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I° Parte

Il discernimento verso il presbiterato


e la vita consacrata
Un punto fondamentale per ogni discernimento è sapere verso dove si vuole andare, la finalità
del discernimento. Nel caso che ci interessa, la finalità di questa attività è sapere se il candidato è
idoneo per il cammino che vuole intraprendere, cioè se è capace di portare avanti il peso che queste
due vocazioni comportano. Questo presuppone rispondere a certe domande:
Cosa comporta la vocazione sacerdotale e la vocazione alla vita consacrata?
Questa è persona è veramente chiamata a questi tipi di vita?
Questa persona è in grado di portare avanti il peso degli obblighi di queste vocazioni?
Quali sono le difficoltà, nonostante l’esistenza della chiamata, che la persona porta con se
che fanno sì che si deva ritardare la sua entrata in comunità o in seminario, o perfino
fermarlo nel suo percorso formativo?
Chi deve discernere su questi punti e cosa deve dire?
Prima però, di rispondere a queste domante dobbiamo fermarci per dire qualche cosa
sull’identità o fisionomia che la teologia e il diritto canonico offrono su questi tipi di vita.
Vorrei presentare una premessa: in questo corso quando parlo di ORDINATI intendo includere
pure i sacerdoti religiosi, lasciando il termine CONSACRATO per tutti gli altri. Ovviamente la
distinzione è inesatta, ma serve soltanto allo scopo di presentare le caratteristiche proprie del
sacramento e della consacrazione, che dovrà essere vista insieme nel caso dei consacrati-ordinati.
Quando parlo di vita consacrata, intendo includere, mutatis mutandi, tutte le altre forme associative
che comportino dei voti o delle promesse.

1. Identità o fisionomia delle vocazioni

1.a Del presbitero


Si diventa ministri sacri o chierici con L’ORDINAZIONE DIACONALE (c. 266, § 1). Coloro che tra i
fedeli sono chiamati al ministero sacro (cc. 207, § 1; 1008) vivono il dono della fede ricevuto nel
battesimo, nella loro funzione di mediatori della grazia, di annunciatori autentici della parola di Dio,
e di guide pastorali del Popolo di Dio1. E questo il contenuto del carisma del servizio e della
paternità della comunità ecclesiale, che viene donato dallo Spirito nell’atto del conferimento del
sacramento del ordine canonicamente istituzionalizzato dalla Chiesa, che legifera su di esso sia in
generale sia nelle sue concrete determinazioni.
Anche della consacrazione ministeriale L’ANALOGATO PRINCIPALE non può che essere la
consacrazione di Cristo. Per mezzo dell’ordinazione il dono dello Spirito configura a Cristo ad un
titolo sostanzialmente diverso da quello della consacrazione battesimale (LG 10b)2. Mentre il
battesimo dà una configurazione nella dimensione di Cristo che si offre al Padre, l’ordine sacro la dà
nella dimensione di Cristo capo e pastore della Chiesa e mediatore eterno di grazia, costituito tale
nella risurrezione (LG 28a)3.
La definitività della consacrazione è indicata dal carattere sacramentale: la consacrazione
ministeriale è innanzitutto una consacrazione divina, che tocca la persona nella profondità del suo
essere e comporta sia un mutamento ontologico rispetto alla precedente consacrazione battesimale

1 Cf. G. GHIRLANDA, Il diritto nella Chiesa mistero di comunione (= DCMC), Cinisello Balsamo – Roma, 20003, n. 104.
2 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Es. Ap. Pastores dabo vobis (= PDV), 25 apr. 1992, nn. 15-18, 19-30, in AAS84 (1992) 657-
804.
3 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Es. Ap. Vita consecrata (= VQ, 25 mar. 1996, nn. 16; 31 e 32, in AAS 88 (1996) 377-486;

EV15/434-775.
(c. 1008), sia un nuovo stato di vita nella Chiesa (consacrazione oggettiva; cfr. c. 290). È Dio che
consacra il ministro sacro con l’unzione dello Spirito Santo, nel conferimento del sacramento
dell’ordine al suo culto e al servizio del popolo di Dio, per cui in ogni atto ministeriale che il
ministro compie agisce sempre Cristo in favore della sua Chiesa (consacrazione ministeriale).
Tuttavia, sebbene l’azione del ministro sia strumentale rispetto a quella di Cristo, proprio la dignità
di essa richiede che chi la compie lo faccia in modo degno. È necessaria, allora, una consacrazione
personale da parte del ministro sacro, che nella carità risponde al dono di grazia ricevuto, servendo
nello spirito delle beatitudini Dio e la comunità cristiana, nell’adempimento, secondo il suo grado,
del ministero che gli è affidato, fino al sacrificio della vita (PO 13a). Il servizio, che è il contenuto
della stessa consacrazione del ministro (PO 12b), dev’essere vissuto nella dimenticanza di sé, nella
dipendenza da Dio, nella carità universale, e manifestarsi in una vita semplice e modesta, in spirito
di povertà (PO 17; c. 282), nell’osservanza della perfetta e perpetua continenza per il Regno dei
Cieli, cioè nel celibato (PO 16; c. 277, § 1), nel pieno rispetto e nell’obbedienza al Sommo Pontefice
e al Vescovo (PO 7; 15; c. 273), ed in tutti gli altri obblighi propri della condizione clericale (cc. 273-
289).
Proprio perché la consacrazione al ministero sacro comporta una partecipazione ad un titolo
speciale al sacerdozio di Cristo (LG 28; PO 2; 5a; 7a), il ministro non può che tenere uno stile di
vita conforme all’osservanza dei consigli evangelici nello spirito delle beatitudini (PO 13; 15-17; cc.
276, § 1; 273; 277; 282), come espressione della sua sempre più profonda inserzione nel mistero
pasquale, che egli rende presente nell’offerta eucaristica fatta a nome e per tutto il popolo di Dio
(PO 13c; 14b), e come annuncio delle realtà eterne (PO 16b). Attuando lo spirito delle beatitudini
nel suo servizio incondizionato, il ministro consegue la perfetta carità e dà a Dio il culto vero (PDV
19-30).
Considerato ciò che comporta la consacrazione ministeriale per la vita del ministro sacro, essa si
deve basare su una libera scelta personale (cc. 1026; 1036; 1034).
Da tutto questo deriva che la formazione nel seminario deve tendere a formare presbiteri che,
vivendo lo spirito del Vangelo (c. 244), siano adatti all’annuncio di esso, alla santificazione e alla
guida pastorale del popolo di Dio (DCMC 118).
Lo stesso ministero esige un’assimilazione nello spirito e nelle intenzioni da parte del presbitero
a Cristo, che è l’autore principale degli atti ministeriali che deve adempiere. Chi riceve il ministero,
ad un nuovo e peculiare titolo, deve avere gli stessi sentimenti di Cristo (Fil 2, 5-11). In Cristo
l’amore verso il Padre diventa amore verso gli uomini.
Affinché il presbitero possa attuare tutto questo nella sua vita ministeriale deve essere formato
ad un rapporto profondo con Cristo (c. 244) ed a partecipare alla stessa carità di Cristo (c. 246, § 1).
La formazione sacerdotale deve tendere anche ad alimentare un vero amore verso la Chiesa di
Cristo, nella obbedienza al Romano Pontefice e al Vescovo proprio, e nella fraterna amicizia e
unione con gli altri presbiteri e tutti i fedeli (OT 9; PO 3; 8; 9; c. 245, § 2; REIS 3).

1.b Identità o fisionomia del consacrato


Sotto l’aspetto teologico l’analogato principale della consacrazione per la professione dei consigli
evangelici, come per ogni altra consacrazione, è quella di Cristo. Ad essa, però, sulla base di una
speciale vocazione e in forza di un peculiare dono dello Spirito Santo (VC 14), la persona partecipa
ad un titolo nuovo e speciale. Ciò sia rispetto al battesimo, di cui la consacrazione per la professione
dei consigli evangelici non è una conseguenza necessaria (VC 30; 31), sia rispetto al ministero sacro,
in quanto la vita consacrata di per sé non è di natura né clericale né laicale (LG 44a; VC 16; 22-24;
30; 31; 60; c. 573, § 1; 588, § 1).
Dio, chiamando coloro che vuole ( VC 14) a seguire Cristo più da vicino per la via dei consigli
evangelici e donando loro il carisma proprio, personale (eremiti e vergini consacrate nel secolo) o
collettivo (istituti), inserendoli nella consacrazione di Cristo, li consacra con un atto d’amore
gratuito (consacrazione divina: LG 44a; VC 17). Tale consacrazione da parte di Dio, che tocca le
radici dell’essere (VC 18), avviene ad un duplice titolo: per il carisma proprio e per la grazia data per
adempiere la propria vocazione ed esercitare rettamente il carisma ricevuto. Allora, è innanzitutto

Elementi del discernimento 2


Dio che, attraendo a sé la persona la consacra, perché questa, con il dono totale di sé, si consacri a
lui, assumendo come norma di vita stabile la professione dei consigli evangelici e tenda così al
conseguimento della perfetta carità (consacrazione personale: LG 44a; VC 17; cc. 573; 710; 731).
La vita consacrata per la professione dei consigli evangelici, come sequela più stretta di Cristo, è
una forma di discepolato più intensa nella sua radicalità. Questo dono, che Gesù fa a coloro che
chiama, crea la possibilità di attuare una forma di vita, che manifesti la venuta del Regno di Dio
sulla terra (PC la; VC 14). Tale vita si fonda sulla comunione filiale con Dio e fraterna con Cristo in
un modo tale da attuare ed esprimere una densità ed una totalità che le è propria. La consacrazione
non si basa sull’una o sull’altra affermazione o attitudine di Gesù, ma sulla globalità del Vangelo e
della vita di Gesù. È questo che fa nascere nella persona chiamata da Dio un’esigenza che va al di là
del precetto, in quanto incentrata sulla radicalità evangelica incondizionata, che viene assunta come
norma di vita (VC 14). Non si tratta, infatti, di una semplice imitazione di Gesù, ma si tratta di
assumere un «essere», da cui viene un «fare», per avvicinarsi sempre più all’essere e al fare di Gesù,
in una partecipazione alla totalità del suo mistero ( VC 16-20; 23; 24; 35; 72)4.

2. Elementi del discernimento: segni di vocazione

La vocazione è un dialogo tra Dio e l’uomo concreto che ha luogo nell’intimo dell’anima umana.
Questa chiamata, quando è accolta dal suo destinatario, impregna TUTTO il suo essere e si manifesta
di modi diversi. L’oggetto del nostro studio, pertanto, si incentra nella persona–oggetto della
chiamata, il CANDIDATO.
La persona umana è un essere aperto alla TRASCENDENZA, creato ad immagine di Dio, capace di
conoscere ed amare il suo proprio Creatore (GS 12) e con capacità di rispondere alle mozioni dello
Spirito. Ma contemporaneamente, è un essere diviso in sé stesso (GS 10) poiché la natura umana è
stata danneggiata dal peccato. Tuttavia, questa non è stata pervertita, perché fu guarita per
l’intervento di Quello che è venuto a salvarla ed ad elevarla alla vita divina. ‘Sarebbe demolirla il
considerarla incapace di un impegno vero.
Dobbiamo partire pertanto di un’antropologia cristiana che contempli la possibilità reale che
l’uomo accolga la vocazione e la porti ad un compromesso permanente, adottando,
contemporaneamente, una visione realistica e non ingenua, che tenga in conto che i peccati e le
limitazioni possono portare all’uomo verso un’opzione sbagliata. Non chiunque crede avere
vocazione ha sempre autentica vocazione. Vediamo quindi alcuni aspetti:

2.1 Libertà di fronte a coazioni esterne


La libertà è un prerequisito imposto dalla legge che vuole che ogni sviluppo vocazionale si
realizzi in un clima più libero possibile. L’esigenza di debita libertà (c. 1026) ha vari fondamenti: il
rispetto alla dignità umana del proprio battezzato (LG 9b), la natura stessa della vocazione
sacerdotale che si capisce come una chiamata che Dio fa ed alla quale l’individuo risponde
liberamente, ed il diritto che ha ogni fedele ad essere immune da qualunque coazione nell’elezione
del suo stato dentro la Chiesa, c. 219).
2.1.A PERDITA PARZIALE O TOTALE DELLA LIBERTÀ
La libertà della quale parla il c. 1026 suppone la proibizione di obbligare a qualcuno ad ordinarsi.
Nei casi in cui non si rispettasse questa libertà e si esercitasse sul candidato coazione fisica o
psicologica, l’ordinazione sarà ILLECITA, ed in alcuni casi, quando manchi totalmente l’intenzione
abituale d’ordinarsi, sarebbe NULLA. Diciamo pertanto che la coazione fisica potrebbe comportare
l’invalidità dell’ordinazione se arrivasse a determinare in tale modo la volontà dell’individuo che
annullasse l’atto umano, o se la pressione fosse tale che portasse l’individuo a simulare o fingere
esternamente la sua ordinazione, escludendo l’intenzione di ricevere il sacramento. Il difetto di

4 Cf. DCMC 161.


Elementi del discernimento 3
libertà rende nulla l’ordinazione, quando produce una mancanza totale di intenzione di essere
ordinato da parte del candidato. Se la persona si ordinasse unicamente per coazione psicologica
senza l’intenzione abituale per farlo, l’ordinazione sarebbe NULLA in base al c. 124 §l, poiché
mancherebbe un elemento esenziale costitutivo dell’atto.
La paura non rende nulla l’ordinazione se il candidato avesse avuto alcuna volontà in favore del
sacramento, benché, in questi casi, potrebbe chiedersi la perdita dello stato clericale a tenore del c.
290, 3°.
Le pressioni esterne in generale (materna, familiare, sociale, ambientale...) rendono illecita
l’ordinazione, ma non la rendono nulla. La vocazione deve essere offerta spontanea di sé, cosciente,
generosa, totale (PDV 36). Non sarebbe lecita neanche la pressione proveniente dal superiore;
questo non può obbligare il suddito ad ordinarsi, e neanche costringerlo moralmente. Un’altra cosa
è «l’obbligo morale interno» che ricorda che ogni persona è obbligata a compiere il piano di Dio
nella sua vita. Il fatto che un superiore ricordi questa verità non vuole dire che ci sia coazione5. In
questo senso, dobbiamo avere chiaro che liberi s’oppone a imposto, non ad obbligatorio.
2.1.B PREVENZIONE DELLA MANCANZA DI LIBERTÀ ESTERNA
Per prevenire situazioni di mancanza di libertà esistono le norme sulla formazione dei candidati
(cc. 232-264). Un candidato che abbia ricevuto una buona formazione spirituale, dottrinale e
pastorale si suppone che abbia anche raggiunto sufficiente maturità per essere cosciente degli
obblighi che sorgono dall’ordinazione e per potere evitare qualunque tipo di pressione esterna. In
più, per garantire la propria libertà, il canone 1036 prescrive che il candidato faccia una
dichiarazione scritta, di propria mano, dove manifesti che chiede in maniera spontanea e libera il
sacramento dell’ordine.

2.2 Retta intenzione


Il magistero tradizionale della Chiesa ha voluto evitare che lo stato sacerdotale sia una scappatoia
davanti alle diverse difficoltà della vita, e ha insistito sempre che il ministero non sia scelto per
ragioni di utilità personale, bensì per il «unico e nobile desiderio di offrirsi totalmente al servizio di
Dio e la salvezza delle anime». In questa linea il concilio esorta gli alunni a che capiscano con ogni
chiarezza che il loro destino non è né il potere né gli onori, bensì la consegna totale al servizio di
Dio ed il ministero pastorale (OT 9).
OT 6 chiede che si investighi con vigilante attenzione la RETTA INTENZIONE del candidato; c.
241 §1 a sua volta esige RETTA VOLONTÀ come requisito di ammissione al seminario, ed il c. 1029
parla d’ESSERE MOSSO PER UNA RETTA INTENZIONE necessaria per essere ordinato.
2.2.1 DEVE ESSERE RETTA
È retta, quando l’intenzione si dirige verso quello a cui deve puntare: l’amore di Dio ed il servizio ai
fratelli. La volontà retta è quella che non è torta, derivata o bugiarda. Non sarebbe retta l’intenzione
che cerchi il presbiterato come un fine in se stesso.
Si dice che quando una persona ha retta intenzione, espressa con chiarezza il motivo che lo
spinge a scegliere, escludendo l’intenzione di ingannare sé stesso e gli altri. Questo non si verifica
quando il candidato cerca il sacerdozio per il suo interesse personale, quando opta coscientemente
per questo stato ecclesiale per risolvere la sua vita.
2.2.2 DEVE ESSERE VERA INTENZIONE
Non c’è vera intenzione, quando il candidato è talmente condizionato che non può decidere
coscientemente. La questione non è sempre facile. La psicologia afferma che nessuno dei nostri
comportamenti è motivato solo da fattori coscienti, ma rimangono sempre a volte latenti
motivazioni incoscienti che agiscono come fattori condizionanti, determinanti, della nostra elezione.

5 Certo si deve fare attenzione a non manipolare la coscienza del candidato, minacciandolo con l’inferno o atre cose del
genere, se rifiuta di farsi ordinare.
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Questo fa sì che possiamo trovarci con persone che credano con sincerità che hanno vocazione,
quando in realtà non l’hanno. Questo può darsi per vari ragioni: per necessità incoscienti
dell’individuo che gli impediscono di agire in modo cosciente; o per una sbagliata concezione
dell’oggetto vocazionale che se dà quando il candidato ha un’erronea concezione di quello che
significa il sacerdozio.
Potrebbe darsi il caso che una persona opti per uno stato di vita spinta da motivi invalidi o
inadeguati: sono invalidi quelli che, carenti di una motivazione soprannaturale, partono di una
motivazione puramente umana, sia di origine materiale (onori, benessere) o più elevata (appoggio
sentimentale, desidero di coltivare le proprie attitudini...); sono inadeguati i motivi religiosi che
sebbene siano validi non rispondono finalmente alla finalità del sacerdozio.
Sono motivi VALIDI tutti quelli che s’ispirano ad un amore totale ed esclusivo che viene dà Dio e
che a lui ritorna; manifestano la risposta libera ad una chiamata personale di Dio, ad un’opzione per
il Regno come compromesso esclusivo. I motivi validi sono motivati dalla scoperta di una relazione
personale con Cristo e dalla necessità profonda di vivere preferibilmente questa relazione nella vita
sacerdotale. Vari sono gli indizi della presenza di una motivazione valida: la capacità di superare i
conflitti, il gusto spirituale, la capacità di superare frustrazioni ed la graduale disposizione socio-
centrica del candidato.
Le persone mosse da motivi coscienti sono quelle attratte, stimolate e nutrite quasi totalmente da
ragioni logiche. Quando questo tipo di motivazioni predomina nella condotta dell’individuo, questo
vive uno stato di integrazione armonico tra la sua sfera affettiva ed il dato razionale, gode di una
sostanziale libertà interna di elezione e se orienta senza ansietà verso le mete, non solo quelle
conosciute e desiderate, ma anche quelle adeguate alle sue reali capacità personali.
Sono motivi AUTENTICI quelli che sono percepiti e riconosciuti dall’individuo che li accetta ed
agisce in conseguenza con essi. Può darsi che la persona agisca secondo alcuni motivi o valori non
soprannaturali, che sono semplicemente sostituti di altri vere motivazioni che l’individuo, per un
processo di rimozione incosciente, non riconosce. Possiamo dire che gli interessi vocazionali
possono sorgere spesso come una strada con cui l’individuo, senza rendersi conto, tenta di risolvere
determinate situazioni di conflitto o frustrazione. Nel caso della vocazione sacerdotale, non si può
dire che tutti i motivi che sono autentici, siano anche validi; il fatto per esempio, che un giovane
vuole essere coscientemente sacerdote perché considera questa una carriera di prestigio e se sforza
per raggiungerla, è un motivo autentico psicologicamente, ma non vale per intraprendere questa
strada. I motivi che devono stare alla base di una vera vocazione sono psicologicamente i motivi
autentici di contenuto soprannaturale.

2.3 Atteggiamenti
Partiamo da Dio che dà a quelli che egli chiama le qualità necessarie per sviluppare la missione
che Lui affida. Da questo deduciamo che solo avrà vera vocazione al sacerdozio chi manifesta
d’avere le qualità necessarie per potere fare un’opzione di vita definitiva e per vivere fruttuosamente
il ministero. Bisognerebbe comprovare che il candidato è capace di:
a) Capire gli obblighi inerenti al sacerdozio, per potere decidere la sua opzione di vita di modo
cosciente e libero. Occorre che l’individuo abbia capacità di capire quello che significa essere
pastore secondo lo stile di Gesù Cristo, comprendendo il significato della povertà, l’obbedienza, e la
castità, non solo nel piano teorico, ma anche nella pratica, percependo in modo vero le sue capacità
per assumere gli obblighi inerenti.
b) Realizzare gli obblighi pastorali inerenti al ministero. Per portare avanti la dura vita del sacerdote, la
Chiesa esige che il candidato offra garanzie di assumere una vita apostolica di offerta e totale
disponibilità vissuta in povertà, castità ed obbedienza. Quello stile di vita richiede oltre ad una certa
resistenza fisica, un alto grado di equilibrio, e maturità. La grazia agisce sulla natura, perciò
bisognerà che il candidato conti con le qualità umane necessarie per realizzare i compiti pastorali
che l’aspettano.

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2.3.1 CAPACITÀ FISICHE: UOMINI SANI
La Chiesa considera che possono sviluppare solo il ministero sacerdotale in modo congruente
quelli candidati che godano di uno sviluppo fisico adeguato, una salute attuale sufficientemente
buona e l’assenza di predisposizioni congeniti parenti (OT 6; RFIS 14)6.
Parliamo in primo luogo di persone con un adeguato sviluppo anatomico-fisiologico che siano
sufficientemente sani e forti per assumere gli obblighi inerenti al sacerdozio.
Inoltre non devono avere alcun difetto fisico che possa ostacolare il ministero. In tempi anteriori
si insisteva specialmente che il candidato avesse le condizioni richieste per la celebrazione del
sacramento dell’eucaristia (ad. es. tutte le dita della mano). Tuttavia, il vigente CIC, con una
concezione più pastorale del sacerdozio, non fa allusione all’irregolarità per difetto fisico. Benché se
sia soppressa questa irregolarità nella legislazione attuale, rimane l’esigenza della salute fisica come
requisito di ammissione al seminario (241 § 1) e per il sacramento dell’ordine (cc. 1029 e 1051. 1).
Possiamo dire che la «concezione meno cultuale del ministero» del postconcilio, comporta esigenze
fisiche maggiori, capendo il sacerdozio come immolazione della propria vita. Tuttavia, il
cambiamento di concezione del ministero ed il cambiamento nella sensibilità sociale permettono
che si considerino alcuni casi speciali come quelli di alcuni handicappati e specialmente quello dei
sordomuti.
All’assenza dei difetti deve aggiungersi la mancanza di malattie fisiche di ordine medico-fisiologico che
possono rendere difficile od ostacolare l’esercizio del ministero. Esistono molte malattie infettive o
altre che ostacolano il movimento, l’attenzione o la comunicazione della persona, ma per la
discussione dottrinale che hanno avuto, prestiamo speciale attenzione all’epilessia e all’AIDS.
Quanto all’epilessia, bisognerebbe studiare ogni caso, tenendo contò che la diagnosi dipende dalla
causa, e delle caratteristiche fisio-patologiche di ogni caso. Per quello che riguarda là sindrome di
immunodeficienza acquisita, alcuni considerano che l’incapacità per il ministero dei malati di AIDS
non è tanto evidente, perché una persona con anticorpi HIV può avere buona salute e non
mostrare manifestazioni di malattia, perfino senza uso di terapia né medicazione. Tuttavia, il rischio
è grande perché la malattia ha un periodo di incubazione tra cinque e sette anni ed una volta che i
sintomi se manifestano (linfopatie, cancro...) la situazione diventa molto grave.
Infine bisognerebbe tenere conto delle malattie ereditarie che potrebbero avere influenza sul
candidato. Conviene determinare con la maggiore precisione possibile se esistono deformazioni
congenite o antecedenti familiari di malattie, come l’alcolismo, AIDS, la tossicodipendenza, e le
malattie veneree o la costituzione epilettica. Quando ci siano sospetti sulla entità dei disordini
ereditari conviene ricorrere ad un medico di fiducia affinché faccia gli accertamenti pertinenti.
In casi in cui si ritenga che i difetti del candidato riducono solo in parte l’idoneità per il ministero
sacro, sarà il vescovo colui che, in ultima istanza, valuterà l’attitudine del candidato.
2.3.2 CAPACITÀ PSICHICHE: UOMINI EQUILIBRATI
I disordini mentali possono colpire tanto la capacità del candidato di dare un consenso libero e
cosciente, come la sua capacità di assumere gli obblighi inerenti al ministero. In questo senso
afferma il c. 1029 che possono essere solo ordinati quelli che possiedano qualità psichiche congruenti con
l’ordine che ricevono. Per il c. 1041 sono irregolari per ricevere gli ordini coloro che soffrono qualche
forma di amenza o un’altra malattia psichica che inabiliti il candidato per svolgere rettamente il ministero. Non se
dimentichi ciò che insegna la scienza, cioè, che su una base psichica malata tutti gli sforzi di
formazione umana si vedrebbero limitati o perfino respinti.
Il CIC 17 si riferiva ai difetti psichici che potevano ostacolare lo sviluppo del ministero, nel suo
c. 984, 3 e parlava di epilettici, amentes, o posseduti dal demonio come malattie dello spirito che
rendevano irregolare il candidato a ricevere l’ordinazione. Il canone 1041 del vigente Codice non
descrive nessuna patologia, parla solo di «qui aliqua forma laborat amentiae aliusve psychicae infirmitatis»,
lasciando il campo aperto agli avanzamenti delle scienze umane e rimettendosi al perito. Il c. 1029 è

6 Cong. Ed. Catt., Ratio fundamentalis institutiones sacerdotalis, 19.03.1985.


Elementi del discernimento 6
più ampio, parla di «qualitatibus psychicis ordini recipiendo congruientibus sunt praediti», e quello potrebbe
comprendere tanto i «disordini clinici» come i «disordini della personalità». Questi, benché non
presentino manifestazioni patologiche, possono essere indizio di una scarsa idoneità per il
ministero. Potrebbero anche essere compresi tra questi alcuni problemi legati all’uso di sostanze in
tal modo persistenti che potrebbero diventare un ostacolo per l’ordinazione (potrebbe essere il caso
del mal di testa permanenti, insonnia...)
Offriamo di seguito un panorama generale di patologie, disordini della personalità ed altre
confusioni, coi quali può apprezzarsi la complessità della psiche umana:
a. Disordini clinici. Incominciamo parlando delle confusioni di carattere PSICOTICO che sono quelli
che se manifestano in deliri, allucinazioni manifeste, linguaggio incoerente e comportamento
gravemente disorganizzato. Includere malattie come la schizofrenia e le confusioni deliranti.
Le confusioni dello stato di animo sono sofferte da quelle persone che stanno attraversando un
episodio DEPRESSIVO maggiore, quando per un periodo di almeno due settimane c’è uno stato di
animo depresso; e quelli che soffrono confusione bipolare, caratterizzato da episodi maniacali
accompagnati da altri episodi depressivi maggiori, cioè, che combina un fasi di euforia e di
depressione.
Soffrono di nevrosi quelle persone che distorcono la realtà e soffrono disordini funzionali. I suoi
sintomi si basano su delle reazioni considerate normali in determinate circostanze, ma che
diventano patologiche per la loro intensità e permanenza. Provocano una destabilizzazione interna
dell’individuo, sentimento di angoscia e deterioramento delle relazioni con gli altri oltre ad un gran
egocentrismo. La nevrosi può derivare da cause affettive, cognitive o istintive.
b. Confusioni di personalità. Sono esempi di condotte rigide, inadattati, causano il deterioramento
funzionale significativo o malessere soggettivo. Si stabiliscono normalmente in forma cronica
nell’adolescenza o all’inizio dell’età adulta, e gli individui che le soffrono considerano che non sono
del tutto normali. All’interno delle confusioni della personalità possiamo distinguere il gruppo degli
«stravaganti» e, ad un livello meno grave, il gruppo degli «immaturi».
Il gruppo «degli stravaganti» include a quelli con personalità paranoide, schizoide ed schizotipica.
La personalità schizoide se verifica in coloro che tendono all’autismo, a vivere nei loro desideri ed
isolati dalla realtà. Sono uomini introversi, disadattati, con poche dimostrazioni affettive ed
indifferenti davanti ai sentimenti altrui, non godono delle relazioni, sono solitari, non hanno amici e
normalmente agiscono con freddezza e distanza emozionale. Distinto della personalità schizoide è
la personalità schizotipica, situata nella zona limite tra la personalità schizoide e la schizofrenica. La
personalità paranoide se dà in quelli che sono egosintonici, sono convinti che sono sani e che sono
normalmente gli altri i colpevoli che hanno problemi nelle sue relazioni personali perché sono
rancorosi, sospettosi, con tendenza a distorcere le esperienze proprie; in essi chi c’è sfiducia, falsità
di giudizio, disadattamento sociale e sopravvalutazione del proprio io. In questo stato non se è
perso ancora il contatto con la realtà, non appare nessun tipo di allucinazione, ma c’è una
predisposizione per la personalità delirante e pertanto per la confusione di carattere psicotico. Il
caso paranoico è un processo che passa dai tratti di personalità paranoide alla personalità paranoide
e da lì alla confusione delirante.
Nel gruppo degli «immaturi» includiamo a quelli caratterizzati per la sua labilità affettiva e per
una peculiare emotività che va accompagnata di condotte incontrollate o socialmente sconvenienti.
A volte ricevono il nome di maleducati o capricciosi e danno la sensazione di non essere affidabili
come persone a causa delle loro difficoltà a regolarsi secondo regolamenti sociali e codici
interpersonali. In questa categoria se includono distinte confusioni: a) confusione asociale della
personalità: le soffrono coloro che si arrabbiano facilmente, persone colleriche, aggressive,
impulsive, instabili, irresponsabili, inadatte, bugiarde ed indifferenti davanti alla sofferenza che
causano. b) Confusione limiti della personalità (borderline): se chiama così perché chi la soffre, sta nei
limiti tra la nevrosi e la psicosi; è un modello di instabilità nell’immagine di se in modo che in queste
persone rimane un condotta mobile, volubile, sempre versatile. Sono persone soggette a
cambiamenti molto rapidi ed intensi negli affetti ed nelle relazioni interpersonali, inoltre sono
impulsivi. c) La confusione istrionica della personalità è un modello di emotività eccessiva e di domanda

Elementi del discernimento 7


di attenzione che se dà in persone estroverse ed insaziabilmente necessitate dell’affetto degli altri. d)
La confusione narcisista della personalità è un modello di grandiosità, una necessità di ammirazione e
mancanza di empatia.
c. Confusioni legate a sostanze. Il consumo di droghe crea dipendenze fisiologiche e psicologiche che
cambiano la personalità l’individuo e può sboccare in quadri psicopatologici gravi. Spesso non basta
comprovare che quelli che furono tossicomani hanno superato, bisogna studiare anche la loro
personalità che frequentemente ha predisposizione alla psicomania.
Questo rapido panorama ci permette di trarre varie conclusioni. In primo posto che la psicologia
umana è enormemente complessa perché è influita, da un lato, da predisposizioni genetiche e, da un
altro, dell’ambiente familiare ed educativo in cui la persona è vissuta. Nelle nostre società
occidentali, dove le percentuali di famiglie destrutturate in aumentano, si sempre più seminaristi
provenienti dà ambienti difficili. Per questo motivo oggi, più che mai, si richiede di fare non solo un
esame rigoroso nel quale si reclami informazioni del candidato, ma anche della sua famiglia: se ci
sono stati casi di epilessia, alcolismo, tentativi di suicidio, anormalità mentale, ecc.; vedere anche se
si tratta di un figlio adottato, se la famiglia è distrutta, se ci furono condotte immorali o un’altra
causa di cattiva fama della famiglia; se i suoi genitori sono nervosi, volubili, litigiosi, bevitori ecc.
Facendo un esame psicologico, bisogna tenere in conto tutta la storia della persona. Benché
l’irregolarità del c. 1041.1 includa solo a quelli che soffrono una confusione psicologica nel
momento presente tenendo conto che la patologia può rimanere latente, sarebbe consigliabile che
anche il candidato che avrebbe sofferto una confusione nel passato fosse sottoposto ad una perizia,
psicologica o psichiatrica secondo i casi, per avere certezza che essa sia sparita. Affinché il vescovo
conceda una dispensa per questo impedimento deve lasciare trascorrere il tempo opportuno per
vedere come si è superata la difficoltà. In ogni modo, trattandosi di patologie con radici strutturali è
difficile superarle in modo completo, e questo fa si che all’ordinario sia molto difficile raggiungere la
necessaria certezza morale sulle attitudini del candidato.
Molti casi di disordini psichici possono essere scoperti da formatori con buonsenso e
conoscenze di psicologia. Tuttavia, quando appaiano situazioni più complesse è bene contare
sull’aiuto dello specialista che può diagnosticare, cercare le cause ed aiutare alla crescita della
persona. Nei casi di malattia, per conoscere la capacità del candidato il c. 1041 esige l’opinione del
perito: egli è colui che deve valutare gli elementi oggettivi necessari per comprendere in che misura
è adatto il candidato al ministero.
Infine bisognerebbe dire che il seminario non è il posto dove curare disordini psicologici gravi.
La sua funzione è quella di formare persone con una salute psichica normale affinché arrivino ad
essere buoni sacerdoti. Dobbiamo tenere in conto che l’ambiente del seminario può essere
controproducente per alcuni di queste confusioni mentali, e che in molti casi questo tipo di persone
possono pregiudicare il processo di formazione dei loro compagni.
2.3.3 CAPACITÀ INTELLETTUALI: UOMINI GIUDIZIOSI
L’intelligenza permette all’uomo di accedere alla realtà così come è. Solo colui che ha sviluppato
queste capacità adeguatamente al compito che si propone di realizzare potrà accedere, primo al
seminario, e dopo agli ordine sacri. Il seminarista deve contare su un’intelligenza sufficiente; il
talento limitato non permette di ricevere la quantità considerevole di contenuti culturali, filosofici e
teologici necessari per il ministero (cc. 235 §l e 241 §1). Non conviene tuttavia, confondere il
talento limitato con il lento, il primo nonostante gli sforzi non arriverà a comprendere, il secondo
avrà bisogno di tempo per comprendere, ma l’otterrà e ciò nonostante sarà capace di andare fino al
fondo delle questioni.
Oltre all’intelligenza sufficiente dovrà essere convenientemente disposta e abbastanza coltivata.
Non si potrà ammettere a quelli con un talento superficiale che si lasciano abbagliare dottrine da
appariscenti, e neanche quelli con ignoranze e lacune gravi nella loro formazione. Solo con una
buona preparazione intellettuale, il candidato potrà essere, a suo tempo, vero maestro di quel gregge
che gli sarà assegnato (cc. 248 e 538 §1). Inoltre, una buona base di conoscenze è imprescindibile
per conoscere in profondità quello che è il ministero sacerdotale ed i suoi obblighi, per potere dare
così una risposta libera e cosciente al sacerdozio (cc. 247 e 1028).
Elementi del discernimento 8
Per riuscire in questo obiettivo è necessario che la formazione non si limiti alla comunicazione di
idee, bensì principalmente a formare persone (OT 17). Il fine è che il candidato raggiunga una
«maturità intellettuale» che gli permetta di assumere e fare proprie le nozioni ed espressioni,
maneggiare con scioltezza idee e principi astratti ed arrivare ad avere criteri propri (c. 254 §2).
2.3.4 CAPACITÀ UMANA: UOMINI MATURI
In linee generali, si ammette che la struttura umana è costituita da corpo, intelligenza, affettività e
volontà. Abbiamo appena visto le condizioni psico-fisiche ed intellettuali ed ora approfondiremo
l’aspetto affettivo e volitivo della persona.
Dalle lettere paoline, è stato considerato requisito indispensabile al capo della comunità l’essere
uomo ponderato, retto e sensato, in definitiva una persona umanamente matura. Da allora si è
andato sviluppando questo concetto fino ad arrivare al vigente Codice che utilizza il termine
«maturità» in un doppio senso: come oggettivo a raggiungere nella formazione seminaristica (c. 244)
e come grado minimo necessario per potere ricevere lecitamente il sacramento dell’ordine. Pertanto,
in linea con l’allocuzione del papa Giovanni Paolo II alla Rotta del 1987, si può affermare che
esistono due concetti di maturità contenuti nel Codice: la maturità propriamente psicologica, come
obiettivo da raggiungere, e la maturità propriamente canonica, come MINIMO ESIGIBILE.

y a) Maturità personale come obiettivo a raggiungere nella formazione


La maturità umana è un processo lungo e difficile che implica tutta la persona, nei suoi aspetti
fisici, psichici, sociali, ambientali ed occupazionali. Attraverso questo processo, l’individuo
raggiunge, il maniera più o meno appropriata e funzionale, un grado sufficiente di sviluppo delle sue
potenzialità ed abilità. Non è, pertanto, una realtà statica, acquisita una volta per tutte, bensì una
tensione dinamica e creativa, uno stato sufficiente di differenziazione ed integrazione somatica,
psichica e mentale, una disposizione per svolgere i compiti che deve affrontare l’individuo in un
momento determinato e per fare fronte alle domande della vita. L’uomo umanamente maturo è
quello che è riuscito a portare specificamente al dovuto livello di sviluppo tutte le sue potenzialità e
possibilità umane.
Dentro la maturità umana c’incentriamo più concretamente nella maturità psichica, posseduta da
chi si orienta abitualmente secondo i componenti psichici superiori, cioè secondo l’intelletto e la
volontà. È immaturo psichicamente quello che si lascia condurre dai componenti inferiori e ciechi
della psiche (tendenze, sentimenti, incosciente). La persona matura ha raggiunto un alto grado di
equilibrio mentale, è riuscito ad integrare le forze ed energie psichiche per potere vivere
armonicamente.
Nella vita psichica umana, acquista un’importanza fondamentale la dimensione affettiva.
Diciamo che la persona raggiunge la maturità affettiva quando riesce a «essere libero per un giusto
sentire e desiderare», e questo l’ottiene integrando le forze motivanti che ci sono nel suo interno.
Solo quello che domina i suoi impulsi ed emozioni può raggiungere l’equilibrio emozionale
necessario per affrontare con serenità i suoi problemi ed assumersi le responsabilità. Dentro
l’affettività, la sessualità deve considerarsi come fattore determinante per la maturità della personalità.
Per arrivare alla maturità sessuale, l’uomo deve superare due tappe di sviluppo: una prima in cui
lascia dietro il narcisismo e l’omosessualità per raggiungere l’eterosessualità, ed una seconda in cui
supera l’amore egoista per raggiungere l’amore di donazione. Questa maturità non può capirsi senza
sforzi, rinunce o difficoltà. Si tenta di superare mediante un intervento cosciente ed uno sforzo
personale il puro sviluppo spontaneo o il processo biologico di crescita, canalizzando le pulsioni.
Rulla afferma che non è possibile avanzare in questo processo verso la maturazione se la
persona non scopre ed assume quelle forze dell’inconscio che gli impediscono di crescere nel
processo di maturazione umana e, nel caso del sacerdote e del seminarista quella base umana
costituisce il fondamento che permetterà all’individuo di assumere i valori vocazionali che
garantiscono un futuro ministero perseverante ed efficace.

Elementi del discernimento 9


y b) Maturità minima esigibile al candidato ad ordini
Dal punto di vista canonico sono necessari alcuni criteri accertabili che permettano di misurare
se nel candidato si dà il grado di maturità richiesta per il ministero. Tuttavia, non è facile precisare il
livello di maturità esigibile quando la psichiatria ed il diritto non coincidono nella
concettualizzazione e nella valutazione della maturità.
In qualsiasi caso, il c. 1031 §1 considera che si potrà conferire il presbiterato solo a quelli che
«sufficiente gaudeant maturitate» e si presume che quel minimo di maturità si acquisisce
abitualmente col passo degli anni e con la dovuta formazione umana e spirituale. Inoltre, bisognerà
comprovare in ogni candidato se in lui si manifestano segni di maturità.
Si esige in primo luogo un minimo di età (c. 1031 § 1 ). Come risposta ad un graduale ritardo della
maturità dei giovani di oggi, il vigente CIC aggiunge un anno all’età stabilita per il Codice anteriore,
ventitre ani per il diacono e venticinque per il presbitero. Inoltre, tra un a ed un’altra ordinazione
deve passare un interstizio di almeno sei mesi, al fine che si eserciti per quel tempo l’ordine
ricevuto.
In secondo posto si esige che il candidato abbia ricevuto un’ampia istruzione, perché si
presuppone che chi ha ricevuto la formazione dottrinale, umana e spirituale prescritta nel Codice,
ha raggiunto un certo grado di maturità. Questa è la ragione per la quale si potrà ricevere
lecitamente il diaconato solo dopo avere finito il quinto corso di studi filosofici-teologici. Poi
prenderà parte alla cura pastorale per un tempo determinato dal vescovo prima di ricevere
l’ordinazione presbiterale (c. 1032.
Infine deve verificarsi l’esistenza di segni positivi di MATURITÀ nel candidato (c. 1031 § 1).
Questi segni si appoggiano su tre pilastri: stabilità di animo, retto modo di giudicare persone ed
avvenimenti, e capacità di prendere decisioni responsabili dopo avere soppesato serenamente le
ragioni (OT 11). A sua volta, ognuno di questi pilastri si manifesta in una serie di segni: la stabilità di
animo si apprezza quando il candidato gode di un carattere sereno e riflessivo, non si lascia
trasportare da impressioni o impulsi primari, ha un animo fermo e non si demoralizza con piccoli
contrattempi; la capacità di giudicare rettamente su persone ed avvenimenti si manifesta nella capacità
che gode l’aspirante di fare un’analisi obiettiva della realtà; infine, la capacità di prendere decisioni prudenti
rimane palese in colui che non è impulsivo, né indeciso, è capace di decidere prendendo una certa
distanza dei temi. Contrariamente, la PERSONA IMMATURA, manifesta in se un abituale stato di
confusione e di insoddisfazione, interrotto per sporadiche espressioni di euforia: quando entra in contatto
coi valori umani ai quali ci avrebbe dovuto rinunciare, rimane facilmente turbato; è sempre indeciso
di fronte alle nuove responsabilità, e non prende una libera e cosciente posizione personale di
fronte ai vincoli morali che si presentano nei diversi momenti della formazione; nutre un
atteggiamento di forte aggressività, derivata della tensione creata in sé per lo stato di frustrazione
continuo delle tendenze naturali; vive ripiegato su se stesso, insensibile ai problemi degli altri,
insicuro di sé, in perpetua paura per il futuro; è rigido nella sua struttura psichica e non riesce ad
adattarsi a situazioni nuove.
Non è sempre facile scoprire quando c’è sufficiente grado di maturità nel candidato. Nei casi più
difficili può essere conveniente accorrere al consiglio dello specialista per sapere se la causa del male
stia in qualche disordine psichico.
2.3.5 CAPACITÀ MORALE: UOMINI VIRTUOSI
La maturità morale si situa nel terreno volitivo della persona che tende verso il bene. L’uomo
osserva la realtà e decide quello che è buono per lui, per gli altri e per Dio ed in funzione di ciò
agisce. Nella misura in cui agisce virtuosamente continua ad acquisire abitudini che gli permettono
di essere libero per operare bene, e così diventa moralmente maturo. Ci riferiamo qui alla crescita
nelle «virtù naturali» poiché nessuno può essere vero cristiano se non possiede e pratica «le virtù»
convenienti all’uomo e richieste della la stessa carità (OT 11: RFIS 45).
Il fatto che la persona sia capace di apprezzare il bene non significa che lo segua
necessariamente, neanche il fatto che la persona sia psicologicamente matura significa che sia
virtuosa poiché l’uomo è un essere libero ed esiste in lui la possibilità del peccato. Pertanto, lo
Elementi del discernimento 10
sviluppo morale non consiste solo nell’agire bene o male, bensì soprattutto nella capacità di
interiorizzare valori che permettano all’uomo di crescere in santità oggettiva e soggettiva. Possiamo
dire che l’integrità morale si manifesta nella capacità di vivere una vita basata sui valori vocazionali
liberamente accettati. Questa capacità si verifica nel quotidiano.
Per procurare lo sviluppo morale dei seminaristi, bisognerà fare speciale attenzione tanto alla sua
provenienza familiare come all’ambiente che gli è offerto nel seminario. Rispetto alla famiglia,
benché oggi non si esiga come requisito la filiazione legittima, sembra conveniente che i formatori
conoscano l’ambiente familiare in cui il giovane è cresciuto, perché da ciò dipendono in gran parte
le abitudini acquisite. Per quello che riguarda il processo formativo del seminario, bisogna procurare
che per mezzo di una vita disciplinata (OT 11 b), il candidato superi le brutte abitudini acquisite e
che s’identifichi con le virtù apprezzate degli uomini (OT 11a), ispirate nella verità, bontà, lealtà,
fedeltà, giustizia, forza, temperanza, cortesia e giovialità. L’obiettivo è che il candidato arrivi ad
acquisire virtù provate ed abitudini irreprensibili (cc. 1029 e 1051. 1).
2.3.6 CAPACITÀ SPIRITUALI: UOMINI CONFIGURATI CON CRISTO PASTORE
Sulla base della maturità umana, deve costruirsi la maturità cristiana e sacerdotale, caratterizzata
dalla sua speciale configurazione a Cristo Capo, Pastore e Sposo. Distinguiamo, pertanto, due livelli
di qualità spirituali: quelle che sono comuni dei cristiani, e quelli che propriamente appartengono ai
consacrati per mezzo il sacerdozio e dei voti.
L’obiettivo formativo deve essere che il candidato cresca nelle qualità proprie del buon Pastore.
La formazione sacerdotale deve partire della base spirituale cristiana comune per poi insistere in
quello che differenza il sacerdote e il consacrato dagli altri fedeli, cioè nella sua configurazione
speciale a Cristo e nella sua missione salvatore. Per quello che riguarda alla configurazione specifica
a Cristo Capo, Pastore e Sposo, deve essere preparato il candidato affinché in lui si diano le
condizioni adeguate per assimilazione interiore dei valori finali della vocazione sacerdotale,
l’imitazione di Cristo e l’unione con Dio, attraverso una serie di valori strumentali, castità,
obbedienza e povertà. L’obiettivo è che il candidato continui ad assumere i valori sacerdotali, e che
sia capace di continuare a crescere in essi anche dopo l’ordinazione. Di conseguenza, non avranno
le qualità spirituali necessarie coloro le cui necessità affettive ostacolino loro lo sviluppo di questi
valori, o con altre parole, non dovrà essere ordinato colui che non garantisca sufficientemente la sua
capacità di internalizzare i valori vocazionali che lo rendono capace di essere oggettivamente santo.
Affinché il candidato possa conformarsi a Cristo dovrà avere una vita di intimità con Lui per
mezzo della preghiera personale, l’esame di coscienza, gli esercizi spirituali, la meditazione della
Parola, la celebrazione dei sacramenti e la preghiera dell’ufficio divino (c. 246). In questo modo si
ottiene che il candidato raggiunga una pietà sincera (c. 1051. 1), sia basata su devozioni particolari,
ma che permetta la santificazione in accordo con le leggi generali della Chiesa.

Elementi del discernimento 11


II Parte
Momenti del discernimento
Il discernimento vocazionale è un processo continuo che comincia con la selezione prima
di accedere al seminario, continua nel processo formativo (RFIS 39) e termina con l’esame
definitivo previo all’ordinazione presbiterale. Per evitare le conseguenze penose che un
cattivo discernimento avrebbe sul candidato e su tutta la Chiesa, ci dice il Concilio:
In tutta la scelta degli alunni e nel sottoporli a debita prova, sempre si abbia fermezza di animo, anche
se si deve deplorare una penuria di clero, non essendo possibile che Dio permetta che la sua Chiesa manchi
di ministri, se i degni vengono promossi e i non idonei sono tempestivamente e paternamente indirizzati
verso altri doveri ed aiutati a dedicarsi all'apostolato laicale, nella consapevolezza della loro vocazione
cristiana (OT 6b).
Per compiere il mandato conciliare di procedere sempre con la dovuta fermezza, il diritto
stabilisce una serie di requisiti da valutarsi in ogni momento formativo, alcuni mezzi per
comprovarli ed alcuni responsabili nell’esercitare questa funzione. In seguito vedremo
quando, dove e chi fa il discernimento vocazionale nel momento dell’entrata nel seminario,
durante il processo formativo e prima dell’ordinazione.

1. Primo discernimento. Prima di entrare nel seminario maggiore

In questo momento, chiave per il buon sviluppo posteriore del processo formativo,
bisogna esaminare accuratamente ogni candidato, «perché non è infrequente che i seminaristi,
dato quel primo passo, proseguano l’iter verso il sacerdozio considerando ogni tappa come
una conseguenza e proiezione necessaria di quel primo passo».
La selezione iniziale vuole scoprire questi casi ed agire con la dovuta fermezza. Perciò, i
responsabili ecclesiastici devono essere consapevoli che scegliere un candidato senza le
dovute qualità significa una mancanza di onestà con quella persona che ha diritto a che si
faccia un discernimento serio sulla sua vocazione, ed inoltre, un’enorme spreco di energie che
sarebbe meglio impiegate con i candidati adatti. Ammettere negligentemente queste persone
può pregiudicare il processo formativo e rovinare la vita del seminario.

1.1 posto del primo discernimento


Tra i mezzi ai quali la Chiesa fa riferimento per operare questo primo discernimento, ne
segnaliamo tre che non si escludono tra loro, ma possono completarsi a vicenda: il seminario
minore, il periodo introduttivo propedeutico, ed il periodo di prova, come tempo stabilito per
fare i colloqui di selezione al candidato.

y a) Seminario minore
Il primo discernimento personale ed istituzionale può cominciare a darsi nel seminario
minore. Lì si comincerà ad esaminare il giovane comprovando se ci sono in lui «semi di
vocazione» (OT 3). I responsabili del seminario minore faranno un primo scrutinio per
ammettere unicamente quelli che apertamente accettano l’idea di essere sacerdoti, che
l’ammettono come possibile, o almeno che, dotati di buone qualità, non perdono del tutto la
speranza di arrivare un giorno al sacerdozio (RFIS 13). Inoltre, esamineranno con cura le
qualità fisiche, psichiche, morali ed intellettuali dell’alunno, e tutto quello che tocca le sue
circostanze familiari. Se mancasse qualcuna delle qualità richieste bisogna supporre che non
esiste vocazione (RFIS 11 b). Se durante il processo formativo nel seminario minore, i

Elementi del discernimento 12


formatori considerano che non c’è un minimo di speranza che nel candidato maturi la
vocazione sacerdotale, questo dovrà essere separato dalla disciplina del seminario.
Conviene che il responsabile del seminario minore consegni una relazione sul giovane al
rettore del maggiore prima di cominciare l’anno propedeutico o il sessennio formativo. In
questo modo si rafforza la stretta relazione che deve esistere tra tutti e due seminari (PFSM
176).

y b) Periodo propedeutico
Oggigiorno, in occidente, le circostanze vocazionali sono cambiate molto rispetto ai
decenni passati ed i nostri giovani, spesso, arrivano ai seminari con poca maturità umana e
poca formazione religiosa. Questo fa che ogni volta diventi più imperiosa la necessità di
instaurare nelle diocesi un tempo introduttivo previo al seminario propriamente detto. I
giovani di oggi sono cresciuti in stati laici dove la presenza religiosa nella società (scuola,
mezzi di comunicazione) è molto scarsa, e d’altra parte il miglioramento delle condizioni di
vita in occidente hanno portato ad un graduale aumento del periodo di gioventù ed
un’assunzione sempre più tardiva di responsabilità. Tutto questo fa sì che ogni volta sia
sempre maggiore il numero di candidati immaturi, che pochi provengano dal seminario
minore che gran parte provenga da gruppi e movimenti, e che molti entrino ad un’età adulta.
La possibilità di instaurare un periodo propedeutico o introduttivo fu una questione
ricorrente nei dibattiti conciliari e ha continuato ad esserlo nei Sinodi posteriori dando come
risultato la sua raccomandazione costante negli ultimi documenti magistrali.
¾ Obiettivi del periodo introduttivo: formazione e discernimento
Due sono i fini fondamentali che devono essere raggiungi: da una parte offrire al
postulante una formazione dottrinale e spirituale adeguata, e poi stabilire un periodo ampio
affinché tanto il candidato come i responsabili ecclesiali possano fare un discernimento serio.
In questo periodo deve completarsi la formazione dell’aspirante nell’aspetto umano,
culturale-religioso e comunitario. Nell’aspetto umano, il periodo propedeutico deve aiutarlo a
conoscere le linee essenziali della sua personalità e del suo carattere affinché, conoscendo le
sue potenzialità e limiti, avanzi verso la maturità personale. Rispetto alla formazione culturale,
è importante che ogni individuo raggiunga la preparazione sufficiente per potere affrontare
gli studi filosofico-teologici; e questo include una specifica formazione cristiana. Infine, in
quello che riguarda l’ambito comunitario, questo periodo è un banco di prova per vedere se il
candidato è capace di convivere con gli altri, di accettare criteri ed opinioni distinte dalle sue e
di assumere la sua vocazione come una realtà ecclesiale e non privata.
Anche questo tempo servirà affinché il candidato chiarifichi e consolidi la sua opzione
vocazionale (PFSM 185). Perciò, gli saranno offerti strumenti dottrinali, pastorali, spirituali e
comunitari necessari affinché possa fare un discernimento personale adeguato a partire dalla
considerazione dell’eccellenza e della natura della vocazione sacerdotale e degli obblighi a essa
inerenti (RFIS 42a).
¾ Modi di organizzare il periodo propedeutico
In quanto all’organizzazione di questo periodo troviamo in pratica tre maniere di
concepirlo: integrato nel seminario, maggiore o minore, unito alla pastorale vocazionale, o
come periodo autonomo.
9 Periodo propedeutico integrato col seminario minore o maggiore. Questa pratica è poco
raccomandabile e, in realtà, si è andata superando l’abitudine instaurata in alcune diocesi di
integrare il corso introduttivo nei primi semestri del sessennio, poiché la densità degli studi
e la dinamica propria del seminario ostacoleranno le condizioni necessarie per fare
l’adeguato discernimento personale ed istituzionale.

Elementi del discernimento 13


9 Periodo propedeutico unito alla pastorale vocazionale. Funziona in alcune diocesi
dell’Inghilterra-Galles e Scozia, dove in relazione all’età e alla varietà di provenienza dei
candidati, si preferisce prepararli in forma personalizzata, tenendo in conto le necessità
concrete di ognuno di essi. In diocesi piccole o di pochi risorse normalmente si usa il
preseminario, nel quale il discernimento e la base formativa sono offerte per mezzo di
incontri occasionali per un tempo determinato.
9 Periodo propedeutico come periodo autonomo. La cosa più frequente è che le diocesi dedichino
un tempo esclusivo affinché i candidati, prima di entrare nel seminario, acquisiscano un
minimo di preparazione umana, spirituale ed intellettuale. Per attuare questo tipo di
esperienza, oltre ad una sede, normalmente separata del seminario, occorre contare su di
un sacerdote coordinatore, e, a seconda del numero di alunni, di un vice-responsabile e di
altri collaboratori. Inoltre saranno necessari uno o più direttori spirituali, alcuni docenti
qualificati ed uno psicologo. Poiché la sua istituzione non è sempre facile a causa della
scarsità di sedi adatte, di formatori e di mezzi economici, si contempla la possibilità di
ricorrere alla cooperazione interdiocesana per creare periodi propedeutici regionali o
nazionali.
La durata, secondo i casi, va da sei mesi a due anni, benché l’uso comune sia che duri un
anno. È bene che questo periodo sia organizzato ugualmente per tutti i candidati, qualunque
sia la loro provenienza, benché logicamente la durata ed l’orientamento pedagogico di questo
corso varierà in funzione dell’età ed origine dell’alunno. Il candidato che viene dal seminario
minore non richiede la stessa attenzione del giovane proveniente da associazioni e movimenti
o di quello che entra in età adulta (PSFM 186).

y c) Periodo di selezione
È un dovere di giustizia verso l’aspirante e verso la Chiesa che il seminario conti su un
programma di ammissione e di discernimento adeguato. Inoltre, un processo selettivo serio
favorisce la fiducia dell’alunno nel progetto educativo al quale si affida. Quando per le distinte
circostanze della diocesi non si istituisse il periodo propedeutico, bisognerebbe stabilire,
almeno, un periodo di colloqui e di raccolta di relazioni affinché i formatori possano fare la
selezione secondo i criteri stabiliti nel c. 241 § 1.
La valutazione si completerà con le relazioni dei responsabili della comunità di
provenienza (parrocchia, movimento...). È necessario includere lettere di presentazione dei
sacerdoti che hanno accompagnato il candidato nel discernimento vocazionale previo al
seminario (1051. 2) e, in caso, relazioni scritte del rettore del seminario minore al quale è
appartenuto. Si richiedono anche altre certificazioni che accreditino la storia personale e
familiare dell’aspirante.
Bisognerebbe prestare attenzione speciale nel momento dell’entrata al candidato
proveniente da un altro seminario o casa di formazione. In questi casi si esige ottenere un
testimonium del superiore che ha deciso la dimissione (c. 241 §3). Attualmente i vescovi hanno
l’obbligo sub gravi di investigare le cause di espulsione di coloro che vengono da un altro
seminario o istituto religioso (RFIS 39c); si chiederà in questi casi una relazione del rispettivo
superiore che spieghi il motivo dell’espulsione.

1.2 oggetto del primo discernimento


Con l’obiettivo di fare pastori secondo lo stile di Gesù Cristo, il CIC presenta una
proposta educativa chiara ed esigente che comincia col chiedere una serie di condizioni previe
all’entrata nel seminario. Potranno essere ammessi solo quelli che sono considerati capaci di
dedicarsi al ministero sacro in maniera perpetua considerando le loro doti umane e morali,
spirituali ed intellettuali, salute fisica, equilibrio psichica e retta intenzione (c. 241 §1, OT 6a,

Elementi del discernimento 14


RFIS 39). In questo primo momento non può esigersi un alto sviluppo delle qualità richieste,
ma basterebbe comprovare un certo grado di qualità nelle «predisposizioni» del candidato.

y a) Retta intenzione
Affinché l’aspirante sia ammesso nel seminario si richiede che abbia fatto un’opzione
sufficientemente chiara per il sacerdozio, benché sia normale che all’inizio la vocazione si basi
su valori confusi, dove le motivazioni naturali e soprannaturali si trovano mescolate. Benché
le motivazioni non siano chiare al principio, devono essere almeno rette e buone, disponibili
ad essere maturate nel futuro. Ciò suppone che bisogna escludere da un principio i candidati
con motivazione di evasione, di rifugio, o di ricerca di una vita facile.
Il rettore tenterà di conoscere dal primo momento qual è l’intenzione del candidato
domandando in forma esplicita nei colloqui quali sono le sue motivazioni vocazionali.
«Consideriamo che gli educatori ben preparati sono in condizione di distinguere l’autenticità
delle vocazioni negli individui normali, coi criteri selettivi comuni». In certe occasioni,
possono esistere alcune motivazioni profonde ed inconsce il cui discernimento richiede gran
capacità di intuizione, osservazione, esperienza e lucidità da parte del formatore.

y b) Salute fisica ed equilibrio psichico


Fin dall’inizio, gli individui che si scoprono fisicamente o psichicamente inetti devono
essere immediatamente allontanati dal cammino di formazione sacerdotale. Rispetto alla salute
fisica, abbiamo già visto la necessità che il candidato abbia una costituzione forte, assenza di
malattie o difetti fisici gravi e di carenze congenite. Abbiamo anche considerato che per
comprovare questi aspetti può essere utile la collaborazione di un medico competente che
certifichi la buona salute del candidato e accerti la presenza di possibili anomalie nell’eredità
familiare (RFIS 39c). Per quello che concerne la salute psichica, abbiamo visto che è
necessario comprovare l’assenza di patologie, di disorganizzazione grave e di dipendenza da
sostanze, esaminando ugualmente gli antecedenti psichici familiari.
Il formatore ha un ruolo fondamentale nel discernimento della salute psichica; egli può
scoprire, fin dal primo momento, certi indizi nei colloqui avuti e nell’osservazione dei suoi
comportamenti durante il periodo preseminaristico, potendo rimettere i casi dubbi allo
psicologo.
In qualsiasi caso, sarebbe utile che i superiori avessero criteri chiari su quelle che
potrebbero essere controindicazioni assolute o relative per ammettere l’aspirante. Come
regola generale non dovrebbero essere ammessi i candidati che soffrono di qualche patologia
manifesta o latente, sia grave o meno grave. Szentmártoni considera come controindicazioni
assolute per entrare nel seminario la schizofrenia, la paranoia, la psicosi maniaco-depressiva e
il ritardo mentale. Considera che la maggioranza di questi casi esclude la possibilità della
vocazione per la capacità tanto ridotta che rimane alla persona per fare un’elezione libera. Tra
le controindicazioni relative si potrebbero considerare i disturbi dell’umore, alcuni nevrosi e i
disturbi della personalità. Dentro questo gruppo potremmo distinguere tra casi gravi e meno
gravi. Tra i primi situiamo coloro che soffrono disturbi dell’umore. Questi, in linea di
principio, non devono essere ammessi al seminario, neanche nei casi in cui rispondano bene
al trattamento medico ed il loro comportamento sembri normalizzato. La ragione è che
soffrono di una certa debolezza volitiva ed intellettiva nel momento di fare un’opzione
vocazionale. Inoltre il carattere irritabile ed aggressivo e la difficoltà nelle relazioni di queste
persone rendono difficile che possano esercitare con efficacia il ministero pastorale. Anche
molte nevrosi croniche sono gravemente controindicate, per la destrutturazione globale che
creano nella personalità dell’individuo; queste ostacolano le relazioni personali e, pertanto,
possono ostacolare lo sviluppo efficace del ministero. Anche quelli che soffrono di disturbi di
personalità, benché non presentino manifestazioni patologiche, possono essere poco idonei

Elementi del discernimento 15


per il ministero, poiché questi disturbi suppongono un modo costante di pensare e di
comportarsi, un modo permanente di strutturazione della personalità. Ci riferiamo
principalmente al "gruppo" di coloro che possono possedere strutture psicopatiche e
condotte fuori di controllo che li rendono incapaci di lasciarsi formare. La loro li rende
impermeabili a qualunque tipo di messaggio formativo e sono persone che necessitano di un
aiuto specializzato.
Tra i casi lievi sarebbe il «gruppo» DEGLI IMMATURI, specialmente quelli che hanno
confusioni di carattere asociale o borderline che possono attenuarsi con l’età. Non
bisognerebbe scartare soprattutto che presentassero una lieve disorganizzazione, tenendo
conto che le risorse umane e spirituali sui cui conta il seminario possono influire
positivamente come elementi d’equilibrio. I casi dubbi, potrebbero essere ammessi
unicamente a condizione di essere seguiti molto da vicino durante i primi anni di formazione,
eventualmente , in molti casi, con un trattamento psicoterapeutico.

y c) Attitudini umane e morali


Si richiede che il candidato conti su di un «grado sufficiente di maturità umana» per potere
assumere nella propria struttura personale i valori vocazionali (c. 241 §1; PDV 62b). Questo
suppone un minimo di equilibrio, di serenità e di integrazione personale che si manifesta nella
sincerità dell’anima, la maturità affettiva, la cortesia, la fedeltà alla parola data, il costante
senso della giustizia, il senso dell’amicizia, della giusta libertà e della responsabilità, lo spirito
di lavoro e la volontà di cooperare con gli altri (RFIS 39b). Conviene tenere in conto che,
molto spesso, i fallimenti nel ministero sono dovuti ad una struttura umana poco solida.
Rispetto alle attitudini propriamente morali, è importante che il rettore domandi al parroco
la fama del candidato e della sua famiglia, perché le abitudini in cui la persona è allevata
hanno influenza decisiva sul suo carattere posteriore. Conviene investigare anche le possibili
irregolarità per scartare da un primo momento chi ha cooperato in aborto od omicidio (c.
1041. 4), chi è auto-mutilato o ha cercato di suicidasi (c. 1041. 5), e chi ha tentato un atto di
potestà di ordine riservato al vescovo o ai presbiteri (c. 1041. 6).
È anche importante, nelle attuali circostanze sociali, che il rettore domandi informazioni
sulle abitudini sessuali del candidato affinché possa conoscere quale qualificazione morale gli
assegna, poiché le condizioni della vita moderna favoriscono l’aumento dei casi di
autoerotismo, promiscuità sessuale e di omosessualità nei candidati. Vediamo alcuni
problemi:
¾ Candidati con difficoltà per la vita celibe
Attorno al 60 percento dei giovani che accedono al seminario hanno debolezze sessuali
(masturbazione) omosessualità, esperienze eterosessuali, dipendenze affettive intense, ecc.
Il magistero ecclesiastico è passato da una visione delle difficoltà sessuali basata
principalmente sul comportamento esterno del candidato, ad una visione più ampia, che va
alle cause del problema, tenendo in conto che molte volte i disordini sessuali sono
manifestazioni che hanno la loro causa in altri aspetti della personalità. L’obiettivo formativo
si incentrerà pertanto sullo scoprire la causa della debolezza sessuale ed agire su essa.
¾ Candidati con problemi di autoerotismo
Diceva l’istruzione della SCRelig di 1961 nel suo n. 30b che se si scopre che alcuno cade
nel rozzo peccato solitario e non dà una solida garanzia di correggersi, non deve essere
ammesso al noviziato, né alla prima professione, né alla rinnovazione dei voti. Neanche si
ammetterà alla professione perpetua chi non avrà ottenuto una solida abitudine di
continenza, e non avrà dato almeno garanzia di una castità provata per un anno. Una
prospettiva più ampia è adottata dagli Orientamenti che, trattando dell’autoerotismo

Elementi del discernimento 16


nell’adolescenza, invita gli educatori a centrare la loro azione pedagogica più sulle cause che
sulla repressione diretta. Sarà ammesso nel seminario solo se adempie tre requisiti:
1. Se è cosciente della radice del suo problema,
2. Se si constata che sente questa debolezza come qualcosa di estraneo a lui, qualcosa
non desiderato che va contro il suo ideale e
3. Se si verifica che controlli la sua debolezza perché cade sempre meno in questi atti.
¾ Candidati con problemi di promiscuità sessuale
Se il giovane ha avuto già relazioni con implicazioni sessuali bisognerà analizzare la natura
di quella relazione ed il suo significato psicodinamico. Non è la stessa cosa che il postulante
ha mantenuto relazioni in un contesto stabile, con una sola persona, o che le ha avute più o
meno in un contesto instabile in forma occasionale e con più di una persona. Conoscere bene
le circostanze del candidato è importante per aiutarlo a capire i motivi della sua esperienza.
Solo agendo sulle cause il candidato potrà superare le possibili inconsistenze ed immaturità
affettive che hanno portato a ciò. Unicamente allora potrà decidersi ad orientare la sua
identità e la sua vita affettivo sessuale in un’altra direzione radicalmente distinta.
Dice Rodríguez Melgarejo che quelli che abbiano «antecedenti di vita erotizzata nei quali il
sesso ha occupato un importante ruolo attivo», devono essere esclusi o almeno posticipati per
il tempo necessario per verificare l’esistenza di segni nitidamente positivi di conversione
radicale e stabile. Nella stessa linea va Cencini che esige, come nel caso anteriore che si
verifichi prima di ammetterlo che il candidato sia cosciente della radice del suo problema che
lo senta come qualcosa di problematico ed estraneo al suo essere, e che sia capace di
superare questa attrazione.
¾ Candidati di tendenza omosessuale
La prima cosa che bisognerebbe dire, facendo un avvicinamento magisteriale al concetto di
omosessualità, è che la Chiesa non considera l’esistenza di un tipo di omosessualità istintiva o
innata, indipendente della volontà della persona7. Dobbiamo tener conto ciò che è stato
ordinato dall’ultima Istruzione della Congregazione per l’Educazione Cattolica, del 4/1105,
dove nel n. 2 s’afferma che «non si deve ammettere al seminario e agli Ordini sacri coloro che
praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate e
sostengono la cosiddetta cultura gay»8, cioè, rimane il divieto d’ingresso nel seminario a
coloro che hanno una condotta sessuale promiscua, sono ossessionati dall’omosessualità
oppure sostengono una cultura rivendicativa riguardo al problema.

7 Benché la prima redazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, dell’anno 1992, affermasse nel suo numero
2358, che esistevano tendenze omosessuali «istintive» ed alieno alla volontà della persona, presto si rettificò
questa posizione con la nuova redazione del Catechismo nell’anno 1997, in cui si sopprime la parola istintiva e
la frase «non scelgono la loro condizione di omosessuale». Inoltre, la lettera della CDF Homosexualitatis problema
(1986), nel suo numero 3 affermava che la particolare inclinazione della persona omosessuale, benché in sé
non sia peccato, costituisce tuttavia una tendenza, più o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente
brutto dal punto di vista morale, e che «per questo motivo l’inclinazione stessa deve essere considerata come
obiettivamente disordinata». Si segue quindi, che, secondo il magistero ecclesiale, non può concepirsi
l’omosessualità come qualcosa di innato o istintivo e la cosa massima che potrebbe affermarsi è che la «sua
origine psichica rimane in larga misura sconosciuta» (CEC 2357).
8 D’altra parte, la Sacra Congregazione per l’educazione cattolica nel suo documento del 1974 sulla formazione
per il celibato, non dubita di riconoscere che esiste un tipo di omosessualità strutturale sofferta da coloro che
non sono stati capaci di superare la prima fase di sviluppo sessuale. Queste persone sarebbero comprese entro
la nevrosi sessuale, propria di quelli che hanno una predisposizione costitutiva, aggravata dalle circostanze
della società attuale. Tuttavia, la comunità scientifica, animata principalmente da criteri politici ed ideologici, si
rifiuta tuttavia di considerare l’omosessualità come perturbazione o disordine.

Elementi del discernimento 17


Facendo un avvicinamento dottrinale vediamo l’insistenza degli autori nell’affermare che
non tutte le «tendenze omosessuali» sono uguali e che non tutte le persone che sperimentano
quella tendenza possono classificarsi dentro una stessa categoria. In questo senso, può essere
utile la distinzione tra omosessualità aperta (overt) e falsa omosessualità
(pseudohomosexuality). Nella prima il motivo principale di attrazione per le persone dello
stesso sesso è la gratificazione sessuale, rimanendo in un secondo posto i motivi affettivi e di
potere. Nella falsa omosessualità la necessità si cambia: l’obiettivo principale è soddisfare la
dipendenza affettiva ed il potere sugli altri e solo dopo il vincolo acquisisce sfumature
erotico-sessuale; inoltre, a differenza degli overt, il vincolo non è impersonale, bensì con una
persona definita. Esiste infine un’omosessualità immaginaria o temuta che è solo una paura
ad essere omosessuale sperimentato da quelli che hanno fantasie o pensieri ossessivi in tale
senso.
Visto velocemente il concetto di omosessualità, studieremo la possibilità ipotetica che le
persone con questa tendenza possano accedere al ministero. Cominceremo dicendo che, per
potere essere ammesso al seminario, è conditio sine qua non che il candidato sperimenti piena
identificazione col proprio sesso, cioè, che ci sia corrispondenza lineare tra il sesso genetico,
ormonale e genitale e l’appartenenza sessuale sul piano psicologico. Per comprovare questa
identificazione bisogna farlo su tutta la personalità dal giovane in modo che la possibile
omosessualità si diagnostichi con molta prudenza e precauzione. L’opinione maggioritaria
stabilisce alcune condizioni che il candidato con tendenza omosessuale deve compiere prima
di accedere al seminario: rispetto al candidato con vera omosessualità (overt), considera che
non può essere ammesso nel seminario, perché è incapace di vivere l’opzione per il celibato
poiché il suo comportamento è contrario al senso della sessualità umana e nasconde,
normalmente, un problema psicodinamico di una certa gravità.
Nei casi di candidati che soffrono falsa omosessualità, Cencini considera che bisognerebbe
stimare caso per caso per vedere se quella tendenza può superarsi, si può parlare di
superamento della situazione quando le tendenze omosessuali smettono di disturbare e di
invadere indebitamente sempre di più il cuore e la mente, i sensi e la fantasia del candidato
per periodi lunghi. Fucek sostiene che queste persone possono essere ammesse al seminario
purché non ci sia stata la pratica dell’omosessualità, che godano di un alto grado di maturità e
buone abitudini di vita spirituale, e che siano coscienti della loro tendenza e l’accettino e
dominino con l’aiuto di Dio. Rodríguez Melgarejo parla di escludere in modo assoluto quelli
che avendo avuto esperienze omosessuali nell’adolescenza, gioventù o età adulta.
Il candidato potrà solo essere ammesso con alcune condizioni:
1. Che la persona sia cosciente della radice del suo problema.
2. che sperimenti la sua debolezza sessuale come qualcosa con cui non se identifica,
che non manifesta il suo ideale, bensì qualcosa che l’aliena da se stesso e da quello
che vorrebbe essere, come qualcosa che non è altro che la negazione del suo vero
essere.
3. che sia libero di controllare questa debolezza, cioè che possa compiere
normalmente i suoi obblighi.
Si potrebbe dire che esiste impedimento definitivo se trovano una o varie di queste
condizioni nelle persone che si trovano nelle seguenti circostanze:
ƒ il caso di omosessualità internamente accettata con un carattere "sofferto " o con un
carattere "rivendicativo";
ƒ persone che hanno avuto diverse relazioni ambigue, o visite a locali gay;
ƒ quelli che soffrono di masturbazione compulsiva, o hanno avuto una storia recidiva
di relazioni possessive, benché non arrivino esplicitamente a manifestazioni
genitali, o che hanno avuto una storia traumatica di abuso sessuale.

Elementi del discernimento 18


In conseguenza, dobbiamo dire che quando nell’aspirante agli ordini esiste un problema di
identità sessuale che non si è risolto nella tappa di gioventù, bisogna optare per la restrizione
nell’ammissione, benché l’insieme degli indicatori per stimare la consistenza del candidato
non offra sufficiente certezza morale. Penso che in questi casi bisogna agire con carità e
chiarezza per non cadere in una falsa pietà pastorale che offre una possibilità di vita che non
sarà buona né per l’individuo né per la comunità ecclesiale. Pertanto, in questi casi
l’esaminatore vocazionale in caso di dubbio deve inclinarsi al rifiuto.

y d) Attitudini intellettuali
Prima di ammettere un candidato al seminario bisognerebbe vedere se ha le doti
intellettuali sufficienti per potere assumere in futuro il ministero sacro (c. 241 §1). Bisognerà
cominciare comprovando se possiede:
a) Un minimo di capacità intellettuale necessario per potere approfittare della formazione
dottrinale che offre il seminario. Nei casi dubbi può rimettersi allo psicologo affinché per
mezzo del test corrispondente segnali il coefficiente intellettuale della persona in questione.
b) Una certa capacità per lo studio. Non basta essere intelligente, è necessario anche essere
capace di concentrarsi per fare rendere i talenti ricevuti.
c) Un certo livello culturale e dottrinale. Il primo si suppone, tenendo in conto che
devono avere quella formazione umanistica e scientifica che permette ai giovani nella sua
nazione di avere accesso agli studi superiori (c. 234 §2; OT 13). Quanto alla questione
dottrinale, si richiede una conoscenza abbastanza ampia della dottrina della fede (PDV 62b),
incidendo specialmente sulla sua concezione del sacerdozio e le possibili deviazioni dottrinali
che portare con sé (RFIS 39b).
d) infine, bisognerà comprovare la rettitudine e sensatezza di giudizio del candidato (RFIS
39b).
La responsabilità principale nell’accertamento di questo aspetto sarà del rettore che dovrà
raccogliere il certificato di studi opportuni, c. 1050,1, e comprovare nell’incontro previo, le
conoscenze dei contenuti di fede del candidato.

y e) Attitudini spirituali
La maturità cristiana è un processo di graduale crescita nella fede e suppone un
avanzamento graduale nel processo di configurazione con Cristo che si manifesta in una serie
di qualità che bisogna discernere. In questo primo momento, le doti spirituali esigite dal c.
241 §l potrebbero sintetizzarsi in: amore verso Dio e verso il prossimo, desiderio di fraternità e di
abnegazione, docilità, castità provata, senso di fede e di Chiesa e sollecitudine apostolica e missionaria (RFIS
39b).
Attualmente bisognerebbe prestare attenzione molto speciale ai neofiti (1042. 3); si tratta
di quelli che passarono alla fede in età adulta (quattordici anni al tenore del 1478 §3) e hanno
ricevuto il battesimo in forma assoluta. Questi adulti, prima di essere ordinati, devono
maturare il loro ingresso nella Chiesa per un certo tempo. Nella stessa linea, sembra
opportuno che si adotti un atteggiamento prudente con quei battezzati che dopo un lungo
periodo di lontananza della vita della Chiesa, ritornano e chiedono di entrare nel seminario.

1.3 responsabili del primo discernimento


a) Il VESCOVO. Veglierà affinché si verifichino i requisiti necessari affinché entrino solo nel
seminario i candidati con un minimo di attitudine. Perciò: a) segnalerà i criteri ed i mezzi di
selezione da seguire nel primo processo di discernimento. A questo scopo ci sarà un
regolamento interno per applicare la normativa generale alle circostanze della sua diocesi (c.
243); b) metterà a disposizione dei formatori i mezzi materiali ed umani adatti a realizzare

Elementi del discernimento 19


questo processo (installazioni adeguate formatori, psicologo ecc.); c) vigilerà personalmente
affinché la selezione si realizzi correttamente; d) avrà l’ultima parola per ammettere o
respingere il candidato (c. 241 §1).
b) Il RETTORE assume in questo momento un ruolo fondamentale perché è la persona
incaricata di incontrare personalmente ognuno dei candidati, tutte le volte necessarie. Inoltre
chiederà informazioni su ognuno di essi nella sua comunità di riferimento e riunirà i
documenti prescritti dal diritto.
L’importante che, fin dal primo momento, il rettore spieghi con chiarezza al candidato
quale è il proposito del processo di selezione ed i mezzi che si impiegheranno, assicurandogli
la confidenza ed il massimo rispetto per la persona.
c) MEDICI E PSICOLOGI. L’obiettivo di questo esame è approfondire la salute fisica e
l’equilibrio psichico del candidato, senza omettere una investigazione in forma di anamnesi
per comprovare anche l’idoneità dell’individuo su questa importante linea dei fattori ereditati.
Il medico si occuperà di esaminare l’elemento ereditario. Da parte sua, il perito in psicologia
realizzerà un analisi psicologico del candidato applicando principalmente tre tipi di test:
quello di intelligenza che misura il quoziente intellettuale,
quello attitudinale che misura le disposizioni della persona per svolgere qualche
attività specifica, e
quello della personalità o del carattere.
d) Il lavoro del DIRETTORE SPIRITUALE in questo primo momento del discernimento, si
incentra specialmente sul mettere le fondamenta spirituali necessarie affinché il candidato
possa discernere fin dall’inizio l’autenticità della sua vocazione. Varie sono le figure che nel
Codice troviamo come agenti della formazione spirituale: lo spiritus director o gli spiritus directores
e gli alii sacerdotes ad hoc munus ab episcopo deputati, di cui al c. 239, §2; i confessarii ordinarii e gli alii
confessarii, di cui al c. 240, Si; il moderator vitae spiritualis, di cui al c. 246, §4 9.
e) CANDIDATO. Deve collaborare coi responsabili della Chiesa apportando la
documentazione che gli è chiesta, accettando volentieri il periodo introduttivo, rispondendo
con sincerità alle questioni che gli siano esposte nelle distinte interviste e, nel caso che gli sia
chiesto e purché gli siano offerti le garanzie opportune, accedendo all’esame psicologico.

2. Discernimento fatto durante il processo formativo. Scrutini in tempi determinati

Una volta che il candidato è ammesso nel seminario comincia una nuova tappa, un
periodo in cui è preparato affinché sviluppi le qualità necessarie per, a suo tempo, potere
prendere una decisione vocazionale il più liberamente possibile e sviluppare il suo ministero
in modo fruttifero. In questo periodo l’aspetto formativo acquisisce una rilevanza

9 El spiritus director (c. 239 §2) es figura institucional, oficial, designada por el obispo con una función en el foro
externo comunitario y con posibilidad de acceder también al foro de la conciencia de cada candidato. En todo
seminario es necesario «al menos» un director espiritual oficial (c. 239 §2). Los sacerdotes deputati (c. 239 §2) son
personas elegidas y designadas por el obispo para la dirección espiritual individualizada, queriendo evitar que la
figura única del director espiritual oficial coarte libertad de manifestación de conciencia que la Iglesia reconoce
a los fieles. Dependiendo de los estatutos del seminario podrán o no tener la calificación de directores
espirituales. Su actuación se limita al ámbito de la conciencia, y su elección por parte del alumno debe ser
notificada al rector. El moderator vitae spiritualis (c. 246 §4) es persona escogida libremente por el candidato de
entre sacerdotes no propuestos por el obispo, como ayuda a su formación espiritual. Su función se limita al
plano personal, en el que tiene las mismas funciones que el director espiritual. Su elección por parte del
alumno no sólo debe ser notificada al rector, sino que además debe ser permitida y aprobada por éste, de
modo que podría oponerse a esa elección si considera que el moderador escogido es una persona no idónea
para tan alta responsabilidad.

Elementi del discernimento 20


fondamentale, il che non significa che si trascuri la responsabilità di discernere che hanno i
formatori.

2.1 Oggetto del discernimento


La Chiesa non vuole prescindere da questa istituzione che è considerata un’autentica
necessità, OT 4). In ciò insiste tanto il c. 237 come il numero 64 di PDV che vedono il
seminario maggiore come il posto ottimo per la formazione in quanto è uno spazio che
facilita al candidato portare una vita di preghiera e di riflessione necessaria per potere
prendere a suo tempo una decisione definitiva, libera e cosciente. L’accento non si porta
oramai sul luogo fisico, bensì sul seminario come atmosfera adatta affinché si sviluppi il
processo educativo.
Nel seminario la formazione ed il discernimento personale vanno insieme: l’alunno potrà
decidere con libertà solo se è alimentato da una vita spirituale intensa, preghiera personale e
liturgica (cc. 244, 245, 247), con una formazione dottrinale che orienti la sua vita di fede e con
esperienze pastorali che gli permettano di continuare a sviluppare le sue capacità per il
ministero. Tutto ciò con un presupposto fondamentale: la formazione umana, perché non
serve niente offrire al candidato nutrimenti dottrinali, pastorali o spirituali, se questo non ha
la capacità di assimilarli. Studieremo di seguito le quattro aree formative, cominciando da
quella umana e seguendo con quella spirituale, intellettuale e pastorale.
¾ Area umana: formazione per superare inconsistenze
Da Pio XII e, soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II, la formazione umana si è
trasformata in fondamenta formativi del seminario, in modo che oggi tutti riconoscono che,
senza questa base tutta la formazione sacerdotale sarebbe privata del suo fondamento
necessario, PDV 43a. Anni addietro, si pensava che la formazione nel seminario doveva
consistere in dare buoni contenuti dottrinali ed offrire una disciplina ed un ordine esterno
affinché il candidato potesse acquisire buone abitudini. Si pensava che per sviluppare la
maturità umana bastava sulla conoscenza e la volontà dalla persona ignorando l’influenza che
ha il mondo emozionale nell’agire umano e quello inconscio. Negli ultimi quindici o venti ani,
si sono realizzati studi sulla vocazione religiosa che mettono in questo modo in evidenza i
punti da sviluppare la formazione: Rulla comprova che, in USA, nell’anno 1977, una
percentuale alta dei candidati, dal 60 al 80 percento, presenta qualche tipo di inconsistenza e
che solo un due percento dei futuri sacerdoti considerati immaturi al momento dell’entrata
migliorano durante la sua tappa di formazione. [soprattutto col suo metodo N.d.T]
Davanti a queste cifre alcuni considerano che il problema stia nella struttura formativa del
seminario, tuttavia, l’esperienza mostra che benché questa cambi, le inconsistenze dei
candidati rimangono. Rulla insiste che questi numeri non miglioreranno agendo unicamente
dall’esterno dalla persona (insistendo unicamente nella qualità dei contenuti dottrinali, nelle
esperienze pastorali) o nella disciplina esterna. La soluzione sta nell’agire all’interno dal
candidato aiutandolo a superare gli ostacoli che ostacolano il suo processo di maturazione, ed
a superare le "inconsistenze psicologiche" che gli ostacolano l’autotrascendersi, vivendo i
valori vocazionali.
La formazione umana del seminario deve favorire il superamento di inconsistenze.
L’uomo trova ostacoli nel suo processo verso la maturità provenienti non solo da malattie
psicologiche (patologie) o del cattivo uso della sua libertà (peccato), bensì delle che derivano
della dimensione inconscia della vita psichica, (seconda dimensione dello schema di Rulla)10.
Oggi non può mettersi in dubbio che le motivazioni inconsce svolgono un ruolo importante

10 Cf. L. M. Rulla-F. Imoda- J. Ridick, Antropologia della vocación, II, 115 nt. 23.

Elementi del discernimento 21


nella vita degli uomini, anche in quella dei seminaristi. Molti di essi vivono la loro vocazione
condizionati da motivazioni incoscienti in disaccordo con gli obiettivi, valori ed atteggiamenti
per i quali optarono liberamente. Non si tratta di persone malate o strane, ma giovani normali
che, volendo realizzare i valori eletti, si sentono animati nel loro agire concreto da forze
contrarie ai valori dominanati.
In questi casi, si parla di inconsistenze che si muovono a livello incosciente ed ostacolano
la realizzazione piena degli ideali vocazionali. L’origine di queste inconsistenze sta nelle
necessità affettive inconsce che agiscono dalla parte più profonda della persona. Il candidato
può affermare che, con il suo agire, cerca di vivere i valori vocazionali, ma in realtà cerca di
soddisfare le sue necessità incoscienti. Non potendo riconoscere la motivazione ultima del
suo agire, quello che fa è soggettivizzare i valori vocazionali adattandoli alla propria mentalità.
Non è privato di valori, ma li interpreta facilmente di modo arbitrario ed irreale. Col tempo,
questa situazione arriva a colpire il suo comportamento: vive in un stato di frustrazione,
tensione e minaccia che lo porta ad agire modo difensivo: in usa tutta la sua energia per
alleviare questa tensione invece di usarla per vivere i valori vocazionali, e si sente
insoddisfatto. Cerca di risolvere il conflitto usando la via della sacra uniformità
(conservatorismo) o per quella del sacro personalismo (progressismo). Cioè, le persone
normalmente reagiscono a queste frustrazioni ricorrendo ad alcuni dei due modelli di
comportamento: l’uniformità o la ribellione. E se uno si ribella all’uniformitá progressiste?
Gli strumenti formativi che potrebbero essere validi per aiutare il candidato a superare le
sue inconsistenze non sono unicamente il cambiamento delle strutture del seminario, né il
miglioramento dell’offerta di contenuti dottrinali chiari, né la promozione di nuove
esperienze pastorali che da sole non cambiano persona. Al di sopra delle strutture, delle
dottrine e delle esperienze si richiede la scelta di una una formazione personalizzata che
consideri ogni candidato nelle sue circostanze e con le sue peculiarità proprie.
Alcuni anni fa si metteva l’accento nella struttura disciplinare del seminario, quando un giovane
entrava era introdotto in un contesto di vita regolato fino ai minimi dettagli, e quella stretta disciplina
aveva come fine modellare la personalità sacerdotale. I formatori erano presenti come garanti della buona
marcia del sistema, tanto è vero che che in grandi seminari un vice-rettore era sufficiente per accompagnare
decine ed a volte centinaia di alunni. La riflessione della Chiesa dopo il concilio ha invitato a mettere
l’accento sull’unione tra dialogo educativo ed autoformazione; non si dimentica la struttura disciplinare, ma
questo viene in un ambito più ampio e profondo11.
Nei nostri giorni, non basta che i formatori agiscano dall’esterno, ma devono muoversi
all’interno della persona, al livello delle sue motivazioni profonde, dall’essere e non dal fare
dal candidato.
Perciò è importante che durante tutto il processo formativo offrano al seminarista gli
strumenti necessari per continuare a crescere in maturità. In questo senso dovranno, in primo
luogo, avere peuridici incontri e progressivi col direttore spirituale, col rettore, e in caso,
anche con lo psicologo. In secondo luogo, si favorirà un ambiente di libertà e responsabilità,
dove si fomenti la vita fraterna, la sincerità ed il rispetto agli altri, e dove si stimi la vita sobria
ed austera, il silenzio, lo sforzo, l’autodisciplina, la rinuncia e la penitenza. In questo modo,
combinando l’azione sulla persona con un clima formativo adeguato, si andrà ottenendo che
il candidato continui a chiarire i valori finali della sua vocazione lavorando sulle sue
inconsistenze in modo che queste non distorcano i valori evangelici liberamente scelti.

11 J. SARAIVA MARTINS, «El papel del rector», 889.

Elementi del discernimento 22


¾ Area spirituale: formazione per la vita sacerdotale
La maturità umana suppone una predisposizione necessaria per potere vivere la vita
spirituale, poiché non può dimenticarsi che il fine vocazionale è la configurazione a Cristo
Pastore. In questo senso Rulla nota il pericolo di centrare unicamente la formazione in valori
naturali, seguendo modelli che favoriscono unicamente l’autorelaizzazione ed ostacolano
l’obiettivo che è raggiungere la trascendenza teocentrica.
Quando si permette che il candidato rimanga nella mera realizzazione personale o nella
filantropia (valori naturali), si sposta il pericolo che sviluppi un ministero orientato alla ricerca
non di valori, ma di ruoli che gli permettano di fare quelle cose.
La vita del seminario deve essere organizzata in tale maniera che sia già un’iniziazione alla
futura vita che deve vivere il sacerdote (OT 11c). È conveniente che gli alunni incomincino a
vivere con radicalità i consigli evangelici affinché, partecipando alla missione apostolica di
Cristo, possano a suo tempo vivere la carità pastorale (PDV 27) 49d.
Devono prepararsi per osservare il celibato, considerandolo non come una rinuncia basata
sulla continenza, bensì come un Dono peculiare di Dio che permette loro una configurazione
più intima a Cristo e di consacrarsi a Dio con un cuore indiviso (PO 16, PDV 29 e c. 277 §1).
Perciò il candidato oltre ad aiutarsi con le scienze umane, dovrà praticare un’intensa vita
spirituale che gli permetta di prendere coscienza che dedicarsi a Cristo nel ministero suppone
assumere quella vita celibe che egli stesso scelse. I formatori devono procurare che il
candidato conosca, stimi, ami e viva il celibato (PDV 50a). A questo rispetto hanno vari
obblighi: informare senza ambiguità dell’obbligo del celibato ecclesiale, presentandolo come
un dono senza occultare "i pericoli che minacciano la castità", OT 10b, dare una buona
educazione sessuale ed essere attento all’aiuto che possano prestare ad ogni candidato
affinché riesca a raggiungere la maturità affettiva necessaria per "accogliere" liberamente ed
amorevolmente l’opzione celibataria.
Rispetto all’obbedienza, il seminarista deve imparare a captare il senso profondo della sua
appartenenza alla Chiesa che si manifesta nel vincolo umile di amore e carità col Romano
Pontefice, nella cooperazione fedele col proprio vescovo, nell’unione fraterna col presbiterio
diocesano e nella capacità di collaborazione coi fedeli (c. 245 §2; RFIS 49d; PDV 28). Si
educherà non ad un’obbedienza passiva, dove il soggetto non interviene, bensì ad una vera e
matura obbedienza (RFIS 49c), in modo che il candidato la consideri una virtù che libera e
non un’imposizione che annulla la sua volontà. I formatori devono esporre con chiarezza ciò
in cui consiste l’obbedienza, lasciando chiaro che, in ultima istanzia, è una questione che
riguarda la fede della persona nelle mediazioni ecclesiali. Perciò, il candidato deve cominciare
ad obbedire accettando l’autorità dei suoi superiori "per convinzione interna e per coscienza
(Rm 13) 5, e per motivi soprannaturali", OT 11 b) in modo che continui a vivere la necessaria
ascesi che si richiede per non lasciarsi legare troppo dalle proprie preferenze e punti di vista
(PDV 28e).
Infine, osserverà anche la povertà, benché nell’ordinazione sacerdotale non si faccia una
promessa specifica di povertà. Si tratta di un consiglio evangelico necessario che i chierici
devono vivere per compiere il ministero apostolico (OT 9; PDV 30; RFIS 50; e c. 282).
Anche il seminarista deve imparare a praticarla conducendo una vita semplice e sobria, ed
abituandosi a prescindere con libertà da spirito delle cose superflue. I formatori devono
presentare questo consiglio come un dono che permette una maggiore configurazione con
Cristo ed una libertà piena per consegnare la vita alla costruzione del Regno. Il seminario
deve essere un ambito dove si vive una vita austera, senza lussi, dove si stimano i beni nel
loro giusto senso, dove il candidato impara a regolarsi con trasparenza sui suoi propri beni,
aperto al mondo dei poveri portando a termine esperienze di visita ai malati, attenzione ad
emigranti, ecc. (PDV 58e).

Elementi del discernimento 23


La Chiesa offre alcuni mezzi indispensabili per potere vivere questa vita di radicalità
pastorale per mezzo della preghiera, la Parola, i sacramenti, l’ufficio divino, il culto a Maria e
la direzione spirituale. È importante che durante il periodo di seminario il candidato
incominci a vivere un rapporto familiare e costante col Padre, per mezzo del Figlio nello
Spirito Santo (OT 8a). Perciò deve imparare ad amare sinceramente la Parola di Dio, perché
"alla luce e con la forza della Parola di Dio è può scoprire, capire, amare e seguire la propria
vocazione" (PDV 47a), deve sforzarsi per continuare ad entrare nell’azione liturgica della
Chiesa che ha come culmine l’eucaristia, c. 246, formarsi nella preghiera dell’ufficio divino, c.
246 §2, PDV 48, e nel culto alla Vergine, c. 246 §3, e frequentare il sacramento della
confessione e la direzione spirituale, c. 246 §4).
¾ Area intellettuale: formazione in contenuti di fede
Il candidato potrà fare un discernimento personale cosciente solo se conosce la dottrina
della Chiesa sulla natura ed effetti del sa cramento dell’ordine e gli obblighi principali che
comporta l’ordinazione nel contesto della cultura attuale, (cc. 247 §2 e 1028)385. Per
approfondire la conoscenza di Cristo, della Chiesa, del sacerdozio e delle inquietudini
dell’uomo contemporaneo, il candidato dovrà frequentare per un sessenio un programma
sistematico e completo di filosofia e teologia, cc. 250; 1032 §1)386. La filosofia l’aiuterà a
conoscere le inquietudini perenni dell’uomo, a sviluppare l’acutezza dai suoi pensieri ed ad
assumere i contenuti della fede nella forma razionale. La formazione teologica gli permetterà
di conoscere integramente la dottrina cattolica per alimentare la vita spirituale e predicare
efficacemente tu il vangelo. A partire da questi anni di formazione, l’alunno potrà discernere
se possiede la preparazione dottrinale necessaria per essere un evangelizatore del nostro
tempo. Oggi non basta provvedersi di conoscenze mediocri, si esige un eccellente livello di
formazione "intellettuale" (PDV 51b) per potere difendere la fede e dare ragione della
speranza in un mondo segnato dall’indifferenza religiosa, dal pluralismo, dalla sfiducia nella
capacità della ragione per raggiungere la verità obiettiva e dai nuovi punti interrogativi
suscitati dalle scoperte fisiche e tecnologiche (PDV 7).
¾ Area pastorale: formazione per la prassi ministeriale
Tutta la formazione degli alunni ha finalità pastorale e perciò è bene introdurre lo studente
nel campo dell’apostolato di forma graduale, in funzione dell’età e della formazione riuscita
del seminarista, in modo che continui a prendere iniziative ed assumere responsabilità, c. 258;
PFSM 208. La finalità diretta non è fare apostolato, cosa che non si esclude, bensì la
formazione dell’alunno, affinché conosca il tipo di vita che l’aspetta e possa percepire le sue
attitudini per assumerla. Ciò permette al giovane di provarsi e valutarsi da sé stesso in distinte
occupazioni e situazioni sociali che l’obbligano a prendere iniziative e decisioni personali.
Solo esponendosi al fallimento, alla frustrazione, alla solitudine il candidato potrà conoscere
ed accettare suo io reale nella realtà profonda della sua personalità. Le pratiche pastorali
devono essere sempre dirette e controllate da sacerdoti responsabili che guidino, stimolino,
consiglino e correggano quando sia necessario.

2.2 Momenti del discernimento in ogni "momento speciale"

y a) Momento previo al rito di ammissione agli ordini


Il candidato dovrà presentare una richiesta di ammissione scritta e firmata del suo pugno e
lettera, come garanzia della cosciente e volontaria petizione dell’ordine sacro. A differenza dei
ministeri laicali, in questo caso, anche l’autorità dovrà accettare per iscritto la petizione (1034
§1).

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y b) Passo del ciclo filosofico al teologico
Quando il candidato comincia gli studi di teologia è da supporre già realizzato un’opzione
definitiva. Si dovranno comprovare l’evoluzione delle motivazioni ed attitudini che ogni
alunno ha sperimentato in questi anni.
Si raccomanda che per i casi di incertezze si proponga un’interruzione degli studi; questa
parentesi formativa si faccia nei primi anni perché ritardare troppo l’interruzione può portare
ad un’indecisione cronica. L’interruzione di studi può applicarsi per casi particolari o in modo
generalizzato se così il vescovo lo stabilisce. In qualsiasi caso, bisogna ricordare che durante il
periodo di interruzione l’alunno continua ad essere membro della comunità seminaristica, e
su questa ricade la responsabilità di aiutarlo nella nuova situazione. I formatori dovranno
programmare fin dall’inizio il tempo che durerà questa esperienza ed il modo di realizzarla.

y c) Momento previo alla recezione del lettorato ed accolitato


Il ricevimento dei ministeri di lettore ed accolito non modificano la condizione canonica
di colui che li riceve (c. 230 §1) ma esprimono e confermano i seminaristi nella loro volontà
di offrirsi a Dio nel servizio alla comunità. Il momento previsto per la celebrazione di questi
riti dipende di ogni delibera episcopale, ma normalmente essi si fanno nei primi corsi di
teologia tenendo in conto tra uno ed un altro ministero bisogna avere un spazio di almeno sei
mesi (1035 §2). Ambedue sono momenti forti del discernimento «vocazionale» (PSFM 227) e
richiedono che i candidati abbiano dato dimostrazioni di maturità ed idoneità per potere
riceverli (PFSM 231).
Per verificare le attitudini di quelli quali ricevono il lettorato o l’accolitato (c. 1035 §1)
occorre che il candidato presenti la sua richiesta per scritto domandando essere ammesso al
rito corrispondente e che siano elaborate una serie di relazioni.

3. Discernimento definitivo. Oggetto del discernimento

1. Qualità fisiche e psichiche. Nel momento ultimo del discernimento, si sono scartati
normalmente già i casi più gravi di malattie fisiche e mentali. Se il rettore mantiene
qualche dubbio sullo stato psichico di uno dei candidati, dovrà ricorrere al perito prima di
redigere la sua relazione, affinché, una volta vagliato l’alunno in profondità, possa
accertarsi che sarà capace di compiere gli obblighi sacerdotali (c. 1051. 1). Se si pensa che
il candidato può soffrire amenza o un’altra malattia psichica che lo rende irregolare a
ricevere gli ordini (c. 1041. 1), il vescovo farà un decreto col quale il candidato rimane
obbligato a sottoporsi alla visita dello psicologo o psichiatra.
2. Attitudini intellettuali. Il vescovo dovrà comprovare che il candidato possiede la scienza
dovuta congruente con l’ordine che va a ricevere (c. 1029). I segni concreti che
manifestano l’attitudine dottrinale del candidato oltre i risultati accademici sono:
l’interesse per gli studi ecclesiastici, amore alle Sacre Scritture, interesse per letture
formative, preoccupazione per la conoscenza di documenti del magistero e capacità per
esercitare il ministero della parola.
3. Attitudini umane. In questo momento non basta che le attitudini stiano in germe, ma deve
comprovarsi che sono arrivati ad un alto grado di maturità manifestato nello sviluppo
nella sua capacità di giudicare in forma realistica persone ed avvenimenti, nella sua
capacità di assumere responsabilità e nel suo equilibrio emozionale. I segni concreti che
mostrano la maturità umana sono: la sincerità, l’amore alla verità, la fedeltà alla parola
data, la capacità di dialogo e comunicazione, la capacità di accettazione di persone e modi
di pensare distinti, la capacità di collaborazione con altri e la capacità di assumere il
silenzio e la solitudine (PFSM 54).

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4. Attitudini morali. Il c. 1029 parla di tre requisiti: virtù provate, abitudini irreprensibile e
buona fama. I tre sono molto relazionati dunque le virtù sono disposizioni esistenti a
livello interno dell’individuo che si manifestano a livello esterno nelle abitudini che la
persona continua ad acquisire. A loro volta, le abitudini incensurabili normalmente
producono negli altri un’opinione positiva che genera la buona fama dell’individuo. Deve
fare speciale attenzione a comprovare che il candidato è preparato per osservare la castità
nel celibato (c. 277). Perciò non devono essere ordinati quelli che non abbiano
dimostrato capacità di vivere la virtù della continenza, né quelli che, avendo portato una
vita pro miscua anteriore, non offrano sufficienti garanzie sulla sua capacità di vivere
questo dono.
5. Attitudini spirituali. Per ricevere gli ordini bisogna possedere una grazia che renda
l’individuo adatto a entrare rispettabilmente tra i ministri a Cristo. Non basta che il
candidato sia una persona matura psicologicamente e di buone abitudini, ma si richiede
inoltre una maturità cristiana e sacerdotale che lo configuri con Cristo Buon Pastore.
Bisognerà vedere concretamente i seguenti segni: spirito di fede, amore a Gesù Cristo e la
Chiesa, spirito di preghiera e fedeltà, celebrazione della liturgia delle ore, preghiera del
santo Rosario, accoglienza regolare del sacramento della penitenza, zelo apostolico,
amore alla liturgia e spirito di abnegazione e mortificazione.
6. Rispetto ai consigli evangelici bisognerà comprovare che il candidato li vive come doni di
Dio. La castità provata è uno dei criteri, ma determinante nel momento di fare il
discernimento, perché esprime in forma eloquente la capacità di amare al di sopra dei
propri interessi che ha il candidato ed esprime anche l’attitudine al sacrificio e negazione
del giovane e la sua capacità di vivere una vita sovraumana. L’obbedienza si verifica nella
disponibilità a compiere la cosa disposta dai superiori, in spirito di fede davanti alla
gerarchia della Chiesa e nell’osservanza delle leggi della Chiesa, c. 273). Infine la povertà
si verifica vedendo l’atteggiamento del giovane davanti ai beni materiali: deve vivere con
distacco e modestia nell’uso dei beni propri (c. 282 §1) accompagnato da sensibilità
rispetto ai poveri e coloro che soffrono. Bisognerebbe anche segnalare nelle relazioni la
presenza di controindicazioni come la ricerca di comodità, o di vantaggi materiali per la
sua famiglia.

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