali: i M.ti Peloritani, i M.ti Nebrodi, il gruppo montuo-
so delle Madonie, i M.ti di Travia, di Palermo e di Trapani e i M.ti Sicani.
In tale contesto i morfotipi sono estremamente differenziati in funzione prevalen-
temente delle litologie affioranti. In corrispondenza dei Peloritani, dove le quote rara-
mente superano i 1000 m s.l.m (1374 m della Montagna Grande), l’affioramento di
rocce metamorfiche produce morfologie aspre con versanti fortemente acclivi che, a
volte, danno luogo a forme più dolci e arrotondate in corrispondenza delle aree a mag-
giore alterazione superficiale. Il passaggio ai terreni flyschoidi pelitico-arenacei dei
Nebrodi determina l’alternanza di morfologie più dolci nelle aree a prevalente affiora-
mento argilloso e più aspre e definite, con pareti a maggiore acclività, in corrisponden-
za degli affioramenti arenacei, con quote dei rilievi fino a circa 1800 m s.l.m.. Ulteriori
differenze si riscontrano nel settore centro-occidentale dell’isola, dove il prevalente
affioramento di rocce calcaree e calcareo-dolomitiche in corrispondenza dei gruppi
montuosi delle Madonie, dei Sicani, dei M.ti di Trapani e di Palermo determina la gene-
si di morfotipi tipici delle aree carsiche, con sviluppo sia di forme epigee che ipogee.
In tale ambito, dove i rilievi possono raggiungere anche quasi i 2000 m di quota (Pizzo
Carbonara, gruppo montuoso delle Madonie), i versanti maggiormente acclivi sono fre-
quentemente ricoperti da notevoli spessori di falde di detrito che poi possono dare ori-
gine ad ampi fenomeni di dissesto gravitativo, anche di notevole profondità.
42
Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica
Tali tipologie costiere possono essere ulteriormente distinte in funzione della loro
genesi e della loro tendenza evolutiva all’arretramento o all’avanzamento della linea di
costa. In particolare si distinguono: a) coste basse a pianura di fiumara, tipiche del mes-
sinese e soggette frequentemente a fenomeni di arretramento; b) coste basse alluviona-
li, situate alla foce dei principali fiumi e generalmente caratterizzate da avanzamento in
assenza di interventi antropici; c) coste basse con saline, frequenti nel trapanese e gene-
ralmente stabili; d) coste basse con spiagge protette da sistemi dunari, soggette ad arre-
43
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
44
Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica
Fonte: POL del Progetto IFFI (Inventario Fenomeni Franosi d’Italia) - Regione
Siciliana
Per quanto concerne i fenomeni di dissesto collegati agli eventi alluvionali, negli
ultimi 500 anni in Sicilia sono stati registrati oltre 240 eventi di piena, interessando com-
plessivamente oltre 480 località. In generale, i fenomeni di piena dei corsi d’acqua sono
caratterizzati da una frequenza temporale inferiore rispetto ai fenomeni franosi ma, come
i dissesti gravitativi, si verificano in concomitanza di eventi meteorici di carattere ecce-
zionale e possono interessare anche interi bacini imbriferi. Le aree maggiormente colpi-
te da fenomeni alluvionali sono quelle appartenenti alla Piana Catania, dove si verifica
la confluenza di tre corsi d’acqua caratterizzati da portate significative (Simeto, Dittaino
e Gornalunga), mentre altre province interessate da eventi di piena, sebbene in misura
minore, sono quelle di Messina, Siracusa, Palermo e Agrigento (foto 2.1.2).
45
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Foto 2.1.2: Piena del F. Anapo, Piana di Siracusa. Alluvione 2003 - Foto Protezione
Civile del Comune di Siracusa
2.1.4 Basilicata
Il territorio della regione Basilicata è costituito prevalentemente da una porzione mon-
tuosa e da una collinare, ad eccezione della fascia costiera ionica essenzialmente pianeg-
giante. In particolare, l’area montuosa si estende in tutto il settore occidentale e sud-occi-
dentale della regione, costituito in massima parte dall’Appennino Lucano con rilievi le cui
quote non superano i 1500 m s.l.m., ad eccezione dei M.ti del Pollino (oltre 2000 m s.l.m.)
e dei M.ti Sirino (2000 m s.l.m.) ed Alpi (1900 m s.l.m.) al confine con la Calabria. Tale
fascia montuosa, che segue tutto il confine occidentale della Basilicata assumendo una con-
formazione ad arco fino al Massiccio del Pollino calabrese, passa gradualmente verso sud,
sud-est al paesaggio tipicamente collinare del Materano dove le quote medie non supera-
no i 500-600 m s.l.m., per poi degradare ulteriormente verso sud-est nelle aree pianeggian-
ti del Metapontino, della Murgia Pugliese e della Valle del F. Ofanto.
In tale contesto le caratteristiche morfologiche del territorio dipendono dall’asset-
to geologico-strutturale, estremamente complesso e fortemente differenziato nell’ambi-
to di un’area spazialmente limitata, e dalle peculiari caratteristiche climatiche della
regione che a loro volta condizionano anche lo sviluppo e le caratteristiche della rete
idrografica e la tipologia e l’intensità dei processi erosivi di superficie.
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Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica
47
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
fluviali a V. Tali caratteristiche conferiscono alle acque incanalate una notevole capaci-
tà erosiva che si manifesta soprattutto in corrispondenza delle litologie argillose ed
argilloso-marnose dei flysch miocenici, determinando intensi processi di instabilità gra-
vitativi nelle loro aree di affioramento. Nel loro tratto di valle, invece, i reticoli idrogra-
fici si fanno meno gerarchizzati, con un minore sviluppo del bacino imbrifero ma, in
considerazione delle pendenze che si mantengono comunque elevate e delle scadenti
caratteristiche geomeccaniche dei litotipi affioranti (essenzialmente argille ed argille-
marnose), si sviluppano intensi processi erosivi a danno dei versanti dei rilievi collina-
ri che danno origine spesso a peculiari morfotipi denominati calanchi.
Viste le notevoli portate di gran parte dei corsi d’acqua sopra indicati e i problemi
di scarsità di riserve idriche e di aridità che affliggono gran parte del territorio lucano,
negli ultimi decenni sono stati costruiti numerosi bacini di invaso artificiali lungo la rete
idrografica della regione per l’accumulo delle risorse idriche ed il loro sfruttamento nei
lunghi periodi di siccità. Tra questi si ricordano l’invaso di Monte Cotugno sul F. Sinni,
l’invaso del Pertusillo, l’invaso di S. Giuliano e l’invaso del Calastra sul F. Basento.
Come già accennato, il regime dei corsi d’acqua della regione è essenzialmente di
tipo torrentizio, legato al regime pluviometrico dell’area che è caratterizzato da piogge
intense nel periodo tardo-autunnale ed invernale e da piogge estremamente scarse, fino
ad assenti, per tutto il resto dell’anno.
In tale contesto geologico, idrografico e climatico il territorio della Basilicata è
caratterizzato da un’estrema diffusione di fenomeni di dissesto geologico-idraulico che
vanno ad interessare circa il 90 % dei centri abitati della regione, ubicati in prevalenza
o alla sommità dei rilievi collinari o nelle aree pianeggianti.
L’innesco di processi di instabilità è favorito anche dall’attività neotettonica che,
ancora attiva, produce un innalzamento in corrispondenza del bordo esterno della Catena
che, a sua volta, induce un incremento dei dislivelli, un approfondimento ulteriore del
reticolo idrografico con un considerevole aumento della capacità erosiva lungo tutta la
rete idrografica superficiale. Tale attività erosiva, d’altro canto, si esplica nei confronti di
terreni fortemente alterati, con scadenti caratteristiche geomeccaniche e in precarie con-
dizioni di equilibrio. In tali condizioni, in concomitanza con eventi meteorici di caratte-
re eccezionale, i corsi d’acqua sia principali che secondari assumono un’elevata capaci-
tà erosiva per via di un notevole incremento delle loro portate che si traduce in fenome-
ni di scalzamento al piede dei versanti, e conseguente innesco di eventi franosi lungo gli
stessi. Nelle aree di prevalente affioramento di litologie argillose, sono molto frequenti
le frane del tipo colata, mentre dove le argille sono intercalate ad orizzonti a maggiore
consistenza litica si innescano frane complesse del tipo scorrimento rotazionale/traslati-
vo evolventi poi in colate nelle porzioni intermedie e basali (es. Ferrandina).
Particolarmente rilevanti, inoltre, sono i fenomeni di dissesto che portano alla for-
mazione diffusa di calanchi in tutto il settore meridionale della regione, ove affiorano
prevalentemente le argille e le argille-limose plio-pleistoceniche. In tale contesto l’atti-
vità di erosione areale esercitata dalle acque di precipitazione meteorica, unita alla mar-
cata erosione lineare esercitata dalle acque incanalate, ha portato ad un intenso model-
lamento del paesaggio secondo incisioni in continuo approfondimento che inducono
una situazione di elevato rischio geologico-idraulico per i centri abitati posti nelle por-
zioni sommitali di tali rilievi in erosione.
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Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica
Foto 2.1.3: Fenomeni di erosione accelerata nel Comune di Aliano (MT) - Foto L.
Pistocchi
Nelle aree di affioramento delle Argille Varicolori, i dissesti gravitativi sono rap-
presentati essenzialmente da movimenti tipicamente lenti (creeping o colata) ed interes-
sano generalmente la coltre di alterazione delle argille che può raggiungere uno spes-
sore di una decina di metri. Tali movimenti subiscono, in genere, improvvisi incremen-
ti di velocità della massa argillosa in frana in occasione di eventi meteorici particolar-
mente intensi e/o copiosi.
2.1.5 Sardegna
Il territorio sardo può essere suddiviso in sette sub-bacini che presentano caratteri-
stiche geomorfologiche ed idrologiche omogenee.
Il sub-bacino del Sulcis, ubicato nel settore sud-occidentale dell’isola, è caratteriz-
zato dall’affioramento di litotipi metamorfici, granitici e calcarei. Le morfologie preva-
lenti sono costituite da forme dolci ed arrotondate, tipiche di un paesaggio collinare in
corrispondenza degli argilloscisti metamorfici, mentre diventano decisamente più
aspre, con versanti ad elevata pendenza e forti dislivelli, nelle aree di affioramento dei
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
50
Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica
la morfologia peculiare è data da rilievi accidentati con forti dislivelli e versanti ad ele-
vata pendenza. L’orientazione delle catene montuose e delle principali valli che le inter-
secano è connessa alle principali direttrici tettoniche di tale area che condizionano
pesantemente anche lo sviluppo e la direzione del reticolo idrografico. L’area di affio-
ramento delle formazioni carbonatiche è contraddistinta dalla presenza di estese super-
fici sommitali sub-pianeggianti che si raccordano ai fondovalle mediante ripide scarpa-
te di altezza superiore anche ad un centinaio di metri. Tali contesti geomorfologici sono
sede di diffuse forme di origine carsica.
L’area del sub-bacino dei fiumi Flumendosa-Campidano-Cixerri, la più antropizzata
della Sardegna, è quella in cui maggiori sono le interferenze tra il reticolo idrografico, i
centri abitati e le infrastrutture antropiche, con risvolti negativi sulla stabilità di molti set-
tori. In tale ambito i contesti geologici sono piuttosto vari e caratterizzati dall’affioramen-
to di litologie metamorfiche, calcaree, terrigene (facies arenaceo-marnose) e alluvionali
(alluvioni terrazzate antiche e recenti). A tale varietà litologica corrisponde una varietà di
forme del paesaggio. Infatti, nelle aree di affioramento del basamento metamorfico d’al-
to grado prevale un paesaggio tipicamente montuoso ed accidentato, mentre nell’area del
Campidano si rileva un sistema di conoidi piuttosto sviluppato. A questo si aggiungono
tipiche morfologie collinari in corrispondenza del golfo di Oristano, bordate dai più aspri
rilievi calcarei, con versanti ad elevata pendenza e dislivelli accentuati.
Per quanto riguarda i dissesti gravitativi che caratterizzano il territorio nel suo com-
plesso, nelle aree di affioramento di litotipi essenzialmente litici (metamortifi di alto
grado, rocce granitoidi, lave basaltiche e successioni carbonatiche), prevalgono fenome-
ni di crollo e/o ribaltamento dovuti ad un elevato grado di fratturazione dell’ammasso
roccioso o per via di processi di scalzamento al piede ad opera del mare (foto 2.1.4).
Foto 2.1.4: Crolli e ribaltamenti - falesia di Cala Gonone, Dorgali - Foto A. Trigila
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
2.1.6 Campania
La regione campana presenta caratteristiche geomorfologiche complesse ed estre-
mamente differenziate nell’ambito del suo territorio poiché vi si riconoscono moltepli-
ci domini geologico-strutturali che derivano dalle alterne fasi tettoniche che hanno
caratterizzato la costruzione di tale settore dell’edificio appenninico meridionale. In
particolare, le attuali forme del paesaggio sono state fortemente condizionate dalle ulti-
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Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica
53
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
collinare ed alto-collinare (quote comprese tra 500 m e 1000 m s.l.m.) ubicata ad est del-
l’allineamento M.ti Picentini-M.ti del Matese, in corrispondenza di buona parte del ter-
ritorio del Sannio e dell’Irpinia. Tali successioni litologiche complesse a prevalente com-
ponente argillosa e con frequenti ricoprimenti di successioni Plio-Quaternarie (formazio-
ni sabbioso-conglomeratico-argillose), danno origine a morfologie estremamente diffe-
renziate in funzione del locale affioramento di litotipi più o meno competenti.
Le coste della regione campana raggiungono uno sviluppo lineare complessivo di
circa 350 km, caratterizzate per il 60% circa da coste alte impostate nelle pareti rocciose
calcaree o nelle tufiti vulcaniche e per il restante 40% da spiagge sabbiose. Un elemento
da porre in risalto in tale ambito è l’elevato grado di antropizzazione che contraddistingue
tale dominio fisiografico e che ha aggravato i già precari equilibri naturali esistenti, incre-
mentando ulteriormente la tendenza all’arretramento di gran parte delle coste campane.
Le aree vulcaniche sono rappresentate dall’edificio vulcanico di Roccamonfina,
dall’area flegrea, dall’apparato del Somma-Vesuvio e dalle Isole di Ischia e di Procida.
In particolare, per quanto riguarda l’area flegrea si tratta di una serie di alture ad anda-
mento circolare o ellittico compenetrate e smembrate per via dell’alternarsi delle diver-
se fasi evolutive della caldera, mentre il distretto vulcanico del Somma-Vesuvio è carat-
terizzato da morfologie più aspre, con versanti ad elevata pendenza.
Per quanto riguarda le caratteristiche generali della rete idrografica, questa risulta for-
temente influenzata, soprattutto in ambito montano, dall’andamento dei principali linea-
menti tettonici che hanno indotto in molti casi la formazione di corsi d’acqua susseguen-
ti che incidono profondamente i rilievi carbonatici e brusche deviazioni del talweg. Nella
gran parte dei casi i reticoli idrografici sono scarsamente gerarchizzati e caratterizzati da
bassi tempi di corrivazione. Il regime dei corsi d’acqua è tipicamente torrentizio, mentre
nelle aree dei rilievi carbonatici gli alvei presentano pendenze elevate, generando profon-
de incisioni con conseguente elevato trasporto solido. Nelle aree di valle, in concomitan-
za di eventi pluviometrici particolarmente intensi, lo smaltimento delle acque alimentate
dalle aree di monte dei bacini idrografici diventa estremamente difficoltoso, tale da pro-
vocare, in molti casi, eventi di allagamento, causando ingenti danni alle colture locali e
agli agglomerati urbani. In tali settori sia pedemontani che di pianura, infatti, l’attività
antropica negli ultimi decenni si è fortemente sviluppata con interventi che spesso hanno
aggravato lo stato di dissesto geologico-idraulico del territorio come ad esempio le devia-
zioni dei corsi d’acqua e le tombature in ambito urbano dei fossi.
Per quanto riguarda le aree vulcaniche, queste sono caratterizzate da un fitto reticolo
idrografico attivo in concomitanza di precipitazioni meteoriche intense e/o prolungate con
conseguente incremento dei processi erosivi, del trasporto solido e frequenti fenomeni di
sovralluvionamento soprattutto in corrispondenza delle fasce di raccordo pedemontano.
Un elemento di particolare importanza è connesso alla diffusione dei fenomeni carsi-
ci e delle sue forme in corrispondenza dei rilievi calcarei, soprattutto nelle porzioni di
paleosuperficie variamente dislocate a quote differenti nell’ambito delle dorsali carbonati-
che. I fenomeni di dissoluzione carsica che inducono locali incrementi della permeabilità
e la formazione di cavità carsiche ipogee costituiscono un fattore di rischio di particolare
rilievo per la diffusione nel sottosuolo dei fluidi inquinanti, mentre la presenza nelle aree
pianeggianti calcaree di conche carsiche endoreiche rappresenta una condizione di elevato
rischio potenziale in relazione al loro utilizzo come discariche non controllate.
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Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica
Foto 2.1.5: Colata rapida di fango S. Martino Valle Caudina (AV). Evento dicembre
1999 - Foto R. Clemente
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Foto 2.2.1: Centranthus ruber in fioritura presso Piano di Sorrento (NA) - Foto P.
Cornelini
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Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica
Foto 2.2.2: Vegetazione meso-igrofila delle gole del F.Bradano (MT) - Foto P. Cornelini
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Foto 2.2.3: Paesaggio vegetale delle gole di Alcantara (CT) - Foto P. Cornelini
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Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Tabella 2.3.1: Caratteristiche dei tre livelli tecnici delle reti ecologiche, degli
interventi di miglioramento ambientale, delle tecniche di ingegneria naturalistica
Interventi
Reti ecologiche di miglioramento Tecniche di ingegneria
ambientale naturalistica
Programmazione
Livello preferenziale Progettazione
Pianificazione Progettazione
di azione tecnica definitiva-esecutiva
preliminare
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Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Migliorare i bilanci
Attività estrattive ambientali delle attività Recupero delle aree di cava
estrattive
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Il territorio delle regioni meridionali italiane e possibili applicazioni dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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Elementi di biotecnica
3. ELEMENTI DI BIOTECNICA
L’Ingegneria Naturalistica è una disciplina nella quale si utilizzano le piante vive per
stabilizzare e difendere versanti o sponde da processi erosivi e da altre forme di dissesto.
L’obiettivo principale dell’ingegneria naturalistica, ad esempio nelle sistemazioni
idrauliche, è la ricostruzione, in tempi brevi, di una copertura vegetale che riduca l’ero-
sione superficiale, limitando il trasporto solido, rallenti i tempi di corrivazione delle
precipitazioni nel bacino ed assolva compiti di drenaggio nei casi in cui il ristagno idri-
co possa rappresentare un elemento di instabilità del versante.
Nell’ingegneria naturalistica le piante non sono più considerate solo da un punto di
vista estetico, ma funzionale, ovvero come un efficace materiale vivente da costruzio-
ne; ciò costituisce la peculiarità maggiore di tale disciplina che la differenzia da quelle
che utilizzano solo materiali inerti o impiegano le piante per l’arredo degli spazi urba-
ni. Le moderne innovazioni, inoltre, hanno consentito di ampliare le applicazioni di
queste tecniche vegetali e di aumentarne l’efficacia.
3.1 IL RUOLO DELLE PIANTE NELLA STABILITÀ DEI VERSANTI
La copertura vegetale svolge un’importante funzione nella difesa del suolo contra-
stando l’azione disgregatrice degli agenti atmosferici tramite azioni antierosive e regi-
manti di tipo meccanico ed idrologico.
Le azioni di tipo meccanico indotte dalle piante sui versanti consistono nella protezio-
ne antierosiva dalle acque dilavanti unitamente alla stabilizzazione dello strato superiore del
suolo ad opera degli apparati radicali, con la riduzione dell’erosione e del trasporto solido a
valle; lungo un versante con copertura vegetale densa, la velocità di deflusso delle acque è
circa ¼ di quella che si avrebbe, a parità di pioggia, su suoli privi di vegetazione e, di con-
seguenza, l’azione erosiva, che varia con il quadrato della velocità, può scendere fino a 1/16.
Foto 3.1: Le radici delle piante legano le particelle di suolo e lo rinforzano, aumentan-
done la resistenza al taglio (Parco Nazionale del Vesuvio) - Foto P. Cornelini
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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Elementi di biotecnica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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Elementi di biotecnica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Tabella 3.4: Rapporto tra il volume dell’apparato radicale e della parte aerea
di diverse piante. Dal rapporto radici-parte aerea della pianta si possono trarre
importanti indicazioni sulle attitudini biotecniche delle piante
Tabella 3.5: Valori di resistenza a trazione delle radici di alcune piante comuni
presenti nel Lazio
Specie Resistenza a trazione delle radici
(MPa, valori medi)
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Elementi di biotecnica
Cytisus scoparius 32
Acer campestre 28,2
Viburnum tinus 23,6
Phillyrea latifolia 21,1
Coronilla emerus 19,2
Pistacia terebinthus 17,2
Salix elaegnos 15
Populus nigra 5 ÷ 12
Fonte: Manuale 2 Regione Lazio
Studi delle università dell’Insubria e del Molise hanno evidenziato le modifiche dei
parametri morfologici delle radici di Spartium junceum e Fraxinus ornus che crescono
sulle scarpate, rispetto a individui che crescono in piano. Tali specie sui pendii rinfor-
zano l’ancoraggio al suolo con uno sviluppo delle radici più ampie e più resistenti nella
parte superiore della scarpata (figura 3.3), con una risposta morfologica analoga a quel-
la delle sollecitazioni del vento (Chiatante, Sarnataro, Fusco, Di Iorio , Scippa, 2003).
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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Elementi di biotecnica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Figura 3.6: Juniperus communis ssp. communis (Kutschera – Sobot ik, 1997)
Figura 3.7: Confronto tra i diversi apparati radicali delle diverse specie di alberi
(Mathey, 1929)
3.2.3 I Salici
Nelle sistemazioni con tecniche d’Ingegneria Naturalistica, i salici vengono utiliz-
zati soprattutto nelle sistemazioni idrauliche perché hanno un’ottima attitudine biotec-
nica e una rapida propagazione vegetativa.
78
Elementi di biotecnica
Foto 3.8: Sviluppo radicale di talea di salice sul rio Inferno (FR) - Foto P. Cornelini
Il numero delle possibili specie utilizzabili non è molto grande e, comunque, già
all’interno degli stessi salici vi sono esigenze molto diverse.
Le specie di salici più frequenti nelle regioni meridionali sono: Salix alba , S. pur-
purea, S. triandra, S. eleagnos, S. cinerea e S. caprea.
79
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica
81
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Nell’analisi stazionale botanica sono possibili due tipi di indagine: analisi floristica e
fitosociologica.
82
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica
83
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Il metodo messo a punto da J. Braun Blanquet negli anni ‘20 dello scorso secolo,
si basa sul riconoscere la vegetazione formata da unità discrete caratterizzate da una
certa composizione floristica: le associazioni.
L’associazione vegetale è definita (J. Braun Blanquet) come “un aggruppamento
vegetale più o meno stabile ed in equilibrio con l’ambiente, caratterizzato da una com-
posizione floristica, in cui alcune specie vegetali, che si rinvengono quasi esclusiva-
mente in questo popolamento, rilevano con la loro presenza una ecologia particolare
ed autonoma”.
A partire dall’associazione è possibile riconoscere unità sintassonomiche superio-
ri comprendenti la vegetazione di territori sempre più estesi.
L’elemento operativo fondamentale nell’indagine fitosociologica è il rilievo consi-
stente nel censimento delle specie vegetali di una stazione opportunamente scelta all’in-
terno di una zona fisionomicamente omogenea, accompagnato da una valutazione
quantitativa sull’abbondanza di ogni specie, nonchè delle principali caratteristiche eco-
logiche e strutturali della stazione stessa (altitudine, inclinazione, esposizione, stratifi-
cazione, etc.).
I rilievi possono poi essere elaborati con metodi statistici di analisi multivariata
(classificazione e ordinamento) allo scopo di ottenere una tabella strutturata.
L’analisi fitosociologica è uno strumento fondamentale nello studio di un territorio
e nella progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica, in quanto consente di
classificare la vegetazione di una zona in unità organizzate gerarchicamente in relazio-
ne ai parametri ambientali e di individuare la serie dinamica evolutiva o regressiva di
una comunità vegetale. La redazione della carta della vegetazione costituisce, inoltre, la
graficizzazione della sua distribuzione sul territorio secondo i fattori ambientali e con-
sente di avere informazioni sulle caratteristiche ecologiche e strutturali delle varie fito-
cenosi, nonchè sul dinamismo in atto.
H 680 m
E N
i 30-35°
H arboreo 8 m; ø 12 cm
Copertura 5%
H arbustivo 0,50÷3 m
Copertura 20%
Copertura Erbaceo 25%
Suolo falda detritica a elementi granulari e matrice sabbiosa
Superficie rilevata: 80 mq
Vegetazione pioniera su falda detritica
Alberi
Quercus ilex 1
84
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica
Arbusti
Erica arborea 2
Ostrya carpinifolia 1
Rubus ulmifolius 1
Quercus ilex 1
Cytisus villosus 1
Specie erbacee
Helichrysum italicum 2
Sedum sp. +
Dactylis glomerata +
Clinopodium vulgare +
Clematis vitalba +
Trifolium pratense +
Pinus sp. +
Sanguisorba minor +
Brachypodium cfr. rupestre 2
Pteridium aquilinum +
Quercus cfr.pubescens +
Scutellaria columnae +
Quercus ilex pl. +
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
86
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica
87
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
88
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica
)RUPD 7LSR
6SHFLH &DP 3XJ %DV &DO 6LF 6DU
ELRORJLFD FRURORJLFR
3RSXOXVWUHPXOD/ 3VFDS (XURVLE
3UXQXVDYLXP/ 3VFDS 3RQWLFD
3UXQXVFRFRPLOLD7HQ 3VFDS 1(0HGLW
PRQW
4XHUFXVFHUULV/ 3VFDS 1(XULPHGLW
4XHUFXVIUDLQHWWR7HQ 3VFDS 6((XURS
4XHUFXVLOH[/ 3VFDS 6WHQRPHGLW
4XHUFXVSHWUDHD 3VFDS (XURS
0DWWXVFKND/LHEO
4XHUFXVSXEHVFHQV:LOOG 3VFDS 6((XURS
4XHUFXVUREXU/ 3VFDS (XURS
&DXFDV
4XHUFXVVXEHU/ 3VFDS :(XULPHGLW
4XHUFXVWURMDQD:HEE 3VFDS 1H
6WHQRPHGLW
6DOL[DOED/ 3VFDS 3DOHRWHPS
6RUEXVGRPHVWLFD/ 3VFDS (XULPHGLW
)RUPD 7LSR
6SHFLH &DP 3XJ %DV &DO 6LF 6DU
ELRORJLFD FRURORJLFR
$QDJ\ULVIRHWLGD/ 3FDHVS 66WHQRPHGLW
$UEXWXVXQHGR/ 3FDHVS 6WHQRPHGLW
$UWHPLVLDDUERUHVFHQV/ 1S 66WHQRPHGLW
$VSDUDJXVDOEXV/ 1S :
6WHQRPHGLW
$WULSOH[KDOLPXV/ 3FDHVS 6WHQRPHGLW
$WO
89
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
)RUPD 7LSR
6SHFLH &DP 3XJ %DV &DO 6LF 6DU
ELRORJLFD FRURORJLFR
%HUEHULVDHWQHQVLV3UHVO 1S (QGHP
%XSOHXUXPIUXWLFRVXP/ 1S 6WHQRPHGLW
&DOLFRWRPHVSLQRVD/ 3FDHVS 6WHQRPHGLW
/LQN
&DOLFRWRPHYLOORVD3RLUHW 3FDHVS 6WHQRPHGLW
/LQN
&DUSLQXVRULHQWDOLV0LOOHU 3FDHVS 3RQWLFD
&KDPDHF\WLVXVKLUVXWXV/
/LQN
&LVWXVFRUVLFXV/RLVHO 1S (QGHP
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90
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica
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91
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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92
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica
)RUPD 7LSR
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4.4 L’IMPIEGO DEI MATERIALI PER L’INGEGNERIA NATURALISTICA NELLE REGIONI MERI-
DIONALI
4.4.1 Premessa
Sulla caratterizzazione dell’uso dei materiali nelle regioni meridionali italiane val-
gono alcune considerazioni:
1. Sulla base del principio generale che va privilegiato l’impiego di specie autoc-
tone di provenienza locale, si pongono notevoli problemi sulla reperibilità di
mercato delle specie arbustive, suffruticose ed erbacee dell’area mediterranea.
Solo in tempi recenti, infatti, alcune ditte vivaistiche cominciano a produrre
arbusti della macchia mediterranea (lentisco, mirto, fillirea, etc.), mentre per
grossi interventi tale produzione va programmata con almeno un anno di antici-
po. Specie meno note della gariga mediterranea (Calycotome villosa, Cistus
sp.pl.,Daphne sp., etc.) o di ambienti particolari quali le aree calanchive e le
zone dunali costiere (Lygeum spartum, Atriplex halymus, Ammophyla arenaria,
etc.), non sono, in genere, reperibili.
2. Può capitare che le ditte vivaistiche forniscano in buonafede specie diverse da
quelle richieste (es. Phyllirea angustifolia al posto di P. latifolia se nel progetto
o nell’ordinativo sia stato scritto Fillirea senza precisare la specie). Oppure che
la richiesta di Ammophyla arenaria, nota graminacea impiegata per la stabiliz-
93
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
zazione delle dune costiere, porti all’importazione di tale specie dai vivai fran-
cesi o tedeschi, dove è utilizzata da decenni, ma utilizzando il genotipo tetraploi-
de, mentre la specie italiana è diploide (a parità di fenotipo), con un grosso pro-
blema di contaminazione genetica. O, ancora, che si importino da vivai francesi
della Costa Azzurra arbusti mediterranei micorrizzati, notoriamente molto più
resistenti ai trapianti di quelli non micorrizzati, creando anche qui possibili con-
taminazioni genetiche con specie di provenienza non locale.
In questa fase iniziale di assestamento del mercato vivaistico, destinato a sicura
espansione a seguito delle sempre più frequenti richieste per interventi di ingegneria
naturalistica nei settori infrastrutturali e sul territorio in genere, valgono alcune prassi
che danno buoni risultati:
• riportare esattamente nei progetti, capitolati e negli ordinativi in sede esecuti-
va i nomi latini completi delle specie;
• richiedere la certificazione d’origine del seme o del materiale da propagazio-
ne impiegato;
• concordare per tempo con le ditte vivaistiche e delle opere in verde la produ-
zione delle piante e protocollare le località di prelievo del materiale da propa-
gazione;
• ricorrere ove possibile al trapianto dal selvatico di specie poco note disponibi-
li in loco (es. specie di gariga lungo un tracciato di metanodotto o stradale).
Dati i costi tale tecnica va combinata con la piantagione di piantine da vivaio
in percentuali ragionevoli (20-30 %);
• precisare che non verranno accettate piante esotiche o di provenienza estera
anche della stessa specie richiesta;
• verificare qualità e quantità delle specie pervenute a cantiere;
• ricorrere all’impiego di specie di possibile riproduzione per talea legnosa che
consentono lavorazioni in ambiente mediterraneo (Tamarix gallica, Atriplex
halymus, Nerium oleander) ove l’ambiente non consenta l’impiego dei salici
di uso corrente nelle tecniche di I.N. in ambito centroeuropeo.
3. Va tenuto conto del principio (in verbis Schiechtl) secondo il quale minore è la
velocità di crescita delle piante (ad esempio per problemi di aridità) maggiore
deve essere la durata dei materiali di supporto nelle tecniche combinate (ad
esempio utilizzo di strutture in rete metallica al posto dei tronchi quando si è nel-
l’impossibilità di utilizzare piante a rapido accrescimento e riproduzione per
talea legnosa quali i salici).
4.4.2 I materiali
In funzione dei problemi da risolvere o dei miglioramenti da apportare ad un eco-
sistema paranaturale, le tecniche d’ingegneria naturalistica utilizzano diversi materiali
seguendo il principio di associare materiali vivi (piante) e materiali inerti.
Attualmente, oltre ai materiali inerti naturali il mercato offre una vasta gamma di
materiali industriali, perciò è opportuno suddividere i vari materiali disponibili in:
• Materiali organici
- vegetali vivi
- inerti naturali
- inerti industriali
94
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica
• Materiali inorganici
- naturali
- industriali
Materiali vegetali vivi
Sono materiali provenienti dal mondo vegetale che hanno la capacità di rinnovarsi
rapidamente rendendo più stabile il terreno:
• sementi;
• semenzali e trapianti di specie arbustive o arboree;
• talee di specie arbustive o arboree: la talea è un segmento di fusto separato
dalla pianta madre capace di produrre radici avventizie e di rigenerare così un
altro esemplare, a volte con sviluppi considerevoli ed in breve tempo (es. sali-
ci, tamerici).
Le talee possono presentarsi sotto diverse forme:
• culmo: stelo di graminacea, in genere elofita, che produce un tallo;
• talea piccola: fusto legnoso di 50÷100 cm di lunghezza e diametro < 1÷2 cm;
• talea grossa: fusto legnoso di 1÷3 m di lunghezza e diametro di 2÷5 cm;
• astone: fusto legnoso sino a 7 m di lunghezza e diametro di 4÷15 cm;
• ramaglia: rami dai quali non vengono eliminate le ramificazioni secondarie;
• rizomi e radici: parti di organi sotterranei di riserva, in prevalenza di elofite,
capaci di produrre nuove piante;
• piote erbose (zolle): insieme compatto di radici e fusti erbacei, di origine
naturale o prodotti in vivaio; vengono commercializzati in elementi di dimen-
sioni variabili (0,3÷0,5x0,5÷2,5 m), hanno uno spessore di 1÷5 cm ed un
peso di 20÷30 kg/mq;
Particolare attenzione andrà posta per la salvaguardia della vegetazione arborea e
arbustiva presente in loco, in quanto, se compatibile con i lavori previsti, consente di otte-
nere, a costo zero, un recupero ambientale, nonché idrogeologico, più immediato e sicuro.
Quando si opera con materiale vegetale vivente il grado di attecchimento richiesto
può essere variabile a seconda che si utilizzino piantine a radice nuda o in contenitore;
varia anche in relazione alla densità di impianto.
Di seguito, si possono riportare alcuni valori ottimali, considerando l’attecchimen-
to uniformemente distribuito sul terreno.
Al collaudo:
• piantina a radice nuda: non inferiore al 90%;
• piantine in contenitore: non inferiore al 100%;
Alla fine del periodo di garanzia:
• piantina a radice nuda: non inferiore all’80%;
• piantine in contenitore: non inferiore al 90%;
Qualora si eseguano dei recuperi ambientali in zone soggette al pascolo di anima-
li domestici o selvatici è consigliato realizzare opportune recinzioni per la protezione
delle piantine.
L’uso di mezzi meccanici idonei consente di ridurre l’impatto anche nelle impor-
tanti fasi di impianto del cantiere e di realizzazione dell’opera.
95
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
I recuperi ambientali si basano, oltre che su precise regole ecologiche, anche sul
rispetto e sulla sensibilità nei confronti della flora e della fauna spontanea dell’ambien-
te in generale. Al termine dell’intervento è opportuno rimuovere tutti i residui di lavo-
razione ancora presenti nel cantiere (contenitori vari, parti di griglie o reti, filo di ferro).
Sementi
I principali obiettivi raggiungibili con l’impiego di idonei miscugli di sementi di
specie erbacee sono di carattere idrogeologico (azione antierosiva), naturalistico e pae-
saggistico.
I campi d’applicazione degli inerbimenti sono vari:
• versanti franosi;
• piste da sci;
• argini fluviali;
• ex - cave;
• discariche;
• infrastrutture viarie o ferroviarie.
Particolare attenzione andrà posta nell’adeguato modellamento del terreno, nella
corretta scelta del periodo d’intervento, ma soprattutto nella selezione del miscuglio
delle sementi da impiegare in funzione delle condizioni pedoclimatiche e della vegeta-
zione presente nella località in cui si intende intervenire.
Un buon miscuglio è composto da graminacee (ad azione radicale superficiale), da
leguminose (ad azione radicale profonda e con capacità di arricchimento del terreno
con azoto) e talvolta da specie arbustive o arboree.
Un ottimo prodotto può essere considerato il “fiorume” ricavabile dai fienili anche
se il suo reperimento risulta difficoltoso, in quanto la fienagione avviene in un determi-
nato periodo della stagione (prima che il seme raggiunga la piena maturità, questo per
ottenere un prodotto di grande nutrimento per gli animali). Il taglio precoce delle pian-
te, pertanto, non permette di ottenere una grande quantità di seme maturo (le quantità
richieste di fiorume sono comunque elevate 0,5÷2 kg/mq); se ne consiglia, pertanto
l’uso solo su piccole superfici di notevole valore naturalistico.
La semina del fiorume o del seme prodotto in vivaio, da effettuarsi preferibilmen-
te durante il periodo vegetativo, può avvenire manualmente o meccanicamente ed
appartenere alle seguenti diverse tipologie:
• Semina a spaglio
• Idrosemina: le sementi di specie erbacee sono poste in soluzioni acquose conte-
nenti concimi chimici o organici, sostanze miglioratrici del terreno, leganti, pro-
dotti fito – ormonici fibre vegetali, pasta di cellulosa; diverse sono le soluzioni
possibili, in relazione alla tipologia ed alla quantità delle sostanze impiegate:
1) idrosemina semplice: costituita da seme, fertilizzante e collante. Crea un
letto di germinazione ottimale su terreni in cui è presente abbondante fra-
zione fine e colloidale, ma con inclinazioni non superiori a 20°.
2) idrosemina con mulch: è come la 1) con l’aggiunta di mulch di fibre e di
legno o di pasta di cellulosa. È adatta a terreni con le stesse caratteristiche
della 1) ma con inclinazioni fino a 35° e con presenza di fenomeni erosivi
di media intensità.
96
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica
3) idrosemina con mulch a fibre legate: è una idrosemina con mulch in fibre di
legno di lunghezza controllata in quantità elevata e collante naturale ad eleva-
ta viscosità. È una idrosemina con un forte potere protettivo ed elevata capa-
cità di ritenzione idrica. È adatta a terreni fortemente erodibili con inclinazio-
ne fino a 50°-60°, mediamente poveri di materia organica e di frazione fine.
4) idrosemina a spessore: è una idrosemina ricca di materiale organico (torba
ed eventualmente compost) e mulch di fibre di legno. È adatta alle situa-
zioni in cui il substrato è particolarmente povero di materiale organico, sas-
soso o roccioso. In condizioni difficili per forte pendenza e sulle terre rin-
forzate, si miscela della paglia triturata da aggiungere all’ultimo passaggio
per la formazione di una copertura che dovrà avere uno spessore variabile
da 2 a 4 cm, a seconda della quantità di materia organica.
• Semina con coltre protettiva di paglia (mulch): le sementi vengono distri-
buite sul terreno e poi ricoperte da materiale vegetale a funzione protettiva; è
particolarmente idonea su superfici povere di humus.
• Semina con coltre protettiva di paglia e bitume: le sementi vengono coper-
te da sostanze vegetali (paglia) fissata da un’emulsione bituminosa a funzione
protettiva.
È comunque sempre consigliato l’inserimento di specie vegetali tipiche della zona,
anche se l’azione miglioratrice del terreno di particolari specie pioniere transitorie può
costituire un valido aiuto all’insediamento di quelle definitive più esigenti.
Semenzali
• Semenzali e trapianti di specie arbustive o arboree : si possono impiegare sulle
rive dei corsi d’acqua (al piede delle sponde le elofite, nell’alveo le idrofite) o
sulle pendici instabili, anche ad integrazione del consolidamento effettuato con
talee. Gli alberi e gli arbusti possono essere acquistati a radice nuda (latifoglie),
in fitocella o con pane di terra e l’apparato radicale dovrà essere proporzionato
alle dimensioni della chioma; va sottolineato il fatto che, le piante a radice nuda
non offrono le stese garanzie di attecchimento di quelle in fitocella o con pane di
terra. Particolare cura dovrà essere posta sia nell’acquisto del materiale vegetale,
verificando attentamente la provenienza, lo stato sanitario (assenza di malattie,
parassiti, ferite...) e le dimensioni, sia durante il trasporto che nella messa a dimo-
ra delle piante, al fine di evitare di procurare loro ferite, traumi, essiccamenti.
Talee e astoni
• talea: diverse specie (Salix sp. pl., Tamarix sp. pl.) hanno la capacità di svilup-
parsi a partire da semplici rami o loro parti, denominate appunto talee (getti non
ramificati, lignificati, della lunghezza da 25 a 60 cm) o astoni (getti diritti poco
ramificati con una lunghezza lunghi 1-3 m). Con esse si possono realizzare alcu-
ne tra le tipologie di consolidamento del terreno più importanti, quali:
1) viminate: talee intrecciate tra paletti;
2) fascinate: rami lunghi e raccolti a mazzi, di lunghezza > 1m (astoni); si pos-
sono così realizzare consolidamenti di pendici soggette ad erosione, nonché
drenaggi;
97
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
98
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica
• Tappeto erboso : assolve alle stesse funzioni delle piote erbose naturali, ma la sua
produzione in vivaio offre alcuni vantaggi: maggiore disponibilità, maggiore uni-
formità e relativo migliore attecchimento.
Materiali organici inerti naturali ed artificiali
I materiali di origine organica, ma senza capacità vegetativa, vengono detti inerti o
“morti”; il loro uso può rendersi necessario quando sia richiesta una efficacia immedia-
ta dell’intervento che non possa essere garantita dalle piante a causa dei tempi necessa-
ri al loro sviluppo:
Materiali organici inerti naturali
• legname: tronchi, ramaglia;
• concimi organici: da impiegarsi qualora il substrato sia povero di sostanze nutritive;
• ammendanti: sostanze miglioratrici del terreno. Idonee su substrati poveri di
sostanze nutritive o con una struttura ed una tessitura del terreno non ottimali;
• stuoie o reti di juta, fibra di cocco o di altri vegetali (es. paglia, sisal, kenaf): sono
strutture a maglie aperte realizzate mediante tessitura (o annodatura) di fibre
vegetali;
• biostuoie: sono materassini di fibre vegetali (legno, paglia, cocco), contenute in
reticelle poliolefiniche o organiche (ad esempio juta); in commercio sono dispo-
nibili anche stuoie preseminate o preseminate e preconcimate;
• mulch di legno, pasta di cellulosa vergine o riciclata per impieghi nelle miscele
da idrosemina.
Legname
Il legname viene impiegato con funzione di consolidamento temporaneo in attesa
che la vegetazione subentri in tale ruolo. Si usano vari tipi di essenze: larice e castagno
sono i materiali più diffusi. Spesso ai fini di aumentarne la durabilità vengono scortec-
ciati. Le dimensioni, sia lunghezza che diametro, variano a seconda degli impieghi:
palificate vive, grate vive, palizzate vive, cordonate, copertura diffusa etc.
Stuoie, reti e biostuoie
Stuoie, reti e biostuoie possono essere impiegate in svariate condizioni, prevalen-
temente con funzione di controllo dell’erosione, nelle opere di:
• consolidamento di versanti franosi;
• consolidamento di dune costiere;
• consolidamento di piste da sci;
• recupero di ex – cave;
• consolidamento di rilevati artificiali (discariche, infrastrutture viarie e ferroviarie);
• costruzione di barriere antirumore;
• realizzazione di parchi urbani ed impianti sportivi.
Questi materiali offrono svariati vantaggi:
• riduzione dell’erosione superficiale di origine idrica o eolica durante il delica-
to periodo post – intervento di sistemazione, in attesa che la copertura vegeta-
le si affermi; sono particolarmente utili in zone caratterizzate da notevoli
avversità ambientali;
99
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
100
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica
Pietrame
pietrame: viene impiegato spesso per opere di protezione, di consolidamento e, più
raramente, di sostegno, nonché per la realizzazione di opere trasversali quali le rampe
di risalita per pesci.
Materiali inorganici industriali
Esistono diversi prodotti industriali che consentono di integrare efficacemente le
tecniche “biologiche” e svolgere diverse funzioni in maniera permanente:
• controllo dell’erosione superficiale dovuta agli agenti metorici;
• controllo dell’erosione in ambito fluviale;
• contenimento e rinforzo per la realizzazione di opere di sostegno;
• rinforzo del terreno: aumento della resistenza al taglio del terreno al fine di
aumentarne la stabilità e di realizzare pendii e opere di sostegno;
• drenaggio;
• separazione e filtrazione;
• impermeabilizzazione;
• contenimento e rafforzamento superficiale;
• funzioni accessorie (fissaggio e collegamento);
• correzione ed integrazione delle proprietà chimico-fisiche dei terreni.
Questi materiali sono realizzati con acciaio, polimeri e sostanze chimiche di varia
natura:
• Geogriglie: Materiale polimerico sia deformabile che non, a forma di griglia,
realizzato connettendo tra loro e fissando nelle giunzioni i materiali polimeri-
ci stessi.
Tipi: estruse, tessute, a nastri sovrapposti e saldati.
Possono essere realizzate con poliestere, polipropilene, polietilene; possono essere
dotate di rivestimento protettivo o meno. Sono materiali dotati di resistenze a trazione
significative e di basse deformabilità, pertanto vengono usate prevalentemente nel rin-
forzo dei terreni (opere di sostegno e pendii rinforzati) e per la ripartizione di carichi su
terreni a bassa portanza.
• Geotessuti: sono strutture piane e regolari formate dall’intreccio di due o più
serie di fili costituiti da fibre sintetiche, che consentono di ottenere aperture
regolari e di piccole dimensioni. In relazione al telaio utilizzato si distinguo-
no in tessuti: a trama e ordito, a maglia a catenella (warp knitted). Possono
essere in poliestere o polipropilene (più raramente polietilene). Vengono usati
con funzione di rinforzo, filtrazione e separazione nelle opere idrauliche e
stradali e di consolidamento.
• Geotessili non tessuti: materiali costituiti da fibre polimeriche coesionate
mediante agugliatura o termosaldatura. Ne esistono con caratteristiche
idrauliche e meccaniche anche molto diverse e vengono usati con funzione
di filtrazione e separazione nelle opere idrauliche, stradali e di consolida-
mento.
• Reti metalliche a doppia torsione a maglie esagonali in filo d’acciaio: vengo-
no realizzate mediante la tessitura di trafilato d’acciaio. Per aumentarne la
durabilità il filo viene galvanizzato con lega di zinco ed alluminio ed eventual-
101
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Stuoia di Juta
(o Rete di juta) 200-500 1 2 1 2
Stuoia di cocco
(o Rete cocco) 400-900 5 8 5 10
Biostuoia cocco 300-400 0.5 1 0.3 0.5
Biostuoia paglia 300-400 0.3 0.5 0.3 0.4
Biostuoia in legno 500-800 1 2 1.8 2.2
Geostuoia tridimensionale 500-800 >5 1.3 1.8
Geostuoia tridimensionale
rinforzata 1500-2500 >5 38 200
Geogriglie 300-2200 20 120 30 1000
Geotessuti 80-1000 10 50 10 500
Reti metalliche a doppia
torsione 1200-1750 30 >100 27 65
Fonte: Manuale 2 Regione Lazio
102
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica
103
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
ALL. 1 Relazione (recupero dati di analisi del progetto preliminare più carto-
grafie tematiche – litologica/geomorfologica, dati pedologici, vege-
tazione, sensibilità vegetazionale, documentazione fotografica).
ALL. 2 Relazione di progetto
ALL. 3 Quadro economico
ALL. 4 Indagini geognostiche
ALL 5 Corografie 1:10.000 /
1:5000
ALL.6 Planimetria catastale 1:2000
ALL.7 Rilievo topografico 1:500
ALL.8 Profili 1:500/100
ALL.9 Sezioni trasversali 1:500
ALL.10 Rilievo vegetazionale 1:500
ALL.11 Planimetrie di progetto delle opere di ingegneria naturalistica 1:500
ALL.12 Sezione di progetto delle opere di ingegneria naturalistica 1:100
ALL.13 Particolari costruttivi 1:100/50
ALL.14 Quaderno sezioni tipo Scale varie
ALL.15 Elenco prezzi
ALL.16 Computo metrico estimativo
ALL. 17 Piano particellare d’esproprio ed elenco ditte
104
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica
Sezione del progetto esecutivo della sistemazione idraulica dell’asta valliva del F.
Flumendosa – Ente Autonomo Flumendosa
105
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
ESEMPI DI ELABORATI
PROGETTUALI TIPO
PROGETTO PRELIMINARE
POLLENA TROCCHIA (NA)
106
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica
FRUTTETI
COLTURE ERBACEE
107
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
108
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica
109
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica
PROGETTO DEFINITIVO
MELITO (CS)
111
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica
113
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
LEGENDA FOTO
Foto n. 1 - Macchia arbustiva percorsa da incendio, con Erica arborea, Cistus salvifo-
lius e fusti di Quercus ilex bruciati. (ril. 1)
Foto n. 2 - Panoramica della macchia arbustiva percorsa da incendio. (ril. 1)
Foto n. 3 - Panoramica dei tre stadi in collegamento dinamico: vegetazione post-incen-
dio, macchia e lecceta
Foto n. 4 - Recupero spontaneo della strada sterrata da parte di arbusti pionieri. (ril. 2)
Foto n. 5 - Macchia termofila a Quecus ilex, Erica arborea e Spartium junceum. (ril. 3)
Foto n. 6 - Esemplare arboreo di Sorbus domestica al bordo della lecceta.
Foto n. 7 - Bosco misto di sclerofille e latifoglie. (ril. 4)
Foto n. 8 - Bosco ceduo di Castanea sativa. (ril. 5)
Foto n. 9 - Cespuglieto in collegamento dinamico con il bosco deciduo. (ril. 6)
Foto n. 10 - Bosco ceduo a Fraxinus ornus, Ostrya carpinifolia e Quercus ilex. (ril. 7)
Foto n. 11 - Vegetazione litofila rupestre. (ril. 8)
Foto n. 12 - Panoramica del versante Sud del Costone Paradici.
Foto n. 13 - Bosco di sclerofille sempreverdi a Quercus ilex. (ril. 9)
Foto n. 14 - Cespuglieto in colonizzazione di ex castagneto da frutto. (ril. 10)
Foto n. 15 - Bosco ceduo di Ostrya carpinifolia. (ril. 11)
Foto n. 16 - Vegetazione pioniera su falda detritica. (ril. 12)
Foto n. 17 - Vegetazione pioniera su scarpata stradale. (ril. 13)
114
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica
Foto n. 1 - Macchia arbustiva percorsa da incendio, con Erica arborea, Cistus salvifo-
lius e fusti di Quercus ilex bruciati. (ril. 1)
115
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
116
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica
117
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
118
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica
PROGETTO DEFINITIVO
MONTORO INFERIORE (AV)
119
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica
121
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
122
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica
PROGETTO ESECUTIVO
ARMENTO (PZ)
123
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica
125
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica
PROGETTO ESECUTIVO
JOPPOLO (VV)
127
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
LEGENDA
INTERVENTO - A - CONSOLIDAMENTO COSTONE
128
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica
129
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
130
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica
PROGETTO ESECUTIVO
VIESTE (FG)
131
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica
133
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
134
La progettazione degli interventi di ingegneria naturalistica
135
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
136
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
5.1 IDRAULICA
Vengono di seguito esposti i criteri e le problematiche relativi alla progettazione di
un intervento di I.N. in ambito idraulico.
5.1.1 Criteri di progettazione naturalistica
Gli interventi di sistemazione idraulica con tecniche di I.N. vanno concepiti con
approccio sistemico a livello di bacino idrografico, nell’ambito della rinaturazione dei
corsi d’acqua, che deve comprendere non solo interventi antierosivi con tecniche vive,
ma anche interventi di diversificazione morfologica nel tracciato o nella sezione del-
l’alveo, per l’aumento della biodiversità e per la connessione delle reti ecologiche.
Gli interventi sull’asta fluviale vanno quindi progettati secondo il principio che la
diversità morfologica si traduce in biodiversità, incrementando le aree di pertinenza del
corso d’acqua e rifiutando la rettificazione e la cementificazione dell’alveo; la vegeta-
zione igrofila, in tale approccio, non viene più considerata un ostacolo al deflusso delle
acque, ma una risorsa di interesse idraulico per la protezione flessibile delle sponde.
L’analisi delle varie componenti ambientali e delle loro interazioni con le caratte-
ristiche idrauliche dovrà quindi valutare, iniziando da monte ed impiegando i criteri e
le tecniche dell’ingegneria naturalistica, ove porre in atto:
• Interventi di rinverdimento per la protezione antierosiva dei versanti per con-
sentire l’aumento del tempo di corrivazione delle acque e la diminuzione del
trasporto solido a valle.
• Realizzazione di casse d’espansione, per laminare i volumi di piena riducen-
done i picchi, ottenendo aree a vocazione naturalistica per l’aumento della
biodiversità.
• Realizzazione di aree inondabili in corrispondenza dell’alveo, ampliando le
sezioni idrauliche con la creazione di un alveo di magra con portata idraulica
ed uno di piena allagato periodicamente.
• Interventi sul corso d’acqua tesi a diminuirne l’energia cinetica tramite la ridu-
zione della pendenza. Al posto delle briglie in cemento, in molti casi si posso-
no impiegare le briglie in legno e pietrame, eventualmente combinate con ele-
menti vivi quali le talee di salice; per garantire, poi, la continuità biologica all’it-
tiofauna, ove le caratteristiche morfologiche dell’alveo lo consentano, è possibi-
le realizzare, al posto delle briglie, le rampe in pietrame per la risalita dei pesci.
137
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
• Interventi nella parte alta del bacino per la realizzazione di tratti a raschi con
massi sul fondo alternati con pozze, per incrementare la variabilità morfologi-
ca e, quindi, la biodiversità.
• Interventi antierosivi e di consolidamento sull’asta fluviale concepiti anche
invertendo la tendenza alla riduzione delle aree di pertinenza del corso d’acqua.
• Interventi tesi ad eliminare i tratti rettificati dell’alveo che possono comporta-
re un aumento dell’erosione a monte e del deposito a valle, con conseguente
pericolo di esondazione e che comportano la perdita di habitat e la riduzione
della biodiversità; favorire la meandrificazione del corso d’acqua nei tratti
compatibili, con conseguente asimmetria della sezione idraulica significa inve-
ce riproporre la morfologia naturale e aumentare le capacità depurative del
corso d’acqua.
• Eliminazione dei tratti cementificati per spezzare l’isolamento tra l’acqua ed
il substrato, ricostituendo il rapporto con la falda e rendendo possibile la rivi-
talizzazione del corso d’acqua.
• Realizzazione, ove possibile, di aree umide in corrispondenza delle immissio-
ni dei canali di drenaggio o dei fossi affluenti
• Realizzazione, soprattutto nelle aree di pianura ad agricoltura intensiva, di
fasce tampone di circa 10 m a lato delle rive per intercettare i nutrienti perco-
lati dalle aree agricole.
Foto 5.1.1: Esempio di manutenzione idraulica effettuata secondo il DPR 14 aprile 1993
sul Rio Inferno (FR) quattro mesi dopo l’intervento (maggio 2000) - Foto P. Cornelini
138
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
139
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Benefici ecologici
Tipo interventi Azioni in termini di biodiversità
e nuove unità ecosistemiche
140
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Accanto a tali strumenti tradizionali fin dagli anni ’80 del secolo scorso sono
iniziate ricerche per la raccolta delle informazioni ecologiche dei corsi d’acqua tra-
mite schede a domande predisposte collegate al RCE-I (Riparian Channel
Environmental Inventory di Petersen, 1987), al RCE-2 (Siligardi e Maiolini, 1993)
ed all’I.F.F. (Indice di Funzionalità Fluviale dell’A.N.P.A., 2001), di notevole inte-
resse applicativo.
La scheda allegata (Cornelini e Sauli, Manuale sistemazioni idrauliche Re-
gione Lazio, 2002) si propone quale ulteriore contributo alla valutazione della
qualità ambientale di un corso d’acqua; tale scheda, che trae utili riferimenti dalle
citate ricerche ed in particolare, dal manuale dell’A.N.P.A., propone una inda-
gine semplificata e speditiva per valutare l’ambito di un intervento di I.N. nel
territorio.
La scheda, che vale per le acque dolci correnti, contiene otto domande per le
quali è prevista una sola risposta (la più rispondente alla realtà), nella consapevolez-
za della impossibilità di interpretare tutte le articolazioni emerse nel rilevamento.
I valori numerici sono espressi in scala esponenziale; tale scelta, puramente sog-
gettiva, deriva da una verifica pluriennale nell’attività professionale della scala
(Sartori, 1986) nelle valutazioni di qualità ambientale.
La scheda di otto domande sulle caratteristiche biotiche ed abiotiche, considera
la vegetazione come il principale indicatore ecologico del valore ambientale del
corso d’acqua. Oltre a quelle sulla vegetazione (domande 1-5) si trovano una doman-
da sul regime idraulico (n.6) e due (n.7 e 8) sulla morfologia della sezione trasver-
sale e del corso longitudinale.
Per la sua compilazione si richiedono soprattutto conoscenze naturalistico-vege-
tazionali.
La classe di qualità va calcolata sia per la sponda DX che per la SX, somman-
do ai relativi valori di ogni sponda quelli dell’alveo che va, quindi, computato due
volte con un punteggio MAX per ogni sponda di 120 e MIN di 8.
Il risultato degli studi va riportato su cartografie in scala 1:10.000 rappresen-
tando lungo le sponde destra e sinistra due linee con i colori della classe corri-
spondente.
La compilazione prevede, nella parte del corso d’acqua interessato dagli inter-
venti di sistemazione idraulica, la identificazione di tratti di caratteristiche omogenee
per ognuno dei quali va compilata una scheda con relativa foto. Le schede possono
essere riportate in tabelle di rilievi, nelle quali ad ogni 2 colonne (sponda DX e SX)
corrisponde un tratto del corso d’acqua.
Tali tratti, dato lo scopo di fornire una lettura di insieme per orientare le scelte
progettuali e la scala di restituzione 1:10.000, non devono essere troppo brevi (mini-
mo 40-50 m) e devono ignorare le discontinuità puntuali, quali un ponte od altre
opere idrauliche. La scheda, oltre che per una valutazione ante operam, è indicata
anche per una valutazione post operam, per verificare l’aumento di qualità ambienta-
le a seguito di interventi di ingegneria naturalistica.
141
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Scheda n°
Foto n°
Data
Corso d’acqua
Comune
Località
Altitudine
Lunghezza tratto esaminato
Osservazioni
Sponda Sx Dx
1 Territorio terrestre circostante
Boschi autoctoni, vegetazione potenziale 16 16
Cespuglieti, boscaglie autoctone 8 8
Incolti, prati pascoli, formazioni legnose sinantropiche 4 4
Colture agrarie 2 2
Aree urbanizzate 1 1
2 Vegetazione fasce ripariali
2.1 formazioni arboree ripariali autoctone (saliceti, ontaneti, pioppeti) 16 16
2.2 formazioni arbustive ripariali autoctone (saliceti, cespuglieti igrofili), popo-
lamenti elofitici, cariceti, formazioni erbacee igrofile, formazioni arboree si-
nantropiche con significative presenze di esemplari di 2.1 8 8
Incolti, prati pascoli, formazioni sinantropiche (robinieti, roveti , canneti ad
Arundo donax) 4 4
Colture agrarie 2 2
Assenza di vegetazione per cause naturali o antropiche 1 1
3 Ampiezza fascia ripariale
Fascia ripariale autoctona (2.1,2.2) maggiore di 30 m 16 16
Fascia ripariale autoctona (2.1,2.2) 5 -30 m 8 8
Fascia ripariale autoctona (2.1,2.2) 1 -5 m 4 4
Assenza fascia ripariale autoctona (2.1,2.2) 1 1
4 Continuità fascia ripariale
Fascia ripariale autoctona (2.1,2.2) senza interruzioni 16 16
Fascia ripariale autoctona (2.1,2.2) con interruzioni saltuarie 8 8
Fascia ripariale autoctona (2.1,2.2) con interruzioni frequenti 4 4
Assenza fascia ripariale autoctona (2.1,2.2) 1 1
alveo
5 Vegetazione nell’alveo bagnato
Assenza di vegetazione per elevate velocità dell’acqua o presenza di macrofite
acquatiche non indicatrici di carico organico, acque non inquinate 8
Presenza di macrofite acquatiche indicatrici di carico organico, acque media-
mente inquinate 4
Elevata copertura di macrofite eutrofiche, acque altamente inquinate 1
142
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
6 Regime idraulico
Alveo di morbida con portata continua durante tutto l’anno 16
Alveo di morbida con portata discontinua 8
Alveo in secca per la maggior parte dell’anno 1
7 Naturalità della struttura morfologica della sezione trasversale
Sezione completamente naturale 16
Sezione con limitati elementi artificiali ormai inseriti nell’ambiente, briglie di-
stanziate, argini in terra lontani dall’alveo 8
Sezione con evidenti elementi artificiali, briglie ravvicinate, argini in terra pros-
simi all’alveo 4
Sezione completamente artificiale (cementificata, a sezione geometrica, etc) 1
8 Diversificazione morfologica del tracciato longitudinale
Meandri o raschi , pozze ben distinti e ricorrenti 16
Meandri o raschi, pozze presenti, ma discontinui 8
Corso canalizzato, ma non rettificato 4
Corso d’acqua rettificato 1
Totale
Classe di qualità
Figura 5.1.2: Applicazione della scheda alla valutazione della qualità ambientale del
Fosso Ponton del Castrato a Santa Marinella (Roma). Per gentile concessione dell’ing.
Dario Colusso
143
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
144
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Ghiaia,
Sabbia, Limo,
Natura del fondo ciottoli, Ghiaia e ciottoli
ghiaia sabbia
massi
Stabilizzazione
A
versanti
Rivestimento /
consolidamento B C D E
sponde
Modifiche
Tipologia
morfologia F F G H
interventi
corso d'acqua
Rinaturazione
ricostruzione Parziale Buona Ottimale
biotopi umidi
Provvedimenti
L M M
uso faunistico
Fonte: Da Chieu - Sauli “Piano stralcio per il bacino del F. To ce” 1993 (modificato)
145
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Tabella 5.1.2 bis: Selezione delle tecniche in funzione della velocità della corrente
(i numeri si riferiscono alle figure 5.1.3A e 5.1.3B)
146
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
147
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Coefficiente di Strickler ks
Tipo di alveo [m1/3 s –1]
Corsi d’acqua naturali (tirante idrico < 3.5m)
PR 5 3
nc = N
Pi Ri5 3
∑
i =1 ni
148
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
assenza di forti energie idrauliche, morirebbero per asfissia a causa della som-
mersione prolungata. Tale livello, oltre che da analisi di tipo idraulico che con-
siderino incompatibile con la sopravvivenza delle piante periodi di sommer-
sione superiori a 7÷10 giorni consecutivi, può essere ricavato da analisi di
campagna sul pattern spaziale della vegetazione igrofila arbustiva presente in
alveo. Si tratta, in tal caso, di considerare nelle sezioni significative dei vari
tratti di progetto (articolando le analisi nella parte alta, media ed inferiore del
bacino), le specie arbustive igrofile come indicatore ecologico del livello di
piena medio annuale. Tali specie, infatti, occupano uno spazio ecologico nella
sezione dell’alveo subito al disopra di tale livello in quanto non tollerano
periodi di sommersione superiori a circa 7÷10 giorni, ma resistono alle som-
mersioni delle piene straordinarie che sono di breve durata. La loro presenza,
quindi, in un punto della sezione idraulica indica che lì hanno avuto il tempo
di crescere senza troppo disturbo da parte delle piene e che sopra quel livello
si può intervenire con le opere vive.
• le portate di piena di riferimento per le opere di sistemazio ne idrauli-
ca da cui derivano le forze di trascinamento agenti sulle strutture. I
valori individuati nei vari Piani delle Autorità di Bacino fanno riferimento
a tempi di ritorno di circa 100-200 anni nelle aree a rischio ex DL 180/98;
tali tempi sono tuttavia riducibili a 15-25 anni nei corsi minori e nelle aree
di bonifica.
Il livello idrico trentennale (Q30) viene riportato nel D.P.R. 14 aprile 1993 con rife-
rimento agli interventi di manutenzione idraulica negli alvei. Secondo tale decreto
sarebbero da rimuovere dalle sponde e dagli alvei attivi le alberature di ostacolo al rego-
lare deflusso presenti al di sopra del livello di piena trentennale, “tenuto conto della
loro influenza sul regolare deflusso delle acque, nonché di quelle pregiudizievoli per la
difesa e conservazione delle sponde salvaguardando, ove possibile, la conservazione
dei consorzi vegetali che colonizzano in modo permanente gli habitat riparii e le zone
di deposito alluvionale adiacenti, prevedendo al tempo stesso la rinaturazione delle
sponde, intesa come protezione al piede delle sponde dissestate od in frana con strut-
ture flessibili spontaneamente rinaturtabili; il restauro dell’ecosistema ripariale, com-
presa l’eventuale piantagione di essenze autoctone”;
In funzione della portata di piena, della geometria dell’alveo e del tracciato lon-
gitudinale del corso d’acqua, si possono ricavare le tensioni tangenziali massime agen-
ti sulle opere secondo il metodo delle tensioni di trascinamento partendo dalla formu-
la tw = g Ri ove:
g = peso specifico dell’acqua
R = raggio idraulico
i = pendenza dell’alveo
o, per sezioni con un rapporto tra larghezza e la profondità superiore a 30:
tw = g h i
con h altezza del pelo libero, tenendo ovviamente conto dei coefficienti correttivi per
l’aumento delle tensioni tangenziali nei tratti di asta in curva.
149
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Tali valori vanno confrontati nei vari tratti dell’alveo con le massime tensioni tan-
genziali resistenti ammissibili per le strutture di progetto, verificando sempre che sia
tr>tw
Si riporta in proposito lo schema grafico:
150
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Nella progettazione con le opere vive vanno tenute in conto due fattori:
• la resistenza dell’opera di ingegneria naturalistica a fine lavori con le
piante non sviluppate e, quindi, non in grado di fornire il contributo
della parte viva alla resistenza della struttura; tale situazione nella verifica
della q transitabile nella sezione è quella più favorevole ai fini della
scabrezza.
• la resistenza dell’opera di ingegneria naturalistica dopo circa 2 anni
con le piante sviluppate nelle radici e nella parte aerea, in grado di
fornire il contributo della parte viva alla resistenza della struttura; tale
situazione, nella verifica della portata transitabile nella sezione, è quel-
la più sfavorevole per l’aumento della scabrezza indotto dalla presenza
delle piante.
Per quanto riguarda i valori della massima resistenza al trascinamento delle opere
di ingegneria naturalistica, si riportano i valori di tabella 5.1.4 ricavati da dati bibliogra-
fici e sperimentazioni.
151
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Sigle:
Foto 5.1.5: Rinaturazione di briglia in cemento con rampa a blocchi sul F. Tanagro
(ottobre 2003) - Foto P. Cornelini
152
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
153
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Foto 1: Rinaturalizzazone del tratto in cemento demolito sul F. Tanagro (ottobre 2003) - Foto P. Cornelini
Foto 2: Realizzazione area umida a monte dello sbarramento del F. Tanagro (ottobre 2003) - Foto P.
Cornelini
154
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Foto 3: Palificate Vallo di Diano sul F. Tanagro a due anni dalla realizzazione (ottobre 2003) - Foto P.
Cornelini
155
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
156
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Osservazioni
I trapianti dei lembi di torbiera a sfagni, dei cariceti, dei rizomi di Menyanthes trifoliata e degli 28 onta-
ni sono riusciti. Analogamente il trapianto di 370 mq di ecocelle erbose e di circa 200 arbusti di Genista
anglica e Cytisus scoparius sugli argini. L’idrosemina dovrà essere ripetuta per le sfavorevoli condizio-
ni dell’estate 2003.
Foto 1: Realizzazione di laghetto per la biodiversità faunistica (novembre 2002) - Foto P. Cornelini
Foto 2: Argine in terra per la protezione di habitat di pregio destinati alla sommersione (novembre 2002)
- Foto Notaro
157
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Foto 3: Rinaturalizzazione del paramento di un argine con trapianti di zolle ed ecocelle (giugno 2002) -
Foto P. Cornelini
158
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Foto 5: Attecchimento delle ecocelle di Menyanthes trifoliata trapiantate (giugno 2002) - Foto P.
Cornelini
159
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Vieste (FG)
Specificità dell’intervento
Interventi di rinaturalizzazione di un corso d’acqua mediterraneo nel Parco Nazionale del Gargano con
tecniche di I.N.
Provincia/ Comune/ Località
Foggia / Vieste / Molinella , torrente Macinino, canale della palude Mezzane
Altitudine slm / Esposizione / Inclinazione spondale
2 m / Sud-Ovest / 66 %
Lineamenti vegetazionali
Phragmitetum australis , Oleo-lentiscetum
Lineamenti geomorfologici
Area di fondovalle alluvionale in prossimità del mare
Obiettivo dell’intervento
Consolidamento spondale a protezione della soprastante strada vicinale, riqualificazione ambientale,
anche con la diversificazione morfologica, per favorire l’aumento della biodiversità vegetazionale e fau-
nistica
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Palificata doppia spondale h 1,80 m, L 320 m e scogliera in massi rinverdita h 2,10 m L 20 m
Materiali morti impiegati
Pali di castagno D 15-20 cm e massi ciclopici
Specie vegetali impiegate
Talee e fascine di Tamarix gallica e T. africana; piante radicate di Phillyrea latifolia, Myrtus communis,
Pistacia lentiscus, Teucrium fruticans, Viburnum tinus, Atriplex halimus, Spartium junceum, Laurus
nobilis.
Periodo dei lavori
Marzo-aprile 2003
Osservazioni
Ottimo l’attecchimento sia delle talee che degli astoni di Tamarix , frequentemente innaffiate nei mesi
estivi; soddisfacente anche l’attecchimento delle piantine radicate
160
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Foto 1: Tratto con palificata viva a fine lavori (marzo 2004) - Foto C. Bonelli
Foto 2: Messa a dimora di talee di tamerici nella palificata viva (marzo 2004) - Foto C. Bonelli
161
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Mattinata (FG)
Tratto sperimentale di sistemazione con tecniche di I.N. nella valle del torrente Carbonara
Specificità dell’intervento
Cantiere didattico finalizzato alla sperimentazione ed alla formazione di maestranze
Provincia/ Comune/ Località
Foggia /Mattinata/ Valle Carbonara
Altitudine slm /Esposizione/Inclinazione
5 m / 50 m di tipologie realizzate con esposizione nord e 50 m delle stesse con esposizione sud / incli-
nazione del versante 40%
Lineamenti vegetazionali
Orno-Quercetum ilicis e, al contorno, Oleo-lentiscetum e Pistacio-Pinetum halepensis
Lineamenti geomorfologici
Fiumara in vallone calcareo
Obiettivo dell’intervento
Verifica sperimentale di tipologie di I.N. e formazione professionale
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Palificata viva a doppia parete h 1,80 m L 20 m; gabbioni rinverditi h 2 m L 20 m
Materiali morti impiegati
Pali di castagno D 20-25 cm, gabbioni in rete zincata a doppia torsione
Specie vegetali impiegate
Piante radicate di Pistacia lentiscus, Erica multiflora, Arbutus unedo, Phillyirea latifolia, Myrtus com-
munis, Laurus nobilis, Crataegus monogyna, Tamarix gallica, Juniperus oxycedrus; selvaggioni di
Coronilla emerus, Spartium junceum, Osyris alba
Periodo dei lavori
Marzo 2001
Osservazioni
Ottimo l’attecchimento di tutte le specie tranne Osiris alba
162
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Foto 2: Palificata viva a due anni dalla fine dei lavori (marzo 2004) - Foto C. Bonelli
163
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
164
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
165
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
166
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
167
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Foto 1: Argini in doppia terra rinforzata. T. Roccella (PA) 1991 - Foto SEIC
Foto 2: Argini in doppia terra rinforzata T. Roccella (PA) a pochi mesi dall’intervento - Foto G. Sauli
Foto 3: Argini in doppia terra rinforzata T. Roccella (PA) 1991 - Foto G. Sauli
168
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Foto 5: Vegetazione dei versanti a Lentisco, Artemisia arborescens, Oryzopsis miliacea T. Roccella (PA)
2003 - Foto G. Sauli
169
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
170
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Foto 1: Terra rinforzata verde, materassi verdi spondali. Laguna di Nora (CA) 1996 - Foto G. Sauli
Foto 2: Terra rinforzata verde, materassi verdi spondali. Laguna di Nora (CA) 1996 - Foto G. Sauli
Foto 3: Terra rinforzata verde, materassi verdi spondali. Laguna di Nora (CA) 2003 - Foto G. Sauli
171
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Foto 4: Laguna di Nora (CA), palificata spondale con palo infisso e fascine di tamerici, 1996 - Foto
G. Sauli
Foto 5: Laguna di Nora (CA), rullo spondale, fase di costruzione, 1996 - Foto G. Sauli
172
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Foto 6: Laguna di Nora (CA), rullo spondale, fase di costruzione, 1996 - Foto G. Sauli
Foto 7: Laguna di Nora (CA), palificata spondale con palo infisso e fascine di tamerici, in primo piano
effetti del rullo spondale settembre 2003 - Foto G. Sauli
173
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
174
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Le fascinate vive della savanella centrale, realizzate con finalità naturalistica e non idraulica, sono state
asportate dalle ripetute piene da settembre a dicembre 2000.
Le opere sono attualmente in buona efficienza e perfettamente inserite nell’ambiente; le talee presenta-
no sviluppi fino a 10 m di altezza con diametri di 4-8 cm che realizzano, in alcuni tratti, dei veri e pro-
pri filari igrofili.
Foto 1: Savanella con fascina e palificata spondale sullo sfondo a quattro mesi dalla fine dei lavori (giu-
gno 2000) - Foto P. Cornelini
175
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Foto 2: Realizzazione di tratto di alveo artificiale con palificate spondali, scogliera rinverdita, fascinate
vive e soglie in pietra (maggio 2000) - Foto P. Cornelini
Foto 3: Intervento foto precedente a distanza di un anno (aprile 2001) - Foto P. Cornelini
176
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
177
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Foto 1: Lavori per l’aumento della biodiversità all’interno del l’alveo (ottobre 2001) - Foto P. Cornelini
178
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
179
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
180
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
F. Fella (UD)
Specificità dell’intervento
Demolizione di un tratto canalizzato e cementato del F. Fella e sua rinaturazione con varie tecniche di
ingegneria naturalistica
Provincia/ Comune/ Località
Udine / Malborghetto, Valbruna e Caporosso / Fiume Fella presso la nuova stazione FS di Valbruna
Altitudine slm /Inclinazione alveo
780 m / 1,2 %
Lineamenti vegetazionali
Vegetazione ripariale a salici e ontani (Alnus incana); pinete a pino silvestre
Lineamenti geomorfologici
Piana alluvionale con depositi sciolti di origine fluviale e fluvioglaciale principalmente calcareo dolomitici.
Obiettivo dell’intervento
Riassetto morfologico dell’alveo del F. Fella e ampliamento della sezione di deflusso previa demolizio-
ne delle sponde in calcestruzzo e smantellamento della vecchia sede ferroviaria; rivegetazione dei piaz-
zali adiacenti alla stazione ferroviaria
Tipologie e dimensioni dell’intervento
palificate vive spondali a parete doppia e massi legati al piede
terre verdi rinforzate
materassi rinverditi
scogliere rinverdite
copertura diffusa
traverse (repellenti) vive di ramaglia a strati
idrosemina, messa a dimora di talee, arbusti e alberi
Lunghezza 800 m circa
Materiali morti impiegati
Reti metalliche, materassi, gabbioni, stuoie sintetiche e organiche, tronchi, tondini, massi, funi
d’acciaio, etc.
Specie vegetali impiegate
Talee S. purpurea, S. eleagnos, S. appendiculata. Arbusti radicati: Crataegus monogyna, Salix caprea,
Pinus mugo, Ligustrum vulgare. Alberi: Pinus nigra austriaca, P. sylvestris, Picea abies, Fagus sylvati-
ca, Fraxinus excelsior, Acer pseudoplatanus, Tilia platyphyllos, Alnus incana.
Periodo dei lavori
Novembre 1999
Osservazioni
A distanza di 3-4 anni dagli interventi e dopo il collaudo della massima piena storica avvenuto nel perio-
do fine agosto-settembre 2003, si è constatata la ottima tenuta delle opere realizzate e l’affermarsi della
meandrizzazione interna all’alveo di magra progettata mediante i repellenti vivi.
181
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Foto 1: F. Fella presso la stazione FS di Valbruna ante operam (1998) - Foto G. Sauli
Foto 2: F. Fella presso la stazione FS di Valbruna, dopo due anni (2000) - Foto G. Sauli
Foto 3: F. Fella presso la stazione FS di Valbruna. Visibili la copertura diffusa (sx) e le palificate sponda-
li fondate su massi (dx) - Foto G. Sauli
182
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Foto 4: F. Fella presso la stazione FS di Valbruna - Confluenza col T. Saisera - Foto G. Sauli
Foto 5: F. Fella presso la stazione FS di Valbruna dopo l’alluvione del 29.08.2003 - Foto G. Sauli
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
5.2 VERSANTI
Vengono qui prese in esame le principali tecniche di ingegneria naturalistica appli-
cabili alla sistemazione dei versanti franosi e in erosione.
Il settore dei versanti e, in genere, degli interventi di sistemazione idrogeologica in
zone montane è quello ove sono nate e si sono sviluppate le tecniche di ingegneria natura-
listica nel centro Europa, in particolare in Austria dove negli anni ’50, a seguito degli even-
ti bellici, erano venuti a mancare materiali quali ferro e cemento e si riscoprirono, quindi,
tecniche e materiali tradizionali quali legname, pietrame, ramaglie vive di salice, etc., facil-
mente reperibili in loco. Da qui lo sviluppo di una serie di tecniche caratterizzate da tecno-
logie semplici, basso costo dei materiali e della mano d’opera (in verbis Schiechtl 1981).
Come già evidenziato nel capitolo della cronistoria, accanto al recupero di tecniche
tradizionali (cordonate vive, palificate vive) vi fu tra gli anni ’50 e ’70 un grosso svi-
luppo di nuove tecniche inizialmente per la buona volontà di singoli professionisti, in
seguito per la disponibilità di nuovi materiali e tecnologie (polimeri collanti per idrose-
mine, geosintetici, etc.) che hanno consentito una vasta applicazione dell’I.N. in tutti i
settori del territorio. Non secondaria in questo processo di diffusione delle tecniche
naturalistiche è stata la crescente sensibilità ambientale a tutti i livelli tecnico-ammini-
strativi, sociali e politici.
5.2.1 Possibilità d’impiego delle tecniche di ingegneria naturalistica nelle principali
tipologie di dissesto
Per quanto riguarda le tipologie di dissesto si rimanda alla copiosa letteratura esi-
stente ed, in particolare, al volume di “Interventi di sistemazione del territorio con tec-
niche di Ingegneria Naturalistica” della Regione Piemonte (2003), che presenta una
valida sintesi della problematica e casistica. Si riporta in particolare la tabella 5.2.1 che
correla i principali tipi di frane e dissesti alle varie possibilità di intervento con tecni-
che tradizionali e di I.N.
Interventi
Meccanismo di sistemazione Sistemazioni
di dissesto con tecniche con tecniche di I. N. Altri interventi
tradizionali
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Interventi
Meccanismo di sistemazione Sistemazioni
di dissesto con tecniche con tecniche di I. N. Altri interventi
tradizionali
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Da: H. Zeh, stabilizzazione di scarpate con metodi di Ingegneria Naturalistica nella realizzazione di strade nel Cantone
di Berna (Svizzera) – Congresso Internazionale - Lignano Sabbia doro (UD) 21-23 Maggio 1992
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Foto 1: Operai L.S.U. in fase di realizzazione di una palificata Vesuvio sec. Menegazzi
(ottobre 1999) - Foto G. Menegazzi
Foto 2: Palificata doppia con grata Vesuvio sec. Menegazzi con arbusti radicati; fase di
costruzione (luglio 2003) - Foto G. Menegazzi
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Foto 3: Palificata doppia con grata Vesuvio sec. Menegazzi con arbusti radicati; fine lavori settembre 2003
Monte Somma - Foto G. Menegazzi
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Foto 1: Lavori di realizzazione della palificata e grata (aprile 2002) - Foto G. Doronzo
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Foto 2: Vista d’insieme dei lavori: palificata viva, grata viva, gradonate (giugno 2003) - Foto Alliegro
Bruzzese
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Foto 1: Grata viva ad un anno dalla fine dei lavori (marzo 2004) - Foto C. Bonelli
Foto 2: Vista laterale della grata viva (marzo 2004) - Foto C. Bonelli
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Foto 3: Palizzate vive ad un anno dalla fine dei lavori (marzo 2004) - Foto C. Bonelli
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Bernalda (MT)
Specificità dell’intervento
Intervento di consolidamento e rinaturalizzazione con tecniche di I.N. della pendice su cui sorge il castel-
lo di Bernalda, effettuato da un gruppo di volontari.
Provincia/ Comune/ Località
Matera / Bernalda / Estramurale Castello
Altitudine slm /Esposizione / Inclinazione °
120 m / Sud-Est / 35°
Lineamenti geomorfologici
Pendice argillosa
Obiettivo dell’intervento
Consolidamento e stabilizzazione della pendice su cui sorge l’abitato di Bernalda. Mitigazione dell’im-
patto percettivo di un muro di sostegno in c.a. di recente costruzione visibile dalla S.S. n. 407 Basentana.
Individuazione delle specie vegetali autoctone da utilizzare in ambienti aridi.
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Circa 300 mq di pendice a valle del muro di contenimento dell’abitato su cui sono state messe a dimo-
ra, in quattro ordini successivi e paralleli a partire dal basso, talee di specie mediterranee con sesto di
impianto 2 x 2 m. La scelta delle specie è stata operata in funzione dello sviluppo delle singole specie e
del periodo di fioritura al fine di mitigare l’impatto visivo della struttura di contenimento esistente.
Specie vegetali impiegate
Talee L 80 cm e D superiore a 2 cm di Atriplex halimus, Tamarix gallica, Vitex agnus castus e Nerium
oleander (materiale di propagazione prelevato da piante madri presenti nel raggio di circa 3 km dall’abi-
tato di Bernalda e dalla pendice interessata dall’intervento).
Periodo dei lavori
Gennaio 2001: individuazione e scelta delle piante madri da cui operare il prelievo delle talee; gennaio-
febbraio 2001: messa a dimora delle talee.
Osservazioni
L’intervento può considerarsi soddisfacente in quanto l’attecchimento di Atriplex halimus, Tamarix gal-
lica e Nerium oleander è stato del 95 %; per Vitex agnus castus non si è registrata alcuna ripresa vege-
tativa, presumibilmente per il forte stress termico e per la mancata irrigazione di soccorso nei messi suc-
cessivi all’impianto (la stagione primaverile ed estiva è stata tra le più aride degli ultimi 50 anni). Già nel
luglio del 2001 è stato possibile verificare il buono sviluppo vegetativo di Atriplex halimus, Tamarix gal-
lica e Nerium oleander. Le cure colturali sono state limitate alla sola irrigazione di impianto e di soccor-
so praticata per i primi 15 giorni dalla messa a dimora.
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Foto 1: Talee provenienti da piante madri: in successione a partire dal basso Atriplex halimus, Vitex agnus
castus, Nerium oleander e Tamarix gallica (gennaio 2001) - Foto A. Trivisani
Foto 2: Talee di Tamarix gallica, la pianta risultata a maggior sviluppo vegetativo (luglio 2001) - Foto A.
Trivisani
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Collesano (PA)
Specificità dell’intervento
Cantiere didattico AIPIN Sicilia con realizzazione di grata viva e messa a dimora di arbusti autoctoni
radicati e per talea
Provincia/ Comune/ Località
Palermo / Collesano / Vallone Zubbio
Altitudine slm /Esposizione
494 m/ NW
Lineamenti vegetazionali
Vegetazione sinantropica
Lineamenti geomorfologici
Discarica inerti
Obiettivo dell’intervento
Sistemazione tratto di versante sulla destra orografica del vallone di Zubbio con finalità antierosive e di
consolidamento
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Stuoia in juta (20 mq), stuoia cocco e paglia (20 mq), grata viva (45 mq), palificata doppia
Materiali morti impiegati
Legname squadrato da carpenteria, tondini d’armatura, biostuoie
Specie vegetali impiegate
Talee sulla palificata: Salix pedicellata, S. alba, Nerium oleander, Fraxinus oxycarpa. Talee sulla grata:
Spartium junceum. Piante radicate: Ampelodesmos mauritanicus (cespi). Contemporaneo è stato lo spar-
gimento di terreno superficiale proveniente da una macchia-gariga limitrofa (per evitare l’uso di semen-
ti non autoctone)
Periodo dei lavori
Febbraio 1999
Osservazioni
Parte strutturale in via di disfacimento. Mancanza di terra nella parte alta.
Le talee di ginestra e oleandro sono morte. Tra le piante sopravvissute hanno dato buoni risultati:
Spartium junceum, Salix pedicellata e ampelodesma
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Foto 4: Rivestimento antierosivo in stuoie in juta e cocco e paglia. Collesano (novembre 2003) - Foto G.
Sauli
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Contuberna (AG)
Specificità dell’intervento
Cantiere scuola AIPIN Sicilia. Consolidamento di versante con palificate (tipo Roma e di sostegno) e
stuoie.
Provincia/ Comune/ Località
Agrigento / S. Stefano di Quisquina / Contuberna
Altitudine slm /Esposizione /Inclinazione °
1015 m / W / 70°-80°
Lineamenti vegetazionali
Rimboschimento di conifere a Pinus pinea e Pinus halepensis con ornielli e perastri
Lineamenti geomorfologici
Formazione geologica denominata “Megabreccia di S. Stefano”. Suolo bruno calcareo brecciato. Detriti
accumuli a matrice calcarea
Obiettivo dell’intervento
Stabilizzazione della pendice e contenimento della perdita di suolo tramite realizzazione di una palifica-
ta tipo Roma ed una palificata viva doppia
Tipologie e dimensioni dell’intervento
1 – Palificata Roma 2 – Palificata doppia 3 – Balze in stuoia di juta 4 – Stuoia in juta + paglia e cocco
su pendenze di 30°
Materiali morti impiegati
Tronchi
Specie vegetali impiegate
Talee: Crataegus monogyna, Rosa canina, Prunus spinosa, Ulmus canescens, Salix pedicellata, S. pur-
purea, Tamarix sp., Centranthus ruber, Artemisia arborescens, Clematis vitalba, Spartium junceum
Piante radicate: Pistacia terebinthus, Acer campestre, Myrtus communis, Fraxinus ornus, Fraxinus angu-
stifolia, Silene fruticosa
Periodo dei lavori
Ottobre – dicembre 2001 e 2002
Osservazioni
La parte strutturale è ben riuscita; assenza di marcescenza. Durante il primo anno è stata effettuata
un’irrigazione tramite autobotte. Nella palificata doppia l’attecchimento delle talee è stato pari al
10%; 8 su 80 le talee di salice, 2 su 20 le talee di tamerici. Migliore l’attecchimento degli arbusti
radicati
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Foto 1: Colle San Michele, grata viva in costruzione, 1994 - Foto G. Sauli
Foto 2: Colle San Michele, grata viva in costruzione, 1994 - Foto G. Sauli
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Atina (FR)
Specificità dell’intervento
L’intervento progettato rappresenta uno dei primi casi di sistemazione di frane con tecniche di ingegne-
ria naturalistica nel Lazio, secondo i dettami della Delibera della Giunta Regionale 4340 del 28 maggio
1996 sui Criteri progettuali per l’attuazione degli interventi in materia di difesa del suolo.
L’impiego, inoltre, tra i primi in Italia, di geogriglie di rinforzo drenanti all’interno del corpo della terra
rinforzata rinverdita, consentirà di verificare nuove tecniche per il riutilizzo di materiali argillosi nelle
opere in terra, applicabili a larga scala sul territorio italiano.
Provincia/ Comune/ Località
Frosinone /Atina/ Colle Melfa
Altitudine slm / Esposizione / Inclinazione °
400-500 m / S / 20-35°
Lineamenti vegetazionali
Ambito agricolo a prevalenza di oliveti e vigneti
Lineamenti geomorfologici
L’area di Colle Melfa è costituita da depositi pelitico-arenacei, con successione di depositi argilloso-mar-
nosi e arenacei sovraconsolidati, sormontati da coltri argillose poco consolidate ed instabili di spessore
variabile da 1 a 5 metri.
Le manifestazioni gravitazionali con movimenti superficiali di rotazione e colamento hanno interessato
la coltre argillosa in occasione di precipitazioni intense, con la lubrificazione del piano di contatto e l’in-
sorgere di sovrapressioni interstiziali nel sottosuolo
Obiettivo dell’intervento
I lavori hanno riguardato due aree con fenomeni franosi, innestatisi a seguito di abbondanti precipi-
tazioni:
1) due frane rotazionali con un fronte di circa 15 m ognuna sulla scarpata a monte della sede stradale di
via Colle Melfa.
2) un franamento esteso con il coinvolgimento di una porzione della sede stradale lunga circa 60 m, situa-
to all’incrocio tra Via S.Saturnino e Via Colle Melfa.
Tipologie e dimensioni dell’intervento
1) Palificata viva a parete doppia h 2,4 m L 30 m; palificata viva a parete doppia h 1,4 m L 15 m; paliz-
zata viva L 16 m; gradonata viva su rilevato L 125 m; fascinata drenante L 120 m; biotessile in juta 110
mq; canaletta in terra con biostuoia in cocco e paglia e rete zincata a doppia torsione e talee L 50 m; pian-
tagione di 150 arbusti; idrosemina S 200 mq
2) Terra rinforzata h 8,5 m L 50 m; fascinata drenante L 120 m; piantagione di 250 arbusti; idrosemina
1000 mq
Materiali morti impiegati
Tronchi in castagno scortecciati D 25 cm; barre acciaio a.m. D 14 mm; biotessile in juta; rete zincata a
doppia torsione; terre rinforzate rinverdite con strati di geogriglia drenante
Specie vegetali impiegate
Talee di Salix purpurea e Salix eleagnos
Arbusti radicati: Crataegus monogyna, Cornus sanguinea, Spartium junceum, Coronilla emerus,
Ligustrum vulgare, Cornus mas, Euonymus europaeus, Prunus spinosa, Rosa canina.
Periodo dei lavori
Frana 1: marzo-aprile 2000; Frana 2: settembre-ottobre 2001
Osservazioni
Gli interventi di ingegneria naturalistica hanno garantito, unitamente alle indispensabili opere di drenag-
gio, la stabilizzazione delle scarpate stradali (frana 1) e la ricostruzione della sede stradale unitamente
alla stabilizzazione del versante (frana 2), con l’aumento della biodiversità dell’area.
Le talee di salice hanno sviluppato getti di diametro 1-3 cm con lunghezze di 2-4 m con copertura del
90% nella frana 1 e del 70% nella frana 2.
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Foto 1: Struttura di una palificata viva doppia di consolidamento del piede della frana 1 (marzo 2000) -
Foto P. Cornelini
Foto 2: Interventi di sistemazione di un versante della frana 1 (marzo 2000) - Foto P. Cornelini
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Foto 4: Idrosemina potenziata sulla terra rinforzata rinverdita (marzo 2002) - Foto P. Cornelini
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Alta Versilia
Specificità dell’intervento
Il 19 giugno 1996 un nubifragio di eccezionale violenza ha colpito numerosi comuni dell’Alta Versilia
nelle province di Lucca e Massa Carrara, con precipitazioni eccezionali e concentrate su un’area limi-
tata che hanno raggiunto, dalle prime ore del mattino al pomeriggio, i 470 mm a Pomezzana e provo-
cato ingenti danni su un’area di circa 60 Kmq. L’area colpita comprende parte delle Alpi Apuane a
ridosso del litorale e coincide con parte del bacino del F. Versilia. Gli interventi di sistemazione idrau-
lico-forestale con tecniche di ingegneria naturalistica effettuati su vastissima scala rappresentano
l’esperienza più ampia di impiego di queste tecniche in ambito montano non alpino. La scelta delle tec-
niche più idonee è stata resa possibile anche grazie ai cantieri sperimentali di ingegneria naturalistica
predisposti già nel 1997 e sottoposti poi a monitoraggio. I lavori eseguiti con varie modalità (economia
in amministrazione diretta, appalto a cooperative agricolo forestali, etc) hanno avuto positive ricadute
sull’occupazione locale
Provincia / Località
Lucca, Massa e Carrara / Territorio Comunità Montana Alta Versilia
Lineamenti vegetazionali
Il territorio è scarsamente antropizzato con estese coperture forestali caratterizzate, a partire dalla fascia
basale verso quella montana, da: querceto-carpineti, cerreto- carpineti, castagneti e faggete
Lineamenti geomorfologici
Le formazioni dominanti appartengono al Complesso Metamorfico Apuano ed alla Falda Toscana con
versanti acclivi, valli strette e pareti rocciose che si innalzano fino ai 1869 m del Pania della Croce. A
seguito del nubifragio si sono avuti intensi sovralluvionamenti nelle aste fluviali dei fondovalle, deriva-
ti da fenomeni gravitativi e dai processi erosivi, con volumi superiori al milione di mc e con spessori di
oltre 10 m di sedimenti. I fenomeni franosi maggiormente diffusi possono ricondursi a fenomeni di scor-
rimento traslativo lineare evolutisi in colate di materiali parzialmente saturi o saturi di acqua (Brugioni
Marzocchi, 1998), ai quali va aggiunta l’azione erosiva lineare dei corsi d’acqua nelle aste e quella area-
le del ruscellamento sui versanti. L’eccezionale intensità delle precipitazioni sui detriti di copertura e sui
suoli saturi ha comportato l’evoluzione dei dissesti in colate detritiche tipo debris flow. Tali dissesti
hanno interessato prevalentemente spessori non superiori ai 3 m su versanti con pendenze maggiori di
35° e localizzati in prevalenza sugli affioramenti dei terreni filladico–arenacei della formazione del
Pseudomacigno. In corrispondenza degli affioramenti carbonatici c’è stata invece una prevalenza delle
azioni erosive lineari.
Obiettivo dell’intervento
Sistemazioni di dissesti franosi e dei corsi d’acqua per ridurre il trasporto solido a valle
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Palificate vive doppie, briglie in legname, palizzate, gradonate vive, fascinate drenanti, canalette in
legname e pietrame, idrosemine, per un importo di circa 3,5 milioni di euro. Tra le varie decine di lavo-
ri va ricordata la sistemazione della frana di Pomezzana che, con una superficie di 13 ettari di interven-
ti di ingegneria naturalistica, sembra risultare la più estesa d’Europa.
Materiali morti impiegati
Tronchi di castagno D 20-30 cm per le palificate; tondame di castagno D 10-12 cm per le canalette, pie-
trame, picchetti acciaio a.m., geotessuto tridimensionale.
Specie vegetali impiegate
Talee di Salix purpurea, Salix eleagnos, Salix. triandra; piante radicate di latifoglie: Crataegus monogy-
na, Euonymus europaeus, Cornus sp.pl., Prunus spinosa, Laburnum anagyroides, etc.
Periodo dei lavori
Dal 1997
Osservazioni
Gli interventi di ingegneria naturalistica di sistemazione e prevenzione dei dissesti, tutti perfettamente riu-
sciti, hanno dimostrato di essere i più idonei in zone lontane dalla viabilità e di elevata qualità ambienta-
le, in quanto riducono al minimo il trasporto di materiali e utilizzano al massimo le risorse presenti in loco.
225
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
I dissesti hanno interessato molte aree boscate, mettendo in evidenza che l’effetto positivo di aumento
della stabilità dei versanti ad opera degli alberi è legato alla capacità degli apparati radicali di ammorsa-
re lo strato di suolo alle fratture del substrato roccioso; ove questo non si verifichi a causa dei forti spes-
sori di suolo o per carenza di fratture nella roccia, l’effetto benefico di stabilizzazione resta per le preci-
pitazioni normali, ma non per quelle eccezionali.
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
solidamento dei versanti, una diminuzione degli smottamenti ed un potenziale arresto dell’espansione
dei dissesti alle aree confinanti. La bonifica primaria ha però comportato anche un cospicuo denuda-
mento dei versanti rimodellati con conseguenti rischi di erosione superficiale, così a partire dal 1993 è
stato messo in essere un Piano di Inerbimento delle superfici brulle onde proteggerle e rinaturalizzarle.
Per dare attuazione a tale piano sono state sperimentate diverse tecniche di ingegneria naturalistica; la
più efficiente è risultata l’idrosemina potenziata con mulch. Gli interventi di inerbimento hanno conse-
guito una copertura delle pendici pari al 70-80% a seconda delle situazioni, in particolare, i crinali dove
affiorano le argille vergini sovraconsolidate sono risultati i più ostici. Nel 2002 è stato costituito a San
Marino un Gruppo Interdisciplinare di Esperti in Ingegneria Naturalistica (GIEIN) cui è stato affidato
il compito di individuare lo sviluppo progettuale ed esecutivo di tali tecniche su vasta scala, al fine di
conseguire una definitiva stabilizzazione e rinaturalizzazione dei calanchi. Il Gruppo ha redatto un
primo Piano di Bacino per il Fosso del Re che prevede la realizzazione di 40 interventi, con opere sin-
gole o combinate tra loro, la cui attuazione è ripartita in stralci esecutivi e dovrebbe essere completata
entro l’anno 2006.
Foto 1: Panoramica aerea degli interventi di bonifica nel Bacino di Fosso Riva, uno dei più estesi (aprile
1994) - Foto Archivi Dipartimento Territorio e Ambiente RSM
230
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Foto 2: Vista frontale della bonifica del bacino di Fosso del Re dopo l’idrosemina (ottobre 2002) - Foto
Archivi Dipartimento Territorio e Ambiente RSM
Foto 3: Briglia viva in legname impiegata per il consolidamento di una nicchia smottata (settembre 2003)
- Foto Archivi Dipartimento Territorio e Ambiente RSM
231
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Foto 4: Palizzata per impluvi in erosione (aprile 2003) - Foto Archivi Dipartimento Territorio e Ambiente RSM
232
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
• Per temperature oltre i 460°C si hanno danni a carico della struttura cristalli-
na e spaziale dei minerali del suolo con la tendenza alla scomparsa della coe-
sione e della struttura e l’innesto dei fenomeni erosivi.
Foto 5.3.1: L’apparato superficiale delle conifere non garantisce la difesa del suolo
dall’erosione Popoli (AQ) (ottobre 2003) - Foto P. Cornelini
234
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
L’effetto negativo degli incendi ripetuti e di una certa intensità comporta quindi:
• l’erosione accelerata
• la diminuizione della capacità di infiltrazione
• l’aumento del coefficiente di deflusso
• l’aumento del rischio di frane e alluvioni
Foto 5.3.2: Con l’asportazione della copertura vegetale a seguito degli incendi si inne-
scano fenomeni erosivi. Spotorno (SV) (febbraio 2004) - Foto P. Cornelini
Dal momento che i fenomeni principali di degrado sono legati agli incendi ripetu-
ti, andranno previsti per evitarli ad esempio :
• tracciati tagliafuoco
• torri di avvistamento
235
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
236
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
• utilizzare chips legnosi per la pacciamatura intorno alle piantine, per il man-
tenimento dell’umidità.
237
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Joppolo (VV)
Specificità dell’intervento
Trattasi del primo intervento di sistemazione idrogeologica di aree percorse dal fuoco con tecniche di
ingegneria naturalistica della Calabria
Provincia/ Comune/ Località
Vibo Valentia / Joppolo / Valletta Bosco
Altitudine slm / Esposizione / Inclinazione °
450 m / SE / 35 °
Lineamenti vegetazionali
Versante con oliveti e pinete di rimboschimento accompagnati da lembi di sughereta
Lineamenti geomorfologici
I graniti paleozoici tettonizzati con coperture di sabbioni colluviali e di detriti in massi grossolani sono
interessati da frane in atto e potenziali di tipo roto-traslazionale e da crollo e da colate detritiche
Obiettivo dell’intervento
Stabilizzazione dei versanti per la messa in sicurezza dell’abitato sottostante e ripristino della vegetazio-
ne danneggiata dall’ incendio
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Palificata viva doppia 234 mc; gradonata viva L 700 m; briglie in legname e pietrame 260 mq; pianta-
gione di specie arboree autoctone n. 5000; piantagione di specie arbustive autoctone n. 3500
Materiali morti impiegati
Tronchi di castagno scortecciato D 20- 30 cm;
Pali di castagno di diametro D 6 -12 cm;
Picchetti acciaio a.m. D 12 cm.
Specie vegetali impiegate
Piante radicate: Quercus pubescens, Quercus suber, Quercus ilex, Fraxinus omus, Cytisus scoparius,
Myrtus communis, Pistacia lentiscus, Arbustus unedo
Periodo dei lavori
Autunno- inverno 2002
Osservazioni
Le piante hanno superato, con notevoli fallanze, l’estate aridissima del 2003.
È necessario un intervento di manutenzione con la sostituzione delle piante morte.
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Foto 1: Palificata doppia con arbusti mediterranei autoctoni (ottobre 2003) - Foto Panzitta Cortose
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Pizzoli (AQ)
Specificità dell’intervento
Lavori di ripristino dell’assetto ambientale ed idrogeologico del versante montuoso soggetto ad erosio-
ne ed instabilità a seguito dell’ incendio del 6 agosto 2001
Provincia/ Comune/ Località
L’Aquila / Pizzoli / Fosso del Buco
Altitudine slm / Esposizione / Inclinazione °
850-1150 m / prevalente S-SO / Inclinazione media 30°
Lineamenti vegetazionali
Rimboschimenti artificiali di conifere (pino nero e pino silvestre)
Lineamenti geomorfologici
Detrito di falda ricoprente, con spessori variabili, una matrice di calcari marnosi e dolomie
Obiettivo dell’intervento
Messa in sicurezza del centro abitato sottostante dalle colate rapide di detrito; riqualificazione ambien-
tale e paesaggistica dei versanti
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Imboschimento (7 ha), interventi antierosivi, stabilizzanti e consolidanti: idrosemina (14.000 mq), paliz-
zate vive (10.000 m), grata viva (50 mq), palificata viva doppia (50 mq), briglie in legname e pietrame
n. 20, il tutto su una superficie complessiva di 24 ha
Materiali morti impiegati
Tronchi di pino nero recuperati in loco D 15-30 cm per le palizzate; tronchi di castagno D 15-20 cm per
le palificate e la grata ; picchetti in ferro a.m. D 14 mm
Specie vegetali impiegate
Talee di Laburnum anagyroides. Piante radicate (circa 12.000): Fraxinus ornus, Ostrya carpinifolia,
Pyrus sylvestris, Crataegus monogyna, Spartium junceum, Cornus sanguinea, etc.
Periodo dei lavori
Agosto 2002 – Novembre 2003
Osservazioni
L’intervento è ben riuscito nella parte strutturale, realizzata quasi completamente con materiale bruciato
riciclato (tronchi, ramaglia). Le piante radicate autoctone sono state messe a dimora nel novembre 2003.
240
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Foto 1: Lavori di realizzazione delle palizzate morte (ottobre 2002) - Foto Sacchetti Liberatore
Foto 2: Le palizzate, unitamente alla piantagione degli arbusti autoctoni, hanno permesso il recupero della
protezione antierosiva della vegetazione (novembre 2003) - Foto Sacchetti Liberatore
241
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
246
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Inferiori o
Tipologia A
Limi sabbiosi e sabbie uguali a 30°
limose a bassa plasticità
Tra 30° e 40° Tipologia B
247
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Nel caso vi sia la necessità di adottare pendenze maggiori (40°- 45°) per la presen-
za di edifici, infrastrutture o aree urbanizzate in genere, per evitare fenomeni di ruscel-
lamento vanno previste tecniche di rivestimento o stabilizzanti (stuoie, reti, viminate
vive etc.) che consentano la permanenza in sito della terra vegetale da riportare e garan-
tiscano, quindi, la crescita della vegetazione.
Nel caso di rocce compatte non necessariamente va adottata la massima pendenza
tecnicamente possibile, ma il progetto dovrà tener conto dell’assetto e dei raccordi mor-
fologici in funzione di ottimizzazione paesaggistica. Gli interventi di rivestimento vege-
tativo nel caso di scarpate in roccia ricondotte a pendenze maggiori (45° - 60°) sono
molto onerosi o addirittura impossibili.
Vanno preferite, ove possibile dal punto di vista geotecnico, scarpate a tirata unica
invece di scarpate a gradoni. Infatti in queste ultime aumenta la pendenza di ogni sin-
gola scarpata a pari occupazione complessiva e, quindi, di superfici di esproprio e si
ottiene un antiestetico effetto geometrico legato alla presenza dei gradoni, anche se
rivegetati. Problemi di ruscellamento superficiale vanno risolti adottando interventi
antierosivi e stabilizzanti con tecniche di ingegneria naturalistica.
In figura. 5.4.B e foto da 5.4.5 a 5.4.12 viene riportata una possibile casistica di
interventi a verde su scarpate in trincea. Si noti che certe sistemazioni come ad esem-
pio l’impiego dello “spritz-beton”, anche se “rinverdito” con rampicanti (foto 5.4.12),
non sono da considerarsi interventi di I.N., mentre esistono tecniche alternative a pari
funzione quali il rivestimento vegetativo in rete e stuoia che ha migliori prospettive
di rinverdimento su rocce sciolte a pendenza minore (vedi foto in scheda interventi –
Arezzo). Anche la sola rete metallica su rocce fratturate costituisce di per sé un siste-
ma antierosivo che facilita la rivegetazione (vedi foto in scheda interventi – SS 195
Cagliari).
248
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Nel caso si adottino pannelli trasparenti, la loro presenza va segnalata con adesivi
di sagome di falconiformi per evitare lo schianto degli uccelli in planata (figura 5.4.F3).
L’esperienza degli ultimi anni dimostra che in certe situazioni (in genere viadotti in aree
urbane) si sono verificate numerose collisioni mortali.
254
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
• fossi di infiltrazione nel caso sia possibile questo sistema di smaltimento delle
acque (figura 5.4.E2)
• vasche di prima pioggia con funzioni: a) di sedimentazione del particolato
che veicola la maggior parte degli inquinanti; b) di disoleazione per i legge-
ri (olii);
• ecosistemi filtro sotto forma di vasche con vegetazione palustre per il filtrag-
gio ed abbattimento degli inquinanti (figura5.4. E3 e foto 5.4.18).
258
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
260
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Blufi (PA)
Specificità dell’intervento
Primo rilevato stradale basato su doppia terra rinforzata realizzato in Italia
Provincia/ Comune
Palermo/ Blufi
Altitudine slm / Esposizione/Inclinazione °
638 m / Strada asse SW-NE; scarpate: NW- SE / 32° - 45° (rispettivamente parte alta e bassa della scar-
pata)
Lineamenti vegetazionali
Coltivi collinari
Lineamenti geomorfologici
Falda affiorante
Obiettivo dell’intervento
Consolidamento di rilevato stradale su terreni umidi
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Sulla parte basale del rilevato, avente una pendenza di 45° , si è operato tramite doppia terra rinforzata
L 300 m
261
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Foto 1: Uno dei primi rilevati stradali in doppia terra rinforzata realizzati in Italia Loc. Blufi 1988 - Foto
Harpo SEIC
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Pula (CA)
Specificità dell’intervento
Rivegetazione con idrosemina a spessore e reti metalliche con biostuoie su scarpate stradali in roccia
Provincia/ Comune/ Località
Cagliari / Sarroch / Strada SS 195 (4 corsie) altezza uscita Sarroch
Altitudine slm /Esposizione/Inclinazione °
50 m / E / 45°
Lineamenti vegetazionali
Incolti
Lineamenti geomorfologici
Scarpata in trincea alta 15-20 m con berma intermedia in roccia granitica e substrato costituito da detri-
to colluviale granitico cementato
Obiettivo dell’intervento
Sistemazione antierosiva superficiale per evitare l’intasamento della canaletta stradale
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Rivestimento vegetativo in rete e stuoia e idrosemina S 5000 mq circa
Materiali morti impiegati
Stuoia in paglia, rete zincata a doppia torsione
Specie vegetali impiegate
Nessuna
Periodo dei lavori
Febbraio 1995
Osservazioni
La biostuoia si è decomposta, ad eccezione della reticella di supporto in plastica. La rete metallica è in
buono stato. La copertura è variabile in funzione del substrato; nei tratti litoidi è intorno al 15%, nei trat-
ti a graniti alterati, ove è più facile l’attecchimento, raggiunge l’80%. In ogni caso sulla berma, che con-
sente l’accumulo di suolo e di umidità, è intorno all’80%.
Le specie originarie del miscuglio sono state sostituite da specie spontanee erbacee ed arbustive. Le spe-
cie dominanti sono Inula viscosa, Avena barbata, Daucus carota, Trifolium sp., Carlina corymbosa,
Tamarix sp., Calicotome villosa, Cistus monspeliensis, Lavandula stoechas, Helichrysum italicum, etc.
263
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Foto 1: Nuova SS 195 Km 18 per Pula (CA), rete metallica con funzione antierosiva (settembre 2003) -
Foto G. Sauli
Foto 2: Nuova SS 195 Km 18 per Pula (CA), rete metallica con funzione antierosiva (settembre 2003) -
Foto G. Sauli
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
265
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
266
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
5.5 CAVE
Vengono prese in esame le più frequenti casistiche di interventi di recupero di cave
in Italia, organizzate secondo le principali tipologie di scavo in cui si possono far rien-
trare la maggior parte delle cave italiane.
La casistica riporta principalmente casi di recupero di tipo naturalistico con tecni-
che a verde e di ingegneria naturalistica, in coerenza con il tema del presente manuale.
La casistica considerata fa riferimento a regioni del centro-nord Italia dove sono stati
operati alcuni significativi interventi di ripristino.
Le tecniche di rivegetazione fanno ricorso ai principi e metodologie dell’ingegne-
ria naturalistica. Ogni intervento di rivegetazione prende in considerazione i dati di ana-
lisi naturalistica e geopedologica. Per quanto riguarda le tecniche risultano proponibili
principalmente interventi antierosivi e stabilizzanti (idrosemine, messa a dimora di
arbusti ed alberi, biostuoie, viminate e fascinate). Opere costose di tipo combinato (gab-
bionate e materassi verdi, terre rinforzate e palificate vive, rivestimenti vegetativi in reti
metalliche e stuoie, etc.) sono possibili, ma vanno considerate di impiego localizzato o
per casi particolari, principalmente per motivi di costo.
5.5.1 Cave di pianura (figura 5.5.A)
Le escavazioni in pianura sfruttano giacimenti di origine alluvionale (ghiaie, sab-
bie, argille, etc) con morfologie di scavo a fossa che possono o meno interessare le falde
acquifere sottostanti.
Si individuano le tipologie di recupero di seguito descritte.
A) Tipologie di recupero di cave in falda
Le escavazioni in pianura di una certa profondità mettono spesso a nudo la falda frea-
tica creando degli specchi d’acqua che si prestano a vari tipi di recupero/reutilizzo quali:
• laghetti di uso pescasportivo con veri e propri campi gara molto diffusi in tutta
la pianura padano-veneta;
• laghetti di uso fruitivo anche con funzioni di balneazione estiva, relativamente
frequenti nel centro Europa , scarsamente proponibili nell’Italia meridionale;
Recupero di tipo prettamente naturalistico con ricostruzione di ecosistemi palustri
in cui le morfologie di abbandono devono prevedere una fascia riparia a bassa penden-
za (in genere max 1:10), indispensabile per ricostruire gli elementi della idroserie della
vegetazione palustre (foto 5.5.1 e figura 5.5.A1).
267
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
270
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Qualche risultato si ottiene sui rilevati basali previo riporto di terreno vegetale o
compost combinato con opere stabilizzanti o palizzate di contenimento, come nel caso
della cava Melta (vicino Trento), dove la morfologia risultava migliore e la riconversio-
ne è stata attuata tramite graticciate e riporti di terra.
Un caso di buona riuscita di interventi di rivegetazione su rilevati basali è quello
della cava “Fous” di Maniago (PN). Tale cava è stata rinverdita alla fine degli anni ’70
inizio anni ’80, mediante idrosemina, viminate vive e messa a dimora di arbusti ed albe-
ri. Su una scarpata in frana a valle della strada di accesso è stato impiegato anche
l’Ontano napoletano (Alnus cordata) che per il Friuli non è autoctono, ma ha dato buoni
risultati dal punto di vista del consolidamento.
Interventi sperimentali di rivestimento subverticale con materassi rinverditi pre-
confezionati hanno dato scarsi risultati a fronte di notevoli costi di messa in opera e
manutenzione.
Interventi di inscurimento della roccia con sostanze ossidanti danno rapidi risulta-
ti di natura visuale, ma sono da considerarsi temporanei e accessori. Veri e propri inter-
venti di “verniciatura” sono stati sperimentati negli anni ’80 in qualche cava del nord
Italia e completamente abbandonati sia per gli scarsi risultati nel tempo, sia per motivi
di inquinamento, sia perché da considerarsi un caso evidente di “imbroglio ecologico”.
271
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
C) di risultati intermedi se le pendenze complessive sono di 50°- 55° per gli scar-
si risultati di mascheramento e l’eccessivo geometrismo che permane nella morfologia
a gradoni.
Situazioni miste
Sono abbastanza frequenti situazioni miste ed articolate, con morfologie di scavo
derivate da condizionamenti locali di natura amministrativa ed urbanistica.
Nel caso di attività minerarie a cielo aperto, assimilabili per problematiche di ripri-
stino alle cave, vi sono spesso condizionamenti legati alla dislocazione dei giacimenti
che richiedono talvolta interventi particolari di ripristino.
Il caso della miniera di feldspato di Giustino in provincia di Trento
Si riporta il caso di un intervento in una miniera di feldspato (miniera di Giustino
in provincia di Trento) in cui lo scavo del minerale aveva prodotto negli anni morfolo-
gie miste sulle varie litologie sovrastanti il giacimento.
Nella figura 5.5.4 sono indicate con: I - lo strato di copertura in morena scavato a 30°-
32°; II - lo strato di roccia scistosa di contatto con il giacimento, scavato a 45°; III- il giaci-
mento di feldspato vero e proprio coltivato a gradoni di 10 m di alzata e 3-5 m di pedata.
Interventi di rivegetazione sulla scarpata in roccia scistosa a 45° sono stati realiz-
zati su supporti in sacche a materasso in reti metalliche rivestite internamente con stuo-
ie sintetiche tridimensionali e riempite di inerte terroso a matrice sabbiosa (figura
5.5.B7 e foto 5.5.7).
Sui gradoni sono invece stati realizzati dei rilevati con inerte di scopertura, soste-
nuti da gabbionate rinverdite e da terre rinforzate verdi in geotessili in poliestere (figu-
ra 5.5.B6 e foto 5.5.5 e 5.5.6).
272
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
273
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
274
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Foto 1: situazione attuale - vista delle scarpate recuperate (la coltivazione prosegue nel piazzale di base)
- Foto N. Ferranti
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
276
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Scoria (TS)
Specificità dell’intervento
Ricomposizione morfologica con inerti di scarto e rivegetazione di una cava di calcare ad anfiteatro a
gradoni
Provincia/ Comune/ Località
Trieste/ S.Dorligo della Valle/ Bosco Bazzoni
Altitudine slm /Esposizione/Inclinazione °
280-390 m/ Sud/ 30°
Lineamenti vegetazionali
Boscaglia carsica a roverella e carpino nero, landa carsica, pinete di impianto a pino nero austriaco
Lineamenti geomorfologici
Crinale su altopiano calcareo
Obiettivo dell’intervento
Ricomposizione morfologica con inerti di scarto e rivegetazione di una cava di calcare ad anfiteatro a
gradoni mediante semine e messa a dimora di arbusti autoctoni. Primo campione eseguito nel 1985 su un
rilevato sulla parete ovest della cava.
Tipologie e dimensioni dell’intervento
Idrosemine, gradonate vive di salici, messa a dimora di arbusti autoctoni
Materiali morti impiegati
Nessuno
Specie vegetali impiegate
Salix sp.pl., Prunus mahaleb, Crataegus monogyna, Fraxinus ornus, Ostrya carpinifolia, Quercus pube-
scens
Periodo dei lavori
1985-86, 1992
Osservazioni
L’intervento campione ha dato buoni risultati evidenziando come specie guida il Prunus mahaleb per il
comportamento pioniero in condizioni di forte aridità.
277
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Foto 1: Cava Scoria intervento campione di ricomposizione morfologica e rivegetazione con specie della
boscaglia carsica 1985-1992 - Foto G. Sauli
Foto 2: Cava Scoria intervento campione di ricomposizione morfologica e rivegetazione con specie della
boscaglia carsica dopo 10 anni - Foto G. Sauli
278
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
279
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Foto 1: Cava di calcare del M. S.Lorenzo di Fanna (PN) 1993 - Foto G. Sauli
Foto 2: Cava di calcare del M. S. Lorenzo di Fanna (PN). Fase di stesura della terra vegetale 1995 - Foto
G. Sauli
280
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Conclusioni
Gli interventi di rivegetazione delle cave costituiscono uno dei settori di applica-
zione dei metodi e principi dell’ingegneria naturalistica. Valgono alcune regole deonto-
logico-pratiche quali:
• massimo impiego di rimodellamenti morfologici che devono, nella migliore
delle ipotesi, essere strettamente collegati con gli scavi;
• utilizzo di tecniche di coltivazione che consentano ripristini contemporanei
agli scavi;
• impiego di specie autoctone di arbusti ed alberi per il miglior reinserimento
naturalistico e paesaggistico delle superfici denudate;
• uso limitato di tecniche con impiego di materiali artificiali;
• impiego delle tecniche più semplici a pari funzione, evitando inutili sovradi-
mensionamenti.
5.6 DISCARICHE
L’argomento discariche viene qui preso in considerazione principalmente per quan-
to riguarda le tecniche di recupero a verde che risultano necessarie, a discarica esaurita,
date le vaste superfici in terra che si vengono a creare nelle parti superiori delle discari-
che stesse e nelle adiacenze (piazzali di stoccaggio e manovra, piste interne, etc.). Si
rimanda ad altra sede per le fondamentali problematiche relative alla pianificazione urba-
nistica nonché alla progettazione geotecnica ed ingegneristica delle discariche stesse.
Viene di seguito sintetizzata la problematica degli interventi a verde su discariche
organizzate secondo le seguenti tipologie:
• discariche di rifiuti solidi urbani (RSU) e discariche di rifiuti tossici nocivi
(RTN);
• discariche di inerti;
• discariche minerarie;
Dal punto di vista del recupero, in genere, gli interventi a verde possono essere
affrontati quando la discarica o un suo lotto funzionale sono esauriti e ne è stata effet-
tuata la chiusura superiore secondo le tecnologie previste dal progetto.
Le tecniche di rivegetazione risultano, a questo punto, di solito semplificate e si
svolgono secondo le seguenti modalità:
• riporto di terreno vegetale sugli inerti drenanti di ricopertura (di solito alme-
no 30 cm di terreno agrario su almeno 50 – 100 cm di inerte drenante);
• semine o idrosemine potenziate con miscele adatte alla situazione pedoclima-
tica ed ambientale locale;
• messa a dimora di specie arbustive autoctone con disposizione a isole ed evi-
tando geometrismi. L’impiego di specie arboree va limitato, per ovvie ragioni
funzionali di durata dei teli di sigillatura superiore, alle sole fasce marginali
esterne al vero e proprio corpo discarica;
• tecniche di ingegneria naturalistica che vanno adottate negli interventi di con-
solidamento dei terrapieni e nella sistemazione di opere di canalizzazione
perimetrali. Sono talvolta utili interventi con tecniche antierosive o stabiliz-
zanti anche sulle parti in scarpata della discarica stessa per evitare effetti di
ruscellamento o solchi in tratti in pendenza (stuoie organiche, viminate o gra-
donate vive, geocelle a nido d’ape, etc.);
281
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
283
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
284
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
dalle ricercate realizzazioni di soluzioni naturali e quanto più possibile simili all’ambien-
te circostante (ricucitura all’ambiente circostante/innesco di sistemi naturali).
5.6.2 Discariche di inerti
Nei grossi progetti di infrastrutture viarie viene normalmente elaborato e realizzato
il “piano cave e discariche” che prevede le fonti di approvvigionamento degli inerti da
costruzione e la messa a discarica degli inerti in eccedenza o non riutilizzabili per scar-
se caratteristiche geotecniche. In genere tali inerti di scarto vengono collocati in aree di
cava esaurite quale ricomposizione morfologica e paesaggistica almeno parziale.
Si riporta un caso di riciclaggio di inerti per rimodellamenti morfologici e recupe-
ri a verde di cave in roccia abbandonate o in fase di chiusura.
Cava di calcare Scoria (TS) (foto 5.6.3 e 5.6.4)
In tale caso vengono appunto riciclati inerti di scarto da scavi di fondazioni, demo-
lizioni, etc. derivanti sia dal fabbisogno della città che da alcune grosse infrastrutture
viarie attualmente in costruzione nella provincia di Trieste.
Sono previsti interventi di idrosemina e messa a dimora di arbusti tipici della vegeta-
zione del Carso triestino da cui si attende un recupero paesaggistico delle due cave citate.
285
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
286
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
La scarpata interessata dalle opere (circa 1000 m2 con pendenza 40°- 45°) fu sud-
divisa in otto particelle longitudinali (5x25 m) che sono state rinaturate con differenti
metodiche, onde valutare in modo comparativo i risultati ottenuti.
Le tecniche impiegate sono state:
• rivestimento con biofeltro preseminato e preconcimato, fissato con rete metal-
lica a maglia 10 x 10 cm;
• fascinate e cordonate vive di tamerici alternate a messa a dimora di arbusti
autoctoni;
• palizzata viva di tamerici;
• copertura con stuoia in fibra di cocco e piantagione di piante erbacee perenni;
• rivestimento in paglia con rizomi sminuzzati di graminacee e semina;
• copertura con terra vegetale, stuoia in fibra di cocco e semina;
• messa a dimora di arbusti autoctoni di gariga mediterranea e cespi di grami-
nacee in vaso;
• testimone (senza interventi).
Su tutte le parcelle è stata inoltre eseguita una idrosemina di copertura con miscu-
glio di specie selezionate tra le più resistenti alle condizioni di aridità e di carenza nutri-
zionale.
Fu prevista l’irrigazione solamente nella parte superiore dei versanti e fu limitata
al primo periodo di vegetazione; l’acqua è un fattore condizionante primario in queste
situazioni, per cui, inizialmente, l’attecchimento e la crescita sono stati migliori nella
zona sommitale.
Il risultato delle sperimentazione indica l’impiego di arbusti pionieri mediterranei
come prioritario nelle rivegetazioni di scarpate in condizioni di forte aridità, mentre le
semine danno scarsi risultati, salvo impiego di specie erbacee locali da attuare median-
te fiorume, spargimento di fienagioni o trapianto di cespi di graminacee.
In un’altra discarica della zona, in quegli anni, alcune scarpate vennero rinverdite
con il Mesembryanthemum (fico degli Ottentotti) sfruttando la sua capacità di veloce
tappezzante. I risultati furono però nulli a causa delle sue non valide capacità biotecni-
che (foto 5.6.8).
287
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Gonnesa (CA)
Specificità dell’intervento
Incaramellatura di fanghi industriali e recupero paesaggistico con specie locali
Provincia/ Comune/ Località
Cagliari / Gonnesa / Acqua Sa Canna
Altitudine slm
100-150 m
Lineamenti vegetazionali
Gariga mediterranea
Lineamenti geomorfologici
Rocce granitiche con massi affioranti
Obiettivo dell’intervento
Recupero di discariche di fanghi industriali in ex aree minerarie tramite ricomposizione morfologica e
rivegetazione
Materiali morti impiegati
Geomembrane, tessuti non tessuti
Specie vegetali impiegate
Rosmarino, mirto, lentisco, cisto, oleandro, agave
Periodo dei lavori
1999
Osservazioni
Buona riuscita del primo lotto. Va migliorata la scelta delle specie e la disposizione a morfologia natu-
raliforme dei massi granitici.
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
• per quanto riguarda le semine del cotico erboso vanno adottate le miscele
erbacee più idonee possibile rispetto alle caratteristiche pedoclimatiche dei
tratti da ripristinare; le specie si dovranno reperire possibilmente da produtto-
ri locali;
• in zone di particolare pregio, quali pascoli d’alta quota, praterie pedemontane,
etc., si effettua, se i lavori si svolgono in periodo stagionale idoneo, la raccol-
ta di fiorume oppure la zollatura del prato prima dell’apertura della pista, la
conservazione delle zolle e la ricollocazione a fine lavori;
• nella fase di messa a dimora di specie arbustive e arboree si può addizionare
la terra vegetale in buca con substrato micorizzato (sia endo che ecto micoriz-
ze) oppure si possono utilizzare piante già micorizzate, se prodotte dai vivai
locali di piante autoctone;
• vanno previsti periodi di 3 ÷ 5 anni di cure colturali per le piantine messe a
dimora e devono effettuarsi tutti gli interventi che possano garantire la miglio-
re riuscita del ripristino.
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Foto 1: Rinaturazione metanodotto Bernalda – Brindisi, Loc. Mas safra, messa a dimora di arbusti da viva-
io (dicembre 2001) - Foto G. Sauli
Foto 2: Rinaturazione metanodotto Bernalda – Brindisi, Loc. Mas safra, prelievo di arbusti trapiantati dal
selvatico (dicembre 2001) - Foto G. Sauli
Foto 3: Rinaturazione metanodotto Bernalda – Brindisi, Loc. Mas safra, messa a dimora di arbusti trapian-
tati dal selvatico (dicembre 2001) - Foto G. Sauli
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Foto 1: Metanodotto Malborghetto - Bordano. Palizzate vive, palificate vive, Loc. Chiaranda (Val Aupa -
UD) 2003 - Foto G. Sauli
Foto 2: Metanodotto Malborghetto - Bordano. Stabilizzazione del versante con messa a dimora di arbusti
e trapianto di ceppaie di carpino nero Loc. Chiaranda (Val Aupa - UD) 2003 - Foto G. Sauli
Foto 3: Metanodotto Malborghetto - Bordano. Consolidamento del versante con palificate vive. Loc.
Chiaranda (Val Aupa - UD) - 2003 Foto G. Sauli
298
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Foto 4: Metanodotto Malborghetto - Bordano. Realizzazione di recinzioni per la tutela dalla fauna selva-
tica delle giovani piante messe a dimora. Val Canale, Malborghetto 2003 - Foto G. Sauli
Foto 5: Metanodotto Malborghetto - Bordano. Cordonate e palizzate vive Val Canale, loc. S. Leopoldo
2003 - Foto G. Sauli
Foto 6: Metanodotto Malborghetto - Bordano. Cordonate e palizzate vive Val Canale, loc. S. Leopoldo
2003 - Foto G. Sauli
299
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
300
I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
stati quasi sempre stravolti dalla mancata o errata pianificazione delle attività umane:
bonifiche, sviluppo urbanistico, insediamenti industriali, reti di trasporto e porti, infra-
strutture turistiche.
Da una ricerca del WWF Italia sul consumo dei suoli “Oloferne 1996/97” risulta
che solo il 26 % della fascia costiera è risultato totalmente libero da insediamenti ed
attività antropiche.
Oltre alla antropizzazione e cementificazione delle coste, il fenomeno che sin-
tetizza e spesso rappresenta pienamente la criticità dell’effetto sinergico di molte
delle attività umane citate, è dato dall’erosione dei litorali. Pur legato alla dinamica
di processi naturali, allo stato attuale l’equilibrio delle spiagge è quasi ovunque
compromesso dagli interventi sul territorio, non solo costiero. Già oltre dieci anni fa
si considerava in erosione un terzo delle spiagge italiane (quindi oltre 1.000 km di
litorali sabbiosi risultavano in fase di demolizione ed arretramento): osservazioni
recenti condotte dagli scriventi su estesi tratti del litorale nazionale, individuano una
ulteriore accelerazione del processo. Per comprendere la natura del fenomeno è
necessario considerare che la presenza e stabilità dei materiali sabbiosi che costitui-
scono le spiagge, in linea generale dipendono da un meccanismo di trasporto, che
provvede alla distribuzione lungo costa, per effetto combinato di onde e correnti, dei
materiali versati in mare dai corsi d’acqua. Oltre ad altri fenomeni di natura geolo-
gica e/o climatica, qualsiasi interferenza sul processo naturale di erosione dei ver-
santi, trasporto verso mare dei sedimenti, trasporto litorale, comporta quindi il dise-
quilibrio della spiaggia che oggi si traduce, nella maggior parte dei casi, nella sua
demolizione.
Per queste motivazioni molte spiagge del Mediterraneo sono interessate da erosio-
ne, fenomeno che intacca gravemente un bene economico fondamentale per le località
turistiche balneari ed un valore naturale da conservare per le generazioni future.
Le spiagge costituiscono così una risorsa naturale difficilmente rinnovabile poi-
ché le azioni di controllo dell’erosione costiera sono complesse e raramente risoluti-
ve. Sino a pochi anni fa (oggi si nota peraltro una certa tendenza alla rivalutazione di
tale approccio), gli interventi di protezione dei litorali dall’erosione vedevano molto
diffuse opere frangiflutti in blocchi di varia natura e dimensione, rivestimenti di
spiagge, muri paraonde, pennelli trasversali o paralleli, barriere sommerse o semi
sommerse, tutte opere generalmente rigide, scarsamente compatibili, anche dal punto
di vista più strettamente paesaggistico, con le valenze e gli equilibri ambientali. I ver-
samenti detritici, i cosiddetti ripascimenti morbidi, cioè la ricostruzione delle spiag-
ge con l’apporto di sabbie prelevate da cave marine (spiagge fossili) costituiscono,
allo stato attuale, soluzioni sempre più diffuse e condivise. Particolarmente graditi
sono i ripascimenti protetti i quali, attraverso la realizzazione di contenimenti a dif-
ferente grado di sommergenza, dovrebbero impedire la rapida dispersione del sedi-
mento apportato artificialmente, prolungando nel tempo l’efficacia dell’intervento. È
tuttavia opportuno sottolineare come i ripascimenti artificiali (ancor più se protetti)
siano frequentemente realizzati con poca considerazione del complesso delle relazio-
ni fisiche e biologiche investite. Il ricorso, sempre più diffuso e generalizzato, alla
ricostruzione ed alla rialimentazione periodica delle spiagge, rischia di “viziare” tec-
nici ed amministratori verso l’adozione di soluzioni, comunque temporanee, che non
301
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
affrontano a monte il problema (anche in senso letterale) con possibili effetti critici
già nel breve e medio termine (migrazione dei fenomeni erosivi, danneggiamento
delle biocenosi e conseguenze sulla rete trofica, mancato controllo dei meccanismi
effettivamente responsabili).
L’erosione delle spiagge è frequentemente associata alla demolizione delle dune
costiere.
Queste rappresentano il risultato di lenti processi di accumulo, ad opera del vento,
delle sabbie trasportate dalle correnti marine lungo costa e, in condizioni naturali, costi-
tuiscono un serbatoio di sabbia in grado di rifornire le spiagge nelle fasi “ordinarie” di
erosione. Le dune costiere costituiscono ambienti molto dinamici, di estremo valore
geomorfologico, ecologico e paesaggistico che, piuttosto diffusi sino a tempi recenti,
attualmente sopravvivono integri (o apparentemente integri) in poche e limitate aree,
tanto da poter essere oggi considerati come “ambienti relittuali”. L’importanza ecologi-
ca delle dune costiere risiede in particolare nelle comunità vegetali, che sono stretta-
mente caratteristiche di tali ambienti ed alle quali sono riconducibili i meccanismi più
significativi di consolidamento ed accrescimento. Anche sotto il profilo faunistico gli
ecosistemi dunali rappresentano habitat unici a cui va aggiunto il ruolo irrinunciabile di
corridoi ecologici in ambiente costiero. Nonostante siano in larga parte interessati da
specifici strumenti di tutela, a livello europeo, sono gli ecosistemi maggiormente
minacciati. I meccanismi di degrado, come descritto inizialmente, sono principalmente
rappresentati dall’antropizzazione dei litorali, dall’erosione costiera, da una fruizione
turistica incontrollata, fondamentalmente causati dalla mancanza di pianificazione -
programmazione e di corretta gestione, sia dei litorali che del territorio interno.
Le problematiche della conservazione degli ambienti dunali attuali sono, dunque,
estese a larga parte dei territori costieri del Bacino del Mediterraneo e dei Paesi Nord
Europei, ma è lungo la costa italiana che si rilevano le condizioni di degrado e distru-
zione più avanzate. Sulla base dell’analisi della documentazione cartografica (Atlante
delle Spiagge Italiane, CNR 1985 –1997) gli scriventi hanno rilevato come lungo la
costa nazionale, sino alla metà degli anni 90’, i depositi dunali costieri presentavano
uno sviluppo residuo complessivo pari a circa 700 km: vale a dire meno del 10% dello
sviluppo costiero nazionale e solo circa il 20 % di quello interessato da litorali sabbio-
si. Più in dettaglio, la ripartizione tra dune naturali e dune antropizzate risultava pari a
circa il 50 %. Ma tale dato non deve trarre in inganno poiché nel corso degli ultimi anni
la maggior parte delle dune naturali ha denunciato condizioni di forte aggressione e
sensibile degrado principalmente per effetto della pressione turistica e per l’ormai gene-
ralizzata erosione costiera. Allo stato di conservazione delle dune e delle spiagge è
strettamente legato quello di altri ecosistemi, di estrema importanza, quali gli ambienti
umidi retrodunali, le lagune ed i laghi costieri, le foci fluviali, sino alle praterie di
Posidonia oceanica e di altre fanerogame marine, tutti ecosistemi che, oltre al valore
strettamente ecologico, hanno notevole valore economico, diretto ed indiretto. Se una
spiaggia sottoposta ad erosione può ricostituirsi anche in pochi giorni, le dune costiere,
specie quelle ricoperte di vegetazione, una volta demolite, si ricostruiscono in tempi
tanto lunghi che alla scala umana il fenomeno può essere considerato scarsamente
reversibile. In materia di conservazione e restauro ambientale, gli ambienti dunali, pur
con le loro specificità pedologiche, fisico-climatiche e biologiche, si prestano anch’es-
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Foto 5.8.2: Schermi frangivento disposti a scacchiera a due anni dalla realizzazione
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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I settori di intervento dell’ingegneria naturalistica
Foto 1: Raccolta di Pancratium maritimum sradicato e piaggiato (gennaio 2001) - Foto A. Trivisani
311
Frequenti tipi di errori nell’esecuzione d’interventi di ingegn eria naturalistica
6.1 ERRORI DERIVANTI DALLA NON CORRETTA GESTIONE DEL SITO DI INTERVENTO
La gestione del sito d’intervento all’inizio, durante ed alla fine dei lavori, è di fon-
damentale importanza per l’evoluzione morfologica e, di conseguenza, biologica che il
sito stesso avrà nel tempo:
313
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
• “scoronamento” sommitale
La zona sommitale della nicchia, detta corona, è fonte continua di erosione e con-
seguente arretramento ed ampliamento del dissesto. La mancata, parziale o comunque
incompleta asportazione della corona (che viene realizzata mediante scavo ed abbatti-
mento della pendenza) non solo consente all’erosione di avanzare, ma mette a rischio
la validità dell’intervento a valle.
• adeguamento delle superfici e delle inclinazioni
La superficie oggetto dell’intervento deve essere regolarizzata, per quan-
to possibile, livellando i dislivelli negativi e positivi, asportando eventuali
massi sporgenti e pericolanti (disgaggio e bonifica) e mantenendo o realiz-
zando inclinazioni compatibili con le tipologie da eseguire. Quando questo
non viene osservato vengono vanificati i vantaggi sia delle tipologie stesse sia
dei materiali, in quanto si creano o si mantengono situazioni favorevoli
all’erosione.
• raccordo tra opera e substrato
Le opere, di qualsiasi tipo, hanno bisogno di continuità con il substrato al contor-
no. Questo raccordo può essere realizzato mediante il proseguimento delle estremità
della struttura per una certa profondità nel versante o nella sponda; è comunque sem-
pre consigliabile l’utilizzo di elementi naturali (massi, tronchi, zolle), a disposizione in
loco. La mancata esecuzione dei raccordi comporta iniziali infiltrazioni ai margini delle
singole opere, che procedono in modo invasivo sino allo svuotamento e smembramen-
to totale delle stesse (foto 6.1, 6.2, 6.3).
Foto 6.1: Mancata esecuzione di un adeguato raccordo tra opera e substrato e scarsa
aderenza dei materiali impiegati alla superficie d’intervento: l’erosione è già in atto -
Foto R. Ferrari
314
Frequenti tipi di errori nell’esecuzione d’interventi di ingegn eria naturalistica
Foto 6.2, 3: Mancata esecuzione di un adeguato raccordo tra opera e substrato: l’ero-
sione ha creato degli scorrimenti preferenziali che tendono a svuotare la struttura –
Foto R. Ferrari
315
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Foto 6.4: “Manutenzione”(rivolta all’infrastruttura e non all’o pera preposta a sua pro-
tezione) effettuata con mezzi inadatti: la componente vegetale risulta irrimediabilmen-
te danneggiata - Foto R. Ferrari
Foto 6.5: “Manutenzione” (rivolta all’infrastruttura e non all’ opera preposta a sua
protezione) effettuata con mezzi inadatti: la stessa struttura (palificata viva doppia)
risulta fortemente danneggiata - Foto R. Ferrari
316
Frequenti tipi di errori nell’esecuzione d’interventi di ingegn eria naturalistica
6.2 ERRORI DERIVANTI DAL NON CORRETTO UTILIZZO DI MATERIALE NATURALE VIVO
Essendo le piante l’elemento che contraddistingue un intervento di ingegneria
naturalistica da uno tradizionale, se queste non vengono inserite come parte strutturale
delle opere, non si sviluppano nei modi dovuti o muoiono, l’intervento non è ascrivibi-
le in questa categoria.
Paradossalmente sono proprio queste le principali cause di insuccesso negli inter-
venti a basso impatto: la “novità” rappresentata dal materiale vivo unitamente ad una
scarsa conoscenza delle sue esigenze ne determinano, spesso, un errato utilizzo:
• semi, miscele di sementi
I semi di specie erbacee ed arbustive vengono utilizzati mediante spargimento
manuale o per mezzo di idrosemina, sia direttamente sul terreno che su vari supporti natu-
rali o sintetici. Gli insuccessi più frequenti derivano soprattutto dall’utilizzo, in stagioni o
periodi non idonei, di specie non autoctone o di provenienza diversa dal luogo di impie-
go, di specie non previste in progetto e quindi non idonee; la quantità, poi, può essere
insufficiente relativamente alla superficie d’intervento, le miscele possono essere scadute
e, relativamente all’idrosemina, possono impiegarsi apparecchiature non specifiche.
• specie vegetali con capacità di propagazione vegetativa
Le talee sono parti di specie con alta capacità di propagazione vegetativa; possono esse-
re impiegate singolarmente o inserite in strutture di origine naturale o sintetica e queste dif-
ferenti utilizzazioni ne caratterizzano le dimensioni e le quantità. Il primo rischio di errore,
peraltro determinante, è rappresentato dall’utilizzo di specie non aventi la capacità di ripre-
sa vegetativa ma, comunque, le talee sono molto sensibili al periodo di manipolazione (pre-
lievo, eventuale stoccaggio, messa a dimora) e da questo derivano i più frequenti casi di
insuccesso. Altri fattori di grande rischio sono rappresentati dal taglio eseguito non in modo
netto, dal non rispetto della polarità (verso di crescita) al momento della posa, dalle dimen-
sioni minime (diametro, lunghezza) non sufficienti, da inserimenti traumatici, da porzioni
troppo sporgenti fuori terra e da stress di stoccaggio (disidratazione, gelo). Rimane sempre
evidente l’errore di utilizzare specie non autoctone o non previste in progetto.
• specie arbustive ed arboree
Possono venir utilizzate piante a radice nuda, in zolla o in fitocella a seconda della
necessità o, più spesso, della reperibilità. Gli errori sono dovuti principalmente alla
scelta delle specie (non autoctone, non idonee alla stazione, non rispondenti alle finali-
tà progettuali), al periodo di manipolazione e alla mancanza di manutenzione (irriga-
zione, protezione anti-fauna).
6.3 ERRORI DERIVANTI DAL NON CORRETTO UTILIZZO DI MATERIALE NATURALE MORTO
Il materiale naturale morto utilizzato in ingegneria naturalistica può avere funzio-
ne protettiva (biostuoie s.s.) o strutturale (legname):
• biofeltri, biostuoie, bioreti
A seconda del materiale d’origine (paglia, juta, cocco, miste) hanno diversa dura-
bilità con utilizzazioni diverse a seconda del tipo di dissesto e dell’obiettivo progettua-
le. A questo si unisce una grandissima varietà per quanto riguarda la tessitura, le dimen-
317
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
sioni della maglia e la grammatura che, nei casi limite, influiscono negativamente sia
sull’azione protettiva del substrato sia sulla possibilità di sviluppo delle specie vegeta-
li. Possibili errori derivano quindi dal tipo adoperato considerando, oltretutto, che sul
mercato esistono innumerevoli possibilità con classificazioni non standardizzate: è
molto facile quindi generare equivoci tra le indicazioni di progetto e la realtà operativa.
Altro fattore di rischio è dato dalle modalità di posa: questi materiali spesso non risul-
tano ben fissati tra loro né al substrato (che deve essere preventivamente regolato), per-
mettendo il formarsi di vuoti dove l’erosione continua il suo processo e le piante non
riescono ad attecchire (foto 6.6).
Foto 6.6: Uso improprio di stuoie s.s. e biostuoie s.s.: la particolare tessitura o la gram-
matura, in questo caso, non permettono lo sviluppo degli appartati radicali in profon-
dità - Foto G. Sauli
• legname
L’uso di tronchi per la costruzione di strutture pesanti (grata viva, palificata viva,
etc.) è molto frequente; elementi di legno di dimensioni minori sono, inoltre, molto uti-
lizzati quali supporti di strutture stabilizzanti (viminata viva, fascinata viva, cordonata,
palizzata viva, etc.) o quale elemento di picchettatura in genere. Anche se si tratta di
materiali morti, una scelta errata delle specie impiegate, come l’uso di legni “teneri” o
“dolci” quali, ad esempio, abete e pioppo, porta a conseguenze negative relativamente
alla stabilità e durata dell’opera. Talvolta anche l’utilizzo di specie con caratteristiche
apparentemente adatte, quale per esempio la robinia, può portare a conseguenze ina-
spettate quando il legno non è stagionato bensì appena tagliato, con conseguente emis-
sione di rami e radici. Gli errori classici, purtroppo frequentissimi, riscontrabili in que-
ste tipologie restano comunque legati alle dimensioni (diametro, lunghezza) degli ele-
menti nonché, soprattutto, alle modalità di assemblaggio degli stessi, non sempre cor-
rispondenti alle indicazioni fornite da manuali e linee guida (foto 6.7).
318
Frequenti tipi di errori nell’esecuzione d’interventi di ingegn eria naturalistica
Foto 6.7: Un caso purtroppo frequente: assemblaggio di tronchi di castagno con piccoli
chiodi tradizionali che non garantiscono la funzionalità della struttura - Foto R. Ferrari
319
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Foto 6.8: Mancanza di un adeguato strato di terreno vegetale tra il substrato sterile
(detrito di falda) e l’intervento mediante biostuoia in paglia e cocco: la vegetazione è,
naturalmente, del tutto assente - Foto R. Ferrari
Foto 6.9: Mancanza di un adeguato strato di terreno vegetale tra il materiale di riem-
pimento costituito da inerte litoide ed il paramento esterno della terra rinforzata: la
vegetazione è, naturalmente, del tutto assente - Foto R. Ferrari
320
Frequenti tipi di errori nell’esecuzione d’interventi di ingegn eria naturalistica
• materiale di riempimento
Non devono essere assolutamente utilizzati materiali con scadenti caratteristiche
geotecniche: spesso, purtroppo, vengono usati gli stessi materiali collassati o ad alta
percentuale argillosa. Anche in questo caso fattori prettamente economici giocano un
ruolo decisivo nell’escludere l’impiego di materiali più consoni o nel migliorare quelli
disponibili.
• massi in pietra
Questi inerti vengono generalmente utilizzati nelle sistemazioni spondali, sia sciol-
ti sia legati da funi di acciaio, a costituire una struttura elastica. I più comuni errori sono
rappresentati dalle inadeguate dimensioni dei singoli elementi (non idonee a contrasta-
re le forze agenti), dai metodi di legatura (D fune, tipo e dimensione dei chiodi ad
occhiello, disposizione non lineare della fune), ma, soprattutto, dalla posa dei singoli
massi (senza affogamento di parte dell’elemento in alveo). Tutti questi fattori negativi
portano, anche singolarmente, al disarticolamento ed allo scalzamento della struttura
(foto 6.10, 6.11).
Foto 6.10: Legatura a zig-zag di massi in una scogliera: non ne è garantita la recipro-
ca stabilità - Foto R. Ferrari
321
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Foto 6.11: Posa di massi senza loro affogatura nell’alveo: l’ac qua ha già approfondito
ed intaccato il piano di appoggio - Foto R. Ferrari
6.5 ERRORI DERIVANTI DAL NON CORRETTO UTILIZZO DI MATERIALE TRADIZIONALE E SIN-
TETICO
322
Frequenti tipi di errori nell’esecuzione d’interventi di ingegn eria naturalistica
Foto 6.13: Mancato sincronismo costruttivo con errata scelta del materiale di riempi-
mento: ormai l’inserimento della componente vegetale viva è impossibile; da notare
inoltre la mancanza di incastri nella paleria e la chiodatura con piccoli chiodi tradi-
zionali. Quale sarà l’evoluzione di questo intervento? - Foto R. Ferrari
• variazioni costruttive
Il dimensionamento e le proporzioni relative di alcune tipologie (grata viva, palifi-
cata viva, etc.) non possono essere variate oltre certi limiti: altezza, profondità, inclina-
zione non devono mai superare i valori prescritti. Questo purtroppo avviene di frequen-
te, mutando le caratteristiche di stabilità e di funzionalità delle strutture nonché iniben-
do le potenzialità di attecchimento e successiva crescita della componente vegetale viva
(foto 6.14, 6.15).
323
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Foto 6.14: Inclinazione molto superiore agli standard della tipologia e totale mancan-
za della componente vegetale viva: un destino segnato - Foto R. Ferrari
324
Frequenti tipi di errori nell’esecuzione d’interventi di ingegn eria naturalistica
Foto 6.15: Strutture (viminate vive), originariamente vive, troppo sporgenti fuori terra
e rinsecchite. La componente viva superstite è data dai picchetti di salice usati per
ancorare la struttura al substrato - Foto R. Ferrari
325
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica
Interventi antierosivi
7.1 Semina
7.2 Idrosemina
7.3 Idrosemina a spessore
7.4 Biostuoie
7.5 Stuoie sintetiche tridimensionali
7.6 Stuoie sintetiche bitumate
7.7 Rivestimento vegetativo in rete metallica e stuoia
Interventi stabilizzanti
7.8 Messa a dimora di talee
7.9 Messa a dimora di arbusti
7.10 Messa a dimora di alberi
7.11 Copertura diffusa
7.12 Trapianti dal selvatico
7.13 Viminata viva seminterrata
7.14 Gradonata viva
7.15 Cordonata viva
7.16 Fascinata viva
7.17 Palizzata viva
Interventi di consolidamento
7.18 Grata viva
7.19 Palificata viva doppia
7.20 Palificata viva Roma
7.21 Gabbionata viva
7.22 Materasso rinverdito
7.23 Scogliera rinverdita
7.24 Terra rinforzata rinverdita
7.25 Briglia viva in legname e pietrame
327
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Interventi antierosivi
7.1 SEMINA
Descrizione
Spargimento manuale a spaglio di miscele di sementi:
a) con miscele commerciali di origine certificata (origine specie, composizione miscela, grado di purez-
za, grado di germinabilità);
b) con fiorume raccolto direttamente in campo da stazioni di condizioni simili a quelle in cui si deve ope-
rare.
La copertura risulta immediata, con un effetto antierosivo superficiale determinato dal reticolo radicale
approfondito nel terreno (10 - 30 cm).
Campi di applicazione
Superfici piane o con pendenze inferiori a 25° - 30°, destinate alla rivegetazione, in accordo con le con-
dizioni stazionali ecologiche (esame delle condizioni pedoclimatiche, analisi floristica e/o vegetaziona-
le), per evitare erosione da ruscellamento, eolica e limitare l’essiccamento.
Materiali
Laddove ve ne sia la necessità, la semina è abbinata allo spargimento di concimanti organici e/o inorga-
nici, la cui quantità varia a seconda del periodo di intervento: in primavera sarà maggiore poiché la sta-
gione consente alle piante di utilizzarne la maggior parte; in autunno minore per evitare il dilavamento
della quantità non utilizzata dalle piante per l’arrivo della stagione fredda.
Una variante migliorativa alla semina è il Metodo Schiechteln (circolato in Italia come metodo a paglia
e bitume o nero – verde) che prevede, oltre alla semina, la stesura sul terreno di pacciamatura con paglia
a fibra lunga e fissaggio della stessa con una emulsione idrobituminosa spruzzata a freddo. E’ molto adat-
ta per substrati poveri di sostanza organica, suoli poco profondi e aridi situati a quote elevate, zone mon-
tane in ambito mediterraneo.
Foto 7.1: Fiorume per la semina a spaglio (luglio 1996) Acqualagna (PU) - Foto P. Cornelini
328
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica
7.2 IDROSEMINA
Descrizione
Spargimento mediante macchina idroseminatrice, dotata di botte, di una miscela composta in prevalen-
za da sementi, collanti, concimanti e acqua. Nel mezzo meccanico vengono miscelati i vari componenti
della miscela, che viene quindi spruzzata sulle superfici da inerbire mediante pompe e ugelli con pres-
sione adeguata e tale da non danneggiare le sementi. La presenza dei collanti garantisce la protezione
delle sementi durante la prima fase della germinazione.
Campi di applicazione
Superfici caratterizzate da assenza o, comunque, scarsità di humus, superfici ripide o scarsamente acces-
sibili, aree di notevole sviluppo superficiale. L’effetto antierosivo è immediato per la presenza della pel-
licola dovuta al collante e, in seguito, del reticolo radicale approfondito nel terreno (10 - 30 cm). In breve
tempo si sviluppa un ambiente idoneo per la microfauna.
Materiali
Sementi con certificazione di origine del seme e in quantità non inferiore a 30 – 60 gr/m2, acqua, conci-
mi/fertilizzanti, ammendanti, collanti. La percentuale dei vari componenti della miscela varia da caso a
caso; è necessario pertanto effettuare preliminarmente un’analisi stazionale che consenta di valutare la
composizione.
Foto 7.2: Idroseminatrice su scarpata (aprile 2002) Atina (FR) - Foto P. Cornelini
329
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Descrizione
Spargimento in due passate mediante idroseminatrice di una miscela di sementi, ammendanti, collanti,
fibra organica (mulch) e acqua per il rivestimento di superfici. La distribuzione deve essere omogenea e
gli strati avranno spessore da 0,5 a 2 cm. L’impiego di sostanze collanti favorisce il fissaggio delle
sementi al substrato e la formazione di una pellicola antierosiva, di supporto nelle fasi iniziali di germi-
nazione delle sementi. L’impiego della fibra organica (mulch) esalta le funzioni di trattenimento del-
l’umidità e di supporto organico, facilitando la germogliazione dei semi e lo sviluppo delle piante.
Campi di applicazione
Superfici acclivi prive di terreno vegetale, soggette a erosione, talvolta in abbinamento a rivestimenti
vegetativi in rete metallica e stuoie, terre rinforzate verdi, etc.. Scarpate stradali e ferroviarie in trincea,
cave in roccia, discariche di inerti. Scarpate con eccessiva pendenza, zone con prolungati periodi di sic-
cità, pendii soggetti a movimento del terreno.
Materiali
Mezzo meccanico (idroseminatrice), fibra organica (mulch) (300-700 g/mq), concimanti e fertilizzanti,
sementi, collanti a base polimerica, acqua. La composizione della miscela e la quantità di sementi deve
essere scelta in seguito ad un’analisi stazionale, che tenga conto delle caratteristiche pedoclimatiche e
vegetazionali locali.
Foto 7.3: Idrosemina a spessore su terra rinforzata (aprile 2002) Atina (FR) - Foto P. Cornelini
330
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica
7.4 BIOSTUOIE
Descrizione
Stuoie in fibra vegetale (paglia, cocco, miste) o intessute in filo di juta o cocco (di notevole resistenza),
impiegate negli interventi antierosivi di rivestimento di scarpate povere di sotanza organica e soggette a
erosione meteorica. La stuoia viene stesa e fissata al substrato mediante picchetti di varia forma. Viene
normalmente abbinata a semina e messa a dimora di talee e/o arbusti.
Tecnica di esecuzione rapida e semplice, con protezione immediata della superficie. Consente il rinver-
dimento di superfici acclivi, con terreni a scarsa dotazione fisico-organica, adatto su scarpate regolariz-
zate. Il materiale terroso sottostante la stuoia viene trattenuto, impedendone così il trasporto verso valle.
Campi di applicazione
La stuoia in juta risulta idonea su scarpate a bassa pendenza, su rocce sciolte (ghiaie, argille), substrati
denudati o di neoformazione, anche irregolari, possibilmente con substrato terroso in superficie, substra-
ti aridi e a eccessivo drenaggio: l’acqua si infiltra, ma non ristagna e non erode. Le maglie della stuoia
consentono alle piante di crescere, assicurando in tal modo la protezione della superficie una volta che
la stuoia ha subito completa degradazione.
Le stuoie intessute in filo di cocco risultano idonee su scarpate a maggior pendenza su substrati aridi e a
forte drenaggio. Sono altresì idonee su sponde in erosione soggette a periodica sommersione.
Le stuoie proteggono le scarpate dall’erosione meteorica ed eolica, migliorano l’equilibrio idrico e ter-
mico al suolo, apportano sostanza organica. La durata nel tempo è variabile, la fibra di cocco in partico-
lare dura sino a 5 – 6 anni, ma la degradazione finale è completa.
Materiali
Stuoie biodegradabili in fibre organiche di paglia, cocco o mista di peso non inferiore a 250 g/m2, in
genere supportate da una rete fotoossidabile biodegradabile, con maglia minima 1x1 cm, oppure carta
cucita con filo biodegradabile, eventualmente preseminate; stuoie intessute (in genere con fili di juta o
cocco); staffe o picchetti in ferro acciaioso piegati a U o in legno; miscela di sementi (40 g/m2); talee e
arbusti autoctoni.
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Foto 7.4: Biostuoia su argille (ottobre 1996) Anversa degli Abruzzi (AQ) - Foto P. Cornelini
332
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica
Descrizione
Rivestimento di scarpate soggette a erosione superficiale con stuoie tridimensionali, costituite da fila-
menti sintetici aggrovigliati, in modo da trattenere le particelle di materiale inerte terroso. Le stuoie ven-
gono assicurate al terreno mediante l’infissione di picchetti e interrate in solchi appositamente appronta-
ti sia a monte che a valle della scarpata o sponda; i teli adiacenti devono essere sormontati lateralmente
per almeno 10 cm. Le stuoie devono essere abbinate a intasamento con materiale inerte terroso a granu-
lometria fine e a semina o idrosemina. Possono essere abbinate a messa a dimora di talee ed arbusti
autoctoni.
Esecuzione rapida, immediato e duraturo effetto antierosivo superficiale, per il trattenimento del mate-
riale terroso sottostante la stuoia.
Campi di applicazione
Rivestimento di scarpate regolarizzate, prive di asperità e con scarsità di terreno vegetale. Sponde di
canali e, in genere, zone a contatto costante con acqua.
Materiali
Geostuoia sintetica tridimensionale in nylon, polipropilene, polietilene e polietilene ad alta densità, di
spessore min. 10 mm, annerita al nero fumo per attenuare l’aggressione da parte dei raggi UV; picchetti
in ferro o staffe metalliche ø min. 8 mm; inerte terroso; sementi (40 g/mq) e arbusti o talee.
333
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Descrizione
Rivestimento in stuoia tridimensionale con spessore minimo 18 mm costituita da filamenti sintetici
aggrovigliati in modo da trattenere le particelle di materiale inerte terroso o ghiaino: a) prebitumata indu-
strialmente a caldo: impiegata in prevalenza per il rivestimento di sponde normalmente a contatto con
l’acqua corrente; b) bitumata a freddo in posto: impiegata per il rivestimento di scarpate frequentemen-
te a contatto con l’acqua corrente. La stuoia viene assicurata al terreno mediante infissione di picchetti,
con sormonti laterali di almeno 10 cm e interrata in solchi appositamente approntati a monte. Il piede
della sponda può essere fissato in analogia o, se lavorato in presenza d’acqua, fissato mediante posa di
pietrame. La stuoia deve essere anche abbinata ad una semina da effettuarsi sia prima della posa della
stuoia che sopra la stessa. Normalmente non vengono messe a dimora talee ed arbusti, almeno sulle
superfici dove si prevede il libero scorrimento dell’acqua. Spesso la stuoia prebitumata viene posata sul
fondo di canali le cui sponde sono rivestite con altra stuoia. Lungo sponde di corsi d’acqua e canali è
necessario che la posa in opera avvenga procedendo nel senso contrario alla corrente (in tal modo i sor-
monti sono automaticamente posizionati ad evitare infiltrazioni d’acqua tra una stuoia e l’altra).
Campi di applicazione
a) Rivestimento di fondi di canali e di superfici spondali regolarizzate, a contatto permanente con l’ac-
qua (sponde o argini di canali con problemi di erosione), con effetto antierosivo immediato e permanen-
te, anche se di un certo impatto iniziale visivo (la bitumatura e il ghiaino scompaiono dopo qualche
anno).
b) Rivestimento di canalette di scorrimento, fossi di infiltrazione, scarpate molto regolari a bassa pen-
denza, zone costiere a bassa pendenza e granulometria fine, soggette a frequenti sommersioni.
Materiali
a) Geostuoia tridimensionale prebitumata in nylon, spessore minimo 18 mm, resistenza a trazione non
inferiore a 2,5 kN/m, temperatura di fusione non inferiore a 215 °C, intasata industrialmente a caldo con
una miscela permeabile di pietrisco/bitume/additivi; staffe metalliche ø min. 8 mm; miscela di sementi
(40 g/mq); pietrame.
b) Geostuoia tridimensionale in materiale sintetico: nylon, polipropilene, polietilene, polietilene ad alta
densità, annerita al nero fumo per attenuare l’aggressione da parte dei raggi UV, spessore minimo 18 mm,
resistenza alla trazione non inferiore a 2,0 kN/m, grado di vuoto non inferiore al 90%; ghiaino per inta-
samento; staffe metalliche ø min. 8 mm; miscela di sementi (40 g/mq); emulsione idrobituminosa a fred-
do; talee; arbusti autoctoni.
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Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica
Foto 7.6: Stuoie sintetiche bitumate (aprile 1992) F. Zero (TV) - Foto P. Cornelini
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica
Descrizione
Copertura di scarpate soggette a erosione mediante la stesura di biostuoie o stuoie sintetiche tridimensio-
nali, spessore min. 10 mm, sormontati da una rete metallica a doppia torsione zincata e plastificata. Rete
e stuoie vengono fissati al terreno mediante picchetti o barre metalliche, legati a monte e a valle con una
fune di acciaio. Nel caso di versanti molto ripidi e particolarmente friabili, tutti i picchetti della superfi-
cie vengono collegati mediante fune d’acciaio per migliorare l’aderenza al substrato. La quantità di pic-
chetti per mq dovrà essere valutata in base alla pendenza della scarpata e comunque in quantità non infe-
riori a 1-2 picchetti per mq.
L’abbinamento rete metallica-biostuoia può essere utilizzato per realizzare canalette di scorrimento in
analogia con le geostuoie tridimensionali bitumate in loco. L’abbinamento con la stuoia organica non è
invece proponibile su sponde soggette a frequente sommersione per le quali viene impiegata la stuoia
sintetica.
Il rivestimento viene abbinato a idrosemina a spessore e messa a dimora di arbusti autoctoni e, nelle sta-
zioni ecologicamente favorevoli, di talee di specie con capacità di propagazione vegetativa.
Campi di applicazione
Versanti in roccia ripidi o in roccia friabile con terreni poco evoluti. Scarpate stradali e ferroviarie con
pendenza > 40°, in scavo in roccia sciolta o solidale, ma comunque friabile (arenarie, marne, argille, etc).
Gli interventi su roccia friabile e sino a 40° consentono, oltre alle semine nelle stagioni ecologicamente
favorevoli, la messa a dimora di talee e piante radicate.
Gli interventi su rocce compatte consentono il solo impiego di idrosemine.
Le geostuoie vengono impiegate per superfici in erosione, su rocce friabili con venute d’acqua e penden-
ze elevate.
Materiali
Biostuoia (anche preseminata) o geostuoia tridimensionale (di min. 10 mm di spessore e massa areica
minima pari a 750 g/mq picchetti o barre in acciaio (di dimensioni dipendenti dal tipo di substrato); rete
metallica a doppia torsione zincata e plastificata di maglia minima 6 x 8 cm e filo di diametro minimo
2,2 mm; fune di acciaio; idrosemina a spessore; arbusti autoctoni e/o talee.
337
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Foto 7.7: Rivestimento vegetativo su scarpata in argille (marzo 2002) Bagnoregio (VT) - Foto P. Cornelini
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Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Interventi stabilizzanti
7.8 MESSA A DIMORA DI TALEE
Descrizione
Infissione di talee legnose e/o ramaglie di specie vegetali con capacità di propagazione vegetativa nel ter-
reno o nelle fessure tra massi, inserimento in palificate vive, gabbioni e terre rinforzate. E’ classico l’im-
piego dei salici, ma anche di altre specie quali il ligustro e le tamerici (queste ultime resistenti a condi-
zioni alterne di forte aridità e presenza di sali nel terreno). La densità di impianto aumenta all’aumenta-
re della pendenza del terreno: da 2-5 talee/mq a 5-10 talee/mq. L’effetto stabilizzante/consolidante in
profondità aumenta con la lunghezza della parte infissa delle talee. La stabilità della scarpata e il conso-
lidamento superficiale del terreno sono limitati sino allo sviluppo di un adeguato apparato radicale.
Vanno eseguite saltuarie potature di irrobustimento e sfoltimento per evitare popolamenti monospecifici.
L’effetto di drenaggio (i salici sono delle vere e proprie “pompe dell’acqua”) è dovuto ad assorbimento
e traspirazione del materiale vivo impiegato.
Le ramaglie devono essere raccolte ed impiegate rapidamente. La conservazione per periodi più lunghi
può essere effettuata in celle frigorifere a basse temperature (4-5 °C) e 90% di umidità o sommerse in
vasche di acqua fredda.
Campi di applicazione
Superfici di neoformazione, scarpate a pendenza limitata; interstizi e fessure di scogliere, muri, gabbio-
nate, terre rinforzate; come picchetti vivi nella posa di reti, stuoie, fascinate, viminate. L’azione è inizial-
mente puntuale, ma estesa e coprente dopo lo sviluppo (6 mesi ÷ 1-2 anni).
Trovano vasta applicabilità, con esclusione di substrati litoidi e particolarmente aridi: le varie specie di
salici coprono una vasta gamma di ambienti dal livello del mare sino ai 2000 m s.l.m. ed oltre, ma temo-
no le condizioni di forte aridità dei climi stenomediterranei, la salinità del substrato (vicinanza al mare,
terreni calanchivi), l’eccesso di ombreggiamento; le tamerici resistono a tali condizioni ma non sono
impiegabili a quote superiori ai 4-500 m s.l.m.
Materiali
Infissione nel terreno: getti non ramificati, di 2 o più anni, ø 2 ÷ 5 cm, L = 0,50 ÷ 0,80 m, di piante legno-
se, in genere arbustive, con capacità di propagazione vegetativa; inserimento in fase di costruzione: rama-
glie vive di L 1÷5 m e diam. 1-5 cm
340
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica
Foto 7.8.1: Talea di Atriplex halimus su terra rinforzata (maggio 1999) Bernalda (MT) - Foto A. Trivisani
Foto 7.8.2: Talea di oleandro (luglio 2001) Bernalda (MT) - Foto A. Trivisani
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
342
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica
Descrizione
Messa a dimora di giovani arbusti autoctoni in zolla, in vasetto o fitocella (di produzione vivaistica) in
buche appositamente predisposte e di dimensioni opportune ad accogliere l’intera zolla o tutto il volume
radicale della pianta. La piantagione deve avvenire secondo un sesto d’impianto irregolare e con specie
diverse disposte a mosaico. Per i primi anni le piante devono essere dotate di palo tutore, pacciamatura
alla base per ridurre la concorrenza con le specie erbacee e cilindro in rete per protezione dalla fauna. Il
trapianto a radice nuda, molto usato nell’Europa centrale ed anche nelle zone alpine italiane, è poco pro-
ponibile nelle regioni meridionali. La stabilizzazione del terreno è limitata sino allo sviluppo di un ade-
guato apparato radicale e, quindi, tale condizione deve inizialmente essere garantita da altro materiale.
Campi di applicazione
Superfici a bassa pendenza, preferibilmente con presenza di suolo organico. Nei terreni privi di tale
sostanza è opportuno preparare delle buche nel substrato e riempirle con una certa quantità di terreno
vegetale, fibra organica e fertilizzanti atti a garantire l’attecchimento delle piante; in tali terreni sarà
comunque da preferire la scelta di piante a comportamento pioniero degli stadi corrispondenti della serie
dinamica potenziale naturale del sito.
Materiali
Arbusti da vivaio in contenitore; altezza compresa tra 0,30 e 0,80 m; dischi pacciamanti, o strato di cor-
teccia di pino; pali tutori; reti di protezione antifauna.
Foto 7.9: Arbusti mediterranei (aprile 2002) Castel del Monte (BA) - Foto P. Cornelini
343
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
344
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica
Descrizione
Messa a dimora di giovani alberi autoctoni in zolla, in vasetto o in fitocella (di produzione vivaistica) in
buche appositamente predisposte e di dimensioni opportune ad accogliere l’intera zolla o tutto il volume
radicale della pianta. La piantagione deve avvenire secondo un sesto d’impianto irregolare e con specie
diverse disposte a mosaico. Per i primi anni le piante devono essere dotate di palo tutore, pacciamatura
alla base per ridurre la concorrenza con le specie erbacee e cilindro in rete per protezione dalla fauna. Il
trapianto a radice nuda, molto usato nell’Europa centrale ed anche nelle zone alpine italiane è poco pro-
ponibile nelle regioni meridionali.
La stabilizzazione del terreno è limitata sino allo sviluppo di un adeguato apparato radicale e quindi tale
condizione deve inizialmente essere garantita da altro materiale. Con il tempo si forma un robusto reti-
colo radicale e una copertura vegetale di protezione dall’erosione. Aumenta la biodiversità, grazie anche
all’instaurarsi di un ambiente idoneo ad ospitare numerose specie animali.
Campi di applicazione
Superfici a bassa pendenza con presenza di suolo organico. Nei terreni privi di tale sostanza è opportu-
no preparare delle buche nel substrato e riempirle con una certa quantità di terreno vegetale, fibra orga-
nica e fertilizzanti atti a garantire l’attecchimento delle piante; in tali terreni sarà comunque da preferire
la scelta di piante a comportamento pioniero degli stadi corrispondenti della serie dinamica potenziale
naturale del sito.
Gli alberi sono anche da abbinare con le stuoie e rivestimenti vari, mentre non vanno assolutamente abbi-
nati a grate e palificate, terre rinforzate etc. per ovvi motivi di incompatibilità nello stadio adulto con tali
strutture.
Materiali
Alberi da vivaio in contenitore; altezza compresa tra 0,50 e 2 m; dischi pacciamanti, o strato di cortec-
cia di pino; pali tutori; reti di protezione antifauna.
Foto 7.10: Piantagione di alberi nei reliquati della linea ferroviaria DD RM-FI (dicembre 1990) - Foto P.
Cornelini
345
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
346
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica
Descrizione
Sulla superficie di una sponda viene stesa ramaglia viva di specie vegetali con capacità di propagazione
vegetativa (salici, tamerici), con disposizione perpendicolare alla direzione del flusso d’acqua e fissata al
substrato mediante tondame o filo di ferro teso tra picchetti e paletti vivi e/o morti. La base della rama-
glia viene conficcata nel terreno umido o a contatto con l’acqua. Le eventuali file si devono sormontare
parzialmente. La ramaglia viene coperta con un sottile strato di terreno. Nella variante armata la base
viene protetta con massi da scogliera, tronchi o fascine.
Gli strati di ramaglia coprono la superficie della sponda proteggendola, sin dalla messa in opera, dall’ero-
sione esercitata dal movimento dell’acqua; la resistenza alle sollecitazioni aumenta progressivamente
con lo sviluppo del fitto reticolo di radici.
Campi di applicazione
Sponde di corsi d’acqua dove necessiti una protezione continua ed elastica della sponda. Sono da esclu-
dere i corsi d’acqua con velocità della corrente e trasporto solido notevoli.
Materiali
Ramaglia viva, verghe o astoni di specie con capacità di propagazione vegetativa, di lunghezza mai infe-
riore a 1,5 m e dal portamento dritto; picchetti e tondame in legno di castagno ø 8 - 12 cm, L = 80 cm;
filo di ferro cotto ø 2-3 mm; terreno per la copertura.
Per l’armatura verranno utilizzate in alternativa: a) fascine vive o morte; b) tronchi e chiodature metalli-
che; c) massi; d) massi legati con fune in acciaio.
Foto 7.11: Copertura diffusa (aprile 1997) Rio Tarugo (PU) - Foto P. Cornelini
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
348
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica
Descrizione
Tecnica utilizzata per la propagazione delle specie di difficile reperimento in commercio e di difficile
propagazione per seme. I trapianti si dividono in due categorie fondamentali: 1) trapianti di piante erba-
cee come Phragmites australis e Typha sp. in zone palustri, graminacee selvatiche di vari generi in zone
montane, associazioni vegetali non riproducibili artificialmente; 2) trapianti di ceppaie di specie arbusti-
ve/alto arbustive. Nel primo caso si possono distinguere: a) rizomi e cespi: vengono prelevati in pezzi di
alcuni centimetri, posti a dimora sul terreno e ricoperti con uno strato leggero di terreno, onde evitarne
il disseccamento; b) zolle erbose: prelievo di zolle di prato polifita naturale e successivo reimpianto con
disposizione a scacchiera o a strisce; c) trapianto di singole piante. Lo spazio tra una zolla e l’altra viene
ricoperto con terreno vegetale e seminato. Nei casi di sollecitazioni particolari e instabilità del terreno,
le zolle vengono assicurate con picchetti di ferro o legno o con reti metalliche o sintetiche. Si ottiene una
immediata copertura vegetale, con radicazione delle zolle entro pochi giorni.
Campi di applicazione
Prevalentemente su aree caratterizzate da scarsa vegetazione con necessità di riprodurre formazioni natu-
rali con specie non reperibili in commercio. Scarpate stradali o ferroviarie di neoformazione, in rilevato
o in trincee a bassa pendenza. Zone minerarie o di cava. Rivestimento biotecnico di fossi di guardia o
canalette. Piste da sci. Stazioni di alta montagna, dove il periodo vegetativo è più breve.
Le superfici da rivestire non devono comunque avere pendenze elevate e non deve essere presente movi-
mento del corpo terroso.
I rizomi possono essere impiegati nelle paludi costiere salmastre e in ambienti igrofili, con ristagni d’ac-
qua per periodi brevi, substrati non drenanti.
Materiali
Zolle erbose di prato polifita naturale; picchetti di ferro o legno L = 30 - 50 cm; terreno vegetale e semina;
rizomi di specie vegetali adatte (Phragmites australis, Phalaris arundinacea);
pani di terra di canneto (Phragmites australis);
singole piante o cespi di erbe graminoidi e non, che sviluppano più cauli (quindi possono essere suddi-
vise in più pezzi) (Ampelodesmos mauritanicus, Oryzopsis miliacea, Carex pendula);
ceppaie di arbusti
Foto 7.12: Trapianto di ecocelle (ottobre 2002) Piana della Lacina (VV) - Foto P. Cornelini
349
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
350
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica
Descrizione
Intreccio di verghe di specie legnose con capacità di propagazione vegetativa, attorno a paletti in legno.
Si ottiene una rapida stabilizzazione sino a 25-30 cm di profondità e immediato contenimento del mate-
riale. E’ una tecnica adattabile alla morfologia della scarpata. La sua esecuzione richiede notevole mano
d’opera e non sempre sono reperibili, per l’intreccio, verghe lunghe ed elastiche in quantità sufficiente.
La stabilizzazione è immediata per gli strati superficiali di terreno e si ha un miglioramento quando le
verghe emettono radici, anche se la radicazione è modesta rispetto alle quantità di materiale utilizzato.
Spesso può accadere che i paletti vengano spezzati per un eccesso di carico da monte o a causa dei sassi che
precipitano dall’alto. In tal caso si rendono necessarie opere manutentive e la sostituzione dei paletti spezzati.
L’effetto stabilizzante si ha solamente nel caso di viminate interrate e seminterrate, nelle quali sono ridot-
ti i fenomeni di sottoescavazione e scalzamento.
Campi di applicazione
Scarpate con inclinazione massima 40° e soggette a movimento superficiale del terreno o a modesti fra-
namenti.
Sponde di corsi d’acqua a velocità della corrente medio-bassa e trasporto solido ridotto. Non è una tec-
nica utilizzabile in corsi d’acqua ad elevata energia.
Tecnica utilizzabile su terreni sassosi o rocciosi se abbinata a riporti di terreno.
Materiali
Verghe elastiche di specie legnose, adatte all’intreccio e con capacità di propagazione vegetativa (salici,
tamerici), poco ramificate, L min. 1,50 m e ø alla base non inferiore ai 2 – 4 cm; paletti in legno di conifere
o castagno ø 5 ÷ 8 cm, L = 1,00 ÷ 1,50 m; picchetti di ferro ø 14 ÷ 16 mm, L 50 cm ÷ 1m; filo di ferro cotto.
Foto 7.13: Viminata viva seminterrata (ottobre 1996) Anversa degli Abruzzi (AQ) - Foto P. Cornelini
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
352
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica
Descrizione
Messa a dimora, all’interno di gradoncini o terrazzamenti scavati a file parallele su pendii, di ramaglia
di piante legnose con capacità di riproduzione vegetativa (salici, tamerici, etc.) e/o arbusti radicati autoc-
toni e successiva copertura con il materiale proveniente dagli scavi superiori. Si ottiene una radicazione
profonda con effetto di drenaggio; viene impedita sia l’erosione sia il movimento del terreno; il ruscel-
lamento superficiale viene rallentato.
La messa a dimora di latifoglie radicate tra le file consente di raggiungere più rapidamente uno stadio
evoluto della serie della vegetazione potenziale.
La tecnica risulta costosa per l’elevato fabbisogno di materiale vegetale.
Nel caso del rilevato la messa a dimora delle piante contemporaneamente alla formazione del rilevato a
strati determina un effetto simile a quello delle terre rinforzate, per il consolidamento in profondità.
Campi di applicazione
Pendii incoerenti, frane superficiali, rilevati in fase di esecuzione.
Stabilizzazione di frane in materiale morenico o alluvionale, con inclinazione del versante massima di 40°.
Materiali
Rami o verghe o astoni di specie con capacità di riproduzione vegetativa; arbusti radicati.
Foto 7.14: Gradonata viva (giugno 2003) Faicchio (BN) - Foto A. Bruzzese M. Alliegro
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Gradonata viva
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Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica
Descrizione
All’interno di uno scavo vengono messe a dimora talee e ramaglia di salici, in appoggio su un tronco,
posto sul margine esterno dello scavo. Parallelo al primo tronco è posto entro lo scavo stesso un secon-
do tronco, di rinforzo alla struttura. Paleria, ramaglia e reticolo radicale determinano una sorta di rinfor-
zo del terreno, garantendone in tal modo il consolidamento. Per la grande quantità di materiale necessa-
rio e per le difficoltà di esecuzione la tecnica risulta costosa.
In terreni umidi la cordonata ha un effetto drenante e di rinforzo grazie alla ramaglia e alla paleria; in
zone aride può consentire il ristagno dell’acqua.
Campi di applicazione
Stabilizzazione di terreni instabili, sia umidi (con ristagno di acqua), argillosi o limosi, sia aridi, di rile-
vati e di scarpate di riporto in erosione.
Non è una tecnica adatta per le scarpate con roccia affiorante e pendenze eccessive.
Materiali
Tronchi di resinosa o castagno ø 6÷14 cm; picchetti in ferro o legno; ramaglia viva e talee legnose di sali-
ci L > 60 cm, ø 3-8 cm; terreno vegetale.
Foto 7.15: Realizzazione di cordonata viva Praxl (ottobre 1996) M. Aquilone (RI) - Foto P. Cornelini
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Cordonata Praxl
356
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica
Descrizione
Messa a dimora di fascine vive di specie legnose con capacità di propagazione vegetativa (verghe legate
assieme con filo di ferro) all’interno di un solco: a) su versante: assicurate con picchetti battuti attraver-
so le fascine o di fronte ad esse;
b) su sponda: infissione dei picchetti in legno con orientazione alternata, per rendere così la struttura più
elastica e solidale in caso di piena La realizzazione di fascine spondali determina un restringimento del-
l’alveo; è necessario quindi prevedere lo spazio necessario per il regolare deflusso delle acque.
La stabilizzazione è rapida e di facile esecuzione. I costi sono contenuti anche per lo scarso movimento
di terra. Tuttavia l’effetto in profondità è limitato e le fascine sono sensibili alla caduta sassi. I rami più
esterni sono soggetti ad abrasione. Sui pendii funge da dreno biotecnico e facilita lo sgrondo delle acque.
c) morta: lungo sponde di corsi d’acqua a bassa velocità dell’acqua e limitato trasporto solido, vengono
poste fascine morte di specie legnose, disposte longitudinalmente sulla sponda al di sotto del livello
medio dell’acqua. Si ottiene una protezione immediata del piede della sponda in poco spazio e con impie-
go limitato di materiale. Eseguibile in qualsiasi momento dell’anno, funge anche da riparo per piccoli
animali acquatici. Usualmente questa tipologia non viene applicata quale unica soluzione di intervento,
ma abbinata ad altre tecniche che prevedono l’impiego di materiale vivo. La fascinata morta risulta per-
tanto un ulteriore protezione di base per altre tecniche di ingegneria naturalistica.
Campi di applicazione
Pendii con pendenza non superiore ai 35°, con necessità di drenaggio biotecnico, scarpate stradali e fer-
roviarie, scarpate di discarica.
Corsi d’acqua a energia media con portate e livello medio relativamente costanti.
Materiali
a) e b) verghe di specie legnose con capacità di propagazione vegetativa (salici, tamerici) ø min. 1 cm e
L min. 2.00 m; filo di ferro; paletti di legno ø 5 cm o picchetti in ferro ø 8÷14 mm e L min. 60 cm; ter-
reno di riporto.
c) verghe morte di specie legnose ø min. 2 cm e L min. 2,00 m; paletti di legno ø 5 cm o picchetti in ferro
ø 8÷14 mm e L min. 60 cm; pietrame.
Foto 7.16: Fascinata viva spondale (aprile 2000) Rio Inferno (FR) - Foto P. Cornelini
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
358
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica
Descrizione
Intervento per la stabilizzazione di scarpate consistente nella realizzazione di strutture in legname tra-
sversali alla linea di massima pendenza, composte da due file sovrapposte di tronchi fissati con picchet-
ti in ferro, messa a dimora di talee tra i due tronchi e messa a dimora di arbusti a monte nel gradone otte-
nuto. Tale intervento è caratterizzato da una ampia valenza applicativa, limitatamente alla stabilizzazio-
ne superficiale di scarpate.
Campi di applicazione
Scarpate in scavo, consolidamento di solchi di erosione, stabilizzazione superficiale di rilevati e/o accu-
muli di materiale sciolto, versanti percorsi da incendi, etc.
Materiali
Tronchi di castagno o conifere scortecciati ø 15 ÷ 25 cm, L = 2,00 ÷ 5,00 m; picchetti in ferro ø 14 (16)
mm, L 40 ÷ 100 cm; talee legnose; arbusti autoctoni, inerte; sementi autoctone.
Foto 7.17: Palizzate vive in corso di realizzazione (ottobre 2003) Pizzoli (AQ) - Foto P. Cornelini
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Palizzata viva
360
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica
Interventi di consolidamento
7.18 GRATA VIVA
Descrizione
Struttura in tondame ottenuta mediante la posa di tronchi verticali e orizzontali disposti perpendicolar-
mente tra loro, questi ultimi sovrapposti a quelli verticali e chiodati ad essi. All’interno delle camere così
ottenute, vengono poste in corso d’opera talee di salici e/o arbusti radicati (talvolta supportati da pezzi
di rete elettrosaldata) e il tutto viene ricoperto con inerte terroso locale. Una grata di piccole dimensioni
può essere eseguita anche con l’impiego di astoni vivi.
La stabilizzazione è immediata grazie all’armatura di legno e l’effetto aumenta con la radicazione delle
specie vegetali, che svolgono anche un’azione drenante.
Il legno col tempo marcisce, per cui, oltre a buone chiodature, è necessario che le piante inserite nella
struttura siano vitali e radichino in profondità, così da sostituire la funzione di sostegno e consolidamen-
to della scarpata una volta che il legno abbia perso le sue funzioni.
Campi di applicazione
Ricostruzione del profilo di smottamenti con pendenze tra 45° e 55° che non possono essere ridotte; scar-
pate di infrastrutture viarie.
Materiali
Tronchi di castagno o conifere scortecciati ø 15 ÷ 25 cm, L = 2,00 ÷ 5,00 m; picchetti in ferro ø 14 (16)
mm, L = 40 ÷ 100 cm; talee legnose di salici L min. 1,00 m; inerte; sementi idonee; arbusti autoctoni;
rete elettrosaldata di contenimento dell’inerte tra le camere.
Foto 7.18: Grata viva (aprile 2002) M. Vulture (PZ) - Foto P. Cornelini
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
362
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica
Descrizione
Struttura in legname costituita da un’incastellatura di tronchi a formare camere nelle quali vengono
inserite piante e/o fascine di specie con capacità di propagazione vegetativa. L’opera, posta alla base
di un pendio o di una sponda, è completata dal riempimento con materiale terroso inerte e pietrame
nella parte sotto il livello medio dell’acqua. Il pietrame e le fascine poste a chiudere le celle verso
l’esterno garantiscono la struttura dagli svuotamenti. Le talee inserite in profondità sono necessarie
per garantire l’attecchimento delle piante che negli ambienti mediterranei soffrono per le condizioni
di aridità. L’effetto consolidante è notevole, è legato inizialmente alla durata del legname e viene sosti-
tuito nel tempo dallo sviluppo delle redici delle piante. In tal senso sono consigliabili altezze della
struttura inferiori a 2,5 m.
Il consolidamento è rapido e robusto, con un effetto visivo immediatamente gradevole e di grande effet-
to paesaggistico, legato al rapido sviluppo delle ramaglie.
Il legno col tempo marcisce, per cui oltre a buone chiodature, è necessario che le piante inserite nella
struttura siano vitali e radichino in profondità, così da sostituire, come detto, la funzione di sostegno e
consolidamento della scarpata, una volta che il legno si deteriora.
Campi di applicazione
Consolidamento di pendii e scarpate franosi; al piede di scarpate stradali o ferroviarie; sponde flu-
viali soggette ad erosione di corsi d’acqua ad energia medio – alta con trasporto solido, anche di
medie dimensioni. La variante a una parete è preferibile in situazioni di spazio o di possibilità di
scavo limitati.
Materiali
Tronchi di castagno o resinosa scortecciati ø 20 ÷ 30 cm; chiodature metalliche ø 12 ÷ 14 mm; talee
e ramaglie (da abbinare a fascine vive di salice ø 25 ÷ 30 cm e fascine morte ø 25 ÷ 30 cm nel caso
di palificata spondale); inerte terroso e pietrame (nella palificata spondale); arbusti autoctoni.
Foto 7.19: Lavori di realizzazione di palificata viva doppia (marzo 2004) Vieste (FG) - Foto C. Bonelli
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica
Descrizione
Struttura in legname costituita da un’incastellatura di tronchi a formare camere nelle quali vengono inse-
rite talee di salici o tamerici e/o arbusti radicati autoctoni. L’opera, posta alla base della scarpata o della
sponda, è completata dal riempimento con materiale terroso, che si arricchisce di pietrame nella parte
sotto il livello medio. Sul fronte, che dovrà avere una pendenza massima di 65° per consentire la cresci-
ta delle piante, è possibile inserire biostuoie o geotessili per il contenimento del materiale più fine.
Qualora la palificata funga da difesa spondale, al piede della stessa verrà collocata una fila di massi, lega-
ti con fune di acciaio e profilati metallici.
Le talee dovranno avere una lunghezza superiore allo spessore dell’opera fino a toccare il terreno retro-
stante e in tal modo radicare, mentre nella parte frontale dovranno sporgere per 10 cm circa.
Data la particolarità costruttiva, la palificata Roma ha un campo ottimale di realizzazione per altezze da
1, 8 a 2,2 m. Rispetto alla tradizionale palificata doppia presenta un risparmio di legname e chiodature.
Il legno col tempo marcisce, per cui oltre a buone chiodature, è necessario che le talee e le piante radi-
cate inserite nella struttura siano vive e radichino in profondità, così da sostituire la funzione di sostegno
e consolidamento della scarpata, una volta che il legno abbia perso le sue funzioni.
Il consolidamento della scarpata è immediato. La struttura in ambito fluviale funge anche da microhabi-
tat (riparo e tane per piccoli animali e pesci).
Campi di applicazione
Scarpate stradali, piede di versanti instabili.
Sponde fluviali soggette ad erosione in corsi d’acqua a media energia con trasporto solido di dimensio-
ni medie.
Materiali
Tronchi di castagno o resinosa scortecciati ø 20 ÷ 25 cm; chiodature in acciaio a.m ø 12 ÷ 14 mm e barre
in acciaio filettato con dadi e rondelle ø 12 ÷ 14 mm; rete metallica a doppia torsione zincata e plastifi-
cata a maglia 6x8 cm; talee L = 2-3 m e ø 2÷5 cm e arbusti radicati autoctoni; inerte terroso. In ambito
fluviale si utilizzano anche fascine vive di salice ø 25 ÷ 30 cm e pietrame.
Foto 7.20: Palificata Roma (giugno 2003) Acqualagna (PU) - Foto P. Cornelini
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Fasi di montaggio
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Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Descrizione
Tecnica adatta sia per sistemazioni lineari che per sistemazioni puntiformi, costituita da gabbioni in rete
metallica zincata a doppia torsione e maglia esagonale, riempiti in loco con pietrisco di pezzatura mini-
ma 15 cm, disposti a file parallele sovrapposte. All’interno dei gabbioni vengono inserite talee di salice
o tamerice con disposizione irregolare o a file nella prima maglia del gabbione superiore (non tra un gab-
bione e l’altro). Per evitare erosione al piede di sponda, prima della posa dei gabbioni viene predisposta
una idonea fondazione prolungata verso il centro alveo (materasso). Struttura di sostegno elastica, molto
adatta per sistemazioni in condizioni di forte pendenza e in spazi limitati; l’uso dei ciottoli locali garan-
tisce una coerenza visuale della struttura con la litologia locale; nell’arco di 1 – 2 anni le radici dei sali-
ci o tamerici aumentano la stabilità della struttura stessa che viene anche mascherata dallo sviluppo delle
parti aeree. Nel loro impiego combinato con piante vive si prestano a varie applicazioni dell’ingegneria
naturalistica che sono suscettibili di ulteriori evoluzioni data l’adattabilità dei materiali. Già il loro uso
tradizionale presenta notevole plasticità, dando adito nel tempo a processi di rinaturazione spontanea.
Possono svolgere funzione di protezione rispetto all’erosione fluviale ed, al contempo, sostegno della
sponda in caso di instabilità gravitativa. Sono strutture permeabili che non ostacolano la filtrazione del-
l’acqua da e verso le sponde. Vanno utilizzate verificandone la stabilità rispetto alle tensioni di trascina-
mento dovute all’azione dell’acqua. In genere se ne sconsiglia l’uso in presenza di trasporto solido inten-
so caratterizzato da materiale di grosse dimensioni. Vengono impiegate per costruire strutture di soste-
gno a gravità caratterizzate da una elevata flessibilità e permeabilità. Vanno dimensionati come opere di
sostegno eseguendo le opportune verifiche di stabilità. L’esecuzione è rapida e semplice, con effetto con-
tenitivo immediato. La realizzazione è preferibile in zone con disponibilità di materiale lapideo.
Campi di applicazione
Difesa longitudinale e/o trasversale di corsi d’acqua; piede di pendii umidi e instabili; versanti in erosio-
ne; briglie in golene allagate occasionalmente; sistemi di fitodepurazione; difesa e sostegno di sponde
lacustri; ricostruzione e/o sostituzione di muri di sostegno in calcestruzzo in terreni instabili.
Materiali
Ciottoli di fiume ø 15÷30 cm o pietrame; scatolare in filo di acciaio zincato (e plastificato se a contatto
con l’acqua), maglia tipo 8 x 10 a doppia torsione; filo di ferro zincato ø 2,2 mm o punti metallici mec-
canizzati in acciaio ø 3,0 mm; talee di salice o tamerice di lunghezza tale da toccare il terreno naturale
dietro il gabbione, almeno 1,5 – 2 m e ø min. 2 cm.
Foto 7.21: Gabbionata rinverdita (marzo 2000) Rio Valleluce (FR) - Foto P. Cornelini
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Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Descrizione
Moduli prefabbricati in rete metallica zincata, con spessore di 20 - 30 cm, rivestiti nella parte superiore
con geostuoia o biofeltri, riempiti con materiale inerte e assemblati con punti metallici in acciaio zinca-
to in modo tale da costituire una struttura monolitica. Alcuni moduli non soggetti a sommersione posso-
no essere riempiti con terreno vegetale e possono essere effettuate sulla superficie la semina e la messa
a dimora di talee, rizomi, cespi e arbusti radicati di specie autoctone, previo taglio di alcune maglie della
rete. Le talee, inserite in preferenza in concomitanza di substrati in roccia sciolta (ghiaie, sabbie), devo-
no avere una lunghezza tale da passare attraverso l’intera struttura ed inserirsi nel terreno retrostante, in
modo tale che venga assicurata la radicazione in profondità.
La realizzazione si basa sulla disponibilità in loco di idoneo materiale lapideo per i riempimenti (l’uso
di materiale litoide alloctono incrementa i costi e non è coerente con il principio dell’impiego di risorsa
locale con l’effetto paesaggistico).
I materassi hanno un’elevata durata temporale, si adattano alla morfologia di sponde, alvei, scarpate e
vengono in tempi brevi rivegetati e riassorbiti nelle morfologie che diventano naturaliformi. Sono strut-
ture permeabili che non ostacolano la filtrazione dell’acqua da e verso le sponde. Vanno utilizzate veri-
ficandone la stabilità rispetto alle tensioni di trascinamento dovute all’azione dell’acqua; la resistenza
dipenderà dalla presenza della rete metallica e dalla pezzatura del materiale di riempimento.
Campi di applicazione
Possono essere impiegati anche per il rinverdimento di scarpate e sponde in roccia sino a 45-50° di pen-
denza, salvo opportune chiodature di fissaggio.
Sponde di fiumi e canali con energia idraulica significativa, ma comunque velocità della corrente infe-
riore a 6 m/sec e diametro di trasporto solido inferiore a 20 cm.
Materiali
Moduli prefabbricati in rete metallica zincata con maglia tipo 6 x 8, filo ø 2,2 mm, eventualmente pla-
stificato (larghezza minima 1 m e spessore di 20-30 cm), all’interno foderati con stuoie sintetiche (nelle
parti sommerse) o in fibra vegetale, con funzione di filtro e ritenzione di fini. Filo di ferro zincato ø 2.0
mm o punti metallici meccanizzati in acciaio ø 3.0 mm. Materiale di riempimento: inerte misto a terre-
no vegetale. Geostuoia tridimensionale o biostuoia per il controllo dell’erosione superficiale. Miscela di
sementi per idrosemina. Talee di salici, tamerici, etc. Specie arbustive autoctone.
Barre metalliche di lunghezza e diametro dipendenti dalla condizione del substrato per ancorare la strut-
tura su pendii a forte inclinazione (40-50°).
Foto 7.22: Materasso rinverdito con talee di tamerici (giugno 2001) T. Arrone (VT) - Foto P. Cornelini
370
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Descrizione
Difesa longitudinale per il consolidamento e contro l’erosione delle sponde, realizzata con l’impiego di
grossi massi disposti irregolarmente lungo la scarpata dal basso verso l’alto e contemporanea messa a
dimora di talee di salice inserite nelle fessure tra i massi stessi. Si ottiene una protezione immediata della
sponda, che va aumentando con lo svilupparsi dell’apparato radicale delle talee. L’aspetto risulta coeren-
te solo in morfologie rocciose montane, mentre risulta molto visibile in morfologie a litologie sciolte
(ghiaie, argille, sabbie).
L’opera risulta massiccia con effetto protettivo immediato; l’inserimento delle talee dovrà avvenire pre-
feribilmente durante la fase di costruzione, con l’attraversamento dell’intera struttura, fino a toccare il
terreno retrostante.
Nei regimi torrentizi le scogliere sono soggette a sottoescavazioni. Si riscontra un’elevata percentuale di
fallanze nelle talee inserite a posteriori.
Campi di applicazione
Sponde di corsi d’acqua con notevole trasporto solido e alta velocità della corrente.
Materiali
Massi ciclopici di ø 0,5-1,0 m; talee di salice di lunghezza min. 1,0 m; inerte terroso per l’intasamento
delle fughe.
Foto 7.23: Scogliera rinverdita (aprile 2000) Rio Inferno (FR) - Foto P. Cornelini
372
Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica
Scogliera rinverdita
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Descrizione
Opera di sostegno realizzata mediante l’abbinamento di materiali di rinforzo in reti sintetiche o metalli-
che plastificate, inerti di riempimento e rivestimento in stuoie sul fronte esterno, tali da consentire la cre-
scita delle piante. Sotto il profilo statico, la stabilità della struttura è garantita dal peso stesso del terreno
consolidato internamente dai rinforzi; la stabilità superficiale dell’opera è assicurata dalle stuoie sul para-
mento e dalle piante.
Si tratta di una struttura di sostegno molto adatta per sistemazioni in spazi limitati o in vicinanza di infra-
strutture viarie. La plasticità delle morfologie realizzabili e la totale rivegetabilità ne fanno una delle tec-
niche più facilmente reinseribili nel paesaggio a parità di funzionalità di consolidamento.
Per garantire l’attecchimento e la crescita delle piante e del cotico erboso, i fronti dovranno avere pen-
denza massima di 60° per consentire l’apporto delle acque piovane. Il solo cotico erboso deperisce nel
tempo e non garantisce la funzione antierosiva del cuneo di terra vegetale, che tende a dilavarsi; quando
le stuoie perdono la loro funzione, risulta pertanto indispensabile l’inserimento, raccomandato in fase di
costruzione, di talee e arbusti radicati e l’uso combinato di stuoie sintetiche permanenti.
I manufatti risultano avere un’elevata durata temporale e la costruzione per moduli consente di ottenere
molteplici forme, adatte alle condizioni locali del terreno. Risulta perciò un’opera elastica e permeabile,
anche se, per i costi e l’ingombro risulta essere maggiore rispetto alle strutture murarie in cls. E’ neces-
sario reperire materiale di riempimento con caratteristiche geotecniche idonee.
Campi di applicazione
Sostegno di scarpate in riporto, consolidamento di scarpate stradali e ferroviarie, consolidamento di
sponde e argini. Terrapieni antirumore, modellamento e ricostruzione nei casi di spazio limitato.
Materiali
A seconda della diversa tipologia costruttiva vengono impiegati geosintetici, griglia metallica e geosin-
tetici, griglia e armatura metallica, elementi preassemblati in rete metallica a doppia torsione. In tutti i
casi trovano impiego punti metallici, materiale inerte di riempimento, terreno vegetale, talee vive, arbu-
sti radicati, idrosemine normali o a spessore.
Foto 7.24: Terra rinforzata rinverdita in costruzione (novembre 2000) Bernalda (MT) - Foto A. Trivisani
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Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Descrizione
Opera in legname e pietrame realizzata trasversalmente al corso d’acqua. Si ha un’immediata dimi-
nuzione della pendenza del profilo longitudinale del corso d’acqua, pertanto viene meno l’effetto ero-
sivo e viene favorito il deposito di materiale. L’aspetto in aree montane risulta gradevole in quanto
legato all’uso di tronchi e pietrame e risulta perciò opera sostitutiva di briglie cementizie. Possono
essere realizzate opere di altezza e ampiezza limitata; non sono proponibili in regimi con trasporto
solido di diametro elevato. La durata di tali opere risulta limitata nel tempo, inoltre, sono scarsamen-
te rivegetabili.
Campi di applicazione
Regimi torrentizi montani e collinari anche con notevole trasporto solido.
Materiali
Tronchi di castagno o resinosa scortecciati ø 20 ÷ 30 cm, chiodature metalliche ø 12 ÷ 14 mm, tondini
in metallo ø 10 ÷ 14 mm, talee e fascine vive di salice ø 20 ÷ 30 cm, pietrame, inerte terroso.
Foto 7.25: Briglia legname e pietrame (aprile 2002) M. Vulture (PZ) - Foto P. Cornelini
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Schede delle principali tecniche di ingegneria naturalistica
377
CAPITOLO 8
Sintesi a vignette
Capitolo 8
381
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
Analisi botanica?
Analisi geologica?
Analisi idraulica?
Indagini geotecniche?
382
Capitolo 8
NO! SI!
L = 200 m
palificata viva
L = 200 m
gabbionata
L = 1 km gabbionata
NO! L = 200 m
scogliera
L = 200 m
copertura diffusa
L = 200 m
talee
SI!
383
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
NO! NO!
NO!
Tronchi di pino non
scortecciato
SI! NO!
384
Capitolo 8
385
Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
386
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Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica
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