QUADERNI DI AIWN
NUOVA SERIE - 5
F RANCO C REVATIN
L’ETIMOLOGIA
COME PROCESSO
DI INDAGINE CULTURALE
COLLANA DI STUDI
DIRETTA DA
D OMENICO S ILVESTRI
NAPOLI
2002
Indice
Premessa 7
Incipit 9
Nel momento stesso stesso in cui scrivo queste righe, il libro cessa
di essere solo mio ed avrà un destino suo proprio. Non posso staccar-
mene, tuttavia, senza ricordare con gratitudine gli Amici che in vario
modo mi hanno aiutato: Giorgio Banti, Yaqob Beyene, Paola e Filippo
Càssola, Sergio Daris, Stefano De Martino, Felice Israel, Elie Kallas,
Tiziana Lippiello, Ugo Marazzi, Giovanni Pettinato, Luciano Rocchi,
Gennaro Tedeschi. Ad essi associo doverosamente coloro che hanno let-
to la prima stesura di questo lavoro. Un grazie tutto particolare va
8 Franco Crevatin
Questo libro è dedicato, con immutato affetto, alla memoria dei miei
Maestri Vittore Pisani e Marcello Durante.
F.C.
L’etimologia come processo di indagine culturale 9
INCIPIT
1
Un confronto tra i tanti è costituito dalla celebre espressione formulare della
poesia orale a noi giunta sotto il nome di Omero e[ p ea pterov ( Û)enta, le “alate
parole”, le parole che vanno diritte al bersaglio come frecce guidate dalle piume
poste vicino alla cocca.
2
Alla base della forma neolatina odierna.
12 Franco Crevatin
3
Per chi avesse tale curiosità, preciseremo che il nome è un derivato dall’agget-
tivo latino síl•ceus «siliceo», per la natura rocciosa della zona.
L’etimologia come processo di indagine culturale 13
4
La j- iniziale dell’arabo classico è un’innovazione, peraltro non condivisa, nep-
pure anticamente, da tutte le varietà dialettali; la velare iniziale compare in tutte
le lingue semitiche e nei prestiti da esse irradiati (cfr. la glossa esichiana gamav l :
hJ kav m hlo" paraŸ Caldai~ o "), come ad es. il latino camelus o l’egiz. (demotico)
gmwl, copto *kam oul, qamoul.
14 Franco Crevatin
ß
nella fonte di Macrobio. Le spighe di grano hanno infatti gran-
de importanza nella festività del dio ed inoltre il geroglifico
con il quale si scriveva il nome di Min, , era casualmente
identico alle forme convenzionali che il fulmine assumeva
nell’iconografia greca e romana. Il fraintendimento piú curioso
è quello riferito in 1, 21: Macrobio dice che gli Egiziani raffigu-
ravano le immagini del sole col capo rasato solo a sinistra, perché
a destra la chioma restava intatta. Non è cosí: o meglio, il rife-
rimento è alla ciocca di capelli
¡
che veniva lasciata intatta
5
La sua opera maggiore, i Saturnali, è dedicata prevalentemente a problemi let-
terari.
L’etimologia come processo di indagine culturale 17
6
Sino a non troppo tempo fa non esistevano strumenti per trascrivere, se non
impressionisticamente, le lingue altre dalla propria.
7
Desumendole da opere, a noi non pervenute e di data non precisabile, di autori
Greci sull’Impero persiano.
8
La precisazione è indispensabile, perché nello zarathustrismo l’aldilà non è un
concetto negativo: i giusti (si veda la stessa glossa di Esichio aj r tai~ o i «eroi», un
derivato dal nome dell’Ordine e Giustizia cosmici, pta-, avestico a πa-) possono
legittimamente aspirare ad un destino di felicità.
18 Franco Crevatin
9
Ritengo che il tipo asman- «cielo» sia un’innovazione lessicale in parte almeno
imputabile allo zoroastrismo: lo zoroastrismo infatti aveva posto in assoluto primo
piano la figura di Ahura Mazda, il «Signore Saggezza», con la conseguenza che
gli asura nel loro complesso erano considerati dei beneficenti, mentre i daeva
erano diventati i demoni. Insomma, quasi una posizione opposta a quella del
vedismo, dove deva è il dio positivo ed asura il dio ambiguo e spesso negativo.
La situazione originaria della religione indo-iranica prevedeva degli dei ‘della
Prima Volta’, per cosí dire, ossia deità legate al mondo primigenio (gli asura), e
le divinità creatrici, della Storia (i *daiva-). In India il massimo dio degli asura era
Varuˆa, il dio delle Acque Primordiali che risiedeva nella rocciosa Montagna Cosmica.
Cosmologicamente tale montagna, nella quale scendeva il sole dopo il tramonto,
equivaleva al cielo notturno, immaginato in posizione speculare sopra la terra,
dimodoché c’era un’equivalenza culturale e cosmologica tra il cielo (notturno) e la
roccia. Orbene, Ahura Mazda è fondamentalmente una rielaborazione di Varuˆa
ed etimologicamente asman- «cielo» vale ‘roccia’. Come si vede, i conti sembrano
tornare. È probabile che Zarathustra abbia spinto semplicemente alle estreme
conseguenze una distinzione religiosa che comunque già esisteva tra le genti
iraniche ed indiane, distinzione che però non era binaria: in alcune lingue scitiche
(ad esempio nell’osseto moderno, che continua una di tali lingue), l’antico *daiva-
conserva valori positivi.
L’etimologia come processo di indagine culturale 19
10
Oltre parleremo del celebre Periplo del Mar Rosso.
20 Franco Crevatin
11
Continuatosi in alcune varietà romanze, REW 5370: la voce è forse passata al
greco marrov n Esichio.
12
Sir., arab. marr(†), accadico marru(m), egiziano mr (P. Tanis 14, 4 come signifi-
cato dell’ideogramma
M «zappa»), tutti dal sumerico mar con lo stesso senso.
L’etimologia come processo di indagine culturale 21
13
Non possiamo seguire qui questa complessa vicenda in tutti i suoi dettagli.
Limitiamoci a ricordare che il cavallo era animale prezioso, non destinato al la-
voro. La sua posizione eccezionale (spesso lo si riteneva di discendenza divina),
lo rendeva adatto per sacrifici particolarmente importanti. Non veniva cavalcato,
almeno di norma, ma dall’età del bronzo in poi veniva utilizzato per il cocchio
da guerra.
22 Franco Crevatin
14
I Romani aggiogavano il cavallo alla maniera dei buoi, il che affatica notevol-
mente l’animale. [recentissime ricerche sembrano tuttavia far ritenere che i Ro-
mani, pur senza conoscere il collare, conoscessero e praticassero un'aggiogatura
equina appropriata].
L’etimologia come processo di indagine culturale 23
piuttosto che il futuro, c’è uno specialista che non può mancare
di una certa capacità intuitiva. Essa non è una qualità misteriosa,
poiché l’indovino conosce la società nella quale vive ed opera,
conosce i problemi che piú comunemente si incontrano ed il quadro
in cui si collocano. Lo stesso fa l’etimologo, il quale riconosce
per consolidato mestiere la tipologia dei problemi che incontra:
come l’indovino, egli prima ancora di porsi un problema etimologico
analizza il contesto nel quale si colloca l’oggetto della sua ri-
cerca. Qui, quasi casualmente, tocchiamo un fattore delicato, quello
dell’incommensurabilità. Ebbene, un etimo, preso isolatamente, è
talora difficilmente giudicabile in termini di accettabilità, ma è
per contro facilmente valutabile per le procedure ed i contesti
sulla base dei quali è stato proposto. Nel greco moderno esiste
una voce, fav r a, che significa «discendenza, stirpe, razza; corpo-
razione». Orbene, se noi dovessimo giudicare quale sia l’etimo
corretto, se il langobardo fara «discendenza, lignaggio; gruppo
familiare in spedizione» oppure l’albanese farë «seme, progenie,
gruppo, razza», non potremmo decidere sulla base dei soli dati
linguistici, perché ambedue gli etimi sono formalmente possibili.
Di fatto essi non sono altrettanto accettabili, poiché mentre sap-
piamo che in Grecia sin dal Medio Evo è esistita una notevole
presenza albanese e possiamo documentare numerose parole passa-
te dall’albanese ai dialetti greci, l’unico punto di incontro tra grecità
ed ambiente langobardo è stata l’Italia meridionale durante l’epoca
del ducato di Benevento e non abbiamo ragioni documentarie per
credere che in quel breve lasso di tempo una siffatta, isolata voce
germanica abbia potuto prender stabilmente dimora nel lessico bi-
zantino. Dunque la prima ipotesi è piú economica della seconda.
Analogamente agisce l’indovino: se un uomo è attaccato da
qualche sconosciuto con mezzi di stregoneria, può ben essere che
il colpevole sia il tal dei tali con il quale il paziente a suo tempo
ha litigato, ma è piú economico pensare che l’aggressore sia una
persona della stessa famiglia dell’aggredito: fin troppe possono
essere le ragioni d’interesse e troppo potenzialmente pericolosa
la quotidianità per essere sottovalutate.
24 Franco Crevatin
una quantità di elementi del reale tramite quelli che noi defini-
remmo volentieri giochi di parole, ma che giochi non erano affat-
to per gli Egiziani, bensí dimostrazioni inequivoche del potere
della parola. E c’è di piú. Quando si sostiene, ad esempio, che gli
esseri umani (rmT, copto rwme) sono nati dalle lacrime del Cre-
atore (rmj «piangere», copto rime) si ammette un’identità essen-
ziale (oj m oiousiv a ) che include la paretimologia senza bisogno di
articolazioni linguistiche specifiche.
Gli Egiziani spinsero ancora piú in avanti la loro ricerca, giun-
gendo alla conclusione che la loro scrittura geroglifica – che non
a caso definivano mdw nTr «parola di dio» – fosse un altro modo
di identificare l’essenza della realtà. Per brevità faccio qui un
solo esempio. Alcune scuole teologiche ritenevano che il Demiurgo
fosse stato androgino, parte maschile e parte femminile e ritene-
vano che ciò ricevesse una conferma dal fatto che il nome della
dea Neith – creatore nella teologia latopolitana – potesse esser
scritto con i due segni
Ø d
e che potevano esser impiegati
per scrivere le parole “padre” e “madre” 15 .
Prescindendo dall’aspetto demiurgico, che resta un caso spe-
cifico pur se diffuso, il fenomeno generale è noto e studiato. Idee
e pratiche molto comuni come la magia aggressiva esercitata sul
nome proprio, l’esistenza di nomi segreti, la ricerca dei ‘nomi di
Dio’ e tabu articolatori connessi, il potere della parola nel rito e
quanto altro ancora sono tutte manifestazioni della supposta ojmoiousiva
tra segno linguistico ed elemento del reale. Sono davvero poche
le culture antiche o ‘primitive’ che si siano sottratte a tale reali-
smo concettuale (per usare la terminologia di J. Piaget) e che
quindi non abbiano praticato, anche solo occasionalmente, la
(par)etimologia per fini euristici o interpretativi. Sono giustamente
note, per limitarci ad una citazione, le complesse costruzioni teoriche
sviluppate dai Dogon e dai Bambara dell’Africa occidentale sulla
lingua e sul suo uso, e potremmo facilmente moltiplicare gli esempi.
15
In realtà i due segni erano innanzi tutto motivati dal fatto che nella grafia
geroglifica tarda essi notavano le consonanti n e t.
36 Franco Crevatin
I Bawlé della Costa d’Avorio, che pure non hanno una teoria
linguistica esplicita, hanno usato la paretimologia come impor-
tante strumento per l’autodefinizione. Popolazione costituitasi in
un’epoca piuttosto recente (prima metà del XVIII sec.) grazie
all’assimilazione di gruppi di lingua e cultura prevalentemente
Guro da parte di piccole minoranze Asante provenienti dal Ghana,
i Bawlé hanno basato la propria identità su un mito di fondazio-
ne, quello della regina Abla Poku che con un piccolo seguito
avrebbe condotto da Kumasi tutte le genti akan che oggi si tro-
vano in Costa d’Avorio (sic!). L’assunzione del nome etnico Bawlé,
un nome che ci è attestato prima del XVIII secolo sulle carte ge-
ografiche europee e che è verosimilmente un nome geografico
(verosimilmente un idronimo), è stato rideterminato dalla paretimolo-
gia: il nome significherebbe ba wuli «il bambino è morto» e si
riferirebbe al momento in cui la regina, davanti ai propri segua-
ci, avrebbe dovuto sacrificare il figlioletto alla divinità del fiume
Comoé per poterlo guadare e cosí mettersi in salvo dagli insegui-
tori. Sulle stesse basi ideologiche sono stati reinterpretati i nomi
delle sezioni locali bawlé: gli Aali sarebbero coloro che sarebbero
rimasti indietro ( O wali), gli Aïtu coloro che disboscavano (o spen-
navano i polli; tu) per conto della regina e cosí via.
16
L’etimo reale del vedico ahi" «serpente» è lo stesso del latino anguis, dell’antico
prussiano angis e di altre voci indoeuropee.
44 Franco Crevatin
17
Si ricordi che il greco antico aveva, come parecchie altre lingue indoeuropee,
tre generi, maschile, femminile e neutro.
48 Franco Crevatin
19
La notizia è di fonte varroniana (Ant.Hum. I, cfr. Serv. A. 1, 787, 1, 5). L’etnico
è Hirpini.
L’etimologia come processo di indagine culturale 55
20
È lecito sospettare che anche in questo caso la fonte sia Varrone.
56 Franco Crevatin
prestiti dalla medesima lingua (ad es. Bawlé kpau) «pane» 21 ). L’ago
è il prodotto di una tecnica metallurgica avanzata e ricordiamo
che anche nella lingua dei Tuaregh il nome dell’ago (per tappeti)
è un prestito, in questo caso dal latino, ta-sugla, ta-subla22 < s ûbü la.
Ma che ci sarebbe di culturale nel fatto che l’italiano sasso deriva
dal latino saxum?
L’obbiezione sarebbe mal posta, poiché se è vero che ogni
problema può essere tecnicamente affrontato per se stesso, è al-
trettanto vero che non esiste parola che nel lessico non sia parte
di classificazioni o di campi lessico-semantici per definizione culturali:
essa è isolabile solo per fini operatori (nostri!) contingenti. Per
tornare all’esempio ora citato, il latino saxum indica un macigno,
una rupe, e dunque va visto nei suoi rapporti con petra e lapis e
dunque ha una collocazione lessicale diversa da quella che il
derivato ha in italiano. Ora mostreremo che quando si dice che
l’italiano ‘rosso’ deriva dal latino r üssus si racconta solo una parte
di una storia complessa.
21
Il pane non esiste nell’alimentazione tradizionale dell’area.
22
Ta- è il formante del femminile.
L’etimologia come processo di indagine culturale 57
«Ci sono piú distinzioni nel senso della vista che distinzioni
di parole o termini. In effetti, pur lasciando da parte le altre
incoerenze, questi semplici colori del rosso (rufus) e del verde
(viridis) hanno appunto queste semplici denominazioni, ma
sono (essi stessi) di molte specie differenti. E tale povertà lessicale
la trovo piuttosto nella lingua latina che in quella greca. Poi-
ché il color ‘rosso’ (rufus) viene cosí detto dal suo esser rosso
(a rubore), tuttavia altro è il modo di esser rosso (rubere) del
fuoco, altro quello del sangue o della porpora, del fiore del
croco, dell’oro, e la lingua latina non identifica con singoli
vocaboli appropriati queste specifiche varietà di rosso, bensí
le definisce con l’unica designazione di ‘rossezza’ (rubor), tranne
nei casi in cui mutua i termini di colore dalle stesse cose designate
e dice che qualcosa è igneus (proprio del fuoco), flammeus (proprio
della fiamma), sanguigno, del colore del croco, purpureo ed
aureo. I termini per indicare il rosso, russus e ruber, sono derivati
da rufus 23 e non precisano tutte le proprietà ad esso pertinen-
ti.; invece xanqov " (giallo carico, biondo), ej r uqrov " (rosso), purrov "
(rosso fuoco 24 ), kirrov " (arancio, color cuoio), foi~ n ix paiono
comprendere alcune distinzioni nel color rosso, rendendolo
piú o meno intenso o segnalandone la sua mistura (con altre
tonalità). Allora Frontone rispose a Favorino 25 : “Non nego che
la lingua greca, che mi pare tu abbia scelto, sia piú ricca e
dettagliata della nostra, tuttavia nel denominare i colori che
hai ora citato non siamo tanto poveri come a te sembriamo.
Per indicare il color rosso (rufus) non ci sono solo le parole da
te ricordate, russus e ruber, ma ne abbiamo altre e piú nume-
rose di quelle greche da te dette. E infatti fulvus, flavus, rubidus,
poeniceus, rutilus, luteus, spadix sono designazioni del color
rosso e che lo rendono o piú vivo, quasi incendiandolo, o lo
scuriscono mescolandolo col verde o col nero, o lo rendono
luminoso con una aggiunta di bianco splendente. Infatti poeniceus
è la nostra designazione per il foiv n ika che hai detto in greco
23
Effettivamente ruber e rufus sono corradicali, ma non russus.
24
Tale è l’opinione corrente dei moderni, ma si potrebbe legittimamente dubitare
sia del tratto semantico della luminosità (< pu~ r «fuoco», come vorrebbe la vulgata
etimologica), poiché la voce è presente come prestito popolare nel latino, burrus,
dove pare aver avuto il significato di rufus (P.-Festo 28, 9), ma la forma col-
laterale birrus come nome di mantello pare indicare un color bruno (cfr. anche
ital. birro e il tipo *bûrius dal quale viene l’ital. buio).
25
Il filosofo che ha appena parlato.
58 Franco Crevatin
26
Exuberantia; probabilmente indica qui i diversi gradi di saturazione cromatica.
27
Evidentemente ci si riferisce alla luminosità.
L’etimologia come processo di indagine culturale 59
invece, per tradizione dotta latina fatta propria anche dalla Chie-
sa, lo chiamiamo «dito dell’anello» (anularis). Il perché ci viene
spiegato da Aulo Gellio (Noct. Att. 10, 10): gli Egiziani avevano
scoperto anatomicamente che un nervo sottilissimo collegava tale
dito al cuore, per cui era piú che sensato collocarvi un anello
(propterea non inscitum uisum esse eum potissimum digitum tali honore
decorandum, qui continens et quasi conexus esse cum principatu cordis
uideretur.), fosse esso simbolo di posizione sociale o di fatto reli-
gioso – e si pensi alla fede matrimoniale. Effettivamente la noti-
zia, che Gellio ricava dallo scrittore egiziano Apione, è di buona
qualità, anche se anatomicamente assurda: gli Egiziani antichi
credevano in effetti che ciascuna delle dita della mano fosse col-
legata ad una viscera diversa.
Insomma, non si può a priori decidere quanto sia ‘naturale’ e
quanto, pur non essendo un artefatto materiale o spirituale uma-
no, sia culturalmente determinato. Credo che la conclusione non
possa stupire: qualunque designazione può essere determinata
non dalle caratteristiche fisiche del referente naturale bensí da
fatti culturali, cosa questa molto comune nei nomi di piante. Nei
dialetti sloveni è diffusa la designazione netrêsk per il Semper-
vivum tectorum, una crassulacea simile al carciofo. L’etimo è tra-
sparente, ossia la pianta che protegge dal colpo del fulmine (trêsk)
e la designazione è dovuta alla tradizione molto diffusa nell’Eu-
ropa medievale che la pianta proteggesse, appunto, dal fulmine:
Carlo Magno nel suo Capitulare de villis aveva prescritto che essa
dovesse essere largamente piantata nei villaggi per le sue capa-
cità protettive. E, a dire il vero, l’origine ultima della credenza
va cercata nel mondo romano, dove la pianta veniva detta, ap-
punto per questo motivo, oculus Jovis (nell’alto Medioevo compa-
re il tipo barba Jovis) ed era creduta efficace anche per allontanare
dalle case, sul tetto delle quali veniva piantata, il male derivato
dall’odio: era pianta, insomma, che proteggeva e che induceva
all’amore (Ps.-Apul. CXXIV e Diosc. IV, 88).
Ulteriori esempi ci sono forniti dalle etichettature delle tassonomie
animali. Il nome della tartaruga in diverse parlate romanze pre-
62 Franco Crevatin
28
La presenza bizantina è stata di qualche importanza soprattutto durante l’epo-
ca del confronto con i Longobardi, dunque un periodo temporale piuttosto ri-
stretto perché il greco abbia potuto esercitare davvero la superiorità del modello
culturale tramite esso irradiato.
66 Franco Crevatin
invero, che l’antropologia non abbia avuto che una parte piutto-
sto limitata nella ricerca 29 : come scienza della cultura avrebbe
potuto contribuire non poco ad una visione laica di molti proble-
mi.
Qual’è dunque – si potrebbe chiedere – l’oggetto del conten-
dere, se tutti concordano nell’ammettere che l’etimo ha dimen-
sione culturale? Ebbene, innanzi tutto la complessità del proces-
so, quella che travalica il rapporto tra un etimo ed un fatto, pro-
spettiva questa che è stata a lungo privilegiata dalla referenza
archeologica. Essa viene alla luce quando l’etimo coglie aspetti
poco o punto noti e sui quali è necessario emettere ipotesi il piú
possibile economiche. Un esempio, molto noto: il latino vîcus aveva
due significati, quello di «fila di case, strada, quartiere» e quello
di «insediamento»; ambedue i significati si continuano nel mon-
do romanzo («víco(lo)» rispetto ai tanti toponimi del tipo Vico o
Vigo). Qual’è dunque il fattore unificante? Evidentemente l’abita-
re vicino (v î c î nus è un derivato da v î cus) di un gruppo di perso-
ne, un abitare assieme che può essere urbano o rurale (vî lla).
Tuttavia nel momento in cui prendiamo atto che formalmente la
parola vî cus equivale perfettamente al greco Ûoi~ k o" «casa, grup-
po familiare» ci rendiamo conto che il soggetto logico soggiacente
alla comparazione è originariamente un fatto di parentela con
una proiezione abitativa: persone che sono o ritengono di essere
parenti tra di loro abitano assieme. Se poi procediamo ad una
piú ampia comparazione indoeuropeistica troviamo conferme
all’assunto, poiché l’iranico v¥s- ed il sanscrito v¢sæ- indicano appunto
il lignaggio. L’etimo ha un valore aggiunto, ossia ci garantisce
che l’insediamento latino piú antico era ancora concepito in ter-
mini di parentela.
L’esempio, per banale che sia, ci mostra che non sempre è
ovvio nei nostri termini culturali ciò che va chiesto all’etimo. Ho
detto nel capitolo precedente che scrivo con una «penna» che
però non è una ‘penna’ (d’oca) ed adesso aggiungo che l’etimo ci
29
Essa ha avuto qualche fortuna nella produzione di linguisti statunitensi.
L’etimologia come processo di indagine culturale 69
30
Uso il presente ‘etnografico’.
31
Nella quale la parte incolta può esser destinata a pascolo.
70 Franco Crevatin
32
Cosí la vulgata, ma personalmente credo che la parola sia entrata dal gotico in
epoca già tardo antica.
L’etimologia come processo di indagine culturale 71
Cµ C C!
Ä∆∆∆°!µ»g:≥ÉLCU∆
pAy-n jt nty mXnw n nA p.wt
Ma tale continuità complessiva deve tener conto del fatto che
nel copto i grecismi sono presenti in ogni testo, anche nello stes-
so Padre nostro ora citato; e sono una quantità impressionante.
Niente di strano, si dirà, considerato che il copto si vuole conno-
tare come lingua Cristiana e dunque non di rado censura parole
egiziane troppo legate al passato religioso pagano: oltre tutto,
per secoli l’Egitto è stato parte del mondo di lingua greca. Sia
pure, ma va preso atto che anche il lessico sardo, il lessico cioè
di una parlata che giustamente si considera molto conservativa,
è composto per circa il 50% da prestiti.
In effetti, oltre al naturale rinnovamento del lessico, sono molto
comuni i prestiti, tratti sia dall’esterno sia dalla propria stessa
tradizione culturale – i dottismi. Ricordo solo un caso – stupefa-
cente – da me raccolto in Istria: nella parlata di Buie, ora vene-
ziana coloniale ma anticamente di dialetto romanzo italiano nord-
orientale non veneto, per indicare il sole sfolgorante si diceva
fèbo, che altro non è se non l’epiteto del dio Apollo, Phoebus Apollo.
Il dio greco romano è ricomparso nella parlata di poveri con-
tadini laboriosi che non avevano alcuna consuetudine con il
Musagete.
Certo, l’inglese resta una lingua germanica nonostante
l’elevatissima presenza di romanismi nel suo lessico, cosí come il
sardo resta il sardo, e siccome lingue ‘miste’ sono nella realtà
difficilmente immaginabili, potremmo esser tentati di credere che
nel fenomeno del prestito, piú o meno grammaticalizzato e dun-
que piú o meno riconoscibile, si esaurisca la storia problematica.
Non è cosí.
I contatti tra le lingue sono a tutti gli effetti contatti tra parlanti
portatori di culture e l’incontro culturale, pur nel dare e nel rice-
vere, si configura come una dinamica nella quale un modello de-
finisce l’altro rispetto a se stesso, talora accettandolo o coordinan-
L’etimologia come processo di indagine culturale 75
33
Ammetterlo è segno, a mio parere, di nobiltà di sentimenti nei confronti della
dignità umana, ma altresí di indigenza antropologica.
34
Le modalità possono essere diverse e si va da un’assimilazione totale a forme
linguistiche e culturali di tipo coloniale nelle quali l’antica identità lascia profon-
de cicatrici.
76 Franco Crevatin
35
Rito di fertilità e di rinascita centrato sulla preparazione di piccole figure,
spesso antropomorfe, nelle quali venivano seminati e vegetare cereali o altre
piante.
36
L’incrocio è l’immissione in una base di un elemento lessicale di origine diver-
sa, attratto in genere da solidarietà semantica, come l’italiano vagamondo < vaga-
bondo × mondo oppure l’antico musorno «triste, mesto», dove sulla base m¥sus
«muso, broncio» è stato attratto il suffisso di tacit-urnus.
L’etimologia come processo di indagine culturale 79
37
Si tratta infatti di un futuro anteriore passivo.
L’etimologia come processo di indagine culturale 81
avuto alcun senso se nel parlato ormai non fosse stata comune la
forma analitica, legata al progressivo degrado delle diatesi pas-
siva e deponente, copula + participio passato di tipo romanzo (è
[nella condizione di chi è] amato), una forma che invero aveva
cominciato a far capolino già in Plauto.
Ateneo (Deipnosoph. 8, 63) mette in bocca ad uno dei perso-
naggi colti del suo dialogo a banchetto (dialogo che veniva con-
dotto in lingua greca) una frase spiritosa: colpito all’uso della
parola ballismov " «ballo, danza», Ulpiano dice che questa paro-
la non è greca, ma è stata comperata nella Suburra, il quartiere
piú popolare e straccione di Roma. Non ci interessa tanto la ri-
sposta (effettivamente si tratta di voce autenticamente greca), quanto
l’informazione che il tipo latino ballare, attestato dalle nostre fonti
appena in S. Agostino, era popolare ben prima ed era parola del
volgo. Siccome l’origine greca della parola va vista nei dialetti
sicelioti, è verosimile che la voce fosse entrata a Roma già duran-
te la Repubblica. Molto di piú potremmo dire se possedessimo il
libro di P. Lavinio intitolato promettentemente de verbis sordidis.
Ma questi, per quanto sgradevoli, sono fatti di superficie, come
si diceva. Altra è la questione del taxon etnico e linguistico, ossia
di quanto noi classifichiamo e dunque identifichiamo come lati-
no (o greco, o bongobongo). La nostra classificazione non iden-
tifica un’essenza, una monade chiusa in se stessa, bensí un pro-
dotto della storia e ciò che è nella storia è per definizione mute-
vole. Scendendo su un piano concreto, quello che noi oggi defi-
niamo lombardo, ieri poteva essere cosa di diversa estensione,
diversa articolazione e con caratteri almeno in parte diversi da
quelli odierni; si tratta in fondo di una cosa ovvia, poiché un’area
linguistica si costituisce sulla base di una rete di comunicazioni
privilegiate e di modelli condivisi: un tipo linguistico non vive
nell’empireo dei nostri manuali, ma nella polvere agitata della
quotidianità areale. Non è difficile rispondere a domande del
tipo «Quando è morta la lingua X ?», perché evidentemente essa
è morta assieme ai suoi ultimi parlanti, mentre dovrebbe essere
chiaro che domande come «Quando si è smesso di parlare lati-
82 Franco Crevatin
38
Altro sarebbe chiedere «Quando si è smesso di capire il latino ciceroniano?»,
domanda che avrebbe una risposta precisa, pur se articolata; la questione qui
però non ci interessa da vicino.
L’etimologia come processo di indagine culturale 83
39
Un esempio: si è usi tradurre con ‘sacro’ la parola egiziana antica Dsr, tuttavia
essa vale in realtà «ciò che è messo a parte, distinto» (PYR 1778), ciò che non deve
essere accessibile ai mortali: la parola sopravvive nel copto tasr col senso di
‘protezione, recinto’ o sim. Quando i Copti dovettero tradurre il concetto greco
di sacro fecero ricorso alla parola che valeva «puro».
84 Franco Crevatin
L’etimologia come processo di indagine culturale 85
40
Uso la terminologia processuale romana.
41
Un’ipotesi ha il costo del numero e della qualità degli atti di fede ai quali essa
costringe.
42
E non sarà inutile ricordare anche che il romanista o il germanista può e deve
far uso della filologia, strumento che non è a disposizione di chi studia lingue di
esclusiva tradizione orale.
L’etimologia come processo di indagine culturale 87
43
L’elemento statistico, spesso invocato a sostegno della procedura, è invece
irrilevante poiché esso non è costruito secondo le norme condivise dell’analisi
statistica scientificamente condivisa. Desidero sia chiaro che non sto affatto cri-
ticando la ricerca di assonanze in se stessa: essa è la necessaria infanzia della
filologia etimologica.
88 Franco Crevatin
44
Pare riassumersi nella domanda «E se ci fosse un filone indoeuropeo nel cine-
se?»: già, ma perché sarebbe sospettabile la sua esistenza al di là delle assonanze
eventualmente producibili?
45
Ben diverso è il problema di cercare eventuali tracce di presenze linguistiche
indoeuropee ad est di quelle che sono le aree storiche nelle quali tale famiglia
linguistica è attestata: in definitiva la lingua tocaria è documentata nel Turkestan
cinese occidentale. Il problema del (o dei?) focolaio di formazione del cinese,
anche tenuto conto della piú generale parentela sino-tibetana, va probabilmente
cercato nelle regioni meridionali dell’attuale Cina, fatto questo che potrebbe complicare
la questione di eventuali contatti con il mondo di rapporti indoeuropeo.
L’etimologia come processo di indagine culturale 89
che sono stati dominanti e che si sono persi nella dinamica della
storia culturale? Domande retoriche, beninteso, che trovano nel
rifiuto dell’albero genealogico la loro conseguenza ultima. In effetti,
molti studiosi sembrano subire una pericolosa tentazione, quella
di dimenticare che l’albero genealogico può essere uno strumen-
to, anche se grossolano, per parlare di descrizione e di storia, ma
non è la Storia.
La prova migliore di quanto qui sopra sostenuto e dell’esi-
stenza di diversità di soglie di accettabilità è forse fornita dal
fatto che l’applicazione di questo metodo ai dati della linguistica
romanza è stata accolta dai romanisti con marcata ironia per l’evidente
ridicolaggine dei risultati ottenuti.
Mi pare si debba concludere che in questi casi l’etimologia si
limita ad un simulacro di forma o, in caso fortunato, alla mera
forma priva di qualsiasi connessione culturale: quest’ultima,
dichiaratamente, non è neppure considerata pertinente rispetto
ai fini proposti.
L’ammissione che esistono soglie diverse di accettabilità, de-
terminate da diversità di condizioni della ricerca etimologica, implica
due fatti rilevanti, ed il primo è la conseguente diversità di livel-
lo d’astrazione. Entro certi limiti, la proposta etimologica com-
porta sempre un margine di astrazione perché non tutto è docu-
mentato o documentabile nella storia linguistica (e culturale): ciò
che, appunto, non lo è, va ricostruito – sono le forme precedute
da asterisco usate anche in questo libro. Il procedimento è quello
di un ragionamento deduttivo del tipo se / dato che X è vero allora
Y è / potrebbe essere vero. Un esempio: nel papiro greco P. Erl.21 è
registrato l’inventario dell’arredo cultuale di un tempio egiziano
e tra i vari nomi compare quello di un recipiente che – si premu-
ra di precisare il redattore del testo – era detto in egiziano shse.
Ebbene, dato che in copto esiste la voce jees, ¥h s col signifi-
cato di «coppa, incensiere» e che le regole di adattamento fone-
tico tra egiziano e greco consentono facilmente di ricondurre la
prima forma alle seconde, e dato che sappiamo che uno dei pro-
cessi formativi della parola egiziana consisteva in epoca tarda
90 Franco Crevatin
connesso con l’ebraico susim, forse esso stesso prestito 46 . Nel corso
della XVIII-XIX dinastia entrarono in uso nuovi termini, alcuni
semplici neoformazioni egiziane, altri prestiti ancora da lingue
semitiche (jbr, cfr. ebr. ’ab•r «possente, valoroso», detto di stallo-
ni) o da lingue non identificabili (gw 47). Una delle neoformazioni
egiziane piú comuni è Htr, letter. l’«aggiogato», unico termine per
indicare il cavallo che si conserva in copto (xto): la voce egizia-
na è entrata anticamente nella lingua dei Blemmii/Beja, gente
che occupava la fascia orientale del deserto tra Egitto e Nubia,
nella forma hataj, ma non è riuscita ad affermarsi nel Nubiano
né, verosimilmente, nel meroitico. Ciò probabilmente dipende dal
fatto che la Nubia ospitava da epoche piuttosto antiche una raz-
za encorica di tali animali: nel nubiano la voce che ci interessa è
murti 48 , nubiano ant. murt, parola che ritroviamo in alcune lin-
gue del Kordofan (Tira E⁄ - mrta) e del Sudan meridionale (Kunjara
murta, Bagirmi morte). Non pare dubbio che tale diffusione vada
vista nella prospettiva del commercio dei cavalli Nubiani.
La storia del cavallo attende di essere meglio definita nei suoi
particolari, ma per certo quello che abbiamo potuto per ora affer-
mare sarebbe stato irragiungibile senza l’interazione tra etimolo-
gia e archeologia/storia della referenza.
Talvolta l’indicazione etimologica potrà sembrare storicamente
ridondante, ma cionondimeno resta utile. Non abbiamo bisogno
dell’archeologia per capire che le genti dell’Italia antica erano da
millenni dedite all’agricoltura e dunque avevano sviluppato l’op-
portuno strumentario. Il latino falx, diminuitivo falcula, pare a tutta
prima voce isolata, tuttavia l’etimologo potrebbe trovare qualche
conforto49 dalla voce glossografica daculum «falce» (CGl 1, 84, 91),
46
Di origine ultima indoeuropea (ind. asæ v a-)? Genti arie erano, come si è detto,
presenti nel Vicino Oriente.
47
Se la pronuncia della parola è, come parrebbe doversi desumere dalla grafia
sillabica, *gawa è inutile speculare su eventuali connessioni con la parola indoeuropea
*ek’wo-.
48
Solo in epoche alquanto recenti si è affermato l’arabismo faras.
49
L’uso del condizionale è d’obbligo perché il raffronto non può dirsi al di sopra
di ogni sospetto.
L’etimologia come processo di indagine culturale 95
50
Se la voce deriva da ping(u)iata (olla).
96 Franco Crevatin
51
Si noterà la conservazione del nesso -pl-, indizio di una certa antichità nella
recezione.
52
L’onomasiologia è quella pratica empirica che si occupa in generale dei diversi
modi nei quali possono essere espressi linguisticamente i referenti.
53
Tralascio evidenti neoformazioni.
98 Franco Crevatin
54
Non è forse casuale che nel demotico fosse penetrato, accanto ai tipi encorici
kalasiri e matoi, il greco stratiwv t h" (dem. zrtjtz).
L’etimologia come processo di indagine culturale 99
55
Il sanscrito conosce il concetto ma ha altri tipi lessicali.
L’etimologia come processo di indagine culturale 101
IL CONTRIBUTO DELL’ANTROPOLOGIA
56
Di fatto, potremmo ammettere che il mutuo non sia stato determinato dall’am-
biente Cristiano, bensí dalla composita cultura religiosa e filosofica, di espressio-
ne linguistica greca, propria dell’Egitto tolemaico e romano, nella quale si radicò
non solo il Cristianesimo, ma anche lo gnosticismo, l’ermetismo e la teurgia
neoplatonica. Quanto qui assunto rimarrebbe peraltro inalterato.
57
Una sfumatura funeraria si conserva però in varper ix «stregone, negromante»,
tumbwv r uco".
58
La parola significa Occidente; Plutarco (de Is. et Osir. 74) la conosce nella forma
aj m ev n qh" e riporta l’interpretazione paretimologica toŸ n lambav n onta kaiŸ div d onta,
di fonte ultima egiziana (amo ni «prendere» + + «dare»).
59
Il plurale enthr resta solidamente documentato, anche in nomi propri.
L’etimologia come processo di indagine culturale 105
ossia nel caso di *bai (< bA, nome di una delle componenti della
persona umana; v. oltre). La voce, arrivata ad Horapollo (Hierogl.
I, 7; VI sec. d.C.), era parte importante del vocabolario della ma-
gia greco-egiziana, dove è attestata in molti epiteti (ad es. bainfnoun
PGM XIII, 809 «Anima dell’Abisso» < bA n pA Nwn; baincwwc «Anima
delle Tenebre» < bA n kkw; etc.): troppo connotata per essere Cri-
stianizzata, la parola non sopravvisse al crollo ed alla persecu-
zione dell’antico paganesimo. Neppure per il concetto di ‘spiri-
to’, concetto che conservava molti dei presupposti dell’antropo-
logia israelitica, i Copti utilizzarono parole legate all’antica reli-
gione del paese 60 .
Sia come sia, i Cristiani d’Egitto percepirono benissimo la distanza
che intercorreva tra la concezione antica delle componenti della
persona umana e quella Cristiana. Le componenti piú frequente-
mente ricordate dai testi sono il kA ed il bA e per capire cosa
fossero ricorreremo ad un’etimologia sincronica: prima però è
necessario precisare che, come molte altre genti, gli Egiziani non
avevano una visione unitaria della persona umana ed inoltre tra
componente invisibile della persona (meglio evitare l’ambigua
dizione di ‘anima’) e componente visibile (il corpo) c’è continuità
e non contrapposizione. Esistono, per cosí dire, gradi diversi di
materialità e tutti altrettanto importanti, non differenziazione op-
positiva tra ‘spirito’ e ‘materia’. L’assenza di una concezione uni-
taria implica il fatto che le diverse componenti coesistono nella
stessa persona (l’ombra, il cuore, il kA) ma sono indipendenti l’una
dall’altra: esse vengono tenute assieme non solo dalla fisicità
dell’individuo ma soprattutto dal «nome»; quest’ultimo, che è la
forma fonica dell’intima essenza dell’individuo, lega assieme le
parti. L’indipendenza delle componenti si manifesta nel fatto che
ciascuna di esse è pensata come una realtà senziente, alla quale
l’individuo può rivolgere preghiere o esortazioni.
60
Nel copto esiste un’altra parola che può talora esser tradotta con «anima»,
ossia manthu, propriamente “la sede del respiro”. In se stessa la parola ricorda
la comune espressione antica circa il «soffio della vita» (TAw n anx), ma forse è piú
verosimile ammettere che la voce copta riveli influssi religiosi ebraici.
106 Franco Crevatin
61
Probabilmente anticamente l’idea era che i defunti si manifestassero come rapaci
notturni, gufo o civetta.
62
Che si tratti di nutrimento in senso letterale è provato dall’espressione TpH.t n
kA.w «esofago», letter. ‘cavità del nutrimento’.
63
A dire il vero, la parola bawlé indica anche una farfalla, una curiosa coinciden-
za con il greco yuchv , che vale appunto sia anima che farfalla.
L’etimologia come processo di indagine culturale 107
ETIMOLOGIA E RICOSTRUZIONE
67
Il fatto è reso pressoché certo dall’opposizione nel greco tra pov l i" e (Û)av s tu,
la fortezza vs. l’insediamento, come mostra anche la comparazione con il vedico
v≤stu «insediamento, dimora», tocario wa@t id.
L’etimologia come processo di indagine culturale 115
68
La cultura degli Slavi orientali è determinata in parte considerevole dalla pre-
senza vichinga.
116 Franco Crevatin
69
È stata la cultura neogrammatica ad ipostatizzare l’esigenza di un popolo originale
(Urvolk), parlante una lingua originaria (Ursprache) e dotato di una sua cultura,
esigenza che qui respingiamo: conserviamo invece la ineliminabile istanza di
collocare nello spazio il mondo di rapporti, per cui il concetto di proto-patria
(Urheimat), nonostante l’etichetta alquanto buffa, è ineliminabile.
L’etimologia come processo di indagine culturale 117
70
Etnicamente mista, composta da genti sia paleo-asiatiche che proto-turche.
71
I Wu-suen, ad esempio. Le fonti cinesi descrivono in maniera simile i proto-
turchi Kirghisi, il che farebbe presumere che si tratti di genti indoeuropee turchizzate.
Non si sottolineerà mai troppo l’importanza del bacino del Tarim, vero punto di
giunzione tra Europa ed Asia interna: si tenga ad esempio conto del fatto che
tramite esso passarono le missioni manichee e nestoriane e la scrittura sogdiana
che fu per secoli la grafia di genti turche e mongole.
72
Non sappiamo chi fosse etnicamente l’élite che li guidava: i nomi propri paiono
inclassificabili secondo le attuali conoscenze, mentre le voci ‘unne’ citate da Prisco
e da Jordanes sono germaniche (medos «idromele»), pannoniche (camum «tipo di
birra»; voce data dalle fonti greche anche come peonica) o incerta (strava «rito
funebre»; voce slava?).
118 Franco Crevatin
73
La formazione è però poco chiara.
L’etimologia come processo di indagine culturale 119
74
Però la voce laov " ha spesso una connotazione militare, già micenea.
75
Letter.: protettore delle vacche.
120 Franco Crevatin
76
Altrettanto peso ha avuto la collocazione di una parte centrale dello spazio
indoeuropeo nelle regioni a nord del Mar Nero.
77
Personalmente credo che il concetto di possesso terriero sia reso dal sintagma
vedico sadas pati" «signore della sede» ed al composto verbale latino * potis sedŸre
> possidŸre «esser stanziato come signore > possedere». Naturalmente non biso-
gna credere che il concetto di possesso sia coincidente con quello moderno o,
peggio che mai, si pensi ad una proprietà individuale della terra. Su questi temi
non è tuttavia possibile soffermarsi qui.
L’etimologia come processo di indagine culturale 121
78
Ancora una volta affermo che non possiamo pretendere di applicarlo all’interezza
del mondo in quanto tale.
79
L’obbiezione del buon senso è alquanto prevedibile, ossia che esistono casi
documentabili nei quali alcuni (o parecchi, o molti; certo, però, non tutti e nep-
pure la maggior parte) tratti della cultura A diventano chiari e comprensibili
storicamente tramite la comparazione con quelli presenti nella cultura B, quando
122 Franco Crevatin
80
Si aggiunga il fatto che nelle due tradizioni la freccia è utilizzata spesso come
metafora della parola che colpisce nel segno, sia essa poetica o magica.
81
Il quale non esisteva neppure all’epoca della redazione dei Bråhmaˆa.
82
Per quanto non paia dubbia l’esistenza ab antiquo di esperti della correttezza
del rito e del sacro in generale, non è assolutamente detto che nella protostoria
124 Franco Crevatin
degli Arii i ‘sacerdoti’ avessero il rilievo al quale ci hanno abituato i testi brahmanici:
tra l’altro è chiaro che il rito privato era anticamente gestito dal pater familias.
83
Personalmente – e lo si capisce dal testo – non la condivido, e non perché la
giudichi prioritariamente errata o controfattuale, bensí perché nella sua formula-
zione mi pare semplicemente inaccessibile alla prova in positivo o in negativo. È
una tesi che ha portato a moltissimi risultati collaterali, ma che nel suo nucleo è
indimostrabile.
L’etimologia come processo di indagine culturale 125
84
È indispensabile tener distinto il semplice potere, ossia la possibilità concreta
di agire, dall’autorità, ossia il potere esercitato come diritto riconosciuto.
85
Molto spesso, difatti, tali culture sono definite ‘culture della vergogna’.
L’etimologia come processo di indagine culturale 127
86
Esclusivamente militare sembra essere stata la druªina slava comune.
87
E, aggiungo, le genti germaniche all’epoca di Cesare: all’epoca di Tacito, infat-
ti, il sèguito tende ad essere una vera istituzione con carattere di permanenza.
128 Franco Crevatin
88
Le rotte verso l’Occidente erano state aperte almeno cinque secoli prima, quan-
do i Greci Micenei stabilirono una serie di empori importanti nell’Italia meridionale
(soprattutto Puglia e Lucania). In seguito le rotte per l’occidente furono a lungo
in mano di Fenici e Ciprioti, e sicuramente tra gli equipaggi c’erano anche dei
Greci.
L’etimologia come processo di indagine culturale 131
vanno dalla conquista romana alla guerra gotica del VI sec. d.C.
Per quanto Roma non avesse mai avuto una politica linguistica
volta al sostegno del latino 89 , non si può dubitare del fatto che la
pressione della lingua dell’Urbe sia stata molto forte. Al volgere
dell’era volgare alcune città conservavano la loro caratterizzazio-
ne ellenica, come Pozzuoli, dove è ambientato il Satyricon di Petronio,
Taranto, Napoli, Reggio, ma l’ellenismo, stando a Strabone (6, 1),
era in forte regresso. Eppure l’epigrafia privata in lingua greca si
continua sino a tutto il V sec. e quanto meno nella Sicilia orien-
tale c’erano parecchi ellenofoni anche prima della conquista del
generale bizantino Belisario (a. 535). La constatazione di Strabone
va dunque riferita all’imbarbarimento della antica cultura ellenica
ed alla contrazione dello spazio linguistico greco, ma non come
atto di morte definitivo della grecità. C’è un episodio, accaduto
durante la guerra gotico-bizantina e riferitoci da Procopio (6, 17,
8 ss.), che è abbastanza significativo: a causa delle devastazioni
belliche, delle epidemie e della fame, molte zone dell’Italia cen-
tro meridionale erano diventate spopolate. Presso la città picena
di Urbisalia un bambinello, rimasto senza madre, venne allattato
da una capra. Quando la gente del posto, che pure era di stirpe
‘romana’, scoperse tale fatto prodigioso diede al bambino il nome
di Egisto (Ai[ g isqo"), evidentemente giocando sull’assonanza con
il nome greco della ‘capra’ (ai[ x , greco moderno ega). l’episodio
mostra che nell’Italia centro meridionale esisteva competenza nella
lingua greca, fatto da non trascurare quando si ragioni sulla continuità
megalo ellenica.
Nel VII secolo Bisanzio rivolse molte cure all’Italia meridiona-
le: la Sicilia, assieme alla Calabria meridionale e poi Otranto e
Napoli, venne eretta a thema (unità amministrativa di impronta
ed importanza militare) ed iniziò un lungo processo di trasferi-
mento di monaci bizantini e di privati dalla Grecia all’Italia
meridionale; nell’VIII sec. le diocesi di Sicilia e Calabria vennero
89
Le istituzioni e la lingua punica continuarono ad esempio indisturbate in alcu-
ne località della Sardegna sino al II sec. d.C.
132 Franco Crevatin
90
L’elenco è sin troppo severo: non si troveranno voci per le quali può sussistere
anche un minimo legittimo dubbio ermeneutico – ovviamente, a mio avviso. Per
questo motivo non includo voci come il sic. ed il calabrese ‘caséntaru’ e sim.
«lombrico» che pure è sicuro dorismo (< ga~ " e[ n teron) perché sospettabile di
mediazione latina.
91
È attestata anche in Strabone, ma solo nei passi dell’opera che riguardano la
realtà geografica egiziana.
134 Franco Crevatin
92
Si badi che l’egiziano è parte di un’area coerente che comprende parte del
mondo semitico (cfr. arabo jaz•ra ) e del nubiano.
93
Va riconosciuto, tuttavia, che quanto qui affermato circa la continuità vale per
la grecità calabrese, ma non è detto che debba valere anche per quella salentina.
94
C’è da dubitare che molte persone, pur colte, riconoscerebbero nel tedesco
Pfingsten il nostro Pentecoste.
L’etimologia come processo di indagine culturale 135
95
Quest’ultimo confronto è molto meno credibile.
96
Certo, si possono emettere ipotesi non irragionevoli per congiungere comun-
que laburinthos a labrus, ma questo non rientra qui nei nostri interessi.
L’etimologia come processo di indagine culturale 137
97
Mi riferisco al sito di Frattesina nel Polesine, dove la marineria mercantile
orientale e cipriota dal XII sec. a. C. ebbe un importante punto di riferimento: ivi
si lavorava su commissione l’avorio e persino le uova di struzzo. I Greci, forse
già micenei, erano certamente informati di tali rotte, pur se non le percorrevano
in proprio, tant’è vero che nell’area del Caput Adriae conoscevano l’esistenza di
‘isole dell’ambra’ (∆Hlektriv d e" nh~ s oi), la cui posizione corografica è incerta
(isole del Quarnaro?).
138 Franco Crevatin
98
L’interpolatore di Dioscoride usa regolarmente ‘Africani’ per Cartaginesi.
L’etimologia come processo di indagine culturale 139
nome del poligono aviculare, una pianta che può esser scambiata
con l’equiseto.
99
Tralascio qui di indagare l’ipotesi se il tipo karma non sia in qualche modo una
voce di origine indoeuropea, < *ker- «tagliare, incidere» con suffisso in nasale.
L’etimologia come processo di indagine culturale 141
100
Semmai si potrebbe chiederci se almeno nel caso del suffisso -ippu- non si sia
davanti ad una sopravvivenza morfologica di lingue del sostrato.
101
In questo senso possiamo parlare di voci di sostrato ad esempio italico o
celtico o altro ancora, indoeuropeo sí ma non latino.
142 Franco Crevatin
l’ej m peiriv a del quotidiano o del caso legato alla singola lingua.
Forse, per paradossale che possa sembrare – poiché in effetti esso
crea altrettanti problemi di quanti non contribuisca a risolvere –
un elemento indicativo è la ricomparsa (e dunque la comparabilità)
della voce in zone diverse e contigue 102 . Affronteremo questo
problema partendo da qualche esempio.
Le carte AIS 7, 1482 e 1484 ci forniscono la distribuzione dei
vari tipi lessicali italiani per i concetti di ‘vaglio da grano’ e di
‘setaccio’, attrezzi agricoli importanti e tecnologicamente molto
poveri. Il vaglio, in un’area che va dalla Galloromania al lombar-
do alpino, grigionese, ladino centrale, trentino e friulano, ha un
nome che presuppone * DRAGIU / * DRAGIA, per il quale è stata sup-
posta, per ragioni areali, un’origine celtica. Il nome del setaccio,
invece, in area galloromanza, veneta, trentina, ladino dolomitica,
istriana ed in buona parte del Friuli, risale al tipo *TAMÁSIU , ed
anche per esso si è supposta, con verosimiglianza, un’origine celtica.
Sicuramente i tipi sono dunque preromani, ma la storia è com-
plessa: sicuramente una parte della loro fortuna va ascritta ai
rapporti tra Cisalpina e Galloromània, in un continuum cronolo-
gico che si scala dalla tarda antichità al basso medioevo.
Di diffusione molto piú ristretta è il tipo * TAMA ˘ R O «recinto per
animali», presente in area alpina centrale ed orientale, probabil-
mente in origine qualsiasi costruzione provvisoria fatta con rami
o pali (cfr. friulano tàmar «stabbio», gardenese tambra «capanna
di montagna»). La base potrebbe essere affine a * TAMUSKJA (- O ˜ - ?),
anch’essa di diffusione alpina centro orientale e dal significato di
«capanna, tettoia, fienile» (friulano tamosse «fienile di montagna»).
Ma come saldare queste basi al ricostruito * KAMO ˜ K JO (- SK - ?), esso
pure parola che indica una costruzione di pali in montagna e con
102
Ciò che qui volutamente tralascio è la possibilità di connettere basi (di sostrato)
ricostruite, con un senso generico altrettanto ricostruito, a toponimi (che per definizione
hanno perso qualsiasi trasparenza semantica): è questa una prassi, perigliosissima,
che è stata spesso seguita. Non si tratta di dichiarare l’inaffidabilità assoluta
delle connessioni proposte, e parecchie potranno pure corrispondere al ‘vero’
etimologico, ma quale strumento, che non sia la fede, ci consente di falsificare
l’ipotesi emessa?
L’etimologia come processo di indagine culturale 143
103
Con passaggio fonetico sicuramente celtico -st- > ts- > -(s)s-.
144 Franco Crevatin
104
Di enorme estensione è ad esempio il tipo * BALMA «(riparo sotto) roccia», che
va dalla Spagna all’Italia alpina, e del quale è pressoché impossibile precisare il
centro d’origine.
146 Franco Crevatin
105
E basti pensare alle missioni manichee e nestoriane in Asia centrale.
L’etimologia come processo di indagine culturale 147
106
Non sappiamo a quale ceppo linguistico apparteneva la loro lingua, ma, per
il poco che possiamo vedere, molti loro usi trovavano riscontri precisi in àmbito
altaico: per tutti ricordo i riti funebri in onore di Attila, la corsa sfrenata sino allo
sfinimento dei cavalieri attorno alla tenda funebre che coincide coi riti funebri
turchi e mongoli.
107
La norma mongola voleva che un cavallo da guerra non poteva essere utiliz-
zato per piú di tre giorni.
108
L’«arte delle steppe» collega l’Europa germanica e celtica alla periferia del-
l’Asia orientale (l’arte Xiong-nu è uno degli ultimi anelli); su tale via si è spostato
il manicheismo, il nestorianesimo e poi l’Islam; una parte importante dal punto
di vista linguistico l’hanno avuta le genti iraniche, prima gli Sciti e poi i Sogdiani,
ed in seguito (ed in parte contemporaneamente) le genti turche; ecc.
148 Franco Crevatin
109
Piú distante, e comunque di pertinenza incerta, mi pare il berbero marocchino
aba\us . Tralascio qui le connessioni proposte con voci celtiche, germaniche (ad es.
tedesco Affe) e slave e che comunque indizierebbero, nella migliore delle ipotesi,
un / ap-.
L’etimologia come processo di indagine culturale 149
110
È molto probabile che le basi fossero già fenicie.
L’etimologia come processo di indagine culturale 151
tava, quanto meno dalla fine del II millennio a.C. molte ragioni
di interesse: ci stavano arrivando i Fenici e le miniere d’argento
della zona tartessia dovevano già essere attive.
152 Franco Crevatin
L’etimologia come processo di indagine culturale 153
STORIE DI FRONTIERA
111
Per questo motivo il Corano (latter.: la Lettura) è inimitabile e perfetto ( i‘jåz).
112
Mi riferisco al color rosso dello scudo dei guerrieri di Igor.
154 Franco Crevatin
113
Una schiera di Vichinghi tentò di saltare la mediazione commerciale kazaka con
l’Asia centrale, spingendosi nel mare delle steppe, dal quale non fece piú ritorno.
114
Divinità slava antica chiamata anche Xúrsú e Da≈(d)íbogú .
L’etimologia come processo di indagine culturale 155
3. (…)
se per qualcuno componeva un canto
allor fatto pensiero
trabordava il bosco
lupo grigio in terra
aquila cinerea
sotto le nubi.
4. Se gli accadeva
– disse –
di rievocar le lotte
dei tempi andati
dieci falchi
scioglieva
sul branco dei cigni:
chi per primo ghermiva
quello per primo cantava 115 .
(traduzione E. Saronne)
115
È immagine figurata: il poeta poneva le dieci dita sulle corde armoniose della
gusla, lo strumento ad arco con il quale accompagnava il proprio canto.
116
Cfr. mongolo bayan «ricco».
156 Franco Crevatin
117
Fermo restando il fatto che anche le culture uraliche sono caratterizzate dallo
sciamanesimo, se dunque è proprio altaica l’influenza prima e decisiva sulla cultura
russa antica, possiamo fissare un terminus ante quem non, ossia la metà del V sec.
d.C., quando appunto per la prima volta compaiono genti Ogure nelle steppe a
nord del Mar Nero.
L’etimologia come processo di indagine culturale 157
relative agli eredi degli angeli precipitati sulla terra e negli inferi
a causa della loro ribellione a Dio, e tra questi figurava anche
Gilgame¡. C’è una particolarità: oltre alla forma dotta, fedele alla
grafia originale (G]lgmj ¡ 4Q 531 fr. 17, 12), compare una forma
Glgmjs (4Q530 col. 2, 2) che con il suo adeguamento aramaico –
s / accadico - ¡ ci mostra che il nome dell’eroe era entrato nel
semitico di nord-ovest molto tempo prima. Antichità di prestito,
dunque, che conviveva con una mai spenta tradizione dotta dell’epos.
Abbiamo visto nei due casi sopra riportati come fili apparen-
temente esili ci permettano di ricostruire storia e cultura. Il pros-
simo esempio, il commercio delle spezie, incensi e prodotti loca-
li, tra Mediterraneo greco-romano ed Oriente, ci imbarazza sem-
mai per la ricchezza dei casi etimologici che ci offre.
Il Periplo del Mar Eritreo è un manuale per i mercanti greci e
romani che si spingevano con i loro commerci sul mar Rosso,
nell’Arabia meridionale e, doppiando il Corno d’Africa, viaggia-
vano sino alle coste dell’odierna Dar es Salam; oppure, sfruttan-
do le rotte monsoniche, approdavano sulle coste dell’India occi-
dentale e di là scendevano sino alla punta estrema del subcontinente
per risalire occasionalmente l’India orientale sino alle foci del
Gange. Una vastità e regolarità di traffici marittimi che danno
davvero la misura mondiale dell’importanza di Roma, un’impor-
tanza ben colta dai coevi imperatori Cinesi.
L’anonimo autore del manuale 118 era un capitano greco d’Egit-
to: in un passo (29) egli parla degli alberi che “abbiamo in Egit-
to”; in un altro (49) usa l’egizianismo 119 sti~ m i «nero d’antimonio»
(copto sthm, < dem. stm, classico sdm «truccarsi di nero gli oc-
chi»). Per quanto la marineria greco-egiziana dell’epoca avesse
capacità autonome, è chiaro che essa aveva appreso molto dai
capitani arabi dell’Arabia meridionale. L’opera che l’Anonimo
118
Purtroppo il testo ci è giunto in un unico manoscritto, il cui copista ha avuto
diversi problemi di lettura dal manoscritto in suo possesso, per cui dobbiamo
sempre tener presente la possibilità che le letture siano corrotte.
119
La parola è peraltro ben diffusa nel mondo greco e latino.
158 Franco Crevatin
scrisse, grosso modo nella metà del I sec. d.C., è rivolta a mercanti,
ai quali spiega quali siano i porti, cosa vi si commerci, in quale
contesto politico essi si collochino, quali sono i problemi che si
possono incontrare e precisa, com’è ovvio, distanze in termini di
misure marittime o giorni di navigazione.
Il Periplo ci porta odore di mare e profumi di incensi e spezie,
alcune delle merci piú ricercate ed apprezzate nei mercati del
Mediterraneo e designate con i nomi che esse avevano nel com-
mercio internazionale. Il nostro capitano ci conserva nomi di luoghi,
di popoli, di regioni, e talora singole parole, mostrando sempre
una grande attenzione. Parlando della regione detta Dacinabav d h"
(l’attuale Deccan, dal sanscrito d†k@i>†patha «la regione del sud»)
ci dice che nella lingua del posto dav c ano" vale «sud», il che è
perfettamente vero (cfr. pracrito d†hi>a- idem). Descrivendo la
regione del golfo di Scizia (odierno Sind), detto cosí perché a suo
tempo aveva fatto parte del regno dei Saka, genti scitiche di cep-
po Iranico, egli cita non solo l’Indo in forma fonetica indiana
(Sinthos; la forma greca usuale deriva da fonti linguistiche iraniche),
ma anche serpenti marini detti grav a i, una parola che corrisponde
ad un derivato medio indiano del sanscrito gr†há- nel senso, docu-
mentato, di animale marino pericoloso che afferra e divora gli
uomini.
In un solo caso – peraltro molto importante – il ‘capitano’ ci
dà un’informazione di carattere religioso: il capo estremo dell’In-
dia – l’odierno Capo Comorin – è detto Komav r o Komareiv : ivi
esisteva – egli ci dice – un importante tempio, dove molti face-
vano sacre abluzioni e si dedicavano alla vita ascetica. Tempio ed
usanza continuano a tutt’oggi in onore di Durga, la divinità fem-
minile definita kum†r¢ la «fanciulla» e proprio da questo epiteto
deriva il nome geografico.
Il ‘capitano’ ci ha tramandato molte parole che egli stesso co-
nosceva e che dovevano essere usuali negli scali e negli empori
da lui frequentati. Alcune, che forse per carenza di documenta-
zione ci paiono attestate per la prima volta, avrebbero avuto grande
fortuna nei secoli a venire: è il caso di lav k ko" «lacca» (v. anche
L’etimologia come processo di indagine culturale 159
P. Lond. 2, 191, 10; II sec. d. C.), dal pracrito lakkha (< sanscrito
l†k@†), e di sav k cari «zucchero di canna» (< medio indiano sakkharå
< sanscrito sæ á rkar†). Non è facile recuperare l’etimo di tutte le
voci citate, poiché, soprattutto nell’àmbito delle spezie e dei profumi,
molte parole si riferivano a varietà locali ed altre avevano nomi
che, appunto perché legati al commercio, erano ormai largamen-
te di uso internazionale (cfr. ad es. Dioscor. mat. med. 1, 14). È
probabile che in futuro saremo in grado di capire ancor meglio
il valore documentario del Periplo, ma sin d’ora possiamo consta-
tare l’esattezza di molte informazioni. Al mondo sud arabico ci
rinviano ad esempio nomi come kav g kamon, nome di pianta aro-
matica, nota anche a Dioscoride ed a Plinio ed originaria del-
l’Arabia meridionale, il cui essudato resinoso veniva esportato:
prestito da un dialetto arabo, cfr. kamkam «lentisco» (Dozy); come
mokrotu tipo di incenso, cfr. yemenita mu\uråt , Jibb. m\irot , Mehri
m £ \ £ råt ; usi ergologici come la costruzione di barche il cui fascia-
me è fissato da fibre di palma (le barche ‘cucite’ dell’Oman, dhow).
Davvero ricca è la documentazione linguistica sull’India. Tra
i tanti termini ricordo pev t ro" nome delle foglie del cinnamomo,
evidentemente il derivato dialettale medio indiano (*pattra-) del
sanscrito patram, «foglia», da una parlata che non ha condiviso
l’evoluzione comune –tr- > -tt-. Il nome ricompare nella designa-
zione del cinnamomo, malav b aqron, da tamala-patram con discrimina-
zione della sillaba iniziale perché confusa con l’articolo neutro
del greco. kolandiofwnta è nome di un’imbarcazione di grandi
dimensioni usata per il commercio marittimo tra le coste dell’In-
dia sudorientale ed il delta del Gange. È certamente un compo-
sto con il medio indiano p øta- «imbarcazione», ma la prima parte
è di interpretazione incerta: forse si tratta di un derivato dalla
radice indiana *k ø la- «curvo», ossia *k£¯ l† > 6 a- o sim., forma
dialettalmente nota, dunque una “nave ricurva” in opposizione
alle imbarcazioni piatte adatte ai bassi fondali. Nel testo del Periplo
si incontrano altri nomi medio indiani di imbarcazioni, ossia ko-
tuvmba = pracr. ko66imba, travppaga = pracr. tappaka < *tarpa- «zattera»,
saggav r a = påli (-)sa ∑ gh†6a- «tipo di canoa». Potremmo continua-
160 Franco Crevatin
120
Il prestito è entrato anticamente in tutte le lingue connesse alle rotte monsoniche,
arabo incluso (@andal).
121
Cosma ci conserva anche il nome di un liquore ottenuto dal succo fermentato
della noce di cocco, rJ o gcosou~ r a, una bevanda molto dolce ed inebriante che gli
Indiani usavano al posto del vino (11, 11). La parola è certamente un composto
con un derivato del sanscrito sur† «bevanda inebriante», la la prima parte non è,
a mio parere, di chiara derivazione: sospetto si tratti di un derivato medio india-
no del sanscrito r§k@á- «di gusto forte, aspro» (forme attestate del tipo hindi rokh
e sim.), e si veda il derivato già sanscrito r§k@a>¢ya" «distillato di melassa».
L’etimologia come processo di indagine culturale 161
122
La regione della prima cateratta e nome del primo nomo dell’Alto Egitto.
123
Ad es. ks «ciotola» (iscrizione di Nastasen) = nubiano køs id., tgr «collare»
(iscr. Harsijotef) = tígli «anello», ecc.
162 Franco Crevatin
124
Un esempio solo: l’italiano trincare «bere smoderatamente» è ovviamente un
germanismo, anche se non troppo antico. Ma la contrapposizione tra cultura la-
tina e cultura germanica veniva colta aspramente già in epoca tardo antica e val
la pena di ricordare l’anonimo epigramma di un poeta dell’Africa vandalica il
quale afferma (Anthologia Latina 285 Riese): Inter <h>eils gothicum scapia<m> mazia<n>
ia<h> tri<n>can | non audet quisquam dignos educere versus «Tra il gotico Salve
procuriamoci da mangiare e bere nessuno osa produrre versi degni»
L’etimologia come processo di indagine culturale 163
copto [boh.] kabi), delle imbarcazioni fluviali ba~ r i" = copto baare
e rJ w v y (v. sotto), di qualche unità di misura (i{ n ion = copto xin,
aj r tav b h, copto ar tab, che peraltro nell’egiziano è prestito dal
persiano), alcuni nomi legati all’amministrazione o alla religione
(ad es. lemei~sa «capo militare» = copto lemhh¥e, lesw~ni" «preposto
di un tempio», probabilmente lo stesso di copto la¥ane < jmy-
rA-Sn(y.t), porenbh~ k i" «preposto ai sacri falchi» < pA wr n bjk).
Materiale linguistico egiziano si trova, spesso frainteso, nelle voces
magicae dei testi magici, ed in tal caso è l’àmbito specifico a
determinare la loro comparsa, e del tutto occasionalmente come
trascrizione di parole effettivamente pronunciate in determinate
circostanze (UPZ 79) o come citazioni fornite di glossa in greco
(ad es. shse «tipo di vaso liturgico» = copto jhhs «ciotola» o
rJ w v y (copto rams) glossato con «barca di papiro».
Per contro nel copto Cristiano i grecismi sono circa il 30% del
vocabolario totale, almeno di quello della lingua scritta. Come
dobbiamo interpretare queste situazioni? Un elemento unificante
è facilmente individuabile, ossia il fortissimo senso di identità
linguistica e culturale che ha da sempre caratterizzato la grecità:
per quanto si potessero apprezzare le culture diverse, esse erano
pur sempre culture di bav r baroi 125 . Il mondo ellenistico non mutò
di molto questo atteggiamento. I sovrani tolemaici continuarono
a considerarsi Greci, specificamente Macedoni, in un paese con-
siderato preda bellica e fu solo Cleopatra la Grande ad essere
capace di parlare e di intendere la lingua locale. La campagna,
linguisticamente e culturalmente egiziana, viveva con proprie leggi
a raccolta attorno ai tempi locali e provinciali, abbastanza distin-
ta dalla componente ellenica: coloro che al suo interno desidera-
vano in qualche modo farsi strada nell’amministrazione o nella
cultura del tempo dovevano forzatamente esser formati nella paidei~a
greca.
125
Quando la cultura straniera era giudicata oggettivamente importante, era usuale
che gli Elleni la collegassero tramite genealogie mitiche alla propria: cosí ad esempio
i Persiani potevano esser pensati come discendenti di Perse, i Romani come par-
lanti un dialetto eolico e cosí via.
164 Franco Crevatin
126
La necessità derivava dal fatto che le scritture egiziane tradizionali non segna-
vano il vocalismo delle parole.
127
Figura dell’antico santo guaritore egiziano Imhotep.
166 Franco Crevatin
128
Nelle lingue dell’Etiopia l’etnico «egiziano» è spesso un derivato dal greco
Aij g uv p tio", ad es. ge‘ez g´bΩ, bileno gibΩ, saho gibse; da una forma collaterale
viene l’ebraico talmudico g•phã• .
129
L’Egitto era certamente una delle piú ricche provincie dell’Impero e dovette
largamente sostenere le spese delle costose guerre (e delle forse ancor piú one-
rose ‘paci’) dell’età giustinianea.
L’etimologia come processo di indagine culturale 167
130
Utilizzati regolarmente anche nell’Egitto greco-romano, noti ed usati in Nubia
ed in Etiopia.
131
Non dubitiamo che nuove ricerche potranno mettere in luce ulteriori prestiti,
ma il quadro generale non pare destinato a cambiare sensibilmente. Un caso
potrebbe essere ad esempio il dialettale bittaw «focaccia di mais» (collettivo),
parola che certamente araba non è: a titolo di ipotesi vien fatto di pensare ad un
nome con articolo maschile pi- e dunque la base lessicale potrebbe essere tA «pane».
Tale voce non è sopravvissuta nel copto a noi documentato, ma è possibile rico-
struire un *to; il dittongo arabo sembrerebbe alludere ad un plurale *tw ou ed
esistono casi nel copto nel quale un nome plurale è determinato con l’articolo
singolare in quanto nome di insieme.
168 Franco Crevatin
132
Che spinse a molte conversioni all’Islam.
133
Lo sappiamo per certo per (parte?) della popolazione di Tebtynis della metà
del X sec.
L’etimologia come processo di indagine culturale 169
d. È ben vero che la chiesa Copta riuscí a dare unità alle co-
munità locali e si propose anche come presenza economica, tut-
tavia essa, per quanto importante, rimase sempre subordinata,
prima al potere imperiale e poi a quello arabo.
134
E difatti pochissimi sono i prestiti copti nel ge‘ez; due tuttavia si segnalano
peché evidentemente collegati a pratiche liturgiche, ossia kop‘u «profumo», da
una forma nominale del verbo copto antico kep (P. Mimaut) «fare fumigazioni
d’incenso» < qAp; e santaw «profumo» < sonte «incenso» < snTr.
170 Franco Crevatin
L’etimologia come processo di indagine culturale 171
135
Intendiamo cioè quelle forme reperibili in natura e non condizionate da altri
saperi culturali (come ad es. la geometria euclidea).
172 Franco Crevatin
136
Nell’italiano e nei suoi dialetti ‘luce’ vale spesso ‘fessura’, derivati di *l¥minåle
indicano l’abbaino attraverso il quale entra la luce.
L’etimologia come processo di indagine culturale 173
137
Beninteso, nei limiti della fragilità umana.
138
Ci sono tuttavia importanti differenze, tra le altre il fatto che mentre possiamo
immaginare l’insieme delle persone che, poniamo, nel villaggio si chiamano Kofi,
il teonimo è una classe con un solo elemento.
176 Franco Crevatin
dere che teonimi indoeuropei come Zeuv " , latino Iuppiter, indiano
vedico Dyau˙ (< *DyŸus ) si riferiscano ad una divinità urania (lo
«Splendente»), ma solo tentando di limitare le aspettative che è
lecito nutrire su indagini di questo tipo.
Difficoltà analoghe si incontrano nelle pratiche linguistiche
con accesso riservato: gerghi professionali, lingue di iniziati, lin-
gue di specialisti hanno in genere motivazioni contestualizzate
non facilmente accessibili, spesso perdute o aggiornate nel corso
del tempo. Molti Italiani usano l’espressione “fregare” per dire
‘imbrogliare’, ma solo persone di mezza età ricordano che essa
era a suo tempo considerata proibita a livello scolastico e tra la
gente per bene, ed ancor meno persone sanno che il suo primo
significato aveva valenza sessuale, al pari di espressioni, anch’esse
oggi oscurate semanticamente, come «non capire un tubo». Le
pratiche linguistiche con accesso riservato sono di difficile esegesi
etimologica perché la motivazione che soggiace al loro lessico è
spesso basata sull’allusione, sull’ammiccamento, non di rado sul-
l’ironia con riferimento a contesti ormai da tempo perduti o oscurati.
Capitolo I
La storia linguistica dell’Istria è stata da me analizzata in molti lavo-
ri e per tutti rimando a Lexikon der Romanistischen Linguistik, edd. G.
Holtus, M. Metzeltin, Chr. Schmitt, Tübingen 1989, III, p. 555 ss. e Rap-
porti culturali e linguistici tra i popoli dell’Italia antica, a cura di E. Cam-
panile, Pisa 1989, pp. 45-109. L’interesse per la regione in questione è
dato, in sintesi, dalla compresenza di dialetti neolatini e dialetti slavi
sin dal VII secolo, dalla sovrapposizione di diversi strati romanzi, da
complessi processi di interazione con modelli dominanti (il dialetto di
Venezia) e da una storia che ha visto anche interazioni langobarde e
bizantine. Alla lingua bawlé (Costa d’Avorio) ho dedicato ricerche sul
campo da vent’anni: alcuni risultati complessivi sono raccolti in Lexique
Baoulé-Français, a cura di G. De Franceschi e F. Crevatin, Trieste 2001 e
Il frasario Bawlé di p. V. Guérry, a cura di F. Crevatin ed Ilaria Micheli,
Trieste 2001. Sull’informazione egittologica in Macrobio ho scritto in
«IncLing» 23, 2001 (in stampa). Il problema della cosmologia aria è molto
complesso: le mie posizioni sono largamente quelle di F.B.J. Kuiper («IIJ»
8, 1964, p. 106 ss. e spesso ribadite): le ho fatte mie in «IncLing» 2, 1975,
p. 51 ss., ed altrove, e non ho motivo di cambiare. Sulla geomanzia
somala ho scritto in «IncLing» 9, 1984, p. 167 ss.
2, 80), adoravano una forma asinina (cfr. anche Tacito Hist. 5, 3 ss.),
calunnia poi estesa ai Cristiani (Tertull. Apol. 16); all’epoca di Domiziano
i Cristiani erano certo in prevalenza Ebrei.
Un esempio linguistico. Manetone (in Flavio Giuseppe contra Apionem
1, 14; fr. 42 Waddell) ha fornito il celebre etimo del nome degli Hyksos,
le genti che invasero l’Egitto fondando le dinastie XV e XVI: il nome è
un composto da u{ k che kaq∆ iJ e raŸ n glw~ s san significa «re» e swv s che
kataŸ thŸ n koinhŸ n diav l ekton significa «pastore», i Re Pastori dunque.
Ma in altro aj n tiv g rafon Flavio Giuseppe ha trovato nel testo di Manetone
che non si tratterebbe di ‘re’ bensí di «prigionieri di guerra», in quanto
questo è il senso di a{ k , che andrebbe letto al posto di u{ k . L’aspetto
”=U!
tecnico dell’etimologia è semplice: huk rende l’egiziano HqA «capo» ( )
e søs SAsw ( Ω UÃ 2∆ s ! ) «beduino», copto ¥w s «pastore»; hak invece
va connesso con HAq «catturare, saccheggiare», HAqw ( =
≈ -«ú ) «prigio-
nieri». L’informazione di Manetone è tinta di nazionalismo egiziano e,
tutto sommato, non è neppure sicuro che sia davvero ascrivibile a Manetone:
la sua opera venne infatti largamente rimaneggiata ed interpolata dalle
fazioni alessandrine filo ed anti Ebree. Ma l’elemento piú interessante è
dato dalla distinzione tra huk, proprio della lingua sacra, e søs tipico
invece del parlare comune: questa finezza è certo manetoniana. Il sacer-
dote di Eliopoli difatti allude al bilinguismo dotto d’età tolemaica tra
medio-egiziano, lingua dei testi sacri, e lingua parlata, ‘profana’ (da
ultimo v. K. Jansen-Winkeln, «WZKM» 85, 1995, p. 85 ss.); effettivamen-
te HqA non si continua nel copto.
Capitolo II
Molto numerose sono le liste di parole vicino orientali: si veda la
voce Listen nel Reallexikon der Assyriologie und vorderasiatischen Archäologie,
ed. Ebeling, Erich, Berlin 1932 e ss. Le lettere dell’archivio diplomatico
di el Amarna sono state riedite in traduzione da Mario Liverani (Le
lettere di el-Amarna, Brescia 1998). La teoria egiziana della lingua è stata
da me esposta in «IncLing» 16, 1993, p. 105 ss. Il Libro della Vacca
Celeste è stato riedito da E. Hornung (Der ägyptische Mythus von der
Himmelskuk, Freiburg 1982). Sul Cratilo di Platone e sulla filosofia stoica
la bibliografia è sterminata: si ricordi almeno l’opera fondamentale di
M. Pohlenz, Die Stoa. Geschichte einer geistigen Bewegung, 1971-72 3; su
Varrone v. Varron, «Entretiens Hardt» IX, 1963, soprattutto il lavoro di R.
Schroeter (del quale v. anche il contributo in «AAWM» 12, 1959, p. 769
ss. Sul Nighaˆ†u vedico ho scritto in Bandhu. Scritti in onore di Carlo Della
Casa, Torino 1997, p. 69 ss.
182 Franco Crevatin
Capitolo IV
Sulla concezione germanica della ricchezza si vedrà E.A. Thompson,
The Early Germans, Oxford 1965, un classico che si può aggiornare con le
singole voci del Reallexikon der germanischen Altertumskunde, ed. J. Hoops,
Berlin 1973 ss., e A.Ja. Gureviç, Le categorie della cultura medievale, Torino
1983 (trad. dall’originale russo Mosca 1972). Oltre al saggio classico di
E. Benveniste citato nel testo, il lettore italiano può utilmente leggere il
libro di R. Lazzeroni, La cultura indoeuropea, Bari 1998.
Capitolo VIII
Sulle conchiglie del kula v. S.F. Campbell in H.W. Leach e E. Leach
edd., The Kula, Cambridge 1983 p. 229 ss. Le componenti della persona
umana secondo gli Egiziani sono state riassunte in maniera piacevol-
mente divulgativa da A. Bongioanni e M. Tosi, La spiritualità dell’antico
Egitto, Rimini 1997.
Capitolo IX
Il riferimento classico per la linguistica cognitiva è G. Lakoff, Women,
fire and dangerous things: what categories reveal about the mind, University
of Chicago Press, 1988; v. anche A. Bonazza, Arbitrarietà e motivazione :
un panorama della linguistica cognitiva , Trieste, Scuola superiore di lingue
moderne, 1995.
Capitolo X
Ho avanzato in parecchie sedi una proposta di lettura di uno dei tipi
sociali diffuso nel mondo di rapporti indeuropeo: si veda ad es. «IncLing»
Capitolo XI
Le migliori e piú pacate rassegne sul problema del sostrato sono
state offerte da D. Silvestri, La teoria del sostrato: metodi e miraggi, Napoli,
3 voll. 1977-1982; La nozione di indomediterraneo in linguistica storica, Napoli
1974; sul tema ho esposto recentemente il mio punto di vista in «Varietà
e continuità nella storia linguistica del Veneto» (Atti del Convegno della
S.I.G.), Pisa 1999, p. 11 ss.
Capitolo XII
Sul movimento vichingo resta un classico G. Jones, A History of the
Vikings, Oxford 1973; v. anche F. Barbarani, L’espansione dei Vichinghi,
Verona 1979. Le proposte di lettura dello Slovo sono state da me avan-
zate in «IncLing» 11, 1986, p. 188 ss.; si veda altresí la bella edizione
commentata italiana a cura di E. Saronne (Il cantare di Igor’, Parma 1988).
L’etimologia come processo di indagine culturale 183
L’edizione commentata del Periplo del Mar Rosso che sta alla base delle
nostre letture è quella di L. Casson, Periplus maris Erythraei: text with
introduction, translation, and commentary, Princeton Univ. Press, 1989. V.
anche A. Avanzini, ed., Profumi d’Arabia, Roma 1997 (in particolare l’im-
portante contributo di G. Banti e R. Contini, p. 169 ss.Le sopravvivenze
copte nell’arabo egiziano sono state studiate da W.B. Bishai, «JNES» 23
p. 39 ss. e da P. Behnstedt, «Welt des Orients» 12, 1981, p. 81 ss.; la tesi
di E. Må˙er Is˙å˚, The Phonetics and Phonology of the Bohairic Dialect of
Coptic and the survival of Coptic Words in the Colloquial and Classic Arabic
of Egypt, Ph.D. thesis, Oxford 1975, va utilizzata con la massima cautela.
Utile è «Égypte / Monde Arabe» 27-28, 1996, con sintesi di vari specia-
listi.
Capitolo XIII
Sui primordial characters (uso non a caso il titolo del libro di R. Needham,
Univ. Press of Virginia 1985) non si è lavorato molto: la tematica rinvie-
ne alla semantica cognitiva (sulla quale v. ad es. Cognitive semantics:
meaning and cognition, edited by Jens Allwood, Peter Gärdenfors, Benjamins,
1999; Kognitive Semantik : Ergebnisse, Probleme, Perspektiven, Monika Schwarz
(Hrsg.), Tübingen 1994; Historical semantics and cognition, edited by Andreas
Blank, Peter Koch, Berlin 1999) e molto resta da fare.