Sei sulla pagina 1di 10

Le relazioni con le banche influenzano l'internazionalizzazione delle imprese?

1. Introduzione

L’internazionalizzazione è uno dei canali principali per la crescita delle imprese. Tuttavia, la ricerca di misure
finanziarie addizionali necessarie all’internazionalizzazione è difficoltosa, in quanto le differenze istituzionali
tra i Paesi e la distanza geografica tra essi confondono gli asset e il business dell’impresa. Pertanto, le imprese
internazionali potrebbero trare beneficio da una forte relazione con la propria banca principale, specialmente
quando quella stessa banca è già di per sé internazionalizzata. Allo stesso tempo, i problemi finanziari e i
possibili benefici derivanti da una forte relazione tra banca e impresa potrebbero essere maggiori per quelle
imprese che si impegnano in investimenti diretti all'estero (IDE), che potrebbero implicare costi sommersi
maggiori rispetto alle esportazioni. Molti articoli hanno esaminato la dicotomia tra esportazioni e IDE (vedi
ad esempio Head & Ries (2003), Helpman et al 2004, Arnold & Hussinger 2005 e Girma et al 2005) ponendo
l’accento sulle differenze produttive tra varie imprese ma senza concentrarsi sulle operazioni di credito. Altri
contributi quali Chaney (2005), Minetti & Zhu (2011), Manova et al (2011) e Manova (2013) hanno
sottolineato l'importanza delle contrazioni del credito per le esportazioni aziendali ma senza mai esaminare
gli IDE.
L’originalità del nostro studio è quella di indagare come le relazioni banca-impresa influenzino non solo le
esportazioni delle imprese ma anche gli IDE. In particolare, verifichiamo se la durata del rapporto banca-
impresa e l'internazionalizzazione della principale banca a cui si affida l’impresa abbia un impatto sulle
esportazioni e/o sugli IDE.
Proponiamo tre ipotesi di lavoro: i) quando un'impresa non finanziaria gode di una relazione più forte con la
sua banca principale, l'internazionalizzazione è più probabile; ii) l'impatto positivo di un rapporto più intenso
con la banca principale è maggiore per gli IDE mentre è inferiore per le esportazioni, in quanto quest'ultime
implicano costi sommersi inferiori rispetto ai primi (Greenway e Kneller 2007); Iii) l'impatto positivo della
banca di comodo è maggiore quando la banca principale è essa stessa internazionalizzata. La nostra analisi
sfrutta un ricco database in grado di confrontare informazioni su imprese e banche italiane dal 1998 al 2003.
Il nostro riscontro principale è che la lunghezza della relazione tra banca e impresa incrementa gli IDE ma non
le esportazioni. Inoltre, la probabilità di osservare un’impresa che intraprendere un IDE è maggiore se la sua
banca principale è di per sé Internazionalizzata tramite controllate estere. I risultati sono significativi rispetto
all’utilizzo di diverse tecniche e specificazioni econometriche, comprese le variabili strumentali.
Il presente studio è suddiviso in cinque sezioni. La Sezione 2 analizza la letteratura relativa
all'internazionalizzazione delle imprese e delle banche. La sezione 3 illustra il nostro database. La sezione 4
presenta la strategia econometrica e riferisce i risultati delle equazioni di base e dei controlli di robustezza.
La sezione 5 riprende i nostri risultati principali e pone ulteriori domande per la ricerca futura.

2. Letteratura sull'internazionalizzazione di imprese e banche

Il nostro studio è legato a tre linee di ricerca: l'esistenza di costi sommersi per gli investimenti diretti e le
esportazioni; banca di comodo; internazionalizzazione delle banche.
Costi sommersi di IDE e esportazioni. Qualsiasi impresa deve scegliere se mantenere la sua intera attività nel
paese di origine o spostare parte di essa all'estero. La letteratura ha spesso esaminato due diverse forme di
internazionalizzazione: gli investimenti diretti esteri (IDE) e le esportazioni 1. Entrambe le forme implicano
costi sommersi (Helpman et al., 2004). Questi costi hanno varie forme: ricerca, conformità ai prodotti,
burocrazia, distribuzione, pubblicità, trasporto e rateizzazione di un nuovo piano (Greenaway e Kneller 2007).
Ad esempio, gli investitori intraprendono il rischio che le condizioni inizialmente favorevoli, come le esenzioni
fiscali e gli altri incentivi per gli investimenti diretti esteri in entrata, potrebbero successivamente cambiare,
al punto di svendere in un momento sfavorevole, causando grandi perdite rispetto al costo iniziale di
investimento, in quanto i beni capitale non sono facilmente reimpiegabili nel senso descritto da Williamson
1979). Anche le esportazioni hanno costi sommersi. Per diventare un esportatore, un'impresa deve dedicare
delle risorse all’individuazione del suo mercato specifico di esportazione e intraprendere gli adeguamenti
necessari a rendere i propri prodotti adeguati a tale mercato, adattandoli ai gusti locali e conformandosi alle
norme del paese di destinazione (Alessandria & Choi 2007). I suddetti costi sommersi, che variano a seconda
della natura dell’articolo esportato e della distanza dal mercato esportatore, includono, ad esempio, le spese
di R&S, spese di marketing e di traduzione. Questi investimenti sono definiti “sommersi” nel senso che
verranno persi nel caso in cui la società interrompesse l'esportazione di tale prodotto in tale mercato. I costi
sommersi differiscono e sono specifici per ciascun tipo di prodotto e mercato nazionale di destinazione, tanto
che la maggior parte delle imprese decide di esportare solo pochi prodotti in un numero limitato di paesi
(Helpman et al 2008, Chaney 2005). La letteratura sottolinea come i costi in questione siano un fattore chiave
per spiegare una serie di enigmi, come il perché l'intensità del commercio internazionale, anche se crescente,
sia ancora relativamente bassa o perché la crescita delle esportazioni di paesi il cui tasso di cambio registra
un generalizzato deprezzamento ristagni fino a che i deprezzamenti diventano grandi. Utilizzando come
esempio alcune aziende della Columbia, Roberts & Tybout (1997) ritengono che la probabilità di esportazione
è maggiore del 60% per le aziende che avevano già avuto un'esperienza di esportazione in passato. Possiamo
affermare che esiste una gerarchia tra i costi sommersi legati alle diverse forme di internazionalizzazione
produttiva. I costi sommersi dovrebbero essere più elevati per gli IDE, in quanto questo implica lo
spostamento dell'intero ciclo produttivo all'estero o una parte rilevante del processo di produzione all'estero.
Probabilmente i costi sommersi legati alla scelta di iniziare l'esportazione sono inferiori.
Banca di comodo. L'internazionalizzazione implica non solo i costi sommersi, ma anche maggiori asimmetrie
di informazioni tra imprese e banche. Qui esaminiamo gli studi che mostrano come la disponibilità degli di
credito influenzi l'internazionalizzazione delle imprese e che, come noi, utilizzano i dati individuali su banche
e imprese. Guardando alla diminuzione degli IDE giapponesi negli anni '90 negli Stati Uniti, Klein et al. (2002)
mostrano come le difficoltà finanziarie delle banche principali siano state rilevanti nella riduzione del numero
di iniziative IDE da parte delle imprese giapponesi. Ushijima (2008) conferma l'esistenza di un legame tra l’IDE
delle imprese giapponesi e il benessere delle banche nazionali negli anni '90. L’impatto derivante dal
benessere della banca principale è inferiore a quello del benessere delle banche non principali, suggerendo
che stretti legami tra banca e impresa riducano gli effetti dei deterioramenti della salute della banca. Mentre
i due precedenti studi hanno analizzato gli IDE giapponesi, Amiti & Weinstein (2009) hanno scoperto che la
salute delle banche nazionali ha influenzato le esportazioni delle imprese giapponesi durante le crisi
finanziarie. Ma le prove non si limitano al Giappone. Paravisini ed altri (2011) hanno rilevato che in Perù,
dopo la crisi finanziaria del 2008, la carenza di credito ha ridotto le esportazioni aumentando il costo del
capitale circolante netto per la produzione. A sua volta, Manova et al. (2011) utilizzano i microdati della Cina
e scoprono che le società partecipate straniere e le joint venture hanno prestazioni migliori rispetto alle
imprese domestiche private: mentre la limitata disponibilità del credito ostacola i flussi commerciali delle
imprese nazionali, le consociate estere sono meno vincolate perché possono accedere ai finanziamenti
aggiuntivi dalla loro società madre. Come molti degli studi esaminati, la nostra analisi dell'impatto della
creazione del credito sull'internazionalizzazione della società sottolinea l'importanza della banca principale.
La nostra innovazione è introdurre la durata del rapporto tra la società e la sua banca principale come la
variabile chiave per spiegare l'internazionalizzazione della società. Petersen e Rajan (1994) sono stati tra i
primi a sottolineare che i legami tra le imprese e i loro creditori influenzano la disponibilità e il costo dei fondi.
Hanno misurato questi legami con la lunghezza delle relazioni (in anni) tra banche e imprese. La letteratura
precedente ha già dimostrato che la durata di una relazione tra banca e impresa erano sufficientemente
rappresentative della misura in cui un'impresa ha accesso a finanziamenti esterni (Herrera e Minetti 2007;
Ferri e Rotondi 2006; Ferri et al. 2007). Noi ipotizziamo che quanto più intensa è la relazione bancaria, più è
semplice l’internazionalizzazione per le imprese senza essere penalizzate nell'accesso ai finanziamenti esterni
a causa di una maggiore opacità. Secondo i nostri precedenti, possiamo aspettarci che l'impatto favorevole
della banca di comodo dovrebbe variare insieme all'intensità dei problemi posti dalle varie forme di
internazionalizzazione aziendale. Tenuto conto della nostra precedente discussione sui costi sommersi legati
all'internazionalizzazione, l'impatto favorevole della banca di comodo dovrebbe essere inferiore per le
esportazioni e maggiore per gli IDE.
Il ruolo dell'internazionalizzazione delle banche. Un altro obiettivo di questo studio è quello di verificare
l'esistenza di un legame tra internazionalizzazione aziendale e internazionalizzazione delle banche attraverso
filiali e affiliate. Secondo Focarelli e Pozzolo (2001), le banche che acquistano controllate estere sono di solito
grandi e provengono da sistemi di credito sviluppati. Le filiali I rami sono principalmente attivi nei mercati
all'ingrosso, specialmente nel settore interbancario, mentre le affiliate sono più focalizzate sui mercati al
dettaglio. Le filiali tendono a concentrarsi nei grandi centri finanziari, con Londra in primis, mentre le affiliate
sono maggiormente presenti nei mercati emergenti (Focarelli e Pozzolo 2005). Analizzando il caso cinese, He
e Gray (2001) hanno scoperto che gli IDE industriali aumentano fortemente in quelle regioni in cui le banche
avevano già investito in precedenza. Anche se questo studio non contiene informazioni sul paese d’origine
degli IDE bancari e industriali, è plausibile pensare che esista un collegamento casuale che va dal primo verso
l’ultimo anche su base nazionale. Questo sembra essere confermato da Poelhekke (2011): utilizzando
statistiche olandesi a livello settoriale, Poelhekke ritiene che il volume degli IDE compiuti dalle banche del
mercato domestico incoraggi gli IDE compiuti da imprese industriali provenienti dallo stesso mercato
domestico. Il canale si basa sugli IDE delle banche nelle filiali e affiliate locali. Come spiegheranno le seguenti
sezioni, seguiamo una strategia analoga, distinguendo tra la presenza straniera delle banche attraverso filiali
o affiliate per capire se questa presenza geografica favorisca gli IDE e/o le esportazioni.

3. Dati statistici

Abbiamo raccolto statistiche aziendali e bancarie. I dati sulle aziende sono tratti dall'indagine sulle imprese
manifatturiere condotte da Unicredit, una banca italiana. La nostra analisi si basa sulle indagini effettuate nel
2002 (con riferimento al periodo 1998-2000) e nel 2004 (con riferimento agli anni 2001-2003). L’indagine
considera l’insieme delle imprese con più di 500 dipendenti e un campione stratificato di imprese con meno
di 500, ma più di 10, dipendenti. Per garantire la rappresentatività statistica delle aziende più piccole, il
campione è stratificato in base alla dimensione aziendale (numero di dipendenti), settore (quattro settori
secondo la classificazione Pavitt) e area geografica (Nord e Centro-Sud). Ogni indagine tiene conto di oltre
4.000 imprese; Circa il 50% delle imprese è sostituito da altre imprese in ogni indagine (campione a
rotazione). Ci sono vari motivi per la sostituzione delle imprese nelle indagini successive: alcune imprese
possono lasciare il settore manifatturiero; altre possono ridurre il numero di dipendenti sotto la soglia di 11;
altre ancora hanno chiuso la loro attività.
Nell'indagine all'imprenditore viene chiesto se la sua impresa esporta e se ha intrapreso investimenti diretti
per la produzione all'estero. Queste informazioni comprendono tutte le fusioni e acquisizioni (M & A) ma
escludono il caso di off-shoring, ovvero quando l'imprenditore ha trasferito il processo di business di
un'impresa all'estero ma non detiene almeno il 10 per cento del capitale dell'entità estera (la soglia dell'OCSE
per gli IDE).
La nostra variabile esplicativa è la durata della relazione di credito tra l'azienda e la banca principale. La banca
principale viene identificata tramite il questionario dell'indagine, viene cioè autodichiarata dall'impresa.
Inoltre, prendiamo in considerazione un altro indicatore del rapporto tra banca e impresa: la presenza della
principale banca all'estero. Sappiamo se la banca principale ha filiali o affiliate all'estero, se si tratta di una
banca per azioni, di una banca cooperativa popolare o di una cooperativa di credito. I nostri dati includono
anche il numero totale di banche fanno credito all'impresa. Le informazioni sulle filiali estere, le controllate
e lo status giuridico delle banche sono tratte dalle statistiche della Banca d'Italia. Abbiamo preso in
considerazione alcune variabili di controllo relative alle caratteristiche dell'impresa: dimensione (patrimonio
complessivo), anni di attività dalla fondazione, appartenenza a un gruppo e se è una società di capitali. Altri
indicatori finanziari per le imprese potrebbero influenzare la durata della relazione di credito: tasso di
rendimento (ROE) leva finanziaria, adesione a consorzi di garanzia collettiva. Abbiamo incluso alcune variabili
sull'efficienza e la qualità dei prodotti delle aziende, approssimate dalla certificazione ISO9000 e sulla
competitività delle imprese, misurata dalla presenza di concorrenti internazionali. Abbiamo inoltre
considerato alcune variabili relative alla localizzazione delle imprese in un distretto industriale che potrebbe
influire sul rapporto tra banca e impresa. Abbiamo incluso anche alcune variabili che identificano le
caratteristiche regionali o provinciali: una variabile dummy (detta anche variabile binaria o semplicemente
dummy) per il sud, un valore procapite aggiunto a livello provinciale e l’'indice Herfindahl-Hirschmann (HHI)
per i prestiti. I dubby temporali sono serviti come controlli per i possibili effetti del ciclo economico. La tabella
1 mostra le definizioni e le fonti delle statistiche (si veda la sezione 4 per l'utilizzo di variabili strumentali). La
Tabella 2 presenta le statistiche descrittive delle variabili utilizzate nelle stime, che mostrano una variazione
sostanziale in tutti i nostri indicatori chiave. In media le sono state in attività per 23 anni e avevano un
patrimonio complessivo di circa 800.000 euro. Quasi il 96% delle imprese sono costituite in forma di società
per azioni; il 15% si trova nel meno sviluppato sud; il 48,0% si trova in distretti industriali. Del totale, il 26,1%
appartiene a un gruppo; solo il 3,0% aderisce a consorzi fidi. Per quanto riguarda le nostre variabili
dipendenti, 6.290 imprese, ovvero circa il 71% dell'intero campione, hanno esportato e 237 imprese, pari al
2,7% dell'intero campione, hanno fatto IDE. Le imprese che esportano e intraprendono IDE sono 227.
Per quanto riguarda le nostre variabili esplicative chiave, la durata media del rapporto di credito con la banca
principale. Per quanto riguarda le nostre variabili esplicative, la durata media del rapporto di credito con la
banca principale (assumendo l'antilog del numero riportato nella tabella) è di 15 anni e varia da 3 (durata
media nel primo percentile) a 56 anni (media Durata nel 99esimo percentile). Il numero medio di banche (che
prende nuovamente l'antilog del numero riportato nella tabella) è di 5 e varia rispettivamente da 1 a 20. Il
tipo più frequente della banca centrale nazionale è una banca per azioni indipendente (77,2%) seguita da una
banca cooperativa popolare (17,5%) e da una banca cooperativa di credito (4,7%). Un numero molto piccolo
di imprese nel campione ha come banca principale una banca estera. Delle principali banche nazionali, il
47,3% ha una filiale o un’affiliata all'estero o entrambe (4163 imprese in tutto il campione), di cui il 32,8%
sono banche per azioni indipendenti, il 14,5% sono banche cooperative popolari e nessuna è una banca
cooperativa di credito. La quota delle principali banche con una filiale all'estero è del 41,4%, mentre la quota
di quelle con un’affiliata all'estero è del 32,5%.

4. Ipotesi, metodologia empirica, risultati e controlli di robustezza

4.1. L'approccio econometrico

Nell'analisi di base supponiamo che le diverse attività di internazionalizzazione siano intraprese in sequenza,
con l'investimento all'estero da parte dell'azienda che avviene solo dopo aver iniziato l'esportazione.
Pertanto, sviluppiamo un'analisi probit ordinata con la variabile dipendente definita come una variabile
categoriale y che assume valore 2 se l'impresa sta compiendo IDE ed esporta, valore 1 se esporta ma non
compie IDE e valore 0 se non esporta né compie IDE. Consideriamo la durata della relazione tra un'impresa
e la sua banca principale come variabile chiave causale. Questa variabile può essere interpretata come una
misura indiretta dell'intensità del rapporto banca-impresa (vicinanza informativa) e, come affermato
nell'Introduzione, la nostra ipotesi è che ciò abbia un impatto statisticamente e economicamente significativo
sulle scelte di internazionalizzazione dell'impresa (ipotesi 1). In secondo luogo, ci aspettiamo che questo
impatto sia più forte per gli IDE (ipotesi 2). In terzo luogo, verifichiamo se l'effetto pro-FDI della durata della
relazione tra banca e impresa sia maggiore in presenza di una banca principale pure internazionalizzata
(ipotesi 3). Per verificare la robustezza del rapporto tra l'internazionalizzazione dell'impresa e la durata della
sua relazione di credito, introduciamo ulteriori variabili indipendenti nella regressione, quali indicatori e
variabili aziendali che descrivono l'economia locale.
La scelta dell'impresa di investire o esportare all'estero può essere modellata come un probit ordinato nel
modo seguente:
y * =α x + zδ + u,

dove x misura l'intensità del rapporto banca-impresa, Z1 è un vettore di variabili di controllo e y*


una variabile continua latente o non osservata correlata all'insieme delle variabili esplicative.
Anche se y* non è osservato, y è osservato e collegato a y* dalle seguenti relazioni:
y = 0 if y * ≤ β1
y = 1 if β 1 ≤ y * ≤ β 2
y = 2 if y * ≥ β 2

dove β 1 < β 2 rappresentano i punti di taglio non osservati che identificano i confini tra i vari
livelli delle attività internazionali. I parametri α1 e δ11, insieme ai livelli di soglia sulla variabile
latente che caratterizzano la transizione da una risposta categorica osservata alla successiva secondo
i punti di taglio β1 e β2 possono essere ottenuti mediante la stima di massima verosimiglianza. Per
esaminare il ruolo delle scelte di internazionalizzazione della banca - che riguarda l'ipotesi 3 -
ripetiamo la stima del modello probit ordinato per diversi sotto-campioni definiti in base al grado
dell'internazionalizzazione della banca principale. Ci aspettiamo che l'effetto della durata della
relazione di credito sull'internazionalizzazione dell'impresa (esportazioni o IDE) diventi più forte in
quanto aumenta il grado di internazionalizzazione della sua banca principale (cioè dalle filiali alle
affiliate).
Il probit ordinato ci permette di verificare solo le ipotesi 1 e 3 ma è muto circa l'ipotesi 2.
Pertanto, al fine di dissociare l'effetto differenziale della durata della relazione di credito tra (i) non
esportare ed esportare senza compiere IDE da quella tra (ii) esportare e intraprendere IDE, si
considerano anche i seguenti due modelli probit:

y HI =α x + zδ +η,
y LI =α x + zδ +κ,

dove y HI (estremamente internazionalizzata) è una variabile dicotomica che ha valore 1 se l'impresa


esporta e allo stesso tempo compie IDE e 0 se esporta solo, mentre y LI (meno internazionalizzata) è
una variabile dicotomica che ha valore 1 se l'impresa esporta ma non compie IDE e 0 se si tratta di
una società puramente nazionale (cioè produce e vende solo a livello nazionale).

4.2 Risultati

Nella tabella 3 riportiamo la stima di probit ordinato con la variabile dipendente definita come una
variabile categoriale y che assume valore 2 se l'impresa esporta e allo stesso tempo compie IDE,
valore 1 se esporta ma non compie IDE e valore 0 se non esporta né compie IDE. Nella prima
colonna riportiamo le stime per l'intero campione mentre nelle colonne restanti presentiamo le stime
per tre sotto-campioni: la banca principale è una banca per azioni indipendente, una banca popolare
cooperativa e una banca cooperativa di credito.
Per l'intero campione (prima colonna) la lunghezza della relazione ha un coefficiente positivo e
significativo (livello di significatività del 5%). Guardando le altre variabili esplicative, la
dimensione dell'impresa, l’essere una società di capitali, il partecipare a un credito consorziale,
l’utilizzare strumenti finanziari innovativi e gli indicatori sull'efficienza aziendale e sulla qualità dei
prodotti, ha un impatto positivo sull'internazionalizzazione. Al contrario, essere una società situata
nel Sud ha un impatto negativo sull'internazionalizzazione che riflette il noto divario Nord-Sud in
Italia esaminato in letteratura (vedi ad esempio Guiso et al 2004a, 2004b). È interessante notare che
le colonne 2-4 mostrano che solo quando la banca è una banca per azioni indipendente, l'impatto
della lunghezza delle relazioni rimane statisticamente significativo (livello di significatività del
5%). Il fondamento logico di questa constatazione, che non sorprende, è legata al fatto che le
banche cooperative popolari e le banche cooperative di credito concentrano la propria attività
soprattutto sul mercato del credito nazionale.
Nella tabella 4 riportiamo l'analisi del grado di internazionalizzazione della banca principale, per il
caso di una banca per azioni indipendente. La durata di una relazione tra banca e impresa mantiene
un legame positivo con l'internazionalizzazione dell’impresa. Quando limitiamo il campione di
stima al caso della banca principale con filiali all'estero, l'impatto della lunghezza della relazione
rimane statisticamente significativo (anche se solo a un livello di significatività del 10%). Al
contrario, se limitiamo il campione di stima al caso in cui la banca principale ha solo filiali
all'estero, l'impatto della lunghezza del rapporto non è più significativo.
Le tabelle 5 e 6 si spostano sulle due specifiche di probit. La tabella 5 controlla se l'intensità del
rapporto banca-impresa influisce sulla probabilità di diventare un'impresa esportatrice. La Tabella 5
non rileva alcun impatto significativo. I nostri risultati coincidono con quelli di Minetti e Zhu che
non hanno trovato un'associazione tra la lunghezza del rapporto banca-impresa e l'esportazione.
Anche secondo Buono e Formai (2013), nel periodo 1997-2009, in Italia i flussi di esportazione non
sono stati colpiti da shock a breve termine nell'offerta di credito. La tabella 6 esamina l'impatto del
rapporto banca-impresa sulla probabilità che un'impresa esportatrice compia anche IDE. Come
dimostra la tabella 6, il rapporto tra banca e impresa sembra essere un fattore importante per le
imprese esportatrici nel compiere investimenti diretti esteri in tutti i casi considerati (con un livello
di significatività sempre del 5%).
La tabella 7 si concentra sulle imprese altamente internazionalizzate, vale a dire quelle che
esportano e compiono IDE, mostrando gli effetti marginali calcolati con i mezzi delle variabili
indipendenti. I nostri risultati hanno rilevanza economica. L'impatto della lunghezza delle relazioni
aumenta all’aumentare del grado di internazionalizzazione della banca principale. Quando la banca
principale ha affiliate all'estero, l'effetto marginale della lunghezza del rapporto è prossimo alla
probabilità media prevista del modello probit (rispettivamente 1,68% contro 1,98%). Quindi la
lunghezza del rapporto ha rilevanza economica sull'internazionalizzazione dell'impresa in
particolare quando la banca principale ha affiliate all'estero.

4.3 Controlli di robustezza

Come primo passo, controlliamo l'esistenza di potenziali problemi di endogeneità. In letteratura si


applica il metodo delle variabili strumentali (IV) per indirizzare l'endogeneità tra le variabili
dipendenti e indipendenti. Teniamo debitamente conto la possibile presenza di endogeneità nel
rapporto tra la scelta dell'internazionalizzazione e la durata del rapporto tra banca e impresa. Le
banche potrebbero semplicemente intensificare i rapporti con l'impresa in seguito alla realizzazione
delle esportazioni e/o degli investimenti diretti esteri. L'idea è di trovare alcune variabili che
possano influenzare la durata della relazione di credito ma non in grado di influenzare la scelta delle
imprese ad internazionalizzare e quindi non correlate ai residui delle nostre equazioni. La nostra
strategia è stata prevalentemente influenzata da due studi.
In primo luogo, Guiso et al. (2004a) ha esaminato l'effetto dello sviluppo finanziario regionale sulle
prestazioni economiche, trovando un'influenza positiva. Poiché questa correlazione positiva
potrebbe dipendere da un nesso causale tra performance economica e sviluppo finanziario,
utilizzano una serie di variabili economiche per indicare lo strumento di sviluppo finanziario locale.
Questi strumenti si riferiscono alla struttura bancaria regionale nel 1936, quando in Italia venne
introdotto un regolamento bancario chiave: filiali per abitanti, quota di filiali di proprietà delle
banche locali, numero di casse di risparmio per abitanti, numero di banche cooperative per abitanti.
Questa vecchia struttura bancaria regionale non è stata correlata allo sviluppo economico storico
delle regioni italiane (in quanto determinato da " contingenze storiche ") e pertanto non è correlato
ai residui dell'equazione principale in cui i risultati economici è la variabile dipendente. Guiso et al.
trovano una buona misura quando regrediscono l'indicatore dello sviluppo finanziario regionale
sull'insieme degli strumenti.
In secondo luogo, Herrera e Minetti (2007) adottano lo stesso approccio. Usando la nostra stessa
indagine, trovano che le informazioni della banca principale dell'impresa, approssimata dalla durata
della relazione di credito, promuove l'innovazione tecnologica. Ma la durata della relazione di
credito potrebbe non essere esogena rispetto all'innovazione del prodotto e del processo, come nel
nostro caso la durata della relazione di credito potrebbe non essere esogena rispetto
all'internazionalizzazione dell’impresa. Pertanto, al fine di trovare alcuni strumenti cercano di
individuare shock nell'offerta locale di servizi bancari. L'idea è che questi shock influenzino “le
decisioni delle imprese a continuare con le loro principali banche e le decisioni delle banche a
continuare con i loro clienti ordinari e, quindi, la durata delle relazioni di credito” (Herrera e Minetti
2007, p. 236). Pertanto, essi regrediscono la durata della relazione di credito su alcune variabili
provinciali che hanno influenzato l'offerta locale di servizi bancari. Due variabili sono prese da
Guiso et al. (2004a: banche di risparmio e banche cooperative nel 1936); altre due variabili
considerano il numero medio di filiali bancarie create dai titolari e, rispettivamente, dai partecipanti
nelle province nei primi anni di liberalizzazione delle filiali in Italia (1991-1998). Infine, gli autori
trovano una relazione positiva tra l'innovazione tecnologica e la lunghezza strumentata della
relazione di credito.
La nostra variabile indipendente chiave è la lunghezza della relazione tra l'impresa e la sua banca
principale. Noi scegliamo come strumenti tre indicatori che possono influenzare questa relazione.
La prima variabile è il numero di filiali bancarie ogni 1.000 cittadini nelle province durante il
periodo 1991-1998. La seconda variabile è il numero di filiali ogni 1.000 cittadini aperti da nuovi
operatori in ogni provincia durante gli anni 1991-1998. È ragionevole supporre che questi due
cambiamenti nella fornitura locale di prestiti potrebbero influenzare i rapporti di credito, mentre non
sono in grado di influenzare la scelta delle imprese a compiere IDE e/o a esportare. Queste due
variabili descrivono la struttura dei mercati bancari negli anni '90, quando il settore bancario
italiano è stato deregolato.
Il terzo strumento descrive i mercati bancari nel 1936 - quando è stato introdotto un regolamento
restrittivo in Italia - e si riferisce al numero delle casse di risparmio ogni 10.000 cittadini di ogni
regione. Dagli anni '30 ogni banca poteva aprire le filiali solo in una specifica area di competenza.
Questi limiti rigorosi sono sopravvissuti fino alla fine degli anni '80, quando - seguendo le direttive
europee – ebbe inizio la deregolamentazione bancaria. Il rigido regolamento ha influenzato le scelte
delle banche nelle rispettive aree di competenza e quindi anche i rapporti di credito con le imprese
ne sono stati colpiti.
Per sfruttare l'approccio della variabile strumentale, la scelta di investire all'estero o di esportare può
essere considerata nel modo seguente:

y =α x + zδ + u,

dove y è una variabile dicotomica che ha valore 1 se l'azienda è internazionalizzata (IDE o


esportazioni), altrimenti ha valore 0. Considerando l'interpretazione delle variabili strumentali data
dal metodo dei minimi quadrati a due stadi (TSLS), definiamo prima un vettore di variabili
strumentali z2 correlate con la variabile esplicativa endogena x, ma non correlata all'errore stocastico
u in regressione (4). L'effetto di queste variabili strumentali è acquisito dal vettore dei parametri 22 δ
nella regressione ausiliaria:

x = zδ + z δ + v,

dove x è la variabile esplicativa endogena in (4), z1 è il vettore delle variabili di controllo in (4) e v è il
residuo. Dopo la stima della regressione (5) nella prima fase, x viene sostituita dai suoi valori stimati
in regressione (4). Questa ultima equazione viene poi stimata nella seconda fase.
Per quanto riguarda i segni dei coefficienti delle nostre variabili strumentali, non abbiamo chiare
ipotesi ex-ante. Gli shock per la fornitura di servizi bancari locali e l'intensità della
regolamentazione bancaria possono produrre segni ambigui sulla durata delle relazioni di credito.
Per garantire la validità degli strumenti prescelti eseguiamo controlli diagnostici. Un buon
strumento deve essere correlato con la variabile endogena e ortogonale al termine di errore.
Abbiamo provato l’ipotesi di correlazione con un test del rapporto fra varianze degli strumenti
esclusi nella regressione di primo stadio. Abbiamo anche provato l’ipotesi di correlazione con un
test del rapporto fra varianze degli strumenti esclusi che corrisponde alla statistica test per la
rilevanza degli strumenti di Shea (1997) detta “R2 parziale”, che tiene conto dell’intercorrelazione
tra gli strumenti. A sua volta, l'assunzione di ortogonalità al termine di errore è verificata usando il
test di sovraidentificazione di Hansen-Sargan. Nelle tabelle riportiamo il valore p della statistica J.
Inoltre, abbiamo riportato una statistica F per un test di esogeneità sullo stimatore IV.
Un limite dell'analisi descritta è che lo stimatore IV presuppone implicitamente un modello di
probabilità lineare per la scelta dell'impresa di aprirsi alla dimensione internazionale. Per questo
motivo, come Ferri et al. (2007), abbiamo anche considerato una stima IV probit, seguendo la
metodologia di Wooldridge (2002). Questa metodologia non richiede l'assunzione di un modello di
probabilità lineare e utilizza la massima probabilità condizionata per stimare un modello Probit con
una variabile esplicativa endogena. Viene inoltre eseguito un test sull'esogeneità della variabile
strumentale, con la statistica di prova distribuita come chi-quadrato.
Come discusso in Herrera e Minetti (2007), la durata delle relazioni di prestito potrebbe solo
parzialmente acquisire l'intensità del legame tra banche e imprese, a causa della presenza di rapporti
di credito multipli. Infatti un'impresa può contrarre prestiti da altre banche, pur mantenendo un
rapporto privilegiato con una determinata banca. La contabilizzazione di questa possibilità è
particolarmente importante nel caso dell'Italia, a causa della diffusa pratica di rapporti di credito
multipli tra le PMI. Pertanto, come un ulteriore controllo di robustezza, nel primo stadio, oltre
all'equazione 5, stimiamo la seguente equazione:

w = zδ + z δ + ψ

dove w è il numero di banche. In altre parole, noi applichiamo anche il numero delle banche.
Nella tabella 8 riportiamo le regressioni di primo stadio per la lunghezza della relazione e il numero
di banche. In entrambi i casi l'ipotesi nulla di strumenti esclusi viene respinta rispettivamente un
livello di fiducia del 5% e 1%.
La tabella 9 mostra i risultati delle stime Probit, IV e IV-Probit per le determinanti delle
esportazioni. Il nostro interesse principale è quello di spiegare le stime ottenute per la durata del
legame banca-impresa. L'impatto della durata della relazione tra banca e impresa non è
statisticamente significativo nello spiegare le esportazioni in tutte le stime. Tale stima non è
consistente con i risultati della tabella 5. La statistica J ha un valore p di 0,41 e quindi il test di
sovraidentificazione non respinge l'ipotesi nulla congiunta che gli strumenti scelti siano validi.
Tuttavia, il test di esogeneità non respinge l'ipotesi nulla che il regressore strumentato possa essere
trattato come una variabile esogena sia nelle stime IV-2SLS sia in quelle IV Probit. La Tabella 10
riporta le stime IV-Probit per il ruolo dell'internazionalizzazione della banca principale. Troviamo
un significativo coefficiente stimato per la durata della relazione (a livello di significatività dell'1%)
solo quando la banca principale ha filiali all'estero. Ancora una volta il test di esogeneità non riesce
a respingere l'ipotesi nulla che il regressore strumentato possa essere trattato come una variabile
esogena.
La tabella 11 mostra i risultati delle stime Probit, IV e IV-Probit per le determinanti degli IDE.
L'impatto della durata del rapporto banca-impresa è statisticamente significativo in tutte le stime. La
statistica J ha un valore p di 0,62 e pertanto il test di sovraidentificazione non respinge l'ipotesi
nulla congiunta che gli strumenti scelti siano validi. Il test di esogeneità respinge l'ipotesi nulla che
il regressore strumentato può essere trattato come variabile esogena in entrambe le stime, IV-2SLS
e IV Probit. La Tabella 12 riporta le stime IV-Probit per il ruolo dell'internazionalizzazione della
banca principale. Troviamo un significativo coefficiente stimato per la durata della relazione -
all'1% del livello di significatività - quando la banca principale ha affiliate all'estero. Il test di
esogeneità respinge l'ipotesi nulla che il regressore strumentato è una variabile esogena.
Infine, nella tabella 13 verifichiamo l'impatto della presenza di rapporti di credito multipli. Come
discusso in precedenza, un'impresa può contrarre prestiti da altre banche, pur mantenendo un
rapporto privilegiato con un intermediario specifico. Ciò implica che la durata delle relazioni di
credito potrebbe non fotografare in maniera esaustiva il grado di vicinanza informativa tra l'impresa
e la sua banca principale. Come dimostra la Tabella 13, i nostri precedenti risultati sull'impatto della
durata delle relazioni su esportazioni e IDE sono confermati. Il numero di banche è statisticamente
significativo (livello di significatività 1%) nelle stime Probit, ma diventa non significativo quando
le variabili endogene sono strumentate.
Pertanto, troviamo un robusto supporto empirico all'idea che avere una banca principale
internazionalizzata rafforzi l'importanza della vicinanza informativa per diventare un'impresa
internazionalizzata. L'impatto più significativo della durata del rapporto è quando la banca
principale possiede filiali all'estero. Ciò non sorprende se si considera che l'attività bancaria
all'estero attraverso filiali è quasi esclusivamente un tipo di attività all'ingrosso mentre avere
affiliate all'estero implica l'accesso ai mercati al dettaglio esteri. È evidente che l'ultima modalità di
ingresso descritta comporta ragionevolmente una capacità molto più efficace da parte degli
organismi mutuanti di smorzare la mancanza di trasparenza delle imprese internazionalizzate.

5. Conclusioni

Utilizzando i dati sulle imprese manifatturiere italiane, questo studio ha affrontato i fattori che
influenzano la scelta di un'impresa a esportare e/o realizzare IDE concentrandosi sul ruolo svolto
dalla durata del rapporto tra l'impresa e la sua banca principale.
Abbiamo fornito nuovi chiarimenti tra le restrizioni di credito e l'internazionalizzazione delle
imprese. Da un lato, parte della letteratura precedente si è domandata il motivo per il quale alcune
aziende rimangono puramente dentro i confini nazionali mentre altre esportano e/o realizzano IDE
spiegando questa decisione sulla base delle differenze produttive tra le imprese, ma trascurando il
ruolo delle finanze. D'altro, un altro filone ha sottolineato l'importanza delle restrizioni di credito
per le scelte di internazionalizzazione, ma ha trascurato la differenza tra esportazioni e IDE. Il
presente studio, invece, ha esaminato le decisioni riguardanti sia le esportazioni sia gli IDE che
identificano l'impatto del rapporto banca-impresa e controllano la modalità di
internazionalizzazione della banca principale. Abbiamo presentato due contributi attinenti. In primo
luogo, la durata del rapporto con la banca principale influisce sulla probabilità che un'impresa già
esportatrice realizzi anche degli IDE. Al contrario, la durata del rapporto con la banca principale
non influenza la probabilità che un'impresa attiva solamente sul mercato nazionale inizi a esportare.
In secondo luogo, la durata del rapporto banca-impresa sembra essere importante soprattutto
quando la banca principale è essa stessa internazionalizzata e possiede affiliate all'estero. Questi
risultati sono stati ottenuti introducendo diverse variabili di controllo e dimostratesi resilienti a varie
verifiche di robustezza relative ai potenziali errori di endogeneità introducendo opportune variabili
strumentali e utilizzando adeguate tecniche econometriche. Nel trovare risposte ad alcune domande,
ne sono sorte di altre. In questa sede, ne citeremo tre. In primo luogo, sarebbe interessante accertare
la correttezza della nostra congettura sui canali attraverso i quali possono essere ridotte le
asimmetrie dell'informazione tra organismi mutuanti e mutuatario. Vale a dire, è la sua presenza
nello stesso paese che aiuta la banca principale internazionalizzata con le affiliate a valutare
l’affidabilità creditizia dell’impresa creditrice che intraprende FDI lì? Oppure, è sufficiente che la
banca principale abbia una competenza "generica" per fare affari all'estero? In secondo luogo, le
nostre conclusioni secondo le quali l'esportazione sembra generare maggiori costi sommersi quando
è affiancata alla realizzazione di IDE, rispetto a uno status di mera esportazione, merita ulteriori
indagini. Una domanda specifica è se le esportazioni di imprese che realizzano anche IDE siano
omogenee rispetto a quelle di imprese che esportano senza realizzare IDE. In particolare, è possibile
che le esportazioni e gli IDE siano complementi piuttosto che sostitutivi nella prevalenza del nostro
campione? In terzo luogo, sarebbe opportuno estendere l'analisi agli anni successivi alla crisi
finanziaria e chiedere se la crisi economica del 2008-2014 abbia alterato l'associazione tra l'intensità
dei rapporti tra banca e impresa e l'internazionalizzazione di quest’ultima. Per esempio, Del Prete e
Federico (2014) ritengono che in seguito al crollo di Lehman Brothers in Italia la contrazione del
credito abbia avuto un effetto negativo sulle esportazioni. Lasciamo queste domande alla ricerca
futura.

Potrebbero piacerti anche