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Paolo Merlo – note a Gen 15

Note a Gen 15
I limiti del capitolo sono chiari: v. 1 apre con la formula «dopo questi fatti», vv. 19-21 chiudono
con la lista dei popoli della terra.
Wellhausen notò due racconti: vv. 1-6; 7-21 indipendenti; affermò che qui la teoria delle fonti era
inapplicabile. Moltissimi hanno seguito Wellhausen sul primo punto, pochi sul secondo. Si
attribuivano quindi vv. 1-6 a E e 7-21 a J; ma ora tutta questa teoria delle fonti è abbandonata.
Alcuni vedono i vv. 13-16 (e anche 18-21) come un’aggiunta (così von Rad).
Negli ultimi due decenni molti hanno continuato a vedere il capitolo composto da vari strati
redazionali [H. Mölle, Genesis 15. Eine Erzählung von den Anfängen Israels, FzB 62, 1988 (vor-dtn. Grundschicht,
vorexilische und exilische Erweiterungen); P. Weimar, Genesis 15, in M. Görg (Hg.), Die Väter Israels 1989, (elohistische
Grundlage und vier teilweise redaktionelle Fortschreibungen); L. Ruppert, Genesis. Ein kritischer und theologischer
Kommentar. 2. Teilband: Gen 11,27 – 25,18, FzB 98, 2002 (elohistische Grundschicht mit sechs teilweise redaktionellen
Fortschreibungen); Levin 2004 (Grund post-P con aggiunte: Gen 15,1.3a.5 Grund con motivo discendenza, vv. 2.4
aggiunte motivo erede)] a motivo di una certa mancanza di unità narrativa e della presenza di
ripetizioni (due volte risponde Abramo in vv. 2 e 3; due accenni al tramonto vv. 12 e 17), o
incongruenze (v. 5 è notte, v. 12 tramonta il sole).
Controversa è stata la datazione del capitolo. In precedenza si è sostenuto vv. 1-6 tardivi e 7-21
antichi (Albright, von Rad, ecc.), ma Van Seters 1975 pensò che Gn 15 fosse rivolto agli esiliati e
che la menzione di “Ur dei Caldei” svelasse il vero Sitz im Leben; inoltre nota che il v. 1
richiamerebbe Is 40,9-10 con la formula profetica del “non temere”. Altri elementi a favore di una
datazione post-esilica evidenziati in varie opere sono: lʼespressione Adonay Yhwh frequentissima
in Ezechiele; il termine maḥazeh (*ḥzh) “visione” ricorre 4× nell’AT (qui, Nm 24,4.6; Ez 13,7); la
presenza di linguaggio dtr. (Skinner; Anbar); Blum data nel primo post-esilio. Köckert 2013
considera tutto il testo [nel quale si possono rilevare un insieme di motivi classici] come post-P,
essendone solo i vv. 11.13-17a e 19-21 aggiunte ancora più tardive. Secondo Köckert 2013
l’atteggiamento di pronta fede di Abramo in Gen 15,6 contrasta le usuali reazioni di fronte
all’annuncio della nascita di un erede da donna sterile (cfr. 17,17) e ne vuole essere la correzione
per rendere Abramo modello programmatico di fedele.
I vv. 7-21 non sono più intesi come lo svolgimento di un rito dell’alleanza, quanto piuttosto il
giuramento di un impegno (Weinfeld).
Alcuni autori sostengono l’unitarietà del capitolo [van Seters, Abraham 1975; Rendtorff 1980; Blum,
Komposition, 376–382; Köckert, Vätergott, 223–227]. B. Jacob «in questo capitolo la storia non procede… non
apporta qualcosa di veramente nuovo. Ripropone la già conosciuta promessa ad Abramo… la
novità è solo che viene posta in modo assoluto, indipendente dal tempo, dal luogo e dalle
condizioni».
L’unitarietà del passo deriva da alcune parole chiave del capitolo: «(tua) discendenza» (*zr‘ vv.
3.5.13.18) e «possesso/eredità» (*yrš vv. 4.7.8) della terra.

La struttura dei vv. 1-6 richiama la struttura dei racconti di invio in missione profetica: chiamata,
obiezione del chiamato (vv. 2-3; cfr. Es 3,11; Ger 1,6), risposta-rassicurazione con segno,
accettazione.
v. 1 ‫« ַא ַחר ַה ְדּ ָב ִרים ָה ֵא ֶלּה‬dopo questi fatti» - è la tipica introduzione per unire – o inserire – una
narrazione o una scena e legarla a quanto precede (cfr. 22,1; 39,7; 40,1…; 2Re 21,1). Spesso
segue un wayyiqtol (cfr. Gen 48,1), qui invece abbiamo hāyāh + sogg. e solo all’inizio del v. 2 c’è
il wayyiqtol. Inoltre la formula è di solito preceduta da wayehi (Gen 22,1; 48,1). Tale formula è
quindi una vera introduzione di una narrazione, oppure è una sua imitazione? Poiché segue
un’altra formula (quella dell’evento-parola, cfr. infra), in tempi recenti alcuni autori (Ska,
Köckert) hanno dubitato che si tratti qui di una vera introduzione narrativa. Per Köckert il
capitolo è un intreccio di motivi (figlio promesso, discendenza, terra) che lo rendono una
narrazione, ancorché atipica.

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‫ל־א ְב ָרם‬ַ ‫« ָהיָ ה ְד ַבר־יְ הֹוָ ה ֶא‬la parola di Yhwh fu su Abramo» - è la formula “dell’evento parola”
profetica, non narrativa (in Gen ricorre solo qui e nel v. 4; molti commentatori la ritengono
propria di testi tardi). Essa è molto frequente in Ezechiele (40×: Ez 1,3; 26,1; 29,1…) e in
Geremia, ecc. Mai le due formule (inizio narrazione + evento parola) capitano assieme.
‫« ַבּ ַמּ ֲחזֶ ה‬in visione» è un raro termine profetico (Nm 24,4; Ez 13,7; cfr. la radice *ḥzh Is 2,1; Am 1,1)
e suggerisce l’idea che l’autore voglia creare uno scenario di tipo profetico, dove Abramo è il
recettore della parola divina. Abramo non è tradizionalmente un profeta nel pieno senso del
termine, anche se in Gen 20,7 viene così definito; forse qui Abramo diviene anche un profeta,
nel senso che l’autore vuole applicare alla figura di Abramo anche le qualità – ormai per lui
importanti – del profeta facendolo divenire il prototipo di tutti i profeti che si incontreranno
nel corso della storia d’Israele.
‫ל־תּ ָירא ַא ְב ָרם‬ ִ ‫« ַא‬non temere, Abramo» - La formula di rassicurazione «non temere» solitamente
inizia un annuncio di salvezza (Gen 21,17; 26,24; Is 7,4; 41,10.14; 43,1; Ger 30,10; ecc.). In questo
contesto però tale formula è strana, perché di solito essa non è associata alla formula
dell’evento-parola (quest’ultima introduce invece una missione-comando pubblico, non un
oracolo di salvezza privato: Ger 28,1; Ez 6,1; ecc.).
L’insieme – e l’accumulo – di formule varie all’inizio del v. 1 è sicuramente peculiare e produce
un clima particolare: i personaggi (Yhwh-Abramo) sono presenti, ma non c’è un vero e
proprio “scenario narrativo” con dati e problemi da risolvere, non è introdotta una vera e
propria trama. Ciò sarà confermato anche nel prosieguo del testo dove ricorreranno per lo più
dialoghi, ma non azioni.
‫« ָאנ ִֹכי ָמ ֵגן ָל� ְשׂ ָכ ְר� ַה ְר ֵבּה ְמאֹד‬io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà grande molto» - La prima
promessa «io sono il tuo scudo» ricorda sia gli oracoli di salvezza neoassiri (cfr. SAA IX,
1.IV:18-19 “Oh Esarhaddon, io sarò il tuo buon scudo nella città di Arbela”; forse nel contesto
attuale il termine richiama anche i conflitti descritti nel precedente capitolo Gen 14), sia il
libro dei Salmi come un epiteto riferito a Yhwh (cfr. Sal 3,4; 18,31.36; 89,19; 84,10ss; ecc.).
L’insieme del linguaggio (anche il «non temere») rimanda agli oracoli di salvezza al re (prima
della battaglia) da parte della divinità.
Similmente il termine śākār «ricompensa, salario», che è impiegato anche in Is 40,10; 62,11;
Ger 31,16 (prevalentemente in testi tardi), indica il libero dono di Dio al suo fedele. Il verbo
harbēh (inf. ass. hif. *rbh) è usato come apposizione di “ricompensa” (il Pent Sam legge ‫ארבה‬
«io farò grande», lection facilior).
v. 2 ‫אמר ַא ְב ָרם‬ ֶ ֹ ‫« וַ יּ‬Abramo disse». Abramo inizia a parlare due volte: qui e al v. 3 con la medesima
formula. Probabilmente questo v. è stato aggiunto al primitivo che iniziava il discorso solo dal
v. 3 (alcuni autori ritengono sia il contrario, il v. 3 aggiunto, ma di solito la cornice è
successiva al centro). Lo stile è come il lamento della mancanza di erede, tipico nell’AVO.
‫« ֲאד ָֹני יֱ הֹוִ ה‬Signore Yhwh» – Questa “particolare” espressione ricorre 291× nell’AT, di cui 210 in
Ezechiele.
‫הוֹל� ֲﬠ ִר ִירי‬ ֵ ‫ן־לי וְ ָאנ ִֹכי‬ ִ ‫« ַמ‬che cosa mi darai? mentre io me ne vado senza prole» – Il verbo
ִ ‫ה־תּ ֶתּ‬
«andare» può avere il senso metaforico di «morire» (cfr. Gen 25,32). L’espressione ‫ֲﬠ ִר ִירי‬
«deprivato, senza figli-discendenti» è da intendere non in senso assoluto (!). Questo strano
termine (solo 4 volte nell’AT: Gen 15,2; Lev 20,20-21; Ger 22,30) indica chi non ha eredi e
suppone un giudizio negativo da parte di Dio. Ger 22,30 lo attribuisce a Ioiachin che risiede a
Babilonia e che, anche se avrà figli, essi non hanno diritto a ereditare; il termine ‫ ֲﬠ ִר ִירי‬indicaca
così una situazione giuridica piuttosto che fisica. Al contrario avere numerosi figli è segno
della benedizione divina (Gen 1,28).
‫יﬠזֶ ר‬
ֶ ‫ן־מ ֶשׁק ֵבּ ִיתי הוּא ַדּ ֶמּ ֶשׂק ֱא ִל‬ ֶ «e il figlio dell’amministratore della mia casa [egli è di Damasco] è
ֶ ‫וּב‬
Eliezer» – Il testo ebraico pare corrotto [molte proposte di modifica del testo ebraico sono state avanzate
nel corso degli studi, cfr. commentari] e molti considerano ‫ הוּא ַדּ ֶמּ ֶשׂק‬una glossa alla precedente
espressione bn mšq. LXX ὁ δὲ υἱὸς Μασεκ τῆς οἰκογενοῦς μου, οὗτος Δαμασκὸς Ελιεζερ «ma il
figlio di Masek, il mio domestico, egli è Damasco Eliezer»; Vg filius procuratoris domus meae «il

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figlio dell’amministratore della mia casa». Il termine mešeq difficilmente si tratta di un nome
proprio; la maggioranza (F. Vattioni) – anche sulla base della resa in greco di Aquila – lo
considera sostantivo da *šqh «bere», cioè «coppiere; colui che versa da bere» intendendovi un
titolo amministrativo (alcuni pensano alla figura nominata in Gen 24,2), oppure colui che
versa libagioni sulla tomba degli avi.
v. 3 ‫« ֵהן ִלי לֹא נָ ַת ָתּה זָ ַרע‬vedi? A me non hai dato un discendente/erede». Il senso teologico
dell’erede (zera‘) è chiaro in Ger 49,1 con l’unione di popolo/Dio/terra. Il termine «seme,
discendenza» ritornerà al v. 18, segno che le due parti del racconto sono da considerare unite.
‫יוֹרשׁ א ִֹתי‬ֵ ‫ן־בּ ִיתי‬ ֵ ‫« וְ ִהנֵּ ה ֶב‬ed ecco: un figlio della mia casa (=domestico) sarà il mio erede» – La seconda
parte del v. ripete un hinnê che, talvolta, è segno di un’aggiunta, ma qui è piuttosto la forma
sintattica del “futuro imminente” costruita con hinnê + participio (così GK § 116p; cfr. Es 7,17;
1Re 20,5). L’allusione al domestico che diverrà erede presuppone quanto – narrativamente –
accadrà solo in 16,2-3 dove Sara si unisce con la schiava Agar. La radice per «erede» (part. att.
da *yrš «prendere possesso») è rara nella Genesi (8×), ma è frequente in Dt (58×) ad indicare la
terra che Israele possiederà (Dt 1,8; ecc.).
vv. 4-5 La risposta di Yhwh si riferisce al v. 3 ed avviene in due momenti: dapprima si rigetta la
protesta di Abramo promettendo un figlio (v. 4) e poi si conferma con un segno (v. 5).
v. 4 ‫« וְ ִהנֵּ ה ְד ַבר־יְ הֹוָ ה ֵא ָליו ֵלאמֹר‬ma subito la parola di Yhwh (fu) rivolta a lui:» – Il senso di hinnēh è
qui quello dell’immediatezza.
�‫י־אם ֲא ֶשׁר יֵ ֵצא ִמ ֵמּ ֶﬠי� הוּא יִ ָיר ֶשׁ‬ ִ ‫“« לֹא יִ ָיר ְשׁ� זֶ ה ִכּ‬non costui sarà il tuo erede, piuttosto colui che
uscirà dalle tue viscere: egli sarà il tuo erede”» – La costruzione con kî-’im «piuttosto» e poi la
ripetizione di hû’ «proprio egli» rende il tono dell’espressione enfatico. �‫ ִמ ֵמּ ֶﬠי‬dove il
sostantivo mē‘eh indica la parte bassa della pancia, sede anche della riproduzione (Nm 5,22;
2Sam 7,12; Sal 71,6): si intende quindi un figlio generato fisicamente da Abramo (cfr.
similmente 2Sam 7,12).
v. 5 ‫ם־תּוּכל ִל ְספֹּר א ָֹתם‬ַ ‫כּוֹכ ִבים ִא‬
ָ ‫וּספֹר ַה‬ ְ ‫“« ַה ֶבּט־נָ א ַה ָשּׁ ַמיְ ָמה‬dai, guarda il cielo e conta le stelle, se riesci
a contarle”» – Il verbo *nbṭ hif. significa «rivolgi lo sguardo (verso)» (cfr. Es 3,6; 1Re 18,43).
�‫אמר לוֹ כֹּה יִ ְהיֶ ה זַ ְר ֶﬠ‬ ֶ ֹ ‫« וַ יּ‬e gli aggiunse: “tale sarà la tua discendenza”» – La figura letteraria di
Israele numeroso come le stelle del cielo è un linguaggio dtr. (Dt 1,10; 10,22; 28,62).
v. 6 ‫« וְ ֶה ֱא ִמן ַבּיהֹוָ ה וַ יַּ ְח ְשׁ ֶב ָה לּוֹ ְצ ָד ָקה‬ed egli credette a Yhwh, ed egli accreditò ciò a lui come
giustizia» - [LXX καὶ ἐπίστευσεν Αβραμ τῷ θεῷ, καὶ ἐλογίσθη αὐτῷ εἰς δικαιοσύνην «e Abramo
credette a Dio e fu accreditato a lui a giustizia»]. Qui è descritta la risposta positiva di Abramo
che, in vv. 2-3 non aveva ancora creduto. La forma w+perf (non weqataltí, ma weqatàlti !) è qui
anomala e ci si sarebbe aspettato un wayyiqtol (sequenza narrativa nel passato, cfr. Es 4,31;
Giona 3,5; si noti che 4Q225 frg. 2.I:7-8 presenta un wy’myn, cioè una forma wayyiqtol, ma è
ovviamente lectio facilior). Secondo JM §119z tale uso si trova prevalentemente nell’ebraico
biblico tardo (cfr. Ez 37,7.10; 2Re 23); per GK §112ss l’uso di w+perf. nel passato sottolinea
l’aspetto durativo o frequentativo (Abramo credette e continuò a credere). Questo versetto è
una riflessione teologica che poi avrà grande eco nella teologia paolina (Rom 4). Da un punto
di vista filologico (e teologico) si può notare che *’mn ha il significato di «essere fermo,
stabile» e all’hif. è qui traducibile con «avere fiducia in Yhwh, credere in Yhwh, fare
affidamento su Yhwh»; tale verbo è spesso impiegato nelle situazioni difficili, di crisi (Is 7,9;
28,16; Sal 78,22).
La seconda parte della frase (il suff. femm. –‫ ָה‬del verbo *ḥšb indica la cosa «ciò», mentre la
LXX omette) è ambigua nel soggetto: chi accredita a chi? La tradizione cristiana (Rom 4,3)
suppone un cambio di soggetto ed assume che “egli” sia Yhwh – si noti la resa del waw con
“che” in BCEI – mentre nella tradizione ebraica è Abramo che accredita la promessa di
discendenza come (atto di) giustizia a Yhwh [ma la giustizia ṣdqh nel Pentateuco è un attributo
dell’attività umana (Dt 6,25; 9,4-6), non di quella di Yhwh]. Di solito la giustizia di un uomo si
misura alla luce del suo comportamento (cfr. Ez 18,5-9 con il suo elenco di opere), ma qui
Abramo non “compie” nulla, ma è la sua (sola) fede ad essere ritenuta come giustizia.

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Il verbo *ḥšb ricorre qui alla coniugazione qal «assumere, presumere, ritenere, pianificare»
(mentre al nif. «contare, attribuire, computare» Nm 18,27; Lv 7,18; 17,4). La LXX (seguita in
Rom 4,3) rende con un aoristo passivo καὶ ἐλογίσθη αὐτῷ (Vg reputatum est). Il parallelo più
vicino è 2Sam 19,20 «(Simei) disse al re: “Il mio signore non attribuisca a me alcuna colpa”
(‫ב־לי ֲאד ִֹני ָﬠוֹן‬
ִ ‫»)אל־יַ ֲח ָשׁ‬.
ַ Vari autori (von Rad) ritengono che la sfumatura del nif. vada tenuta in
conto anche qui.
Nella teologia protestante (von Rad) il verbo è inteso con valore precipuamente dichiarativo:
Yhwh ha dichiarato Abramo giusto. Qui però c’è il sostantivo «giustizia» e non l’aggettivo
«giusto». La fede di Abramo è qui innanzi tutto una “attività” e tale attività di fiducia è
considerata da Yhwh come «(atto di) giustizia».

v. 7 ‫אתי� ֵמאוּר ַכּ ְשׂ ִדּים‬ ֵ ‫« ֲא ִני יְ הֹוָ ה ֲא ֶשׁר‬io sono Yhwh che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei»
ִ ‫הוֹצ‬
richiama la formula (dtr) di uscita dall’Egitto (Lv 25,38; Es 20,2; Dt 5,6), ma la modifica
sostituendo «terra d’Egitto» con «Ur dei Caldei» preso da Gen 11,28.31 al posto di «Egitto».
Componendo questa nuova “affermazione” di fede, l’autore (post-P) vuole sottolineare che vi
fu un “esodo” precedente l’esodo di Mosè; in questo modo Abramo è posto in una posizione
pre-eminente rispetto a Mosè: ad Abramo, prima che a Mosè, Yhwh ha fatto sperimentare
l’esodo verso la libertà e la terra promessa.
ָ ‫« ָל ֶתת ְל� ֶא‬per darti questa terra in possesso [lett: e per possederla]» - I due
‫ת־ה ָא ֶרץ ַהזֹּאת ְל ִר ְשׁ ָתּהּ‬
inf. cs. con prep. l- uniscono il verbo «dare» (*ntn) e «possedere» (*yrš) in una quasi endiadi. Il
linguaggio sembra dtr. (cfr. Dt 3,18; 5,31; 9,6; 15,4…; cfr. anche nota al v. 18), ma non dimostra
che il passo è stato composto dal Dtr o che si tratta di una “conflazione di fonti”. Piuttosto che
vi è conoscenza del linguaggio dtr. (se uno confronta il presente passo con Dt 4 o con 2Re 17 si
accorge che è diverso). Tale formula nel dtr. è sempre rivolta al popolo, mai a un individuo.
Questo indica che qui siamo di fronte a una variazione della formula nota.
‫« ְל ִר ְשׁ ָתּהּ‬per possederla» il verbo ‫« ירשׁ‬possedere, ereditare» (cfr. anche v. 8) in riferimento a
Abramo si trova qui, in Gen 28,4 e in Ez 33,24, un testo molto importante per comprendere il
contesto teologico sottostante questa narrazione.
v. 8 ‫אמר ֲאד ָֹני יֱ הֹוִ ה ַבּ ָמּה ֵא ַדע ִכּי ִא ָיר ֶשׁנָּ ה‬ ַ ֹ ‫« וַ יּ‬Disse: “O Signore Yhwh, da che cosa saprò che io la
possiederò”?» – Similmente al v. 2, Abramo si appella a “O Signore Yhwh”. Abramo non
esprime un dubbio (come usuale nelle scene di invio in missione), ma chiede un segno (cfr.
Gdc 6,36-40). Abramo ora non è più interessato all’erede che non vede arrivare, ma al
“possesso” della terra; egli appare così il rappresentante del popolo che ha perso il possesso
della terra.
vv. 9-10.17 L’azione qui descritta è solitamente intesa come un rito solenne di alleanza in cui si
svolge un rito di auto-maledizione simboleggiata dal tagliare gli animali (riferendosi a Ger
34,18-19). Tale interpretazione è però fallace in quanto il rituale di auto-maledizione si
applicherebbe qui a Dio che non può chiamare in causa un potere più alto di lui (se così fosse,
l’idea sottostante è lievemente blasfema). Meglio vedervi un’offerta a Dio da lui accolta nel v. 17.
v. 9 ‫אמר ֵא ָליו ְק ָחה ִלי ֶﬠ ְג ָלה ְמ ֻשׁ ֶלּ ֶשׁת וְ ֵﬠז ְמ ֻשׁ ֶלּ ֶשׁת וְ ַאיִ ל ְמ ֻשׁ ָלּשׁ וְ תֹר וְ גוֹזָ ל‬ ֶ ֹ ‫« וַ יּ‬Gli rispose: “Prendimi una
vitella di tre anni e una capra di tre anni, un ariete di tre anni e una tortora e un uccellino”» –
‫ גוֹזָ ל‬è un giovane uccello (di solito si offrivano colombe). Il dativo etico lî «a me, per me» dopo
il comando «prendi» lascia supporre che gli animali fungano qui da offerte sacrificali per
Yhwh.
v. 10 ‫ת־ה ִצפֹּר לֹא ָב ָתר‬ ַ ‫ישׁ־בּ ְתרוֹ ִל ְק ַראת ֵר ֵﬠהוּ וְ ֶא‬ ִ ‫ל־א ֶלּה וַ יְ ַב ֵתּר א ָֹתם ַבּ ָתּוֶ � וַ יִּ ֵתּן ִא‬ ָ ‫« וַ יִּ ַקּח־לוֹ ֶא‬Egli glieli
ֵ ‫ת־כּ‬
prese tutti quanti, li squartò nel mezzo e pose ciascuno pezzo uno di fronte all’altro; gli uccelli
però non divise» – L’esecuzione del comando da parte di Abramo va oltre le parole di Yhwh
perché egli taglia gli animali come se dovesse sacrificarli (Lev 1,6ss); i pezzi infatti di solito
erano posti sull’altare. La particolarità qui presente è che i pezzi sono disposti su due file uno
di fronte all’altro.

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v. 11 ‫ל־ה ְפּגָ ִרים וַ יַּ ֵשּׁב א ָֹתם ַא ְב ָרם‬ ַ ‫« וַ יֵּ ֶרד ָה ַﬠיִ ט ַﬠ‬Allora i rapaci scesero sulle carcasse, ma Abramo lì
scacciò» – Il v. costituisce un intermezzo narrativo; forse la difficoltà da superare o lo
scacciare del malaugurio.
v. 12 ‫« וַ יְ ִהי ַה ֶשּׁ ֶמשׁ ָלבוֹא‬Quando il sole stava tramontando» *hyh + l + inf. cs. ha la nuance di “nel
momento in cui…” (JM §124l; cfr. anche Gs 2,5). Frase che si riprenderà (Wiederaufnahme) al
v. 17 e che serve a introdurre, con la menzione del ‫ ַת ְר ֵדּ ָמה‬la rivelazione di Yhwh che si
compirà, però, solo nel v. 17.
‫ימה ֲח ֵשׁ ָכה ְגד ָֹלה נ ֶֹפ ֶלת ָﬠ ָליו‬ ַ ‫(« וְ ַת ְר ֵדּ ָמה נָ ְפ ָלה ַﬠ‬mentre) un torpore piombava su Abram,
ָ ‫ל־א ְב ָרם וְ ִהנֵּ ה ֵא‬
subito un terrore (e) grande tenebra discendevano su di lui» – La prima parte della frase, sogg
+ perf., è circostanziale e modifica lo scorrere temporale della narrazione. La seconda parte,
introdotta da hinnēh è la principale (difficile comprendere l’uso del participio). Il “torpore”, il
“terrore” e la “grande tenebra” sono tutti indizi dell’incombere dell’agire divino (Gen 2,21; Es
10,21).
v. 13-16 Sono considerati da alcuni studiosi (Wellhausen, Westermann, Ska) un’inserzione seriore,
perché interrompono la narrazione e per la “ripresa ripetitiva” di «tramontare il sole» nel v.
12 e 17. Altri (Römer, Schmid) obiettano che non vi sono criteri certi per separare tali versetti.
Contengono due oracoli uno rivolto ai discendenti di Abramo (vv. 13-14), uno ad Abramo (v.
15).
v. 13 ‫אמר ְל ַא ְב ָרם יָ ד ַֹ� ֵתּ ַדע‬ ֶ ֹ ‫« וַ יּ‬Disse ad Abramo: “tu devi sapere…”» – L’uso dell’inf. ass. + verbo
rafforza e rende l’idea di un obbligo stringente: è necessario che tu sappia (Giuntoli rende
invece: «sappi per certo»).
‫« ִכּי־גֵ ר יִ ְהיֶ ה זַ ְר ֲﬠ� ְבּ ֶא ֶרץ לֹא ָל ֶהם‬che la tua discendenza sarà forestiera in un paese non loro» -
‫« וַ ֲﬠ ָבדוּם וְ ִﬠנּוּ א ָֹתם ַא ְר ַבּע ֵמאוֹת ָשׁנָ ה‬li schiavizzeranno e umilieranno (per) 400 anni» – I 400 anni si
riferisce all’Esodo.
v. 14 ‫ת־הגּוֹי ֲא ֶשׁר יַ ֲﬠבֹדוּ ָדּן ָאנ ִֹכי‬ ַ ‫« וְ גַ ם ֶא‬ma la nazione che andranno a servire (la) giudicherò io» – Il
participio ‫*( ָדּן‬dyn) ha il senso di futuro che accompagna un’azione (IBHS §37.6f), cioè “avrà
come conseguenza che io la giudicherò”.
‫י־כן יֵ ְצאוּ ִבּ ְר ֻכשׁ ָגּדוֹל‬ ֵ ‫« וְ ַא ֲח ֵר‬Dopo di ciò usciranno con grandi ricchezze» - La spoliazione delle
nazioni straniere è un motivo noto. Secondo Köckert 2013 dimostra che l’autore conosceva già
Gen 14,11-12; Es 3,21s; 12,35-39.
v. 15 ‫טוֹבה‬ ָ ‫ל־אב ֶֹתי� ְבּ ָשׁלוֹם ִתּ ָקּ ֵבר ְבּ ֵשׂ ָיבה‬ ֲ ‫« וְ ַא ָתּה ָתּבוֹא ֶא‬quanto a te, andrai in pace presso i tuoi padri;
sarai sepolto dopo una bella vecchiaia» – L’uso del pronome esplicito (in ebraico non
richiesto) di solito esprime enfasi («tu invece», «quanto a te»). Tale promessa troverà
compimento in Gen 25,8.
v. 16 ‫יﬠי יָ שׁוּבוּ ֵהנָּ ה‬ ִ ‫« וְ דוֹר ְר ִב‬ma alla quarta generazione ritorneranno qui». Il riferimento alla quarta
generazione non può essere compresa come riferita ai suddetti 400 anni; per van Seters questa
aggiunta è comprensibile solo dal punto di vista dell’esilio. Per chi sostiene l’ipotesi
documentaria (nota BJ) sarebbe un ritocco P.
‫ד־הנָּ ה‬
ֵ ‫א־שׁ ֵלם ֲﬠוֹן ָה ֱאמ ִֹרי ַﬠ‬ ָ ֹ ‫« ִכּי ל‬perché l’iniquità degli Amorrei non è completa fino al colmo» – Il
termine “Amorrei” è usato per indicare piuttosto i Cananei (puniti con la “conquista” da parte
d’Israele, cfr. Gs 24,8.
v. 17 ‫(« וַ יְ ִהי ַה ֶשּׁ ֶמשׁ ָבּ ָאה וַ ֲﬠ ָל ָטה ָהיָ ה וְ ִהנֵּ ה ַתנּוּר ָﬠ ָשׁן וְ ַל ִפּיד ֵאשׁ ֲא ֶשׁר ָﬠ ַבר ֵבּין ַה ְגּזָ ִרים ָה ֵא ֶלּה‬essendo) il sole
tramontato e buio fitto era diventato, ecco che (apparve) un bracere fumante e una fiaccola
ardente che passò in mezzo agli animali divisi» – Continua il rito iniziato al v. 10 (cfr. nota); il
‫ וַ יְ ִהי‬iniziale indica una non stretta connessione con quanto precede che può inserire una
nuova narrazione o riprendere il filo; unito al seguente ‫« וְ ִהנֵּ ה‬ed ecco che…» rende il passaggio
di scena molto vivido. I verbi perf. ‫ ָבּ ָאה‬e ‫ ָהיָ ה‬indicano un piuccheperfetto.
Si noti che solo la il bracere (‫)תנּוּר‬ ַ e la (‫)ל ִפּיד‬ ַ fiaccola, simbolo di Yhwh e della sua presenza
(cfr. Es 13,21; 20,18), passano in mezzo agli animali tagliati. Abramo non partecipa al rito.
Spesso questo rito, paragonato con Ger 34,18, è inteso come una maledizione rituale (tipo:
succeda a me come è successo a questi animali se…), ma tale spiegazione – che vorrebbe

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Paolo Merlo – note a Gen 15

chiarire anche il senso del verbo *krt – è problematica perché non giustifica la ritualità e
appare contraria alla teologia (come potrebbe Yhwh dire: possa io morire se non…). La
terminologia cultuale del v. 9 e di tutto il brano lascia orientarsi verso un significato
strettamente cultuale (Yhwh considera l’offerta valida e la brucia accettandola, cfr. 1Re 18,38).
v. 18 è il climax del racconto.
‫ת־א ְב ָרם ְבּ ִרית ֵלאמֹר‬ַ ‫« ַבּיּוֹם ַההוּא ָכּ ַרת יְ הֹוָ ה ֶא‬In quel giorno Yhwh stipulò con Abramo un’alleanza
(dicendo)» – L’espressione ‫« ָכּ ַרת ְבּ ִרית‬stipulare/concludere un’alleanza» è linguaggio dtr.
(vedi nota v. 7). Questa alleanza ha però caratteri molto diversi da quella del dtr (qui è
unilaterale, incondizionata e individuale). L’alleanza si esaurisce di fatto nel pronunciare (da
parte di Yhwh) una promessa, un impegno.
ָ ‫« ְלזַ ְר ֲﬠ� נָ ַת ִתּי ֶא‬alla tua discendenza io do questo paese» – Il perf. nātattî (alla lettera
‫ת־ה ָא ֶרץ ַהזֹּאת‬
«ho dato»; mentre in Gen 12,7 si usava l’imperfetto ’etten «io darò») è un c.d. perfetto
profetico dove la cosa si giudica realizzata nel momento stesso del pronunciamento anche se
in verità dovrà passare del tempo (cfr. Gdc 1,2; JM §112g). Il patto non dovrà realizzarsi in
Abramo, perché Yhwh dice «alla tua discendenza…»; appare chiaro che non si tratta di un
accordo bilaterale, ma di una obbligazione promissoria da parte di Yhwh che consiste nel
«dare il paese». Il rito, pertanto, non è tanto il rituale di alleanza, ma l’atto confirmatorio di
una giuramento/impegno. Questa promessa incondizionata diverrà importante nelle
discussioni su “possesso” della terra all’inizio di epoca persiana (in Ez 33,24 Abramo era
considerato un autoctono dai rimasti in patria; in Is 41,8-9 la discendenza di Abramo è presa
da ogni parte della terra come in Gen 15,7 e 12,1; Is 51,1-2 considera tutti discendenza di
Abramo). Tale promessa continuerà ad essere letta e interpretata (cfr. Rom 4).
‫ר־פּ ָרת‬ ַ ‫« ִמנְּ ַהר ִמ ְצ ַריִ ם ַﬠ‬dal fiume d’Egitto fino al grande fiume, il fiume Eufrate» – Il
ְ ‫ד־הנָּ ָהר ַה ָגּד ֹל נְ ַה‬
«fiume» d’Egitto non è il Nilo, ma il c.d. “torrente/rivo” d’Egitto (solitamente designato come
il «torrente» ‫ נַ ַחל‬d’Egitto), cioè il wad el-Arish a sud di Gaza (cfr. Nm 34,5). L’estensione della
territorio sembra essere quella teorica applicata al regno di Salomone durante il suo favoloso
splendore (cfr. 1Re 5,1; 8,65).
vv. 19-21 La classica enumerazione dei popoli. Questa è la più lunga enumerazione in confronto
con gli altri testi (qui 10 popoli; di solito 6 o 7). Sono considerati spesso un’aggiunta alla
narrazione principale.

Bibliografia oltre commentari:


Chr. LEVIN, “Jahwe und Abraham im Dialog: Genesis 15”, in M. WITTE (Hg), Gott und Mensch im
Dialog: Festschrift für Otto Kaiser zum 80. Geburtstag (BZAW 345), Berlin 2004, 237-257 [rist. in
BZAW 431].
J. HA, Genesis 15. A Theological Compendium of Pentateuchal History (BZAW 181), Berlin 1989.
M. KÖCKERT, “Gen 15: Vom »Urgestein« der Väterüberlieferung zum »theologischen
Programmtext« der späten Perserzeit”, ZAW 125 (2013), 25-48.
J.L. SKA, “Some Groundwork on Genesis 15”, in ID., The Exegesis of the Pentateuch. Exegetical Studies
and Basic Questions (FAT 66), Tübingen 2009, 67-81.

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