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ALLA FINE DEL MONDO.

FILOSOFIA E FUKUSHIMA
di Giovanbattista Tusa

[…] non c’è avvenire per il disastro,


come non c’è tempo o spazio in cui si compia
Maurice Blanchot

In Das Ende aller Dinge´ODÀQHGLWXWWHOHFRVHµ.DQW


VL SRQH LO SUREOHPD GHOOD ´ÀQHµ GHO PRPHQWR LQ FXL RJQL
«mutamento cesserà»:

È una prospettiva che ripugna all’immaginazione. In quel


PRPHQWRLQIDWWLODQDWXUDVWHVVDVLDUUHVWHUHEEHFRPHSLHWULÀ-
cata: l’ultimo pensiero, l’ultimo sentimento, rimarrebbero allo-
ra sospesi, sempre invariabilmente uguali, nel soggetto pensan-
te. Per un essere che può acquisire coscienza della sua esistenza
e della sua grandezza (come durata) solo nel tempo, una simile
vita, apparirà solo come un annientamento.1

,OJLRUQRGHOOD©ÀQHªSRQHLOSUREOHPDGHOWHPSRGHOOLPL-
te (Grenze), e il problema della destinazione, del compiersi
della totalità. L’ultimo dei giorni, Kant lo chiama singolar-
PHQWHDQFKH´LOJLRUQRSLJLRYDQHµ jüngste Tag), perché è
JLRYDQH FRPH O·XOWLPR QDWR GHL ÀJOL O·XOWLPR DSSDUWHQHQWH
ancora al tempo: l’istante in cui il Tutto si riassume. Allo
stesso tempo un tale giorno è l’ultimo della catena dei giorni,
l’ultimo della serie, ma anche quello al di fuori della sequen-

1 I. Kant, /DÀQHGLWXWWHOHFRVH, a cura di Andrea Tagliapietra, tr. it. E.


Tetamo, Bollati Boringhieri, Torino 2006, p. 30.

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