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I LIMITI ALLA DONAZIONE DI BENI ALTRUI ED I RAPPORTI CON L'USUCAPIONE

ABBREVIATA

La donazione, in base all’art. 769 c.c., è il contratto con il quale una parte, per spirito di liberalità,
arricchisce l’altra disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa
un’obbligazione. Dunque, il donante realizza l’arricchimento del patrimonio di altro soggetto senza
ricevere alcun corrispettivo, in tal modo subendo senz’altro un depauperamento.
La donazione può così considerarsi caratterizzata da due elementi essenziali: un elemento di
carattere oggettivo, consistente nell’arricchimento del patrimonio altrui, cui è collegato il
depauperamento del patrimonio del donante, ed un elemento di carattere soggettivo, costituito dalla
consapevolezza di attribuire ad altri un vantaggio patrimoniale senza esservi in alcun modo tenuti.
Al contrario, rimangono sprovviste di rilievo le spinte psicologiche che inducono alla donazione
stessa, rimanendo di regola relegate nel foro interno del donante. Ed è proprio per compensare tale
debolezza causale della donazione, legata alla circostanza che la motivazione che sorregge la stessa
rimane racchiusa nella psiche del donante senza manifestarsi all’esterno, che il legislatore prevede
l’obbligatorietà della forma scritta, in tal modo garantendo un’adeguata ponderazione da parte del
donante.
In considerazione di siffatte osservazioni, la donazione risulta riconducibile al paradigma degli atti
di liberalità, a loro volta costituenti una “species” riconducibile alla più ampia categoria dei negozi
gratuiti.
Tuttavia, la dottrina più recente ha ormai chiaramente recepito la sussistenza di una linea
differenziale intercorrente tra le due figure. Invero, se nell’atto di liberalità all’arricchimento del
donatario non risulta collegato alcun vantaggio del donante, nell’atto gratuito al vantaggio
patrimoniale di una parte non corrisponde un sacrificio patrimoniale dell’altra, che riporta soltanto
una “omissio adquirendi”, senza privarsi di beni presenti nel suo patrimonio.
Altra dottrina, però, sposa una ricostruzione ancora differente, affermando che nel negozio gratuito
può sempre rintracciarsi un vantaggio conseguito da parte del disponente, che presenta però
carattere soltanto indiretto. Si faccia l’esempio, per l’adeguata comprensione della questione, del
musicista che si impegna ad effettuare un concerto gratuito con l’intento di pubblicizzare il suo
ultimo lavoro.
Nel contempo, la figura della donazione non esaurisce l’area delle liberalità, che comprende una
serie di atti aventi la caratteristica comune di produrre effetti analoghi a quelli realizzati dalla stessa,
pur non essendo donazioni vere e proprie. Emblematiche, in tal senso, possono considerarsi le
donazioni indirette, di cui all’art. 809 c.c., nonché le liberalità d’uso, di cui al precedente art. 770,
comma 2, c.c.
Ciò posto in linea generale, ed accentrando l’indagine sull’oggetto del contratto, deve evidenziarsi
come la donazione possa innanzitutto consistere nel trasferimento del diritto di proprietà o di altro
diritto reale; può inoltre consistere nella costituzione di un diritto reale limitato prima inesistente.
La donazione può infine avere ad oggetto l’assunzione di un’obbligazione nei confronti del
donatario, o l’adempimento di un obbligo sullo stesso gravante.
Sempre in riferimento all’oggetto, deve darsi conto di una questione giuridica che ha agitato per
anni il dibattito dottrinario e giurisprudenziale, relativa all’ammissibilità della donazione dispositiva
di beni altrui.
Secondo l’impostazione tradizionale della giurisprudenza di legittimità, la donazione avente ad
oggetto un bene altrui deve considerarsi radicalmente nulla, e ciò in base alla consolidata
interpretazione estensiva dell’art. 771 c.c., inteso quale disposizione che impedisce di donare
qualsivoglia bene futuro, attualmente non presente all’interno del patrimonio del donante. Detta
ricostruzione concepisce la disposizione oggetto di esame quale chiara espressione dello sfavore
legislativo verso gli atti donativi che, aventi ad oggetto beni che non rientrano nella disponibilità del
donante, possono risultare frutto di disposizioni avventate, non adeguatamente ponderate,
determinando un indebito depauperamento dello stesso.
Trattasi dunque di un divieto sorretto da una “ratio” in qualche modo sovrapponibile, secondo
taluni, a quella che sorregge il divieto di patti successori dispositivi, che rinviene la sua disciplina
all’interno dell’art. 458 c.c.
Altro orientamento, pur collocandosi in linea di continuità con tali esigenze di tutela del donante,
reputa la donazione avente ad oggetto un bene altrui semplicemente inefficace, in considerazione
della ristretta portata letterale dell’art. 771 c.c., che deve considerarsi riferibile soltanto ai beni non
ancora esistenti in natura. Del resto, il divieto di donare beni altrui deve considerarsi provvisto di
carattere assolutamente eccezionale, posto che il legislatore si è preoccupato di disciplinare
espressamente la vendita di cosa altrui all’interno dell’art. 1428 c.c.
Non è mancato infine chi si è espresso positivamente circa l’ammissibilità di una siffatta tipologia
di donazione, proprio evidenziando la limitatezza operativa del dato testuale ricavabile dalla
disposizione oggetto di esame.
Ad ogni modo, la più recente giurisprudenza della Corte di cassazione ha ritenuto opportuno dare
continuità all’orientamento tradizionale, affermando la radicale nullità della donazione di cosa
altrui. In particolare, secondo i giudici di legittimità, sebbene la nullità della donazione di cosa altrui
non sia prevista da alcuna norma, detta soluzione risulta ricavabile dalla disciplina complessiva
della donazione; infatti, la disciplina della donazione si pone in distonicità con i principi generali
dell’ordinamento, che sanciscono la validità tanto degli atti aventi ad oggetto cose future quanto
degli atti aventi ad oggetto il patrimonio altrui, e, proprio allo scopo di colpire il fenomeno delle
liberalità anticipate, reca un principio settoriale di tenore diverso, prevedendo la nullità di tutti gli
atti donativi relativi a beni futuri.
In altre parole, l’esigenza di porre un freno agli atti di prodigalità e di limitare l’impoverimento dei
beni presenti nel patrimonio del donante accomuna futurità ed altruità.
Ciò posto circa la sorte dell’atto donativo avente ad oggetto un bene futuro, ci si deve interrogare
sul se un tale atto possa costituire titolo per il perfezionamento dell’usucapione abbreviata ai sensi
dell’art. 1159 c.c.
Parte consistente della giurisprudenza si esprime negativamente al riguardo, sottolineando che l’atto
donativo preso in considerazione risulta affetto da radicale nullità, non risultando, pertanto,
“astrattamente idoneo al trasferimento”, come richiesto dalla norma.
Ciò nonostante, nel corso degli ultimi anni si è fatto strada un differente orientamento
giurisprudenziale a guisa del quale la donazione di beni altrui, pur se nulla, costituisce titolo
astrattamente idoneo per il perfezionamento di un acquisto “a non domino” mediante usucapione
abbreviata; e ciò in quanto la nullità di tale tipologia di donazione non dipende da un vizio di
carattere strutturale, ma soltanto da un vizio strettamente legato alla funzione del negozio, dal quale
occorre prescindere allorquando si proceda a valutare l’idoneità del titolo, che si ha tutte le volte in
cui l’effetto direttamente attributivo è unicamente precluso dalla carenza di legittimazione traslativa
dell’alienante (che, nel caso di specie, per l’appunto, non è titolare del bene).
In altri termini, detto negozio, stante l’ignoranza delle parti circa l’alienità della “res donata”, risulta
suscettibile di fungere da “titulus adquirendi” per l’usucapione abbreviata, posto che il requisito
richiesto dalla predetta norma va inteso nel senso che il titolo deve essere idoneo in astratto, e non
in concreto, a determinare il trasferimento del diritto reale, ossia tale che l’acquisto si sarebbe
senz’altro verificato qualora l’alienante ne fosse stato titolare.

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