Il punto di partenza della cristologia sono gli scritti del canone biblico vetero e neotestamentario
(quest’ultimo scritto tra il 70 e il 135) e quelli intertestamentari (scritti su Gesù non accolti nel
canone), detti anche apocrifi in quanto si presentano come depositari di una dottrina nascosta alla
massa e, quanto al tempo, variano dal tempo neotestamentario al medioevo. C’è tuttavia una
questione previa circa il modo di avvicinare questi testi che la poniamo come premessa.
Vangelo di Marco
Il Vangelo di Marco sviluppa lo scoperta di Gesù Cristo quale Figlio di Dio (1,1) tramite alcuni
passaggi: Lui è il Cristo (8,29 la confessione di Pietro), il Cristo è il Figlio di Davide (12,35), è il
Figlio di Dio (14,61-62). Viene anche indicato come il Figlio dell’uomo (2,10.26.28; 14,41.62) che
è Signore anche del sabato (2,28), quale il santo di Dio (1,24) e Dio (2,7); il profeta (6,4.16), il
profeta Elia (6,15), il re dei giudei (15,2.18.26.32), maestro/rabbì (4.38; 5,35; 9,17; 10,10.20.51).
Vangelo di Matteo
Lo scopo di tale Vangelo è spiegare che Gesù è il Messia. Al riguardo abbiamo titoli con i quali ci si
rivolge a Gesù o si parla di Lui che manifestano tale realtà. In concreto abbiamo il nome di Gesù (in
Mt circa 140 volte che lo spiega come salvezza del popolo dai suoi peccati, Mt 1,21; in Mc 82, in
Lc 28), Gesù chiamato il Cristo ovvero Messia (Mt 27,17 e 22) che ben presto si presentano uniti
Gesù-Cristo (Mt 1,1 “Genealogia di Gesù Cristo), altri titoli o nomi: i discepoli lo chiamano
Signore (Mt 8,25; 14,28.30; 16,22 ecc.), gli scribi e i farisei Maestro (didascalos Mt 8,19; 12,38;
22,16ss), la gente il “profeta Gesù” (Mt 21,11), la scritta di condanna fu quella di “Gesù, il re dei
giudei”.
Giovanni
Il Vangelo di Giovanni (prologo “e venne ad abitare in mezzo a noi…e il Verbo si fece carne 1,14)
intende combattere quanti negano la venuta nella carne del Figlio di Dio, paradigma della vita del
cristiano (Colossesi 1,24) che completa nella sua carne le sofferenze di Cristo. Giovanni si occupa
della divinità di Cristo.
Il Corpus Paulinum
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La testimonianza degli scritti apocrifi neotestamentari
Tali scritti, al di là dello sviluppo semantico del termine, circolavano nelle comunità cristiane
rivendicando un’autorità pari a quella dei libri detti “canonici”, almeno con l’intento di esserne il
completamento.
Il termine di “apocrifo” (nascosto) designava libri destinati ad una cerchia di lettori iniziati ad una
corrente.
Più tardi i cristiani indicarono con tale designazione scritti non allineati con l’insegnamento
ufficiale e quindi sospetti di eresia. Essi vennero giudicati non conformi al canone, alla norma cioè
che presiedeva ogni iniziativa cristiana (il canone delle sacre scritture). In tale ottica Ireneo parlava
di ‘apocrifo’ nel senso di “falsificato” (adv. haer. 1, 20,1) e Tertulliano riteneva il termine sinonimo
di “falso” (pud. 10,12). La polemica presente in Ireneo (adv. haer. 3,1), ebbe una sua chiarificazione
al tempo di Origene:
«La Chiesa possiede quattro vangeli, le sette antiche numerosissimi…Ma per tutti questi scritti non
approviamo altro, se non quello che la Chiesa approva » (In Lc. Praef.),
«Sui libri canonici si atterrà alle seguenti regole: i libri accettati da tutte le chiese cattoliche li preferisca a
quelli accettati solo da alcune; tra i libri non da tutti accettati , preferisca quelli che godono gradimento
presso ill maggior numero di chiese autorevoli» (Doctr. chr. 2,8).
Gli apocrifi tuttavia rappresentano antiche testimonianze di tradizioni cristiane, i loro mezzi di
evangelizzazione, le pulsioni e, come diceva Agostino, «hanno qualche verità, ma a causa delle
molte cose false che contengono non godono di alcuna autorità» (civ. Dei 15, 23,4).
2. Gli Apocrifi del Nuovo Testamento manifestano già una riflessione sulla gnosi di Gesù Cristo
giudeo-cristiana (Vangelo di Pietro, (Proto)Vangelo di Giacomo, Vangelo degli Ebrei, Vangelo
degli Egiziani ecc. Esistono anche Apocalissi varie come quella di Pietro, l’Epistula Apostolorum).
L’apocalittica
Il contesto apocalittico è presente anche nei Vangeli, ad es. in Marco 1,15 dove si ha la frase di
Gesù: “Il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino”.
Il genere apocalittico, era diffuso nel giudaismo in cui veniva data importanza ai diversi tempi della
storia, in relazione alla rivelazione di Dio e al compimento delle sue promesse di salvezza. Si hanno
esempi già in Dt 9,20-27; in Tob. 4,5 si ha una frase simile a quella di Mc 1,15 dove il significato è
che il tempo della salvezza è arrivato e quindi qui e ora è resa possibile, come chiarisce la seconda
frase in riferimento al Regno di Dio. Il messaggio si rivolge a quanti stanno vivendo nel tempo
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scelto da Dio per la salvezza e Gesù dà questo vangelo o buona notizia è Lui stesso il Vangelo. I
discepoli sono inviati a seguirlo con il compito di “essere pescatori di uomini” (Mc 16,20) e cioè di
accogliere l’umanità nel regno di Dio.
Struttura dell’opera
Nell’Ascensione di Isaia si sono sovrapposti molti strati di interpolazioni, che fanno pensare a due
fasi successive di composizione, in un periodo di lotta tra le autorità ecclesiastica e alcuni gruppi
periferici carismatici (secondo metà del II sec. in Asia Minore).
Il racconto è diviso in due: nella prima parte si narra il martirio di Isaia; nella seconda parte
(apocalittica) si narra una visione in cui il profeta sale fino al settimo cielo per contemplare il Cristo
preesistente e lo Spirito Santo e la futura discesa del Cristo nel mondo. Cristo scende attraverso i
cieli, assumendo di volta in volta la forma degli angeli e dei demoni che presiedono il cielo, fino a
farsi uomo (ma solo apparentemente). Il diavolo lo fa uccidere e, quando scende negli inferi, fa
strage delle potenze malvagie.
Cristologia dell’AI
In questo passo (cfr. AI 9, 39-42: [see excerpt]) il Diletto (= Cristo) e lo Spirito santo sono
strettamente affiancati sia per la forma angelica sia per l’adorazione che ricevono da parte di uomini
e angeli. Sono anche ambedue parimenti subordine al Padre, però equipare tra di loro. Qui si vede
una concezione trinitaria ben diversa di quella che solo a partire della seconda metà del sec. II si
vedrà nella teologia del Logos, in cui lo Spirito santo è assente o, se presente, è ben subordine al
Logos (vede Giustino, Teofilo, Ireneo). Però questo è l’unico passo in tutta l’AI che parla del Diletto
sotto la forma di angelo, mentre lo Spirito santo è spesso chiamato “angelo”. L’autore dell’AI è
evidentemente di formazione culturale giudeocristiana. La sua “ambiguità” rispetto alla
Engelchristologie che egli dimostra in AI 9 è anche evidenziata dalla sua tendenza in altri passi
dell’opera ad avvicinare il Diletto al Padre, staccandolo dallo Spirito santo.
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Da questo breve trattamento dell’AI, non si può concludere che si tratti soltanto di interventi
sporadici di carattere cristologico, ma si deve concludere che essi rappresentano l’espressione di
precisa e meditata riflessione sull’argomento trinitario e cristologico.
Docetismo, nome dato a quanti sostengono il “Vangelo di Pietro” (Es.HE 6,12,6); il loro capo è
l’encratita Giulio Cassiano (Strom 3,13-14,91-94), ci portano in una clima religioso dualistico che
tentano di risolvere il problema di un’incarnazione indegna di Dio e scandalosa nella sua sofferenza.
Vi confluiscono tutti gli autori che hanno qualcosa contro il reale sensibile: la salus non viene dalla
carne, preferiscono speculare sugli “eoni” come dice Ippolito (Philosophoumena 8,8-11; 10,16). Tra
gli gnostici, doceti veri furono solo i valentiniani, secondo Orbe. Gli Acta Petri, Acta Ioannis e Acta
Thomae riflettono questo indirizzo.
Alcuni come Marcione ne ammettono il corpo, ma generato non alla maniera degli uomini. Se la
componente iliaca non può essere salvata, questa non venne assunta (la motivazione soteriologica).
Struttura dell’opera
Cristologia
Gesù è il Signore, Dio e figlio di Dio (3,1), la parola incarnata (3,3). Nel descriverlo creatore viene
posto in stretta relazione con il Padre. Forse originario della Siria si presenta sotto forma di dialogo
su diversi temi affrontati da Cristo risorto con gli apostoli prima dell’ascensione. Nella prima parte
(1-9) tratta delle virtù di Dio e di Cristo. Scrive nel v.3: «Sappiamo questo: il nostro Signore e
Salvatore Gesù Cristo, Dio e Figlio di Dio». Nei vv.4-9 parla della vita umana del Cristo “mandato
a scuola da Giuseppe e Maria sua madre”.
Vi si trova – seguendo la linea del Vangelo canonico di Giovanni – la difesa della vera divinità di
Cristo, la realtà della sua incarnazione e della sua resurrezione, la resurrezione della carne insieme
all’anima e allo spirito.
Non sappiamo se questo scritto ha esercitato un qualche influsso sulla chiesa antica poichè fino alla
fine del secolo scorso niente si sapeva di esso e non viene affatto menzionato in altre fonti. Tutte le
versioni rappresentano traduzioni di un originale greco.
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Protovangelo di Giacomo
Struttura dell’opera
Dal fatto che, per molti aspetti, i Vangeli canonici non soddisfacevano la brama di conoscenza dei
fedeli e neanche il desiderio di una maggior chiarezza teologica su alcuni punti specifici della
dottrina, nacque un numeroso gruppo di opere che hanno la finalità di completare i Vangeli
canonici. Ciò succede soprattutto per i fatti antecedenti alla nascita di Gesù e per la sua infanzia, a
cui i Vangeli canonici dedicano pochissimo spazio. I Vangeli apocrifi dell’infanzia sottolineano,
secondo la loro prospettiva teologica, la divinità del Bambino, visibile fin dagli inizi, e l’autentica
verginità di Maria prima, durante e dopo la nascita di Gesù. Il più significativo tra questi è il
cosiddetto Protovangelo di Giacomo.
Scritto nella seconda metà del 2° sec. in Egitto ed ampliato successivamente, il Protovangelo di
Giacomo fu condannato come apocrifo dalla chiesa d’Occidente nel Decretum Gelasianum (intorno
al 500 ca.) e in seguito a ciò in occidente cadde in completo oblio. Nelle chiese orientali rimase
invece straordinariamente apprezzato e diffuso, come dimostrano le diverse edizioni in lingua
etiopica, araba, armena, copta, georgiana, slava e siriaca; lo dimostra anche la famosa cattedra
eburnea del vescovo Massiminiano di Ravenna (546 - 556/57) - dal 540 al 751 Ravenna faceva
parte dell’Impero bizantino -, che è adornata con scene del Protovangelo.
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Girolamo, anche al fine di attribuire una persistente verginità a Giuseppe quale padre putativo di
Gesù, la respinse e, a causa di ciò, polemizzò con il Vangelo di Giacomo.
L’Apocalisse
Questo libro del NT fu di difficile ricezione nel cristianesimo delle origini (forse a motivo del cap.
20 : il millenarismo) e perciò anche meno commentato, anche se forse era più comprensibile a loro
data una maggiore conoscenza di tale linguaggio rivelativo e consolatorio insieme.
Sul piano cristologico venne molto utilizzato il cap.19,11-16 (il cavallo bianco cavalcato dal Verbo
di Dio) come sintesi delle immagini e simboli apocalittici della figura del Figlio. Nel sec.II e III gli
appellativi di Cristo derivano per lo più da una lettura cristologica dell’Antico Tetsamento. Il
messiansimo sia giudeo che cristiano, nelle forme del millenarismo ed altre forme, fu il terreno che
lievitò la letteratura apocalittica organizzata attorno al Figlio dell’uomo, nel contesto tuttavia del
carattere storico che aveva la letteratura apocalittica secondo lo schema di Giustino (Dialogo con
Trifone 26-27 e 41-45) che si appoggiava su Daniele 7,9-28 e Apoc. 1,8 e 4,8). Ciò sviluppava il
Figlio di Dio quale nomos o modello del genere umano. Scriveva Ireneo riportando Apoc 19,11-16:
«Così il Verbo di Dio mostrava sempre agli uomini i tratti di quello che doveva compiere (lineamenta
rerum futurarum) e le figure dell’economie del Padre (species dispositionum Patris), insegnadoci le cose
di Dio » (adv.haer. 4, 20,11).
Origene nel Verbo (Logos) di Apoc. 9,11-16 mette insieme la funzione rivelatrice del del Figlio e la
cristologia visibile dell’incarnazione (In Cant. 2,6-8) rilevando il ruolo dell’anima assunta da Cristo
quale modello di perfezione del cristiano. Egli lo sviluppa, sempre sul testo dell’Apocalisse 19, nel
suo commento a Giovanni (In Io. 2, 5,44 e 47), parlando dello splendore della conoscenza spirituale
offerta dal Logos che svela il senso nascosto delle divine Scritture toglendone il velo (In Ez. 14,2),
quello vero (In Io. 2, 7,54-57 e 8,59-62; 6,48-49) e gli eserciti del cielo seguono il Logos di Dio
“come loro guida e lo imitano in tutto” (In Io.1, 48,278 e 2, 8,62-63).
[Basil Studer, Dio salvatore nei Padri della chiesa. Trinità-cristologia-soteriologia, trad. D. Gianotti, Borla, Roma
1986, pp. 30-37, 55-68].
I cristiani dell’epoca subapostolica fecero proprio l’annuncio cristiano originario secondo cui Dio
ha instaurato il suo regno in Cristo mediante la potenza dello Spirito santo per la salvezza di tutti gli
uomini.
Secondo la visione apocallitica che domina la prospettiva teologica di questo periodo, con la
risurrezione di Cristo il mondo futuro ha già avuto inizio. Resta soltanto che il mistero già rivelato
della volontà di Dio sia pienamente compiuto nella parusia del Figlio dell’uomo.
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Bibliografia:
Testi
Luigi Moraldi (a cura di), Tutti gli Apocrifi del Nuovo Testamento Lettere e Apocalissi, ed. Piemme
2001.
Studi
A. Diez Macho, La cristología del Hijo del hombre y el uso de la tercera persona en vez de la
primera, in Scripta Theologica 14(1982), pp.189-202;
N.A. Dahl, Jesus the Christ. The Historical Origins of Christological Doctrine, Minneapolis 1991;
R. Penna, L’ambiente storico culturale delle origini cristiane, 4ed. EDB, Bologna 2000;
W. Horbury, Messianism among Jews and Christian in the Second Century, in Augustinianum 28
(1988), pp.71-88.