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Studi anglo-norreni

‘He hafað sundorgecynd’


Studi anglo-norreni in onore di John McKinnell
in onore di John S. McKinnell
‘He hafað sundorgecynd’
a cura di Maria Elena Ruggerini
con la collaborazione di Veronka Szőke

CUEC

CUEC
Studi anglo-norreni in onore di
John S. McKinnell
'He hafað sundorgecynd'

a cura di
Maria Elena Ruggerini
con la collaborazione di
Veronka Szőke

ESTRATTO

‘Cadet repente gladius e caelo’:


la dimensione giudicante in Exodus (vv. 492-495)
VERONKA SZŐKE

CUEC
Stampato con il contributo
del Dipartimento di Linguistica e Stilistica dell'Università degli Studi di Cagliari e del MIUR

Studi anglo-norreni in onore di John S. McKinnell


'He hafað sundorgecynd'

ISBN: 978-88-8467-527-9

© 2009 CUEC Editrice


prima edizione luglio 2009

Senza il permesso scritto dell’Editore è vietata la riproduzione, anche parziale,


con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.

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In copertina: London, British Library, Harley MS 3244, fol. 37r (Bestiario: la Pantera).
Riprodotto con il permesso della British Library

Stampa: Nuove Grafiche Puddu – Ortacesus


‘Cadet repente gladius e caelo’:
la dimensione giudicante in Exodus (vv. 492-495)
VERONKA SZŐKE

1. Introduzione

Con una incisiva formulazione, Beda, nella Vita sancti Cuthberti, compendia in un ver-
so uno dei più importanti miracoli operati da Jahvè a favore del popolo eletto: Rubra
suis quondam pelagi qui limina pandit1. La metafora che allude alla divisione del Mar
Rosso non solo riprende il gioco di parole tra il nome del mare e la qualità cromatica
che si attribuiva alle sue acque2, ma rimanda anche al significato dell’evento nella sto-
ria degli Ebrei, in quanto attraverso i “portali marini” essi ebbero accesso alla Terra
promessa3. L’originale ipallage4 riflette il fascino che il fatto biblico ha esercitato in
ambiente anglosassone, ove il mare permea di sé il quotidiano, l’immaginazione dei
poeti e la riflessione esegetica5. Come osserva McMillan Buckhurst, “… it is safe to
say that there is hardly a single poem dating from the OE period in which the sea does
not play some part or at least receive some mention”6.
In particolare, l’acqua quale strumento di salvezza o di punizione al servizio di Dio
o dei suoi agenti nel mondo assurge a una posizione preminente nei testi letterari di a-
rea anglosassone. Nella prima funzione, essa può svolgere un ruolo ‘passivo’ e, con un
sovvertimento della propria natura mobile, farsi solida onde permettere il passaggio
sopra di sé di Cristo7 o di un santo8. In altri contesti, le acque per volere di Dio si ani-

1
Cap. IX, v. 266 (ed. JAAGER 1935, p. 78): “Colui il quale, una volta, i rossi portali del mare alla sua gente
aprì”. La traduzione di questo e dei successivi passi in latino e in inglese antico è opera mia, se non diver-
samente specificato.
2
Cfr. infra, contesto della nota 53.
3
La particolare formulazione con cui Beda evoca il miracolo del Mar Rosso istituisce un parallelismo con
lo spalancarsi dei portali infernali al momento dell’arrivo di Cristo agli inferi dopo la sua morte in croce; in
entrambi i casi, infatti, l’immagine prelude all’affrancamento da una tirannia (rispettivamente, degli Egizia-
ni e di Satana) e all’accesso ad una terra promessa.
4
Cfr. LAPIDGE 1996, p. 335.
5
Per uno studio degli aspetti funzionali dell’acqua nella tradizione letteraria inglese antica e nordica, si ve-
da PÀROLI 2008.
6
Cfr. BUCKHURST MCMILLAN 1929, p. 103.
7
L’episodio di Cristo che cammina sulle acque (Mt 14, 25) viene ripreso e ampliato dall’autore di Christ
III, il quale si sofferma a descrivere la docile sottomissione dell’elemento più instabile al proprio Creatore:
Hwæt, eac sæ cyðde / hwa hine gesette on sidne grund, / tirmeahtig cyning, forþon he hine tredne him / on-
gean gyrede þonne god wolde / ofer sine yðe gan; eahstream ne dorste / his frean fet flode bisencan “Ecco,
anche il mare rivelò / chi l’aveva posato sull’ampio fondale, / il Re potente nella gloria, poiché si rese per
Lui calpestabile / allorché Dio volle / sulle sue onde transitare; la corrente non osò / i piedi del suo Signore
con i flutti sommergere” (vv. 297b-302; ed. TRASK 1971, p. 89).
8
Nella Vita anglosassone di Maria Egiziaca, la protagonista cammina sulle acque del Giordano per rag-
giungere sulla riva opposta il monaco Zosimo e ricevere da lui l’eucarestia. Come già nella versione latina,
anche in quella inglese antica il miracolo è preceduto dal gesto della santa che benedice le acque con il se-
42 VERONKA SZŐKE

mano e modificano temporaneamente il loro corso per agevolare il cammino di un


sant’uomo: così accade, ad esempio, nell’episodio riportato da Beda nella Historia ec-
clesiastica gentis Anglorum, allorché Albano, impossibilitato ad attraversare un ponte
per la folla che vi si accalcava sopra, poté contare sull’aiuto del fiume che, ritirandosi,
gli permise di transitare sul suo alveo asciutto verso il luogo dove lo attendeva il marti-
rio9.
Enfasi ancora maggiore viene conferita alla presentazione dell’acqua quale mezzo
mediante cui il Signore in prima persona, oppure un suo prescelto, infligge una con-
danna a coloro i quali si sono mostrati refrattari ad accogliere il messaggio di conver-
sione o sono venuti meno all’adempimento dei precetti divini. È esemplare, in tal sen-
so, la descrizione del Diluvio in Genesis A dove, diversamente dalla fonte biblica, che
pone in primo piano l’inesorabile innalzamento delle acque indotto da una pioggia in-
cessante, il poeta ritrae il dilagare dei flutti alla stregua di un attacco militare scatenato
da Dio per purificare il mondo dalla sozzura del peccato:

Strang wæs and reðe / se ðe wætrum weold; wreah and þeahte / manfæhðu bearn middan-
geardes / wonnan wæge, wera eðelland; / hof hergode, hygeteonan wræc / metod on monnum.
Mere swiðe grap / on fæge folc feowertig daga, / nihta oðer swilc. Nið wæs reðe, / wællgrim
werum; wuldorcyninges / yða wræcon arleasra feorh / of flæschoman (vv. 1376b-86a)10

“Forte era e irato / Colui che le acque dominava; travolse e coprì / la malvagità dei figli della
terra / con una livida onda, la terra natia degli uomini; / distrusse la dimora, la consapevole of-
fesa vendicò / l’Ordinatore sugli uomini. Il mare si impadronì / della gente condannata per
quaranta giorni, / e altrettante notti. L’ostilità fu truce, / distruttiva per l’umanità; le onde del
Re della gloria / scacciarono la vita dal corpo / degli scellerati”.

Non meno pregnante è la rappresentazione dell’acqua quale strumento di castigo in


Andreas, dove il fiume che sgorga dalla colonna di marmo in risposta alla preghiera
dell’apostolo e che annega i più malvagi dei Mermidoni assume quasi le proporzioni di
un diluvio11. In questo frangente, l’alleanza degli elementi – le acque che si gonfiano e
il fuoco che avvolge il villaggio – impedisce ogni possibilità di scampo agli abitanti
sordi al messaggio evangelico12. Il ruolo dell’acqua quale agente di una punizione che

gno della croce. L’autore anglosassone aggiunge però al racconto un interessante dettaglio, secondo cui Ma-
ria, alla stregua di Mosè, avrebbe materialmente toccato le acque con la croce: heo þære rode tacn on þa
wætru drencte “ella immerse nelle acque il simbolo della croce” (ed. MAGENNIS 2002, cap. 22, p. 110, rr.
806-7).
9
Cfr. I, 7 (ed. COLGRAVE–MYNORS 1992, pp. 30, 32).
10
ASPR I, p. 43. Per un’analisi del passo, si vedano OLSEN 1994, pp. 62-63 e ANLEZARK 2006, p. 190.
11
Cfr. vv. 1523b-26a (ASPR II, p. 45): Stream ut aweoll, / fleow ofer foldan. Famige walcan / mid ærdæge
eorðan þehton, / myclade mereflod “Un fiume sgorgò, / fluì sulla terra. Spumose onde / all’alba sommersero
il terreno, / un diluvio d’acqua si gonfiò”. Nella presentazione dell’inondazione, l’autore del poema rielabo-
ra diffusamente il tema del dilagare dei flutti (cfr. vv. 1528b-30; 1545-46; 1553b; 1572b-75; ASPR II, pp.
45-47). Analizzando la sezione relativa al Diluvio in Genesis A e altri analoghi passi in Andreas e Exodus,
Anlezark conclude che in questi contesti emerge una concezione marziale dell’azione delle acque, viste co-
me agenti bellici di uno Jahvè irato contro gli uomini, che è invece assente nelle opere in prosa in cui viene
trattata questa tematica (ANLEZARK 2006, pp. 231, 233).
12
Cfr. vv. 1543b-46 (ASPR II, p. 46): Ne mihte beorna hloð / of þam fæstenne fleame spowan. / Wægas
weoxon, wadu hlynsodon, / flugon fyrgnastas, flod yðum weoll “Non poteva la moltitudine degli uomini / da
quella fortezza fuggire. / Le onde aumentavano, i flutti rumoreggiavano, / volavano scintille di fuoco; il ma-
re ribolliva di onde”.
‘Cadet repente gladius e caelo’ 43

porterà poi alla conversione è efficacemente segnalato nel poema attraverso la voce di
un anonimo pagano, il quale, nel mezzo dell’alluvione, ne riconosce il valore punitivo,
mettendolo in relazione con le torture inflitte ad Andrea. Questo primo passo verso la
conversio viene prontamente recepito dall’apostolo, il quale ordina l’acquietarsi del-
l’inondazione, esce dalla prigione e si allontana illeso sul sentiero asciutto apertosi da-
vanti a lui.
Ma l’opera in cui il ruolo dell’acqua come mezzo di redenzione e di distruzione
emerge in tutta la sua potenza e portata simbolica è il componimento inglese antico Exo-
dus13, in cui il poeta, dopo avere descritto lo schiudersi di un varco nel Mar Rosso di-
nanzi agli Ebrei inseguiti dalle truppe del faraone, sottopone a un notevole ampliamen-
to i due scarni versetti biblici (Es 14, 28-29)14 in cui si dà conto del prodigioso sgreto-
larsi dei bastioni d’acqua – fino a un momento prima saldamente eretti – che provoca
l’ecatombe delle schiere egiziane15. L’amplificatio si spiega, in primo luogo, con le ca-
ratteristiche del medium poetico – la sua predilizione per le ripetizioni, le variazioni, i
parallelismi e la nomenclatura sinonimica – e con la suggestione esercitata dal ruolo
che qui il mare riveste. Al di là di ciò, l’insistenza sulle modalità di svolgimento e sulla
durezza della punizione riservata agli Egiziani, come pure gli echi apocalittici di cui la
descrizione è costellata, proiettano l’evento in una dimensione escatologica e ne fanno
un monito esemplare per la comunità, nonché per il singolo peccatore16.
Gli scritti patristici insistono, piuttosto, sulla dimensione salvifica dell’Esodo: il
compimento della traversata è interpretato in prospettiva tipologica, ovvero come anti-
cipazione della liberazione dell’uomo dai ceppi del peccato e della morte attraverso
l’opera redentrice della Passione e morte di Cristo, del quale Mosè costituisce il tipo17;
inoltre, il transitus prefigura la Discesa agli inferi, quando i patriarchi i profeti e i giusti

13
Se non diversamente specificato, le citazioni di Exodus seguono l’edizione curata da Lucas (1994²).
14
Es 14, 28-29: Reversaeque sunt aquae, et operuerunt currus et equites cuncti exercitus Pharaonis, qui
sequentes ingressi fuerant mare: nec unus quidem superfuit ex eis. Filii autem Israel perrexerunt per me-
dium sicci maris, et aquae eis erant quasi pro muro a dextris et a sinistris “Le acque ritornarono e sommer-
sero i carri e i cavalieri di tutto l’esercito del faraone, che erano entrati nel mare dietro a Israele: non ne
scampò neppure uno. Invece gli Israeliti avevano camminato sull’asciutto in mezzo al mare, mentre le ac-
que erano per loro una muraglia a destra e a sinistra”. Questa e le successive traduzioni sono tratte dalla
Bibbia di Gerusalemme.
15
Anche negli altri riferimenti biblici all’evento si dà conto solo del risultato che consegue dal richiudersi
del Mar Rosso, ossia dell’annientamento degli inseguitori; cfr., ad esempio, Dt 11, 4; Gs 24, 6-7. Il tema
della traversata è presente anche nei Salmi; cfr. 106 (105), 11; 136 (135), 15. In ambito neo-testamentario,
si veda Eb 11, 29.
16
La centralità della prospettiva allegorico-figurale nella interpretazione di Exodus è stata messa in luce a
partire dai fondamentali contributi di Huppé (1959, pp. 217-23), di Cross e Tucker (1960b, pp. 122-7), ed è
stata ripetutamente evidenziata in numerosi studi successivi; cfr., ad esempio, LUCAS 1969, pp. 365-6;
MCLAUGHLIN 1969, pp. 658-9, 665; EARL 1970, pp. 541-70; LEE 1972, pp. 43-48; SHIPPEY 1972, pp. 136-
7; VICKREY 1972a, pp. 159-65; ID. 1972b, pp. 119-40; CALDER 1973, pp. 85-89; VICKREY 1973, pp. 41-52;
HILL 1974, pp. 204-5; RENDALL 1974, pp. 506-9; HALL 1975a, pp. 243-4; ID. 1975b, pp. 616-21; HELDER
1975, pp. 5-23; LUCAS 1976, pp. 193-205; HALL 1981a, pp. 163-6; ID. 1981b, pp. 26-27; HAUER 1981, pp.
80, 86-90; LURIA 1981, pp. 600-5; HALL 1982, pp. 145-7; HAUER 1984, pp. 308-11; HALL 1986, pp. 25-44;
VICKREY 1989, pp. 1-17; HELDER 1994, pp. 189-99.
17
È comune l’associazione esegetica, ripresa anche da Ælfric, tra la traversata del mare da parte degli Ebrei
e il transitus dell’uomo sulla terra (cfr. HUPPÉ 1959, pp. 218-9, 221). Su questa relazione tipologica in Exo-
dus, si vedano CROSS–TUCKER (1960b, pp. 123-5), LUCAS (1969, p. 365), EARL (1970, pp. 544-6, 552) e
GODDEN (1991, p. 217).
44 VERONKA SZŐKE

dell’Antico Testamento furono liberati dal confino infernale ed ebbero accesso alla pa-
tria celeste18. Il passaggio degli Ebrei attraverso le acque anticipa, inoltre, l’immersione
nelle acque del fonte battesimale che lava l’uomo dalla colpa originale, lo introduce
nella comunità dei cristiani e lo scioglie dalla servitù di Satana e dei suoi seguaci. Il
profondo legame tra Esodo e Battesimo, che trova esplicita formulazione nella Prima
lettera ai Corinzi paolina19 e che si radica poi saldamente nella tradizione patristica20,
si riflette anche nella liturgia, che in origine prevedeva l’amministrazione del sacra-
mento ai catecumeni nella notte tra il sabato e la domenica di Pasqua21.
L’ermeneutica dei Padri si sofferma anche sulle implicazioni dell’Esodo in quanto
evento giudicante. La correlazione tra l’uscita dall’Egitto e gli accadimenti escatologici
è sfruttata già nell’Apocalisse, a sottolineare la consequenzialità su cui si fonda la sto-
ria della salvezza22. La descrizione della catastrofe che alla fine dei tempi sconvolgerà
il mondo – contraddistinta da flagelli che ricordano le piaghe d’Egitto23 – è preceduta
dalla visione di un mare di cristallo misto a fuoco presso il quale stanno radunati gli
eletti, immagine che evoca quella degli Ebrei in sosta presso la riva del Mar Rosso do-
po il felice transito. Il parallelismo è confermato dal fatto che coloro i quali hanno vinto
il peccato e si sono guadagnati la vita eterna elevano, in segno di gioia, il Cantico di
Mosè, in cui risuonano espressioni tratte dal Cantico di Mosè posto in appendice a Es
14, ovvero quello attraverso il quale gli Israeliti diedero espressione alla loro gratitudi-
ne per l’intervento salvifico di Dio in loro favore24.

18
In merito al rapporto tra la traversata e la Discesa agli inferi, si veda DANIÉLOU 1950, pp. 160-3.
Nell’Inghilterra medievale, il tema dello Harrowing conobbe grande diffusione attraverso l’Evangelium
Nicodemi (cfr. HULME 1904, pp. 579-614 e TAMBURR 2007). L’influsso in Exodus di questa equazione ese-
getica è stato ampiamente studiato (cfr. SHEPHERD 1966, p. 31; EARL 1970, pp. 567-9; RENDALL 1974, pp.
508-9; HELDER 1975, pp. 7-10, 21-23; HAUER 1978, pp. 77-78; HALL 1981a, pp. 165-6; ID. 1982, pp. 146-7).
19
1 Cor 10, 1-2: ‘Nolo enim vos ignorare fratres, quoniam patres nostri omnes sub nube fuerunt, et omnes
mare transierunt et omnes in Moyse baptizati sunt in nube et in mari’ “‘Non voglio infatti che ignoriate, o
fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nuvola, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in
rapporto a Mosè nella nuvola e nel mare’”.
20
Cfr. Tertulliano, De baptismo, IX, 1 (ed. Reifferscheid–Wissowa 1890, p. 208); Ambrogio, Apologia
prophetae David, I, 8, 43, CSEL 32, pp. 326-7; Id., De sacramentis, I, 6, 20, CSEL 73, p. 24; Agostino, In
Iohannis Evangelium tractatus CXXIV, XI, 4, CCSL 31, p. 112; Id., Enarratio in Psalmum LXXII. Sermo, 5,
CCSL 39, p. 989; Id., Enarratio in Psalmum LXXX. Sermo, 8, CCSL 39, p. 1124; Id., Enarratio in Psalmum
CV, 10, CCSL 40, p. 1560; Id., De catechizandis rudibus, XX, 34, CCSL 46, p. 159. Sul tema del Battesimo
in Exodus, si vedano CROSS–TUCKER 1960b, pp. 122-7; SHEPHERD 1966, p. 31; EARL 1970, pp. 546, 558-
60, 564-7; CALDER 1973, pp. 85-89; HAUER 1978, pp. 71-74; GREEN 1981, p. 79; LURIA 1981, pp. 600,
603-5.
21
Cfr. DANIÉLOU 1950, p. 131.
22
Bright evidenzia che la morte dei primogeniti egiziani e la successiva distruzione dei loro padri esempli-
ficano l’aspetto giudicante della Pasqua, che avrà pieno compimento in occasione del Giudizio finale
(BRIGHT 1912b, p. 103). Secondo i Padri della Chiesa, esiste una corrispondenza temporale tra la Pasqua e
il Giudizio, un dato che emerge anche nella tradizione omiletica anglosassone. Come osserva Gatch (1965,
pp. 130-1, 134), nella terza delle Blickling Homilies si afferma infatti che: … se egeslica domes dæg cymeþ
on þa tid þe Godes sunu on rode galgan þrowode “… il terribile giorno del Giudizio verrà nello stesso tem-
po in cui il Figlio di Dio soffrì sul patibolo della croce” (Dominica prima in quadra[gesima]; ed. MORRIS
1967, p. 27, rr. 24-26). La convergenza tra i due accadimenti è ribadita anche in apertura della settima Ome-
lia della raccolta, dedicata alla domenica di Pasqua (Dominica Pascha; ibid., p. 83, rr. 3-5).
23
L’accostamento viene più volte riproposto dai Padri; cfr., ad esempio, Beda, In Pentateuchum commenta-
rii, VI, PL 91, col. 299.
24
Cfr. DANIÉLOU 1950, p. 142; ID. 1998, pp. 81, 88.
‘Cadet repente gladius e caelo’ 45

Se la prosa dei Padri e dell’esegesi catechetica si concentra, come è ovvio, sull’as-


petto dottrinale dell’Esodo, ponendo in primo piano le sue implicazioni spirituali, la
poesia religiosa ha saputo sfruttare la qualità immaginifica insita nel prodigioso fender-
si del Mar Rosso e nel successivo ricomporsi delle acque, a partire dal Cantico di Mo-
sè, in cui tali eventi sono rivisitati in forma salmodica e potentemente drammatizzati25.
Nell’ultimo libro del De spiritalis historiae gestis – il De transitu Maris Rubri –
Avito di Vienne propone una delle trattazioni più estese dell’epilogo della traversata, in
cui la distruzione delle truppe del faraone a opera delle acque è trasposta nei canoni e-
pici di una battaglia, attingendo ampiamente a Virgilio e a Lucano26. Dopo avere dato
conto del fragore provocato dalla ricaduta delle acque (vv. 662-4), il poeta si sofferma
sul disperato tentativo di ritirata messo in atto dagli Egiziani, incalzati da un mare per-
sonificato quale irato antagonista (vv. 665-70). Al riconoscimento della natura straor-
dinaria del conflitto in svolgimento e dell’intervento divino nella sconfitta del faraone
(vv. 671-5), segue un’espansione moraleggiante sulla vanità del pentimento tardivo
(vv. 676-82). Nei versi successivi, il risultato fatale del conflitto torna in primo piano,
dapprima con l’immagine dei soldati sprofondati negli abissi sotto il peso delle armatu-
re, quindi con il catalogo dei differenti modi in cui la morte li ha colti (vv. 683-93). Se-
gue uno stacco sulla solitaria figura del faraone nel momento in cui egli riconosce la
sconfitta e si piega di fronte a un Avversario a lui superiore. Conclude l’episodio un
commento autoriale che riprende la metafora bellica sulla quale il poeta ha modellato
l’intera narrazione: gli Egiziani, convinti di potere facilmente contrastare la fuga degli
Ebrei, si sono invece trovati a fronteggiare il mare nel suo terribile ruolo di emissario
divino; nella contesa, i flutti hanno trionfato sugli inseguitori, risparmiando a Israele la
lotta (vv. 694-703)27.

2. Il passaggio del Mar Rosso nell’Exodus inglese antico

Un’analoga ispirazione guida il poeta di Exodus, il quale arricchisce di implicazioni


metaforiche la sua rivisitazione in chiave epica della disfatta delle truppe del faraone e
organizza il materiale narrativo in maniera originale, con omissioni, riformulazioni e
ampliamenti. Nella fonte biblica, il compiersi del disegno divino avviene attraverso due
azioni concomitanti che rivelano l’intrecciarsi di due tradizioni diverse, quella sacerdo-
tale e quella jahvista: in un primo momento, Dio ordina a Mosè di stendere il suo ba-
stone sulle acque per determinare la divisione del mare e permettere così il passaggio
degli Ebrei; subito dopo, però, anche Jahvè interviene suscitando un forte vento allo
scopo di tenere a bada il mare e conservare il passaggio asciutto28.
Rispetto a questa presentazione dell’evento, il poeta di Exodus accentua il ruolo

25
Cfr. infra, § 3.
26
Cfr. LAPIDGE 2006, pp. 17-18.
27
De transitu Maris Rubri, ed. Hecquet-Noti 2005, pp. 228-34.
28
Questa seconda fase degli eventi costituisce probabilmente la versione più antica dei fatti, in quanto ri-
conduce la chiusura delle acque a un processo di impronta naturalistica, anche se eccezionale e da Dio gui-
dato. Illuminanti sono le riflessioni di Childs sulla natura composita del racconto e sulle modalità attraverso
le quali la redazione sacerdotale si combinò con il resoconto jahvista del miracolo (CHILDS 1995, pp. 229-
42).
46 VERONKA SZŐKE

giocato da Mosè, mantiene quello del vento (Sælde sægrundas suðwind fornam / bæð-
weges blæst “Gli abissi confinati il vento meridionale spazzò via, / una folata dal ma-
re”, vv. 289-90a) e limita quello dell’Agente divino. La scena è dominata da Mosè, il
quale, nell’atto stesso di compiere il prodigio, lo commenta per il suo seguito con un
drammatico pronunciamento:
‘Hwæt ge nu eagum to on lociað, / folca leofost, færwundra sum / nu ic sylfa sloh29 ond þeos
swiðre hand 30 / grene tacne garsecges deop. / Yð up færeð, ofstum wyrceð / wæter on weal-
fæsten’ (vv. 278-83a)

“‘Ecco, con gli occhi mirate, / amata gente, l’improvviso miracolo, / ora che io stesso ho col-
pito – e questa mano destra – / con il verde simbolo il profondo mare. / Il flutto si innalza, to-
sto si trasforma / l’acqua in baluardo’”.

Subito dopo, Mosè si sofferma a illustrare le caratteristiche del percorso che si pale-
sa dinanzi agli Ebrei; il fatto che la descrizione si accenda di colori e si animi di varia-
zioni è funzionale a esaltare l’eccezionalità dell’intervento di Dio e il nuovo orizzonte
di salvezza che si apre dinanzi al popolo nel momento in cui le acque si innalzano:

‘Wegas syndon dryge, / haswe31, herestræta, holm gerymed, / ealde staðolas, þa ic ær ne ge-
frægn / ofer middangeard men geferan, / fage32 feldas, þa forð heonon / in ece tid yðe þeccað.
/ Sælde sægrundas suðwind33 fornam, / bæðweges blæst; brim is areafod, / sand sæcir spaw.

29
In numerose opere patristiche la divisione del Mar Rosso appare come conseguenza di un colpo inferto
sulle acque; cfr., ad esempio, Agostino, De catechizandis rudibus, XX, 34, p. 159; Isidoro, Mysticorum
expositiones, XIX, 1, PL 83, col. 296; Beda, In Pentateuchum commentarii, XIV, col. 310; Valafrido Stra-
bone, Liber Exodus, XIV, PL 113, col. 225. Ferguson nota che a questa descrizione segue spesso
l’identificazione del bastone con la croce di Cristo (FERGUSON 1977, p. 112). Analoga dinamica del miraco-
lo ha trovato diffusione anche in ambito anglosassone; così descrive, infatti, l’evento Ælfric nell’Omelia
Dominica in media quadragesime: And moyses ða sloh þære sæ ofer mid his gyrde and seo sæ toeode on
twa “E Mosè colpì il mare con la verga e il mare si divise in due” (ed. Godden 1979, p. 112, rr. 89-90).
30
Ferguson rileva l’importanza del rimando alla mano, alla luce del fatto che ‘Manus Dei’ è uno degli ap-
pellativi di Cristo. Lo studioso cita Rabano Mauro (Commentaria in Exodum, III, PL 108, col. 65), secondo
il quale la mano di Mosè, estesa sopra le acque, è simbolo dell’antica legge che prefigura quella nuova, in-
centrata su Cristo e sulla sua opera redentrice (FERGUSON 1977, pp. 108, 111).
31
L’aggettivo hasu indica una sfumatura di colore di media luminosità e vale, quindi, “grigio opaco” o
“grigio argenteo”. Esso è paragonabile al latino glaucus “verde-celeste” e, in questo senso, congruo con la
qualificazione del fondale come verde (ofer grenne grund “sul verde fondale”, v. 312a; cfr. ed. LUCAS
1994², pp. 114-5n.). A questo proposito, Keenan osserva che tale caratteristica cromatica sta a indicare una
via speciale, ovvero quella che conduce verso la salvezza e, dunque, al Paradiso (KEENAN 1970, pp. 455-
60; cfr. anche EARL 1970, pp. 569-70n.; SAJAVAARA 1975, pp. 34-38; HAUER 1978, p. 56 e HILL 1990, pp.
483-6). In uno studio successivo (KEENAN 1973, pp. 217-9), egli individua in Sap 19, 7 il luogo biblico che
può avere ispirato l’immagine: qui, il fondale lasciato scoperto dalle acque appare come un campo verdeg-
giante (… et ex aqua quae erat, terra arida apparuit; et in mari Rubro via sine inpedimento, et campus
germinans de profundo nimio “… [si vide] terra asciutta apparire dove prima c’era acqua, una strada libera
aprirsi nel Mar Rosso e una verdeggiante pianura in luogo dei flutti violenti”). Doane ritiene, invece, che le
occorrenze dell’aggettivo “verde” siano un semplice tratto formulare ereditato (DOANE 1973, pp. 456-65).
32
“Macchiato; variegato” sono alcuni dei significati dell’aggettivo fag; con il senso di “scintillante” esso
ricorre, principalmente, in relazione ad armi e armature (cfr. DOE s.v. fah2/fag2, 3). Nel contesto di Exodus,
esso descrive la natura policroma del fondale marino (ibid., 1.b).
33
La specificazione della direzione del vento è stata ricondotta da Cross–Tucker al dettato della Septuagin-
ta, dalla quale potrebbe essere passata nella Vetus latina e da qui, direttamente o per un tramite, in Exodus
(CROSS–TUCKER 1960a, pp. 38-39; cfr. anche LURIA 1981, pp. 603-4 e REMLEY 1996, pp. 180-2). Irving
‘Cadet repente gladius e caelo’ 47

Ic wat soð gere / þæt eow mihtig God miltse gecyðde, / eorlas ærglade. Ofest is selost / þæt ge
of feonda fæðme weorðen / nu se Agend up arærde / reade streamas in randgebeorh. / Syndon
þa foreweallas fægre gestepte, / wrætlicu wægfaru, oð wolcna hrof’34 (vv. 283b-98)

“‘Le vie sono asciutte, / le argentee rotte, il mare dischiuso, / le antiche fondamenta, che – per
quel che io so – / mai alcun uomo sulla terra attraversò, / le distese iridate, che da allora / in
eterno le acque ricoprono. / Gli abissi confinati il vento meridionale spazzò via, / la folata dal
mare; il mare è diviso, / la risacca sputava sabbia. Io ben so, in verità, / che il potente Iddio la
sua misericordia vi ha manifestato, / o uomini ritornati felici35. La fretta è la miglior cosa / per
liberarvi dalla stretta dei nemici, / ora che il Signore ha sollevato / i rossi flutti a scudo di dife-
sa. / I bastioni sono bellamente elevati, / il prodigioso passaggio marino, fino alla sommità
delle nubi’”.

Mentre la Vulgata dedica soltanto un versetto al successivo passaggio degli Ebrei


sul fondale asciutto36, il poeta dilata questa sintesi in un’ampia e drammatica cronaca
che fin dall’inizio risuona di echi marziali, quando le prime tre tribù che entrano nel
varco apertosi nel mare non solo vengono identificate, ma il loro incedere è descritto
come una vera e propria marcia verso il luogo della battaglia (vv. 310-51a). Il reso-
conto subisce un brusco arresto al v. 351a: mentre nel testo biblico la traversata e
l’inseguimento degli Ebrei da parte degli Egiziani si succedono in rapida sequenza37,
nel poema i due eventi – che occupano, rispettivamente, i vv. 310-51a e i vv. 447-515 –
sono separati, oltre che dalla narrazione della vicenda di Abramo e Isacco (vv. 377-
446), anche dalla rievocazione del Diluvio (vv. 362-76), episodi che il poeta àncora alla
narrazione attraverso riferimenti genealogici (vv. 351b-61; 377-9), dato che le tribù
protagoniste del transitus sono unite dalla comune discendenza da Noè e Abramo38.
Il Diluvio rappresenta il primo giudizio globale esperito dal mondo39, anticipazione

individua, invece, l’origine di questo dettaglio nel De vita Mosis di Filone d’Alessandria (IRVING 1972, p.
310).
34
In chiave tipologica, l’immagine prospettica del varco che mano a mano si apre davanti agli Ebrei e infine
si congiunge con l’orizzonte evoca il tema della salvezza, della Terra promessa e della dimora celeste che
attende i giusti (cfr. HALL 1981b, p. 27).
35
Se il primo elemento di ærglad è da ricollegarsi a ar oppure æren, rispettivamente “bronzo” e “bronzeo”,
l’aggettivo potrebbe assumere anche il valore di “splendente”, con riferimento alle armature (di metallo)
degli Ebrei (cfr. DOE, s.v. ærglad).
36
Es 14, 22: Et ingressi sunt filii Israel per medium sicci maris: erat enim aqua quasi murus a dextra eo-
rum et laeva “Gli Israeliti entrarono nel mare sull’asciutto, mentre le acque erano per loro una muraglia a
destra e a sinistra”.
37
Es 14, 23: Persequentesque Aegyptii ingressi sunt post eos, et omnis equitatus Pharaonis, currus eius et
equites per medium maris “Gli Egiziani li inseguirono con tutti i cavalli del faraone, i suoi carri e i suoi ca-
valieri, entrando dietro di loro in mezzo al mare”.
38
La critica ha da tempo riconsiderato l’interpretazione secondo la quale le due vicende costituirebbero
un’interpolazione, mettendo in luce come esse siano invece legate al resto della narrazione da precisi ri-
chiami tematici e tipologici. Una sintesi della questione è offerta da HAUER 1981, pp. 78-79. L’unitarietà
del poema è stata convincentemente difesa con varie motivazioni da molti studiosi; cfr. KRAPP 1969 (=
ASPR I), p. xxviii; FARRELL 1969, pp. 401-17; ed. LUCAS 1994², p. 31; HAUER 1978, pp. 88-96; FERGU-
SON 1981, pp. 282-6; LURIA 1981, p. 604. La salvezza di Noè, il premio per la prova di fedeltà superata da
Abramo, nonché il riuscito approdo degli Ebrei sono segni del favore di Dio verso i giusti e verso il popolo
eletto, ma contemporaneamente ne illustrano l’altra faccia, quella del Giudice pronto a comminare un’equa,
ma terribile punizione.
39
Anche Avito, nel De transitu Maris Rubri, accosta la ricaduta delle acque nell’episodio del Mar Rosso al
Diluvio (V, vv. 3-5; ed. HECQUET-NOTI 2005, p. 146): Illic diluuium quos perderet ante petiuit, / nunc ad
48 VERONKA SZŐKE

in senso tipologico della punizione inappellabile che verrà inflitta ai peccatori alla fine
dei tempi40. In Exodus, la sua rievocazione è dunque funzionale a introdurre un tema
che diventerà centrale nella sezione di versi dedicata all’annegamento degli Egiziani
(vv. 447-515)41 e che verrà ripreso – questa volta nella prospettiva della ricompensa
che, al Giudizio, Dio assegnerà ai giusti – nel discorso dai toni omiletici che il poeta
mette in bocca a Mosè quando questi, certo ormai della salvezza, si rivolge alla sua
gente per spronarla a mantenersi fedele sulla terra ai comandamenti divini42.

La centralità che il poeta attribuisce all’episodio della strage degli Egiziani si riflet-
te nell’ampiezza dei versi ad esso dedicati (68, rispetto ai 18 che descrivono l’apertura
del varco nel Mar Rosso)43, la cui netta coloritura escatologica è già stata bene eviden-
ziata dalla critica44. In questa prospettiva si pone l’analisi che Karin Olsen dedica al
lessico e alla struttura dell’episodio dell’annegamento; in particolare, la studiosa pren-
de in esame la funzione che qui ricopre l’espediente della ripetizione, giungendo alla
conclusione che essa non solo è mirata ad accrescere il potenziale descrittivo, ma serve
anche a creare continuità con la seconda parte della narrazione, nella quale emerge il
vero Artefice del castigo e il significato soteriologico del fatto biblico45.
Sulla falsariga di questo tipo di indagine, ma con taglio interpretativo diverso, è mia
intenzione ridiscutere i versi che danno conto della fase conclusiva del miracolo del
Mar Rosso, soffermandomi su alcune questioni lessicali, sintattiche e interpretative –

diluuium pleno succensa furore / sponte sua current periturae milia gentis “Allora il Diluvio raggiunse
coloro che avrebbe distrutto; / ora, verso il diluvio, ardenti d’un furore cieco, / volontariamente correranno
migliaia di uomini, il popolo condannato a perire”.
40
Anlezark osserva che l’associazione tra il castigo inflitto con l’inondazione della terra e le pene legate al
Giudizio finale risale all’Antico Testamento, continua nel Nuovo ed è poi ulteriormente elaborata negli
scritti esegetici a carattere tipologico (ID. 2006, pp. 28-33, 78-80). Anche l’invocazione dell’apostolo An-
drea, che determina la portentosa inondazione della città mermidone, contiene un rimando al Giudizio fina-
le, concepito alla stregua di un attacco militare (ibid., p. 223): ealle gesceafte / forhte geweorðað, þonne hie
fæder geseoð / heofonas ond eorðan herigea mæste / on middangeard mancynn secan “tutte le creature /
saranno sgomente quando vedranno / il Padre dei cieli e della terra con il più poderoso degli eserciti / assali-
re l’umanità sulla terra” (Andreas, vv. 1499b-502; ASPR II, p. 44). Anche in un’Omelia di argomento esca-
tologico di Ælfric viene istituito un parallelismo tra il carattere subitaneo dell’avvento del Diluvio e quello
della fine del mondo (Sermo de die iudicii; ed. Pope, II, 1968, pp. 590-1); cfr. ANLEZARK 2006, pp. 159-60.
41
Nell’aprile del 1999 ebbi occasione di seguire il seminario tenuto dal prof. John McKinnell, presso
l’Università di Cagliari, sui segni anticipatori del Giudizio nella letteratura inglese antica e norrena. Con-
servo un vivido ricordo di quella esperienza e sono lieta di avere oggi l’opportunità di rendere omaggio a
uno studioso che è stato capace, come pochi, di guidare e ispirare il suo pubblico di studenti.
42
Cfr. vv. 540b-8: Eftwyrd cymeð, / mægenþrymma mæst, ofer middangeard, / dæg dædum fah. Drihten
sylfa / on þam meðelstede manegum demeð, / þonne He soðfæstra sawla lædeð, / eadige gastas, on uprodor,
/ þær is leoht and lif, eac þon lissa blæd “Il Giudizio ultimo giungerà, / suprema gloria, sulla terra, / giorno
gravido di eventi. Lo stesso Signore / alla sede dell’assemblea molti giudicherà, / e poi Egli le anime dei
giusti condurrà, / i beati spiriti, nel cielo superiore, / dove ci saranno luce e vita, e abbondanza di grazia”.
43
Relativamente a questa parte viene ampliato, rispetto alla fonte, il resoconto della marcia sul sentiero a-
sciutto delle dodici tribù ebraiche, delle quali tre vengono esplicitamente menzionate (cfr. vv. 310-51a).
44
Isaacs ritiene che il tema escatologico costituisca il filone tematico e strutturale del poema (ISAACS 1968,
pp. 155-6; cfr. anche HAUER 1978, p. 76, e VILJOEN 1988, p. 6). Trask enuclea gli elementi costitutivi della
scena in parallelo con i segni e gli eventi che precederanno la fine del mondo e la punizione ultima assegna-
ta ai peccatori. I principali particolari evidenziati sono il tingersi del mare e del cielo di sangue, il clamore e
il terrore dominanti il teatro degli eventi, l’inondazione della terraferma e la fine dei peccatori decretata da
una divinità vendicatrice (ed. TRASK 1971, pp. 32-34; ID. 1973, pp. 295-6).
45
Cfr. OLSEN 1994, pp. 55-70.
‘Cadet repente gladius e caelo’ 49

compresa la dibattuta crux costituita dal sostantivo witrod –, che sono necessarie per
far emergere e corroborare la lettura dell’episodio che intendo proporre.

In via preliminare, conviene evidenziare come i vv. 447-515 possano essere oppor-
tunamente suddivisi in due ampie sezioni che rispecchiano l’avvicendarsi del mare e di
Dio quali autori della strage marina: alla devastazione provocata dai moti ondosi (vv.
447-77), resi dal poeta cangianti dal punto di vista semantico in accordo con la loro na-
tura fisica, segue poi l’azione punitiva di Dio, plasticamente rappresentata attraverso
una serie di immagini pregne di feroce potenza (vv. 478-515)46. Al loro interno, risulta
agevole enucleare una serie di unità tematiche minori, i cui confini, però, non sempre
possono essere stabiliti in maniera certa. Il poema, infatti, è caratterizzato da un dettato
artificioso che, nella parte in questione, si organizza in una successione di brevi periodi
(spesso coincidenti con l’emistichio) sintatticamente non coordinati tra loro, il che ren-
de controversa l’interpretazione di alcuni passi – difficoltà cui si va ad aggiungere la
presenza di due lacune che interrompono la narrazione47. Redatto in un lessico origina-
le e fortemente immaginifico, ad alta concentrazione di hapax, il componimento pre-
senta una facies complessa, contraddistinta da un registro di stile ellittico e di marcata
densità espressiva.
Infine, il fatto che la descrizione del ricadere delle acque e il successivo intervento
divino vengano più volte riproposti in forma variata finisce con il mettere in discus-
sione la sequenza cronologica degli accadimenti, che risulta convulsa e frammentaria:
quando l’abbattersi dei marosi sembra avere sortito un risultato fatale, i versi tornano
sul vano tentativo degli Egiziani di mettersi in salvo e sul terrore che investe le schiere
intrappolate dai marosi. A questo si aggiunga il fatto che gli eventi vengono descritti
attraverso una serie di immagini talvolta ambigue per una voluta polisemia che con-
traddistingue alcuni termini impiegati e anche per via dell’occasionale incertezza dei
confini degli enunciati: in particolare, la presenza di costrutti del tipo ‘apo koinou’ non
di rado fa nascere dubbi sull’assegnazione di un singolo lemma o di un sintagma al
segmento metrico che precede o a quello che segue, generando dubbi interpretativi.

2.1. Exodus, vv. 447-477: il mare quale combattente

I versi che compongono la prima sezione dedicata alla strage degli Egiziani (vv. 447-
77) possono essere raggruppati in tre unità tematiche
–– vv. 447-459 (Ia)
–– vv. 460-469a (Ib)
–– vv. 469b-477 (Ic)

46
Anche Olsen suddivide il passo compreso tra i vv. 447-515 in due macro-sezioni (che comprendono, ri-
spettivamente, i vv. 447-76 e i vv. 477-515), ma, a differenza di quanto da me proposto, ritiene che il v. 477
costituisca l’apertura della seconda sezione e non la conclusione della prima (ibid., pp. 56-62, 64-70). Più
rilevanti appaiono, invece, le differenze che si possono cogliere tra i nostri rispettivi schemi riguardo le sin-
gole unità narrative in cui ciascuna sezione può essere ulteriormente ripartita (si vedano le note 48 e 111).
47
La prima lacuna si è verificata tra i versi 141 e 142 a seguito della perdita di due fogli, che si ritiene con-
tenessero un passo relativo agli accordi intercorsi tra Giuseppe e il predecessore del faraone. Un’ulteriore
perdita ha interessato il codice, nella misura di un foglio, tra gli attuali versi 446 e 447 (cfr. nota 49).
50 VERONKA SZŐKE

la prima delle quali (Ia) è interessata da una lacuna nella parte iniziale48. L’episodio
che precede immediatamente, ossia il sacrificio di Isacco, termina con la descrizione
del premio concesso da Dio al patriarca e ai suoi discendenti per questa prova di piena
adesione all’alleanza; dopo la lacuna, la narrazione riprende con la descrizione di un
drappello di uomini (folc) atterriti dalle onde minacciose (v. 447). È plausibile, quindi,
che sia andata perduta la sezione di versi concernente la conclusione della traversata
degli Ebrei, l’inseguimento degli Egiziani e, infine, la scena in cui Mosè fa richiudere
le acque48. Se effettivamente questa era la successione degli eventi trattati nei versi che
non ci sono giunti, il sostantivo che apre la prima unità narrativa (Ia) ha come referente
gli Egiziani:
Folc wæs afæred; flodegsa becwom / gastas geomre, geofon deaðe hweop / Wæron beorh-
hliðu blode bestemed, / holm heolfre spaw, hream wæs on yðum, / wæter wæpna ful, wælmist
astah (vv. 447-51)

“Il drappello era atterrito: il terrore dei flutti assalì / gli infelici spiriti; il mare minacciava
morte. Erano quei pendii di cruore intrisi, / il mare vomitava sangue – c’era tumulto tra le on-
de, / le acque piene d’armi; una foschia mortale si levò”.

Non risulta facile, invece, individuare quale precisa fase degli eventi sia colta dal
poeta in questi versi e in quelli immediatamente successivi; se l’emistichio finale geo-
fon deaðe hweop “il mare minacciava morte” (v. 448b) sembra fare riferimento a una
sciagura incombente – non ancora concretizzatasi nel ritorno delle acque nella loro se-
de – e se l’intero verso precedente può essere letto come una esplicitazione della paura
che assalì gli Egiziani alla vista delle muraglie d’acqua sospese (“il drappello era atter-
rito”), i tre versi successivi mostrano uno scenario di distruzione analogo a un campo di
battaglia ove sia in corso una carneficina, il che presuppone almeno come già iniziata
la ricaduta delle acque. Se si ritiene che il poeta abbia voluto introdurre questo momen-
to fin dal verso precedente (v. 447), il composto flodegsa “terrore dei flutti” è da inten-
dersi come un appellativo del mare (“colui che porta terrore attraverso i flutti”), e il
verbo becwom va interpretato in senso materiale (“assalì”, ovvero “piombò [sugli Egi-
ziani]”).
La dimensione cosmica di tale sconvolgimento naturale è evidenziata attraverso il
composto beorhhliðe (v. 449a) che vale “pendio” (di una collina o di un monte), ma
che qui designa le onde innalzatesi ad un’altezza prodigiosa49. L’insistenza del poeta
48
Secondo la suddivisione proposta da Olsen, invece, la prima sezione (vv. 447-76) è ripartita in quattro
episodi (vv. 447-59; 460-3; 464-7a; 467b-76). Il tema centrale, la battaglia tra il mare e gli Egiziani, è espo-
sto nel primo episodio, e i successivi tre ne mettono in evidenza aspetti particolari: la minacciosa avanzata
delle acque (secondo episodio), il tradimento (terzo episodio) e l’uso delle armi (quarto episodio); si veda
OLSEN 1994, pp. 58-62.
48
Lucas ritiene che il foglio contenesse circa 66 versi, ma osserva che la precisa quantificazione della por-
zione di versi andata perduta risulta problematica, poiché nel codice erano stati lasciati spazi bianchi per le
illustrazioni (ed. LUCAS 1994², pp. 14-15, 131n.).
49
Cfr. FERGUSON 1977, p. 208; ed. LUCAS 1994², p. 132n.; HAUER 1978, p. 246; HALL 1989, pp. 132-3.
L’immagine delle onde alte come montagne ha numerosi paralleli nei testi poetici latini che accennano alla
traversata (HALL 1984, pp. 95-96); si vedano, ad esempio, il De transitu di Avito (… lympharum monte
leuata “… la montagna d’acque sollevate”, V, v. 684; ed. HECQUET-NOTI 2005, p. 230), e la Psychomachia
di Prudenzio (mons rueret pendentis aquae … “la montagna d’acqua sospesa crollò …”, v. 654; ed. CUN-
NINGHAM 1966, p. 173). Cfr. anche le Divinae institutiones di Lattanzio (IV, 10; ed. BRANDT–LAUBMANN
‘Cadet repente gladius e caelo’ 51

sull’immagine delle acque intrise di sangue (blode bestemed, v. 449b; holm heolfre
spaw, v. 450a) segnala efficacemente la conseguenza fatale del ricadere delle muraglie
d’acqua, anche se essa appare più consona a uno scontro fisico tra due eserciti, come
conferma anche il riferimento alle armi (wæter wæpna ful, v. 451a)51. L’espressione
blode bestemed potrebbe però avere un’altra spiegazione ed essere ricondotta al nome
del mare (citato al v. 134b), i cui flutti erano già stati qualificati come reade “rossi”52,
sulla base della etimologia tradizionale che giustificava l’appellativo con il colore delle
acque53.
L’immagine delle onde insanguinate può anche essere stata suggerita al poeta da
una relazione figurale presente già in Agostino e spesso citata nella tradizione patristi-
ca, secondo la quale le acque del Mar Rosso prefigurano il sangue e l’acqua sgorgati
dal fianco Cristo nel compimento del suo sacrificio sulla croce54: come il sangue versa-
to ha determinato la sconfitta del demonio e ha sciolto gli uomini dalla condanna del
peccato originale, così le ‘rosse acque’ hanno annientato il faraone e la sua gente, libe-
rando il popolo eletto dall’oppressione della schiavitù. Questa caratterizzazione delle
acque ritorna anche più avanti nel poema, nel passo in cui gli Ebrei, ormai in salvo sul-
la riva opposta, rievocano il momento cruciale della traversata:

Gesawon hie þær weallas standan, / ealle him brimu blodige þuhton, þurh þa heora beado-
searo wægon (vv. 572b-3)

1890, p. 302), e l’Eptateuco di Cipriano Gallo (vv. 485-6; ed. PEIPER 1881, p. 73). Roberts ritiene che la
genesi della metafora sia da individuarsi in un passo del quarto libro delle Georgiche di Virgilio, dove le
acque si dividono affinché il pastore Aristeo possa raggiungere la dimora sotto le acque della madre Cirene:
… simul alta iubet discedere late / flumina, qua iuuenis gressus inferret, at illum / curuata in montis faciem
circumstetit unda / accepitque sinu uasto misitque sub amnem “… nello stesso tempo alle alte acque ordinò
di dividersi / in modo che il giovane potesse entrare, e quindi, / curvata alla stregua di un monte, lo circondò
l’onda, / l’accolse nell’ampio grembo e lo lasciò procedere sotto la corrente” (IV, vv. 359-62; ed. MYNORS
1990, p. lxxxiv); si veda ROBERTS 1983, p. 75. Alcuni studiosi ritengono invece che beorhhliðe si riferisca
ai monti siti in prossimità del Mar Rosso; cfr. ed. TOLKIEN–TURVILLE-PETRE 1981, p. 69; ed. IRVING 1953,
p. 92.
51
Pur non condividendo la tesi di Vickrey, secondo la quale il poeta avrebbe inteso descrivere un effettivo
scontro tra Ebrei e Egiziani, resta pur vero che le immagini e il lessico di matrice eroica rappresentano il
mare ora come un guerriero ora come un’arma (VICKREY 1972b, pp. 119-40). Risulta però predominante
l’interpretazione degli elementi marziali in termini allegorico-metaforici; Cross e Tucker riconducono infat-
ti questi tratti alla perenne lotta contro il peccato che attende il cristiano dopo il Battesimo (CROSS–TUCKER
1960b, pp. 125-6; cfr. anche GREEN 1981, p. 79). Secondo Earl, la connotazione deriva, invece, dalla scelta
di condensare tutto il ciclo esodico nell’episodio della strage egiziana oppure, secondo una prospettiva tipo-
logica, dalla evocazione dello scontro combattuto da Cristo contro Satana in occasione della Discesa agli
inferi (EARL 1970, pp. 567-9; cfr. anche HELDER 1975, pp. 5-23).
52
Cfr. vv. 295-6: nu se Agend up arærde / reade streamas in randgebeorh “ora che il Signore ha sollevato /
i rossi flutti a scudo di difesa”. Si veda anche il De transitu di Avito (concolor et rubro miscetur sanguine
pontus “il mare mescola al proprio colore il rosso del sangue”, V, v. 693; ed. HECQUET-NOTI 2005, p. 232).
53
Secondo Isidoro, le acque riflettono il caratteristico colore rossiccio della terra circostante (Etymologiae,
ed. Lindsay, XIII, xvii, p. 100). La spiegazione è accolta da Beda (De natura rerum, XLII, PL 190, coll.
261-2), da Rabano Mauro (De universo, XI, 5, PL 111, col. 312), e, qualche secolo più tardi, da Onorio di
Autun (De imagine mundi, I, 46, PL 172, col. 135).
54
Il binomio acqua-sangue è spesso evocato negli scritti patristici; cfr., ad esempio, Agostino, In Iohannis
Evangelium tractatus CXXIV, XI, 4, p. 112; Id., Enarratio in Psalmum LXXX. Sermo, 8, p. 1124; Id., Enar-
ratio in Psalmum CV, 10, p. 1560; Isidoro di Siviglia, Mysticorum expositiones, XIX, 1, PL 83, col. 296;
Aimone di Halberstadt, In omnes Psalmos: In Psalmum CXXXV, PL 116, col. 656.
52 VERONKA SZŐKE

“Avevano [gli Ebrei] allora visto ergersi muraglie55; / tutte intrise di sangue erano parse loro
le acque, attraverso le quali erano passati con le armature”.

La percezione dei flutti come tinti di sangue funge qui da descrittore del sentimento
di terrore provato dagli Ebrei dinanzi al portentoso spettacolo delle onde sospese e cor-
risponde, in senso tipologico, alle paure dell’uomo minacciato, nel suo pellegrinaggio
terreno, dalle tentazioni e dal peccato; la valenza che l’aggettivo assume in questo con-
testo sembra perciò essere quella di ‘sanguinario/ sanguinoso’, piuttosto che di ‘insan-
guinato’. La descrizione del mare che nella rievocazione degli Ebrei appare prematu-
ramente arrossato di sangue potrebbe, infine, essere letta anche in chiave escatologica,
come riferimento a uno degli sconvolgimenti naturali che preludono al Giudizio e alla
ricompensa dei giusti56, prefigurata, in Exodus, proprio dall’approdo degli eletti di Ja-
vhè sulla riva opposta del mare.
Il sostantivo hream (v. 450b) è un efficace esempio di quella molteplice e stratifica-
ta referenzialità che contraddistingue alcuni lemmi impiegati nel poema. Se questo so-
stantivo può designare il concorso di voci e rumori tipico di una scena di battaglia –
come in The Battle of Maldon (v. 106a)57 – esso più spesso è espressione sonora di un
tormento umano o sovra-umano, sia esso il grido di un singolo o il lamento corale di
uno stuolo di individui. In poesia, hream compare in questa seconda accezione soprat-
tutto in riferimento ai gemiti e alle strida dei diavoli58; in prosa, il novero dei referenti è
più ampio, pur rimanendo sempre omogeneo: oltre che per il grido di sofferenza di un
uomo bisognoso d’aiuto59 o di un popolo oppresso60, esso è usato in relazione alle grida
di quanti, dediti in vita ai peccati, comprendono nell’imminenza della morte di essere
votati alla perdizione e si disperano61, come anche in riferimento alle grida scomposte

55
In questo contesto, l’idea di una solidità associata all’acqua ha ascendenze bibliche, ma può essere stata
suggerita anche dalla poetica scaldica, nella quale sono attestate kenningar in cui le onde sono concepite
come scogli che si ergono sulla superficie marina, a sua volta solida (in proposito, si veda MEISSNER 1984,
pp. 92-93).
56
Ap 8, 8; 16, 3.
57
ASPR VI, p. 10. In prosa, il sostantivo ricorre in relazione a scontri che vedono protagonisti avversari
umani (Ælfric, Passio Machabeorum; ed. SKEAT, II, 1966, p. 94, r. 422) oppure soprannaturali, quali, ad
esempio, i demoni che combattono contro gli angeli che guidano l’anima del beato Furseo in cielo (Ælfric,
In letania maiore. Feria tertia; ed. GODDEN 1979, p. 192, r. 72).
58
Si vedano Christ and Satan, v. 715b (ASPR I, p. 158) e Christ I, v. 594b (ASPR III, p. 19). In Beowulf, il
sostantivo hream designa le grida che si levano nella reggia di Heorot quando la madre di Grendel torna per
effettuare la sua vendetta, senza che sia specificato chi le emetta (v. 1302a; ASPR IV, p. 41).
59
Il sostantivo indica il grido del cieco indigente che rivolge la sua richiesta di aiuto a Martino e ai suoi se-
guaci (Ælfric, Depositio sancti Martini; ed. GODDEN 1979, p. 289, r. 28) e il pianto delle vedove e degli
orfani maltrattati che non rimarrà inascoltato da Dio (Ælfric, Exodus, XXII, 23; ed. CRAWFORD 2004, p.
268).
60
Con questo termine viene indicato il lamento degli Ebrei assoggettati dagli Egiziana (Ælfric, Dominica in
media quadragesime; ed. GODDEN 1979, p. 111, r. 44).
61
Hream ricorre in relazione al grido di terrore e di disperazione articolato in punto di morte dall’epulone
Ciriaco (Ælfric, Dominica XI post Pentecosten; ed. CLEMOES 1997, p. 417, r. 206), da Giuliano l’Apostata
(Ælfric, Assumptio Sanctae Mariae Virginis; ibid., p. 437, r. 251), da Datan e Abiran, fautori della ribellio-
ne organizzata contro Mosè e Aronne (Ælfric, De oratione Moysi; ed. SKEAT, I, 1966, p. 298, r. 229, e Nu-
meri, XVI, 34; ed. CRAWFORD 2004, p. 322), nonché dagli abitanti di Sodoma e Gomorra (Ælfric, Genesis
XVIII, 20; XIX, 13; ibid., p. 129 e p. 132).
‘Cadet repente gladius e caelo’ 53

dei dannati per eccellenza, ovvero i diavoli62 e diviene cifra della descrizione dell’am-
biente infernale63 e del mondo nell’imminenza del Giudizio64. Nel contesto di Exodus,
hream risulta, dunque, mirato a evocare sia l’ambito bellico, che da questo momento
acquista crescente importanza, sia l’esemplare negatività attribuita agli Egiziani, equi-
parati ai diavoli. Tale caratterizzazione era già stata poco prima suggerita per mezzo
dell’espressione gastas geomre “infelici spiriti” (v. 448a), locuzione che ricorre, infatti,
in poesia in riferimento alla caduta degli angeli ribelli (Genesis A, v. 69a)65 e alle ani-
me dannate66.
Benché il semi-verso wælmist67 astah (“una foschia mortale si levò”, v. 451b) in-
troduca in scena un nuovo soggetto – e dunque un progresso nella narrazione –, la-
sciando supporre che l’ecatombe si sia ormai consumata, i versi successivi (vv. 452-5a)
tornano sul tema della ritirata degli Egiziani, come se il richiudersi delle acque non a-
vesse già prodotto le sue conseguenze mortali:
Wæron Egypte eft oncyrde, / flugon forhtigende, fær ongeton, / woldon herebleaðe hamas find-
an – / gylp wearð gnornra68 (vv. 452-5a)

“Arretravano gli Egiziani, / fuggivano sgomenti: avevano sperimentato una sciagura. / Avreb-
bero voluto, i pavidi combattenti, tornare a casa; / la loro baldanza si mutò in lamento”.

La drammaticità della situazione emerge anche in virtù di un parallelismo che il poe-


ta instaura, per contrasto, tra la rovinosa fuga degli Egiziani (flugon forhtigende, v.
453a) e la felice traversata poco prima effettuata dagli Ebrei (micel angetrum / eode
unforht “la grande truppa / avanzò intrepida”, vv. 334b-5a).
Che per gli Egiziani non vi sia scampo risulta palese dalla descrizione della duplice
morsa delle acque che senza tregua li incalzano e li imprigionano (a simboleggiare an-
che il loro asservimento al peccato):
Him ongen genap69 / atol yða gewealc70, ne ðær ænig becwom / herges to hame, ac behindan

62
Il sostantivo è utilizzato, ad esempio, in riferimento al demonio che tenta di contrastare l’operato di San
Benedetto (Ælfric, XII. kalendas aprelis. Sancti Benedicti Abbatis; ed. GODDEN 1979, p. 97, r. 181). Si veda
anche l’Omelia attribuita a Wulfstan e intitolata In die iudicii (ed. NAPIER 1967, p. 186, r. 7).
63
Cfr. la quinta e la decima Omelia della raccolta Blickling, rispettivamente Dominica V. in quadragesima e
Þisses middangeardes ende neah is (ed. MORRIS 1967, p. 61, r. 36, e p. 115, r. 15).
64
Il sostantivo rimanda al suono della tromba che, in occasione del Giudizio finale, annuncerà il ritorno di
Cristo (Ælfric, In natale sanctarum virginum; ed. GODDEN 1979, p. 331, r. 121).
65
ASPR I, p. 5.
66
In Soul and Body I (v. 107a) e Soul and Body II (v. 102a), l’anima destinata alla dannazione viene così
definita (cfr. rispettivamente, ASPR II, p. 57, e ASPR III, p. 177). Il sintagma designa, inoltre, le anime li-
berate dall’asservimento al diavolo attraverso il sacrificio di Cristo sulla croce (Elene, v. 182a; ASPR II, p.
71).
67
Un’ulteriore occorrenza del composto si registra in The Fortunes of Men, nella descrizione di una morte
per impiccagione (v. 42a; ASPR III, p. 155); cfr. IRVING 1972, p. 317.
68
Come nota Tolkien, l’emistichio costituisce un esempio di ossimoro (ed. TOLKIEN–TURVILLE-PETRE
1981, p. 70).
69
L’idea dell’oscurità che il verbo genipan evoca ha anche una connotazione escatologica.
70
Analoghi costrutti ricorrono in The Seafarer (atol yþa gewealc “il terribile ribollire delle onde”, v. 6a;
ASPR III, p. 143) e nel Riddle 22 (atol yþa geþreac “la terribile stretta delle onde”, v. 7a; ASPR III, p.
191), a indicare il mare che con il rigonfiarsi dei marosi rende diffcile e pericolosa la traversata. In Beowulf,
54 VERONKA SZŐKE

beleac / wyrd mid wege. Þær ær wegas70 lagon / mere modgode (vv. 455b-9a)

“Contro di loro si addensò / il terribile ribollire delle onde. Nessuno ritornò di quell’esercito /
a casa, ma da dietro li imprigionò / il destino con le onde71. Là dove prima si stendevano sen-
tieri, / il mare avanzava risoluto”.

Il verbo modgian “avanzare; incedere con impeto” ricopre una particolare rilevanza
in questo contesto, poiché consente di aggiungere un ulteriore tratto a quel quadro di
destini contrapposti che il componimento gradualmente sviluppa: mentre gli Ebrei ave-
vano proceduto compatti e decisi sul sentiero asciutto dopo la divisione delle acque
(Æfter þære fyrde flota modgade, / Rubenes sunu “Dopo quella schiera [la tribù di
Giuda] i marinai avanzarono risoluti, / i discendenti di Ruben”, vv. 331-2a), ora il ma-
re si riappropria d’autorità di quei sentieri e, ricadendo, determina la strage. Il colon
che segue – mægen wæs adrenced (“il drappello fu sommerso”, v. 459b) – presenta la
medesima struttura sintattica dell’emistichio di apertura – folc wæs afæred (“il drappel-
lo era atterrito”, v. 447a) – e scandisce la conclusione di questa prima unità di versi con
perfetto e tragico parallelismo72.

La successiva unità (Ib, vv. 460-9a), che ripercorre i temi dell’agonia e della morte
degli Egiziani, si apre con un verso – streamas stodon – di non agevole interpretazione.
Molti studiosi lo considerano un riferimento a un movimento ascendente delle acque,
ovvero alle onde originate dalla ricaduta dei ‘bastioni’ d’acqua73. Questo senso non
sembra in realtà suffragato dal significato proprio del verbo (che vale “stare; stare eret-
to”) quale emerge dalle sue attestazioni in poesia. Gli unici casi in cui esso ha una de-
bole valenza di movimento riguardano due referenti specifici, ovvero la paura (al suo
insorgere o trapelare) e la luce (quando si diffonde nell’oscurità)74. Se per streamas
stodon si vuole, quindi, sposare il senso di un sollevamento delle onde, bisogna suppor-

atol yða geswing “il terribile turbinio delle onde” viene riferito alla dimora acquatica di Grendel (v. 848a;
ASPR IV, p. 27).
70
Il plurale wegas “vie” potrebbe essere riconducibile alla tradizione secondo cui nel Mar Rosso si sarebbe-
ro aperti dodici sentieri, uno per ciascuna tribù d’Israele (MIRSKY 1967, p. 396). Nei commentari patristici
questo dato viene correlato al v. 13 del Salmo 136 (135): Divisit mare Rubrum in partes “Divise il Mar
Rosso in parti”. Irving osserva, tuttavia, che l’idea della pluralità di sentieri contrasta con il resoconto della
traversata in Exodus, secondo cui le tribù procedettero in colonna una dietro l’altra, e ritiene che wegas sia,
più semplicemente, un esempio di plurale poetico (IRVING 1972, p. 309).
71
L’immagine dell’incalzare delle acque è presente anche nel De transitu di Avito (V, vv. 668-70; ed.
HECQUET-NOTI 2005, p. 228): … Pontus fugientibus instat / occurritque sequens: perit undique circumiec-
tus / decurrentis aquae laxatis murus habenis “… il mare insegue i fuggitivi, / e li assale incalzandoli: crolla
da ogni parte, / sciolte le redini; il muro d’acqua precipita”.
72
Questo parallelismo costituisce un esempio di ‘envelope pattern’, modello che Ferguson applica
all’esame dell’intero componimento (FERGUSON 1977, pp. 9-10, 26). Sul suo utilizzo nella poesia inglese
antica, si veda BARTLETT 1966, pp. 9-29.
73
Cfr., ad esempio, la traduzione proposta in OLSEN 1994, p. 58.
74
Bagliori si sprigionano dagli occhi di Grendel al suo ingresso in Heorot (him of eagum stod / ligge gelic-
ost leoht unfæger “dagli occhi si palesò, / simile a fiamma, una luce malefica”, vv. 726b-7; ASPR IV, p.
24). Positivo appare, invece, il propagarsi della luce, sempre descritto attraverso il verbo stod, nella sala
sotto le acque dove Beowulf uccide la madre di Grendel (lixte se leoma, leoht inne stod “brillò la luce, il
chiarore si irradiò”, v. 1570; ASPR IV, p. 48). In The Battle of Finnsburh, il manifestarsi della luce è ricon-
dotto all’azione delle spade, i cui riflessi producono un effetto paragonabile a quello del fuoco (swurdleoma
stod “scintillio di spade si diffuse”, v. 35b; ASPR VI, p. 4).
‘Cadet repente gladius e caelo’ 55

re che il poeta abbia forzato il senso del verbo creando un verso analogo a egesan stod-
on “montò la paura”, riferito allo sgomento che assalì gli Ebrei alla prospettiva di esse-
re raggiunti (vv. 136b e 201b) e al timore di cui sono preda gli Egiziani in balia delle
onde (v. 491b)76. Se, invece, streamas stodon fosse da interpretare sulla base del senso
più comune del verbo, la momentanea immobilità delle onde sospese in alto, dopo che
nei versi precedenti erano state descritte in ricaduta, andrebbe letta non in senso reali-
stico, ma metaforico, ovvero come funzionale a convogliare l’attenzione sulle grida e
sui lamenti degli Egiziani77:

streamas stodon. Storm up gewat78 / heah to heofonum, herewopa mæst; / laðe cyrmdon79 –
lyft up geswearc80 – / fægum81 stæfnum (vv. 460-3a)

“le onde ristettero levate. Un clamore si alzò / alto fino al cielo, gran lamento di guerrieri. / I
nemici inveivano – l’alto cielo si oscurò – / con voci dannate”.

L’enfasi sulla dimensione sonora della scena è subito segnalata dal sostantivo
storm, che parrebbe riferirsi allo sconvolgimento atmosferico causato dal richiudersi
delle acque, ma che designa invece il disperato clamore delle voci umane82, come con-
ferma anche la successiva variazione herewopa mæst “gran lamento di guerrieri” (v.
461b)83. Prima di ritornare sul tema dell’agonia delle schiere nemiche, il poeta accenna

76
Cfr. contesto nota 140. L’espressione ricorre anche in Daniel per descrivere l’insorgere del terrore in Na-
bucodonosor, dopo l’annuncio in sogno del subitaneo rovescio di fortuna che lo attende di lì a poco (v.
524b; ASPR I, p. 126). In Beowulf, essa dipinge lo sgomento dilagante tra i Danesi all’udire l’urlo di Gren-
del ferito (v. 784a; ASPR IV, p. 26). Il sostantivo egesa compare, inoltre, come secondo membro di un
composto, sempre in associazione con il verbo standan, nei poemi Andreas e Elene: nel primo, wæteregsa
stod “il terrore delle acque sorse” fa riferimento al sentimento di timore suscitato in Andrea e nei compagni
dal mare in tempesta, durante il viaggio verso la terra dei Mermidoni (v. 375b; ASPR II, p. 13); in Elene, il
verso hildegesa stod “il terrore della battaglia sorse” apre la descrizione della battaglia che vede coinvolto
l’imperatore Costantino contro i barbari (v. 113b; ASPR II, p. 69).
77
Questa lettura dell’emistichio 460a è accolta in TOLKIEN–TURVILLE-PETRE 1981, p. 70, KOSSICK 1971,
p. 9 e BAMMESBERGER 1986, p. 38.
78
Benché il costrutto gewitan up compaia, con il senso di smorzarsi, subito dopo il verbo standan in The
Dream of the Rood (hwæðere we ðær greotende gode hwile / stodon on staðole, syððan stefn up gewat /
hilderinca “tuttavia noi, piangendo, a lungo là / rimanemmo immobili, dopo che la voce dei soldati si era
smorzata”, vv. 70-72a; ASPR II, p. 63), nel passo in questione esso non può che designare l’intensificarsi di
un suono (ovvero delle grida degli Egiziani), che si leva alto, come chiarisce la successiva locuzione heah
to heofonum “alto fino al cielo” (v. 461a). L’emistichio storm upp aras “un clamore si levò” (parallelo a
storm up gewat) si riferisce, in Andreas, al clamore provocato dai Mermidoni, mentre si apprestano a tortu-
rare l’apostolo Andrea (v. 1236b; ASPR II, p. 37).
79
Il verbo cyrman è sempre usato in riferimento a soggetti dalle connotazioni negative: i diavoli in Guthlac
II (v. 908a; ASPR III, p. 75), i soldati assiri in Judith (v. 270b; ASPR, IV, p. 106), i Mermidoni in Andreas
(v. 138a; ASPR II, p. 6).
80
Il medesimo fenomeno interessa il cielo nell’ora della morte di Cristo in Elene (rodor eal geswearc / on
þa sliðan tid “la volta celeste si oscurò / in quel truce tempo”, vv. 855b-6a; ASPR II, p. 89).
81
Rifacendosi a Gillam, Hauer osserva che fæge è spesso impiegato in relazione a soggetti destinati a mori-
re per annegamento (HAUER 1978, pp. 250-1).
82
Kossick ritiene che storm potrebbe rimandare anche al turbinio delle emozioni che agitano gli Egiziani
(KOSSICK 1971, p. 9).
83
Bright considera, invece, herewopa mæst (v. 461b) come il complemento oggetto di cyrmdon (v.
462a); storm sarebbe, secondo lo studioso, un riferimento alla turbolenza atmosferica, in accordo con la
56 VERONKA SZŐKE

rapidamente all’oscurarsi del cielo (lyft up geswearc “l’alto cielo si rabbuiò”83, v. 462b)
e alle acque tinte di sangue (flod blod gewod84 “il sangue aveva impregnato i flutti”, v.
463b)85, due notazioni che accentuano il carattere apocalittico del contesto.
Con il semi-verso successivo (v. 464a) si ritorna al drammatico movimento delle
acque che aveva determinato la strage e si prosegue poi con la descrizione dell’anne-
gamento degli Egiziani. La desolazione della scena è acuita dallo spettrale silenzio che
cala, dopo tanto fragore:

randbyrig wæron rofene, rodor swipode / meredeaða mæst86. Modige swulton, / cyningas on
corðre. Cyrm87 swiðrode / wæges88 æt ende (vv. 464-7a)

“i bastioni erano crollati, la volta celeste flagellava / la terribile morte per annegamento: i su-
perbi perirono, / i re con le truppe. Il clamore si placò / al limitare dell’acqua”.

L’espressione cyningas on corðre “i re con le truppe” (v. 466a) richiama – per iro-
nico contrasto – l’identico sintagma impiegato nella parte iniziale del poema (v. 191a),
in riferimento ai capi e ai componenti delle truppe egiziane, certi della vittoria e ansiosi
di dare battaglia agli Ebrei. Un’analoga accezione sarcastica è da cogliersi nell’uso
dell’aggettivo sostantivato modige (v. 465b), che ha solitamente una connotazione po-
sitiva, a indicare chi è provvisto di coraggio e determinazione, ma che qui rimanda a un
colpevole eccesso di fiducia nelle proprie forze.
L’interpretazione dei versi 467b-9a (wigbord scinon / heah ofer hæleðum holm-
weall astah, / merestream modig) costituisce un emblematico esempio delle difficoltà
che talora si riscontrano nell’individuazione dei confini semantico-sintattici dei versi. Il
sintagma di valore locativo heah ofer hæleðum “in alto, sopra i guerrieri” (v. 468a) può
infatti riferirsi agli scudi che scintillano sulla superficie delle acque, mentre gli Egiziani
giacciono sul fondo del mare (wigbord scinon / heah ofer hæleðum “gli scudi scintilla-

tradizione secondo cui la distruzione degli Egiziani sarebbe stata accompagnata da una tempesta (BRIGHT
1912a, p. 18).
83
Irving riconduce questa notazione alle Antiquitates Judaicae di Giuseppe Flavio (IRVING 1972, p. 317).
84
Il verbo gewadan è sempre intransitivo, a eccezione dell’espressione wadan wræclastas “percorrere sen-
tieri d’esilio” di The Wanderer (v. 5a; ASPR III, p. 134). Bammesberger propone, pertanto, di interpretare il
verso come flodblod gewod “il sangue a fiotti sgorgò” (BAMMESBERGER 1986, p. 38).
85
Moore rileva una somiglianza con i versi flod blode weol … / hatan heolfre “i flutti ribollivano di sangue
…, / di caldo cruore”, a proposito della descrizione delle acque in cui si svolge lo scontro tra Beowulf e la
madre di Grendel (vv. 1422-23a; ASPR IV, p. 44); cfr. MOORE 1911, pp. 98-99. Anche altrove in Beowulf
ricorre l’immagine delle acque ribollenti di sangue (brim blode fah “l’acqua colorata di sangue”, v. 1594a;
ASPR IV, p. 49; holm heolfre weoll “l’acqua ribolliva di sangue”, v. 2138a; ibid., p. 66).
86
L’immagine che collega la morte per annegamento con il “lambire il cielo”, apparentemente incongrua,
rientra in quell’eccesso di indicatori di movimenti verso l’alto e verso il basso che caratterizza il poema (cfr.
FERGUSON 1977, p. 24).
87
Cyrm “clamore” è un’emendazione rispetto alla lezione cyre “scelta” del manoscritto, non attestata
altrove in poesia (cfr. ed. IRVING 1953, pp. 92-93; ID. 1972, p. 317; ed. LUCAS 1994², p. 133n.). Gli editori
che conservano il dato testuale traducono il semi-verso 466b “la loro scelta diminuì”, per indicare
l’impossibilità degli Egiziani di tornare sui propri passi (cfr. ed. TOLKIEN–TURVILLE-PETRE 1981, p. 71).
88
L’emendazione di sæs (tràdito dal manoscritto) in wæges permette di ristabilire l’allitterazione nel v. 467
(cfr. ed. LUCAS 1994², p. 134n.). Biggs mantiene, invece, la lezione originaria e interpreta l’espressione
come un riferimento alla riva (sæs æt ende “al limitare del mare”). Lo studioso evidenzia che, in alcune
fonti patristiche, tale rimando viene posto in relazione al Giudizio finale (BIGGS 1985, p. 291).
‘Cadet repente gladius e caelo’ 57

vano / in alto, sopra i guerrieri”, vv. 467b-8a)90; ugualmente plausibile è l’attribuzione


del sintagma heah ofer hæleðum al sostantivo holmweall “muraglia d’acqua” (v. 468b)
citato subito dopo (e poi variato dall’espressione merestream modig “il mare impetuo-
so”, v. 469a) con riferimento all’imponenza del bastione d’acqua (wigbord scinon. /
Heah ofer hæleðum holmweall astah, / merestream modig “gli scudi scintillavano. / In
alto, sopra i guerrieri, la muraglia d’acqua si era innalzata, / il mare impetuoso”)91. La
scelta tra quale delle due immagini il poeta abbia inteso evocare è resa vieppiù difficile
dal verbo astigan (che ha per soggetto holmweall), poiché esso può riferirsi sia a un
movimento verso l’alto sia verso il basso92. Se, come comunemente si ritiene, astigan
rimanda al precedente (o a un ulteriore) innalzarsi dei baluardi d’acqua, heah ofer hæleð-
um bene evidenzierebbe la straordinaria portata dell’evento. Se invece il verbo viene
qui utilizzato, come ritengo più probabile, per indicare un movimento di segno contra-
rio, la ricaduta delle acque – ovvero la fine di quella sospensione dei flutti descritta in
apertura del passo, secondo l’interpretazione del verbo stodon che ho poc’anzi esposto
–, l’espressione andrebbe riferita agli scudi, con il senso di: wigbord scinon / heah ofer
hæleðum; holmweall astah, / merestreames modig “gli scudi scintillavano / in alto, so-
pra i guerrieri; la muraglia d’acqua si era abbattuta, / il mare impetuoso”.
Questa seconda interpretazione dei versi conclusivi dell’unità Ib permette di leggere
holmweall astah come un ulteriore esempio di antitesi – così spesso sfruttata dal poeta
sul piano lessicale oltre che su quello dell’intreccio –, che ha lo scopo di contrapporre il
diverso destino delle genti antagoniste: mentre la muraglia d’acqua si era innalzata di-
nanzi agli Ebrei (sæweall astah, v. 302b) per permetterne il passaggio attraverso il ma-
re e la rinascita a nuova vita, essa è poi ripiombata sugli Egiziani, causandone la morte.
L’aggettivo modig “impetuoso” (v. 469a), che di per sé indica il giusto coraggio del
combattente e che poco prima, nella sua forma sostantivata, era stato utilizzato in rife-
rimento all’eccessiva baldanza degli Egiziani, trasferisce tale proprietà sull’elemento
naturale personificato, qui descritto come dotato di volontà propria.
L’attacco dell’unità finale della prima sezione (Ic, vv. 469b-77) ripropone l’agonia
impotente e la misera fine degli Egiziani intrappolati, oltre che dalle acque, dalle loro
stesse armature (Mægen wæs on cwealme / fæste gefeterod93, forðganges nep94, / searw-

90
Cfr. KOSSICK 1971, p. 9.
91
Le edizioni più recenti del poema sposano questa interpretazione dei versi 467b-9 (cfr. TOLKIEN–
TURVILLE-PETRE 1981, p. 15; IRVING 1953, p. 62; LUCAS 1994², p. 134).
92
Tuttavia, il senso di “ricadere”, anche altrove associato a un agente inanimato, è caratteristico della prosa
e non della poesia (cfr. DOE s.v. astigan, II.a.2).
93
Questa formulazione del gravame delle armature richiama l’occorrenza di gefeterian nella versione ingle-
se antica del Salmo 66 (65), 6, passo in cui si glorifica la potenza di Dio capace di mutare il mare in terra-
ferma, con riferimento proprio al Mar Rosso. Il verbo è qui riferito all’azione costrittiva esercitata da Jahvè
sulle acque, allontanate dalla loro sede propria e momentaneamente “imprigionate”, ovvero trattenute: he
mæg onwendan wætera ðryðe, / þæt þas deopan sæ drige weorðað, / and þa strangan mæg streamas
swylce / gefeterian, þæt þu mid fote miht / on treddian eorðan gelice “Egli può mutare le forze delle acque,
/ cosicché il profondo mare diventi secco, / e le potenti correnti in tal modo può mettere in ceppi / in modo
che tu possa calcarle, / come fossero terra” (Psalm 65, v. 5; ASPR V, p. 19 ). Dalla Vulgata emerge spesso
la concezione della creazione come affrancamento delle terre dal predominio delle minacciose acque pri-
mordiali, vinte dal Signore; nel Salmo 104 (103), 7-9, si fa riferimento alle acque che, messe in fuga dal
Creatore, si ritirano nelle sedi loro destinate. In questi termini è rappresentato anche il miracolo del Mar
Rosso nel Salmo 106 (105), 9, ove il mare minacciato dal Signore si prosciuga davanti agli Ebrei. Ancora
58 VERONKA SZŐKE

um asæled95 “L’esercito era decimato, / saldamente avvinto nei ceppi, debole


nell’avanzata, / serrato nelle armature”, vv. 469b-71a), per passare subito dopo a de-
scrivere nuovamente la causa di ciò, dall’insolita prospettiva del fondale che viene di
nuovo ricoperto dalle acque e che, dunque, vede finalmente ristabilito l’ordine naturale
delle cose, così importante per la forma mentis di un poeta anglosassone:

Sand basnodon96 / witodre wyrde, hwonne waðema stream, / sincalda sæ, sealtum yðum, / æ-
flastum gewuna, ece staðulas, / nacud nydboda, neosan come, / fah feðegast, se ðe feondum
gehneop (vv. 471b-6)

“Le sabbie avevano atteso / il destino assegnato, fino a quando la corrente dei marosi, / il ge-
lido mare, con frangenti salmastri, / aduso ai cambi di rotta, agli eterni fondali, / lo snudato
nunzio di sciagura, aveva fatto ritorno, / l’ostile combattente che i nemici aveva schiacciato”.

L’evento è sapientemente sfruttato al fine di dare compiuta espressione alla rappre-


sentazione metaforica del mare prima come arma, poi come guerriero che ha concluso
vittoriosamente la sua missione contro il nemico. Mentre la prima immagine risulta
compressa nell’ermetico appellativo nacud nydboda (v. 475a), di cui ora si tratterà, la
personificazione delle acque è anticipata fin dall’inizio della sezione attraverso l’uso
dei verbi hweop “minacciava” (v. 448b), spow “vomitava” (v. 450a) e modgode “avan-
zava risoluto” (v. 459a), nonché dell’aggettivo modig “impetuoso” (v. 469a).
Nell’unità Ic, ricorrono due espressioni cruciali per il processo di umanizzazione
dei flutti: nacud nydboda “snudato nunzio di sciagura” (v. 475a) e fah feðegast “ostile
combattente” (v. 476a). Il primo dei due appellativi è un hapax – come il precedente
siðboda “nunzio del cammino” (v. 250a) riferito alla colonna di nube – e designa uno
strumento mediante cui Dio interviene a soccorrere il popolo eletto. Il mare nella sua
veste di emissario divino (nydboda) è qualificato da un inconsueto aggettivo, ovvero
nacod “nudo”, che può anche riferirsi a una condizione di povertà materiale97, ovvero a
uno stato di indigenza spirituale derivante dalla perdita del favore e della grazia di

più pregnante è la resa del prodigio nel Salmo 77 (76), 17-20, dove questa vicenda teofanica assume i carat-
teri di una tempesta che fa tremare gli abissi e scuote la terra.
94
Nep costituisce un hapax, il cui significato viene chiarito da Lucas come “indebolito, privo di forze” (ed.
1994², p. 134n.). L’impedimento alla ritirata rappresentato per gli Egiziani dalle acque e dalle armature sa-
rebbe, dunque, espresso nel v. 470b attraverso la litote forðganges nep “debole nell’avanzata” oppure “pri-
vato dell’avanzata” (si veda anche HAUER 1978, p. 254). Su tale hapax, cfr. anche OLSEN 1994, pp. 59-60n.
95
Rendall interpreta, invece, searwum come un avverbio (“abilmente”) e individua due sintagmi paralleli di
ambito poetico: searwum gesæled “abilmente attorti”, riferito ai bracciali che fanno parte del tesoro del dra-
go in Beowulf (v. 2764a; ASPR IV, p. 85), e searwum gebunden “abilmente legato” usato in rapporto
all’apostolo Andrea, prigioniero dei Mermidoni (Andreas, v. 1396b; ASPR II, p. 42); cfr. RENDALL 1974,
pp. 497-512. Il verbo asælan, che si riferisce agli Egiziani imprigionati nelle loro armature, viene talora
impiegato anche per descrivere la morsa di una costrizione dolorosa di tipo spirituale (Genesis A, v. 2197a;
ASPR I, p. 66) oppure del peccato (Elene, v. 1243a; ASPR II, p. 100). Hermann ritiene che il motivo
dell’impossibilità di muoversi riferita agli Egiziani costituisca parte integrante della loro caratterizzazione
come forze demoniache (HERMANN 1989, pp. 64-65).
96
Harbus attribuisce al verbo attestato dal manoscritto, barenodon, un senso passivo e ritiene che
l’emistichio sand barenodon debba essere tradotto come “le sabbie furono scoperte” (citato in OLSEN 1994,
p. 60n.).
97
Cfr., ad esempio, Christ III, vv. 488b e 639b (ed. TRASK 1971, pp. 96, 102).
‘Cadet repente gladius e caelo’ 59

Dio98. Nessuna delle due accezioni – quella concreta e quella traslata – pare qui adat-
tarsi al contesto. Un più calzante parallelo è offerto dal significato che l’aggettivo ha in
Beowulf, dove nacod compare in riferimento alla spada “snudata”, ossia estratta dal fo-
dero99. Analogamente, il riferimento al mare quale nacod nydboda potrebbe essere una
metafora da interpretarsi come ‘snudata arma’ (dove “nunzio di pena” varrebbe ‘ar-
ma’). Se così fosse, il poeta avrebbe inteso qui anticipare, in maniera volutamente am-
bigua, l’immagine dell’arma sfoderata da Dio per compiere il suo disegno retributivo che
riceverà più esplicita elaborazione nella sezione successiva del poema (vv. 492b-5).
Il fatto che in Beowulf ricorra il composto nyðdraca “ostile drago” – anch’esso qua-
lificato come nacod (v. 2273a)100 – permette di istituire un’associazione tra la minaccia
costituita dal mare e quella rappresentata dal drago. Questa lettura appare confortata
dall’occorrenza, in Exodus, del verbo neosan (v. 475b) in relazione al sintagma nacod
nydboda. Accanto a significati più neutri quali “raggiungere, visitare (un luogo)”, esso
può riferirsi, infatti, a un muovere incontro a qualcuno con intenti ostili, ovvero con la
volontà di uccidere o distruggere. In Beowulf, esso ha come soggetto il drago sputa-
fuoco che, per la seconda volta, avanza contro i suoi avversari, Beowulf e Wiglaf (v.
2671b)101. Al verso 475b di Exodus, il ritorno delle acque nella loro sede naturale – cui
allude il verbo neosan – parrebbe da intendersi proprio in questa seconda accezione,
poiché l’impetuoso riflusso è ferale per gli Egiziani. In questo senso, il verbo risulta
equiparabile al latino visitare che, nella Bibbia, indica un intervento di Dio finalizzato
a concedere abbondanza o fertilità102, ma più spesso a infliggere un castigo103.
Gli appellativi del drago nel passo appena citato di Beowulf permettono di dare se-
guito al parallelismo con i versi considerati di Exodus. Il mostro è descritto come di
cangiante luminosità – cui il riverbero delle vampe di fuoco conferisce un accentuato
sfavillio (fyrwylmum fah “fulgido di vampe di fuoco”, v. 2671a) – ed è definito atol
inwitgæst “orribile e malevolo visitatore” (v. 2670a), nonché niðgæst “ostile visitatore”
(v. 2697a). Questa raffigurazione del drago appare interessante poiché anche in Exodus
il composto feðegast (riferito al mare) viene qualificato come fah (v. 476a). Alla luce
della dimostrata predilezione del poeta per l’impiego di un lessico evocativo e multi-
referenziale, la scelta del sostantivo -gast “spirito” come secondo membro del compo-
sto feðegast non appare casuale; dato che “wordplay on the senses of gyst ‘visitor,
stranger’, and gast ‘spirit, soul; demon’ is common in poetry”104, si può ipotizzare che

98
A tale accezione allude l’uso dell’aggettivo in relazione ad Adamo, definito nacod niedwædla “nudo e
misero”, al momento della sua cacciata dall’Eden (Genesis A, v. 929a; ASPR I, p. 31), e a Nabucodonosor,
indicato come nacod nydgenda “nudo mendicante” al suo rientro in società, dopo un periodo di esilio (Da-
niel, v. 632a; ASPR I, p. 129).
99
Beowulf e Breca, durante la gara di nuoto, reggono in mano una spada snudata (swurd nacod) per difen-
dersi dal pericolo dei mostri marini (v. 539a; ASPR IV, p. 18).
100
ASPR IV, p. 71. Il sintagma è usato quale heiti del drago contro cui Beowulf si misura nell’ultimo scor-
cio della sua vita, con riferimento alla sua pelle lucida e liscia.
101
ASPR IV, p. 82.
102
In Genesi, è in seguito alla visitatio divina che Sara concepisce Isacco (21, 1-2). Il sostantivo compare
anche nelle invocazioni che Israele rivolge al Signore auspicando la propria salvezza e rinascita (cfr. Sal 80
[79], 15; Sal 106 [105], 4).
103
Cfr. i passi: Es 32, 34; Lv 26, 16; Is 10, 12; Ger 5, 9 e 29; 9, 9; 14, 10; 25, 12; 44, 13; 50, 18; Os 2, 13; 4,
9; 8, 13; 12, 12; Am 3, 2 e 14.
104
Cfr. DOE ss.vv. gast/gæst e gyst1.
60 VERONKA SZŐKE

l’autore di Exodus abbia inteso caratterizzare il mare quale entità personificata (“spirito
vitale”)105 e, nello stesso tempo, alludere ad esso dalla prospettiva degli Egiziani come
“visitatore nemico”, i.e. ‘guerriero’106, alla stregua del drago in Beowulf107.
Questo gioco di riferimenti incrociati appare sviluppato anche attraverso l’aggettivo
fah/fag, che può significare “lucente” oppure “ostile”, e che in taluni contesti pare as-
sumere entrambe le valenze108. L’aggettivo connota varie specie di mostri serpentifor-
mi per via della qualità della loro pelle, ma più spesso qualifica le armi, in particolare
le spade, evidenziando lo scintillio della lama, esaltato dal processo di damaschinatura.
Nel Psalm 88, v. 37, la connotazione di fag, attribuita a una spada, sembra però sottoli-
neare la pericolosità dell’arma piuttosto che la sua lucentezza. Qui, infatti, si descrive
un Dio in collera che volta le spalle al popolo di Israele, infedele al patto sinaitico, e lo
condanna a una serie di rovesci militari. Nella Vulgata, l’incapacità degli Ebrei di agire
efficacemente contro i nemici è condensata nel versetto avertisti aciem gladii eius “hai
distolto il filo della sua [di Israele] spada”, che viene reso in inglese antico come fultum
þu him afyrdest fagan sweordes “tu hai privato loro [gli Israeliti] del sostegno della
spada ostile”109, ovvero ‘hai vanificato l’efficacia delle loro armi’. Questo significato
sembra predominante anche in Exodus, se si privilegia per feðegast (il mare) il senso di
combattente che schiacchia i nemici (se ðe feondum gehneop110, v. 476b), che pare con-
fortato dalla presenza, nel verso precedente, del sintagma nacud nydboda: i due appel-
lativi concorrerebbero dunque a saldare insieme l’immagine del guerriero e quella della
spada.
Il verso conclusivo dell’unità (wæs seo hæwene lyft heolfre geblanden “era l’aria
azzurra mescolata di sangue”, v. 477), che estende innaturalmente all’aria lo stravolgi-
mento cromatico subìto dalle acque in conseguenza dell’eccidio egiziano, veicola
un’immagine di tragica saturazione, che efficacemente riassume e amplifica la portata
della carneficina.

105
Cfr. DOE s.v. gast dove, al numero 13, sono riportate alcune attestazioni di questo sostantivo in relazio-
ne a fenomeni naturali personificati (fuoco, gelo, tempesta).
106
In questo caso, -gast rappresenterebbe una variante, non altrove attestata, del sostantivo gyst “visitatore,
straniero” (cfr. DOE ss. vv. gast/gæst e gyst1). Olsen considera, invece, il composto feðegast come una va-
riante di feðegest, attestato in Andreas, e lo traduce come “lo straniero che avanza a piedi” (cfr. OLSEN
1994, p. 61n.).
107
Questa interpretazione trova riscontro nelle occorrenze di feðegyst in Beowulf e in Elene, dove esso desi-
gna guerrieri di ritorno da una spedizione. In Beowulf, il sostantivo indica l’eroe geata e il suo seguito al
loro rientro in patria (v. 1976a; ASPR IV, p. 61). In Elene, i feðegesta sono i soldati che tornano in città
dopo avere ritrovato la croce sulla quale morì Cristo (v. 844b; ASPR II, p. 89); cfr. DOE s.v. feþegyst.
108
Cfr. DOE s.v. fag/fah. Antonette diPaolo Healey cita altri passi poetici in cui l’aggettivo fag⁄fah è ambi-
valente, poiché pare veicolare sia il significato di “ostile” sia quello di “scintillante; di colore cangiante”,
come in Genesis A, dove il serpente tentatore è descritto come fah wyrm “ostile/luccicante serpe” (v. 899a;
ASPR I, p. 30); fah feondscaða “ostile/luccicante contendente” è il sintagma che designa uno dei mostri
marini affrontati da Beowulf durante la gara con Breca (v. 554a; ASPR IV, p. 19); si veda HEALEY 2006,
pp. 85-86.
109
ASPR V, p. 59.
110
Gehneop rappresenta un’emendazione rispetto alla lezione originale geneop e appare parallelo al verbo
ahneop “colse” (un hapax presente in Guthlac II, v. 847b; ASPR III, p. 73). Per il verbo inglese antico
*hneopan si può ipotizzare il significato di “schiacchiare” (cfr. ed. LUCAS 1994², p. 135n).
‘Cadet repente gladius e caelo’ 61

2.2. Exodus, vv. 478-515: il Deus percutiens e i suoi strumenti

La sezione successiva (vv. 478-515) – che, come la precedente, può essere ulteriormen-
te suddivisa in tre unità
–– vv. 478-483 (IIa)
–– vv. 484-500a (IIb)
–– vv. 500b-515 (IIc)111
– svela gradualmente l’artefice primo della disfatta egiziana, il bellicoso Jahvè, senza
però rinunciare a quello stile drammaticamente allusivo ed ellittico che fino a questo
momento ha contraddistinto la narrazione: i versi descrivono ma non spiegano, anzi, a
volte volutamente confondono soggetto e oggetto, e la polivalenza dei verbi impiegati
alimenta l’equivoco e la possibile confusione dei piani d’azione, degli agenti e delle
vittime. Se nella prima sezione il mare è protagonista della scena, nella seconda Dio si
sostituisce alle acque quale soggetto dei numerosi verbi di distruzione che costellano la
narrazione; alla stregua dei marosi, Egli impazza, travolge, colpisce e infine decide
l’esito della battaglia. La parte conclusiva della sezione è caratterizzata da un muta-
mento di stile: la voce narrante rivisita la drammatica catena di eventi in chiave esem-
plare, perché gli uomini traggano insegnamento dalla punizione degli Egiziani e siano
consapevoli del fatto che chiunque presuma di sfidare il Signore e di competere con lui
o di ostacolarne i progetti verrà inesorabilmente punito.
L’immagine della divinità che si staglia in questi versi di Exodus rientra pienamente
nei canoni vetero-testamentari, dove il binomio colpa-castigo spesso informa gli eventi,
come anche nella caratterizzazione del Cristo-Giudice della fine dei tempi. Il ciclo di-
namico costituito da peccato, conseguente castigo e riconciliazione è parte integrante
del piano divino il cui fine ultimo è la salvezza dell’umanità. Questo rapporto costante
tra trasgressione e punizione spiega le numerose teofanie che vedono l’irrompere di
Dio nella storia, non solo in veste di giudice ma talvolta anche di esecutore della pro-
pria sentenza di condanna e persino di guerriero vendicatore delle ingiustizie e
dell’empietà112. Quando l’intervento punitivo di Dio si esplica nel tessuto spazio-
temporale delle vicende umane, esso è accompagnato da grandi cataclismi; Jahvè –
connotato da antropomorfismi quali l’ira e lo sdegno113 – scatena manifestazioni mete-
orologiche violente, tempeste e uragani dai devastanti effetti114, e si serve di armi di

111
Olsen ritiene che si possano enucleare cinque episodi all’interno della seconda sezione, nella quale
l’epilogo della traversata è rappresentato come un conflitto armato tra Dio e gli Egiziani. Il primo (vv. 477-
81) sposta l’attenzione dal mare a Dio, il quale nei successivi tre episodi assurge poi al ruolo di protagonista
(vv. 482-3; 484-92a; 492b-500a). I versi conclusivi della sezione (vv. 500b-15), oltre a riproporre una sinte-
si dell’evento, offrono una riflessione sulla causa della punizione assegnata agli Egiziani (OLSEN 1994, pp.
64-70).
112
Lo Jahvè guerriero campeggia in numerosi Salmi, nei quali il suo intervento è spesso invocato
dall’orante per sconfiggere i propri nemici (cfr. 3, 8; 17 [16], 13-14; 35 [34], 1-3).
113
In ambito vetero-testamentario, a Dio è talora attribuito il sentimento dell’ira, scatenato dalle ingiustizie
e dalle empietà perpetrate dall’uomo (cfr. il Sal 7, 12 e Is 5, 25; 13, 9-10 e 13).
114
Questi eventi epifanici contraddistinguono la profezia in cui viene annunciata la distruzione di Gerusa-
lemme e il successivo intervento di Dio per punire i suoi nemici (Is 29, 6). Ancora più plastica appare la
rappresentazione dell’operato di Jahvè a favore dell’orante in pericolo nel Salmo 18 (17), dove la manife-
stazione divina produce movimenti tellurici (v. 8) e tempeste (vv. 14-15). Si vedano anche i Salmi 83 (82),
16, e 97 (96), 4.
62 VERONKA SZŐKE

portata cosmica quali il fuoco115 e l’acqua per portare a compimento il suo disegno,
come è bene esemplificato anche in Exodus.

L’unità IIa (vv. 478-83) si apre con una delle tante formulazioni attraverso le quali
nel poema ci si riferisce alle onde in tumulto; inaspettatamente, però, i versi iniziali
non fanno riferimento all’annegamento degli Egiziani, bensì alla traversata degli Ebrei,
alludendo alla drammaticità di alcuni dei suoi momenti, in particolare, all’inquietante
sospensione delle acque e allo sgomento provocato dalla prospettiva di essere inseguiti
dagli Egiziani attraverso il sentiero marino116:
Brim berstende blodegesan hweop / sæmanna sið, oðþæt soð Metod / þurh Moyses hand mod
gerymde / wide wæðde, wælfæðmum sweop (vv. 478-81)

“L’oceano tumultuante aveva minacciato di cruento orrore / il viaggio dei naviganti, finché il
vero Ordinatore / per mano di Mosè il proprio impeto manifestò / impazzando per ogni dove e
travolgendoli [gli Egiziani] con ferali colpi”.

Il sostantivo sæmen “naviganti” è da interpretarsi infatti, con ogni probabilità, come


un riferimento agli Ebrei, il cui cammino attraverso il deserto già precedentemente era
stato presentato come un viaggio per mare117. La formulazione oðþæt soð Metod / þurh
Moyses hand mod gerymde118 / wide wæðde, wælfæðmum sweop, se interpretata come
una subordinata temporale, lascia presumere che il poeta miri a una ricercata sovrappo-
sizione tra Dio e il mare: soð Metod, Jahvè, è il soggetto grammaticale della frase, ma
le azioni designate dai verbi wæðan “impazzare; inseguire; cacciare” e swapan “spaz-

115
Cfr. i Salmi 11 (10), 6; 21 (20), 10, e 97 (96), 3.
116
Questa interpretazione è sostenuta in numerosi studi; si vedano, ad esempio, TRASK (1973, p. 296) e
IRVING (1974, pp. 219-20). Benché i versi brim berstende blodegesan hweop / sæmanna sið “l’oceano tu-
multuante aveva minacciato di cruento orrore / il viaggio dei naviganti” (vv. 478-9a) possano apparire una
ripresa della precedente minaccia del mare nei confronti degli Egiziani – geofon deaðe hweop “il mare mi-
nacciava morte” (Ia, v. 447b) –, è improbabile, sul piano logico, che il poeta si riferisca qui agli inseguitori.
È interessante notare che un sentimento di angoscia è evocato anche in relazione alla colonna di fuoco; ap-
parsa per rischiarare le tenebre del deserto, essa può trasformarsi in una minaccia per gli Ebrei qualora essi
non obbedissero a Mosè (ed. LUCAS 1994², p. 135n).
117
In Exodus, il sostantivo sæmen ricorre, in riferimento agli Ebrei, anche al v. 105b, ove si afferma che essi
foron flodweg “viaggiarono sul mare” (v. 106a), benché il viaggio avvenga nel deserto e le rive del Mar
Rosso siano ancora lontane. La centralità delle immagini legate alla navigazione è confermata anche dalla
presenza di altri sinonimi di sæmen, ovvero flotan “naviganti” (vv. 133a, 223a, 331b) e sæwicingas “avven-
turieri del mare” (v. 333a), che rimandano anche alla simbologia della Chiesa come nave e dei fedeli come
marinai in rotta verso la patria celeste. L’enfasi su questo ambito semantico è funzionale, inoltre, ad accen-
tuare la contrapposizione degli Ebrei agli Egiziani, i landmenn “gente di terra” (v. 179b), i quali hanno con-
tinuato a coltivare, con ostinazione, le loro false credenze. In questa scelta metaforica, Cucina individua un
punto di contatto tra Exodus e The Seafarer, in cui il navigante costituisce il tipo del viator cristiano, il qua-
le facendo fronte alle insidie e ai pericoli del mare compie il difficile percorso che conduce verso la dimora
eterna (CUCINA 2008, pp. 200-1).
118
La ripresa del verbo geryman (già utilizzato al v. 284b in riferimento alla divisione delle acque – holm
gerymed “il mare dischiuso”) pare avere la funzione di opporre la sorte infausta degli Egiziani a quella fau-
sta degli Ebrei. In un simile contesto compare il verbo anche in Andreas, quando all’apostolo si apre una
strada asciutta dopo l’inondazione promossa da Dio per punire i Mermidoni (vv. 1579b-80; ASPR II, p. 47):
him wæs gearu sona / þurh streamræce stræt gerymed “tosto per lui venne prontamente, / attraverso il corso
delle acque, liberata la strada”.
‘Cadet repente gladius e caelo’ 63

zare via, travolgere” si adattano, infatti, ugualmente bene alle acque119. Ritengo meno
plausibile, invece, la proposta di lettura secondo la quale i versi oðþæt soð Metod /
þurh Moyses hand mod gerymde costituirebbero un inciso e i due verbi wæðan e swap-
an avrebbero come soggetto il sostantivo brim “oceano”.
Al di là delle occorrenze di swapan in riferimento a un agente naturale, ovvero il
vento120, alcune sue attestazioni appaiono particolarmente rilevanti alla luce del passo
in esame, in quanto in esse il verbo concorre, come in questo caso, a costruire il ritratto
di un Giudice divino. Nel poema Christ III, Cristo al Giudizio farà precipitare i demoni
negli abissi infernali agitando minacciosamente la spada della vittoria:
Swapeð121 sigemece mid þære swiðran hond / þæt on þæt deope dæl deofol gefeallað / in
sweartne leg, synfulra here, / under foldan sceat, fæge gæstas, / on wraþra wic, womfulra
scolu, / werge to forwyrde on witehus, / deaðsele deofles (vv. 664-70a)

“Agiterà la spada della vittoria con la mano destra / cosicché nel profondo baratro i diavoli
cadranno, / nell’oscura fiamma, la schiera dei peccatori, / sotto la superficie della terra, le a-
nime dannate, / nella dimora dei malvagi, la ciurma dei maligni, / destinata alla dannazione
nella casa della pena, / nella mortifera sala del demonio”.

Simile è il contesto in cui il verbo compare in Solomon and Saturn I, dove la lettera
‘p’ del Pater Noster è descritta alla stregua di un guerriero, il quale: hafað … gyrde
lange, / gyldene gade, and þone grymman feond / swiðmod swapeð “ha … una lunga
mazza, / dal puntale dorato, e il crudele nemico / colpisce intrepido” (vv. 90-92a)122.
Quanto a wæðan (v. 481a), anch’esso partecipa della duplicità referenziale di swapan,
poiché in poesia può ugualmente riferirsi a un soggetto animato o a un agente atmosfe-
rico123. Questa fusione tra la manifestazione del Signore e il fenomeno naturale che ne
accompagna la teofania – nel nostro caso l’infuriare delle acque – trova già un suo an-
tecedente nella fonte biblica (Es 14, 27), dove proprio in relazione all’azione punitiva
di Dio nei confronti degli Egiziani ricorre il verbo involvere, che propriamente fa rife-
rimento all’azione delle acque (… involvit eos Dominus in mediis fluctibus “… Il Si-
gnore li travolse così in mezzo al mare”)124.

Sebbene l’Artefice della tempesta sia presente fin dall’inizio della seconda sezione,
come rivela l’appellativo soð Metod “vero Ordinatore” (v. 479b), il suo operato è dap-
prima mediato dal riferimento alla mano di Mosè attraverso la quale Egli agisce. Il co-
strutto strumentale þurh Moyses hand “per mano di Mosè” (v. 480a), che in questo
contesto prelude a un atto punitivo, richiama – per contrasto di esito – il gesto che ave-
va determinato la divisione del Mar Rosso, aprendo la via della salvezza agli Ebrei. In
quel caso, particolare enfasi era stata posta sulla mano destra di Mosè, che con la verga
aveva colpito gli abissi (vv. 280-1). La rilevanza di tale azione nel poema risalta dal
119
Cfr. ed. LUCAS 1994², p. 136n.
120
The Meters of Boethius 7, vv. 18-20a (ASPR V, p. 160).
121
Nella variante con prefisso, forswapan, il verbo compare in Genesis B, dove indica l’atto di Dio di spaz-
zare via gli angeli ribelli relegandoli all’inferno (v. 391a; ASPR I, p. 15), e in Beowulf, dove Hrothgar de-
scrive così il destino che ha travolto molti suoi guerrieri per mano di Grendel (v. 477b; ASPR IV, p. 16).
122
Ed. MENNER 1973, p. 86.
123
Elene, v. 1273a (ASPR II, p. 101).
124
Cfr. ed. LUCAS 1994², p. 137n.
64 VERONKA SZŐKE

confronto con la fonte biblica, dove l’atto di stendere la mano sulle acque, compiuto da
Mosè dietro comando di Dio, è semplice premessa dell’intervento di Jahvè, il quale per
una notte intera fa soffiare il vento allo scopo di risospingere le acque. In Exodus, inve-
ce, la divisione dei flutti segue immediatamente al colpo e solo successivamente – e
senza conferirvi l’importanza assegnatagli dalla Vulgata – compare il riferimento al
vento meridionale125.
Riguardo l’uso accorto che il poeta fa delle varie forme di parallelismo, si può rile-
vare come anche in un altro passo di Exodus venga menzionata la mano di Mosè senza
che vi sia corrispondenza nella fonte. Nel discorso di incitamento rivolto al suo seguito,
prima di operare il miracolo, il condottiero aveva anticipato la sorte degli Egiziani at-
traverso le parole: ‘him eallum wile / mihtig Drihten þurh mine hand / to dæge þissum
dædlean gyfan’ “‘a tutti loro / il potente Signore per mia mano / oggi assegnerà la ri-
compensa’” (vv. 261b-3); nella parte conclusiva dell’orazione, la protezione degli eletti
era stata affidata alla mano di Dio (‘mid þære miclan hand’ “‘con la potente mano’”, v.
275b), mano che – nell’unità IIb – si abbatterà sugli Egiziani sancendone
l’annientamento (se Mihtiga sloh / mid halige hand “il Potente colpì / con la santa
mano”, vv. 485b-6a)126.

Nel finale dell’unità IIa la descrizione del ricadere delle acque ha toni scopertamen-
te apocalittici e continua il parallelismo tra il giudizio assegnato agli Egiziani e il Giu-
dizio finale:
flod famgode (fæge crungon), / lagu land127 gefeol – lyft wæs onhrered (vv. 482-3)

“il mare ribolliva, i predestinati perivano, / il mare ricadeva sulla terra, il cielo era sovvertito”.

In questo senso, il verso lagu land gefeol “l’acqua ricadeva sulla terra” (v. 483a)
funge da parallelo all’inondazione della terraferma che precederà il Giudizio128, secon-
do una tradizione attestata anche in altri poemi anglosassoni quali Solomon and Saturn
II129 e Judgment Day I; in quest’ultimo, dopo che l’avvento dell’Apocalisse è stato fat-
to coincidere con un nuovo diluvio (ðæt gelimpan sceal, þætte lagu floweð, / flod ofer
foldan. Feores bið æt ende / anra gehwylcum “accadrà che l’acqua inonderà, / il mare

125
Si veda contesto nota 33.
126
Come osserva Irving, nei Salmi sono numerosi i riferimenti alla mano di Dio, a simboleggiare la prote-
zione da Lui accordata agli uomini oppure il castigo a loro inflitto (IRVING 1972, p. 309).
127
Il termine lagu, che può rivestire il significato generico di “acqua”, ma anche quello più specifico di
“mare”, ricorre spesso, come in questo caso, insieme ai sostantivi land “terra” e lyft “aria” a formare un co-
strutto formulare (DOLCETTI-CORAZZA 1986, pp. 474-5).
128
A proposito dei segni che precederanno la Parusia, i Vangeli menzionano il timore degli uomini che si
scatenerà all’insorgere di un fragore provocato dall’eccessivo sommovimento delle acque (Lc 21, 25).
Menner ricollega l’alluvione della fine dei tempi al Libro dell’Apocalisse di Esdra, ma osserva che questa
manifestazione entra a far parte stabilmente dei quindici segni del Giudizio solo dopo l’XI secolo (MENNER
1973, p. 131).
129
Cfr. vv. 314-7 (ibid., 95): Sona bið gesiene siððan flowan mot / yð ofer eall lond, ne wile heo awa ðæs /
siðes geswican siððan hire se sæl cymeð / ðæt heo domes dæges dyn gehiere “Presto si manifesterà [il Giu-
dizio], quando l’onda su tutta la terra si abbatterà; né mai / muterà il suo corso quando il tempo giungerà / e
il clamore del giorno del Giudizio si farà sentire”.
‘Cadet repente gladius e caelo’ 65

la terra. La vita avrà termine / di ciascun essere”, vv. 1-3a130, l’immagine viene ulte-
riormente sviluppata mediante un riferimento al wætres sweg “il fragore dell’acqua” (v.
38b)131 che dominerà il mondo della fine dei tempi. Anche il verso lyft wæs onhrered
“il cielo era sovvertito” (483b) richiama un altro segno della fine dei tempi132 ed è
strutturato, dal punto di vista sintattico-grammaticale, come gli emistichi iniziale e fi-
nale dell’unità Ia (folc wæs afæred “il drappello era atterrito”, v. 447a; mægen wæs a-
drenced “il drappello fu sommerso”, v. 459b).
La manifestazione della punizione divina riceve una trattazione ancora più incisiva
nell’unità IIb (vv. 484-500a), i cui primi versi instaurano uno stretto nesso causale tra
lo sgretolarsi delle muraglie d’acqua e l’operato di Jahvè:

Wicon weallfæsten, wægas burston, / multon meretorras, þa se Mihtiga sloh / mid halige
hand, heofonrices Weard, / werge beornas, wlance ðeode. / Ne mihton forhabban helpendra
pað / merestreames mod, ac He manegum gesceod / gyllende gryre (vv. 484-90a)

“I bastioni cedettero, le onde si squarciarono, / le torri d’acqua si disgregarono quando il Po-


tente colpì, / il Guardiano del regno dei cieli, con la santa mano, / i guerrieri dannati, la super-
ba gente. / Non poterono arginare il corso delle [acque] soccorritrici, / l’impeto del mare, ben-
sì Egli molti distrusse / con terribile strepito”.

Il passo presenta non pochi problemi ecdotici, che scaturiscono, in parte, dalle diffi-
coltà legate all’interpretazione del v. 487 (werbeamas wlance ðeode). Se appare chiaro
che il ricadere delle acque è concatenato all’azione di Dio, non risulta, infatti, facile de-
terminare il significato del sostantivo che funge da complemento oggetto del verbo
sloh, ovvero werbeamas; l’emistichio è lacunoso nel manoscritto e werbeamas costitui-
sce un hapax dal significato oscuro. Mediante l’emendazione wærbeamas si ottiene un
senso che potrebbe essere plausibile nel contesto, ovvero “pilastri dell’alleanza”, meta-
fora da riferirsi alle muraglie d’acqua133. Tale soluzione ha il vantaggio di continuare i
parallelismi tra il passo relativo alla divisione delle acque e quello riguardante il loro

130
Ed. ANDERSON 1986, p. 190.
131
Ibid., p. 192. Il tema del mare tumultuante, fonte di terrore per l’umanità, compare tra i segni precorritori
del Giudizio anche in Judgment Day II (vv. 102-3, ed. CAIE 2000, p. 90): se egeslica sweg ungerydre sæ /
eall manna mod miclum gedrefeð “il tremendo fragore del mare tumultuante / lo spirito di tutti gli uomini
turberà profondamente”. L’assenza del rumore delle acque contraddistingue, invece, la descrizione delle
gioie celesti nell’Omelia Dominica V. in quadragesima (ed. MORRIS 1967, p. 65, r. 19). In proposito, si ve-
da CAIE 1976, pp. 104-5.
132
L’espressione ricorre anche in un Sermone anonimo, sempre a proposito dei segni del Giudizio; lyft biþ
onhrered “il cielo sarà sovvertito” (ed. FÖRSTER 1913, p. 132). Analoga formulazione si ritrova in Christ II,
nel contesto della Parusia: rodor bið onhrered “la volta celeste sarà sovvertita” (v. 825b; ASPR III, p. 26).
133
Blackburn propone l’integrazione dell’emistichio 486b con il sostantivo God “Dio” in sostituzione di
Weard “Guardiano”, che viene attribuito all’emistichio successivo (Weard werbeamas “Guardiano del pila-
stro protettivo” (ed. 1907, p. 59), interpretazione accolta in un primo tempo anche da Irving [ed. IRVING
1953, p. 94]). Robinson respinge questo drastico intervento editoriale e interpreta wer- come variante di
wær, nome poetico per “mare”, integrando il semi-verso 487a con il verbo wearp “abbatté” (“Il Guardiano
del regno dei cieli / abbatté i pilastri del mare”, vv. 486b-7a); cfr. ROBINSON 1962, pp. 368-70. In un secon-
do tempo, Irving ha riconsiderato questa sezione di versi optando per la soluzione proposta da Robinson
(IRVING 1972, pp. 318-9), seguito da Hauer (ID. 1978, pp. 259-61). Poco plausibilmente, invece, Green
completa l’emistichio 487a con mid, traducendolo come “con i pilastri del mare”, espressione che
cosituirebbe una variazione rispetto a mid halige hand “con la santa mano”. Lo studioso considera il
sintagma wlance ðeode “superba gente” come il complemento oggetto di sloh (GREEN 1981, p. 76).
66 VERONKA SZŐKE

richiudersi, poiché i vv. 485b-7a ricalcherebbero quelli in cui si fa riferimento al fen-


dersi delle acque: mentre il colpo inferto da Mosè con la mano destra aveva determina-
to la divisione dei flutti e il loro ergersi alla stregua di baluardi difensivi (yð up færeð,
ofstum wyrced / wæter on wealfæsten “il mare si innalza, tosto si trasforma / l’acqua in
baluardo”, vv. 282-3a), il colpo inflitto ora dalla santa mano di Dio ha come conse-
guenza la disgregazione di quegli stessi ‘bastioni’.
Tuttavia, l’emendazione wærbeamas non ovvia alla lacuna metrica. A tale esigenza
viene, invece, incontro la lezione werge beornas (“guerrieri dannati”), proposta per
primo da Holthausen e accolta da Lucas, il quale osserva che – sulla base della legge di
Kuhn – wlance ðeode (“superba gente”, v. 487b), variazione di werge beornas, può
fungere da complemento oggetto del verbo sloh (v. 485b), ma non da soggetto di mih-
ton forhabban “poterono trattenere” (v. 488a)134. Il significato del verso sarebbe, dun-
que, che le acque ricaddero quando Dio volle punire gli Egiziani, senso consono con
l’interesse del poeta per il tema del castigo. A conforto dell’ipotesi che siano qui gli
Egiziani il complemento oggetto del verbo percutere (slean, qui coniugato al preterito,
sloh) si può addurre anche il fatto che nella Vulgata si utilizza proprio questo verbo in
riferimento all’uccisione dei primogeniti egiziani135, come pure allo sterminio delle
truppe del faraone rievocato nel Cantico di Mosè136.

L’aggettivo wlanc (v. 487b), che nella parte iniziale del poema aveva colto la bal-
danza delle truppe egiziane in orgogliosa avanzata contro gli Ebrei (wlance þegnas /
mæton milpaðas meara bogum “i superbi guerrieri / passavano per le vie sui loro caval-
li”, vv. 170b-1), ora mette in luce la causa della loro rovina: coloro che, per sconfinato
orgoglio, avevano osato contrastare la volontà di Dio, ora sono in balia delle acque, de-
finite dalla prospettiva degli Ebrei helpendra pað137 “il corso delle [acque] soccorritri-
ci”138 (v. 488b), kenning che allude all’aiuto che le acque hanno poc’anzi prestato agli
Ebrei, consentendo loro di mettersi in salvo.
La metafora del mare – prezioso alleato degli Ebrei – viene variata, al verso succes-
sivo, da un’espressione che ugualmente accentua la personificazione delle acque: mere-
streames mod (v. 489a) indica, infatti, quel potente agire dei flutti contro cui nulla pos-
sono gli Egiziani e richiama, dunque, l’analogo impeto (mod) che Dio aveva prima

134
Cfr. ed. LUCAS 1994², pp. 136-37n. Si veda anche ed. TOLKIEN–TURVILLE-PETRE 1981, p. 73.
135
In numerosi luoghi biblici compare il verbo percutere proprio in relazione alla decima piaga; cfr. Es 12,
12 e 29; Nm 3, 13; 8, 17; 33, 4; Sal 78 (77), 51; 105 (104), 36; 135 (134), 8; 136 (135), 10. Nei Salmi, il
verbo designa il castigo inflitto da Dio ai re che Israele ha dovuto fronteggiare nel prendere possesso della
Terra di Canaan; cfr. 135 (134), 10-11 e 136 (135), 17-18.
136
Es 15, 6: Dextera tua, Domine, magnificata est in fortitudine: Dextera tua, Domine, percussit inimicum
“La tua destra, Signore, terribile per la potenza, la tua destra, Signore, annienta il nemico”. Come si evince
anche da altri luoghi biblici, percutere è un verbo che ricorre spesso nell’Antico Testamento a indicare gli
interventi della divinità nel tessuto della storia umana con l’obiettivo di giudicare e castigare Israele – venu-
to meno ai dettami scaturiti dall’alleanza (Es 32, 35; Lv 26, 24; 1 Re 14, 15; 1 Cr 21, 7; Ger 5, 3) – oppure i
suoi nemici (Zc 14. 18). Il gesto retributivo cui il verbo rimanda può concretizzarsi mediante ‘piaghe’ rap-
presentate da mali fisici, disastri e calamità naturali oppure da guerre intrastoriche. Sulla guerra come mani-
festazione dell’ira divina, si veda MIGGELBRINK 2005, pp. 17-19.
137
Pað costituisce probabilmente una variante analogica di pæð. In passato, non sono mancate drastiche
proposte di emendazione del colon 488b; cfr., ad esempio, STANLEY 1985, pp. 243-4.
138
Recentemente è prevalsa la tendenza a mantenere il dato testuale, interpretando helpendra come un
genitivo riferito alle onde (“delle soccorritrici”).
‘Cadet repente gladius e caelo’ 67

manifestato (mod gerymde, v. 480b). Subito dopo, l’impiego del pronome he quale
soggetto del verbo gesceod (he manegum gesceod / gyllende gryre “esso/Egli molti di-
strusse / con strepito di terrore”, vv. 489b-90a) introduce nel tessuto sintattico un ulte-
riore esempio di ambiguità su chi il poeta intenda quale agente: da un punto di vista
grammaticale, esso parrebbe riferirsi al sostantivo maschile che precede, ossia pað
“corso; sentiero” (v. 488b), ma sul piano logico esso potrebbe riconnettersi a se Miht-
iga “il Potente” menzionato qualche verso prima (v. 485b). La situazione ricorda il
Salmo 42 (41), in cui lo sdegno divino trova espressione attraverso i marosi che di-
struggono l’uomo colpevole di essere venuto meno all’impegno assunto con Jahvè e di
avere indurito il cuore al messaggio della salvezza139.

I successivi versi (vv. 490b-2a) propongono una nuova variazione sul tema del mo-
numentale sommovimento delle acque e del conseguente terrore degli Egiziani (gar-
secg wedde, / up ateah, on sleap – egesan stodon –, / weollon wælbenna140 “l’oceano
infuriava, / in alto si levava, giù ricadeva – il terrore si perpetuava – / i ceppi mortali
ribollivano”) e fungono da preludio alla esplicitazione del ruolo di Dio quale promoto-
re della strage. I versi che seguono in posizione centrale nell’unità IIb introducono in-
fatti, in connessione con il castigo inflitto al faraone e al suo seguito, una novità icono-
grafica degna di essere discussa.
Il passo in questione si apre con una delle più ardue cruces del poema, ovvero
l’hapax witrod (v. 492b), intorno al quale ruota il senso dell’enunciato. Esso compare
in associazione con gefeol “cadde” e può configurarsi sia come soggetto sia come
complemento di moto a luogo nel contesto del controverso passo witrod gefeol / heah
of heofonum handweorc Godes, / famigbosma (vv. 492b-4a), per il quale si cercherà di
proporre, tra breve, un’adeguata interpretazione. Quanto al significato intrinseco del
sostantivo, anch’esso discusso, mi sembra convincente l’ipotesi, recentemente ripropo-
sta da Hill con solide argomentazioni, che witrod sia da intendersi come “bastone del
castigo”141: esso rappresenterebbe, cioè, un nuovo strumento, dopo la mano di Mosè (v.

139
Sal 42 (41), 8: Abyssus abyssum invocat, in voce cataractarum tuarum; Omnia excelsa tua, et fluctus tui
super me transierunt “Un abisso chiama abisso al fragore delle tue cascate; tutti i tuoi flutti e le tue onde
sopra di noi sono passati”. Un’analoga immagine emerge anche dalla cupa lamentazione proposta nel Salmo
88 (87), 8: Super me gravat indignatio tua, Et omnibus fluctibus tuis opprimis me “Pesa su di me il tuo sde-
gno e con tutti i tuoi flutti mi sommergi”.
140
Come evidenzia Lucas, il significato del composto wælbenna non è univoco: wæl può infatti significare
“morte; carneficina”, ma anche “acqua, mare”, e benn, oltre che “ferite”, può valere “legami, ceppi” (se si
considera il sostantivo come derivante per assimilazione da bend). È possibile, dunque, il senso di “le ferite
mortali sanguinavano” (weollon wælbenna), ma più congrua rispetto al contesto appare una variazione sul
tema dell’infuriare delle acque: “i ceppi mortali/i ceppi del mare ribollivano”. L’interpretazione “i ceppi
mortali ribollivano” è da preferirsi se si ritiene che il poeta abbia inteso riproporre un’immagine vicina a
quella già impiegata al v. 202a: weredon wælnet “trame mortali li bloccavano”; cfr. ed. LUCAS 1994², p.
138n. e RENDALL 1974, pp. 505-6.
141
Lo studioso riprende una tesi avanzata per la prima volta da Bouterwek, il quale emenda il composto in
witerod (formato dai sostantivi wite “punzione, castigo” e rod “bastone, verga”; 1850, pp. 129, 306), lezio-
ne rigettata da Lucas su basi metriche (ed. 1994², p. 138n). Hill non ritiene necessario intervenire sulla te-
stimonianza del manoscritto in quanto vi è almeno un’altra attestazione in cui wite- risulta eliso in wit-, ov-
vero nella glossa witstenges per eculei “pungoli” in un manoscritto del De virginitate di Aldelmo (ed. NA-
PIER 1900, p. 142). Un’ulteriore occorrenza del sostantivo wite usato in composizione nella forma wit- è
forse rappresentata da witern “prigione, carcere”, riconducibile a un originario wīte-ærn, anche se non si
68 VERONKA SZŐKE

480a), la cui funzione è quella di attuare il piano divino, alla stregua dell’altra arma, la
spada, che farà la sua comparsa nei versi successivi. L’insolita immagine evocata da
witrod potrebbe, dunque, rappresentare una ripresa del composto gyrdwite “castigo del-
la verga”, che compare nei versi iniziali del poema (v. 15b) – attraverso il quale veniva
preannunciata la sorte del faraone e del suo seguito (faraones cyn, / Godes andsacan,
gyrdwite band “la stirpe del faraone, / il nemico di Dio, con il castigo della verga, egli
[Mosè] mise in ceppi”, vv. 14b-15)142 – e un’anticipazione dell’alde mece “antica spa-
da” che verrà evocata al v. 495b.
Una seconda crux, strettamente legata allo scioglimento della precedente, apre i vv.
494b-5: flodweard sloh / unhleowan wæg143 alde mece “il Custode del mare percosse /
l’onda inospitale con l’antica spada” (vv. 494b-5)144. Questa lettura, seguita nel-
l’edizione di Lucas, presuppone l’accoglimento dell’emendazione (proposta per primo
da Cosijn) di flodwearde sloh (lezione del manoscritto) in flodweard [g]esloh145, in cui
il sostantivo flodweard sarebbe un appellativo riferito a Jahvè. Ciò consente di dare
un’interpretazione più plausibile del v. 494b rispetto a quelle avanzate nel passato, se-
condo le quali sarebbe invece l’hapax famigbosma (v. 494a) – composto che definisce
il mare come “distesa spumeggiante” e dunque una variazione di handweorc Godes
(493b) – il soggetto del verbo sloh “colpì, percosse”, mentre flodwearde – interpretato
come ‘la postazione di vedetta’ costituita dagli alti baluardi d’acqua146 – sarebbe il suo
complemento oggetto, ridefinito, subito dopo, come unhleowan wæg “inospitale onda”.
Sul piano logico, l’immagine che risulta da questa lettura appare decisamente incon-
grua, non solo perché descriverebbe un mare che colpisce se stesso (“la distesa spu-
meggiante colpì i baluardi d’acqua”), ma anche perché ciò implica la collocazione della
spada ‘nelle mani’ dell’agente marino147, un’immagine ardita, che non ha precedenti

può escludere che la forma ridotta sia esito, piuttosto, di assimilazione (HILL 1980, pp. 62, 166). Sulla fun-
zione della verga, si veda anche HILL 2006.
142
Degna di nota è l’occorrenza del sintagma sio reðe rod “lo spietato bastone” in associazione a se rihta
dom “il retto giudizio” nella seconda Omelia del Vercelli Book, nel contesto di una vivida descrizione della
fine dei tempi, realizzata attraverso una lunga lista di composti allitteranti in coppia (ed. SCRAGG 1992, p.
58, rr. 48-49).
143
Il sostantivo wæg (con radicale lungo) vale “onda” e così viene comunemente inteso (ed. THORPE 1832,
p. 209; ed. LUCAS 1994², p. 139n.); alcuni studiosi ritengono, invece, che esso possa valere qui come va-
riante di wag (con radicale lungo) “muro; muraglia” (DIETRICH 1856, p. 353; ed. GREIN 1863², I, p. 91; ed.
BLACKBURN 1907, p. 223). Nella sua edizione, Irving accoglie l’interpretazione più diffusa del sostantivo
(1953, p. 63); in una successiva nota, egli preferisce considerare wæg come una variante grafica di weg
“via” (IRVING 1972, p. 319). L’hapax unhleow potrebbe essere correlato all’aggettivo hleow “caldo” (e
quindi significare il suo opposto, “freddo”) oppure al sostantivo hleow “protezione”, indicando, attraverso
la litote, l’ostilità dell’elemento acqueo e risultando, pertanto, congruo sia con “onda” sia con “muraglia”;
cfr. ed. LUCAS 1994², p. 139n.
144
Questa interpretazione dei versi, già presente nella traduzione di Exodus proposta da Thorpe (1832, p.
209), è seguita nelle edizioni più recenti del poema (cfr., ad esempio, IRVING 1953, pp. 63, 95; LUCAS
1994², p. 139n.).
145
Cfr. COSIJN 1895, p. 105.
146
Si vedano le edizioni curate da BOUTERWEK 1850, p. 129; GREIN 1863², I, p. 91; ID. 1863², p. 95; ID.
1861, p. 306; HUNT 1888³, p. 33; BLACKBURN 1907, pp. 28, 60; SEDGEFIELD 1922, p. 96, nonché DIETRICH
1856, p. 353.
147
Questa interpretazione dei vv. 494-5 è stata recentemente riproposta nello studio di Miyazaki (1990, pp.
441-7).
‘Cadet repente gladius e caelo’ 69

nemmeno nella prima sezione, dove, pure, la visione personificata delle acque dà luogo
a originali formulazioni.
Tornando a witrod, dato che la sua interpretazione come “bastone del castigo” non
ha trovato largo seguito148, è opportuno dare brevemente conto delle proposte alternati-
ve avanzate al riguardo. Con l’eccezione di Thorpe, che al posto di witrod legge witod,
aggettivo che qualificherebbe come “predestinato” il soggetto del verso, handweorc
Godes “opera di Dio”, ovvero il “mare”149, il lemma è considerato un sostantivo, cui gli
studiosi assegnano di volta in volta valore di soggetto o di complemento oggetto. Die-
trich identifica -rod come una variante di rad “via, strada”, forte del raffronto con il so-
stantivo wigrod attestato in Genesis A (v. 2084a, dove esso vale “via percorsa da un e-
sercito”)150, mentre a wit- assegna il senso di “magia” (sulla base del raffronto con il
sostantivo nordico vitt, che può avere questo significato), traducendo il composto come
“Zauberstrasse”151. Il soggetto del verso sarebbe, pertanto, il passaggio creatosi tra le
alte muraglie d’acqua, che ricadrebbe dall’alto (heah of heofonum), un’immagine che
risulta però poco calzante sotto il profilo descrittivo.
Adeguata al ritratto dello Jahvè castigatore che domina l’unità IIb appare
l’interpretazione proposta da Sedgefield, il quale ugualmente attribuisce funzione sin-
tattica di soggetto a witrod, ma ne propone l’emendazione in wigrod “asta; bastone”,
un’arma che Dio scaglierebbe contro gli Egiziani152. Tuttavia, poiché lo studioso con-
sidera famigbosma il soggetto del verso 494 e flodwearde il suo complemento oggetto,
anch’egli finisce per porre in primo piano l’immagine del mare, senza collegare witrod
ad alde mece.
Più ampio è il novero di quanti considerano witrod il complemento oggetto del ver-
bo gefeol153 (v. 492b) e identificano il soggetto dell’azione nel mare (handweorc God-
es), definito subito dopo come famigbosma154. Grein suddivide il composto negli ele-
menti wi-, variante di wig “combattimento, battaglia, guerra”, e -trod “percorso, sentie-
ro”, traducendolo come “sentiero di guerra”, ovvero una kenning per indicare il Mar
Rosso155. Tuttavia, come osserva Sisam, wi- ricorre come variante di wig- solo in ma-
noscritti tardi156, e il sostantivo trod compare in poesia unicamente in Beowulf (v.

148
Tale lettura è accolta da FRANK 1986, pp. 106-7.
149
Ed.THORPE 1832, pp. 208-9.
150
Cfr. vv. 2083b-85a (ASPR I, p. 63): Gewat him Abraham ða / on þa wigrode wiðertrod seon / laðra
monna “Abramo si avviò allora / sulla via della guerra a vedere la ritirata / della ostile gente”. Nel suo stu-
dio sui composti in -rad, Brady osserva che il significato di “via su cui passa un esercito” per wigrad, in
questo contesto, è incongruo rispetto a una scena di ritirata disordinata e propone piuttosto la traduzione
“campo di battaglia” (BRADY 1952, pp. 569-70).
151
Cfr. DIETRICH 1856, p. 353. Così interpreta il composto anche GREIN (ed. 1863², p. 95).
152
Cfr. SEDGEFIELD 1921, p. 60; ID. ed. 1922, p. 96.
153
Il verbo gefeallan è di senso intransitivo, ma può reggere anche un accusativo di moto a luogo, come
attesta anche il v. 483b del poema (lagu land gefeol “l’acqua ricadeva sulla terra”) e, con soggetto il drago,
Beowulf (he eorðan gefeoll / for ðæs hildfruman hondgeweorce “esso [il drago sputa-fuoco] al suolo era
caduto / ad opera del condottiero”, vv. 2834b-35; ASPR IV, p. 87).
154
Si veda COSIJN 1895, p. 105.
155
Cfr. GREIN 1863, IV, p. 703. Si vedano anche IRVING 1953, p. 94 (e 1972, p. 319); LUCAS 1994², p.
138n.
156
Sisam segue Napier il quale emenda il primo elemento del composto come wi[þer], ottenendo il senso di
wi[þer]trod “ritirata” (SISAM 1917, p. 48). Questa soluzione è giudicata plausibile anche da Tolkien (cfr.
TOLKIEN–TURVILLE-PETRE 1981, p. 73).
70 VERONKA SZŐKE

843b157, in riferimento alle tracce lasciate da Grendel ferito mentre si allontana da Heo-
rot) e come secondo elemento del composto wiðertrod “ritirata” (in Genesis A, v.
2084a158 e in Judith, v. 312a)159.
Sebbene l’interpretazione di witrod come “sentiero di guerra” sia quella che ha rac-
colto maggiori consensi, ritengo che l’immagine del “bastone del castigo” illumini con
maggiore coerenza e plausibilità il significato del passo analizzato, che proporrei di
rendere come:
witrod gefeol / heah of heofonum handweorc Godes, / famigbosma; Flodweard gesloh / un-
hleowan wæg alde mece (vv. 492b-5)

“il bastone del castigo cadde / dall’alto dei cieli sull’opera di Dio, / la distesa spumeggiante; il
Custode del mare colpì / l’inospitale onda con l’antica spada”.

In questi versi, la fase esecutiva della punizione raggiunge il suo apice: dopo la pro-
teiforme presentazione del mare quale agente di sciagura, l’abbattersi della condanna
divina sugli Egiziani si palesa attraverso la semplice ma potente immagine di un’arma
che scende dall’alto sul nemico. Questa rappresentazione del castigo divino si ricollega
ai numerosi luoghi biblici nei quali viene presentato uno Jahvè che brandisce un’arma
contro i suoi nemici, plastica rappresentazione della legge morale del taglione160.
L’azione correttiva si concretizza attraverso una varietà di armi che includono, oltre
alla lancia161 e ai dardi162, anche la verga/bastone163 e la spada164. In Isaia, dove fre-

157
ASPR IV, p. 27.
158
Si veda nota 150.
159
Judith, vv. 311b-3a (ASPR IV, p. 108): Cirdon cynerofe, / wiggend on wiðertrod, wælscel on innan, /
reocende hræw “I combattenti di fama regale batterono / in ritirata, nel mezzo della carneficina, / tra i cada-
veri fumanti”.
160
Da quali opere abbia tratto ispirazione il poeta è argomento da lungo tempo e ancora dibattuto. La mate-
ria del poema è costituita dai fatti narrati nel libro dell’Esodo, cui vengono affiancati altri episodi biblici
quali il Diluvio, il sacrificio di Isacco, la vicenda di Giuseppe (dei quali dà conto la Genesi), nonché il Giu-
dizio finale. In passato, studiosi quali Groth, Brandl, Mürkens e Blackburn (citati da SERRENTINO 1996, p.
618) hanno individuato nel De transitu Maris Rubri la fonte di alcuni passi del poema, tesi che Moore ha
respinto con argomentazioni circostanziate, ritenendo invece significativi i paralleli lessicali tra Exodus e
Beowulf (ID. 1911, pp. 83-108). Parallelismi tra Exodus e le Antiquitates Judaicae di Giuseppe Flavio sono
stati evidenziati in HOLTHAUSEN (1905, pp. 162-3), MOORE (1911, pp. 99, 101-2, 105-6), IRVING (ed.
1953, pp. 19-20, 81, 90, 96; ID. 1972, pp. 292, 296, 314, 316-7; ID. 1974, p. 208), ROBINSON (1962, pp.
364, 376-7) e HALL (1979, pp. 341-4). Serrentino rileva, nei passi d’ispirazione bellica, l’influsso del Bel-
lum Civile di Lucano (SERRENTINO 1996, pp. 619-29). Bright individua nella liturgia del sabato santo il
modello, anche strutturale, del poema (BRIGHT 1912b, pp. 97-103), tesi riproposta da Remley (1996, pp.
211-30). McLoughlin estende l’ambito delle possibili influenze all’area irlandese, ovvero all’Antifonario di
Bangor (MCLOUGHLIN 1969, pp. 658-67). Numerosi sono, infine, gli studi sui verosimili condizionamenti
esercitati da altri contesti biblici: cfr. ed. IRVING 1953, p. 17 (Numeri, Deuteronomio, Cronache I e Isaia);
EARL 1970, pp. 556-8 (Numeri, Deuteronomio, Salmi); IRVING 1972, p. 309 (Salmi); KEENAN 1973, p. 218
(Sapienza); IRVING 1974, pp. 206-7 (Salmi, Sapienza); HELDER 1975, pp. 5-23 (Salmi, Sapienza); TRA-
HERN 1975, pp. 291-8 (Salmi, Sapienza, Siracide); HALL 1977, pp. 85-88 (2 Corinzi); BREEZE 1993, pp.
161-2; ID. 1994, pp. 210-3 (Abacuc); REMLEY 1996, pp. 176-8 (Salmi). Per una sintesi delle fonti patristi-
che che possono avere influenzato l’autore del poema, si veda IRVING (1974, pp. 208-9).
161
Si veda, ad esempio, il Salmo 35 (34), 3.
162
In Abacuc, Dio appare come arciere a cavallo che, con i dardi, difende il popolo eletto contro i suoi ne-
mici (3, 8-15).
‘Cadet repente gladius e caelo’ 71

quenti risultano le immagini legate al tema del castigo, l’annientamento del regno assi-
ro, nemico di Israele, risulta infatti così compendiato:

Et suscitabit super eum Dominus exercituum flagellum, iuxta plagam Madian in petra Oreb,
165
et v i r g a m s u a m s u p e r m a r e, e t l e v a b i t e a m in via Aegypti

“Contro di essa [l’Assiria] il Signore degli eserciti agiterà il flagello, come quando colpì Madian
sulla rupe dell’Oreb; a l z e r à l a s u a v e r g a s u l m a r e come fece con l’Egitto”.

La verga e la spada si alternano come metafore della Parola divina che giudica gli
uomini nell’originale passo del libro della Sapienza dove il Logos, personificato come
guerriero implacabile, si lancia sulla terra come una spada affilata, e dà seguito all’uc-
cisione dei primogeniti egiziani166. Nell’Apocalisse, la spada è attributo di Cristo, Ver-
bo di Dio, che giunge a cavallo, alla testa della sua schiera, per affrontare in combatti-
mento la Bestia e il suo seguito di re terreni. Il mantello intriso di sangue che Egli in-
dossa testimonia le vittorie riportate in battaglia, secondo una visione familiare nella
letteratura giudaica del Messia guerriero167.

163
Sal 89 (88), 33: Visitabo in virga iniquitates eorum; Et in verberibus peccata eorum “Punirò con la ver-
ga il loro peccato e con i flagelli la loro colpa” (cfr. anche v. 35). In Giobbe, una condizione di prosperità e
sicurezza è descritta, ex negativo, attraverso l’immagine del bastone: … non est virga Dei super illos “… il
bastone di Dio non pesa su di loro [sugli empi]” (21, 9). In Isaia, la superbia di Assur, sovrano assiro, è effi-
cacemente resa attraverso una metafora incentrata sulle armi: Numquid gloriabitur securis contra eum qui
secat in ea? Aut exaltabitur serra contra eum a quo trahitur? Quomodo si elevetur virga contra elevantem
se, et exaltetur baculus, qui utique lignum est “Può forse vantarsi la scure con chi taglia per suo mezzo o la
sega insuperbirsi contro chi la maneggia? Come se un bastone volesse brandire chi lo impugna e una verga
sollevare ciò che non è legno!” (Is 10, 15).
164
Cfr. Dt 32, 41-42; Sal 7, 13; Is 65, 12; 66, 16. La spada compare anche nell’allusione allo sterminio del
Leviatan, metafora degli oppressori di Israele, nei tempi escatologici: In die illa visitabit Dominus in gladio
suo duro, et grandi, et forti, super Leviathan, serpentem vectem … “In quel giorno il Signore punirà con la
spada dura, grande e forte, il Leviatan serpente guizzante …” (Is 27, 1). Attraverso il trinomio spada, fame e
peste, in Geremia si indica spesso la guerra promossa da Jahvè contro il suo popolo, colpevole di essere
ricaduto nel peccato (Ger 14, 12; 21, 7 e 9; 24, 10; 29, 17-18; 32, 24 e 36; 34, 17). Nabucodonosor, come
già Assur, funge dapprima da gladio castigatore degli Ebrei (Ger 25, 16; 25, 27-29 e 31), ma, successiva-
mente, la micidiale arma si ritorce contro di lui (Ger 50, 35-38). La spada personificata domina anche la
descrizione del castigo divino riservato agli Egiziani (Ger 46, 10 e 14), ai Filistei (Ger 47, 6) e agli Elamiti
(Ger 49, 37). Si veda anche Ez 21, 8-10.
165
Is 10, 26. Le spaziature inserite nel testo sono mie.
166
Sap 18, 14-16: Cum enim quietum silentium contineret omnia, et nox in suo cursu medium iter haberet,
omnipotens sermo tuus de caelo, a regalibus sedibus, durus debellator in mediam exterminii terram prosili-
vit, gladius acutus insimulatum imperium tuum portans, et stans, replevit omnia morte, et usque ad caelum
adtingebat stans in terra “mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo
corso, la tua parola onnipotente dal cielo, dal tuo trono regale, guerriero implacabile, si lanciò in mezzo a
quella terra di sterminio, portando, come spada affilata, il tuo ordine inesorabile. Fermatasi, riempì tutto di
morte; toccava il cielo e camminava sulla terra”. Stessa funzione svolge la verga in Is 11, 4: … percutiet
terram virga oris sui, et spiritu labiorum suorum interficiet impium “… la sua parola sarà una verga che
percuoterà il violento; con il soffio delle sue labbra ucciderà l’empio”.
167
Ap 19, 13. L’annientamento dei peccatori avviene, in quel frangente, a opera della spada che sporge dal-
la bocca di Cristo e che rappresenta, dunque, il Logos che giudica: et de ore ipsius procedit gladius acutus
ut in ipso percutiat gentes et ipse reget eos in virga ferrea “dalla bocca gli esce una spada affilata per colpi-
re con essa la gente. Egli le governerà con scettro di ferro” (Ap 19, 15). Alla spada si fa riferimento anche
nella descrizione della chiamata di Giovanni all’ufficio profetico (Ap 1, 16). Contro la Chiesa di Pergamo,
72 VERONKA SZŐKE

Sotto i colpi di una spada brandita da Dio cadranno anche gli abitanti di Edom, co-
me si profetizza in Isaia: quoniam inebriatus est in caelo g l a d i u s m e u s ecce su-
per Edom d e s c e n d e t “poiché nel cielo si è inebriata l a s p a d a d e l S i g n o-
r e, ecco essa s i a b b a t t e su Edom”168. Questa formulazione, in cui il sostantivo
gladius è associato al verbo descendere, è molto vicina all’immagine evocata dal poeta
di Exodus nei vv. 492b-5, dove la spada del castigo (alde mece) è anticipata dal “basto-
ne del castigo”(witrod).
In ambito poetico, è interessante la testimonianza offerta dal De transitu Maris Ru-
bri di Avito dove, nel discorso in cui Jahvè ordina a Mosè di compiere il gesto che por-
terà alla chiusura delle acque, compare un particolare rilevante ai fini dell’analisi che
stiamo svolgendo. Il Signore preannuncia il compiersi della pena ultima per gli Egizia-
ni, a conclusione delle sofferenze inflitte attraverso le piaghe, mediante un lessico di
stampo militaresco. Nello specifico, l’imminente sopraggiungere della condanna di
morte è espresso mediante l’imperativo che auspica, dopo le piaghe, l’avvento della
spada: … ensis, succede flagellis “… spada, succedi ai flagelli”169.
La spada come sineddoche della punizione divina campeggia anche nelle Divinae
Institutiones di Lattanzio170. Nell’ultimo libro dell’opera, di argomento escatologico, si
dà un’ampia descrizione dell’epoca di decadenza cui seguirà il regno millennario di pa-
ce, inaugurato dalla venuta di Cristo – definito liberator et iudex et ultor et rex et deus
“liberatore, giudice, vendicatore, re e Dio” –, il quale darà prima battaglia all’Anticristo
e ai suoi seguaci, e quindi pronuncerà un primo giudizio sugli empi della terra. Questa
teofania sarà preceduta da un segno:
... priusquam descendat, hoc signum dabit. C a d e t repente g l a d i u s e c a e l o, ut
sciant iusti ducem sanctae militiae descensurum

“… [Cristo] prima di discendere, darà questo segno: d’improvviso c a d r à u n a s p a d a


d a l c i e l o, affinché i giusti sappiano che il condottiero di un santo esercito sta per discen-
dere”171.

La formulazione di Lattanzio, con l’uso del verbo cadere in riferimento alla spada,
costituisce il parallelo più calzante per i vv. 492b-5 di Exodus, dove dall’alto si abbatte
il “bastone del castigo”, ridefinito poco oltre come “antica spada” (Flodweard gesloh /
unhleowan wæg alde mece “Il Custode dei flutti percosse / l’onda inospitale con l’anti-
ca spada”, vv. 494b-5). L’affinità lessicale tra i due passi risalta in modo ancora più
emblematico se si tiene conto dell’intento del poeta anglosassone di inserire l’episodio
trattato in una cornice escatologica. Inoltre, il collegamento tra il Giudizio finale e il
giudizio sugli Egiziani è reso esplicito da Lattanzio, il quale – nell’introdurre l’appros-

minacciata dalla dottrina nicolaita, si rivolge la minaccia correttiva di Cristo, il quale tiene in mano la spada
dal doppio taglio (Ap 2, 12-16). Si veda anche Eb 4, 12.
168
Is 34, 5.
169
V, v. 656 (ed. HECQUET-NOTI 2005, p. 226).
170
Presupporre un influsso di Lattanzio sul poeta di Exodus non è inverosimile, dal momento che lo scritto-
re cristiano era conosciuto nell’Inghilterra anglosassone; cfr. LAPIDGE 1996, p. 383.
171
Divinae Institutiones, VII, 19; ed. BRANDT–LAUBMANN 1890, p. 645, rr. 8-9. Caie accosta l’immagine
proposta dall’opera latina con quella della spada brandita da Cristo in Christ III, ma non si sofferma ulte-
riormente su questo tratto e non accosta il particolare iconografico al poema Exodus (CAIE 1976, p. 241).
‘Cadet repente gladius e caelo’ 73

simarsi della fine dei tempi – mette in relazione l’intervento giudicante di Dio nell’epi-
sodio del Mar Rosso, rivolto contro un singolo popolo, con il Giudizio che alla fine dei
tempi coinvolgerà tutte le nazioni172.
In Exodus, a conclusione del passo ove compaiono i termini witrod e alde mece, il
poeta riprende il tema dell’arma divina che si abbatte anche attraverso il composto deaþ-
drepe “mortale fendente”:

þæt ðy deaðdrepe drihte swæfon, / synfullra sweot. Sawlum lunnon / fæste befarene, flod-
blac173 here, / siððan hie onbugon brimyppinge174, / modwæga mæst (vv. 496-500a)

“sicché per il mortale fendente le truppe s’addormirono, / le schiere dei peccatori. Dalle anime
si separarono, / circondati dappresso, le schiere rese pallide dall’acqua / dopo che si furono
piegati alla manifestazione del mare, / al sommo frangente”.

Questa chiusa della seconda unità è speculare alla descrizione che conclude l’unità
Ib (vv. 465b-6); ugualmente, l’attacco dell’unità che segue (IIc, vv. 500b-15) riprende
quello dell’unità Ib, in quanto entrambi riguardano la morte delle truppe: mægen eall
gedreas “la truppa intera perì” (v. 500b) e mægen wæs on cwealme “la truppa era de-
cimata” (v. 469b).

L’unità IIc introduce un nuovo elemento nella descrizione della strage degli Egizia-
ni, ovvero la figura di colui il quale è a capo delle schiere:

Mægen eall gedreas, / ða þe gedrecte, dugoð Egypta, / Faraon mid his folcum (vv. 500b-2a)

“La truppa intera perì, / i persecutori, l’esercito degli Egiziani, / il faraone con le sue schiere”.

Rispetto ai precedenti passi, dove gli avversari degli Ebrei e di Dio erano descritti
nella loro pluralità, come gruppo, qui emerge la figura del loro capo, il faraone, così
che l’attenzione si appunta sui due campioni dello scontro armato. Al condottiero egi-
ziano viene riferito l’appellativo solitamente riservato al demonio (Godes andsaca
“nemico di Dio”, v. 503b)175, nel momento in cui egli è costretto a riconoscere la supe-
riorità del suo avversario, quel mereflodes Weard “Custode del mare” (v. 504b) che ha
al suo servizio armi terribili:

172
Divinae Institutiones, VII, 19; ed. BRANDT–LAUBMANN 1890, p. 631, rr. 1-20.
173
Robinson ritiene che blac vada inteso come “livido, scuro” piuttosto che come “pallido” e che
l’aggettivo flodblac costituisca un rimando al colore scuro da cui gli Egiziani trarrebbero il loro nome
secondo l’interpretazione medievale (ROBINSON 1968, pp. 26-27; cfr. anche HAUER 1978, p. 267).
174
L’emendazione della lezione on bogum in onbugon “si piegarono, si sottomisero” supplisce alla man-
canza di un verbo nei vv. 499-500a. Al v. 499b, l’aggettivo brun “bruno, scuro” è emendato in brim “mare”,
considerato il primo membro del composto brimyppinge, variato poi da modwæga mæst (ed. LUCAS 1994²,
pp. 139-40n.). Per una differente traduzione del composto, si veda OLSEN 1994, pp. 67-68n..
175
L’appellativo Godes andsaca/ondsaca è spesso utilizzato in poesia per indicare il diavolo (Genesis B, v.
442b; ASPR I, p. 17; Christ and Satan, vv. 190a, 279b, 339b, 717b; ibid., pp. 141, 144, 146, 158; Guthlac I,
v. 233b; ASPR III, p. 56). Il sintagma ricorre, inoltre, anche in relazione a persone ed entità cui si vuole
conferire una connotazione demoniaca: così vengono definiti i pagani persecutori dei tre fanciulli nel-
l’episodio della fornace ardente (Azarias, v. 163b; ASPR III, p. 93); i peccatori inghiottiti dagli abissi infer-
nali (Christ III, v. 727b; ed. TRASK 1971, p. 106); il reietto Grendel (Beowulf, vv. 786b, 1682b; ASPR IV,
pp. 26, 52).
74 VERONKA SZŐKE

He onfond hraðe, / siððan grund gestah, Godes andsaca, / þæt wæs mihtigra mereflodes
Weard – / wolde heorufæðmum hilde gesceadan176, / yrre and egesfull (vv. 502b-6a)

“Egli presto comprese, / quando l’abisso ebbe raggiunto, il nemico di Dio, / che era più poten-
te il Custode del mare, / il quale intendeva con il potere della spada la battaglia decidere, / ira-
to e terribile”.

Un motivo già presente nei vv. 456b-7a (Ia) è ampliato attraverso la esplicita men-
zione che nessun membro dell’esercito del faraone fece ritorno a casa a testimoniare la
sciagura vissuta177:
Egyptum wearð / þæs dægweorces deop lean gesceod, / forðam þæs heriges ham eft ne com /
ealles ungrundes ænig to lafe, / þætte sið heora secgan moste, / bodigean æfter burgum bealo-
spella mæst, / hordwearda hryre, hæleða cwenum, / ac þa mægenþreatas meredeað geswealh, /
eac þon spelbodan. Se ðe sped ahte / ageat gylp wera. Hie wið God wunnon (vv. 506b-15)

“Agli Egiziani fu / per l’opera di quel giorno abissale premio assegnato, / poiché di
quell’esercito a casa non tornò, / di quella truppa sconfinata, alcun superstite / che l’accaduto
potesse raccontare, / annunciare tra le città assai luttuose nuove, / la morte dei custodi del te-
soro alle donne dei guerrieri, / ma le potenti schiere inghiottì la morte per acqua, / compresi i
messaggeri. Colui che tutto può / distrusse la superbia degli uomini. Essi avevano combattuto
contro Dio”.

In particolare, i versi wearð / þæs dægweorces deop lean gesceod “ fu / per l’opera
di quel giorno abissale premio assegnato” (vv. 506b-7) ripropongono, con evidente
scherno, l’analoga espressione precedentemente riferita alla tribù che per prima aveva
calcato la strada apertasi in mezzo al mare, quella di Giuda, guadagnandosi così la sal-
vezza (… swa him mihtig God / þæs dægweorces178 deop lean forgeald “… così a loro
il potente Dio / per l’opera di quel giorno abissale premio diede”, vv. 314b-5); essa
gioca anche sull’implicito rimando al fatto che nelle profondità (deop) del mare gli E-
giziani trovarono la loro fine. Ugualmente, la qualificazione della truppa come ungrund
“sconfinata” volutamente richiama il termine grund “abisso”, usato poc’anzi (v. 503a)
a indicare il fondale marino che riceve i cadaveri dei combattenti egiziani.
La ripresa dell’insolita formulazione “la morte dei custodi del tesoro” (hordwearda
hryre, v. 512a), usata precedentemente in riferimento alla morte dei primogeniti egizia-
ni (v. 35a) – unica tra le dieci piaghe ad essere menzionata nel poema – e riferita ai

176
Hauer ritiene che i vv. 505-6a costituiscano un richiamo a quei versetti del Cantico di Mosè in cui la ca-
ratterizzazione di Jahvè come combattente riceve una chiara enunciazione: ‘Dominus quasi vir pugnator,
Omnipotens nomen eius’ “‘Il Signore è prode in guerra, si chiama Signore’”, e ‘Et in multitudine gloriae
tuae deposuisti adversarios tuos …’ “‘Con sublime grandezza abbatti i tuoi avversari…’” (Es 15, 3 e 7);
cfr. HAUER 1978, p. 272.
177
L’insistenza sul completo annientamento delle truppe egiziane, di cui non sopravvive nemmeno un uomo
che possa dar conto della sciagura, è presente anche nelle Antiquitates Judaicae di Giuseppe Flavio, e Hall
ne individua la probabile fonte nel De vita Mosis di Filone di Alessandria. La diffusione di questo motivo è
confermata dalla sua formulazione presente nel Psalm 105, v. 10 (ASPR V, p. 84); cfr. HALL 1979, pp. 343-4.
178
Come sottolinea Letson, il sostantivo dægweorc “operato del giorno” rimanda al tema della ricompensa
positiva oppure negativa che, in una prospettiva retributiva, accompagna le azioni degli uomini, come pure
al ‘compenso di sangue’ con cui gli Egiziani ripagarono gli Ebrei nonostante Giuseppe li avesse salvati dal-
la carestia. Lo studioso respinge l’emendazione, accolta da Irving (ed. 1953, pp. 97-98), dægword “decalo-
go” (LETSON 1979, pp. 196-8).
‘Cadet repente gladius e caelo’ 75

soldati del faraone, istituisce un rapporto speculare tra i due eventi179: la strage dei figli
prefigura quella dei padri cui, in assenza di superstiti, sarà negato in patria anche il be-
neficio della memoria.
Il valore esemplare del castigo assegnato agli Egiziani riceve una pregnante formu-
lazione mediante il verso conclusivo della sezione, hie wið god wunnon “essi avevano
combattuto contro Dio” (v. 515b), che bene sottolinea la vanità di ogni tentativo di o-
steggiare i disegni divini. L’espressione “combattere contro Dio” proietta lo specifico
fatto storico in una più ampia prospettiva e, considerato il suo frequente uso in poesia e
in prosa in riferimento al diavolo – destinato all’infernale esilio proprio a causa della
sua ribellione – nonché al peccatore, il quale, in assenza di pentimento, avrà in sorte il
medesimo destino di perdizione, invita a riflettere sulla fine assegnata agli Egiziani. In
Solomon and Saturn II, Salomone utilizza un’analoga perifrasi in relazione alla sfida
dei Caldei, antenati di Saturno, i quali vollero costruire un muro alto fino al cielo: essi
furono destinati alla dannazione, poiché wunnon … wið Dryhtnes miehtum “combatte-
rono … contro la potenza del Signore” (v. 320a)180.
Ancora più pertinente risulta la corrispondenza lessicale con un passo di Christ III,
dove un Cristo yrre ond egesful “irato e terribile” (v. 662a) come il Dio di Exodus
brandisce una spada (sigemece) contro coloro i quali wiþ gode wunnon “contro Dio a-
vevano combattuto” (v. 660b)181, facendoli precipitare nel profondo baratro infernale
(deope dæl, v. 665a), nell’oscura fiamma (sweartne leg, v. 666a). In questa endiadi, la
prima espressione appare parallela a quella che rimanda alla profondità del mare, se-
polcro degli Egiziani. Secondo Cook, l’immagine di Cristo che brandisce una spada
testimonia la probabile influenza di un inno del Liber Cathemerinon di Prudenzio182,
che colloca la visione apocalittica di Giovanni nella dimensione del sogno, dove si in-
trecciano due rappresentazioni dicotomiche della figura del Figlio: al mite Agnello, che
rimanda a Cristo esecutore della volontà paterna, si contrappone il Giudice della Paru-
sia, che rivolgerà la sua spada contro gli empi183:

179
La lezione gedrenced “annegati” – attestata dal manoscritto in riferimento ai primogeniti (v. 34a) e e-
mendata da Lucas in gedrecced “oppressi, tormentati” (ed. 19942, p. 79) – potrebbe essere conservata e letta
come un’anticipazione della morte per acqua degli Egiziani nella parte finale del poema (cfr. FERGUSON
1981, p. 282).
180
Ed. MENNER 1973, p. 96. La medesima espressione ricorre spesso in riferimento all’insubordinazione di
Satana e degli altri angeli ribelli (Genesis A, v. 77b; ASPR I, p. 5; Genesis B, v. 346b; ibid., p. 13; Christ
and Satan, v. 704b; ibid., p. 158). In Beowulf, essa indica invece i malvagi discendenti della stirpe di Caino
(vv. 113b-4; ASPR IV, p. 6), e nella Omelia Dominica V. in quadragesima, il sintagma è applicato, in una
dimensione terrena, ai giudici corrotti e pertanto destinati alla dannazione (ed. MORRIS 1967, p. 63, rr. 3-4).
181
Ed. TRASK 1971, p. 103.
182
A supporto dell’iconografia di Cristo-Giudice che impugna una spada nella mano destra, Cook menziona
la raffigurazione del monastero della Grande Lavra sul Monte Athos (da lui citato come ‘St Laura’), in cui
Cristo, ritratto in un medaglione, compare in trono, così rappresentato, in una scena del Giudizio universale
(ed. COOK 1900, p. 216); a questa testimonianza Caie aggiunge quella costituita da un affresco del monaste-
ro serbo di Dečani (CAIE 1976 p. 218). Sull’origine orientale del motivo, si veda DIDRON 1851, I, p. 257.
183
Cfr. Liber Cathemerinon (Hymnus ante somnum), vv. 81-88 (ed. CUNNINGHAM 1966, pp. 31-32). Hill
ritiene che sigemece possa costituire una glossa poetica del gladius citato in Matteo 10, 34 (‘Nolite arbitrari
quia pacem venerim mittere in terram: non veni pacem mittere, sed gladium’ “ ‘Non crediate che io sia ve-
nuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada’ ”); cfr. HILL 1973, p. 239n. I
contesti, tuttavia, non sono equiparabili, in quanto in Matteo il discorso non verte su una prospettiva escato-
logica. Per altre proposte sulla possibile origine dell’immagine, si veda BIGGS 1986, p. 35.
76 VERONKA SZŐKE

ipsum tonantis agnum / de caede purpurantem, / qui conscium futuri / librum resignat unus. /
Huius manum potentem / gladius perarmat anceps / et fulgurans utrimque / duplicem minatur
ictum

“[vede] il divino Agnello / di sangue imporporato / che solo dissuggella / il libro del futuro; /
la forte mano è armata / d’una spada a due tagli / che da due lati folgora, / da due lati feri-
sce”184.

Anche Judgment Day I raffigura il momento dell’Apocalisse con accenti cruenti, al-
la stregua di uno scontro armato, seppure il parallelo risulti più generico rispetto a Exo-
dus e Christ III. Nel descrivere il palesarsi dell’ira di Cristo attraverso l’azione distrut-
tiva del fuoco, il poeta ricorre, infatti, al sostantivo blodgyte “bagno di sangue”185: blod-
gyte weorþeð / mongum gemeldad, mægencyninges þrea “il bagno di sangue verrà / a
molti annunciato, il castigo del potente re” (vv. 56b-57)186.
L’immagine del sovrano in armi che giudica e punisce riaffiora anche nella tradi-
zione omiletica antico inglese, ove larga enfasi è posta sull’imminenza della fine dei
tempi e sulla necessità e sull’urgenza del pentimento187. Questi motivi costituiscono il
fulcro della decima delle Blickling Homilies (Þisses middangeardes ende neah is) in
cui la descrizione dei segni del Giudizio culmina in un potente scorcio sul grande gior-
no, quando Dio darà espressione tremenda alla sua ira nei confronti dei peccatori: se
ælmihtiga God … his byrnsweord getyhþ & þas world ealle þurhslyhþ, & þa lichoman
þurh sceoteð & þysne middangeard tocleofeð “Dio onnipotente … sguainerà la spada
fiammeggiante, colpirà il mondo intero, fenderà i corpi e spaccherà in due la terra”188.

3. Exodus e il Cantico di Mosè

L’analisi proposta dei versi di Exodus che descrivono il rovescio finale subìto dal fara-
one e dal suo esercito nelle acque del Mar Rosso ha messo in luce come la visuale del
poeta inquadri l’evento nell’ottica del Giudizio che verrà assegnato agli empi, allo stes-
so modo che il felice approdo degli Ebrei dopo la traversata viene visto come prefigu-
razione della salvezza riservata agli eletti. Il momento del castigo è sintetizzato nella
figura di uno Jahvè irato, il quale dapprima permette a Mosè di compiere la miracolosa
divisione del Mar Rosso, quindi affida ai flutti l’esecuzione del decreto di morte emes-
so contro gli Egiziani, infine interviene direttamente sul teatro degli eventi, e attraverso
i simboli del suo potere – il witrod “bastone del castigo” e l’alde mece “antica spada” –
completa la distruzione del nemico. I tratti marziali che lo contraddistinguono sono già

184
La traduzione è in BOSSI 1970, p. 57.
185
CAIE 1976, p. 106.
186
Ed. ANDERSON 1986, p. 194.
187
Cfr. GATCH 1965, p. 134.
188
Ed. MORRIS 1967, p. 109. Inconsueta, e probabilmente originale, è l’immagine del Martirologio anglo-
sassone, in cui, alla data del 26 marzo, si commemora la Discesa agli inferi. Il carattere bellicoso della spe-
dizione è accentuato proprio dall’evocazione di un Cristo che, contro l’orda demoniaca, impugna una spada:
… hergode geond hellegrund ond sloh þara feonda weorod mid his godcunde sweorde ond draf on helle-
grund ond hi þær geband “… razziò l’abisso infernale, colpì le schiere dei nemici con la sua spada divina,
le spinse nell’abisso infernale e lì le mise in ceppi” (ed. HERZFELD 1997, p. 50). Cross ritiene che questo
dettaglio sia riconducibile a una specifica fonte latina, a tuttora, però, non identificata (CROSS 1985, p. 120).
‘Cadet repente gladius e caelo’ 77

presenti in numerosi passi vetero-testamentari, come pure l’equazione tra la spada, il


Logos e il Giudizio, sfruttata anche nell’Apocalisse. L’immagine specifica del basto-
ne/spada che si abbatte dall’alto, ovvero che “cade” sugli Egiziani potrebbe rivelare
l’influsso di un’immagine concepita da Lattanzio in riferimento alla Parusia e espressa
mediante una identica formulazione (cadet … gladius e caelo).
Per quanto riguarda l’impostazione e il tono generali del poema inglese antico, limi-
tata attenzione è stata riservata dalla critica189 alla possibile influenza esercitata sullo
stile del carme dal Cantico di Mosè biblico190, il cui registro generale, alcune sugge-
stioni visive, nonché un uso insistito della ripetizione possono essere messe in parallelo
con le scelte operate dal poeta anglosassone, a cominciare dalla presentazione
dell’epilogo del miracolo come una grande vittoria militare riportata da Dio sugli Egi-
ziani191.
I primi dodici versetti del Cantico, che descrivono l’annientamento delle schiere
del faraone, possono essere suddivisi in due parti (vv. 1-6; 7-12), ciascuna delle quali
ripropone al suo interno una serie di variazioni sul tema della punizione, secondo un
procedimento retorico cui ha fatto ricorso anche il poeta anglosassone. Il v. 1 fornisce
in nuce una sintesi dell’evento che vede Dio come unico artefice del trionfo di Israele:
attraverso il dispiegamento della sua divina energia, Egli, vir pugnator (v. 3)192, “… ha
gettato in mare cavallo e cavaliere” (… equum et ascensorem deiecit in mare),
un’immagine poi iterata e ampliata nel v. 4 (currus Pharaonis et exercitum eius proie-
cit in mare: electi principes eius submersi sunt in mari Rubro “i carri del faraone e il
suo esercito ha gettato nel mare e i suoi combattenti scelti furono sommersi nel Mare
Rosso”). Nel resoconto dell’azione distruttiva dei marosi proposto nel v. 5, l’inabissarsi
dei corpi, paragonato alla caduta di una pietra, enfatizza l’inesorabile e definitiva uscita
di scena degli Egiziani. Il riconoscimento del carattere straordinario del combattente
divino si evidenzia anche nel finale di questa prima parte attraverso il particolare fisico
della destra castigatrice: Dextera tua Domine, magnificata est in fortitudine: dextera
tua, Domine, percussit inimicum “La tua destra, Signore, terribile per la potenza, la tua
destra, Signore, annienta il nemico” (v. 6)193, cui corrispondono, in Exodus, i versi se
Mihtiga sloh / mid halige hand “il Potente colpì / con la santa mano” (vv. 485b-6a).
Il tema del furore divino e dei suoi effetti viene ulteriormente sviluppato nei sei ver-
setti successivi (vv. 7-12): la collera dell’Agente travolge, come il fuoco, gli avversari
(v. 7) e il suo soffio irato leva un vento per effetto del quale le acque si sollevano a
formare un argine e si apre un sentiero asciutto per il transito degli Ebrei (Et in spiritu
furoris tui congregatae sunt aquae: stetit unda fluens, congregatae sunt abyssi in me-
dio mari, v. 8). Un nuovo poderoso sbuffo di vento provoca poi lo sgretolarsi del muro
d’acqua, ponendo fine all’avanzata. Il violento sprofondare dei nemici viene nuova-
mente raffigurato attraverso una similitudine (v. 10), che varia quella impiegata al v. 5:

189
Hauer correla alcune immagini e formulazioni di Exodus al Cantico, senza però enucleare in maniera
puntuale i parallelismi tra i due testi (HAUER 1978, pp. 69, 242).
190
Es 15, 1-12.
191
Su questa interpretazione del miracolo, si veda CHILDS 1995, pp. 255, 260.
192
Nell’Eptateuco di Cipriano Gallo, Mosè rincuora gli Ebrei prostrati, promettendo loro il sostegno di un
Dio pronto a schierarsi in loro difesa (v. 465; ed. PEIPER 1881, p. 72): namque deus celsa bellator dextera
pugnat “in verità, Iddio pugnace con la nobile destra, / con la destra elevata, combatterà”.
193
Cfr. HAUER 1978, p. 259.
78 VERONKA SZŐKE

all’immagine delle pietre si sostituisce ora quella del piombo, consona alla rappresen-
tazione degli Egiziani gravati dal peso delle armature, i quali, proprio come in Exodus,
restano ancorati al fondale sotto il fardello delle cotte di maglia194. Il versetto conclusi-
vo ritorna ancora una volta sulla mano divina che si abbatte contro chi ha osato osteg-
giare il piano salvifico: Extendisti manum tuam, et devoravit eos terra “Stendesti la de-
stra: la terra li inghiottì” (v. 12).
Benché i due componimenti utilizzino immagini e suggestioni simili per descrivere
il miracolo, resta originale il trattamento poetico cui Exodus sottopone il drammatico
evento: l’esposizione non procede lineare, ma si fraziona in una serie di quadri che ri-
traggono e ripropongono da prospettive diverse gli elementi protagonisti della scena; le
acque che si innalzano e ricadono con ferali conseguenze, le manifestazioni del terrore
che avvince i protagonisti della vicenda, i vani tentativi di ritirata degli Egiziani, il fra-
gore e gli sconvolgimenti naturali che irrompono sulla scena. Proprio questo uso insi-
stito della reduplicatio rappresenta uno degli strumenti che consentono al poeta di Exo-
dus di dare esemplarità all’episodio narrato mettendo in risalto, della vicenda, la di-
mensione escatologica e il valore istruttivo, in quanto paradigma terribile e sempre at-
tuale delle contrapposte scelte che l’uomo può compiere e dei loro riverberi nella storia
e al di là di essa195.

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194
Si veda contesto note 93, 94, 95.
195
L’invito a riflettere sul significato spirituale e allegorico dell’evento esodico è efficacemente riassunto
nella parte finale del poema (vv. 523-6): Gif onlucan wile lifes wealhstod, / beorht in breostum, banhuses
weard, / ginfæsten god Gastes cægon, / run bið gerecenod, ræd forð gæð “Se l’interprete della vita dischiu-
derà, / luminoso nel petto, il guardiano del corpo, / l’imperituro bene con le chiavi dello Spirito, / il mistero
sarà rivelato e consiglio ne scaturirà”.
‘Cadet repente gladius e caelo’ 79

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